ATTI DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA NUOVA SERIE II (LXXVI) FASC. II //* J Gì**, i . *k aT ì' <• V V C#i r / /»; fv V \ V1» ’ GENOVA — MCMLXII NELLA SEDE DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA PALAZZO TURSI ATTI DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA GENOVA - MCMLXII NELLA SEDE DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA PALAZZO TURSI _ ( ATTI SOCIALI II 13 ottobre 1962 si è tenuta, presso la sede della Società Ligure di Storia Patria, 1 assemblea generale dei soci per il rinnovo delle cariche sociali. Sono stati eletti: Presidente: Onorato Pastine. Vice-presidenti: Leonida Balestreri, Giuseppe Piersantelli. Consiglieri: Corrado Astengo, Vittorio Boido, Franco Borlandi. Luigi Bulferetti, Nilo Calvini, Giorgio Costamagna, Claudio Costantini, Gian Carlo Doria, Luigi Marebini, Giuseppe Oreste, Geo Pistarino, Dino Puncuh. II 14 novembre 1962 si è riunito il Consiglio direttivo per la distribuzione delle cariche di sua competenza. Sono stati eletti: Segretario: Dino Puncuh. Bibliotecario: Nilo Calvini. Delegato alla contabilità: Vittorio Boido. Tesoriere: Corrado Astengo. Nella stessa riunione il Consiglio ha proceduto, per il riordinamento della Società e a norma delTart. 11 dello statuto, alla costituzione di un Comitato scientifico per la pubblicazione degli Atti e di un Comitato tecnico per il riordinamento della sede. Sono stati nominati membri del primo: F. Borlandi, L. Bulferetti, G. Costa-magna. L. Marchini, G. Oreste, G. Pistarino. Sono stati nominati membri del secondo: L. Balestreri, F. Borlandi. G. Piersantelli. Entrambi i comitati sono presieduti dal Presidente della Società con l’assistenza del Segretario. L*8 dicembre 1962 il Consiglio direttivo ha formulato il programma per l'anno 1963: in particolare ha deliberato di dare alle stampe tre fascicoli di Atti, di cui uno per il 1962 (II fascicolo del vol. LXXVI) e due per il 1963 (vol. LXXVII). Nella stessa riunione è stato predisposto il bilancio preventivo; è stato nominato vice-segretario. a nonna dell art. 12 dello statuto, il dott. Claudio Costantini : è stato nominato coadiutore del bibliotecario, a norma deH’art. 23, il dott. Giovanni Rebora. Il 26 gennaio 1963 il Consiglio direttivo ha ammesso a far parte della Società i seguenti nuovi membri: Gianni Aonzo, Gino Bianco, Alberto Gaetti, Edoardo Grendi, Maria Teresa Morano, Edilio Pareto. Danilo Presotto, Liana Saginati, Giovanni Vallebella. Nella stessa riunione sono stati approvati definitivamente il programma e il bilancio preventivo per il 1963, che TAssemblea generale dei soci ha ratificato nella riunione del 9 febbraio 1963. GEO PISTARINO QUESTIONI DI TOPONOMASTICA: LA SPEZIA In una nota recente ci siamo occupati del problema, assai controverso, dell’origine e del significato del nome della Spezia 1. Abbiamo rilevato che il toponimo non riguarda soltanto il maggiore centro cittadino della Lunigiana, ma esiste anche in altre località dell’area italiana centro-settentrionale: esso risulta, infatti, documentato, — attraverso numerose varianti grafiche, che ne attestano sia l’antichità sia la difficoltà di trascrizione fonetica da parte di scribi e notai medievali, — a partire dal secolo XI con la Spexa di una carta veronese del 1028 2, che riteniamo debba identificarsi con ! attuale Spessa in comune di Cologna Veneta, e con la Spexia di un documento monferrino del 1071, corrispondente all'odierna Spessa in comune di Agliano d’Asti 3. Mentre per il nome della città si sono dibattute numerose interpretazioni 4, per gli altri toponimi del medesimo tipo gli etimi, sin 1 G. PiSTARINO Polemiche su due toponimi: la Spezia e l'Aulla. in Annali di ricerche e studi di geografia, XVI, 1960, pp. 93.108. “ P. Torelij, Regesto mantovano. I, Regesta chartarum Italiae. Roma. 1914, n. 54. 3 AI.il.P.. Chartarum. 1. Torino. 1836. col. 626. n. 372. Nel nostro studio precedente, attenendoci ad U. Formentini (Note per lo studio della topografia fondiaria e della toponomastica etrusco-romana nel golfo della Spezia, in Memorie della Accademia Lunigianese di Scienze « G. Capellini », IX. 1928, p. 93), abbiamo riferito a Tortona la voce Spexia del documento sopra citato. Una rinnovata analisi del testo ci convince che la località non doveva distare molto da Calosso e ci induce a rettificare l’identificazione. Si noti che l'edizione dei M.H.P. identifica erratamente con la Spezia. 4 Oltre alla bibliografia da noi riferita in merito alla discussa questione si tendano presenti : U. FoRMENTiM. Monumenti e memorie della Spezia antichissima, in II Comune della Spezia, Vili, 1930, p. 21 e sgg. : id.. Ancora sulla denominazione ufficiale della città, ibidem, Vili, 1930. pp. 59-60; id.. Una testimonianza d'arte romanica alla Spezia, in Memorie della Accademia Lunigianese di Scienze « G. Capellini ». XVI, 1935, pp. 58-60: e la recensione di N. Lam-boglia allo studio di R. Fokmentini, Sull’origine e significato del nome della Spezia (in La Spezia. Rassegnu municipale, XX, 1951. n. 3, pp. 1.3). in Rivista di qui generalmente accolti dagli studiosi, si riducono a due: quello proposto da S. Pieri per le voci « Spetio » e « Spezi », nel territorio di Massarosa in Versilia, clic Fautore collega alla presunta esistenza di un hospitium nel senso di luogo pubblico di ricovero itinerario 5, e quello sostenuto da D. Olivieri e da P. S. Pasquali per le voci Spescio, « i Spess », Spessa, Spesseda, Spessetta e simili, ricondotte ad ipotetiche precedenti locuzioni del genere di spissa [silva] e « spesso bosco » 6. Due passi del Cìironicon Ymaginis Muncli di Iacopo d Acqui, nei quali si accenna a Tortona, indicata come Alba Spetia seu Petra, sono parsi invece a noi determinanti per stabilire il significato generale del toponimo, da collegarsi alle condizioni orografiche del luogo, cioè all'esistenza in sito del tipo di rilievo montuoso che viene definito, negli usi del latino medievale, con la voce petra. Per quanto riguarda l’etimo del nostro nome ci siamo rifatti al tedesco « Spitze », considerando che la diffusione d una termino- Studi Liguri, XVIII, 1952, p. 312. Nell’ultimo dei lavori sopra citati U. Formen-tini ha formulato definitivamente la propria tesi circa I origine del nome della Spezia dal nome di un omonimo idronimo (ciò che, tuttavia, anziché risohere il problema, lo sposterebbe semplicemente allindatine sull etimo di quest ultimo). « ... io credo che la strada romana transitante sul ponte scoperto dal Mazzini abbia continuato ad essere frequentata nell alto medioevo e che un frantoio, o molino, o un ospedale, una cappella sorgessero presso il ponte; e questa fosse, da prima, la Spezia, tutta la Spezia. Confermo inoltre il mio avviso che il nome « Spezia » spettasse allora all antico corso d acqua di cui 1 ampia luce del ponte romano rivela resistenza; e penso che una forma [ pons \ od Spediani, o fors anche [S. Maria | ad Spediani, riferita alla cappella, ci fornisca la più precisa e attendibile spiegazione grammaticale e fonetica della forma articolata con la quale ab immemorabili il nome ci è stato trasmesso» (p. 59). 5 S. Pieri, Toponomastica delle valli del Serchio e della Lima, in Supplementi periodici all'Archivio Glottologico Italiano, V, 1898, p. 182. E necessario rilevare, in merito alla tesi dell autore, che non si ha nessuna prova storica del* resistenza di un hospitium nelle località da lui indicate. 6 D. Olivieri, Saggio di una illustrazione generale della toponomastica veneta, Città di Castello, 1914; id., Dizionario di toponomastica lombarda, I ediz. Milano, 1931, II ediz. Milano, 1961. alle voci «Spescio», «Spessa»; P. S. Pasquali, 1 nomi di luogo del comune di Filattiera, Milano, 1938, p. 113, n. 278. Si noti, tuttavia, come l etimo da spissa/spissus mal si accorda con il toponimo di forma plurale « i Spess » e con la voce composta « Guspcssa », ricordati dallo stesso Olivieri (Dizionario cit., alle voci «Spescio» e «Spessa»). logia di origine germanica nella zona dell'attuale golfo della Spezia risulta suffragata dalla relativa frequenza degli stanziamenti longobardi in quel territorio, secondo i recenti studi di P. M. Conti 7. Un saggio di Clelio Goggi, sulla Toponomastica ligure - latino -germanica della diocesi di Tortona, venuto in luce pressoccbè contemporaneamente alla nostra ricerca, reca un ulteriore contributo all’argomento con interessanti osservazioni8. Nella rassegna dei nomi locali del Tortonese di sicura o probabile origine ligure, 1 autore riferisce che « sono molte le Spezie » e ricorda, tra gli esempi storici, oltre alla voce citata da Iacopo d Acqui, le località di Spixa (oggi Spessa in comune di Parodi Ligure), nominata in un atto del 1202 9, e di Spigola ( Spixola, Spisola, Spissola, tra Tortona e \ o-ghera), che compare in documenti del 1269 e del 1296-99 i0; tra i toponimi attuali, Spescie o Spezia nella valle Trebbia, in comune di Ottone (Piacenza), al confine col territorio genovese di Fontana-rossa in comune di Gorreto u. Sicché la lista dei nomi da noi dati a scopo esemplificativo può integrarsi, per quanto riguarda Farea italiana centro-settentrionale, con queste e con altre indicazioni, ricavate tanto dalle fonti storiche quanto dalFodierna toponomastica. Abbiamo infatti le non identi- 7 P. M Conti, Ricerche sulla organizzazione sociale e giuridica della Luni-giana nord-occidentale nell'alto medioevo, in Memorie della Accademia Lunigianese di Scienze « G. Capellini ». XXXI. 1, 1060: id., Note sulla toponomastica di epoca longobarda nella Lunigiana nord-occidentale, in Atti e memorie del ìli Congresso internazionale di scienze onomastiche, I. Toponomastica, parte I. Firenze. 1962, pp. 363-374. 8 Cl. Gocci. Toponomastica ligure - latino - germanica della diocesi di Tortona, in Julia Dertona. VIII, 1960, fase. 19-20 (dicembre), p. 32. 9 M.H.P., Liber iurium Reipublicae Genuensis, I. Torino, 1854, col. 15, n. VII (con data errala del 1102): A. Ferretto. Documenti genovesi di Novi e Valle Scrivia, I, Pincrolo, 1909, BSSS LI, n. CLXXXI. 10 A. Tallone, Le carte dell'archivio comunale di Vogherà fino al 1300, Pincrolo, 1918. BSSS XL1X, nn. XCVI-XCIX, CI-CIII, CV-CX. 11 11 Goggi riferisce «Spezia», a Spescie » è invece la dizione della carta d’Italia al 25.000 dcllI.G.M., f. 83. tav. I N.O. Non escludiamo la possibilità ('he il toponimo Petia Maiori di un documento tortonese del 1270 fosse in realtà Spetia mai ori : cfr. F. Gabotto - A. Colombo - \ . Lece - C. Patrucco, Le carte dell'archivio capitolare di Tortona. Pincrolo, 1906, BSSS XXX. n. DCLXXXII. 28 ficate Spesia della carta reggiana del 1111 e Speda (Specie, SpeJ/a) delle carte genovesi del 1160-61 12; la valle di Guspessa in provincia di Brescia 13 ; Moglia Spescia in comune di Rovegno (Genova)* Spescia in comune di Santa Sofia (Firenze); Spescie in comune di Ottone (Piacenza); Spescio in comune di Pertica Bassa (Brescia); « i Spess ». presso Ardesio (Bergamo) 13; Spessa in comune di Bosio (Alessandria); Spessa in comune di Parodi Ligure (Alessandria); Spessa in comune di Agliano (Asti); Spessa, comune della provincia di Pa\ia. con il casale di Spessetta, la frazione di Speziana e la brughiera. le due rogge e la cascina di questo medesimo ultimo nome; Spessa in comune di \ al di Nizza (Pavia); Spessa in comune di Lologna Veneta ( \ erona) ; Spessa in comune di Cividale del Friuli (Udine); la valle Spesseda a nord di Lecco; Spetio e Spezi in comune di Massarosa (Lucca); Spettine in comune di Bettola (Piacenza) ed il torrente omonimo, che scorre accanto al centro abitato e confluisce nel Nure; Spettino in comune di San Pellegrino (Bergamo); Spettoleria in comune di Minerbio (Bologna); Spezia in comune di Arquata Scrivia (Alessandria); il monte Spezia nella vai Sabbia (Alpi delFAdamello); il torrente Spezia, che nasce sopra i colli di Ga\ orrano (Grosseto) e dà il nome alla propria valle: Speziala nel territorio di Massa Marittima; Speziara in comune di Ca-stellucchio (Mantova); Speziera in comune di Rivolta d’Adda (Cremona); Spezieria in comune di Pella (Novara); Spezza nella valle del Riglio (Piacenza); Spezzano in comune di hiorano (Modena)14. L esempio tipico dell'equivalenza Spixa - Spessa, relativa alla località in comune di Parodi Ligure, e la notizia dell’esistenza della variante spissa, accanto alle voci speda, spessa, spezia, di cui il Goggi 12 G. PlSTARINO Cit.. p. 100. I). Oli\ieri c*it, II. ediz.. alla voff « Spessa ». 14 Non soltanto nelle fonti più antiche e non soltanto per il maggiore centro cittadino, che è oggetto precipuo della nostra ricerca, ma anche nella recente nomenclatura ufficiale dei centri minori c ridante l'oscillazione tra le voci « Spescia ». «Spessa», a Spezia ». riferite ad una medesima località. Si confrontino, ad es., le voci di A. Amati, Dizionario corografico doli'Italia. Milano, s. d. r 1868 e sgg. j, con quelle del Nuovo dizionario dei comuni e delle frazioni di comune, XXIII ediz. a cura di A. Bri no, Roma. 1959, c con quelle delle carte al 25 000 del- PI.G.M. — 12 — ha trovato traccia neirodierna parlata del Tortonese, ci fanno ritenere che debbano annoverarsi nella serie sopra elencata alcuni dei toponimi con radicale in i anziché in e, quali, ad esempio, Spissi (in comune di Macugnaga - Novara), Spisso (in comune di Bagnara -Pavia)15. Un’analisi condotta caso per caso potrà inoltre fare includere nella medesima categoria del nome della Spezia anche un’aliquota delle numerose voci dell’intera area italiana, che mancano della s impura iniziale, ed al cui proposito si sono tentate da varie parti diverse interpretazioni etimologiche: ad esempio, Pessano, Pessina, Pezza, Piziale, Pizza, Pizzano, Pizzi... Circa il significato del termine il Goggi ci fornisce un’indicazione preziosa, che suffraga la testimonianza di Iacopo d’Acqui e conferma la nostra tesi: «Spezia, spessa, speda, spissa sono la stessa parola, ancora viva nella bocca dei montanari, ed indicano una grande roccia sporgente, piana alla sommità... Per analogia, sulla sponda sinistra del Po è chiamato spissa un lembo di terra isolata da una sacca del fiume ». Not iamo. a riprova di quanto il Goggi asserisce, che i toponimi della serie « Spezia », che abbiamo sopra elencato, riguardano località situate in zone di rilievo orografico oppure lungo percorsi fluviali antichi od attuali. E' anche notevole la frequenza del nome come oronimo o idronimo o toponimo vallivo: dove è ben visibile il noto fenomeno della progressiva diffusione del nome montano al fondovalle ed al corso d'acqua. Particolarmente significative, infine, le voci plurali « i Spess » e « Spezi », le quali accennano ad un antico paesaggio di grandi massi rocciosi, e la forma composta « Guspessa », il cui primo componente, come rileva l'Olivieri, deriverebbe dall'aggettivo acuta 16. Dunque, l'equivalenza stabilita da Iacopo d'Acqui tra spetia e petra è completamente corretta, e rientra nel novero di quelle notizie che risultavano ancora chiare al tempo dell autore. A 15 A. Amati cit., alle voci. 16 D. Olivieri cit., II ediz.. alla voce « Spessa ». Si tenga presente anche la voce « Spesi », nel territorio di Filattiera, che il Pasquali (1. cit.) fa invece derivare da spissu. — 13 — « favore delTattendibilità del quale si presenta l’esistenza, a ridosso del vecchio agglomerato cittadino tortonese, del rilievo orografico del « Castello », che emerge dalla pianura come un grande terrazzo roccioso ed al quale riteniamo si riferisse originariamente il nome attestato dal cronista trecentesco 17. Per quanto riguarda la Spezia, in Lunigiana, è evidente che la primitiva località di questo noine va identificata, come ha già sostenuto il Formentini. nelTodierna altura del Poggio, la cui denominazione attuale deve considerarsi come l’equivalente o, meglio, come la tarda traduzione, con significato topografico particolare, della primitiva voce Spetia. Aggiungiamo che. se l’altura ci appare oggi di modesto rilievo, non così doveva essere quando, in età antica ed altomedievale, essa era lambita direttamente dalle onde del mare. Giustamente osserva il Goggi: a Poiché non si badava al dialetto, inutilmente furono cercate altre etimologie di questo nome ». I glottologi potranno stabilire se si tratta di voce germanica, come noi abbiamo proposto, sia pure dopo molte esitazioni, o ligure, come pensa il Goggi; se indoeuropea o preindoeuropea. Ina circostanza notevole non potrà tuttavia trascurarsi, in un ulteriore approfondimento del tema: la presenza del nostro toponimo anche nell Italia 17 Un preciso punto eli riferimento, per localizzare Y Alba Spetia di Iacopo d'Acqui, ci è offerto dallo stesso cronista. là dove egli accenna all’assedio della città in monte ubi dicitur Scholca ed alla chiesa di Santa Maria de Scholca, che sarebbe stata edificata in quella occasione e che ancora esisteva ai suoi tempi: Iacopo d'acqUI, Clironicon Y ma gin is Mundi, in M.H.P., Scriptorum. Ili, I orino. 1848, coll. 1493 e 1506. Effettivamente abbiamo notizia, nel secolo XIII, di una Petrasculta e di una chiesa di Santa Maria Sculta che sorgeva « sul castello, fra le mura e lOssona, sopra un poggio verso Vho »: cfr. F. Gabotto - A. Colombo - V. Lece - C. Patrucco cit.. nn. CCCXXXII. CDLV, CDLVII, DC. DCLXXXII. 52; Cl. Gocci, Per la storia della diocesi di Tortona, II, Chicri, 1915. p. 51. Riteniamo che la leggenda, riportata dal cronista, circa il conflitto tra Carlo Magno ed i Saraceni in Lombardia, abbia riferito a Tortona, come toponimo, il nome comune usato in loco per indicare il colle che sovrasta l'attuale città e sul quale esisteva il più antico centro abitato L'identificazione di Alba Spetia con Tortona è accettata senz'altro dalla tradizione locale: cfr. Cl. Gocci, Per la storia cit., I, Alessandria, 1943, p. 27; Guida Tortonese, Tortona, 1954. p. 11 ; Cl. Gocci, Toponomastica cit., p. 32. — 14 — centro-meridionale, che registra i nomi di Spetina in comune di Belmonte Castello (Frosinone), di Speziale in comune di Fasano (Brindisi), del monte Speziale nella Sicilia nord-occidentale, di Spezzano Albanese, Spezzano Grande e Spezzano Piccolo in provincia di Cosenza, di Spisciano in comune di Presicce (Lecce). Comunque, possiamo considerare come ormai acquisito il fatto che il significato del nome della Spezia va riportato alle antiche condizioni ambientali. Esso preesiste, come toponimo rurale, alla formazione del nucleo urbano da cui ha tratto origine l'odierna città; si estende dal monte alla pianura di formazione alluvionale, quando tra Funo e l’altra si costituisce il primo raggruppamento demico che trova nella pieve di San Venerio in Antoniano il suo capoluogo religioso ; perde il proprio valore semantico, fino a diventare incomprensibile, a mano a mano che si identifica con lo sviluppo del centro abitato e dell'area di influenza di quest'ultimo. Fatta eccezione, forse, per qualche sporadico caso precedente, il nostro toponimo compare nella documentazione scritta, quasi con improvvisa fioritura, intorno alla metà del secolo XIII, in una notevole varietà di designazioni geografiche: abbiamo infatti il nucleo abitato di Speza. Yaquaricium de Speça, il gulfum Specie, il mare Specie vel Sancti Venerii. Si tratta della manifestazione esterna, sul piano dell'onomastica locale, di un fenomeno di notevole profondità: l’ascesa alla storia del golfo di San Venerio, in concomitanza ed in correlazione con il declino e la scomparsa dell antico porto di Luni. — 15 — t DINO PUNCUH I PIU' ANTICHI STATUTI DEL CAPITOLO DI SAN LORENZO DI GENOVA 1- - H recente riordinamento dell’Archivio Capitolare di San Lorenzo ha permesso di metterne in luce il ricchissimo materiale contenutovi. 1 ra le tante carte di rilevante interesse storico si tro-\ano gli antichi statuti del Capitolo: se consideriamo che non molte !'°no n°tizie sicure sulle vicende della cattedrale di Genova 2 e che solo recentemente ne è stato posto in rilievo il fondo archivistico più importante 3, non ci sembra inutile pubblicare le norme che disciplinavano la vita canonicale. Il manoscritto, cartaceo, degli statuti, — n. 1 della cartella 399 dell Archivio Capitolare, — è composto di due fascicoli di quattro fogli ciascuno: le carte sono pertanto 16; la prima e l’ottava carta di entrambi i fascicoli sono staccate 1‘una dall’altra per lacerazione del foglio lungo la ripiegatura. Il foglio misura min. 344 X 243: la carta min. 172 X 243. La filigrana, del tipo a forbice, corrisponde al n. 3725 del dizionario del Briquet4. Sono visibili le tracce della squadratura e della rigatura a D. Puncuh. L Archivio Capitolare di San Lorenzo ed il suo nuovo ordinamento, in Bollettino Ligustico. 1956. pp. 13-20. T. NeGrotto, Notizie istoricke della chiesa metropolitana di San Lorenzo di Genova, ms. del sec. XVIII (1796) in Biblioteca Universitaria di Genova, R- VI, 19; G. Rancherò, Il Duomo di Genova. Genova. 1855: l.a cattedrale di Genoi-a. 1118-1918. Genova, 1918; G. Salvi, La cattedrale di Genova (San Lorenzo). Torino. 1931. Meno organico. ma ricco di materiale prezioso, desunto «lai documenti deU'Arehivio Capitolare, è A. Marana. Notulario capitolare, ms. del sec. XVII in Archivio Capitolare ni San Lorenzo, nn. 436-437; importante, anche se non dedicato esclusivamente alla Cattedrale, è F. M. Accinelli. Stato presente della metropolitana di Genova, di tutte le parrocchie tanto in cittì che nella diocesi, ms. del sec. XVIII in Biblioteca civica Berio. II. 4. 10. 3 D. Puncuh, Liber privilegiorum ecclesiae Ianuensis. Genova. 1962. 4 Per quanto il Briquet (Les filigranes, II ediz., Lipsia. 1923. II. p. 235) affermi che tale tipo di filigrana è peculiare del Quattrocento genovese, riteniamo, in base alle considerazioni che verremo traendo dall'esame del testo desìi statuti, che possa essere anticipata di un buon secolo. — 19 — secco: Io spazio dell'interlinea è di nini. 55; ogni carta contiene 36 righe di testo; sono bianche le carte 13 v., 14, 15 e 16 r. Una mano ignota lia scritto a c. 16 v., a guisa di appunto, + 1529, die 18 februarii. Livellum Christoffaro Cavallo sartori et nominibus in actis Nicolai Pallavicini de Coronato notarii6. Fino a c. 13 esiste una cartulazione, in numeri arabici, di mano moderna. Il tutto è completato da una carta bianca, di guardia anteriore, la cui filigrana corrisponde al n. 3263 del Briquet, e da due carte posteriori, grossolane e non filigranate, contenenti annotazioni contabili di nessun interesse. Il manoscritto è stato rilegato in epoca moderna, probabilmente nel 600. con cartone spesso e grossolano, comune ad altre rilegature dello stesso archivio. La prima pagina di copertina reca diverse iscrizioni che riportiamo perchè utili per la storia della tradizione del manoscritto: le più antiche, secentesche, sono RI Statuta antiqua Rev.mi Capituli per archiepiscopum Bernardum a Parma, capellanum pape Innocenti (sic) V, creatum ab eodem lnuocenti o e la data 1278; più in basso, sempre di mano secentesca è ripetuto Statuta antiquissima con la sigla P.; da mano recente è stato applicato un n. 1, in alto a sinistra, e n. 30 poi cancellato, a piè di pagina, oltre a 1201, 30 maggio vedi foglio XIII. In terza pagina di copertina v e 1 annotazione più importante per la tradizione del manoscritto: que ab innumerabili tempore deperdita, opera Marci Antonii Marana canonici capitulo restituta sunt 1674, die... aprilis. Sombra utile dare anche questa indicazione che permette di fare utili raffronti con testi o scritture analoghe: cfr. D. Puncuh, Frammenti di codici danteschi liguri, in Miscellanea storica ligure II, Milano, 1961, p. 118. 6 Purtroppo non ci è stato possibile andare oltre tale annotazione perchè gli atti del notaio Nicolò Pallavicini, conservati nell’Archivio di Stato di Genova, appartengono ad una sala (la settima) attualmente in fase di riordinamento, E’ possibile, pertanto, che tale annotazione si riferisca a un livello concesso dal Capitolo, e in tal caso il nostro manoscritto sarebbe stato nell’Archivio Capitolare alla data dell annotazione o pochi anni appresso; e altrettanto possibile, però, che il livello non abbia niente a che fare col Capitolo, e in tale caso il manoscritto sarebbe stato in altre mani. Delle due possibilità, ci sembra che la prima aderisca meglio a quanto si trova nei manoscritti del Capitolo, che frequentemente contengono annotazioni varie, non pertinenti strettamente alla natura degli argomenti conte, nutivi. Il Marana è un personaggio che si incontra spesso nello studio dei documenti capitolari del tempo: egli consultò sistematicamente le carte dell archivio di San Lorenzo alle quali dette, probabilmente, un primo ordinamento7. Sua è sicuramente l’annotazione ìelativa a Bernardo da Parma; sue sono tutte le annotazioni secentesche di copertina. Noi non conosciamo le vicende del manoscritto, che non appare mai citato esplicitamente negli statuti posteriori al nostro8; sappiamo, comunque, che il Marana ritrovò e restituì alla sua sede il manoscritto che egli cita nel Notulario con la sigla RI9. La sigla P /, invece, starebbe ad indicare il definitivo ordinamento, attuato dal Marana stesso 10: la sigla P indicava la serie dei documenti sta-lutan capitolari, il numero il posto che spettava al documento in questione nell àmbito della serie. II nostro manoscritto era pertanto, nel secolo XVII, e lo è tuttora, il testo più antico degli statuti capitolari. Tale ordinamento è rimasto in vigore fino al 1817 u. 7 D. Puncuh. Frammenti cit.. p. 117. 8 A c. 27 v. degli statuti, posteriori al 1510. n. 3 della cartella 399 dello Archivio Capitolare, si fa riferimento alle feste liturgiche, di cui al cap. 3 del nostro statuto, in cui il preposto di San Lorenzo officiava all'altar maggiore. Il documento è tratto de libro antiquo privilegiorum et statutorum Capituli Ianuensis. laie documento è riprodotto anche nei codici PA e PB (D. PUIVCUIT. Liber cit., doc. 175). comprendenti numerosi frammenti di carattere statutario; riteniamo quindi che la fonte dello statuto cinquecentesco vada ricercata piuttosto nei codici PA e PB che nel nostro statuto. n A. Marana cit., all’anno 1278. 10 Allo stesso anno 1278 il Marana cita anche come P9 lo statuto già citato del secolo XVI: e con sigla P. seguita da un numero, sono segnati altri statuti capitolari. Le sigle sono sempre scritte dalla stessa mano e con lo stesso inchiostro, probabilmente di mano del Marana stesso. Ci sembra allora di poter affermare che il nostro manoscritto fu segnalo RI in un primo momento, e che siano comparse le relative annotazioni nel Notulario; procedendo il riordinamento dell*Archivio, il Marana avrebbe preferito la sigla P per gli statuti e con tale segnatura li avrebbe citati nel manoscritto che andava componendo man mano che trovava i documenti. II Notulario, infatti, conserva qualcosa di diaristico; ha cioè il sapore di un testo venuto fuori quasi spontaneamente, senza un piano predeterminalo e regolare. 11 Cfr. la pandetta del 1817, opera di T. Negrotto. in Archivio Capitolare ni San Lorenzo, cartella 381, 19. — 21 — Le annotazioni numeriche posteriori si riferiscono all ordinamento generale che si fece di tutto il materiale archivistico dopo il 1817. Dell’ordinamento di quell'anno si conservò solo quanto si riferiva ai registri e ai volumi ; i documenti sciolti o i manoscritti di piccole dimensioni furono divisi per materia e posti in scatole Ad ogni documento sarebbe toccato, in sede di riordinamento, un numero di serie, sostituito, in seguito, a riordinamento ultimato, da un numero progressivo nell’àmbito della serie. Si spiegherebbero così il n. 30, a piè di pagina cancellato (presente in diversi testi di argomento statutario), e il n. 1, posto in alto a sinistra, della stessa mano del precedente; tale ordine è stato conservato dall ultimo riordinamento dell’Archivio Capitolare. L’inchiostro usato per il testo, fortemente metallico, ha oscurato le prime carte senza guastarle: in seguito, diluito, diminuisce d intensità sino a raggiungere una tonalità fortemente sbiadita. Le C5 rubriche dei capitoli, in inchiostro rosso, sono sempre inserite direttamente nel testo, quasi a voler impedire soluzioni di continuità nel corpo dello stesso. Lo scrittore degli statuti ha scritto il lesto degli stessi lasciando poco spazio per le rubriche: tale procedimento e ampiamente provato dal frequente sporgere delle stesse oltre la squadratura e dagli artifici o dai troncamenti di parola resi necessari dalla mancanza di spazio. Manca sempre la prima lettera di ogni capitolo: lo spazio bianco corrispondente era destinato al successivo completamento del testo con lettere disegnate o con piccole miniature. La scrittura usata dall’ignoto amanuense appartiene al tipo della minuscola notarile. Il tracciato chiuso e verticale, la mancanza di angolosità e la presenza, anzi, di tondeggiamenti delle curve, gli scarsi svolazzi delle aste e la mancata accentuazione dei segni abbreviativi, 1 osservanza della regola del Mayer sull’uso della t gotica e sulle opposte convessità rivelano la tendenza volutamente libraria della nostra scrittura. Pur presentando essa forme comuni alle scritture notarili genovesi dei secoli XIII-XV, il traccialo piuttosto grosso, alieno cioè da quella tendenza, tipica del Quattrocento 12 Cfr. cartella 381 cit., n. 20. — 22 — Ocnovese, ad assottigliare e allungare le aste, la avvicina piuttosto a una scrittura trecentesca. L alfabeto gotico appare pienamente formato, senza peculiarità degne di particolare rilievo; per le lettere maiuscole valgono le norme del tempo: regolate sull’uso di lettere capitali, onciali o minuscole. Tutti i caratteri esterni del manoscritto, filigrana esclusa, consentono di attribuirlo alla prima metà del secolo XIV. L’esame interno del testo non farà che confermare tale ipotesi. 2. - Occorre precisare anzitutto, prima di esaminare il testo degli statuti, che se le notizie sulla Chiesa genovese avanti il Mille sono scarse o frammentarie, ancora più fragili sono gli elementi «elativi alla storia della cattedrale e dei suoi canonici. Ancora e si dovrà riprendere l’argomento in altra sede, — non ci sembrano sufficientemente documentati date o periodo di formazione del Capitolo di San Lorenzo: che prima del Mille esistessero i canonici (o cardinales) Sancte lanuensis Ecclesie è fuor di dubbio ; meno certo appare che in essi debbano riconoscersi i canonici della chiesa dedicata al martire Lorenzo, anche se questi saranno i legittimi successori dei primi. Lo stanziamento dei canonici ad una sede come 1 attuale cattedrale appare certo solo tra il 1052 e il 1087 13; in questo periodo i canonici della Chiesa genovese cedono il posto a quelli Sancti Laurentii. Sembra probabile pertanto, anche se queste affermazioni non vogliono esprimere che una semplice ipotesi di lavoro, che in questo periodo di rilassamento della disciplina ecclesiastica e come conseguenza delle vertenze relative alla lotta delle investiture, la mensa canonicale sia venuta distaccandosi di Tatto da quella del vescovo (col quale i canonici avrebbero fatto vita in comune nei secoli precedenti) assumendo personalità e veste 13 I clerici o canonici de ordine sancte lanuensis Ecclesie compaiono per l’ultima volta in un documento del 1052: G. Rancherò, Il Duomo cit., pp. 291-297; un canonico, Ronamato, clic compare anche in un documento del 1083, assicura la continuità col Capitolo di San Lorenzo, chiaramente riconoscibile in un documento del 1087: L, T. Belgrano, Il registro della Curia Arcivescovile, in Atti della Società Ligure di Storia Patria. II, parte II, p. 308; D. Puncuh, Liber cit., doc. 6. — 23 — giuridica proprie. Le vicende del tempo non permisero ai canonici la vita regolare di una comunità religiosa: il Capitolo non potè andare esente dallo scioglimento e dalla successiva dispersione. Mentre molti canonici genovesi, pro malis et oppressionibus que sibi inferebantur, erano stati costretti a rimanere lungo tempo fuori città poiché, dai tempi del vescovo Oberto fino all’ordinazione di Airaldo, alios procubitores, alios vero barbaros, erano stati a capo della Chiesa genovese 14, andarono perduti decime e beni ecclesiastici che costituirono ricchi patrimoni per molte famiglie genovesi In tal modo cessava la vita comune, — non sappiamo con quale regola praticata, — e mutava profondamente la fisionomia della comunità religiosa. La fine del secolo XII presenta un momento di particolare interesse per la storia del Capitolo della cattedrale: la sua presenza in Terra Santa e in Sardegna 16, se ne allarga e, forse, ne disperde le 14 Si veda un documento di Innocenzo II. del 1134. relativo ad una causa tra il monastero di San Siro (antica cattedrale) c il Capitolo di San Lorenzo, A. OLIVIERI, Serie dei consoli del comune di Genova, in Atti della Società Ligure di Storia Patria. I, p. 310. Dei vescovi che precedettero Airaldo, almeno due, Oherto (1052-1078) e Corrado (1080-1087). sarebbero stati scismatici. Oberto u coinvolto nella scomunica del Concilio Lateranense del 10.6 fontro i % dell'Italia settentrionale: L. Grassi. Serie dei vescovi ed arcivesc oi i di Geni Settimana religiosa. 1871, p. 32 dell estratto. Di Corrado sono note le simp< filoimperiali, evidenti nel documento già citato del 108. ; egli stesso fu uno „ elettori dell’antipapa Clemente III nel 1080: M. G. IL, Legnili, IL p- 5~. 15 Anche di queste perdite si hanno notizie posteriori attraverso 1 opera ^d" recupero che terrà impegnato per diversi anni 1 arcivescovo Siro 11 (1130 prefazione al registro della Curia, da lui ordinalo, è assai eloquente in prop facendo essa diretti riferimenli all’accaparramento di decime e boni ecclesia che sic inique et confuse a laicis possidebantur: L. T. ReLGRANO cit., p. 16 Si vedano le donazioni di Boemondo del 1098, «li Taner< di del 1101, Bertrando di Saint Gilles del 1109: cfr. ultima ediz. in D. Puncuii, Li docc. 23, 24, 26. Tali beni erano dati in gestione a privati che potevano a oro volta investirne altre persone, purché idonee, soprattutto se trattatisi di c lie. A. Ferretto, Liber magistri Salmonis, 1222-1226, in Atti della Società Ligure Storia Patria, XXXVI, doc. 550. Per i beni sardi donati da Torchitorio di Lacom cfr. ultima ediz. in D. PUIVCUH, Liber cit., docc. 33-39, per quelli di Cornila di Arborea cfr. Codice diplomatico della Repubblica di Genova, a cura di riale di Sant’Angelo, in Fonti per la storia d Itedia dell Istituto storico italiano per il Medio Evo, I, Roma, 1936, doc. 58. — 24 — energie, favorisce d’altra parte la costituzione di quel patrimonio necessario alla ripresa della vita comunitaria. In realtà, la potenza di un organismo ecclesiastico doveva fondarsi prevalentemente nell’àmbito diocesano o, meglio ancora, cittadino: come unica pieve cittadina, e non tutte le chiese erano disposte a riconoscere tale unicità }7, San Lorenzo doveva trarre i mezzi di sostentamento dalle rendite della chiesa stessa o dalle oblazioni dei fedeli. Solo attraverso il recupero dei beni ecclesiastici locali, alcuni dei quali secolarizzati, era possibile riprendere quel ruolo e quel prestigio che un tempo erano stati di San Siro. E’ questo il compito di un grande presule, del vescovo, — arcivescovo dal 1133, — Siro II che iniziò il recupero del patrimonio della Chiesa genovese e nello stesso tempo, beneficando largamente il Capitolo della cattedrale, ne riconobbe esplicitamente la preminente dignità. Ex presulatus nostri officio, nobis auctore Deo iniuncto. — si noti la solennità del testo, consueta nei documenti di Siro. — decet nos providere ut ecclesia lanuensis. aliarum mater ecclesiarum, e sia arricchita di beni ed onori perchè il suo clero sia aumentato e possa, libero da molestie di qualsiasi natura, soddisfare pienamente ai suoi doveri18; seguono quindi larghe donazioni di decime che fanno del Capitolo di San Lorenzo l’organismo ecclesiastico più ricco della diocesi. Le preoccupazioni dell’arcivescovo sono duplici: aumentare, da una parte, il numero dei canonici per soddisfare le numerose necessità della chiesa, dall'altra dotare la stessa di tali beni da renderne i membri indipendenti dai patrimoni familiari. Siro tende, cioè, a riportare nelle mura del chiostro i canonici assorbiti, in gran parte, dalle numerose chiese che officiavano o dalle cure familiari e politiche. Il deprecabile sistema dell' amministrazione di più chiese, sul quale tornò nel 1178 1 arcivescovo Ugo della \ olta 39. è certamente imputabile alla decadenza del patrimonio ecclesiastico 17 Prima fra tulle l'antica cattedrale di San Siro con la quale rimase pendente (ino al 1131 una questione relativa a decime, risolta per l'intervento di Innocenzo II: A. Olivieri. Serie dei consoli cit.. pp. 309-312. 18 22 novembre 1115: D. Puncuii, Liber cit., doc. 13; cfr. anche i docc. 12, 14. 49. 19 1). Puncuii, Liber cit., doc. 17. — 25 — e al disordine del periodo gregoriano. Il rimedio poteva essere imo solo: vietare, come fece del resto Ugo nel 1178, il possesso di più chiese. Siro però sapeva bene che non era possibile ricondurre sic et simpliciter il suo clero all’antica disciplina. Animo più duttile del suo successore, — anch’egli del resto fine politico, — conscio soprattutto che non si poteva operare una drastica riforma senza prepararne le basi, quelle economiche in primo luogo, egli lascia nel registro della curia arcivescovile il segno duraturo della sua opera, fortemente pervasa di uno spirito profondamente ed intimamente religioso. Più facile sarà il cammino del suo successore che potrà imporre la sua volontà riformatrice: con la presenza di Ugo, già arcidiacono della cattedrale, il Capitolo trova stabilità: sono di questo periodo le prime tracce degli statuti capitolari. Il documento del 1178 è il primo, allo stato attuale delle ricerche, che ci rimanga sugli antichi ordinamenti del Capitolo. Anche Ugo, buon allievo di Siro, desiderando provvedere alla pace e alla quiete delle sue chiese e, soprattutto, all’onore della chiesa matrice, alla quale sono riservate le maggiori cure in virtù dei privilegi di cui è rivestita- riprende i disegni del suo predecessore portandoli a termine. Finita l’opera di ricostruzione, egli stima necessario porre su solide basi la struttura del corpo canonicale. « Non si accettino dunque nuovi canonici finche gli attuali non siano ridotti a diciotto » con proibizione di aumentarne il numero nisi evidens causa subesset et hoc communi concordia et electione fratrum ~°. La decisione più grave, tuttavia, alla quale è dovuta, probabilmente, la istituzione dei cappellani21, riguardava il possesso di più chiese. Era questa la chiave di tutto il sistema di riforma, 1 obiettivo del* 20 E* questo uno dei casi in cui sembra richiedersi 1 unanimità dei canonici; nelle altre questioni di normale amministrazione era richiesta la maggioranza. Lo statuto de numero canonicorum fu confermato nel 1184 da Lucio III e riconfermato. nel 1193, da Celestino III, nisi forte in tantum augeri contigerit ecclesie facultates ut merito possit et debeat etium canonicorum numerus augmentari: D. Puncuh, Liber cit., docc. 119, 122. 21 Un documenlo di Gregorio IX. del 1233, c informa che due prebende erano stale destinate al mantenimento di sei mansionari o cappellani deputati al funzionamento della cattedrale in assenza dei canonici: F. Uchelli, Italia sacra. II ediz., Venezia, 1717. IV, col. 885; L. Auvray, Les registres de Gregoire IX, Parigi, 1890-1910, n. 1249. Topera di Siro: i canonici avrebbero dovuto occuparsi di una sola chiesa, la cattedrale, per potersi dedicare esclusivamente ai suoi uffici 2. Non si potevano tollerare gli officio mutilata, che, a causa delle loro assenze, sorgessero scandali, aumentassero i motivi di mormorazione; considerato, soprattutto, che le chiese della diocesi vivevano piuttosto delle elemosine dei fedeli che dei loro propri redditi, visto lo stato della chiesa presso Dio e considerati i danni spirituali causati agli uomini, si passa all'ordine nuovo cui si aggiunge, — e sembra una decisione personale dell’arcivescovo, — che nessuno dei canonici può assentarsi dalla chiesa senza licenza del Capitolo. Da quest’ultima disposizione deriva sicuramente lo statuto de absentiis canonicorum con la relativa ordinatio... puniendi canonice fratrem suum qui se in utilitatibus ecclesie pertractandis a communitate capituli nequiter segregaverit cui si fa cenno in un documento papale del 1184 23, e che, perduto, si ricava parzialmente dagli statuti pervenutici24. Due sono ancora le preoccupazioni di Ugo: garantire le esigenze del ministero sacerdotale in tutte le sue funzioni, dalla partecipazione collegiale alla officiatura in cattedrale, al ministero pastorale vero e proprio ; garantire ai canonici, cui certamente non bastavano le rendite acquisite negli anni precedenti, i proventi delle elemosine che affluivano in gran copia solo in una chiesa bene officiala 25. 22 A proposito di questo documento si rileva che niente permette di dubitare della sua data; tuttavia, la proibizione del cumulo delle prebende, consacrata dal canone XIII del III Concilio Lateranense del 1179. svoltosi nel marzo, mentre il documento in questione è del giugno, fa sospettare che esso possa essere posteriore di un anno o che, comunque, il Capitolo si sia allineato in precedenza a quanto sarebbe stato discusso in concilio: C. J. v. HefeleTI. Leclerc.q, Histoire (les Conciles, Parigi, 1907-21, V, p. 1098. 23 D. Puncuii, Liber cit., doc. 119. 24 Cap. 3. 25 Su questa seconda preoccupazione potrebbero aver influito ragioni più serie, collegate direttamente al problema comunitario. Il sistema della prebenda, favorito particolarmente dall'economia agraria, poteva aver allontanato i canonici dal chiostro verso le loro terre; l'aumentata circolazione monetaria nelle città del tempo avrebbe favorito di nuovo la pratica della vita comune svincolando i canonici dalla servitù della terra: cfr. G. Duby, Les chanoines réguliers et la vie économique des XI et XII siècles, in La vita comune del clero nei secoli XI e XII, Milano, 1962, I, pp. 72-81. — 27 — Non si può dire die alle decisioni di Ugo sia seguita la pratica attuazione delle stesse26: la frequente ripetizione di documenti relativi alle assenze dei canonici, al numero degli stessi e la secolare questione dei cappellani dimostrano fino a qual punto fossero diffìcili i tentativi per ricondurre alle strutture ecclesiastiche tradizionali un mondo sfuggente, scarsamente riducibile a forme che i templi tende- • • 27 'ano a superare in una nuova prospettiva religiosa e storica “ . Con la riduzione a diciotto del numero dei benefici canonicali si precludeva, almeno in teoria, la via al cumulo delle prebende; 1 aumento delle stesse, con conseguente contrazione delle entrate dei singoli beneficiati, avrebbe spinto i canonici a ricercare fuori della cattedrale quelle rendite che la loro dignità e il lustro delle loro famiglie imponevano. E fin qui il risultato doveva essere, almeno negli intendimenti delFarcivescovo, spirituale e religioso: esso, però, diventava anche un’arma con la quale il Capitolo difese la struttura chiusa ed oligarchica del suo ordinamento, anche contro gli interventi della Sede Apostolica. E per rafforzare meglio la loro posizione i canonici, il 15 dicembre 1222. considerati anche gli Mandali e gli odii che potevano derivare dalla promessa di prebende non vacanti ~8, chiudono la porla anche all’eventualità, prevista nel 111 8. di deroga allo statuto, impegnandosi, sotto giuramento, a non accttare, per veni anni, alcun canonico olire i 18 previsti, salva auctoritate domini pape29. Il fatto, però, che di quell’autorità non si sia tenuto gran conto Non pare infatti che i canonici si siano preoccupati, negli anni seguenti, di osservare le prescrizioni di Ugo; favoriti dalla larghezza di concessioni di benefici ecclesiastici, tipica ddl'età di Gregorio IX e di Innocenzo IV, essi erano titolari contemporaneamente di diversi benefici; nel 1226. per esempio, il canonico Dondedco è anche canonico di Bergamo e rettore della chiesa di S. Antonino (li Casamavari: A. Ferretto, Liber magistri Salmonis cit., docc. 1 '187-88. Si vedano su questi problemi le suggestive pagine di C. Violante, I ro-spettile e ipotesi ili lavoro, in La vita comune cit., I, pp. 1-15. Evidentemente non bastavano le disposizioni del canone Vili del III Concilio lateranense del 1179 (Hefele-Leclercq, Histoire cit., V, p. 1094) a impedire le promesse di benefici non ancora vacanti con conseguenze facilmente intuibili. A. Ferretto, Liber magistri Salmonis cit., doc. 667. negli anni seguenti starebbe a dimostrare che il decreto era rivolto, forse, proprio contro di essa che, nel secolo XIII, avocava troppo spesso a sè la collazione dei benefici vacanti o distribuiva benefici a piene mani, non sempre per motivi religiosi. E prova ne sia, almeno nel nostro caso, il rifiuto opposto dal Capitolo, nel 1229 e nel 1232, alTammissione di Giacomo Cigala, fratello del trovatore Lanfranco, e di Ugo da Pontremoli, rettore della chiesa di San Giorgio di Genova, entrambi presentati dal pontefice Gregorio IX 30. Dello stesso Gregorio IX è il documento 31 che c'informa che nel 1233 i benefici canonicali in San Lorenzo erano ormai ridotti a sedici, due dei quali erano assegnati al sostentamento dei eap- 30 A. Ferretto. Carteggio inedito del pontefice Gregorio IX coi Genovesi, 1227-1235. in Giornale storico e letterario della Liguria. IX. 1908. docc. \ II e XIX. Che la richiesta di ammissione per Giacomo Cigala avesse un valore politico si ricava palesemente dalla lettera del papa: cfr. anche A. M. Boldorini, Per la biografia del trovatore Lanfranco Cigala. in Miscellanea di storia ligure in onore di Giorgio Falco, Milano, 1962. p. 177. Riteniamo che alle ragioni statutarie del rifiuto non fossero estranee anche ragioni di natura politica: un Cigala in Capitolo avrebbe rotto l'equilibrio politico dello stesso? Nè si deve dimenticare che il preposto del tempo, Rubaldo Fieschi, fratello del cardinale Sinibaldo, apparteneva a famiglia che in quel tempo faceva opera di mediazione tra Papato e Impero. Sintomatico ci sembra, infatti, che Giacomo Cigala sia entrato in Capitolo solo verso il 1241 quando Genova era apertamente schierata in campo papale. Non mancano, tuttavia, altri esempi di rifiuto del Capitolo anche nei confronti di Innocenzo IV che nel 1254 ordina perentoriamente di concedere un beneficio canonicale a Giovannino de C.ruce, nonostante tutte le consuetudini della chiesa genovese: F. Guerello, Lettere di Innocenzo IV dai cartolari notarili genovesi. in Miscellanea historiae pontificiae. XXIII. Roma. 1961, doc. 102. La mancata presenza dello stesso, non ancora chierico nel 1254, nei documenti posteriori induce a credere che anche questa richiesta, pur venendo dal pontefice genovese, sia andata delusa. In altro caso la volontà dello stesso pontefice era stata rispettata. Il 26 ottobre 1250 Innocenzo IV aveva ordinato di concedere un beneficio in cattedrale a Nicolò Lercari, canonico di Reims: F. Guerello. Lettere cit., doc. 58; la presenza di un Nicolaus diaconus negli anni seguenti (D. Puncuh, Liber cit., docc. 3, 4) farebbe ritenere, anche se l'identificazione è dubbia, che la richiesta sia stata accolta: ma quanto per far piacere al pontefice o non piuttosto perchè il predetto Nicolò era nipote di Nicolò Lercari, vescovo di Tiro e già magiscola della cattedrale genovese? Cfr. A. Ferretto, / genovesi in oriente nel carteggio di Innocenzo IV, in Giornale storico e letterario della Liguria, I, 1900, p. 362. 31 Cfr. nota 21. — 29 — pellani. Si giunge così al cap. 48 dei nostri statuti che, nel 1244, accertati in 15 i canonicati esistenti, li divide in quattro presbiterali. quattro diaconali e altrettanti suddiaconali, oltre le dignità maggiori del preposto, delFarcidiacono e del magiscola 32. 3. - Da quanto si è detto in precedenza, appare evidente 1 esistenza di norme statutarie in alto già nel secolo XII ; tuttavia, 1 impressione generale che si ricava dai documenti di carattere statutario fin qui citati è la mancanza di sistematicità e di organicità. Gli stessi statuti che pubblichiamo, il cui ordinamento appartiene alla seconda metà del secolo XIII, non hanno ancora assunto quella formulazione giuridica che sarà propria degli statuti posteriori. La abbondanza dei riferimenti alle consuetudines, l'alternarsi di capitoli già elaborati a disposizioni, che conservano ancora la struttura di una deliberazione capitolare, fanno fede che essi riflettono un processo di evoluzione ancora in corso. I nostri statuti dovevano dividersi, nelle intenzioni degli oidi natori, in tre parti, riguardanti, rispettivamente la chiesa, il chiostro, gli uffici dei canonici e le prebende33. Sono pertanto da riferii si alla prima parte i capp. 1-4, 6-9; alla seconda parte i capp. 10-15 , 46, 49; alla terza parte i capp. 5 35, 16-45 36, 47, 48, 50 ; alla stessa terza parte sarebbero riferibili anche i capp. 51 e 52 che ci illuminano su specifiche mansioni del sacrista e dei custodi. Giunti a questo punto, resta il problema della datazione dei 32 In caso di vacanza di un beneficio, esso veniva assegnato solo a un religioso appartenente allo stesso ordine di ehi lasciava il beneficio stesso: e (io per rispettare il numero dei preti, diaconi e suddiaconi previsto dallo statuto. Tale ordine di cose fu modificato nel 1249 con l’aumento a sei del numero dei preti, poiché quattro preti non bastavano ad sacerdotale benefactum officium exequendum : F. Guerello, Lettere cit., doc. 43. 33 Tradizione che si riflette anche negli statuti posteriori: cfr. gli statuti del 1490 in Archivio Capitolare di San Lorenzo, cartella 399, n. 5. 34 I capp. 13 e 15 sarebbero riferibili anche alla terza parte. 3d II cap. 5 si riferisce più giustamente alla terza parte, alla quale appartengono anche certe disposizioni del cap. 3 relative alle funzioni del preposto. 30 II cap. 35 si riferisce anche alla seconda parte. nostri statuti ; dei 55 capitoli di cui sono composti, risultano sicuramente datati i seguenti: 54, 55 del 1201; 48 del 1244; 3, 4 del 1278; 37, 41, 42 del 1284; 43-47 del 1294; 19, 53 del 1300; 52 del 1303. Resta un gruppo, piuttosto numeroso, di capitoli non datati 37, le cui origini vanno ricercate nella storia della struttura del Capitolo stesso, ma la cui stesura definitiva rivelerebbe, a nostro avviso, un unico processo di sistemazione culminante negli anni intorno al 1278, quando, auspici il preposto Stefano da Voltaggio e l’arcivescovo Bernardo degli Arimondi, più intensa dovette essere l’attività normativa dei canonici 38. Naturalmente la sostanza di queste norme ha origini più lontane: per non parlare del cap. 18 che risale, sicuramente, a tempi antichissimi, — normale essendo l’obbligo del giuramento delle consuetudini per il nuovo canonico. — osserviamo che quasi tutte queste norme ci riconducono a un periodo circoscrivibile al primo quarantennio (forse addirittura al secondo ventennio) del secolo XIII. Se pensiamo, allora, che in tale periodo maturano situazioni particolari, dal conflitto tra podestà e arcivescovo 39 alla grande lotta tra Papato e Impero, non possiamo non cogliere il nesso che lega questi eventi generali a quelli specifici della cattedrale di Genova. Non ci sembra allora di peccare di fantasia se riteniamo che le origini del cap. 6 dei nostri statuti vadano ricercate nel 1222 quando. 37 Capp. 1, 2, 5-36 (19 escluso). 38 Si pensi, per fare un esempio, alla frequenza con la quale si insiste sui poteri del maior de capitulo, in assenza delle dignità, con un formulario pressoché identico: cfr. capp. 5, 6, 7, 8, 9, 10, 12, 18. 39 A. Giustiniani, Castigatissimi Annali, Genova. 1537, ce. LXXIII r, e v G. B. Semema, Secoli cristiani della Liguria, Torino, 1843, I, p. 84; L. T. Bel-grano, Il registro cit.. I. pp. 496-97; A. Ferretto, Liber magistri Salmonis cit.. docc. 5, 44, 367, 368, 371, 417, 433, 434, 472, 473, 488. per la crisi dei rapporti tra il podestà e l'arcivescovo, con la citta sotto interdetto, col Capitolo di San Lorenzo diviso nei due partiti contrapposti, del preposto, — con 1 arcivescovo, e dell arcidia cono, favorevole al compromesso, ordini su ordini si susseguivano da una parte all'altra senza alcuna rispondenza da parte di chi doveva eseguire. Aggiungiamo ancora che sulla scia dei custodi del cantiniere, le cui prime notizie risalgono alla fine del secolo XII40, s'introducono nella gerarchia ecclesiastica di San Lorenzo i cappellani o mansionari, cui spettava, evidentemente, di sostitu i canonici, impediti dalle troppe mansioni di carattere politic distratti, nel pieno della lotta tra Papato e Impero, da cure P rispondenti ai loro interessi immediati. Si spiega così 1 origine ^ ^ cappellani, e proprio in questi anni tormentati, e la severit cap. 5. giustificabile in un clima di eccezione . Degli stessi anni è il passaggio ai cappellani dell import sima carica di sacrestano, che automaticamente conferiva un p ^ zione di primo piano al cappellano che ne era investito. Tra e il 1246. infatti, la carica passa da un canonico a un bene minore42. Nel 1201 (cap. 55) il sacrestano era ancora un canonico. fratres erano i confratelli, ai quali egli doveva rendere rac 40 Le prime notizie dei custodi risalgono al 118.): D.. 1 < um ^ & doc. 19; quelle sul cantiniere al 1201: M. W. Hall-Cole-H. G KrUEG ^ ^ Reinert-R. L. Reynolds, Giovanni di Guiberto, Gcno\a, 1939, oc. 11 e 25 pertanto sarebbero attribuibili ai primi anni del seco o 5 * sj 41 Ammesso anebe che i cappellani siano anteriori al 1 !iani isti-curamente posteriore, facendo esso riferimento alla prebenda i ei PP tuita in questo anno. La severità del capitolo sarà temperata so air„;ore dopo (cap. 42), verso la fine del secolo, quando la situazione con- n ^ ^ ^ larghezza, soprattutto in rapporto all’istituzione dei turni settima > | cornuni nonici e alla separazione delle funzioni dei mansionari da que cappellani (cap. 4). 42 Nel 1227 la carica di sacrestano è ancora affidata a un canonico, loto diacono: D. Puncuii, Liber cit., doc. 166; fino a tale data lo spog documenti ci consente di affermare che la carica era di pertinenza ( e Dal 1246 essa appare in mano a un cappellano, Guglielmo, che, anc e ^ esplicitamente nominato come tale, è sicuramente un beneficiato minore, testimone in un atto di interesse capitolare, nel quale, per di più, appaiono merosi canonici come parte in causa: D. PUNCUH, Liber cit., doc. 128. — 32 — suo operato due o tre volte l'anno. Nei capitoli posteriori, in particolare nel cap. 24, i canonici non sono più fratres; il sacrestano deve rendere i conti mensilmente, mentre le sue mansioni, di carattere inferiore, lo indicano chiaramente come cappellano. Sarebbero così riconducibili a tale periodo (1233-46) tutti i capitoli che direttamente o indirettamente si riferiscono ai cappellani e cioè, oltre a quelli citati, i capp. 1 e 2 (per analogia col precedente), 8 43, 9, 10. 11, 24 44. Per il cap. 7, relativo ai penitenzieri, ci si richiama, ovviamente, alle disposizioni del IV concilio lateranense 45, anche se di essi abbiamo tracce, in San Lorenzo, solo nella seconda metà del secolo XIII46. I restanti capitoli non datati si riferiscono, in genere, alla vita comune e ai redditi dei canonici, — prebende e distribuzioni, — e sono attribuibili al periodo 1233-1284 47. Il cap. 20, infatti, (al quale è sicuramente collegato il 21) si aggancia al documento già citato del 1233 che rappresenta la prima notizia certa sulla riduzione delle prebende. Tale riduzione potrebbe essere conseguenza di cattiva amministrazione del beneficio canonicale o di usurpazioni laicali: in tale caso diventerebbe logica la disposizione del cap. 23, che vieta ai laici l'amministrazione delle prebende, o quella del cap. 30, che proibisce al canonico, privandolo della capacità giuridica. di sottoscrivere privilegi o documenti, di qualsiasi natura, senza l'espressa licenza del Capitolo. E ancora, a questi anni sono da attribuire i capitoli relativi a pietanze, distribuzioni, candele etc. e, come conseguenza della complessità della gestione finanziaria, i capitoli relativi al massaro. Tale carica, che attribuisce, an- 43 II cap. 8 è sicuramente posteriore al 1204, data di inizio dei lavori di costruzione della nuova sacrestia e, quindi, della porta detta di San Nicolò: D. Puncuh, Liber cit., docc. 21-22. 44 E’ da notare che tutte le Funzioni del sacrestano di cui ai capp. 8. 10 e 24 non sono nominate nel cap. 55 del 1201. 45 IIefele-Leclercq, Histoire cit., V, p. 1349. 46 D. Puncuh, Liber cit., doc. 148. 47 II 1233 si riferisce al già citato documento relativo all'istituzione dei cappellani; il 1284 (capp. 37-41) rappresenta in diversi casi un superamento delle posizioni precedenti. cora oggi, numerosi poteri a chi ne è investito, appare solo in questi anni, mentre solo dal secolo seguente inizierà la serie dei registri 7 “ di masseria 48. A una redazione più antica appartiene il cap. 17 mentre il 31, che concede un rendiconto mensile, contro i due o tre annui previsti nel capitolo precedente, riflette un maggiore ordine ed è riconducibile piuttosto alla seconda metà del secolo XIII; il premio di presenza ai canonici partecipanti al rendiconto indica una consuetudine più rigorosa nella trattazione degli affari comuni, accertabile, del resto, attraverso i registri già citati a partire dal 1316. L'istituzione del massaro sarebbe quindi databile anch essa al primo quarantennio del secolo XIII: ad essa non sono estranee la complessità della gestione finanziaria e l'origine delle distribuzioni. Il sistema delle distribuzioni quotidiane non risale a un unico periodo: esso viene diffondendosi gradualmente a seconda delle disponibilità della mensa capitolare ed è motivato dal sempre più frequente abbandono della vita comune e dalla necessità di richiamare i canonici, almeno nelle festività maggiori, al culto divino in cattedrale. Si inizierebbe così con la distribuzione della pietanza e della frutta nelle maggiori solennità (capp. 14 e 16), cui, man mano, si aggiungerebbero altre forme di compensi: denari a Natale e in occasione della trattazione di affari comuni, come percentuale sugli utili, sale per le carni (cap. 26, modificato, successivamente, dal 34), pepe (cap. 27), candele in alcune cerimonie o festività particolari (cap. 28, modificato, in seguito, dal 32), fino ai capp. 42-46, del 1295, che rendono quotidiane le distribuzioni, salvi gli aumenti nelle festività maggiori (cap. 50). Quest’ultimo capitolo, già attribuito dal Cambiaso agli anni 1278-1303 49, apparterrebbe invece, almeno nella stesura in cui ci è pervenuto, ad una tradizione più recente, sia pur di poco. La data è ricavabile per la presenza di tre festività e per l’assenza di una. 48 Archivio Capitolare di San Lorenzo, Libri di masseria, nn. 1-259; su questi manoscritti cfr. D. Puncuii, VArchivio cit.. p. 18. 49 D. Cambiaso, L'anno ecclesiastico e le feste dei santi in Genova nel loro svolgimento storico, in Atti della Società Ligure di Storia Patria, XLVIII, 1917, p. 443. — 34 — La festa di sant Adriano presenta un’origine più recento nella liturgia genovese, non comparendo nei più antichi documenti liturgici. Essa fu introdotta in Genova da Ottobono Fieschi, cardinale del tilolo di sant Adriano, e poi papa Adriano V. al quale si deve pure un cospicuo legato in favore dei canonici della cattedrale e la fondazione in essa dell’altare del santo 50. La presenza della festa di San Nicolò, invece, pur antichissima anche nella liturgia genovese, ci richiama alla mente, almeno per quanto si riferisce alle distribuzioni, l’arcivescovo Bernardo da Parma (1276-1287) che. ob reverentiam Sancti Nicolai, lascia un legato ai canonici di San Lorenzo . L fin qui saremmo nei limiti cronologici fissati dal Cambiaso, se essi non venissero spostati dalla presenza della festa di San Giacomo. Posta come ultima del capitolo in questione, tale festività sembrerebbe indicare quella di Giacomo il Maggiore, che si celebrava nell antichità assieme a quella del fratello Giovanni il 27 dicembre, se ne trovassimo traccia nei registri del massaro ; solo alla vigilia del 24 luglio il registro del massaro del 1316 riporta una distribuzione di 7 denari 52. troppo pochi per poter essere riferiti al capitolo degli statuti. La distribuzione sembra piuttosto attribuibile alla festa del primo maggio e, soprattutto, alla costruzione delimitare del santo del 13 1 7 53. Puntualmente, infatti, i registri di masseria posteriori al 1320, — dalla serie mancano quelli relativi agli anni 1317-1319, — riferiscono al primo maggio la distribuzione di 20 soldi di genovini per ogni canonico presente 5\ Il capitolo non sarebbe quindi anteriore al 1317. La mancanza della festa del Corpus Domini ci porterebbe al termine ad quem del nostro capitolo: le distribuzioni appartenenti a tale festività hanno inizio nella cattedrale genovese solo a partire dal 1327, e i registri di masseria ne sono la conferma più autore- 50 D. Cambiaso cit., pp. 227-228. 51 D. Cambiaso cit.. pp. 273-274. 52 D. Cambiaso cit., p. 416. 53 D. Cambiaso cit., pp. 147-149. 54 Archivio Capitolare di San Lorenzo, Libro del massaro del 1320. n. 2. c. 46 r. vole55. Il capitolo rappresenterebbe quindi il punto di arrivo di tutta la situazione economica anteriore al 1317-27: assistiamo allora, attraverso i vari capitoli degli statuti fin qui citati, ad una lenta stratificazione di consuetudini che si rifanno, in gran parte, a lasciti di privati o di confratelli. Istituite come compensi inerenti alle funzioni capitolari, le distribuzioni non spettavano agli assenti se non in caso di malattia (cap. 33) o di assenza per missione (capp. 3 e 35 ) e in quei particolari casi in cui il denaro rappresentava, più che il premio di presenza, il frutto di particolari operazioni derivanti dal patrimonio comune (cap. 27). Altri capitoli, probabilmente anteriori al 1278. non sono facilmente databili ; non pensiamo, tuttavia, che essi possano spostare di molto le date di cui si è parlato. Non sembra probabile che i capp. 12 e 13, che trattano del refettorio, possano risalire a tempi molto antichi; essi, anzi, tradiscono una organizzazione claustrale più complessa ove. accanto al cantiniere, già ricordato, compare altro personale, — familiari, servi, cuoco etc., — testimone, con la sua presenza, di una situazione economica florida e tale da giustificare anche il cap. 22, relativo all’offerta che il nuovo canonico era tenuto a fare. Più antiche, almeno come tradizione se non come regolamentazione statutaria, dovrebbero essere le disposizioni dei capp- 15 e 36 sui quali non abbiamo elementi sufficienti ad azzardare una datazione: esse comunque sono da ricercarsi negli anni della fondazione del chiostro, all inizio del secolo XII o, forse, alla fine del secolo XI. Resterebbe, di questo gruppo di disposizioni, quanto si riferisce alla celebrazione del Giovedì Santo (cap. 29), ove l’accenno al denaro, che veniva distribuito ai poveri partecipanti alla lavanda dei piedi, farebbe attribuire il capitolo alla seconda metà del secolo XIII, trovandosene esplicite prove nei registri del massaro del secolo XIV 56. Tutta la disciplina del Capitolo trova la sua logica conclusione nelle disposizioni del 1278 (capp. 3 e 4), che ci illustrano 5j D- Cambiaso cit., p. 63 e Libro del massaro del 1327, in Archivio Capitolare di San Lorenzo, n. 5, c. 46 r. 56 D. Cambiaso cit., p. 445. — 36 — meglio di altre l’abbandono della vita comune, la necessità dei turni in cattedrale e il bisogno di nuovo personale, in grado di supplire ai difetti e alle mancanze dei canonici. L attività normativa dei canonici di San Lorenzo correrebbe quindi tra il 1178 e il 1278 attraverso un periodo fondamentale posto tra il 1220 e il 1244 (cap. 48); essa, tuttavia, non si esaurirebbe a tale data, lasciando aperta la porta alle modifiche successive o alle integrazioni rese necessarie dal mutare dei tempi e delle circostanze. Dei capitoli datati non ci occuperemo se non quel tanto che potrà essere necessario all’economia di questo lavoro. Rileviamo così che le disposizioni dei capp. 37 e 38, del 1284, rafforzerebbero quanto già detto a proposito dei capp. 23 e 30. tradendo esse una situazione critica del patrimonio prebendale e la necessità di una opera di recupero. Che si trattasse di cattiva amministrazione, come abbiamo accennato prima, pare ricavabile dal cap. 38 che vieta al canonico ogni donazione, vendita o infeudamento del suo beneficio, il taglio di alberi oltre un certo valore, o dal cap. 39 che precisa i limiti entro i quali il Capitolo dovrà rispondere giudizialmente di un beneficio canonicale. Che il Capitolo tenesse particolarmente a questo nuovo ordinamento, che parificava tutte le prebende riducendone ciascuna al valore di 50 libre di genovini, è provato dalla richiesta di giuramento e dalla solenne riaffermazione del diritto di godere i frutti della prebenda anche fuori sede, salve comunque le disposizioni relative ai turni (capp. 10 e 41). Aggiungiamo ancora che quanto affermato nel 1300 (capp. 19 e 53)57 a proposito della permuta di prebenda, starebbe a significare che, nonostante l'equiparazione del valore dei benefici, esisteva la possibilità di cambiarli, sia, riteniamo noi, per maggiore comodità di sede, sia, anche. 57 11 cap. 19 modifica un capitolo preesistente, non conservatoci, relativo alla permuta di beneficio. 11 capitolo perduto sarebbe stato nella copia di statuti dalla quale deriverebbe il nostro testo; lo scrittore del manoscritto da noi pubblicalo avrebbe sostituito col cap. 19 (die si trovava, probabilmente, in fine libri. come dice il capitolo) la disposizione cui si fa cenno, ormai priva di valore. In seguito, per rispettare l’ordine dell’originale avrebbe riprodotto al cap. 53 le stesse norme — 37 — per la diversità di valore che necessariamente doveva risultare dalla diversa amministrazione tenuta da ciascun canonico oB. Resterebbe l'ultimo capitolo 11011 datato, importante per definire i limiti cronologici del manoscritto. Lo statuto delle camere del chiostro (cap. 49) riproduce nella sostanza una tradizione già accertata in im documento della fine del secolo XIII j9; tra esso e il nostro capitolo riscontriamo una variazione nei nomi dei canonici e soprattutto, prova ulteriore della differenza di epoca, dei prezzi base delle camere che venivano messe all incanto quando si rendevano disponibili per la morte di un canonico o per la rinuncia di un beneficio. Il capitolo appartiene, perciò, sulla base di quanto già detto 60, al primo ventennio del secolo XIV ed è sicuramente posteriore al 1314. Il termine ad quem, non può essere posteriore al 1321, sia per l’inizio dell’arcivescovato di Bartolomeo da Reggio (ancora canonico nel capitolo in questione), sia sulla scorta di un calendario-obituario. attribuito dal Cambiaso al periodo 1313-21 6 . Tale manoscritto è sicuramente posteriore al capitolo degli statuti peichè dà per morto Bertolino Fieschi, ancora vivo nel 1317 6“ e presente nel capitolo statutario in questione 63. Inoltre dà per morto Giovanni 58 Negli anni seguenti diversi canonici mutarono la prebenda; il cap. .>1 ne dà un elenco, sicuramente posteriore al 1311: il capitolo, infatti, che è «erta mente posteriore al 1300 sia per la datazione del cap. 19 dal quale deriva, sia per la presenza di alcuni canonici che compaiono nei documenti solo nei primi anni del secolo XIV (Gregorio di Camilla dal 1303; Giovanni di Rolando dal 1307: Rizardo dal 1312; Lanfranchino di Camilla dal 1316: Archivio CAPITOLARE ni San Lorenzo, ms. AB. n. 310. cc. 19 59 r., 86 r„ 96-98), nominando l'arcidiacono e, a parte, Giovanni di Bagnara (arcidiacono dal 1286-88 al 1314: ms. AB cit.. cc. 91-94; 203 v. e 252 r.) si rivela posteriore aH’arcidiaconato di Giovanni di Bagnara, e contemporaneo a quello di Gotifredo Spinola di Luc< oli, suo immediato successore: cfr. ms. AB cit.. c. 105 r. 59 D. Puncuh, Liber cit., doc. 200. 60 Cfr. le conclusioni di nota 58 applicabili anche al capitolo in questione. 61 D. Cambiaso cit., p. X. 62 D. Cambiaso cit., p. 301 ; Archivio Capitolare di San Lorenzo, ms. A, n. 309, c. 52 v. 63 A proposito di questa datazione, tenuta per buona la data del 1321, dob- biamo rettificare al 1317 il termine u quo anche del manoscritto pubblicato dal Cambiaso. — 38 — Cardinale 64, identificabile col Cardinale di cui al cap. 49, residente al piano terra del chiostro. Di Giovanni Cardinale abbiamo notizie sicure fino al 1302 60 ; il silenzio dei documenti posteriori sarebbe giustificato dalla tarda età dello stesso, — era canonico dal 12 7 0 66, — che lo rendeva incapace di partecipare attivamente alla vita della comunità, e che lo aveva costretto, forse, a rinunciare alla camera che occupava, nel passato 67, al primo piano del chiostro. Il capitolo sarebbe da porsi quindi nel periodo 1317-1321. 4. - Posto che la formulazione giuridica dei nostri statuti sia anteriore al 1327, resta da vedere a quale periodo risalga la materiale stesura degli stessi. Che essi siano venuti formandosi nel tempo attraverso una lenta evoluzione è ampiamente dimostrato dalle diverse datazioni riscontrate nel testo e dalla dinamica interna che essi riflettono. La parte centrale, come si è visto, trovò una prima sistemazione verso il 1278; altre disposizioni vennero aggiungendosi in seguito, con una certa regolarità fino al 1295 (capp. 43-47), senza un ordine cronologico quelle di cui si tratta nei capitoli finali (capp. 48-55) 68. Questo manoscritto non sembra essere il primo testo di statuti: le numerose annotazioni vacat e non est in usu. della stessa mano che ha scritto il testo, le osservazioni che abbiamo fatto a proposito delle rubriche e quanto già detto a proposito del cap. 19 69 in- 61 I). Cambiaso cit., p. 328. 05 Ms. AB cit., cc. 222 r., 235 v. 66 Ms. A cit., c. 18 v. 67 D. Puncuii, Liber cit., doc. 200. 08 Questi capitoli potrebbero essere stati aggiunti come documentazione di alcuni capitoli precedenti o come aggiunte rintracciate attraverso un'attenta ricostruzione dei documenti del Capitolo; solo cosi si spiegherebbe il disordine cronologico degli stessi. 69 Cfr. nota 57. durrebbero a ritenere certa l’esistenza di un testo più antico7 , del quale il nostro sarebbe una copia. Per la datazione del manoscritto possiamo ricorrere solo, parzialmente ai puri criteri paleografici, perchè il tipo di scrittura usata è in vigore, a Genova, fino al secolo XV, anche se con lievi modificazioni strutturali cui abbiamo già accennato. Contro 1 attribuzione trecentesca, paleograficamente più probabile, starebbe solo la filigrana, classificata come quattrocentesca dal Briquet. L esame va quindi spostato all’interno del testo che, in verità, offre sicuri elementi per una datazione più antica. Questi spunti provengono in gran parte dai capp. 49 e 50, che non avrebbero dovuto entrare in uno statuto quattrocentesco perchè superati da nuove disposizioni. Se lo scriba avesse ritenuto riprenderli, a scopo di documentazione, sicuramente li avrebbe chiosati con la solita nota vacat, indicante i capitoli non più in vigore al momento della redazione del manoscritto. L’ignoto scrittore doveva essere un canonico, buon conoscitore, quindi, delle consuetudini ormai cadute in disuso. Lo proverebbero le annotazioni marginali e lo stesso dettato, ordinato e privo di correzioni, che escluderebbe una redazione per opera di un semplice scriba, compiuta sotto la dettatura di un canonico. Che importanza poteva avere, allora, ripio-durre il capitolo relativo alle camere del chiostro che, e lo abbiamo già visto, era già mutato nel breve spazio di un ventennio? Che valore poteva avere, nel secolo XV, il capitolo 51, che si riferiva esclusivamente a canonici viventi nel primo ventennio del secolo precedente? Ma quello che appare definitivo per una attribuzione trecentesca del manoscritto è la disciplina delle distribuzioni (cap. 50). A parte la mancanza, già segnalata in sede di datazione del capitolo, della festa del Corpus Domini, che sarebbe entrata sicuramente in una stesura posteriore al 1327, dobbiamo considerare che 1 ordinamento in questione è documentato solo fino al 1370. Dopo tale 70 II testo originario rivela, a nostro avviso, Ire diversi tempi di redazione corrispondenti al 1278, 1284, 1295; nei primi anni del secolo XIV sarebbero stati aggiunti gli altri capitoli. In tale caso, ove il nostro testo sia veramente, come vedremo, del 1317-27, esso non sarebbe molto più recente dell’originale. — 40 — data71 assistiamo ad una progressiva rivalutazione delle somme previste, che culminerà nel secolo seguente, nel 1434, nella riforma totale, del sistema 7a, confermato dagli statuti del 1490 e dei primi anni del secolo XVI nei quali, — altro fatto significativo, — non troviamo che scarsissime tracce dei nostri statuti 73. Sembra legittimo, allora, concludendo, attribuire i nostri statuti alla prima metà del secolo XIV, quasi sicuramente allo stesso periodo (1317-27) in cui vennero formandosi gli ultimi capitoli dello stesso. 71 Archivio Capitolare di San Lorenzo. Libro del massaro del 1371. n. 24, cc. 26-34. Ricordiamo ancora che nel 1364 1 arcivescovo Guido Scettem aveva modificato il sistema delle distribuzioni che. però, non sembra a\er avuto alcun seguilo: T. Necrotto cit.. doc. 82. 72 T. Necrotto cit.. doc. 84; tale riforma è sicuramente accertabile at. traverso i registri del massaro posteriori allo stesso anno: cfr. quanto si riferisce aH'argomento in D. Cambiaso cit., pp. 447*451. 73 Cfr. statuti n. 3 e 5: Archivio Capitolare di San Lorenzo, cartella 399. — 41 — STATUTA ANTIQUA REVERENDISSIMI CAPITULI [H]ec sunt capitula et statuta edita super consuetudinibus et c. 1 r. his que fiunt et convenit observare in ecclesia et claustro Sancti Laurentii per canonicos et personas ibi Domino servientes. Et primum de ecclesia et pertinentibus ad ecclesiam ; secundo de claustro et pertinentibus ad claustrum ; tertio de offitiis, prebendis et benefitiis personarum. Que capitula, semel vel bis, quando placuerit preposito et capitulo, relegantur coram canonicis qui voluerint interesse ut per notitiam melius observentur nec per ignorantiam omittantur. Ad audientiam que... 1 prepositus fatiat canonicos quam plenius poterit interesse ut memorie singulorum plenius inculcentur. Primum capitulum istud est. [U]t aliquis canonicorum vel capellanorum non maneat infra sedilia cancellorum quando celebrantur divina nisi cuin cota vel capa non manicata, quod est contra consuetudinem 2, nec clerici in-[terve]nientes1 etiam cum cotis. 2. [I]tem aliquis non legat vel cantet in gradu vel lectorio marmoreo, quod est in medio chori, nisi sit scolaus habens comam ecclesiasticam, excepto in nativitate sancti Iohannis, in festo sancti Laurentii et sancti Nicholay et lamentationibus ebdomade sancte. 3.3 Statutum canonicorum. [I]n Christi nomine amen. Nos Stephanus prepositus, L[eo-nardus] archydiaconus, Iohannes de Sancto Georgio presbiter, Petrus Blancus et Opiço Streliaporcus, dyaconi, Iohannes de Cameçana et Iohannes dictus Cardinalis, subdiaconi, canonici ecclesie Sancti Lau- 1 La carta b corrosa. 2 quod-consuetudinem : aggiunto nel margine esterno della carta con segno di richiamo. 3 Edizione in D. Puncuh, « Liber » cit., doc. 175. — 45 — rentii lanuensis, nunc residentes in ea, convocati ad capitulum ipsius more solito, intendentes et intendere volentes ipsius ecclesie servitiis et maxime ut in divinis offitiis eidem modo debito serviatur, consideratis etiam circumstantiis universis, perpendimus et cognovimus quod licet statutum olim factum in dicta ecclesia loquens de absentiis et quod incipit: « (T Item statuimus, si quis foret absens ultra mensem, silicet ultra triginta dies continuos, et fuerit in sacris ordinibus et habuerit integram prehendam, sicut supra dictum est, teneatur iuramento solvere massario illius anni pro capitulo, infra annum illius massarie, denarios quatuordecim pro quolibet die post absentiam primi mensis, et prepositus et archidiaconus et magiscola denarios sedecim pro qualibet die. Item, quod quotienscunque aliquis o. 1 r. predictorum redierit domum et in ea pernoctaverit diebus | | tribus, possit abesse per mensem sine predicta pena scilicet denariorum Xiiii. Idem dicimus de canonicis in minoribus ordinibus constitutis, quod solvant denarios Vii pro quolibet die et eodem modo, si receperint medietatem proventuum alicuius partis de quindecim ordinatis », factum fuerit ad hoc. ut predicte ecclesie melius in divinis serviretur offitiis, non tamen propter hoc bene servitur in ea nec idem statutum assecutum est illum qui sperabatur effectum. Quare, volentes statutum ipsum in melius commutare, de consensu et voluntate venerabilis patris domini B[ernardi], lanuensis archiepiscopi, suam auctoritatem et decretum interponentis, provida deliberatione statuimus et ordinamus quod de cetero tam prepositus, archidiaconus et magister scolarum quam ceteri canonici dicte ecclesie bene ac decenter in suis offitiis serviant et ordinibus dicte ecclesie in divinum. Quod ut melius fiat et profectius, statuimus quod quilibet canonicorum predicte ecclesie per suas septimanas servire teneatur in missa maioris altaris in officio ordinis sui hoc modo, videlicet primi sacerdos, diaconus et subdyaeonus in prima septimana, secundi in secunda et sic de cetero servire debeant in suis ordinibus ecclesie supradicte in divinis offitiis in missa dicti altaris, ita quod, completo huiusmodi septimanarum numero, semper revertatur a capite, ita quod per omnes septimanas semper serviatur in dicta ecclesia ut dictum est. Si quis vero canonicorum in sua septimana in suo non serviverit ordine in missa maioris altaris, ut dictum est, videlicet sacerdos in sacerdotio, dyaconus in dyaconatu et subdyaeonus in subdyaconatu, amittat et solvat pro qualibet die, pro qua non serviverit, denarios duodecim capitulo dicte ecclesie: quos denarios accipiat et accipere teneatur massarius dicte ecclesie de corpore prehende ipsius non servientis vel de distributionibus, undecunque melius eos habere poterit; et teneatur massarius facere saxiri fructus prehende illius qui solvere recusaverit vel non solverit usque ad satisfactionem condignam. Et si forte alius canonicorum supplere voluerit et supplebit huiusmodi defectum et serviet ipsi ecclesie in — 46 — dicto ordine, liabeat a dicta ecclesia denarios duodecim pro qualibet die qua serviverit, vel saltem in fine septimane. Et si forte plures concurrentes fuerint, qui dictum defectum supplere || velint, sit c. 2 r. arbitrio prepositi vel maioris de capitulo, si absens fuerit prepositus, per quem velit prepositus defectum ipsum suppleri debere4. Et si nullus fuerit qui velit vel possit loco non servientis septimanarii servire ut dictum est, sint et remaneant nichilominus huiusmodi denarii dicte ecclesie. Prepositus autem, archidiaconus et magister scolarum, qui ad fatiendas huiusmodi septimanas 5 non tenentur, si non serviverint in suis ordinibus in missa maioris altaris, videlicet prepositus in illis festivitatibus de quibus ordinatum est sive declaratum per dominum archiepiscopum cum consilio archidiaconi et domini I[ohannis] de Cameçana predictorum, sicut inferius continetur, et dictus archidiaconus in festivitatibus et diebus illis de quibus fit mentio in usu et consuetudinibus dicte ecclesie, et dictus magister scolarum in illis diebus de quibus ordinabitur, amittat quilibet ipsorum pro qualibet vice soldos duos. Ille vero canonicus, qui defectum prepositi vel archidiaconi seu magistri scolarum supplebit, habeat ah ecclesia predicta, a massario dicte ecclesie, soldos duos pro qualibet vice sicut dictum est de canonicis. Quilibet tamen, qui presens fuerit in ecclesia,'si per concanonicum suum, qui sit de numero, fecerit septimanam suam, nichil amittat de predictis pro illis diebus quibus per concanonicum servierit ut dictum est. Pre-dictos autem denarios, ut dictum est, amittant et solvant, tam in personatibus sive dignitatibus constituti, quam ceteri canonici dicte ecclesie, qui non serviverint ut dictum est, sive présentes fuerint sive absentes, nisi forte absentes fuerint, de voluntate capituli vel maioris partis, pro servitio dicte ecclesie seu in servitio fuerint domini archi-episcopi, vel nisi fuerint infirmitate corporis prepediti, vel pro medicina seu minutione vel aliquo impedimento canonico, sicut in statutis ecclesie continetur. Ordinamus insuper et statuimus quod omnes, tam in personatibus quam dignitatibus constituti, quam ceteri canonici dicte ecclesie, ubicumque sint vel de cetero fuerint absentes, habeant et percipiant, ipsi vel alius pro eis. fructus introitus et proventus terrarum, domorum et possessionum sibi assignatas et qui eis assignabuntur in prebenda pro vino et vestibus tamquam si présentes essent in dicta ecclesia ; nec pro absentiis vel earum occasione aliquid de cetero dare vel solvere teneantur dicte ecclesie vel eius massario nisi ut dictum est quando in sua septimana 1 | non servient, c. 2 v. non obstante dicto statuto de absentiis quod incipit: « Item statui- 4 Aggiunto nel margine esterno: sententiatuin est per sapientes prepositum archidyaconum et magistrum scolarum ad septimanas huiusmodi non teneri. 5 septimanas: corretto su septimanis — 47 — mus quod si quis fuerit absens et cet. », quod ex nunc, quantum ad absencias futuri temporis, volumus in aliquo non teneri servari debere et ipsum, quantum ad ipsas absentias, cassamus et irritamus. De quottidianis autem distributionibus nichil habere debeat vel percipere quicumque de predictis absens fuerit quamdiu steterit absens. Et predicta omnia ut suprascripta sunt volumus perpetuo futuris temporibus inviolabiliter observari debere, aliis statutis vel consuetudinibus contrariis non obstantibus. Ad bec nos B[ernardus], lanuensis archiepiscopus. de consilio predictorum6 archidiaconi et domini Iohannis de Cameçana, nobiscum ordinatorum ad hoc, de voluntate capituli dicte ecclesie, volentes offitium prepositi dicte ecclesie declarare sive ordinare, cum de ipso non sit ordinatum per statuta sive consuetudines dicte ecclesie7, declaramus et ordinamus quod prepositus, qui nunc est et quicumque de cetero fuerit in dicta ecclesia, sit sacerdos et habeat curam chori et illam preeminentiam dignitatis et administrationem. tam in spiritualibus quam temporalibus, quam alii predecessores sui, prepositi dicte ecclesie, olim habere consueverunt in ipsa ecclesia. Curam etiam animarum in personatibus constitutorum canonicorum, capellanorum et aliorum de choro habeat similiter prepositus dicte ecclesie. Cura vero parro-chie comittatur uni vel duobus sacerdotibus de choro per archiepi-scopum Ianuensem. qui est et pro tempore fuerit, ad presentationem prepositi et capituli dicte ecclesie donec fuerit aliter ordinatum. Item quod prepositus in his festivitatibus sive diebus celebret et celebrare teneatur missam in dicto altari maiori vel altari Beate Marie aut Sancti Iohannis in eorum festivitatibus, videlicet in Natale Domini primam missam et aliam maiorem, si dominus archiepiscopus non fuerit presens vel celebrare noluerit, Circuncisione Domini, Epyphania, Sabbato Sancto, Resurrectione Domini, Ascensione Domini, Pentecoste, Dedicatione ipsius ecclesie, festivitate Omnium Sanctorum, Assumptione et Nativitate beate Marie, Nativitate et Revelatione beati Iohannis Baptiste, festivitate sancti Syri, sancti Laurentii, sancti Nicholai et in festivitatibus sancte Crucis. Actum in camera domini archiepiscopi predicti, presentibus testibus pre-c.3r. sbytero Osprindo, ministro ecclesie de Figino, | | et Guillelmo de Berteto 8, clerico dicti domini archiepiscopi. Anno dominice nativitatis millesimo ducentesimo septuagesimo octavo, indictione quinta, 6 Segue, ripetuto: predictorum 7 Aggiunto nel margine esterno : Statutum prepositi. 8 Berteto: deve intendersi Berceto come in D. Puncuh, « Liber » cit., doc. 175. — 48 — Alicui CAtoiUtiO «viuiA/imtatc une ut Aid» capffiUm* cvifKnttilv cx cccatti.nrfi uifb st ciurmo c&uft -fucat* pîcprfgi . „ Chu ffcttumi' nue c ulfp tfic tutt.nl xv 1cntv tïôfito tumor Ac ctp& tftWAtur eve^ut c.1 guc fib/ muîctn fitttwt p cytin ttflfc xocete* A\c&. Alf&ptin tttfb ìtrdimtc ccfCmtcquali, tncc ut f V. emwnmr. uan ihtiimr1 cr jzmtrntyu-icîi qui rmcfuTni ccci uftofPZ* filCpntiolhntitiutr cc ititent! arra Cftiu ftbi ccrntfTu^£t"ftqM$*C2±Jmul fuWtvqiufttu* . dicte ecclesie. Teneantur etiam ipsi mansionarii, proprio iuramento, bene et legai iter facere officium suum. Cedente autem vel decedente 9 Aggiunto nel margine esterno. di mano quattrocentesca, anno 1278, di mano recente, 26 gennaio 10 Edizione in D. Puncuh, « Liber » cit., doc. 176. 11 Aggiunto nel margine esterno, di mano quattrocentesca, nota — 49 — 4 aliquo ipsorum mansionariorum, alius eligatur et substituatur per dictum capitulum ad benefitium illius cedentis vel decedentis; quod si forte contigerit aliquem eligi ad dictum benefitium. qui non sit in sacerdotio constitutus, teneatur proximis temporibus successive se facere promoveri ad sacerdotium et nichil interim percipiat de ipso beneficio, nisi primo fuerit in sacerdotio constitutus, supplicantes venerabili patri domino archiepiscopo Ianuensi quod predicta omnia confirmet et his omnibus suam auctoritatem prebeat et assensum. Ad que non consensit dominus Opiço de Salvaigis set contradixit.. Actum in saeristia dicte ecclesie, presentibus testibus presbytero Iohanne sacrista et presbytero Nicolao custode et Iacobo de Mane-goldo clerico. Anno dominice nativitatis millesimo ducentesimo septuagesimo octavo, indictione quinta, die vicesima octava ianuarii. Ad hec, die predicta et hora, coram dictis presbyteris 12 Iohanne et Nicolao, in camera dicti domini archiepiscopi, prefatus dominus archiepiscopus predictis omnibus suam prestitit auctoritatem et consensum. Ego Brignonus Mazullus, sacri pallatii notarius, rogatus scripsi. 5. Statutum capellanorum. [I]tem, expletis matutinis ex quo fuerit hora competens ad missas privatas cantandas, capellani seu mansionarii, qui présentes fuerint, sint parati ita ut, cum per custodes vocati fuerint ad missas privatas cantandas, intrent ecclesiam et adiuvent se ad invicem et cet. ita quod non sit necesse eos vocare secundo. Et si quis contra-fecerit, amittat vice qualibet denarios quatuor. Et si se gravem et negligentem reddiderit ut de hoc merito sit notandus, ultra dictos denarios arbitrio prepositi vel maioris de capitulo puniatur. Si forte extra claustrum ultra bis in ebdomada comederit in prandio vel in cena, amittat vice qualibet denarios sex. Et quilibet de ecclesia possit eum accusare et habeatur privatus. [I]tem, si forte aliquis eorum exibit civitatem sine licentia prepositi vel maioris de capitulo, quam-diu revertatur amittat prehendam et ea que dantur presentibus, nisi revertatur die eadem; nec prepositus vel alius maior de capitulo c. 4 r. possit dare licentiam ' ! alicui capellano exeundi civitatem, uno vel duobus ad plus capellanis existentibus extra ecclesiam, nisi iusta et evidens causa fuerit. 6. Statutum prepositi. [I]tem statuimus quod prepositus, qui nunc est vel pro tempore fuerit, vel, absente preposito, maior de capitulo, teneatur exequi ea que sibi iniuncta fuerint per capitulum usque ad octo dies. Alioquin, iusto impedimento cessante, pro qualibet vice in sol .V. condennetur- 12 Segue cassato col dito : et — 50 — 7. Statutum penitentiariorum. [IJteni statuimus quod penitentiarii, qui nunc sunt in ecclesia vel pro tempore fuerint, solliciti sint et intenti circa officium sibi commissum. Et si quis eorum semel fuerit requisitus ad dandas penitentias vel alia ecclesiastica sacramenta et non iverit, vice qualibet in sol .i. condennetur, et ultra puniatur arbitrio prepositi vel maioris de capitulo, absente preposito. 8. Statutum sacriste de ostio ecclesie claudendo. [I]tem prepositus vel, absente preposito, maior de capitulo ordinet cum sacrista vel cum eo qui potitur officio sacriste quod fores ecclesie competenti hora claudantur et quod ostium de Sancto Ni-cliolao, ex quo obscurum fuerit in sero, non maneat apertum set clausum usque ad pulsationem matutini. Si vero necesse fuerit aliquem exire vel ingredi, aperiatur et statini claudatur. 9. Statutum de custodibus et servientibus eorum. [Ijtem prepositus vel maior de capitulo, cum prepositus fuerit absens, et sacrista procurent quod custodes et servientes custodum decenter et honeste se gerant et conversentur in ecclesia et extra ecclesiam. 10. Statutum de campanis videndis. [Ijtem prepositus vel, absente preposito, maior de capitulo ordinet cum sacrista quod sacrista per custodes singulis mensibus re-quirant diligenter campanas ut si quid fuerit meliorandum in ipsis, de his que pertineant ad sacristain ipse compleat, et de pertinentibus ad custodes per ipsos fatiat adimpleri, et si per commune aliquid fuerit adimplendum hoc notificent et fatiant adimpleri quam cito poterunt bona fide. II.13 Statutum de custodibus et canevario. [Ijtem custodes et14 canevarius qui pro tempore fuerint in ista ecclesia sint sacerdotes. 13 Aggiunto nel margine esterno: vacat nunc pro canevario quia omnia sunt divisa. 14 Segue, ripetuto: et — 51 — 12.15 Statutum de refectorio. c. 4 v. [Ijtem aliqua persona, preter canonicos, in refectorio non comedat nisi de licentia prepositi vel capituli vel illius qui maior esset in refectorio. 73.16 Statutum quod familia canonicorum non comedant in refectorio. [Ijtem servientes canonicorum non comedant in refectorio nec in prandio nec in cena neque familia comunis. Canevarius vero cum reliqua familia comunis comedere possit de foris ante refectorium et non in caneva neque in pristino, excepto coco qui possit comedere in pristino. Canevarius de cocturnis panibus fatiat rationem et de pane singulis diebus. 14.17 Statutum pictantie reffectorii. [Ijtem canonici qui comedunt in refectorio habeant a kalendis iunii usque ad festum Omnium Sanctorum fructus recentes i e iis qui tunc inveniuntur; quantum autem in fructibus arbitrio massarn fiat secundum quantitatem discumbentium. [AJ Paschate in antea, usque ad festum sancti Andree, in vigilia Sanctorum, dentur cano nicis ad prandium denarii pro fructibus, unus silicet denanus pro canonico tam comedente in reffectorio quam extra. 15. De lampade claustri. [Ijtem constituatur in claustro lampas que accendatur in sero et ardeat per totam noctem et, adveniente die, extinguatur. 16.18 De pictantiis canonicorum. [Ijtem, si quis canonicorum in solennitatibus, quando dantur pictantie, venerit de foris et venerit ad prandium ita quod non intersit offitiis. non habeat denarios qui dantur pro pictantia atienti rus offitium; in solennitatibus autem Nativitatis et Resurrectionis Uomini amittat de pictantia pro rata dierum. 15 Aggiunto nel margine esterno: vacat nunc; edizioni in G. BanCHERO cit., p. 299; A. Ferretto, a Cii statuti dei canonici di Rapallo », in a Giorno e Ligustico », XXII, 1897, p. 454, n. 2. 16 Edizioni in G. Banchero cit., P. 299; A. Ferretto, a Gli statuti » cit., p. 454, n. 2. 17 Edizioni in G. Banchero cit., p. 299 ; A. Ferretto, « Gli statuti » cit., p. 454, n. 2. 18 Edizione in G. Banchero cit., p. 299. — 52 — 17. Quando massarius debeat facere rationem. [Ijtem massarii qui fuerint pro tempore fatiant rationem ad voluntatem prepositi et capituli. 18. De iuramento canonicorum de novo fatiendo ante quam eis assignetur prebenda. [Ijtem statuimus quicunque fuerit institutus in canonicum ecclèsie lanuensis, cum primum petierit prebendam ei debitam sibi assignari, antequam sibi assignetur, iuret statuta lanuensis ecclesie, que sunt vel fuerint approbata per capitulum Ianuense, in ipso capitulo, in manibus prepositi vel maioris de capitulo, cum prepositus fuerit absens, observare. Quod si facere noluerit, prebenda nequaquam assignetur eidem nec ceteri canonici participent ei in divinis vel in mensa aut capitulo. 19. De permutatione prebendarum. [Ijtem statuimus quod quandocunque aliqua prebenda de quindecim ordinatis vacaverit, antiquior de capitulo possit eam permutare cum sua. IntelMgatur autem antiquior cui primo per capitulum i l fuit assignata prebenda, ita tamen quod non liceat alicui canonico de cetero nisi semel suam permutare prebendam. Hoc vero statutum deroget et derogare intelligatur statuto posito sub rubrica de permutatione prebendarum loquenti de hac materia. Firmatum est presens statutum .M.ccc-, die secunda octubris. Die quarta mensis ianuarii, m.CCC.viii, venerabilis pater, frater Porchetus, archiepiscopus lanuensis, supradictum statutum confirmavit et approbavit. Leonardus de Castello de Levi de dicta confirmatione, mandato dicti archiepiscopi, confecit publicum instrumentum. In fine libri est predictum statutum. 20. De assignatione prebende canonico de novo intranti. [Ijtem statuimus quod capitulum Ianuense teneatur dare et assignare cuilibet canonico in sacris ordinibus constituto, de novo intranti et residenti in ecclesia Ianuensi, unam de prebendis .XV. ordinatis, expectando tamen usque ad kalendas ianuarii tunc proxime venturas. 21. Quando canonicus moriens possit testari de fructibus prehende sue. [Ijtem quilibet canonicorum moriens, vel quandocuuque alio modo prebendam dimittens a kalendis martii usque ad kalendas ianuarii, possit testari secundum beneplacitum suum de fructibus ’.5r. — 53 — prebende sue sibi competentibus ex ilio anno. Si vero decesserit vel quocunque alio modo prebendam dimiserit sine testamento et sit gravatus ere alieno, fructus prebende sue illius anni solvantur in eius debitis pro rata temporis. Si vero autem dictum tempus decesserit vel alio quocunque modo prebendam dimiserit, tota prebenda illius anni pelies capitulum debeat remanere. Massarius autem novo canonico, post installationem suam, provideat interim, pro rata temporis, donec prebenda fuerit sibi assignata, diebus singulis qua-tuordecim denarios. 22. De pluviali donando a canonico de novo intrante. [Ijtem statuimus quod ipso anno quo prebenda fuerit assignata canonico, teneatur eodem anno idem canonicus capitulo sive massario reddere et solvere libras .xii. pro pluviali. Alioquin, si infra dictum tempus dictas xii. libras non assignaverit, possit et debeat capitulum vel massarius, sine contradictione ipsius canonici, vel procuratoris sui aut alterius cuiuscunque de redditibus sue prebende vel distributionum tantum accipere quod de huiusmodi Xii. libris integraliter satisfiat. 23. Quod nullus canonicus constituat laycum procuratorem. [Ijtem statuimus quod nullus canonicus comittat prebendam c. 5 v. suam layco vel laycis procuranda. Si contrafecerit puniatur in 19 II soldis centum. 24. De offitio sacriste. [IJsta facit sacrista de rebus sacristie: facit cereum in sabbato sancto; illuminat ecclesiam per totum annum de oleo et candelis grossis ante altare; reparat libros et pallia et loallias et altaria, pluvialia, paramenta et cetera ornamenta et necessaria ecclesie; ad vindemias dat archiepiscopo candelas quatuor grossas de libris .nivei quatuor secundum quod potest; quando vadit ad Sanctum Romulum semel in anno candelas grossas similiter quatuor; canonice quoque tat 20 totidem tempore vindemiarum ; in Purificatione sancte Marie dat archiepiscopo candelam .1. de libris .mi., preposito unam de libris .m. %, archidiaeono similiter, magiscole similiter, ceteris canonicis singulis candelam .1. de tribus libris; in minoribus ordinibus constituti habent canonici de libris .1. ]/2; fontes in cbdo- 19 Segue, ripetuto: in 20 tat : così nel testo. — 54 — mada sancta impleantur de oblatione paschali et pueri qui tenent crisma ad baptismum, singuli habent denarios .ir. de oblatione Pascile. Singulis mensibus sacrista facit rationem introitus et exitus sacristie coram canonicis et nuntiis archiepiscopi qui volunt interesse; ad letanias dantur ab ecclesia qua itur pro cruce candele .Iir. 25. De custodibus et quid debent facere. [CJustodes debent esse duo sacerdotes; debent custodire ecclesiam die noctuque per se et suos servientes; facere...21 qui datur ad ponderandum pro pueris ad sanctum Nicolaum; habent de consecrationibus altarium et benedictionibus monialium sol .II. 26.22 De pictantiis Nativitatis Domini et sale. [I]n Nativitate Domini habet unusquisque canonicus et duobus sequentibus diebus sol .xx. preter assiduam prebendam. Item habent in Nativitate et per totum annum, ad salandum carnes et ad operandum in camera, minam unam salis et ea sit contentus ita quod de sale communis vel pristini non accipiat. 27. De denariis qui dantur pro vindemiis et pluribus aliis pictantiis. [T]empore quoque vindemiarum habent pictantiam per dies .v., silicet denarios .v. per singulos dies, et sunt denarii .xxv., et incipiunt solvi in festo Crucis. Item habent portionem illam que tangit unumquemque de eo quod habetur de venditione edifitiorum que sunt super terram canonice. Item portionem illam que tangit unumquemque de sol.vn. qui dantur pro portione monasterii de Libiola23. Item |j portionem que tangit unumquemque de sol. c.6r. .XXXII. qui habentur ad consecrationes episcoporum, altarium et ecclesiarum et benedictionibus monialium de quibus habent custodes sol .n.; residuum dividitur inter canonicos. Item partem que contingit unumquemque de illis sol .xxxx. qui dantur de introitu Sardinee. Item in festo Ascensionis habent libras .ii. piperis per unumquemque vel equivalens in denariis. Item habent, quando conventus vadit ad corpora tumulanda, candelas que ponuntur eis in manu, scilicet prepositus candelam unius libre et dimidie; archidiaconus et magiscola similiter; ceteri canonici candelam unius libre 21 La caria e corrosa. 22 Aggiunto nel margine esterno: vacat 23 Aggiunto nel margine esterno: non est in usu — 55 — et capcllani candelam medie libre. Si forte aliquis de maioribus non est presens a parte prepositi, habet ille sacerdos qui maior est a parte vero archidiaconi. si absens est, habet i 1 le qui est inaior a parte sua iuncate fructus et enxenia que contingit habere de foi is et que sunt apta ad comedendum, et fugatie sponsarum dividantur equaliter inter fratres présentes qui sunt in sacris ordinibus. Omnia predicta habent solummodo illi qui sunt in ecclesia vel domi, excepto introitu Sardinee et pipere Ascensionis de quibus etiam absentes, qui sunt infra diocesim Ianuensem, habent portionem suam : et de ceteris enseniis que de foris delata essent et de eo quod datur occasione confirmationum episcoporum, abbatum et abbatissarum 1 tabeant illi qui fuerint in civitate et diocesi Ianuensi partem suam. Et predicta intelligantur tantum [de] vinteno quod percipitur occasione venditionis domorum ecclesie si fuerint tempore confirmationis livelli présentes in ecclesia vel dyocesi. Si vero contingeret venire aliquos de foris extra dyocesim, qui non fuerint présentés ut supra dictum est. nichil de predictis percipiant et concessionis renovationis fatiende secundo emphyteote. 28. 24 De candelis dandis canonicis. [P]ro luminariis habent canonici singulis septimanis uncias .in. candelarum et maiores, ut prepositus, archidiaconus et magi-scola. uncias .mi. Si est in minoribus ordinibus unciam .1. Vz* 1° Nativitate Domini habent omnes equaliter libras .vi. et in 1 ascha .VI. qui sunt in sacris ordinibus. 29. De die cene Domini. [I]n cena vero Domini procurantur .XIi. pauperes, ad instar .xii. apostolorum et capitis Iesu Christi, quibus ministratur in pane et vino et oleribus et etiam discipulis quinque. Post prandium vero, competenti hora, tres vel quatuor de canonicis et prepositus aece-c. 6 v. dunt ad archiepiscopum et ducunt eum ad mandatum fatiendum. Cum venerit et sederit aliquantulum in cathedra sibi decenter pic-parata in claustro, circumstantibus canonicis, archiepiscopus surgit et abluit pedes suis pauperibus; prepositus vero assistit ei cum eliminili et aqua. Postquam laverit pedes pauperum, prepositus abluit pauperibus et archidiaconus assistit ei cum aqua; subsequitur inagi-scola et alii gradatiin usque ad ultimum. Massarius vero dat singulis pauperibus denarium .1. Dum sit ablutio pauperum, canonici et ca-pellani canunt « mandatum novum do vobis »~’ et cet. sicut in anti- 24 Aggiunto nel margine esterno: vacat 25 Ioh., 13, 14. — 56 — phonario. Facta ablutione, diaconus legit evangelium ante diem festum Pasce; quo finito, legit sequentia in modum lectionis usque ad locum ubi dicitur « surgite, eamus hinc » 26. Tunc surventes omnes ingrediuntur refectorium ubi diaconus continuat lectionem suam usque ad illum locum ubi dicitur « confidite, ego vici mundum »£'. Finita lectione, facto silentio, dominus arcliiepiscopus facit sermonem suum inter fratres et alios qui sunt ibi si vult; deinde prepositus si vult vel archidiaconus seu aliquis de canonicis. Finitis sermonibus, arcliiepiscopus prosequitur et finit mandatum « tu mandasti » 28 et cet. sicut in antiphonario. Facto et finito mandato, porrigitur calix vini per prepositum archiepiscopo et collateralibus ab archidiacono aliis sicut sedent per ordinem. Sumpto poculo, benedictione quilibet recedit in pace. 30. Ne canonici subscribant privillegiis vel indulgentiis. [I]tem statuimus et ordinamus quod aliquis vel aliqui de capitulo non subscribant privillegiis. indulgentiis nec instrumentis a quocunque concessis, nisi proponatur in capitulo et per capitulum vel maiorem partem capituli approbatum fuerit. El si quis contra-feceril. amittat totiens de prebenda librarum .xxv. quotiens fuerit contrafactum. 31. De ratione fatienda massario. [Ijtem quod in kalendis cuiuslibet mensis vel infra duos dies post ipsas vel ante kalendas, quilibet massarius, qui pro tempore fuerit, debeat facere coram canonicis qui présentes fuerint rationem de introitu ct exitu et «lare cuilibet canonicorum qui interfuerint ipsi rationi denarios .VI. 32. Quod candele nove dentur canonicis a massario in festo Nativitatis et Pasce. [Ijtem tot i capitulo placuit quod candele, que dantur canonicis ad festum Nativitatis ct ad festum Pasce, dentur eis a massario de candelis novis de una vel duabus libris pro denario et loco illarum candelarum que dabantur eis ad ipsas festivitates more solito. 26 Ioh., 14, 31. 27 Ioh., 16, 33. 28 Ps., 118, 4. — 57 — c. 7 r. 33. Quod canonicus infirmus, stans extra claustrum de licentia capituli, non amittat distributiones. [Ijtem quod si aliquis cononicorum29 graviter egrotaverit et ei videbitur quod extra claustrum melius et citius ab ipsa egritudine liberetur, possit petere exinde licentiam a preposito vel a maiore de capitulo ad certam quantitatem temporis vel dierum et, habita inde licentia, non perdat aliquid de distributionibus. 34. Quo tempore canonicus debeat habere minam salis. [C]um olim statutum fuisset 30 inter canonicos ut canonici habere deberent in Nativitate Domini minam salis pro carnibus salsandis et ad operandum per totum annum et cet., domini prepositus et capitulum statutum huius, quod propter particulares absentias et redditus canonicorum per terta 31 anni tempora dubitationem fatie-bat, taliter declararunt, videlicet quod quicumque canonicus venerit sive presens fuerit per dies .xv. continue aliquo tempore, a festo Omnium Sanctorum usque ad Carnisprivium, dictam minam salis percipere debeat et habere. Qui vero nullo tempore intra dictum tempus venerit, non habeat nec percipiat huius minam salis. 35. Quod canonicus missus pro negotiis capituli recipiat quottidianas distributiones. [I]tem statuimus ut quicunque de capitulo, sive simplex canonicus sive in dignitate constitutus, per capitulum missus vel deputatus fuerit ad negotia capituli agenda vel procuranda, ah hora qua missus vel deputatus fuerit quamdiu steterit et quousque redierit vel perfecerit quod iniunctum vel comissum ei fuerit, distributiones quottidianas percipiat preler pictantias et anniversaria. Et nichi-lominus expensas habeat necessarias sibi taxatas a capiLulo vel taxandas. 36. Quod refectorium sit locus ad capitulum fatiendum. [Ijtem statuimus et ordinamus quod refectorium de cetero sit locus certus et solus ad fatiendum capitulum deputatus. Et prepositus. vel alius ad quem pertinuerit capitulum convocare, convocet in refectorio predicto quotiens capitulum fuerit celebrandum. 29 • * i cononicorum : cosi nel lesto. 30 Cfr. cap. 29. 31 terta : così nel lesto. — 58 — 37. Divisio prebendarum. [AJnno Domini .m.cc.lxxxxiiii., die veneris, xvm augusti32. In capitulo, more solito congregato, fuerunt in concordia et consensu domini Stephanus prepositus, Thedisius magiscola, Iohannes et Bonusioliannes, presbyteri, Petrus et Ingetus, diacones, Petrus, Iohannes et Bartholomeus, subdiacones, tunc soli in ecclesia exi-stentes, quod pro singulis canonicis tam absentibus quas presentibus constituantur singule prebende de possessionibus et redditibus qui sunt in districtu et diocesi Ianuensi, extra civitatem, et fiat et constituatur corpus prebende cuiuslibet .xiHl. prebendarum de libris .l. ianuinorum, salvo augmento prebendarum que constituentur dignitatibus prepositi, archidiaconi et magistri scolarum iuxta modum | | consuetum ; de xva prebenda, cuin venerit libere ad manus capituli, ordinetur sicut de aliis. [Ojrdinatores prebendarum secundum predictum modum electi a capitulo: dominus prepositus, dominus Petrus Blancus, dominus Petrus Cicada, dominus Iohannes dictus Cardinalis. 38. [A]d honorem Dei omnipotentis et spirituale ac temporale lanuensis ecclesie statum ac personarum in ea degentium ct servientium quietem, nos S[tephanus] prepositus et capitulum ecclesie lanuensis, congregato capitulo more solito, vocatis omnibus qui vocandi erant, cum nullus esset in civitate vel diocesi Ianuensi, [divisionem prebendarum inter nos factas prout in instrumento per manum Deodati Bonacursi publici notarii continetur approbantes, ratificantes atque firmantes, statuimus circa statum ipsarum preben-daruin, ad conservationem atque augmentum ipsarum, quod nullus canonicorum ipsius ecclesie terras vel possessiones prehende sibi assignate vel aliquam partem ipsarum possit vendere, donare, infeudare vel arborem viridem, que congrua extimatione excedat valorem sol .v., incidere, vendere vel donare, nisi de speciali et expressa licentia pro unaquaque arbore dicti valoris habita et obtenta, quam seu cuius pretium vel valorem in utilitatem sue prebende canonicus ipse infra mensem convertere teneatur; et de non permutando totum vel partem sue prebende ad invicem, in vita sive in morte, sine speciali licentia capituli vel maioris partis habita et obtenta. Predic-tam autem divisionem prebendarum et statutum et de non vendendo aut donando vel infeudando terras vel possessiones prebendarum et 11011 incidendis, vendendis aut donandis arboribus et de non permu- 32 L'indicazione dell'anno e quella del giorno della settimana non coincidono; si tratta sicuramente del 1284: cfr. anche n. 36. . 7 v. — 50 — laido prout superius continetur, iuramus, tactis sacrosanctis evange-Iiis. nos singuli canonici firmiter et fideliter perpetuo tenere, observare ct inviolabiliter custodire, iusto et inevitabili impedimento cessanto. nisi per totum capitulum lanuensis ecclesie, nullo discrepante, more solito et debito congregatum, ita quod intersint omnes qui in civitate et diocesi Ianuensi tunc temporis existere viderentur, statuta predicta mutari contingeret vel aliter ordinari, auctoritate quoque Sedis Apostolico semper salva. Promissum autem iuramentum absentes canonici prestare similiter teneantur infra octo dies postquam venerint ad ecclesiam Ianuensem. Et nisi infra octo dies non prebenda fuerit in defectu, infra sex menses vel aliud tempus maius . 8 r. vel minus, prout capitulo videbitur, emendet seu fatiat restitui, et si infra tempus sibi datum non emendaverit, ex tunc capitulum possit et debeat de bonis ipsius canonici, de prebenda seu distributionibus, defectum ipsum facere infra alium convenientem terminum emendari. non obstante absentia dicti canonici vel contradictione ipsius vel procuratoris eius. Dicti vero canonici visitatores, dum fuerint in huiusmodi servitio, habeant et percipiant singulis diebus distributiones integre ^ sicut residentes ct expensas pro equis .mi., videlicet pro quolibet equo sol .m. >9. Quando movetur questio canonico super possessione prehende sue. [Ijtem statuimus quod, si alicui canonico moveatur questio sive causa vel alicui moveat ipse super prebenda sua vel super aliqua re vel i ure. que vel quod sit de substantia et proprietate prehende seu corporis prebende sue. videlicet de terris, possessionibus et terminis seu fin i bus et perpetuis iuribus vel aliis que pertineant ad perpetuum statum ipsius prebende, capitulum teneatur agere et defendere causam et questionem huius expensis ipsius capituli. Si vero sit questio vel causa de aliquibus que sint extra substantiam prehende, ut de incisione arborum vel furto fructuum vel pensionis non solute et similibus, que sunt extra proprietatem prebende, ipse canonicus suis expensis agere ct defendere teneatur. tlK De iuramento prestando a canonico de novo intrante. [Ijtem 'tatuimus quod omnes et singuli canonici, qui modo absentes sunt, eum re\ersi fuerint infra dies octo post reversionem et de cetero instituentur, antequam prebenda eis a capitulo assignetur iuret ** personaliter \el per procuratorem ati hoc specialiter consti- 53 eo» n*rl fesfo. 34 iuret: cos* «el îesfo. — 60 — tutum statuta super divisione prebendarum suprascripta tenere et servare et perpetuo custodire. Alioquin, si prefati absentes vel instituendi predictum iuramentum prout dictum est non prestiterint, prebenda non eis assignetur a capitulo sive massario. nec capitulum nec aliquis de capitulo sibi communicet in offitio nec in ecclesia nec in mensa refectorii nec in capitulo congregato, nec ei de aliquo iura-mento prebende vel beneficii possit vel debeat ante dictum iura-mentum prestitum in aliquo responderi. 41. Quod quilibet canonicus corpus prebende ubique integre recipere possit. [Ijtem statuimus quod quilibet canonicus fructus et proventus prebende sue. secundum assignationem superius ordinatam, habeat et recipiat libere, integraliter et quiete, ubicunque fuerit vel steterit, sine contradictione capituli vel alicuius seu aliquorum de capitulo vel aliorum pro 35 | ! eis vel pro aliquo seu aliquibus ipsorum, ita c.8r. tamen quod capitulum possit de prebenda vel redditibus eius accipere pro emendai ione defectuum sicut superius est statutum. Et canonici, quibus prebende assignate erunt ubi sunt domus capituli assignate pro certa quantitate, in tota domo sive in parte, teneantur domos ipsas in bono statu tenere ac eas restituere, quandocunque capitulum tantam quantitatem pecunie eis assignaret extra civitatem pro quanta assignate 36 erunt. Actum Ianue. in capitulo ecclesie lanuensis. more solito convocato et congregato, cui interfuerunt S[tephanusJ prepositus, T[hedisiusJ magister scolarum. Iohannes de Sancto Georgio et Bonusiohannes, presbyteri, Pfetrus] Blancus et I[ohannesJ de Camilla. diacones. P[etrusJ Cicada, Ifohannes] Cardinalis et Bartolo-meus de Regio, subdiaconi, canonici ipsius ecclesie lanuensis. tunc soli in ipsa ecclesia residentes .m°.c.c.lxxxiiii 37. mense augusti, xxiii die. 42. Quod nullus mansionarius, capellanus vel custos possit abesse ah ecclesia ultra tres dies sine licencia. [NJos capitulum ecclesie lanuensis, volentes ne propter absentiam seu absentationem mansionariorum, capellanorum et custodum ecclesie nostre divinus cultus in ecclesiasticis offitiis minuatur vel etiam defraudetur, [s]tatuimus quod nullus predictorum abesse 35 Segue, ripetuto a c.8\.: pro 36 Segue depennato: essent 37 .M.CC.Lxxxim : nel testo .M.cc.Lxxxxiui con un leggero segno di depennatum sullo quarta x. — 61 — debeat ultra tres dies aliqua occasione, sine licentia capituli petita et obtenta. Licentia vero trium dierum tamen a maiori capituli obtineri possit si alius vero sit absens. Quicunque vero predictorum mansionariorum, capellanorum et custodum aliter absens fuerit, tempore liuius absentie, diebus singulis perciat dr.xn.. et alias, ad voluntatem capituli, penam poterit formidare. [S]i quis vero ex ipsis non interfuerit matutinis in gloria psalmi super « venite » 38 in denariis .11.; et in missa, qui non interfuerit in gloria introitus misse, in duobus denariis; et in vesperis, in gloria primi psalmi, in dr.l. puniatur singulis diebus ferialibus, dominicis et festivis. Et quando pulsatur ad crassum, in duplo puniatur. Et qualibet predictarum horarum qui vero 39 interfuerint horis predictis, interesse debeant usque in finem dictarum horarum, nisi legittima necessitate exirent, statini cum potuerint redituri. Absentias autem singulorum predic-torum quas fecerint sacrista diligenter scribere studeat et teneatur, c. 9 r. in solutionibus singulis, que fiunt in quatuor sive tribus terminis, | | predictis mansionariis et capellanis in scriptis et massario presentare. Et massarius teneatur penas pecuniarias ipsas in quas incurrerint compensare et retinere de quantitatibus singulorum, [sjtatutis et consuetudinibus editis et observatis hactenus in ecclesia nostra de ipsis mansionariis, capellanis et custodibus alias, ultra quam in presenti statuto contineatur, in suo robore duraturis. In nomine Domini amen. Anno a nativitate Domini •M.cc.lxxxxv, indictione40, die veneris, die .nil. mensis februarii, tempore domini B[onifacii] pape anno primo, in refectorio, presentibus infrascriptis. [n]os capitulum ecclesie lanuensis, more solito congregati in capitulo, vocatis omnibus qui erant evocandi et qui potuerunt et debuerunt comode interesse, pro bono statu et utilitate tam ecclesie nostre quam etiam personarum ibidem personaliter residentium et etiam de novo venientium, statuimus et ordinamus ut infra: 43. De quottidianis distributionibus. [I]n primis statuimus et ordinamus quod omnes canonici, qui présentes fuerint in ipsa ecclesia, de cetero habeant pro singulis diebus, pro pane denarios .x., pro companatico denarios .vm., pro coquina denarios .vi.; que distributiones solvantur per massarium qui pro tempore fuerit quater in anno, silicet de tribus in tribus mensibus. 38 Ps., 94, 1. 39 vero: corretto da non 40 Manca l'indicazione dell'indizione. — 62 — 44. De consecrationibus episcoporum et aliorum prelatorum. [Ijtem statuimus et ordinamus quod de eo quod recipitur pro consecrationibus episcoporum, abbatum, abbatissarum, prepositorum ac etiam aliorum prelatorum, de vintenis et investituris, venditionum (lomorum, terrarum, illi soli percipiant qui in ecclesia vel diocesi fuerint tempore solutionis, vel tempore supradicti offitii, contractus, instrumentorum libelanoruin seu locationum41 per nostrum capitulum fuerit invocatum. Si vero aliquem seu aliquos venire contigerit de foris, de extra diocesim, qui non fuerint présentes ut supra-dictum est, de predictis nicliil omnino percipiat seu percipiant. 45. De absentiis canonicorum. [Ijtem statuimus et ordinamus quod quilibet ex canonicis residens in ecclesia seu diocesi annis singulis infra annum per menses duos, computatis in predictis duobus mensibus illis .xv. diebus qui dabantur pro visitatione sue prebende in eundo, ! | stando, redeundo c. 9 v. continue seu interpolatim. possit seu possint esse in diocesi percipiendo illud quod specialiter datur seu dabitur pro pane, companatico et coquina, consuetudine obtenta ab antiquo seu statuto aliquo contrario non obstantibus, salvo quod si aliquis ex canonicis dicto tempore venerit de foris, videlicet de diocesi ad ecclesiam, ita quod sit in prandio, pro illa die nicliil amittat quamvis eadem die extra redierit. Et si venerit quacumque bora diei et pernotaverit, similiter nicliil amittat de distributionibus superius dictis. Transacto autein dicto tempore, nicliil de predictis distributionibus percipiat seu percipiant, nisi in casibus supra expressis. 46. De residuo quod remanet peues massarium in fine anni. [Ijtem statuimus ot ordinamus quod si quid residui fuerit, ultra dictas distributiones, in fine anni penes massarium vel alibi, que debeant recipi de ipso anno ipsius massarie, dividantur inter illos qui fuerint présentes et qui illo anno steterint in ecclesia seu diocesi, pro rata temporis quod steterint in ipsa ecclesia seu diocesi, prout superius est expressum. 47. Quod massarius non possit locare ultra annum absque licentia. [Ijtem statuimus et ordinamus quod massarius, qui pro tempore fuerit, non possit locare domum sive terram seu dislocare, absque capituli licentia et consensu, ultra annum nec in eis vel in ea aliquid expendere ultra soldos .xx. 41 Probabile lacuna nel testo: salvo quod? — 63 — 48. Hoc est statutum de numero presbiterorum, diaconorum et subdiaconorum. [NJoverint universi lias litteras inspecturi quod nos Nicola prepositus, Guillelmus archidiaconus et capitulum Ianuense, volentes ut in Ianuensi ecclesia cultus divini nominis augeatur, de assensu venerabilis patris I[ohannis], Dei gratia archiepiscopi lanuensis, provida deliberatione statuimus ut, cum in eadem ecclesia sint quindecim canonicorum, computatis preposito, archidiacono et magistro scolarum, numerus institutus, ex eisdem canonicis quatuor presbiteri, totidem diaconi, totidemque subdiaconi, predictis personis minime computatis, in ipsa ecclesia oinnibusquc temporibus de cetero habeantur. ita quod, eorum aliquo decedente vel quoquo modo prebendam dimittente, nullus ad prebendam ipsius vel ad quottidianas j’ distributiones nisi constitutus sit in eodem ordine in quo decedens c. 10 r. fuerat admittatur. Et ut id inviolabile futuris || temporibus observetur statutum huiusmodi, iuramento proprio duximus roborandum, nullum tamen per hoc his, qui in eadem ecclesia in canonicos sunt recepti, quo ad liberam assecutionem prebendarum prout eis competit, preiuditium gravando. In cuius rei testimonium et cet. Actum Ianue, in sacristia ecclesie predicte .mcc. quadragesimo quarto, indictione prima, die duodecima mensis iulii, pontificatus domini In-noeentii quarti, anno secundo. 49.*2 De cameris canonicorum et capellanorum. [Ijtem statuimus et ordinamus ut, cum per alicuius decessum vel cessionem aut aliquo alio modo camera dominorum vel capellanorum vacaverit, sacriste et custodum cameris dumtaxat exceptis, que in sua taxatione assignent eis, non debent nec possint alicui dicta camera alicuius assignari, nisi infrascripta forma servata: ut videlicet, si fuerit de cameris dominorum canonicorum, per prepositum vel maiorem de capitulo infra octo dies postquam hoc evenerit vocentur omnes domini, tunc publice in diocesi residentes, ut die certa, in dicta citatione préfixa, sint in capitulo, per se vel per procuratorem, ad dictam cameram si voluerint incantandum, et ea taliter publice per présentes, ut dictum est, exclusis absentibus, idest infra diocesi constitutis et procuratoribus eorum, pro eo pretio in capitulo incantata plus offerenti tradatur. Quod si non sit qui ultra taxationem de ea factam, que taxatio nullo modo possit diminui, plus offerat ad incantum, tunc maioribus presentibus gradatim, qui 42 Edizione, limitata alla parte generale, esclusa quindi la stima delle camere, in D. Puncuh, « Liber » cit., doc. 200. — 64 — ipsam acceptaverint pro taxato pretio, relinquatur. Et sic fiat per omnia de aliis cameris que ea vice per permutationem huiusmodi dimittentur, salvo quod, propter permutationes que tunc fient, ad liec aliqui aliter non citentur, nec capellani modo citentur predicto, sed solum vocentur ad capitulum in ecclesia tunc présentes. Pecunia autem ponenda in possessionibus pro anniversario fatiendo eius cuius domus fuerat statiin capitulo assignetur, vel de ea infra bienium in omnem eventum capitulo pro solvenda, cautio statim suffitiens prebeatur. Et qui domum receperit non soluta pecunia, prestita cautione, cum quasi interim domum ad pensionem retineat, pro pensione solvat sol .11. pro libra qualibet annuatim, ne tale anniversarium impediatur vel modo aliquo differatur. Quod si quis, dimissa camera quam habebat, elegerit aliam minoris taxationis, nicliil inde percipiat | i vel petere possit pro eo quod camera c. 10 v. quam dimisit plus fuerat extimata, set illud plus inter présentes canonicos dividatur et eadem fiat divisio de pecunia que ultra co-munem laxationem superexcreverit de cameris in ecclesia remanentium per huiusmodi permutationem dimissis. Camera vero, quam taliter permutans dimiserit, penes eum remaneat quousque de ea sibi fuerit satisfactum per capitulum vel eum qui loco morien-tis vel cedentis succedet. Extimationes camerarum canonicorum. In primis camera cum terratia, que est in angulo claustri, deversus capellanias, et quam tenet dominus Iacobus de Cucurno, et que est extimata libre .xxx. Item alia camera sequens, in qua moratur dominus B [artholomeus] de Regio, et que est extimata libre .XX. Item alia camera sequens post ipsam, ubi moratur dominus Savinus, et que est extimata libre .xx. Item alia camera sequens post ipsam, que est in angulo claustri, deversus domos scutariorum, et moratur in ea dominus Gregorius de Camilla, et que est extimata libre .xxx. Item alia camera sequens post ipsam, ubi moratur dominus Rolandinus de Vezano, et que est extimata libre .xx. Item camera sequens post ipsam, ubi moratur dominus Iohannes de Val-perga, et est extimata libre .xx. Item alia camera sequens post ipsam, ubi moratur dominus Bertholinus de Flisco, et que est extimata libre .xxx. Item alia camera que est in angulo claustri, deversus refectorium, et moratur in ea dominus archidiaconus, et que est extimata libre .xv. Item alia camera sequens post ipsam, ubi moratur Iohannes de Bagnaria, et que est extimata libre .xx. Item camera que est extra claustrum, deversus ecclesiam, ubi moratur dominus Odoardus Ritius, et que est extimata libre .xv. In claustro inferiori camera que est in angulo deversus scutarios et moratur in ea dominus Cardinalis | i et que est extimata libre .x. c. 11 r. - 65 — 5 Item alia camera que est post ipsam, et que est domini Riçardi, et que est extimata libre .v. Item alia camera que est post ipsam, et que est marchionis, et que est extimata libre .v. Item alia camera que est post ipsam. et que est 11 srei de Luculo, que est extimata libre .V. Item alia camera post ipsam, que est in angulo, prope pristinum, que est domini magistri Iohannis, et que est extimata libre .x. Camere capellanorum. Primo camera sacriste, que est iuxta ecclesiam, libre .x. Item camera custodum, que est prope ipsam, que non debent incantari, libre .un. Item camera presbiteri Belioti, que est iuxta puteum Sancti Gregorii, libre .vi. Item camera prima eundo versus capel-lanias, ubi moratur presbiter Iohannes de Naxo, libre .VI. Item alia caméra que est superius, ubi moratur presbiter Iranciscus de Reclio, libre .vin. Item alia camera que est desuper ipsam, ubi moratur presbiter Marchus, libre .x. Item camera que est apud ipsam, ubi moratur presbiter Leonardus, libre, vu. Item camera desubter, ubi moratur presbiter Iohannes de \ aletario, libre .vi. Item camera ubi moratur presbiter Rollandus de Pinu libre .nu. Item camera prima, que est ultra pontile, ubi moratur presbiter Nicolaus, libre .mi. Item caméra superius, ubi moratur presbite! Guillelmus de Serino. libre .v. Item camera superius, ubi moratur presbiter Paschalis, libre .v. Item camera in qua moratur presbi-c. 11 v. ter Lafrancus, que est in claustro canonicorum, libre .v. \ Item camere nove domus facte iuxta claustrum. Primo camera in qua moratur presbiter Iacobus de Alexandria extra libre .mi. Item camera sequens, in qua moratur presbiter Nicolaus de Clavaro, libre .mi. Item camera in qua moratur presbiter * * * * * pro capellanis pro sacrista, libre .v. Item alia camera in qua habitat presbiter Gin lelmus de Segestro libre .v. Item camera desuper, in qua inoratur presbiter Obertus, libre .vii. Item alia camera prope illam libre .v. Item camera ubi moratur presbiter Gaialdus libre .v. Item camera desuper ipsam, ubi moratur presbiter Iohanninus de Rapallo, i-bre .v. Item camera que est prope privatam libra .1. 50. Nativitate cum duobus diebus sequentibus sol.xx. et libie .vi. candelarum. Circuncisio sol.v. Epypbania sol.v. Purificatio sol.n. Sancti Blasii sol.il. In Carnisprivio sol.xx. Annuntiatio dominica sol.ii. Dominica in Palmis sol.il. Die lovis Sancto sol.l. Sabbato Sancto sol.l. In Pasca Resurrectionis cum duobus diebus sequentibus sol.xx. et libre .VI. candelarum. In Inventione Sancte Crucis sol.v. In processionibus letaniarum sol.ni. In Ascensione — 66 — Domini, excepto pipere, sol.v. et libre .11. piperis. Dominica Revelationis sancti Iohannis Baptiste sol.v. In Pentecostes sol.x. In festo sancti Iohannis sol.xx. In festo sancti Petri sol.i. In festo sancti Siri lanuensis sol.v. In festo saneti Laurentii sol.xx. In Assumptione sancte Marie sol.n. In Decollatione sancti Iohannis sol.v. In Nativitate sancte Marie sol.n. In festo sancti Adriani sol.i. In Exaltatione sancte + sol.n. In sancto Michaele sol.i. In Dedicatione ecclesie sol.v. In festo Omnium Sanctorum sol.v. In festo Mortuorum sol. .v. In sancto Martino sol.i. In sancto Nicholao sol.v. In festo sancti Iacobi libra .1. 51. Infrascripti permutaverunt prehendas. In primis dominus archidiaconus; item dominus Iacobus de Cucurno ; item dominus Iohannes de Bagnaria : item dominus Lucas Cardinalis* item dominus Iohannes Rolandi ; item dominus Riear-dus; item dominus Gregorius de Camilla; item dominus Lafranchi-nus de Camilla. 52. Statutum de refectorio nulli accomodando. [I]tem, consideratis multis et variis incomodis que canonici et capitulum sustinuerunt ex gratia et comodo factis de refectorio domino L[eonardo] de Flisco, Cataniensi electo, statuimus ut dictum refectorium de cetero nulli accomodetur vel ad diem etiam concedatur. Firmatum est et iuratum .mccc.iii., die vi inadii. 53. Aliud statutum. [I]tem statuimus et ordinamus quod quandocunque aliqua prebenda de quindecim ordinatis vacaverit, antiquior de capitulo possit eam permutare cum sua. Intelligatur autem antiquior cui primo per capitulum fuit assignata prebenda, ita tamen quod non liceat alicui canonico de cetero nisi semel suam permutare prebendam. [ Hoc vero statutum deroget et derogare intelligatur statuto, posito sub rubrica de permutatione prebendarum, loquenti de hac materia. Firmatum est presens statutum .m.ccc., die secunda octubris. Die quarta mensis ianuarii, m.cccviii, venerabilis pater, frater Porchetus, arcliiepiscopus lanuensis, supradictuin statutum confirmavit et approbavit. Leonardus de Castello de Levi de dicta confirmatione, mandato dicti archiepiscopi, confecit publicum instrumentum. c. 12 r. . 12 v. — 67 — 54.43 Iuramentum custodum. Ego custos serviensque custodis Sancti Laurentii ero fidelis domino B[onifacio] electo et capitulo Sancti Laurentii, et res sacri-: stie, que sunt vel fuerint in potestate mea, res quoque pertinentes eidem, domino archiepiscopo, eiusdem successoribus vel ad canonicam, personas quoque canonicorum et res eorum, si ad manus meas pervenerint, ad utilitatem eorum servabo. In missis quoque disturbandis vel dilatandis oblationibus publicis vel privatis seu etiam candelis fraudem ullam non comittam vel committi consentiam ultra quod valeat soldos duos per annum. Si autem aliquem committentem fraudem cognovero, ministro vel ministris pro tempore constitutis nuntiabo. 55.43 Iuramentum sacriste. Ego sacrista lanuensis ecclesie iuro ad sancta Dei e\angelia quod ab hac die in antea res sacristie, que sunt vel fuerint, bona fide custodiam, non furtum nec fraudem in eis comittam vel comitti consentiam. Et si alique sunt extra sacristiam, que sciam vel scivero ad sacristiam pertinere, bona fide laborabo ut ad sacristiam recuperem. Quod si facere non potero, domino archiepiscopo et preposito cum fratribus nuntiabo. Preterea de rebus sacristie non dispendam ultra soldos .X. per annum absque licentia domini aichi-episcopi, prepositi et capituli, nisi in utilitate et ornamentis ecclesie. Rationem introitus et exitus bis vel ter in anno fatiam domino archiepiscopo vel eius nuntio statuto, si adesse voluerit, et capitulo sive fratribus quos habere potero. Hec omnia bona fide observabo, retentis michi soldis .xl. et libris .xx. cere per annum pro meo benefitio. Res vero ipsius sacristie in ornamenta et communes c. 13 r. usus I ecclesie, sicut in eiusdem iuramenti forma continetur, ali i vero, sine licentia domini archiepiscopi, de ipsis rebus ad sacristiam pertinentibus nichil a canonicis expendatur. Mortuo vero sacrista, apud prepositum claves ipsius sacristie, donec sacrista fuerit insti tutus, permaneant, ita tamen ut, post mortem ipsius sacriste, nuntius domini archiepiscopi et canonicorum inspitiant res que in ipsa sacristia invente fuerint, ne qua fraus valeat adhiberi et de rebus sacristie aliquid deperire. Si quid forte superfuerit usibus debitis sacristie et canonici licentiam petierint ab archiepiscopo, si i usta fuerit causa postulationis, dominus arcliiepiscopus eis licentiam tri- 43 Edizione in D. PlINCUH, « Liber » cit., doc. 106. — 68 — buat. Nolumus autem ut usque ad mensem unum mortuo sacrista alius substituatur. Actum in palatio lanuensis archiepiscopi. Testes magister Iacobus, prepositus Sancte Marie de Vineis, Ansaldus, diaconus Sancte Marie de Vineis, magister Raimondus, clericus Sancte Marie de Vineis, Ubertus, iudex de Novaria, Cardinalis, Ingo Usus Becunarii , Iacobus archiepiscopi, presbyter Ugo .mcc.i, indictione • in., xxx die madii, circa vesperas. Ilenricus de Puigno 44, notarius sacri pallatii, rogatus scripsi. 44 Puigno: deve intendersi Provigno come in D. Puncuh, « Liber » cit., doc. 106. — 69 — INDICE DEI NOMI PROPRI E DELLE COSE NOTEVOLI absentie canonicorum: 3, 33, 34, 35, 45. Alexandria [Alessandria] (de): v. Iacobus. Ansai dus diaconus S. Marie de Vineis: 55. archidiaconus: 3. 27, 28, 49; v. Leo-nardus. arcliiepiscopus lanuensis: 4. 29, 54. 55; v. Bernardus, Iohannes. Porchetus. Bagnarla | Bagnara-Cenova | (de): v. Iohannes. Bartholomeus de Regio, Barlholomeus suhdiaeonus: 37, 41, 49. Beliotns presbiter: 49. Bernardus arcliiepiscopus lanuensis: 3. Berleto \ Bercelo | (de): v. Guillelmus. Bcrtholinus de Flisco: 49. .Blancus: v. Petrus. Bonacursi : v. Deodatus. Bonifacius electus lanuensis: 54. Bonifacius papa: p. 62. Bonusiohannes presbyter: 37, 41. Brignonus Mazullus notarius: 3, 4. Cameçana (de): v. Iohannes. Camilla (de): v. Gregorius, Iohannes, Lafranchinus. canevarius: 11, 13. canonici: 1, 3, 22, 23, 30. 49. capellani : 1, 5, 42, 49. Cardinalis: 49, 55; v. Iohannes, Lucas. Castello de Levi (de): v. Leonardus. Cicada : v. Petrus, claustrum: 15, 49. Clavaro [Cliiavari] (de): v. Nicolaus, clericus: v. Iacobus de Manegoldo. Kaimondus. clericus archiepiscopi: v. Guillelmus de Berteto. cocus: 13. Cucurno | Cogor no] (de): v. Iacobus. custos: v. Nicolaus. custodes: 5, 9. 10, 11. 25. 42, 49, 54. Deodatus Bonacursi notarius: 38 diaconus: r. Ansaldus, Ingetus. Iohannes de Camilla. Opiço Streliaporcus. Petrus Blancus. distributiones: 3, 14, 16. 18, 26. 27. 28, 31, 32. 33, 34, 35, 43. 44, 45, 46, 50. ecclesia de Figino: 3. ecclesia S. Marie de Vineis [Genova | : 55. electus Cataniensis: v. Leonardus de Flisco. electus lanuensis: t’. Bonifacius. festum Annuntiationis dominice: 50. festum Ascensionis: 3. 27. 50. festum Assumptionis sancte Marie: 3. 50. festum Carnisprivii : 34. 50. festum Circuncisionis : 3. 50 festum Crucis o Exaltationis Crucis: 3. 27, 50. festum Decollationis sancti Iohannis: 50. festum Dedicationis ecclesie: 3. 50. festum Dominice in Palmis: 50. festum Epyphanie: 3, 50. festum Inventionis sancte Crucis : 50. — 73 — festum Iovis Sancti o dies Cene Domini : 29. 50. festum Mortuorum: 50. festum Nativitatis Domini o Natalis Domini: 3, 16. 24, 26. 28. 32. 50. festum Nativitatis beate Marie: 3. 50. festum Nativitatis sancti Iohannis. festum sancti Iohannis: 2. 3, 50. festum Omnium Sanctorum: 3. 14, 34, 50. festum Pasce o Resurrectionis Domini: 3. 14. 16. 24, 28. 32. 50. festum Pentecostes: 3. 50. festum Processionum letaniarum : 50. festum Purificationis sancte Marie: 24, 50. festum Revelationis sancti Iohannis: 3, 50. festum Sabbati Sancti: 3. 50. festum sancti Adriani: 50. festum sancti Blasii: 50. festum sancti Iacobi: 50. festum sancti Laurentii: 2, 3. 50. festum sancti Martini : 50. festum sancti Michaelis: 50. festum sancti Nicholai: 2. 3. 25, 50. festum sancti Petri : 50. festum sancti Siri : 3. 50. Figino [Fegino-Genova] (de): r. ecclesia. Flisco (de): v. Rertholinus. Leonardus. Franciscus de Recho presbiter: 49. Gaialdus presbiter: 49. Gregorius de Camilla: 49, 51. Guillclmus de Berteto, clericus archi-episcopi : 3. Guillelmus de Serino presbiter: 49. Guillelmus de Sigestro presbiter: 49. Henricus de Puigno notarius: 55. Iacobus de Alexandria presbiter: 49. Iacobus archiepiscopi : 55. Iacobus de Cucurno : 49, 51. Iacobus magister, prepositus S. Marie de Vineis: 55. Iacobus de Manegoldo clericus: 4. Ingetus diaconus: 37. Innocentius papa: 48. Ingo Usus Becunarii : 55. Iohannes. arcliiepiscopus lanuensis: 48. Iohannes de Bagnaria : 49, 51. Iohannes de Cameçana subdiaconus: 3. Iohannes de Camilla diaconus: 41. Iohannes dictus Cardinalis, Iohannes subdiaconus: 3, 4, 37, 41. Iohannes magister: 49. Iohannes de Naxo: 49. Iohannes presbyter: 37. Iohannes presbyter, sacrista: 4. Iohannes Rolandi: 51. Iohannes de S. Georgio presbyter: 3, 4. 41. Iohannes de Valletario presbiter: 49. Iohannes de Valperga : 49. Iohanninus de Rapallo presbiter: 49. index: v. Ubertus, iuramentum canonicorum: 18, 40. iuramentum custodum: 54. iuramentum sacriste: 55. Lafranchinus de Camilla: 51. Lafrancus presbiter: 49. lamentationes ebdomade sancte: 2. Lavania [Lavagna] (de): v. Leonardus. Leonardus- archidiaconus, Leonardus de Lavania: 3, 4. Leonardus de Castello de Levi, notarius: 19, 53. Leonardus de Flisco, electus Catanien-sis: 52. Leonardus presbiter: 49. Levi [Lem] (de): v. Leonardus de Castello — 74 — Libiola [-Sestri L.] (de): v. monasterium. Lucas Cardinalis: 51. Luculo [Luccoli - Genova] (de): v. Ysrel. magiscola : 3, 7, 28 ; v. Thedisius, magister: v. Iacobus, Iohannes, Rai-mondus. Manegoldo (de): v. Iacobus. mansionarii: 4, 5, 42. Marchus presbiler: 49. massarius: 3, 14, 17, 21, 22, 29, 31, 32, 42, 43, 46, 47. Mazullus: v. Brignonus. minister: v. Osprindus. monasterium de Libiola: 27. Naxo [Le Nasche - Genova] (de): v. Iohannes. Nicola prepositus: 48. Nicolaus de Clavaro. presbiter: 49. Nicolaus presbiter: 49. Nicolaus presbyter, custos: 4. notarius: v. Brignonus Mazullus, Deodatus Bonacursi, Henricus de Puigno, Leonardus de Castello. Novaria [/Vouara] (de): v. Ubertus iudex. Obertus presbiter: 49. Odoardus Ritius: 49. Opiço de Salvaigis: 4. Opiço Streliaporcus diaconus: 3. Osprindus, minister ecclesie de Figino: 3. ostium de S. Nicholao: 8. Paschalis presbiter: 49. papa: v. Bonifacius; Innocentius. Petrus Blancus, Petrus diaconus: 3, 4, 37, 41. Petrus Cicada, Petrus subdiaconus: 37, 41. Pinu (de): v. Rollandus. pontile: 49. penitentiarii : 7 Porchetus, archiepiscopus lanuensis: 19. 53. prebende: 19, 20, 21, 37, 38, 39, 40, 41, 48, 51 ,53. prepositus: 3. 5, 6, 7, 8. 9, 10, 12, 27, 28, 29, 36, 55; v. Nicola, Stephanus. prepositus S. Marie de Vineis: v. Iacobus. presbiter o presbyter: v. Beliotus, Bo-nusiohannes, Franciscus de Reco, Gaial-dus, Guillelmus de Serino, Guillelmus de Segestro, Iacobus de Alexandria, Iohannes. Iohannes de S. Georgio, Iohannes de Valletario, Iohanninus de Rapallo, Lafrancus, Leonardus, Marchus, Nicolaus, Nicolaus de Clavaro, Paschalis, Ugo. Puigno (de): v. Henricus. puteum S. Grcgorii : 49. Raimondus magister, clericus S. Marie dc Vineis: 55. [Rapallo] (de): v. Iohanninus. Reco [Æeceo] (de): v. Franciscus. refectorium: 12. 13, 14, 36, 52. Regio [Reggio E.] (de): v. Bartholo-meus. Ritius: v. Odoardus. Riçardus: 19, 51 Rolandi: v. Iohannes. Rolandinus de Vezano: 49. Rollandus de Pinu, presbiter: 49. sacrista: 8. 9. 10, 24, 42, 55; v. Iohannes presbyter. Salvaigis (de): v. Opiço. — 75 — Sancio Georgio (de): v. Iohannes. Sanctus Romulus [Sanremo] : 24. Sardinea [Sarr/eg/in | : 27. Savinus: 49 Segestro [Sestri L.] (de): v. Guillelmus. Scrino (de): v. Guillelmus. servientes canonicorum: 13. Stephanus prepositus: 3. 4, 37. 38, 41. Streliaporcus : v. Opiço. subdiaconus: v. Rartholomeus de Regio. Iohannes de Cameçana. Iohannes dictus Cardinalis. Petrus Cicada. Thedisius magiscola : 37, 41. Ubertus iudex de Novaria: 55. Upo presbyter: 55. Usus Becunarii : v. Ingo. Vallctario [Borgo Val di Taro] (de): v. Iohannes. lalperga (de): v. Iohannes. Vezano [Vezzano L.] (de): v. Ro-landinus. Ysrel de Luculo: 49. ALBERTO M. BOLDORINI SANTA CROCE DI SARZANO E I MERCANTI LUCCHESI A GENOVA (secc. XIII-XIV) . ■ I 1 j A metà del secolo XIII, « il secolo d’oro della potenza politica, economica, artistica di Lucca »1, i Lucchesi sono numerosi, attivi ed influenti a Genova. Le continue lotte contro la comune rivale. Pisa, avevano rafforzato sempre più l’unione tra le due repubbliche. La alleanza del 1239 2, rinnovata per dieci anni nel 1251 ed estesa anche a Firenze3, aveva permesso la riconquista di Lerici, donde i Genovesi, quale trofeo di vittoria, asportarono la famosa lapide che recava inciso nel marmo Podio ed il disprezzo pisano per Genova ed i suoi alleati Lucchesi e Portoveneresi \ La fratellanza d’armi, i pericoli ed anche gli interessi comuni avevano stabilito legami di profonda e sincera amicizia ; ne è prova anche un commosso racconto degli Annali del 1258, quando, oltre la crisi economica e finanziaria all’interno, i Genovesi dovettero subire anche le disfatte militari a S. Giovanni d’Acri e in Sardegna. Solo l’amicizia, e non il puro e semplice interesse, spinge i Lucchesi nel 1258 ad offrire spontaneamente 2.000 marchi d’argento ai « fratelli ed amici » del comune di Genova; solo l'amicizia, e non un atteggiamento di circostanza, spiega l’imbarazzo del Capitano del popolo, Guglielmo Boccanegra, che, in pieno Consiglio fatica a trovare le parole adatte per esternare, da una parte, tutta la gratitudine del Comune per la 1 A. Mancini, Storia di Lucca, Firenze, 1950, p. 109. 2 Liber Iurium. Reipublicae Genuensis, in H.P.M., I, Torino. 1854. doc. DCGL11I. Veramente questo documento riporta solo l'elezione degli ambasciatori lucchesi, incaricati di rinnovare l'alleanza col comune di Genova praesertim commerci causa. 3 Liber iurium cit., doc. DCCCXXIV; A. Mancini cit., p. 94. 4 Annali Genovesi di Caffaro e dei suoi Continuatori, a cura di Cesare Imperiale di Sant’Angelo, IV, Roma, 1926, pp. 19-21; V. Vitale, Il Comune del Podestà a Genova, Milano-Napoli, 1951. pp. 357-360. L’iscrizione è nota a tutti, perciò ci esimiamo dal trascriverla. — 79 — nobiltà del gesto, per declinare, dall'altra, l'offerta, senza deludere il desiderio sincero dei Lucchesi di essere d’aiuto 5. Intorno alla metà del secolo XIII è facile trovare cittadini lucchesi in posti di responsabilità nella vita pubblica genovese. Negli anni 1233, 1240 e 1248, tra i consoli dei placiti, si incontrano In-gueffredo del fu Gonella, Arinanno Antelminelli e Nicoloso Lucchese, quest ultimo collega del trovatore Lanfranco Cigala 8. Nel 125. e 1258. i primi due anni di governo del Capitano del popolo Guglielmo Boccanegra, Rainerio Rosso da Lucca è Podestà di Genova 7. Ma anche nella vita commerciale i Lucchesi sono presenti e molto attivi. L argomento ha interessato finora solo marginalmente gli studiosi; manca ancora un lavoro sintetico e completo che, riunendo i risultati di studi parziali già compiuti ed estendendo la ricerca anche a quei settori dell'attività commerciale e a quegli anni del periodo in questione ancora trascurati, dia un quadro esatto dell entità del commercio svolto dai Lucchesi a Genova 8. Quello che sappiamo, però, consente già di affermare che l'apporto lucchese al commercio genovese è tuttaltro che trascurabile. Dopo i Piacentini, ed insieme agli altri Toscani, i Lucchesi formano la colonia forestiera più numerosa; alcuni sono cambiatori e cedono, per importanza e mole d affari, soltanto all'agente dei Bonsignori di Siena, 5 Annali Genovesi cit.. pp. 36-37. V. Pooci, Series Rectorum Reipublicae Genuensis, in Leges Genuenses, in Torino, 1901, coll. 1014, 1020, 1029. A proposito di Nicoloso Lucchese cfr. A. M. Boldorini. Per la biografia del trovatore Lanfranco Cigala, in Miscellanea di Storia Ligure in onore di Giorgio Falco, Milano, 1962, p. 175 e sgg. 7 Annali Genovesi cit., pp. 27-30; V. Poggi cit., coll. 1035, 1036. 8 Nessuno studio tratta direttamente ed esclusivamente dell’attività commerciale dei Lucchesi a Genova verso la metà del secolo XIII. Nel Lopez, (Lattività economica di Genova nel marzo 1253 secondo gli atti notarili del tempo, in Atti della Società Ligure di Storia Patria (« A.S.LL »), LXIV. 1935) l’ambito cronologico della ricerca è troppo ristretto; nello studio di R. Doehaerd (Les relations commerciales entre Gênes, la Belgique et l'Outremont, Bruxelles-Rome, 1941), il panorama cronologico è molto vasto, ma non cosi quello geografico; e in tutta 1 opera vi è posto solo per alcuni brevi rilievi a proposito dell’attività dei Lucchesi. Infine, ancora nel Lopez (La prima crisi della Banca di Genova, 1250-1259, Milano, 1956), 1 indagine è rivolta alla sola attività bancaria. — 80 — Rofredo Bramanzoni, ed ai Piacentini9; altri sono in relazione con le fiere dell’Oltremonte e contribuiscono, dopo il 1250, in modo rilevante al grande sviluppo dei traffici genovesi con le Fiandre, il Brabante e la Germania l0; altri ancora concludono affari con gli ammiragli del re di Francia Luigi IX, Ugo Lercari e Iacopo da Levanto, incaricati di provvedere all’allestimento della Crociata 11. Essi si riuniscono normalmente nel campetto degli Stanconi, dove nella riunione del 2 gennaio 1253, eleggono i propri rappresentanti per trattare col comune di Genova l’esenzione piena e completa dalle imposte doganali12. Il dovizioso cartario del monastero benedettino di S. Stefano di Genova, ci offre la possibilità di aggiungere a quello che già sappiamo sulla vita e sull’attività dei mercanti lucchesi a Genova alla metà del secolo XIII, alcune notizie che riguardano la loro chiesa nazionale in questa città, e una controversia sorta, proprio per questa chiesa, tra i mercanti e l’autorità ecclesiastica, con l’intervento di papa Innocenzo IV. 1 documenti che pubblichiamo sono estratti dal Frammento di Poliptico di S. Stefano di Genova conservato nella Biblioteca Civica Berio di Genova, e daU’Archivio Vaticano 13. 9 R. Lopez, L'attività economica cit.. pp. 179. 188; cfr. anche i regesti di docc. riportati in appendice: atti dei nott. Gioannino Predone: 30, 124; Bartolomeo Fornari: 142, 161; Giovanni Vecchio: 24; Guglielmo da Pegli: 19. 10 R. Doehaerd cit., I, pp. 95, 171, 215. Cfr. anche i documenti segnati in nota alle stesse pagine. 11 L. T. Belcrano, Documenti inediti riguardanti le due Crociate di S. Ludovico IX re di Francia, Genova. 1859, doc. IX. 12 L'atto di elezione, interessante anche perchè fornisce molti nominativi per una indagine sulla consistenza numerica dei mercanti lucchesi a Genova, è edito in R. Lopez, L'attività economica cit., p. 179. n. 46. Come prova della possibilità, oltre che della opportunità di uno studio sulTattività commerciale dei Lucchesi a Genova nel sec. XIII e come prima informazione archivistica per chi voglia accingersi a questo lavoro, segnaliamo le seguenti fonti: Archivio di Stato di Genova, Cartul. 65, atti del not. Corrado da Capriata, ce. 3 v., 4 r., 8 v., 9 t;., 15 r., 17 v., 32 r.; Cartul. 62, atti del not. Angelino de Sigestro, c. 19 r.; Cartul. 5-i, atti del not. Giovanni Vegio, cc. 91 v., 92 r., 93 v., 99 r., 102 r., 122 r., 131 v., 144 r. 13 Frammento di Poliptico di S. Stefano di Genova, ms. dei secc.XII-XIII, in Biblioteca Civica Berio, 1.4-15; Archivio Vaticano, Reg. vat. 23, c. 213 v. La chiesa di S. Croce in Sarzano fu chiesa nazionale dei Lucchesi a Genova, probabilmente per un periodo ristretto, nel secolo XIII; qui, però, vogliamo esporre tutto quello, e non è molto, che siamo riusciti a trovare su di essa, sia prima che dopo tale secolo, per meglio inquadrare il suo « periodo lucchese ». ÿ $ Le notizie sulla chiesa di S. Croce in Sarzano, sebbene non molto numerose, ci permettono di delineare a grandi tratti tre momenti particolari della storia di questa chiesa. II primo momento è quello in cui S. Croce è rettoria di Santo Stefano. Nel 1158 è segnalata l esistenza di un ospedale detto di S. Croce in Sarzano perchè attiguo ad una chiesa di tal nome; lo stesso ospedale è ricordato anche nel 1191. ed è amministrato dal Capitolo di S. Maria di Castello 1J. La chiesa di S. Croce, invece, dipendeva dall abbazia di S. Stefano, ed esisteva già prima del 1158. Essa è ricordata, col nome di S. Croce de Castello lanue, in una bolla del 1135 di Innocenzo II, insieme ad altre chiese soggette all’abbazia benedettina10; con lo stesso nome si trova anche in un privilegio di Eugenio III, allo stesso monastero, nel 1145 16 ; ad un certo momento non solo l ospe- 14 N. Perasso. ms, del sec. XVIII, in Archivio di Stato di Genova, n. 845, f. 2 r., n. 7; G. Giscardi, Origine delle Chiese, monasteri e luoghi pii della Città e Riviere di Genova, ms. del sec. XVIII, in Biblioteca Civica Berio, II, 4, 9, pp. 142-144; M. Accinelli, Dizionario ecclesiastico di Genova, ms. del sec. XVIII, in Biblioteca Civica Berio, II. 4, 8. 15 J. V. Pfluck-IIarttunc, Iter Italicum, Stoccarda, 1883. n. 331; Ph. JaffÉ, Regesta Pontificum Romanorum, Graz, ristampa anastatica, I, 1936. n. 7 713. Notizia in B. Poch. Miscellanea di Storia Ligure, ms. del sec. XVIII. in Biblioteca Civica Berio IV, 1, 13, I, f. 19 r. I due appellativi di S. Croce in Sarzano e di S. Croce di Castello coincidono e designano la medesima chiesa perchè Sarzano era una spianata posta sotto il Castello : cfr. G. Poggi, Genova preromana, romana e medievale, Genova, 1914. pp. 2-22. 16 Copia manoscritta del sec. XVIII in B. Pocn cit., I, f. 19 r. Regesti in J. v. Pflugk-Harttunc cit., n. 421; Ph. JaffÉ cit.. II, n. 8778. Notizia in Storia cronologica dell'Abbazia e Chiesa di S. Stefano di Genova ricavala da antiche scritture ed iscrizioni, Genova, 1776, p. 5. Vi si dice anche che l’originale si trovava nell'archivio del monastero: ora è perduto. — 82 — claie, ma anche tutta la contrada avevano preso il nome dalla chiesa: dal secolo XIII esiste a Genova una contralti S. Crucis, che rivive, almeno in parte, nelle attuali piazza e via di S. Croce, nel quartiere del Molo l7. I'abate di S. Stefano aveva la completa amministrazione temporale della chiesa, mentre all’arcivescovo di Genova era riservala I amministrazione spirituale. All’abate spettava di diritto la scelta del rettore che, ad elezione avvenuta da parte del monastero, si presentava all Ordinario e riceveva da questi la giurisdizione per la cura animarum. Nell’esercizio del suo ufficio, quindi, il rettore dipendeva dall abate in temporalibus, e dall’arcivescovo in spiritualibus. II rettore, all atto della presa di possesso del suo beneficio, giurava di rimanere fedele al monastero di S. Stefano, di non alienare, senza autorizzazione, libri, vasi sacri, paramenti d’altare ed altre suppellettili, di eleggere la propria residenza presso la chiesa di S. Cioce, di non assentarsi, per nessun motivo, per un periodo di tempo superiore ai due mesi, senza il permesso dell’abate o del capitolo, di non sollevare opposizioni alla sua rimozione e sostituzione da parte del monastero, qualora egli avesse violato una delle clausole suddette. Santa Croce godeva, per concessione pontificia, di alcuni privilegi: non poteva essere interdetta nisi prò communi culpa cleri vel populi; nessun altra chiesa poteva essere edificala entro i suoi confini giurisdizionali; godeva del ius sepeliendi e pulsandi campànas, eccetto il sabato santo; era esente da qualsiasi imposizione di decime. Il suo rettore, però, non poteva amministrare l’estrema unzione 18. Il reddito annuo della rettoria ammontava, all’inizio della se-( onda meta del secolo XIV, a mala pena alle sei libre di genovini ; però nel 1386, per merito della saggia amministrazione dell’abate Giovanni, salì in poco tempo alla considerevole somma di 50 libre l9. 17 A. Pescio, I nomi delle strade di Genova. Genova. 1912. pp. 110-111; I). Castagna c M. U. Masim, Genova, guida storico-artistica. Genova. 1929. p. 107. 18 Per tutte queste notizie cfr. i documenti in appendice, ed inoltre G. Gi-SCARDI cit., pp. 112-1 14. 19 G. Giscardi cit., pp. 142-144. — 83 — Una sì florida situazione economica indusse nello stesso anno il monastero a trasformare S. Croce da cappella in priorato, come si vedrà più avanti. ❖ ❖ % Alla metà del secolo XIII è in atto una controversia che vede impegnati da una parte il comune di Lucca ed i mercanti lucchesi residenti a Genova, dall'altra l’arcivescovo di Genova ed i monaci di S. Stefano, con l’intervento finale e risolutivo di Innocenzo IV in favore di questi ultimi20. Il monastero di S. Stefano aveva concesso de facto e in perpetuum al comune di Lucca, cioè ai mercanti lucchesi in Genova, il patronato e gli altri diritti che aveva sulla chiesa di S. Croce. Abbiamo ricordato quali fossero questi diritti del monastero; la rinuncia ad essi equivaleva, in particolare, alla rinuncia alla elezione del rettore ed al controllo sull’amministrazione temporale della chiesa, con conseguente danno materiale e morale per S. Stefano. Come e quando tale situazione si fosse venuta creando, non possiamo sapere; è molto probabile, però, che ci si sia arrivati molto lentamente, poco alla volta, per negligenza e noncuranza dei monaci stessi. Ma non erano danneggiati soltanto gli interessi ed il prestigio dell abbazia, bensì anche quelli dell’ordinario di Genova, al quale, come si ricorderà, spettavano il conferimento della giurisdizione per la cura delle anime al rettore, presentato dal monastero, ed il controllo sull amministrazione in spiritualibus della chiesa. Nel 12.j2 1 arcivescovo di Genova, Giovanni di Cogorno 21, sostenendo che la cessione era avvenuta ad insaputa sua e del Capitolo genovese, 1 annullò. E probabile che l’arcivescovo avesse agito anche sotto le pressioni del monastero, perchè nella sua dichiarazione di nullità egli ebbe cura di mettere in risalto come la cessione al comune di Lucca avesse danneggiato il monastero di S. Stefano e come il suo annulla- 20 Per tutto quanto si riferisce alla controversia tra i mercanti e le autorità ecclesiastiche genovesi, a proposito della Chiesa di S. Croce, cfr. i documenti in appendice. 21 G. B. Semekia, Secoli cristiani della Liguria, I, Torino, 1843, p. 86. mento si imponesse per giustizia. L’arcivescovo si rivolse anche al papa, seguito, in questo ricorso, anche dal monastero. Innocenzo IV, in data 15 ottobre 1252, accondiscese alla richiesta. Con la conferma, da parte dell autorità suprema, della sentenza di nullità della cessione di fatto, non solo il monastero rientrava nel godimento di lutti i suoi dirilti su S. Croce, ma anche l'arcivescovo riotteneva I amministrazione spirituale, in quanto ritornavano in vigore le disposizioni delle bolle di Innocenzo II e di Eugenio III. Quale fu la causa dell’azione concordala dell'abate e dell’arcivescovo? Naturalmente va tenuta presente, prima di tutto, la questione di principio: 1 arcivescovo di Genova non avrebbe mai potuto accettare una situazione che gli imponeva di rinunciare ai propri diritti, come un fatto compiuto, senza previa consultazione e consenso. La questione di principio fu il motivo principale dell’opposizione dell ordinario genovese, ma non fu il solo; fu anzi la causa remota, che diede origine all’opposizione, ma non quella che provocò l’intervento. Occorreva un fatto concreto, un avvenimento, un « incidente» che, mostrando palesemente gli effetti negativi che la cessione dei diritti ai Lucchesi aveva avuto nella amministrazione economica e spirituale della rettoria, facesse apparire, anche sul piano pratico, più opportuno I intervento dell’autorità ecclesiastica, e maggiore la possibilità di successo. Se la questione di principio fosse stata I unica causa dell opposizione e dell’intervento dell’arcivescovo, perchè Giovanni di Cogorno, arcivescovo di Genova fin dal 1239, non era intervenuto prima? Eppure bisogna ammettere che. perchè si stabilisse una situazione di rinuncia di fatto ai propri diritti da parte del monastero di S. Stefano, e perchè se ne constatassero gli effetti negativi, dovette occorrere un certo periodo di tempo, probabilmente di anni. L « incidente », che provocò l’intervento arcivescovile, fu la condotta del rettore di S. Croce, Pietro da Rapallo. Costui aveva alienato, senza autorizzazione, alcuni paramenti sacri della rettoria, impoverendo il patrimonio della chiesa e danneggiando, di riflesso, il monastero di S. Stefano. Inoltre sembra che si fosse allontanato dalla sua sede, senza autorizzazione, per un periodo di tempo superiore ai due mesi, trascurando così la cura delle anime a lui affidate. 11 comportamento di Pietro da Rapallo fu il motivo prossimo che indussse all'azione l’abate e l’arcivescovo, perchè ambedue le autorità ecclesiastiche si trovarono di fronte a menomazioni palesi dei rispettivi interessi. Annullato l’acquisto di fatto dei diritti su S. Croce da parte del comune di Lucca, i mercanti lucchesi si trovarono nella necessità di trattare col monastero di S. Stefano. Nel novembre 1252 fu stipulato un accordo ; esso non ci è arrivato 22, ma dall’esame dei documenti contemporanei possiamo arguire quale fosse, almeno parzialmente. il suo contenuto. Ai mercanti era riconosciuta la facoltà di presentare al monastero un sacerdote quale candidato alla rettoria. il quale doveva essere accettato, eletto rettore ed insediato nel possesso del beneficio dall’abate e dal capitolo. Rispetto alla bolla di Eugenio III il monastero rinunciava, nel 1252, in favore dei mercanti, solo alla ricerca di un sacerdote « utile ed idoneo » alla carica di rettore, mentre riservava alla sua diretta ed esclusiva competenza 1 accettazione, l’elezione e l’insediamento. Il sacerdote eletto doveva giurare di rispettare l’accordo intervenuto tra il monastero ed i mercanti, di essere fedele all’abate e al capitolo del monastero, di risiedere abitualmente nella rettoria e di non alienare le proprietà di essa. Nell accordo doveva essere contenuta anche una clausola particolare, a proposito del rettore Pietro da Rapallo che venne confermato nell’ufficio nonostante i suoi trascorsi. Nei suoi riguardi, però, si volle seguire una particolare procedura, come se egli venisse eletto allora: i mercanti, rappresentati dal loro capilaneus, Viviano Zembrini e da tre di loro, Bonaventura Gambaldo, Lamberto Locco e Bonfiglio Schitini23, presentarono il sacerdote Pietro da Rapallo all abate e al capitolo del monastero di S. Stefano, « eligendum et ponendum sive constituendum in rectorem et ministrum ecclesie Sancte Crucis de Sarcano » ; l’abate ed i monaci accettarono la presentazione ed elessero ed insediarono Pietro da Rapallo che giurò, come prima cosa, di approvare l accordo tra il monastero ed 22 All'Archivio di Stato di Genova non abbiamo trovato il cartolare di (rio-vanni de Clavica, il notaio che ha rogato l’accordo. 23 Viviano Zembrini faceva il banchiere: cfr. R. S. Lopez, La prima crisi cit., p. 41. — 86 — i mercanti e di rispettarlo sotto pena di cinquanta libre di genovini, poi di accettare tutte le sanzioni che all’abate sarebbe piaciuto prendere nei suoi riguardi a motivo delle mancanze commesse, infine di restituire entro un mese le suppellettili della chiesa da lui alienate od altre di equivalente valore. Il monastero annesse molta importanza a tutti questi atti, dalla presentazione dei mercanti lucchesi al giuramento di Pietro da Rapallo, perchè chiamò ad assistervi tre dei più famosi giudici di quel tempo, molto noti anche nella vita politica, Guglielmo da Quinto, Ferrario de Castro e Simone Tartaro24. Sembra che la controversia finisse qui. Non sappiamo per quanto tempo S. Croce di Sarzano rimase la chiesa dei mercanti lucchesi in Genova. Nel secolo XIV essa diventò priorato di Santo Stefano 25. 5): % & Nel 1386 il reddito annuo della rettoria di S. Croce era salito a 50 libre di genovini mentre solo qualche anno prima era ancora di sei libre. Questo aumento era dovuto unicamente alla buona amministrazione di Giovanni, abate di S. Stefano. I monaci, allora, chiesero al papa Urbano VI che si degnasse di erigere la chiesa di S. Croce in priorato del monastero di S. Stefano e che permettesse 24 Cfr. tutte le negoziazioni contemporanee riportate in Liber Iurium cit. Pietro da Rapallo era rettore di S. Croce ancora nel 1257. Riportiamo due documenti di tale anno che lo riguardano e che ci illuminano sulle relazioni di dipendenza del rettore di S. Croce dal Monastero di S. Stefano : A.S.G.. Cartul. 54, alti del notaio Giovanni Vcgio, cc. 46 v., 48 r. : « + In presentia testium infra-scriptorum presbyter Petrus, minister ecclesie sancte Crucis, concessit Nicole Bergo-gnono quod possit vendere presbytero Alberto de sancto Wilielmo hedificium domus quod habet super terram diete ecclesie. Actum Ianuc. in claustro canonicorum Ianue. Testes Dondeus et Iohannes de Castro scriba, m.cc.lvii. indictione xmi, die xxiii marcii, inter nonam et vesperas ». « -f In presentia testium infrascriptorum domnus Iacob, abbas monasterii sancti Stephani lanuensis, concessit Nicole Bergognono ut possit vendere hedificium domus quod habet super terram ecclesie sancte Crucis, salvo iure dicte ecclesie. Actum in palatio dicti monasterii, testes magister Iacobus canonicus sancti Donati et presbyter Sylus. m.cc.lvii, indictione xmi, die xxv marcii inter nonam et vesperas ». che la chiesa fosse amministrata non più da nn sacerdote diocesano, ma da un monaco di S. Stefano col titolo di priore. Le ragioni che i monaci portavano a sostegno della loro richiesta, meritano di essere riferite: il monastero necessitava di un luogo salubre dove i monaci potessero recarsi a ritemprare la propria salute compromessa « frequentibus infirmitatibus quas... consueverunt incurrere », traendo giovamento dal cambiamento d’aria, e di un luogo separato dove si potessero isolare i monaci colpevoli per una efficace correzione, come consigliano anche i Santi Padri. Urbano VI accondiscese alla richiesta e mandò a Guglielmo, vescovo di Ancona, residente, allora, in Genova, che desse esecuzione alla concessione. II 13 settembre 1386. alla presenza anche dell’arcivescovo di Genova Giacomo Fieschi26. la chiesa di S. Croce fu eretta in priorato di S. Stefano. Non si sa se nel 1386 S. Croce fosse ancora la chiesa dei mei canti lucchesi in Genova (di essi non si fa menzione nella bolla di Urbano VI); comunque, se ancora lo era, l’erezione della chiesa in priorato mutava profondamente i rapporti della chiesa stessa col monastero di S. Stefano e con l’arcivescovo di Genova. Con la nuo\a configurazione monastica assunta da S. Croce, difficilmente, rite niamo, ci sarebbe stato ancora posto per i privilegi dei menanti, concordati nel 1252. Conosciamo uno solo dei tanti priori che si succedettero m S. Croce: frate Simone da Chiavari, detto anche Simone Ravaschieri da Chiavari. Di nobile famiglia, priore verso la fine del secolo XV, egli divenne vescovo di Brugnato nel 1492, pur continuando a risiedere a Genova, in una casa attigua al priorato di S. Croce oppuie presso il capitolo di San Lorenzo. Morì nel 1502 e volle essere se 26 Giacomo Fieschi fu arcivescovo di Genova dal 1382 al ] 400 : cfr. G. Semeria cit.. I. p. 147 e sgg. Anche Urbano VI risiedeva a Genova nel 1386. G. Semeria cit., pp. 157-159; G. Coco, Delle relazioni tra Urbano VI e la repubblica di Genova, in Giornale Ligustico, XXII, 1897, p. 449 e sgg.. La bolla di Urbano VI si trova in G. Giscardi cit., pp. 142-144. Nell'elenco delle chiese c luoghi pii dell arcivescovado di Genova soggetti alla tassa imposta da Urbano VI nel 1387 < nominata anche la ecclesia sancte Crucis: cfr. L. T. Belgrano, Illustrazione del Registro arcivescovile, in A.S.Li., II, parte I, p. 377 e sgg. polto nella chiesa di S. Stefano. Era nipote di Leonardo Fornari, vescovo di Mariana in Corsica, nella provincia ecclesiastica ligure “7. Nel secolo XVIII, sulla parete di una casa posta alla sinistra di S. Croce, si leggeva ancora una lapide, scritta in caratteri gotici e senza data, ina che risaliva con ogni probabilità all’inizio del secolo XV, in cui si ricordava Antonio da Sarzano, uno dei Riformatori delle leggi civili nel 14 1 3 28. Nel secolo XVI la chiesa fu restaurata dal nobile G. B. Marchese 29. Nell’anno 1797 i monaci l'abbandonarono, e l’arcivescovo di Genova l’incorporò alla parrocchia del S. Salvatore 30. Attualmente di S. Croce in Sarzano esisterebbero soltanto alcune parti murarie, inglobate in costruzioni civili successive. 27 G. Giscamh cit.. p. 144. Cfr. anche P. Tomaini. Brugnato. città abbacale e vescovile, Documenti e notizie. Città di Castello. 1957. pp. 66. 200, 204, 253. 28 G. Giscardi cit., p. 144, dove si trova anche la trascrizione della iscrizione che riportiamo: Sepult. Antonii de Sarzano, heredis Antonii quondam Gui* lielmi. 29 Descrizione di Genova e del Genovesato, Genova, 1846, III, p. 142. con alcune inesattezze cronologiche. Cfr. anche G. Giscardi cit., p. 144. 30 Descrizione cit., p. 142. — 89 — . DOCUMENTI 1. 15 ottobre 1252. Innocenzo IV approva la dichiarazione di nullità emessa dall'arcivescovo di Genova circa la donazione dei diritti sulla chiesa di S. Croce di Genova fatta dal monastero di S. Stefano al comune di Lucca. Fonti. - A. L’originale manca. B. Copia in Archivio Vaticano. Reg. vat. 23, c. 213 v. (Imi. papae IV Bullae comm. et de Cur., a. X. n. 189). C. Regesto di B. in E. Berger, Les registres d'innocent IV publiés ou analysés d'après les manuscrits originaux du Vatican et de la Bibliothèque Nationale. III, Paris, 1807, n. 6046. Abbati et conventui monasterii Sancti Stephani lanuensis, ordinis Sancti Benedicti. Petitio vestra nobis exhibita continet quod vos patronatus et alia iura, que in ecclesia Sancte Crucis lanuensis habetis, communi Lucano de facto in perpetuum concessistis ; set venerabilis frater noster arcliiepiscopus lanuensis concessionem huiusmodi, que ipso et capitulo Ianuensi omnino irrequisitus facta fuerat et in preiudicium vestri monasterii redundabat, auctoritate ordinaria irritavit, iustitia exigente. Nos itaque, ipsius archiepiscopi supplicationibus inclinati, quod super hoc per eum provide factum est ratum et gratum habentes, id auctoritate apostolica confirmamus et cetera, atque concedimus. Nulli ergo nostre confirmationi et cetera. Datum Perusii, idibus octobris, anno x. 2. 30 novembre 1252. Viviano Zembrini, capitano dei mercanti lucchesi in Genova, e Bonaventura Gainbaldo, Lamberto Locco e Bonfiglio Schitini, mercanti lucchesi, presentano il prete Pietro da — 93 — Rapallo come candidato alla rettoria di S. Croce di Sarzano, cappella soggetta al monastero di S. Stefano; il monastero approva ed elegge rettore Pietro da Rapallo. Fonti. - A. C.opia autentica in Frani mento di Poliptico cit.. p. 34. B. Edizione parziale in S. Lancellotto, Historiae Olivetanae, Venezia. 1623. p. 329. Nos Vivianus Zembrini, capitaneus hominum Lucensium exi-stentium in Ianua mercandi causa, necnon ipsi mercatores, videlicet Bonaventura Gambaldus, Lambertus Loccus et Bonfilius Schitini, pro nobis et aliis mercatoribus Luccliensibus, presentamus vobis donno Ambrosio, abbati monasterii Sancti Stephani, et conventui \ estro presbyterum Petrum de Rapallo, eligendum et ponendum sive costituendum in rectorem et ministrum ecclesie Sancte Crucis de /arcano. Nos Ambrosius, abbas monasterii Sancti Stephani, Wi-lielmus prior. Iacobus, Arnaldus, Iohannes, Nicola, Çacharias, Nicolaus. Petrus et Thomas, monachi ipsius monasterii, acceptamus presentacionem quam nobis fecistis vos Luclienses de eligendo et constituendo per nos presbyterum Petmm in prelatura sive rectoria ecclesie Sancte Crucis de Sarçano, capelle spectantis ad ipsum monasterium. ipsumque elegimus in rectoria ipsius et eidem dictam ecclesiam tamquam rectori et ministro concedimus ipsumque ponimus in possessionem ipsius ecclesie ex nunc et ipsam ecclesiam concedimus eidem tamquam rectori. Actum lanue, in claustro dicti monasterii. Testes Guillelmus de Quinto iudex, Ferrarius de Castro iudex. Symon Tartarus iudex et Granellus de Rappallo. Anno dominice nativitatis m.cc.lii., indictione x, die ultima novembris, pulsante tercia. (S. T.) Ego Iohannes Vegius, sacri imperii notarius, rogatus scripsi. 3. 30 novembre 1252. Prete Pietro da Rapallo, rettore della chiesa di S. Croce in Sarzano, cappella del monastero di S. Stefano, accetta e ratifica la concessione fatta dal monastero ai mercanti lucchesi. Fonti. - A. Copia autentica in Frammento di Poliptico cit.. p. 35. — 94 — Ego presbyter Petrus (le Rappallo, minister et rector ecclesie Sancte Crucis de Sarcano, ratifico et approbo concessionem faciam per dominum abbatem et conventum monasterii Sancti Stephani Ia-nuensis, Luchensibus \ quod de bis plenius continetur in instrumento facto Wilielmi de Clavica notarii, promittens et iurans me non venturum contra ipsa pacta et concessiones vel convenciones. Alio-quin penam librarum quinquaginta ianuinorum vobis domino abbati stipulanti promitto; et pro predictis observandis et pena, omnia bona mea habita et habenda vobis pignori obligo. Actum Ianue, in claustro dicti monasterii. Testes Wilielmus de Quinto. Ferrarius de Castro et Symon Tartaro iudex et Granellus de Rapallo. Anno dominice nativitatis M. CC. lii, indictione x., die ultima novembris, pulsante tercia. (S.T.) Ego Ioliannes Vegius, sacri imperii 2 notarius, rogatus scripsi. 4. .50 novembre 1252. Prete Pietro da Rapallo, rettore della chiesa di S. Croce in Sarzano, cappella dipendente dal monastero di S. Stefano, giura fedeltà al monastero e si dichiara pronto ad accettare tutte le disposizioni dell’abate circa alcune sue mancanze trascorse. Fonti. - A. Copia autentica in Frammento di Poliptico cit.. p. 35. Ego presbyter Petrus de Rapallo imo, tactis evangeliis Dei. quod ab hac bora in antea ero fidelis et obediens vobis donno Ambrosio abbati vestrisque successoribus catholicis et capitulo huius monasterii Sancti Stephani, et honorem vel raciones huius monasterii non minuam neque minui faciam, possessionem et alia bona modo vel futuris temporibus ad ecclesiam Sancte Crucis pertinentia non alienabo sine licencia vestra vel vestrorum successorum vel capituli vestri, set custodiam vel defendam, sicut sunt libri, calix, pa-ramenta altaris et cetera, et de rebus ipsius ecclesie reddam racio- 1 Nel ms. segue ripetuto factam 2 Nel ms. segue ripetuto imperii — 95 — nem abbati monasterii quando ei placuerit; in predicta ecclesia Sancte Crucis continuam residenciam faciam neque occasione alterius ecclesie vel aliqua alia occasione eam ultra duos menses deseram vel dimittam, sine licencia abbatis vel capituli monasterii. Quod si contrafecero et abbas vel alius pro monasterio eandem ecclesiam locaverit aut locare voluerit alii, non contradicam. Et insuper iuro quod stabo in ordinamento uno et pluribus domini abbatis de omnibus excessibus quos feci dicto vel facto, in personis vel rebus ad dictum monasterium pertinentibus, tamen possit percipere usque dies octo et non ultra. Et dictus abbas precepit tunc ipsi ministro quod infra mensem unum restituat et redimat in ipsam ecclesiam omnia parainenta que eidem ministro alias fuerunt designata per ipsum monasterium, vel si non poterit illa, restituat alia eque bona loco ipsorum, salvis aliis preceptis que ipse abbas facere voluerit. Actum Ianue, in claustro dicti monasterii. Testes Wilielmus de Quinto, Ferrarius de Castro, Symon Tartaro iudices et Granellus de Rapallo. Anno dominice nativitatis m. cc. lii, indictione x, die ultima novembris, pulsante tercia. (S. T.) Ego Iohannes Vegius, sacri imperii notarius, rogatus scripsi. — 96 — GIOVANNA BALBI UOMINI D’ARME E DI CULTURA NEL QUATTROCENTO GENOVESE: BIAGIO ASSERETO . . I • I DA NOTAIO AD AMMIRAGLIO DELLA REPUBBLICA GENOVESE Verso la fine dell agitato secolo XIV in Genova, dopo che le antiche famiglie dei Boccanegra, degli Adorno, dei Fieschi, degli Spinola, avevano esaurito se stesse e le loro sostanze in lotte di rivalità partigiana e favorito l’avvento della prima dominazione straniera da parte di Carlo VI, re di Francia, emersero nella vita pubblica nuove forze e nuove famiglie che colmarono il vuoto lasciato dagli esuli o dai morti. Fra queste furono gli Assereto, di origine popolare, provenienti dalla Riviera di Levante, e precisamente da Recco e Rapallo, trasferitisi- da circa cinquanta anni in Genova. Al ramo di Rapallo apparteneva Biagio, colui che diede maggior lustro alla famiglia 1. anche se la sua figura ed il suo operato furono giudicati in modo assai contrastante dai suoi contemporanei e dagli storici1 posteriori. Noi, prima di pronunciarci, desideriamo tracciare un profilo dell’uomo e degli avvenimenti nei quali egli si trovò coinvolto. Già sul nome e sull’attività del padre esistono divergenze di opinioni 1 A giudizio degli stessi Assereto: cfr. R. B. Riccardo, Orazione per l'incoronazione del serenissimo Gerolamo Assereto duce dì Genova, in Orazioni panegiriche di diversi per l'incoronazione dei dogi di Genova. Genova, 1607, pp. 16-18, Alcuni storici genovesi (cfr. F. Federici, Abecedario delle famiglie genovesi, ms. dei secc. XVI-XVII, in Biblioteca Franzoniana di Genova, t. I, c. 203 r; lì. Foi.ietae, (.larorum Ligurum elogia, Genova, 1861, p. 63) sostengono — 99 — Biagio nacque da Costantino, figlio di Giovanni di Rapallo 3 e da Orietta di Bartolomeo Ghisolfi*. Costantino esercitava la professione di fabbro 5, ina non limitava la sua arte a saldar metalli o catenelle: aveva una spiccata attitudine a svolgere più complicati affari che lo portò ad essere eletto, nel 1396, procuratore dell arte dei fabbri, radunati nella chiesa delle Vigne in Genova 6. Da procuratore di quest'arte ad Anziano del Comune il passo fu breve in quell'epoca, in cui le varie energie non rimanevano sacrificate nel campo chiuso di una professione e gli affari pubblici non erano monopolio di una classe: nel 1399 fu eletto Anziano7, cinque anni dopo console della Ragione di Genova e distretto 8 ed infine, nel 1405, reputato idoneo all'ufficio di Salvatore del porto, importante magistratura, che aveva responsabilità sui moli, le galee e 1 emporio 9. A questa brillante carriera di Costantino avevano indubbiamente contribuito, oltre le doti personali, il fortunato matrimonio che egli fu fi"1 io di Durante Assereto fabbro, in realtà suo zio. perchè fratello del padre: cfr. Archivio di Stato di Genova (A.S.G.), not. De Compagnone Si-mone. filza 1 (1402-05), 4 maggio 1405. Il Fazio (B. Facii, De rebus gestis ab Al-phonso primo Neapolitanorum rege commentariorum libri decem, Lione, 1560, 1 il». IV, p 107) dice semplicemente liumili gente ortus. In tutti i documenti da noi visti, in cui compare la paternità, vi è sempre Blasius filius Constantini o quondam Constantini. Per le ricerche sui notai ci siamo serviti degli appunti del compianto ammiraglio Ugo Assereto, lasciati all’Archivio di Stato di Genova e inessi gentilmente a nostra disposizione dal prof. Giorgio Costamagna, direttore dell Archivio, al quale rivolgiamo i più vivi ringraziamenti. 3 A.S.G.. not. Revellino Cristoforo, filza 1, (1376-83), n. 2<7, 1° aprile 1381; not. Foglietta Oberto, filza 2 (1380-1404). n. 93, 13 marzo 1384. i A. Pescio, Il venerdì di Ponza, in II Secolo XIX, Genova, 23 gennaio 1927. 5 La professione di fabbro era diffusa fra gli Assereto; oltre a Costantino ed al fratello Durante, troviamo anche un Gaspare (A.S.G., not. Gatto Bartolomeo, filza 9 (1400-06), 30 aprile 1400) ed un Raffaele (A.S.G., not. De Crosa Battista, filza 1 (1425-47), n. 62, 19 febbraio 1428). 6 A.S.G., not. Parisola Guirardo, filza 2 (1376-1427), 29 aprile 1396. 7 A. Pescio cit. 8 A.S.G., not. De Erzeni Lazzarino in not. De Bozolo Gianotto, filza 3 (1393-95), c. 233 r. 9 A. Pescio cit. — 100 — con Orietta Ghisolfi, che l’imparentò con questi potenti e ricchi cittadini genovesi, che, da privati mercanti presso i Mongoli di 1 ersia, si erano impadroniti di Matrega ed erano divenuti signori di questa importante colonia sullo stretto di Jenihalé, tra il Mar Nero ed il Mar d’Azof 10. Dalla loro unione nacquero due soli figli: Battista e Biagio u. ÌNon si hanno notizie sull’anno di nascita e la giovinezza di Biagio: lo troviamo ricordato nel 1405 12 e poi in vari documenti del 1408 13, rogati nella curia vescovile e nel castello di Porto Maurizio, con il titolo di notaio e di cittadino genovese. Riteniamo quindi che Biagio fosse nato intorno al 1385, considerando che in Genova si diventava notaio intorno ai vent’anni14 e che nel documento del 1405 il nostro non aveva questo attributo. I' u dunque assente da Genova in quegli anni tumultuosi in cui la citta si liberò dalla dominazione francese, per passare sotto il go\erno del marchese Teodoro del Monferrato, perchè continuò ad esercitare la professione di notaio ancora nel 1411 15 e nel 1412-16, lontano dalla vita pubblica. Quando però sulla città cominciò a farsi sentire I influenza di Filippo Maria Visconti che. prima come alleato, poi come aperto nemico del doge Tommaso di Campofregoso, " (t. I. Bratianu. Recherches sur le commerce génois dans la Mer Noire au \lll siècle. Parigi. 192'); H. Lopez. Storia delle colonie genovesi, nel Mediterraneo, Bologna, 1938. 11 In nessun documento i due fratelli compaiono insieme: che Battista fosse fratello di Biagio è attcstato dall atto del notaio De Compagnone Simone (cfr. p. 1. nota 2). Biagio inoltre fu tutore di Isolda. figlia del quondam Baptiste (A.S.G., noi. De Bardi Luca, filza 3 (111.3-20). c. 164 r., 10 maggio 1123). J“ A.S.G.. Notai ignoti, filza 51. 11. 58. 4 aprile 1105. 13 A.S.G., not. Boccone Stefano, filza 1 (1406-67), 11. 179. 2 aprile; 11. 182. 2 aprile; n. 180, 10 aprile 1108. 1 A.S.G., Statuto dei notai, ms. dei seee. X'Y-XVl. 11. 65. c. 3 r. 15 A.S.G.. not. Canella Giuliano, filza 2 (1410-11), c. 101 r.. 29 aprile 1111. Si ricorda il testamento della defunta Caterina di Castronovo, scriptum et compositum manu Blasii de Axereto notarii. 1(1 A.S.G., 110t. Canella Giuliano, filza 3 (1412-13). c. 84 r.. 26 ottobre 1112. Si parla di un’accomenda iuxta formam publicam publici instrumenti scripti manu Blasii de Axereto notarii. — 101 — mirava alla conquista di Genova, Biagio Assereto apparve nella città. Si tratta indubbiamente di una coincidenza di date e di avvenimenti, ma è significativo e quasi presago della vera familiarità fra il Visconti e 1?Assereto il fatto che il suo nome sia, già fin d’ora, associato a quello del duca di Milano. Il 19 novembre 1421 infatti, con l'attributo di notaio.fu fra i testi che sottoscrissero alcune convenzioni fra il duca di Milano e alcuni cittadini genovesi per il ricupero dei loro fortilizi 17. In qualità di notaio, Biagio entrò nella cancelleria genovese e nel 1423 divenne cancelliere e collega di due fra i più famosi uomini politici e letterati genovesi del tempo: Giacomo Bracelli e Giovanni Stella. E‘ probabile che proprio la consuetudine e l’amicizia con questi due umanisti abbiano influito sulla formazione spirituale di Biagio e l'abbiano volto allo studio dei classici ed all'amore per l’arte, perchè il primo centro di cultura genovese sorse fra questi cancellieri del Comune, ai quali va il merito di aver contribuito al rifiorire delle lettere e dell'erudizione in Genova nei secoli XIV e XV. Il nostro uomo di lettere e cancelliere, che si affinerà in seguito durante i soggiorni milanesi al contatto con celebri umanisti e con abili uomini politici, firmò per quasi tutto l'anno il cartulario delle Apodisiae Magistrorum rationalium 18, non trascurando però i propri affari. Diede in affitto una sua casa con giardino, sita in San Francesco in Genova 19; riscosse dal banco di San Giorgio danari per la nipote di cui era tutore20; fece arrestare un certo Jacopo di Brignone per il quale aveva pagato una somma di danaro come fideiussore21; si preoccupò di nominare per sè due procuratori nel territorio di Porto Maurizio22. Godeva quindi di una certa agiatezza 17 L. Osio. Documenti diplomatici trulli dagli archivi milanesi, II. Milano 1869, doc. LV, p. 2, 19 novembre 1421. 18 A.S.G.. Apodisiae magistrorum rationalium, n. 110 (1423-25). 19 A.S.G., not. Villa Lorenzo senior, filza 3 (1418-23), n. 54, 29 marzo 1-123. L'atto è rogato in Genova, in contrala Sgutarie, in aula domus Dlasii de Axerelo. 20 A.S.G., noi. De Bardi Luca cit., cfr. nota 11. 21 A.S.G., Notai giudiziari, not. De Matteo Bartolomeo (1377-1426), 1° luglio 1423. 22 A.S.G., not. Boccone Stefano, filza l.p. 2a (1422-23), n. 181, 31 luglio 1423. — 102 — e forse in questo periodo, seguendo l’esempio del padre, Biagio consolidò la propria posizione economica sposando la ricca Pometta di Teramo di Moneglia 23. Il patrimonio dell’Assereto venne notevolmente aumentato dalla moglie e dal suocero, i quali, nel 1425, pagarono in sua vece il palazzo de Gretis con giardino in contrada Giustiniani agli Imperiali ed acquistarono vari luoghi del Banco di San Giorgio per un totale di 625 libbre di genovini 24. Anche Biagio non rimase inattivo: aiutato forse dai potenti parenti materni, i Ghisolfi, tentò nel 1423 la fortuna sul mare, non come mercante, ma come patrono: il mestiere più rischioso, ma anche il più redditizio in quegli anni in cui Genova vedeva nella forza navale l’unico mezzo per far valere i propri interessi1 davanti a Filippo Maria Visconti. In quell’anno però, per la successione del regno di Napoli, gli interessi del Visconti, favorevole agli Angioni, e quelli di Genova, avversa agli Aragonesi per tradizione e per necessità, specialmente dopo l’aiuto dato da Alfonso a Vincentello d Istria, parvero per qualche tempo collimare. Il Carmagnola, in quell’epoca governatore ducale in Genova, persuase infatti la città ad armare un potente esercito da inviare a Napoli, occupata dagli Aragonesi25. Nel 1423 furono armate tredici galee, di una delle quali era patrono l’Assereto, nominato anche cancelliere di tutto l’esercito26; la flotta partì da Genova il 7 dicembre, dopo aver atteso l’arrivo dell ammiraglio inviato da Milano, Guido Torello, inesperto di cose navali ed incapace di guidare una flotta27. Biagio dovette rimanere a Napoli per circa sei mesi, fino al termine cioè dell’azione offensiva Crediamo però che l Asserelo fosse già vedovo, avendo egli, in precedenza, sposato un’altra donna, da cui ebbe il primogenito Francesco o Franco. Infatti nei documenti, in cui si parla dei figli, si fa una distinzione fra il primogenito e gli altri quattro, Stefano, Battista, Ambrogio, Giuliano, nati da Pometta. 24 A.S.G., not. Villa Lorenzo senior, filza 3 (1418-23), n. 284, 7 marzo 1425; n. 285, 9 marzo 1425. 25 Giovanm Stella, Annales Genuenses continuati usque ad annum MCCCCXXXV, in RR. II. SS., XVII, Milano, 1730, col. 1288 A. 26 G. Stella, cit., col 1288 D. 27 G. Stella, cit., col. 1289 B. — 103 — contro Napoli, che si concluse con l’espugnazione della città 28, senza che i Genovesi ne ricavassero alcun frutto, specialmente a causa della discordia fra l’ammiraglio ed i patroni29. L’annalista Stella non ricorda Biagio tra i patroni che anticiparono, nell aprile del 1424, il loro ritorno, ed è logico pensare che, nella sua qualità di cancelliere delFesercito, egli non tornasse in Genova che il 26 maggio 1424, con tutta la flotta. Non fu un ritorno felice, perchè gli Anziani della Repubblica, malcontenti dell’ammiraglio Torello, non vollero celebrare il trionfo con la solennità consueta 30. La spedizione napoletana, anche se conclusa tra malumori e recriminazioni, segnò una svolta importante nella vita del nostro: ancora per tutto il 1424 egli fu cancelliere nellTJfficio della Guerra , ma con il nuovo anno, pur essendo rieletto cancelliere, divenne stabilmente patrono e proprietario di navi al servizio delia Repubblica. Forse si era appassionato alla vita sul mare e a Napoli, in mezzo alla discordia e alla diversità di opinioni esistenti fra 1 ammiraglio ed i patroni, aveva rivelato attitudini al comando e doti strategiche insospettate: così nel 1425. insieme con Pietro di Corrado Doria, Andreolo Doria, Babilano de Negro ed Andrea Spinola, patroni che avevano partecipato con lui all’impresa in favore di Giovanna di Napoli, era tra i comandanti pronti a salpare per qualsiasi impresa ove occorressero abilità e perizia marinaresca. Era allora necessario per Genova armare navi che cercassero di debellare ed allontanare quelle di Tommaso di Campofregoso, già doge di Genova ed ora signore di Sarzana, — e dei Fiorentini che, pur non osando avvicinarsi alla città, vagavano, già dall aprile 1425, lungo le coste della Riviera di Levante ed ostacolavano il commercio. Nel maggio anche Biagio era pronto a salpare con la sua galea; prima però il nuovo governatore ducale, Jacopo di Bo- 28 La città capitolò, il 12 aprile 1424, non solo per l'abilità degli assedinoti, ma anche perchè Iacopo Caldora, uno dei generali di Alfonso, abbandonò il re ed aprì le porte della città ai nemici. Cfr. Giornali napoletani dal MCCLXVI al MCCCCLXXVli 1, in RR. II. SS., Milano. 1732, coll. 1090 D - 1091 IL 29 G. Stella, cit., col. J 290 D. 30 G. Stella cit., col. 1291 A 31 A.S.G., Archivio segreto, Diversorum comunis Ianue, n. 14/509 (1425). doe. 266. c. 81 r., 23 novembre 1424. — 104 — logna, cardinale di Sant’Eustachio, e FUfficio della Guerra avevano ordinato al Banco di San Giorgio di restituire all’Assereto una somma di danaro sequestratagli ad istanza di Giovanni di Passano, collettore dei marinai, perchè ritenuta necessaria per l’armamento della galea 32. Ma la partenza è sempre rinviata, — forse per il solito ritardo nelle operazioni militari in attesa della decisione del duca di Milano. — sicché molte cittadine della Riviera, quali Recco, Rapallo, Sestri, Moneglia, assalite dalla potente flotta del Campofregoso e dei Catalani, che si erano uniti a lui, passarono al nemico 33. Così, ancora un mese dopo, il 15 giugno, le galee di Biagio e degli altri quattro patroni sono nel porto: sembra però imminente la partenza ed i comandanti ricevono l’ordine di non abbandonare, per nessun motivo, le proprie galee, pena 50 fiorini ciascuno 34. Il giorno dopo, il governatore e l’Ufficio della Guerra rincarano la dose obbligando i cinque, separatamente, a dormire sulle galee ed a impedire che qualsiasi socio o marinaio sbarchi, comminando inoltre ai patroni la inulta di 20 fiorini per ogni uomo che scenda a terra ed al colpevole l’amputazione delle orecchie35. Le galee infine partirono nell’estate 36, dopo che era stato inviato a Genova, per ovviare alla lentezza del governatore e preparare rapidamente la spedizione contro i ribelli, Oppizino di Alzate, che assunse il comando di tutte le forze navali e terrestri 37. La loro meta era la Riviera di Levante, passata al Campofregoso, ove riuscirono, bene o male, a riconquistare le città ribelli e ad allontanare le navi catalane. L'annalista Giovanni Stella non fornisce particolari su questa impresa, ma dobbiamo pensare che Biagio si battè con onore e valore, dimostrando perizia ed abilità tali che indussero il commissario ducale, Urbano di San Aloisio, e l’Ufficio della Guerra a stipulare con lui e con Pietro ed Andreolo Boria, l’ll settembre 32 A.S.G., Diversorum n. 14/509. doe. 178. c. 56 v.. 15 maggio 1425. 33 G. Stella cit.. còl. 1293 E. 34 A.S G., Diversorum, n. 14/509. doe. 234. c. 71 v., 15 giugno 1425. 35 A.S.G., Diversorum, n. 14/509, doe. 226. c. 69 r.. 16 giugno 1425. 36 G. Stella cit., col. 1293 A. 37 G. Stella cit., col. 1294 B-C. — 105 — 1425. una convenzione per rimanere con le loro galee al servizio della Repubblica. Da una parte si promette di concedere a ciascuno dei patroni 50 libbre di genovini e la somma per 100 biscotti per ogni galea prò adiutorio, mercede vel etiam mutuo vel stipendio suo et dictarum galearum ; dall altra Pietro, Andreolo e Biagio si impegnano a tenere le galee pronte e bene armate per obbedire agli ordini del governatore ed andare per 12 giorni dove e come egli vorrà. Trascorsi i 12 giorni, i patroni saranno liberi nelle loro azioni, purché si dirigano contro i nemici del duca di Milano e di Genova con le loro galee; inoltre, se qualcuno di loro guadagnerà più di 2000 libbre di genovini, sarà obbligato a restituire le 50 libbre, ricevute a mutuo, ma non regalate; chi non supererà quella cifra, le consideri avute non a mutuo, ma donate per stipendio ed aiuto delle sue galee; in ogni caso tutti avranno avuto sempre in dono la somma per i biscotti 3S. Non è volutamente indicato quale fosse 1 incarico dato ai tre patroni e quale la loro meta: probabilmente Chiavari o qualche località della Riviera di Levante, dati i pochi giorni a disposizione. La situazione in Genova andava sempre più aggravandosi nel 1426: da un lato Filippo Maria Visconti, nell’aprile, firmò ed impose anche ai Genovesi, contro la loro volontà, la pace con Alfonso d Aragona, al quale concesse anche di presidiare per un certo tempo Lerici e Porto Venere39; dall’altro Àbramo di Campofregoso, fratello di Tommaso, penetrò nottetempo in città, il 9 settembre, da do\e fu cacciato con molta difficoltà40. In conseguenza forse di queste traversie Biagio non si allontanò dalla città per tutto 1 anno, firmò il cartulario delle Apodisie Magistrorum Rationalium 4\ scrisse deliberazioni per controversie di danaro42, approvò con 1 altro 33 A.S.G., Diversorum, filza 3, n. 3023 (1425-26), 11 settembre 1425. G. Stella cit., col. 1295 D. Cfr. anc he I registri delVufficio degli statuti di Milano a cura di N. Ferorelli, Milano. 1926, p. 38. 4 aprile 1426. 40 G. Stella cit.. col. 1296 D. A.S.G., Apodisiae magistrorum rationalium, n. Ili (1426-27). 42 A.S.G., Diversorum, n. 18/513 (1428-30), doc. 254, c. 97 r., 27 aprile 1 1—8. si ricorda una deliberazione scritta manu Blasii de Axereto, anno MCCCCCXXVI die XlIIIa octobris. — 106 — cancelliere, Giovanni Stella, la risposta che Genova diede il 2 settembre al sindaco di Venezia inviato dal doge, Francesco Foscari, per risolvere rivalità di commercio sorte a Tunisi ed a Cadice fra Genovesi e Veneziani. Di queste lettere lo stesso Biagio e Giacomo Bracelli fecero copia, apponendovi in calce il loro segno di tabel-lionato come notai43. Nel frattempo la città continuava a stare in allarme a causa del Campofregoso, più che mai deciso ad abbattere la dominazione viscontea ed a riconquistare il potere: si prevedeva che prima o poi, forte degli aiuti fiorentini, egli avrebbe sferrato un attacco alla città, e si prendevano le necessarie precauzioni per ostacolare il congiungimento delle forze dei due nemici alleati. Il 7 gennaio del nuovo anno, 1427, Opizzino di Alzate ed il Consiglio degli Anziani decisero di organizzare la difesa e pagare in anticipo quei cittadini qui nuper de eis fidem suo proprio nomine fecerunt ; tra costoro appare anche l'Assereto al quale spettano circa 1040 libbre per le sue prestazioni44. Da una serie di documenti conosciamo poi quale fosse lo stipendio mensile di Biagio, — e pensiamo anche degli altri patroni al servizio della Repubblica, — per tenere equipaggiata ed armata una galea. Per gennaio ricevette solo 1040 libbre, in considerazione del fatto che il mese era già iniziato; per il secondo mese, febbraio, gli vennero invece pagate dal governatore e dal consiglio degli Anziani 1500 libbre da prendere iis debitoribus avarie de proximo aperiende, quos ipse Blasius in eius racione cassari maluerit45. Durante quest'ultima riunione l'Assereto fece presente che il suo secondo stipendio sarebbe terminato il 24 febbraio e che tuttavia, per il bene della Repubblica nella difficile situazione del momento, egli avrebbe continuato a mantenere in servizio la sua galea a proprie spese fino all’inizio del terzo mese di stipendio, il primo marzo, senza chiedere un contributo ; ma gli Anziani proposero aU’Ufficio della Guerra di risarcirlo, almeno degli alimenti per il mantenimento della ciurma in quei giorni46. 43 A.S.G., Diversorum, filza 3. n. 3023. doe. 237. 2 settembre 1426. Le copie della risposta, fatte da Biagio e dal Bracelli, sono invece del 21 novembre. 44 A.S.G., Diversorum, n. 16/511 (1427), doc. 5, c. 2 i\. 7 gennaio 1427. 45 A.S.G., Diversorum, n. 16/511, doc. 60, e. 27 v., 22 febbraio 1427. 46 A.S.G., Diversorum n. 16/511, doc. 60b e 60c, e. 27 v„ 6 marzo 1427. — 107 — Per quasi tutto Tanno l’Assereto fu in mare con la sua galea spostandosi fra Genova e Pisa lungo la costa, per incrociare le navi inviate da Sarzana e da Firenze in aiuto di Tommaso di Campofre-goso, che sin dal luglio si era trasferito con il suo esercito a Quarto in prossimità di Genova, in attesa di cogliere il momento opportuno per sfondare la resistenza genovese presso le mura e far insorgere la città 47. Due furono i fatti in cui si distinse Biagio: la cattura di Pe-tmccio Verro e quella di due navi fiorentine. Il primo episodio non è menzionato negli Annali, ma è ricordato da Giacomo Bracelli, il quale avrebbe potuto ascoltarlo dalla voce dello stesso amico cancelliere. Petruccio Verro, corsaro di origine catalana, già da tempo assaliva i mercanti genovesi che percorrevano le coste del Tirreno ed ora era al servizio dei nemici di Genova, avendo allestito a Pisa una trireme per portare aiuti ai castellani della costa fino a Porto Talamone. In quelle acque incrociava la galea di Biagio, che Petruccio tentò invano di catturare bersagliandola di frecce; la trireme del corsaro fu arpionata ed egli costretto a combattere con l'equipaggio di Biagio che ebbe la meglio e costrinse il nemico alla resa. L'impresa procurò al nostro molta considerazione nell’ambiente marinaresco48; un po diversa, ma ancora più laudativa è la narrazione del fallo da parte degli storici posteriori 49. Il secondo episodio, di ben maggiore importanza, perchè decisivo per la vittoria contro i ribelli secondo il giudizio di Giovanni Stella, è invece ricordato negli Annali. Giovanni di Raffaele Mon-taldo e 1 Assereto si trovavano con le loro galee, il 14 settembre, 47 G Stella cit., col. 1297 D-E. 48 G. BracèLLI. De bello hispaniensi libri quinque in Lucubrationes, Parigi. 1520. 1. 3°. f. 25. I,impresa è ricordata anche in un documento ufficiale del 1434, con il quale si concedono immunità fiscali ed attestati di benemerenza al marinaio genovese lacobo de Marchisio, il quale fu in galea Blasii de Axereto tunc cum galea Petrucii Verri. Pisis etiam armata, (di eo capta est. Cfr. A.S.G.. Diversorum. n. 21/516 ( 1434-35), doc. 98. cc. 41-42 v.. 23 aprile 1434. 49 G. A. Lengueglia, Guerre de' Genovesi contro Alfonso re di Aragona. Genova. 17 .. [s. d.J, p. 37; P. F Scribanis. Biagio Assereto in G. Grillo, Elogi di liguri illustri. I, Genova. 1946, pp. 185-193; A. Pescio cit. — 108 — nella zona delle Cinque Terre e precisamente fra Vernazza e Monterosso, quando avvistarono due galee fiorentine, armate a Pisa in soccorso dei ribelli accampati a Quinto. Con facilità le catturarono ed il giorno dopo le condussero prigioniere nel porto di Genova, fra l’esultanza dei presenti, protractis per mare vexillis hostium, ut mos est, in eorum vilipendium et ridiculum. Questo spettacolo atterrì talmente i nemici, che questi, in seguito anche ad altri scontri sfortunati per terra e per mare, si ritirarono da Quarto a Nervi, donde furono dispersi definitivamente all’inizio del 1428 verso Recco e Chiavari50. Ebbe così termine la lunga avventura di Tommaso di Campofregoso, in modo favorevole a Genova ed all’Assereto, il quale, anche se gli si ritardava il pagamento dello stipendio, alla fine del 1427 aveva armato una nuova galea. Il governatore ed il Consiglio degli Anziani si preoccuparono di tranquillizzarlo e, poiché egli non poteva condurre a termine Tarmamento della nuova galea, se non gli venivano pagate le 1040 libbre dello stipendio che ancora gli erano dovute, si impegnarono a liquidarlo al più presto 51. Allontanato il pericolo dei ribelli e l’imminente discesa in Valle Scrivia di Francesco Sforza contro di essi, Genova ebbe un nuovo governatore, il 28 febbraio 1428, nella persona dell'arcive-scovo Bartolomeo Capra, il quale, per le tristi condizioni economiche in cui l'estenuante lotta aveva ridotto la città, si accontentò di sole 7.000 libbre di genovini come stipendio per sè ed il suo seguito 5a. Il nuovo governatore, d’accordo con gli Anziani, decise di provvedere anche ad una riforma deH’amministrazione, scegliendo otto cittadini, incaricati di rivedere e modificare le varie magistrature, ai quali attribuì piena potestà e balia: il decreto venne steso, il 1° marzo 1428, per mano di Biagio 53 che, già all’inizio dell'anno, 50 G. Stella cit., col. 1298 A-E. 51 A.S.G., Diversorum, n. 15/510 (1126), doc. 378, c. 139 v., 26 dicembre 1427. 52 G. Stella cit., col. 1300 A-B; G. Giulini, Memorie spettanti alla storia, al governo e alla descrizione della città di Milano, n. e., Milano, 1854, VI, p. 301. 53 A.S.G., Diversorum, n. 17/512 (1428), doc. 248, e. 57 r., 8 marzo; doe. 277, e. 63 v., 23 marzo; doc. 312, e. 73 v., 21 aprile 1128. — 109 — in qualità di cancelliere, si era stabilito nella nuova sede della cancelleria M. Ci pare che proprio da quest'anno, cioè dalla nomina a governatore del Capra, si possa parlare di un accostamento dell’Assereto alla politica ed agli interessi dei Visconti, senza che egli venisse meno alla fedeltà ed ai doveri verso la propria città. Senza dubbio fu il Capra, per il quale anche in seguito Biagio, già signore di Ser-ravalle, avrà espressioni di stima, di riconoscenza e di amicizia, ad iniziarlo alle vie della diplomazia, affidandogli importanti missioni che lo portarono presso i pili importanti uomini del tempo e principalmente presso Filippo Maria. Non è quindi necessario parlare di tradimenti o rivelazioni di congiure da parte di Biagio per giustificare la familiarità e l’accordo che a poco a poco lo unì al duca: già da tempo il suo nome, in qualità di cancelliere della Repubblica, era conosciuto da Filippo Maria, al quale era senza dubbio giunta anche l’eco dell’abilità e dalla perizia dimostrata nell’impresa contro Alfonso d Aragona e contro Tommaso di Campofregoso. Quando poi Biagio andò personalmente a Milano e parlò con il duca, questo ultimo potè essere conquistato dalla parola dell’Assereto, che sapeva farsi intendere ed apprezzare sia dagli eruditi cancellieri, sia dagli indotti marinai. Probabilmente Filippo Maria, da uomo scaltro qual era, tutto volto alla creazione di uno stato territorialmente ampio e potente, dovette vedere nel patrono genovese uno dei tanti uomini che avrebbero potuto aiutarlo nella realizzazione del suo disegno e cercò quindi subito di accattivarselo. Per ora però Biagio continuò ad operare in Genova, dove erano ritornate la calma e la tranquillità, anche in seguito alla pace firmata dal duca di Milano e dai suoi aderenti con Firenze e Venezia 55. Il governatore si preoccupò di assicurare saldamente al proprio dominio le città costiere; ed a Recco, una delle località che maggiormente impensieriva il comune genovese per l’appoggio dato al Campofregoso, fu inviato come podestà e castellano TAssereto. 54 A.S.G., not. De Crosa Battista, filza 1 (1425-47). n. 62. 19 febbraio 1428. OJ G. Stella cit., col. 1300 D. Si traita della pace di Ferrara del 18 aprile 14-28. — 110 — Al nostro, che doveva pagare ogni mese venti stipendi di quattro libbre ciascuno, si indicò, il 3 maggio 1428, da dove avrebbe dovuto ricavare il denaro: dall’avaria ordinaria della podesteria di Reeco, da una nuova tassa di due soldi per ogni mezzaruola di vino che entrava nella podesteria, dalle condanne. Ma poiché si prevedeva che il gettito di tali imposte non sarebbe stato sufficiente a coprire le spese, si ordinò anche la diminuzione di 50 libbre del salario del podestà, cioè di Biagio, poiché egli percepiva contemporaneamente stipendio come podestà e come castellano. Anch’egli fu quindi vittima del regime di austerità istaurato da Bartolomeo Capra; gli si lasciò però mano libera nel territorio a lui soggetto, anche nel-1 imporre altri tributi, per raggiungere la cifra necessaria al pagamento delle paghe con la lata formula: complementum reperiatur per extraordinarium quomodolibet imponendum in dieta potè-staci a 56. L’Assereto però si spostava anche a Genova e il 22 giugno sottoscrisse con altri Assereto, nella chiesa di Sant’Ambrogio, un patto di amicizia e di buona vicinanza con la famiglia de Beraldis, promettendo oblio degli odi e delle inimicizie degli anni precedenti57. L’incarico di podestà e di castellano di Recco gli fu confermato anche per l’anno successivo: il 4 maggio 1429 il governatore e gli Anziani ordinarono al consiglio di Recco di curare l’applicazione dell imposta sul vino e di una nuova imposta di due soldi per ogni mina di grano entrato in quel territorio, per pagare lo stipendio del castellano, che era il nostro cancelliere58. L’Assereto continuò ad occuparsi assiduamente delle proprie faccende private, nominando, tra i propri parenti, procuratori fidati che curassero i suoi interessi. Probabilmente già dal tempo della spedizione nel regno di Sicilia egli aveva dovuto constatare quanti fossero colà i mercanti genovesi ; forse anch’egli si era dato al commercio. La pace, che Genova era stata costretta a firmare con il re d’Aragona il 9 maggio 1428 59. 56 A.S.G.. Diversorum, n. 17/512, inserto fra <•. 75 v. e c. 76 r. ~~ 57 A.S.G., not. Da Morano Martino legato con not. Camulio Giovanni, filza unica, 22 giugno 1428. 58 A.S.G., Litterarum comunis lamie, n. 1/1780 (1428-37), doc. 87. 4 maggio 1429. 59 G. Stella cit., col. 1300 D-E. — Ili — aveva senza dubbio favorito la situazione commerciale, e Biagio ne a^-eva approfittato, potenziando la propria attività e ponendo il centro dei suoi affari in Agrigentina urbe et terra Sotera. Ma la sua assenza dal territorio siculo aveva fatto si che i debiti non gii fossero pagati, e quindi egli decise di inviare nel regno di Sicilia, come procuratore. Cristoforo Assereto. L'invio del procuratore fu preceduto da tre lettere che premurosamente, il 26 marzo 1429. il governatore Bartolomeo Capra ed il Consiglio degli Anziani indirizzarono rispettivamente ai consoli genovesi in terra siciliana, a Nicolò de ^pali. viceré del Regno, ed al capitano di Agrigento. Ai consoli si scrive che le gre gius cancellarius noster B Iasius, un tempo mercante nel regno di Sicilia, deve ancora riscuotere quanto gli è dovuto, e ?i ordina di aiutare il di lui procuratore in tutti i modi 6°. Al viceré, si raccomanda Cristoforo, inviato colà perchè 1 egregius cancellarius noster et devotus ducalis B Iasi us. occupato altrove, non può andare di persona a saldare i propri crediti Al capitano di Agrigento infine il governatore personalmente raccomanda ed affida Cristoforo, procuratore carissimi cancellarii nostri viri egregii Blasii de A .vere to 62. Ci è sembrato opportuno riportare alcune frasi delle tre lettere per mettere in risalto i termini familiari usati dal Capra nei con fronti dell'Assereto. che già in quest'epoca venne impegnato in ducalibus negociis estranei alla pura attività marinaresca. Anche ?e nel 29 egli divenne patrono di un altra galea del Comune, riparata dal suo congiunto Peliegro Assereto€3, gli affari sopra citati ?ono probabilmente la podesteria di Recco e 1 invio a Lucca. L'incarico a Recco gli dette però varie preoccupazioni, perchè nel 1430. nonostante tutta la sua buona volontà, egli non aveva ancora ricevuto il pagamento di quanto gli era dovuto. Il devotus servitor vir Bios lus presentò quindi una petizione al governatore ed e/> A.S.G.. Litterarum, n. 4/1730. doc. 54. c. 12». 151 A.S.G., Litterarum, n 4/1780. doc. 55, c. 12 v. A.S.G., Litterarum, n. 4/1780. doc. 56. c. 13 r. A„S.G., Diversorum, filza 5. n. 3025 (1429-30), doc. 38. 11 marzo 1429. Si tratta di una petizione di Pellegro Assereto. che, avendo eseguito riparazioni alla galf-a ?.opra citata, prega il Comune di pagargli il dovuto, in modo da poter saldare gli operai e tutti coloro che lavorarono alle sue dipendenze. — 112 — Srj/||i| ili IuIm'I I iflllillo I :0ll0M(!l iziruif IM*I II I il» (Il AwiHo A s,(, I )i nei mu n in fi I/ii ; n :m:\ ( M2'» 26) «lin 2.T7 7 • i ' 7. agli Anziani, facendo presente che Tanno precedente era stato nominato castellano e podestà di Recco e che, per far fronte al pagamento delle spese, gli era stato diminuito il salario di podestà; tut* tavia la situazione non si era risolta a causa degli uomini di Ca-mogli, i quali non pagavano la loro parte dell’avaria ordinaria. Scrupolosamente Biagio espose nella sua istanza i motivi addotti dai Camoglini per essere dispensati dal pagamento: la presenza nel loro paese di un castello bisognoso di riparazioni, i danni e gli incendi subiti, la povertà degli abitanti, il desiderio di essere staccati da Recco e di costituire con Santa Margherita una nuova podesteria. Questo stato di cose fece sì che Biagio, privatus solucione sui stipendii, pregasse il governatore e gli Anziani di intervenire di autorità in modo che egli e gli altri fossero liquidati. Non sappiamo come si risolse la questione, perchè questa fu demandata, il 2 maggio, al- 1 Ufficio di Guerra istituito contro i ribelli delle Riviere64. Nel luglio 1430 l’Assereto fu inviato a Savona e sulla Riviera di Ponente dal governatore, il quale risiedeva a Chiavari a causa della peste scoppiata a Genova già da un anno 65. Egli dovette recarsi presso Nicolò da Camogli e Matteo Doria, patroni di due navi, ai quali si impose di obbedire e di eseguire tutto quello che Biagio avrebbe riferito 66. L’ordine che il nostro trasmise ai due fu quello di ritornare immediatamente a Genova, perchè la loro presenza a Savona non era più necessaria 67. Poco dopo Biagio fu inviato come commissario a Portofino, importante località tolta ai Fieschi, che la tenevano sub cauta custodia, perchè sospetti di connivenza con Firenze. Occupò il castello, s’impossessò delle munizioni e degli arredi in esso reperiti e di una galea in allestimento nel porto. Contro questa appropriazione Gio- 64 A.S.G., Diversorum, filza 5, n. 3025. doc. 49. 2 maggio 1431. 65 G. Stella cit., col. 1301 D-E. L'annalista esalta in questa circostanza il comportamento del governatore Capra il quale, nonostante il consiglio di tutti ed il pericolo del contagio, rimase in città dall'agosto 1429. quando scoppiò l'epidemia, fino al luglio successivo, prodigandosi in opere di carità c di prevenzione contro il terribile morbo. 66 A.S.G., Litterarum, n. 3/1779 ( 1427-31), doc. 575, e. 247 r., 14 luglio 1430. 67 A.S.G., Litterarum, n. 3/1779, doc. 576, c. 247 r., 15 luglio 1430. — 113 — 8 vanni Antonio Fiesehi fece ricorso al comune per ottenere un indennizzo. Genova elesse come arbitri nella vertenza Saivago Sai vago e Nicolò Gambaro e, come terzo. Francesco Spinola, perchè essi non si trovarono d'accordo sulla sentenza. I tre, dopo aver ascoltato alcune persone, che furono presenti all’occupazione di Portofino, ed essersi informati sul valore di una galea in allestimento, dichiararono che si dovevano pagare al Fiesehi 2650 libbre di genovini come corrispettivo di tutte le merci, le munizioni e le suppellettili conservate nel castello, e di tutte le spese sostenute per la custodia e la riparazione del medesimo e infine come indennizzo della galea in via di allestimento. Si avvertì però che da tale somma si doveva sottrarre quanto, fino a quel giorno, era stato pagato o mutuato dalla Repubblica in favore del Fiesehi68. Sembra che tra la fine del 1429 e il 1430 un altra importante missione fosse affidata all’Assereto 69: quella di rappresentate Genova nel trattato di alleanza che essa stipulò con Lucca, dopo che la città toscana ebbe scacciato il proprio signore e tiranno, Paolo Guinigi, segretamente legato a Firenze. Dopo la pace di 1 errara e 1428 il doge di Venezia aveva chiesto a Marcello Strozzi, rappre sentante di Firenze, di castigare « quel tristo del signore di Lucca » ma i Fiorentini perseverarono nella loro politica e nel novembre del 1429, d'intesa con il Guinigi, contro cui si erano ribellati i Lue chesi, assediarono la città. Costoro, vedendo che da soli non avrei bero potuto resistere al potente esercito fiorentino e che Francesco Sforza, inviato contro il Guinigi, si era allontanato 71, si diedero a Genova, rappresentata appunto, nell’atto di dedizione, dall Assereto. 68 A.S.G., Diversorum, filza 5, n. 3025, doc. 76, 27 settembre 1430. La sentenza fu promulgata e pubblicata in questa data dal cancelliere Giacomo rac( 69 Diciamo « sembra », perchè nessun documento in merito è stato da no reperito. La notizia è riferita da: F. Federici cit.; G. Scriba (= L. T. Belgrano , Memorie patrie: Biagio Assereto, in Cafjaro, Genova, 19 febbraio 1882; A. Pesci cit.; C. Manfroni, Biagio Assereto, in Enciclopedia Italiana, IV, Roma, p. 996. 70 La frase è attribuita al doge veneziano. Francesco Foscari, nei Commentari di Neri Capponi: Cfr. E. LaZZARESCHI, Francesco Sforza e Paolo Guinigi. >n scellanea di studi storici in onore di Giovanni Sforza, Lucca, 1920. p. 40.5. 71 G. Stella cit., col. 1304 A-D. — 114 — I capitoli della nuova alleanza furono stipulati nell'agosto 1430 e riveduti nel gennaio 1431, ma in quest’ultima circostanza Genova fu rappresentata da Francesco Spinola 72. Genova s’impegnò a soccorrere con armi e viveri Lucca, che consegnò Pietrasanta, Motrone, 1 Avenza e Carrara, come pegno di 15.000 fiorini ricevuti a prestito /3. Rapidamente i nuovi alleati, al comando di Nicolò Piccinino, sconfissero i Fiorentini, prendendo loro tutto il materiale bellico impiegato nell’assedio e riducendoli a mal partito. L accordo stretto, nel gennaio 1431, da Siena e Lucca con il rappresentante genovese, Francesco Spinola, mirò ad isolare Firenze, chiusa fra città ora a lei ostili. Genova, — e più probabilmente Filippo Maria Visconti, — non paga di questo accordo, che la pose così favorevolmente in terra toscana, continuò aci allargare la propria influenza o con le armi, conquistando gli antichi territori soggetti a Pisa 74, o con la diplomazia, riuscendo a tirare dalla propria Ludovico Appiano, conte di Piombino 75. A lirenze non rimase che difendere Pisa e qui essa concentrò tutte le sue forze; Genova si aspettava questa mossa ed in quella zona inviò alcune galee, compresa quella di Biagio Assereto, per impedire 1 invio di rinforzi dalPesterno via mare76. All’Assereto. in qualità di patrono, Opizzino di Alzate e TUfficio di Balia ordinarono, il 21 aprile 1431, di stringere arctiore obsidione Pisa e di non allontanarsi da quel mare fino a nuovo ordine, esortandolo anche a colpire, di propria iniziativa, i nemici in qualsiasi maniera 77. Il nuovo ordine non tardò a giungere, il 27 dello stesso mese, 72 Archivio ni Stato di Lucca (A.S.L.). Capitoli. arm. 11. n. 79, cc. 10 v.- 11 v., copia capitulorum et fetlerorum nuper introitorum infra comune lanue et civitatem Lucanam. 73 A.S.L., Capitoli, arm. 11, n. 72. cc. 1 v. - 2 v., 10 ottobre 1430. 74 G. Stella cit.. coll. 1304 E - 1305 A. 75 G. Stella cit.,col. 1305 A-B. Per le successive convenzioni fra Genova e l'Appiano cfr. A.S.G.. Diversorum, filza 6, n. 3026 (1431-30), doc. 294, 29 giugno 1431. 76 L'Assereto dovette raggiungere Pisa il 9 aprile perchè in tale data, con l'attributo di notaio, fu presente come teste in un instrumentum fatto in Genova. Cfr. A.S.G., Diversorum, n. 19/514 (1429-46), doc. 7, c. 14 r. 77 A.S.G.. Litterarum, n. 3/1779, doc. 966, c. 395 r. — 115 — a Biagio e ad Angelo Gentile, anch’egli patrono di una galea. Si tratta di un vero e proprio piano di guerra, preparato dall’Ufficio di Balia genovese, ma che lascia tuttavia piena libertà di esecuzione ai due, qualora la loro esperienza e le circostanze suggeriscano di agire diversamente. A Genova si era saputo che una galea fiorentina, di ritorno dalla Spagna e da Aigues-Mortes, non aveva fatto scalo a Marsiglia e si pensava quindi che puntasse direttamente su Pisa: si affidava ai due patroni il compito di catturarla. Si suggeriva tuttavia di usare l'inganno, cioè di raggiungere, simulato itinere, la Capraia e di appostarsi ita ut a Gorgona videri non possit. L’impresa non doveva sembrare troppo facile: per questo si prometteva di armare a Genova una galea e di inviarla subito all’Assereto ed al Gentile, che venivano autorizzati anche a servirsi di altre navi genovesi impegnate in quella zona, per condurre a buon fine 1 im- no presa . Ma l'assedio andava per le lunghe ed in maggio fu inviala una potente flotta al comando di Bartolomeo de Fornari79; Biagio continuò a rimanere su quel mare ed a svolgere con Angelo Gentile, la sua missione. Ai due il governatore inviò, il 9 maggio, lettere con istruzioni da consegnare al capitano della flotta, anche se egli fosse momentaneamente lontano da Porto Pisano; per questo essi erano autorizzati a salire su di una galeotta o su di un brigantino per poterlo raggiungere più rapidamente 80. Venezia intanto, — com'era logico, — non rimase estranea a questa azione intorno a Pisa, ma segretamente inviò aiuti in terra toscana ; così durante le ostilità su quattro galee dei Fiorentini, catturate in varie circostanze dai Genovesi, furono trovati vessilli con l’immagine di San Marco, segno indiscutibile che le navi erano state armate a Venezia 81. Abbandonata poi questa tattica, Venezia, dopo aver rotto la pace che durava da tre anni, armò in maggio una flotta al comando di Pietro Loredano il Procuratore, con il pretesto di voler aderire alle richieste dei fuorusciti genovesi per liberare 78 A.S.G., Litterarum, n. 3/1779, doc. 982, c. 401 r27 aprile 1431. 79 G. Stella cit., col. 1306 A. 80 A.S.G., Litterarum, n. 3/1179, doc. 1006, c. 408 v., 9 maggio 1431. 81 G. Stella cit., col. 1305 A. — 116 — la loro citta dalla dominazione viscontea 82. Di fronte a questa minaccia, i Genovesi allestirono un’altra armata con a capo Francesco Spinola, la quale lasciò il porto, non ancora sufficientemente pronta, alla fine di agosto, per portarsi verso il golfo di Rapallo, dove erano convenute da Pisa le navi venete e fiorentine 83. Lo scontro fu disastroso per Genova: sette galee furono catturate, l’ammiraglio, tre consiglieri e sette patroni, fatti prigionieri, mentre i fuorusciti sbarcavano e s’impossessavano delle terre litoranee84. Pensiamo che anche l’Assereto abbia partecipato all’azione e sia stato proprio uno dei sette patroni caduti in mano dei Veneziani. Dobbiamo inoltre soffermarci su questo fatto per spiegare la cattiva fama che ne derivò al nostro. Narra Biondo Flavio che l’Assereto si sarebbe trovato in prigione a Venezia nel 1435 (sic) con Francesco Spinola dopo la sconfitta che questi ricevette da Pietro Loredano. Avendo lo Spinola detto che egli avrebbe potuto liberare Genova dal dominio visconteo, con I aiuto di Venezia, si sarebbe deciso che l’Assereto fosse rilasciato ed inviato a Genova, apparentemente per prendere gli accordi per il riscatto dei prigionieri, in realtà per accordarsi con Tommaso di Campofregoso, il quale però non avrebbe voluto dar fiducia alle proposte dell’Assereto ; allora Biagio per vendetta si sarebbe recato a Milano dal duca e gli avrebbe svelato tutto. Questa sarebbe stata la causa della fiducia nell’Assereto e della disgrazia dello Spinola presso Filippo Maria85. 82 G. Stella cit.. col. 1306 A; M. SANI’DO, Vilae ducorum venetorum, in RR.II.SS., XXII. Milano. 1734, col. 1014 E: «a 28 di maggio [1431] fu preso di fare una bella armata di mare contro a" Genovesi per liberare quella terra dal dominio del duca di Milano... Fu eletto capitano generale Piero Loredano il Procuratore ». 83 G. Stella cit., col. 1306 B-D; M. Sani'do cit.. col. 1018 C-E. 84 G. Stella cit.. col. 1306 1): captis ex paleis nostris VII ipsoque admirato captivo retento cum consiliariis tribus septemque patronis galearum suarum. Con una piccola variante al numero delle galee catturate la notizia è riferita anche dal Sanudo. Cfr. M. Sanudo cit.. col. 1025 B: «fu preso il capitano de' Genovesi, Francesco Spinola, con altri otto sopraconiiti di galere e le altre se misero in fuga ed andarono a Portofino ». 85 F. Biondo. Historié dalla declinazione dell'iniperio di Roma fino al tempo suo, Venezia, 1543, 11, p. 95. Esaminiamo ora con attenzione questo racconto, frutto, a nostro avviso, dell'avversione personale del Biondo verso l’Assereto e del suo legame con gli Spinola. Innanzi tutto il fatto non trova menzione nè negli Annali dello Stella, nè nelle Vite del Sanudo, ma solo presso il Biondo, storico di dubbia attendibilità per gli avvenimenti genovesi. In secondo luogo la prigionia dello Spinola non avvenne nel '35, ma tra la fine del ‘31 e l'inizio del ’32, nell'epoca in cui 1 ammiraglio e gli altri genovesi furono tenuti prigionieri nel carcere di Torricelle a Venezia S6. La data del '35 è però significativa: rivela che la narrazione del Biondo è il tentativo di giustificare la mancata elezione dello Spinola ad ammiraglio della flotta nel 35, essendogli stato a Milano preferito l'Assereto, e riflette pure il malumore dello Spinola per non essere stato compensato, dopo Ponza, alla stessa stregua del nostro 87. Ci pare inoltre che, se il duca fosse stato veramente informato di una congiura, non avrebbe esitato a colpire lo Spinola o almeno a farlo esonerare dalle sue funzioni in Genova, mentre invece continuò a servirsene al pari dell Assereto, come per l'impresa di Gaeta. E' certo, comunque, che l’Assereto rimase in carcere con gli al*rl prigionieri e, quando fu liberato, non venne forse direttamente a Genova, ma si fermò a Milano 88. In quest’occasione probabilmente conobbe il duca e dimorò alla sua corte, conquistandosi la benevolenza e la simpatia di tutti i cortigiani, oltre che dello stesso Filipp0 Maria. Il soggiorno nella capitale lombarda segnò una sosta all atti- 86 M. Sanudo cit., col. 1027 B. E facile dedurre questo dalle parole che il Biondo fa proferire allo Spi noia, in occasione della sedizione genovese del 1435 contro Filippo Maria Visconti: Ipsius [del duca di Milano] vero perfidia, ipsius solila erga omnes ingratitudine summa est factum, cives, ut quae infinita nostrae familiae, si meae contempsisset erga se merita, ad grati erga me animi significationem aliquam adducere nunquam potuerunt: concitaverint eum et armaverint in caput noslrum perditissimi hominis Blasii Agereti calumniae. Cfr. C. Braccio, Giacomo Bracelli e l'umanesimo det Liguri del suo tempo, in Atti della Società Ligure di storia patria, XXIII, 1890, p. 55. 88 G. Stella cit., col. 1310 E - 1311 A. L’annalista riferisce che lo Spinola fu liberalo nel luglio 1433 e che il 5 agosto giunse a Genova, accolto con grande simpatia; non fa invece menzione degli altri patroni. vita marinaresca di Biagio: nel ’32 e nel ’33 Genova dovette allestire parecchie navi e far ricorso a tutti i patroni per fronteggiare la nuova aggressione di Venezia e dei suoi alleati; e tuttavia il nostro non compare mai fra costoro89. Il governatore riteneva forse che egli sarebbe stato più utile agli interessi viscontei e di Genova presso il duca ? Effettivamente da quest’epoca Biagio alternò frequenti viaggi con soggiorni nella propria città, che si fecero sempre più sporadici, perchè egli divenne il corriere e l’ambasciatore fidato della Repubblica presso Filippo Maria e altri potenti signori. Così sul finire del 1432, quando Genova inviò una petizione al principe per ottenere l’autorizzazione a riscuotere i frutti degli antichi territori dei Fiesehi, cacciali dalle loro terre 90, si pensò di invitare Biagio a sollecitare la risposta del Visconti. A questo scopo il Bracelli scrisse, il 16 ottobre 1432, una lettera di carattere ufficiale, ed amichevole insieme, al collega cancelliere, allora a Milano. Il Bracell i si scusa con Biagio per non aver ancora risposto alle molte lettere dell’amico, ma afferma di avere spesso inviato sue notizie per mezzo dei Genovesi che si recavano alla corte viscontea. Continua le proprie giustificazioni con una frase, —in ea aula diver-saris in quam nuncii ac lillere toto prope ex orbe confluunt, — che è una chiara allusione alla posizione del nostro a Milano, ammesso ormai presso il duca e addentro nelle faccende più delicate. Ritenendo di aver spiegato abbastanza il motivo del proprio silenzio, il Bracelli passa ad esporre in breve la faccenda per cui si chiede a Biagio di intervenire presso il duca, per ottenere lettere patenti per l’occupazione e la riscossione delle antiche terre dei Fiesehi. L’esortazione di far sapere al più presto il risultato della missione ed un frettoloso vale chiudono la lettera91. Crediamo che Biagio riuscisse ad ottenere quanto gli era stato chiesto e continuasse a soggiornare a Milano o almeno a raggiungere frequentemente la città. Nell’aprile del 1433 egli era infatti lontano da Genova ed impossibilitato quindi a scolparsi dall’accusa 89 G. Stella cit., coll. 1309 E - 1310 B; col. 1310 D-E. 90 A.S.G., Litterarum, n. 5/1781 (1431-34), doc. 905, c. 320 r., 16 ottobre 1432. 91 A.S.G., Litterarum, n. 5/1781, doc. 906, c. 320 r., 16 ottobre 1432. — 119 — mossagli da un certo Lorenzo Martino, cittadino romano, di essersi impossessato insieme con Pietro Squarciafico, nell’anno precedente, di ottanta moggi di frumento di sua proprietà. In assenza dei due, gli Anziani di Genova ne presero le difese, indirizzando una lunga lettera al Pontefice. Si scusarono innanzi tutto di aver ricevuto solo da poco la lettera apostolica del settembre precedente, contenente 1 accusa, recapitata da un certo Giuliano Nicolò de Barattis, procuratore del derubato. Fecero però osservare che costui chiedeva per risarcimento 200 moggi di frumento o l’equivalente in danaro, mentre nella lettera apostolica si parlava soltanto di 80 moggi ; si riservarono perciò di eleggere nella controversia persone competenti, pur desiderando una rapida composizione della vertenza 9". L Assereto ricompare in Genova nel dicembre 1433, quando è inviato dagli Anziani presso Filippo Maria Visconti 93 e presso Nicolò Piccinino 9% luogotenente del duca e dal ’31 capitano generale delle truppe milanesi in Valle Scrivia e nella zona del Monferrato 9j, con incarico di riferire a voce alcune cose da parte genovese. Si raccomandò al principe ed al capitano di voler prestare la massima fiducia a Biagio, egregio viro, civi nostro carissimo, che si accingeva appunto a recarsi presso di loro. Crediamo che, dopo questa, un'altra importante missione sia stata affidata al nostro: quella di accompagnare a Chambery, in qualità di ambasciatore di Genova, la sorella del re di Cipro, venuta sposa al figlio minore del duca di Savoia e giunta a Genova nel dicembre 1433 96. 92 A.S.G., Litterarum, n. 6/1782 (1431-40), doc. 213, cc. 65 v. - 66 r.. 16 aprile 1433. Anche il documento n. 212 accenna alla medesima questione, ma e incompleto e cassato. 93 A.S.G., Litterarum, n. 5/1781, doc. 1364, c. 511 r., 12 dicembre 1433. 9,1 A.S.G., Litterarum, n. 5/1781, doc. 1365, c. 511 r., 12 dicembre 1433. 95 G. Stella cit.. col. 1307 B-Ü. 96 Nessun documento in merito è stato da noi reperito; la notizia sulla presunta missione dell"Assereto a Chambery è riferita dal Federici (F. FEDERICI cit., c. 203 t;.), dal Pescio (A. Pescio cit.) e dal Manfroni (C. ManfrOM, Bingio Assereto cit.). Fra il 33 ed il ‘34 vi furono effettivamente negoziati fra la Savoia e Genova con invio di ambasciatori cfr. F. Gabotto, La politica di Amedeo Vili in Italia dal 1428 al 1435 nei conti dell'Archivio camerale di Torino, in Bollettino — 120 — Ritornato a Genova, il 7 agosto 1434 Biagio fu teste con un altro cancelliere, Paolo Mainerò, nell’atto di nomina di Paolo Scipione ad ambasciatore di Genova presso Galeotto del Carretto, signore del Finale, per chiedere la evacuazione di Petra, Giustenice, Toirano, da lui abusivamente occupate97. Il giorno seguente egli prese una deliberazione in favore di un tale Pietro Liberato di Dolceacqua, marinaio della Riviera Occidentale. Da questo responso, estratto dagli atti pubblici della cancelleria genovese, apprendiamo che l’Assereto in quello stesso mese aveva emesso un decreto in favore dei marinai che volessero abitare lungo il molo. In virtù di questo, Pietro Liberato chiese appunto di poter abitare per 20 anni con la famiglia in città ; la petizione fu accolta e, dopo attento esame della questione e delle informazioni ricevute sul marinaio, Biagio ne autorizzò il trasferimento in Genova 98. Qualche mese dopo l’Assereto e Giacomo Bracelli raggiunsero Milano, come procuratori, attori e nunzi, presso il duca di Milano. Oldrado di Lainpugnano e il Consiglio degli Anziani, il 7 dicembre 1434, li inviarono al Visconti con un atto di procura, unito alla lettera di nomina, nel quale stava scritto il passo della missiva di Filippo Maria in merito alla questione per cui i due erano inviati. Inoltre a Biagio ed a Giacomo fu consegnato, in luogo del sigillo chiesto dal duca, un calco in cera rossa, racchiuso in una teca, affinchè il Visconti non potesse accusare i Genovesi di non eseguire gli ordini99. Ben presto però l’Assereto rimase solo a Milano a rappresentare gli interessi di Genova, perchè il Bracelli, ritenuto Storico Bibliografico Subalpino, XII, 1907, p. 195) od anche documenti genovesi parlano, nel luglio 1131. di un cancelliere inviato presso il duca di Savoia, ma genericamente e senza riferire alcun nome (Cfr. A.S.G.. Diversorum. 19/511. docc. 21 e 22. ce. 36 v. - 37). Ci pare, comunque, che l'occasione per l'invio del cancelliere sia stata offerta dallo sbarco a Genova della futura nuora di Amedeo Vili, accolta ed accompagnata a Chnmbery con grandi onori: cfr. G. Stella cit.. col. 1312 D. 97 A.S.G., Diversorum, n. 19/514, doc. 15, cc. 29 v. - 30 r. 98 A.S.G., Diversorum, filza 8, n. 3028 (1431-35), doc. 163. 8 agosto 1134. 99 A.S.G., Litterarum, n. 4/1780, doc. 559, c. 178 r. — 121 — utile in città, fu richiamato in patria dagli Anziani, il 15 dicembre 10°. Non sappiamo fino a quando egli si sia trattenuto a Milano, ma poiché in un documento del 10 luglio 1435 si invitarono i cittadini di Chiavari a ricevere con onore il nuovo vicario eletto, Zaccaria Spinola, allo scadere del mandato dell’Assereto o di chi Bo vernasse in sua vece, crediamo che non sarebbe stata fatta questa precisazione 101, se Biagio fosse stato effettivamente presente a Chia vari nell’esercizio delle sue funzioni. In realtà, proprio in luelio, egli, nominato ammiraglio per volere di Filippo Maria \ iscon stava provvedendo ad allestire la seconda flotta genovese contro re di Aragona 102. . Già prima, all’inizio di luglio, alla notizia della morte d' vanna II di Napoli, i Genovesi conoscendo le aspirazioni di su codesto regno e volendo prevenire il re, avevano inviato ^ Napoli l'ammiraglio Francesco Spinola con due navi carie ie ^ nizioni e viveri. Egli approdò a Gaeta, in soccorso ^ gione difesa da Ottolino Zoppo, ambasciatore di Filippo ar ^ ben presto, avendo Alfonso posto 1 assedio alla città an^e P6 nova si trovò chiusa la via del ritorno e dei rifornimenti • ^ intanto si decise di armare, a costo di enormi sacrifici, una s ^ spedizione al comando delFAssereto, eletto ammiraglio. La ^ di Biagio, avversata dai nobili, quali i Doria, gli Spinola, g i ria, i Fornari, abituati da secoli ad essere ammiragli de a ] ^ blica, piacque invece ai popolari, che per la prima volta vi e fidata ad uno di loro una carica così elevata10. Quando la forte di tredici navi grosse, fu pronta ed in procinto di sa p ^ scoppiò un violento temporale ed avvenne un fatto che suggerì 100 A.S.G., Litterarum, n. 4/1780. doc. 567, 15 dicembre 1434. 101 A.S.G., Litterarum, n. 2/1778 (1426-1605), doc. 105, cc. 41 ^ 10 luglio 1435. 102 G. Stella cit., col. 1316 B. 103 G Stella cit., col. 1316 A-C; S. Leccese, Il castello di Gaeta: notizie e ricordi, Gaeta, 1958, pp. 46-53, con ampia bibliografia. 104 G. A. Lengueglia cit., p. 68; C. Braccio cit., p. 52; A. Pescio cit. Il Fazio si limita a dire: faventibus quibusdam civitatis (cfr. B. Facii cit., p. IO?)- — 122 — molti Genovesi di rinviare la partenza: un fulmine precipitò sulla chiesa di Sant’Ainbrogio, — parrocchia dell’Assereto —, facendo cadere una grossa pietra. Il fatto fu ritenuto triste presagio per la flotta, ma Biagio, aiutato anche da un certo maestro Quirico Sacchi che, conoscitore degli astri, lo interpretò come segno che l’ammiraglio avrebbe condotto prigioniero il capo nemico, seppe dissipare il terrore, volgendo l’auspicio a suo favore con il dire che i tuoni erano annunzio di vittoria. I cronisti sono comunque tutti concordi nel dire che gli equipaggi erano restii ad imbarcarsi per il ritardo nei pagamenti e per il cattivo tempo e furono persuasi solo dal prestigio e dalla parola del nostro 105. Così il 22 luglio la flotta lasciò il porto e i Genovesi, per dies et noctes vivaci animo sagaciter navigantes, si diressero verso Gaeta. Qui la situazione era divenuta gravissima: gli assediati di giorno sostenevano l’assalto degli Aragonesi e di notte, sfidando il fuoco nemico, riparavano i danni arrecati ai bastioni dalle artiglierie avversarie. Francesco Spinola, l’anima della resistenza, che si battè strenuamente con i suoi Genovesi, in uno degli attacchi fu ferito ad una gamba, ma continuò a dirigere le operazioni. Sopraggiunta la carestia ed il contagio, egli fece uscire dalla cittadella donne e bambini con l'intenzione di abbandonare la fortezza imbarcando tutti gli uomini sulle navi genovesi. La mossa fu scoperta ed egli stesso fece affondare una nave, già colpita, per impedire agli Aragonesi di avvicinarsi ulteriormente dalla parte del mare. Non rimaneva che la resa, offerta agli assediati dal segretario di Alfonso, il celebre umanista Antonio Beccadelli detto il Panormita, e voluta dai Milanesi e dallo Zoppo; ma i Genovesi ed i Gaetani, contrari a questo alto, chiesero un mese di tregua, che fu loro rifiutato. Dopo il loro rifiuto di arrendersi, gli assalti ripresero più violenti, ma. ad infondere coraggio agli assediati, riuscì a penetrare in Gaeta un messo della Repubblica genovese, Benedetto Pallavicino, con il pretesto 105 II particolare del fulmine non è riferito dall'annalista Stella, ma dagli storici genovesi posteriori: A. Giustiniani, Annali della Repubblica di Genova. Genova, 1854, li, p. 332; G. A. Lengueglia cit.. p. 41: P. F. Sc.uibanïs cit., p. 188; G. SeRUA. Storiu dclVantica Liguria e di Genova, Capolago, 1835, III. p. 144; G. Scriba, La battaglia di Ponza, in Cafjaro, 4 agosto 1878; A. Pescio eil. — 123 — di indurli a deporre le armi, in realtà per esortarli a resistere, in attesa dell'imminente arrivo dei rinforzi. La sera del 4 agosto la flotta dell’Assereto apparve all’altezza delle Isole Pontine. Il re d’Aragona. confidando nella sua potente flotta, composta di 14 navi grosse, 11 galee e 6 borbotte, fece imbarcare i più autorevoli personaggi del seguito per farli assistere al suo trionfo e decise di dare battaglia. Secondo quanto narra l’Assereto nella sua relazione, egli mandò un messo al re per chiedere di potersi avvicinare a Gaeta, meta della sua spedizione, senza essere molestato ed attaccato; ma. di fronte alla tracotanza nemica e all’ingiunzione di ammainare le vele e di arrendersi, il nostro non esitò a tentare la sorte della battaglia. Adottando la consueta tattica genovese, che aveva fatto buona prova nei precedenti scontri, alla Meloria e a Curzola. l’Assereto divise la propria flotta, lasciando al largo parte della squadra da mandare all'attacco quando il nemico fosse già stanco. Si combattè aspramente per tutta la giornata del 5 agosto, ma infine le navi genovesi. meno ingombranti e manovrate più abilmente, riuscirono ad agganciare le imbarcazioni nemiche con grappini e catene, seminando panico e morte fra gli equipaggi con i loro numerosi balestrieri. Quando più terribile divenne Furto. l’Assereto, tempestivamente, fece avvicinare il resto della flotta rimasta al largo, che investì dall’altro lato la linea aragonese e decise della vittoria. La nave ammiraglia su cui stava il re, la Manana, fu incatenata e conquistata all'arrembaggio da quella di Biagio, mentre anche tutte le altre via via caddero in potere dei Genovesi: solo don Pietro, il fratello minore del re. riuscì a fuggire con due navi e si rifugiò ad Ischia. Furono fatti prigionieri gli altri due fratelli di Alfonso. Giovanni re di Navarra ed Enrico maestro di San Giacomo, il duca di Suessa, il principe di Taranto, il viceré di Sicilia, Meneguzzo del- 1 Aquila capitano di duecento lance e molti altri fra conti e baroni; Alfonso, non volendo arrendersi ad un popolare quale FAssereto, consegnò la propria spada ad un nobile genovese, Giacomo Giustiniani, della famiglia dei signori di Chio. La vittoria navale diede vigore agli assediati in Gaeta, che con un ardila sortita irruppero contro l’esercito nemico e lo sbaragliarono, impossessandosi di armi, munizioni, viveri e del ricchissimo — 124 — bagaglio del re abbandonato dai nemici in fuga. Poche ore dopo la sconfitta dell’esercito aragonese, giunsero nel porto di Gaeta le navi dell’Assereto, che, senza approdare, con i prigionieri ed il bottino, prese subito la via del ritorno 106. 106 L'avvenimento, oltre che dallo Stella (cfr. G. Stella cit., coll. 1316 C 1318 B) e dai vari storici genovesi citati nelle precedenti note, è descritto dalla relazione dello stesso Assereto e da un documento della cancelleria genovese (cfr. A.S.G., Diversorum, n. 21/516, doc. 533, cc. 208-209 v., 5 dicembre 1435). — 125 — II LA BATTAGLIA DI PONZA E LA RELAZIONE DELL’ASSERETO Della battaglia di Ponza, l'ultimo grande scontro navale genovese del medio evo. rimane la relazione, che l’ammiraglio genovese indirizzò, il giorno dopo la battaglia, a Filippo Maria Visconti, signore di Genova, ed agli Anziani della città. Ve ne sono tre redazioni: una in volgare, le altre due in dialetto, rispettivamente genovese e veneto. Quella in veneto, pubblicata dal Manfroni. è tratta dal Diario del concilio di Costanza del padovano Andrea Gatari 1. E* ovvio che 1 Assereto non scrisse in dialetto veneto, ma che il Gatari o qualche altro ve la adattò. E’ questa una prova della larga diffusione del nostro documento, che fu ritenuto di tale importanza da essere inserito, benché posteriore di parecchi anni, nel Diario del concilio di Costanza. La redazione in dialetto genovese, pubblicata e citata da molti storici locali2. deriva dalle Collettanee di Federico Federici. Costui. 1 C. Manfroni. Due nuovi documenti per la storia della murina italiana, in Giornale storico e letterario della Liguria. V. 1904. pp. 40_44. In fondo è aggiunto una specie di proscritto: « Item supplico, se doverano essere conduti a Milano [i prigionieri], che la Signoria \ ostra non mi voglia tuor el mio honor, ch'io sia quel che conduce ». 2 M. Giustiniani. Lettere memorabili, Roma. 1669, n. XXXVII. pp. 159-61; P. F. Scribanis cit.. pp. 158-59: L. T. Belgrano, Delle feste e dei giuochi dei Genovesi, in Archivio storico italiano, s. II, XIII, 1871, pp. 58-59; G. Scriba. La battaglia di Ponza cit.; G. Piastra, Biagio Assereto e la battaglia di Ponza, in Luci ed ombra della Superba. Genova. 1949. pp. 132-35; Migliorini-Folena, Testi non toscani del Quattrocento, Modena, 1959, n. 30, pp. 37-39. — 126 — che nella prima metà del Seicento compilò la propria opera, contenente notizie di storia genovese desunte da fonti disparate, vi inserì anche la nostra relazione, affermando di averla trascritta dall’originale conservato presso il patrizio genovese Marc’Antonio Lomel-lini 3. Sorge però il dubbio che l’asserzione del Federici, anche se in buona fede, non sia vera. Premettendo che non dovremmo stupirci di trovare un documento in dialetto in quel momento in cui si stava verificando il trapasso dal latino cancelleresco alla lingua unitaria italiana, ci sembra tuttavia strano che l’Assereto, notaio e cancelliere della Repubblica, abbia fatto uso del dialetto natio per una comunicazione di carattere ufficiale ad un principe, che di genovese doveva saperne ben poco. Egli usò invece la lingua, con la quale talvolta scriveva nel libro delle Apodisiae della cancelleria; ed anche in seguito fu sua abitudine, quando Biagio indirizzò lettere ad autorevoli personaggi, servirsi del volgare in cui si trovano espressioni dialettali, con l’intestazione e la chiusa in latino. Inoltre « l'intestazione della lettera in latino nel testo del Federici ed una specie di postscriptum anch’esso in latino sono di tale costrutto da poter essere difficilmente attribuite ad un notaio del Quattrocento » 4. Il Federici quindi, e con lui tutti gli altri che dissero la relazione scritta in volgare, non si accorsero che di genovese vi sono solo alcuni costrutti ed alcune frasi, specie del gergo marinaresco. Riteniamo quindi che l’Assereto abbia scritto, se non proprio in volgare, in quell'idioma cancelleresco della prima metà del secolo XV che. malgrado le espressioni dialettali, si avvicina al volgare. La relazione, che per comodità chiameremo in volgare, si trova in appendice a quattro codici degli Annales Genuenses di Giorgio e Giovanni Stella, uno pergamenaceo del sec. XV 5, gli altri tre car- 3 F. Federici, Collettanee, ms. del sec. XVII, in A.S.G.. n. 46. vol. II. e. 62 r. ■ v. 4 V. Vitale, La relazione di Biagio Assereto sulla battaglia di Ponza, in Bollettino Ligustico, V, 1953, p. 100. 5 G. Stella, Annales Genuenses. membr. del sec. XV, in Biblioteca Reale di Torino, St. p. 944. 3, ce. 262-263. — 127 — tacei del sec. XVII-XYIII6. Sui due apografi conservati a Genova il Vitale condusse la propria edizione7. Premesso che non basta una priorità cronologica fra codici per stabilire che l'uno sia più attendibile dell altro, noi riprodurremo il testo del codice pergamenaceo. che non presenta sostanziali varianti con quelli usati dal \ itale e che ha il vantaggio di essere stato scritto da un copista vissuto poco dopo questa vicenda. « Magnifice ac prestantissime domine mi singularissime ac speciales ac preclari cives présidés domini honorandissimi. Avanti che noi scriviamo altro alle Magnificencie et Spetabilità vostre, noi vi supplichiamo vi piacia reconoscere questa singular vittoria dall alto e sommo Iddio e dal vitorioso confarone nostro santo Georgio. per intercessione anchora del glorioso santo Doininico, nella festa del quale, in venerdì, fu la nostra assai crudele e sanguinosa battaglia, della quale noi, per divina gratia, siamo restati vitoriosi, non per nostri meriti, ma per buontà de Dio omnipotente, habbiando giusticia dalla nostra parte. Olimmo cum gaudio, vi notificheremo come al quarto giorno di questo mese, la matina per tempo intra l’aurora, noi habbiamo trovato in lo mare di Terracina, assai presso terra, potentissima armata del Rei di Aragona de navi quatordeci elette tra vinti, delle quali otto erano assai grosse, l’altre comuni, sopra le quali erano li Rei e lor baroni, come intenderete di sotto, con homini vitoriosi, per quel che possiamo sapere da elli, sì che la minor nave di quelle da ducento in trecento homini havia. l’altre più grosse da cinquecento in seicento, le reali navi da ottocento in mille, tra le quali era il Rei d Aragona, 1 Infante, il duca di Sessa, il principe di Taranto, il figliolo del conte di Fondi, il maestro di san Giacobo et oltra cento- 6 Giorgio-Giovanni Stella. Annales Genuenses, ms. del sec. XVII, in Biblioteca delle Belle Arti del Comune di Genova, n. C. 2 d. I. 1, cc. 237 b-238 (la relazione si arresta però circa a metà); Stella. Annales Genuenses, ms. del sec XVII, in Biblioteca Privata Avv. A. Vircilio - Genova, cc. 360 v. - 362 v.; Stella, Annales Genuenses. ms. del sec. XVIII, in Biblioteca Reale di Torino, St. p. 87. ff. 538-40 7 V. ^ itale, La relazione cit., pp. 99-104. — 128 — venticinque cavaglieri aureati; e con le dette nave erano galere doe, sei galeotte ben armate et era il levante al gaietano, sì che era in quel giorno con sua pose de investirne. Noi, habbiando in mento la comission vostra, non rendere battaglia. se altrimente era posibile dar soccorso a Gaetta, si siamo sforsati di tirarsi al vento e navigar verso Ponsa; et elle sempre ne seguitavano e molto presto le galere loro fuomo a noi, alle quali mandai il mio trombetta pregando la maiestà del Rei non ne volesse noxere, ma ne lassiasse andar a Gaetta e che l’illustrissimo signor nostro e la nostra communitade non vogliamo guerra con la sacra maestà del detto Rei. Rieri mattina, all’hora nona, il dì di santo Domenico, il predetto Rei ne manda un suo cavagliero, nominato Francesco di Capoa. al quale più largamente parlai con questa conditione, che noi non voleamo nè guerra, nè battaglia, ma volevamo in ogni modo andar a Gaetta e molte altre parolle secondo altre comissione che noi habbiamo. Ritornato il detto Francesco al Rei, lui hebbe ferma speranza che havessi paura, fecce dir tali parolle et ambasciate et incontinente rimandò un suo cavagliero col suo araldo, comandandomi dovesse mettere a basso le vele et amay-nar et inchinar al Rei. Intezo noi questo, statim sine mora, prima che 1 araldo se partisse da me, mandai il mio trombetta a tutti li nostri patroni, di nave in nave, notificando l’ambasciata e il comandamento del Rei. confortandoli dovessero far buon animo, che meglio era morir con honore che vivere con vergogna ; e subbito giustrato il trombetta alli padroni, notificata l'ambasciata, virilmente e con lieto animo vidi sopra qualunque nostra nave drisar penoni battaglieri, cridando in una voce sine fine « Viva sancto Georgio », e, datte Farmi in coperta, rimandai l’araldo al Rei. affermandogli come disposti erano d’andar a Gaetta. Et assai presto le nave loro col vento in poppa ne investirno con grandi cridi, trombette e tamburi, cridando « Battaglia, battaglia »; la nave nostra fu la prima investita dalla nave del Rei con tre loro nave grosse insieme e misseron loro ballò dove piacette allo scolaro di prora e, incatenate le nave loro con le nostre e perlon-gate amorosamente, habbiamo da popa un’altra nave e dall’altro lato un’altra, a prora un’altra, non credete che nostri patroni, offi-ciari, compagni, fugissero; ma molto tosto, levati in tre squadre, egli e noi legati, e incatenati insieme gratiosamente erano le galere loro dalle bande, restringendo tuttavia le loro nave, tirandole dove li piaceva perchè era in quel giorno grandissima calma. Finalmente l'altissimo et omnipotente Iddio, combatendo noi da bore dodici insino a ventidoe. senza intervallo nè riposo alcuno, hahhiando respetto alla santa giusticia. ne dede v ittoria primamente contra la nave del Rei. la quale noi habbiamo preso e cossi l’altre nave nostre contra nave undeci; si che in somma sono restate prese nave dodici dell annata del Rei et una sua galera brugiata e una infondo abandonata da elli. doe galere sono state divise dalla battaglia e sono scampate per portar la novella. E sono rimaxi prigioni el Rei de Aragona, el Rei de Navarra. l’infante, il maestro di santo Giacobo. il duca di Sessa, il prencipe de Taranto, il figliolo del conte di Fondi, il viceré di Sicilia et infiniti conti, baroni e gentil homeni e anchora Menegusso dell’Acquila, capitano di ducento lancie: li prigioni sono migliara de inigliara. Erano ancora sopra ìe predette navi preze liomini mille d arme della più bella e fiorita gente che sia al mondo, come sarete avisati quando haveremo più spacio di tempo. E per conforto de tutti noi e della nation nostra vi certifichiamo che non sapiamo da qual patroni overo nochiere debbiamo incominciar a dir le sue lodi delle loro marinarie e prodezze con grande obediencia e reverencia, che sono stati sempre dal dì che partemmo da voi sino al presente e maxime in quel vitorioso giorno «Iella battaglia, che se egli fusseron stati leoni ovvero liomini immortali o se havessero combatuto davanti all’illustrissimo signor nostro o alle vostre spettabilitade. non haveriano fatto più, nè altramente: edi meritano di essere laudati e recognosciuti singularmente. Non altro Giesù Christo ne conceda gracia, possiamo andare de bene in meglio. Data in nave nostra supra insula Poncie. octava idus augusti, anno Mccccxxxr. Devotus domini et spectabilitatum vestrarum Blasius Axeretus, capitaneus ac ductor dicte classi ». l a vittoria su Alfonso ebbe larga ripercussione alla corte vi->contea. ove alcuni fra i più celebri umanisti dell’epoca cantarono, qualche tempo dopo. 1 impresa e 1 ammiraglio vittorioso, venuto a Milano pressa il duca. — 130 — Ciriaco Anconitano si ispirò alI'Assereto ed a Ponza per la sua « Naumachia ». dedicata a Giove Tonante, in cui celebrò il valore e le \iilu del nostro latinizzandone il cognome in Agereus, dal dialettale «Axereo»; Matteo Vegio cantò il valore e l'amore per gli studi, dell ammiraglio vittorioso , pur fra le faccende di guerra 8. Nel 1436 Antonio Astesano scrisse un componimento che. fra tutti, è quello più aderente alla realtà dei fatti, ma anche il più interessato, perchè termina con l'apoteosi di Filippo Maria, che assiste ai trionfi navali dell’Assereto ed a quelli terrestri del Piccinino . Nell inviare il proprio componimento a Biagio, PAstesano confessa di non averne scritto mai altri prima, ma che solo il successo del grande genovese ha tentato la sua vena; invila quindi l'As-sercto a voler accettare, con la benevolenza che gli è solita, questo poema nella sua pochezza e a riversare tutta la sua ammirazione su di un altro componimento in suo onore, scritto da Enea Silvio Pic-colomini. che egli invia con il proprio 10. Il Piccolomini, che Biagio aveva conosciuto superficialmente, tanto da pregare poi 1 Astesano di renderglielo amico, scrisse il panegirico In Axeretum quando non era già più a Milano, ispirandosi però a quello del Vegio. Egli si chiede come mai il nostro, qui colit poetas et carmina ipsa. possa essere anche un uomo d'armi, abituato ai cimenti sul mare. La soluzione di questo dilemma "li è offerto dal componimento del \egio; 1 Assereto vuole correre ambo le vie dell antico valore, cioè le armi e le lettere, e per questo combatte e si diletta dei carmi di Omero e di Virgilio e delle poesie di storia; non sembri quindi strano il suo affetto verso i poeti, perchè ogni uomo desidera l’amicizia dei propri pari, anche se da gran tempo Minerva non si era mostrata fra lo strepito delle armi. Per (j. Scriba, Memorie patrie: Biagio Assereto. in C.affaro. Genova. 30 marzo 1886: C. Braccio cit.. pp. 52-56 A. Astesano, Ad dominum Blasium de Azereto. Il componimento è pubblicato da L. Bertalot. //umanislisches Studienheft eines Niirnbergen Scholascen aus I'avia (1460). Berlino, 1910 e riprodotto da L. C. Bollea, Nuove informazioni sul cronista Antonio Astesano, in Bollettino storico bibliografico subai pino. XXVIII. 1926. pp. 26-29. !l !.. C. Bollea cit.. Iett. XVIII, p. 25. L'editore integrò la data ex Papia VI ludendas quintiles con l'anno 1434, da correggersi in ’36. — 131 — queste qualità insolite il Vegio, nonostante precisasse raros vult mea musa vìros, gli dedicò un panegirico e il Piccolomini volle ricordarlo nei suoi componimenti n. Tutti questi componimenti, che con la riconoscenza ducale compensavano la freddezza e la noncuranza genovese, furono molto graditi al nostro, il quale si affrettò ad inviare ai propri cantori epistulas humanissimas et elegantissimas. L'Astesano, ammirando il grande amore di Biagio per le lettere e la sua straordinaria benevolenza verso i poeti, gli profetizzò, un po' a torto, che per queste qualità il nome di Assereto sarebbe rimasto eterno 12. 11 A. Silvii Senensis, Carmina, in Atti della reale Accademia dei Lincei, s. III. vol. Vili. 1882-3. n. XII. pp. 33-34. 12 L. C. Bollea cit., lett. XXIII, pp. 33-34. — 132 — Ili LE CONSEGUENZE DI PONZA E L’ATTIVITÀ’ POLITICA DI BIAGIO ASSERETO IN MILANO Le due spedizioni in soccorso di Gaeta e degli Angioini furono allestite in Genova tra infinite difficoltà e con grandi sacrifici per i cittadini, in preda anche ad una grave carestia 1. All’Assereto infatti. prefecto classis lanuensis, il governatore Oldrato di Lampu-gnano ed il Consiglio degli Anziani indirizzarono il 9 agosto, quando forse ancora non si sapeva l’esito della spedizione, una lettera disperata, in cui si fece presente che la penuria di grano, già grave al momento della partenza della flotta, si era ulteriormente aggravata per cui Genova, ridotta alla fame, riponeva tutte le speranze in lui. Si ordinava a Biagio di fare incetta di grano in quel regno, in modo da caricare almeno due galee, di catturare qualsiasi nave, amica o nemica, che trasportasse frumento e di dirottarla al più presto a Genova, con buona scorta 2. L’ordine giunse all’Assereto già sulla via del ritorno, ma non sappiamo se egli si preoccupò di eseguirlo, perchè un altro ordine, 1 La grave situazione in cui versava Genova in questo frangente è ben descritta dal Serra: cfr. G. Serra cit., Ili, pp. 141-42. 2 A.S.G., Litterarum, n. 7/1783 (1434-37), doc. 349. 9 agosto 1435. La carestia è attestata pure da altre missive della cancelleria in cui si rivolgono pressanti richieste di grano per la città ridotta alla fame. Cfr. A.S.G., Litterarum, n. 7/1783, doc. 356, 16 agosto 1435, a Tommaso di Campofregoso. signore di Sarzana; doc. 357, stessa data, al capitano di Spezia. — 133 — di ben maggiore importanza, lo attendeva a Porto Venere, il primo porto toccato dalla flotta. Giunto egli in questa località, tenuta da un presidio del re d’Aragona secondo l'accordo dell aprile 1426, gli si fece incontro un messo di Filippo Maria, il quale consegnò a Biagio l ordine di sbarcare Alfonso e gli altri prigionieri di sangue reale non a Genova, ma a Savona, per poi trasferirli a Milano. L ammiraglio, ligio ai voleri del duca, fece sbarcare nella propiia città alcuni baroni e nobili con tutto il grosso dei prigionieri, rinchiusi poi nel carcere di Malapaga, mentre portò a Savona e successivamente a Milano tutti gli altri 3. Filippo Maria dovette essere soddisfatto non solo della vittoria, ma anche della rapidità con cui i suoi ordini furono eseguiti. Il 20 agosto infatti dette ordine al vicario arcivescovile, al podestà, ai do-dici di provvisione di Milano di fare feste e processioni per tre giorni allo scopo di celebrare la vittoria riportata a Ponza ; in un poscritto aggiunse anche, su informazione del capitano Biagio Assereto, il nome degli altri prigionieri non presenti in Milano . L’entusiasmo del Visconti per l’esito della spedizione e per il trionfo da lui celebrato in pompa magna non fu condiviso dai Genovesi. La città si affrettò sì a partecipare la vittoria dell Assereto al re di Gerusalemme, al duca di Gloucester, al re d Inghilterra, al re di Tunisi nello stesso mese di agosto, giustificando il proprio intervento in favore di Gaeta ed attribuendo la vittoria non a valore umano, ma a volere divino0; ma ben presto iniziarono recriminazioni e proteste. 3 B. Facii cit.. p. 115 La notizia è ripresa pure da tutti gli storici, già citati, che si occuparono della battaglia di Ponza. E da notare che il re di Navarra, «bareato a Genova, ove fu rinchiuso nella fortezza del Castelletto, solo in un secondo tempo fu portato a Milano (cfr. G. Stella cit., col. 1318 A-B). 4 I registri dell'ufficio di Provvisione e dell ufficio dei Sindici sotto la dominazione viscontea a cura di C. Santoro, Milano, 1929, n. 257. p. 373, 20 agosto 1435. 5 A.S.G.. Litterarum, n. 7/1783. docc. 362-371, al re di Gerusalemme, al duca di Gloucester. al re d'Inghilterra, al re di Portogallo, al re di Tunisi. Filippo Maria Visconti aveva però intimato a Genova di non dare alcun annunzio della vittoria, avendo già provveduto personalmente (cfr. A. Pesce, Sulle relazioni fra Genoia e Filippo Maria Visconti, dal 1435 al 1438, in Biblioteca della Società Storica Subalpina. LXXXVIII, Torino, 1921, p. 4). — 134 — Il 12 settembre gli Anziani si lamentarono con il principe di non vedere ancora i frutti della vittoria e delle spese sopportate; ricordarono il dolore dei Genovesi qui viderint regem Aragonum totque illustres viros ab ipso fere lanuensis portus limine in alias terras divectos ; rifiutarono di credere che Alfonso sarebbe stato più sicuro a Milano ed avvertirono Filippo Maria di non prendere ah cuna decisione sulla sorte del re, senza il loro benestare 6. Qualche giorno dopo, il 15 settembre, in modo più perentorio, gli Anziani, avendo saputo che alcuni patroni genovesi, cupiditate excecali, impatienti animo, si erano presentati al Visconti per essere pagati e liquidati, gli ricordarono quanto era stato stabilito per la divisione del bottino: una metà al comune di Genova, quod patroni ipsi non inficiantur, e l’altra metà suddivisa equamente tra patroni ed equipaggi, qui vere ipsam victoriam pepererunt1. Filippo Maria cercò di placare gli animi sostituendo 1 inviso governatore Oldrato con Aloisio Croto, il 15 settembre8; ma questa misura non produsse l’effetto speralo. Il 16 settembre Aloisio ed il Consiglio degli Anziani chiesero spiegazioni al duca sulle atrocità ed altri misfatti che venivano commessi nel regno di Sicilia ed in Sardegna a danno dei Genovesi colà residenti, senza che venissero presi adeguati provvedimenti, ordinando a Biagio Assereto, Ottobuono Imperiale e Giacomo Giustiniani, presenti a Milano, di chiedere un colloquio al re Alfonso in merito9. Probabilmente i tre genovesi erano i patroni, cupiditale excecali, cui è fatto cenno nel documento sopra citato. Ad essi si inviò una copia delle lettere scritte al Visconti, con l’ordine di leggerle attentamente in modo da comprendere che cosa Genova voleva e si aspettava dai suoi ambasciatori; inoltre si ingiunse loro di recarsi tutti e tre insieme presso il re d’Aragona, di riferire ad Al- 6 A.S.G., Litterarum, li. 7/1783, doc. 382, 12 settembre 1135. 7 A.S.G., Litterarum, n. 7/1783. doc. 384, 15 settembre 1435. 8 A.S.G., Diversorum, n. 21/516, doc. 432, c. 174 r., 15 aprile 1435. Per calmare gli animi Filippo Maria fece pure diffondere in Genova la notizia che l’Aragonese avrebbe papato per il proprio riscatto un forte prezzo ai Genovesi, nientemeno che la cessione della Sardegna: cfr. A. Pesce cit., p. 4. 9 A.S.G., Litterarum. n. 7/1783, doc. 387, 16 settembre 1435. — 135 — fonso le atrocità, che in Sardegna ed in Sicilia venivano commesse a danno dei Genovesi, e di esortarlo a porvi rimedio 10. Non si attese nemmeno la risposta e il 19 settembre altre lettere del medesimo tenore partirono da Genova: questa volta le atrocità e le violenze riguardavano i cittadini ed i mercanti genovesi a Barcellona, a Valenza, a Maiorca, ove i salvacondotti erano divenuti inutili u, per cui si chiese l’intervento di Filippo Maria presso il re Alfonso ed un altro colloquio dell Assereto, del Giustiniani e dell'imperiale con il medesimo 12. Anche, se Genova aveva deplorato la solerzia dei propri patroni nel chiedere ricompensa delle loro prestazioni, il Visconti non tardò a premiare adeguatamente l’ammiraglio, che gli aveva procacciato un così grande trionfo davanti agli occhi sbigottiti di tutti i potenti italiani, che vedevano, in quel momento, Filippo Maria arbitro delle sorti della penisola. Il 23 settembre, nel castello di Porta Giovia in Milano, venne stesa da Francesco Gallina la procura per Gaspare Visconti allo scopo di investire Biagio Assereto del feudo di Serra-valle. Il documento inizia con le solite considerazioni di carattere generale: Filippo Maria, constatando che ogni potenza terrena trae origine da Dio. ma che riceve saldezza e prestigio se si circonda di uomini forti, magnanimi, probi, che bisogna tuttavia adeguatamente ricompensare, decise ora di premiare l’ammiraglio genovese. Il motivo immediato di un così grande onore per 1 Assereto fu la vittoria conseguita su Alfonso, ma altre qualità si attribuiscono al nostro come quelle di magnanimitatis, prudentie, animositatis et precipue integritatis fidei que. experientia teste, ad ipsum dominum ducem semper firma et sincera permansit. Per questo ed altri motivi, enunciati nel documento di investitura, si accolse Biagio nella famiglia dei Visconti, attribuendo a lui ed ai suoi legittimi discendenti il nuovo cognome, i privilegi di cui godevano gli altri de Vice-comitibus, ed il proprio stemma, costituito dalla solita vipera, la quale doveva avere fra le spire radium unum ]3. 10 A.S.G., Litterarum, n. 7/1783. doc. 388. stessa data. 11 A.S.G., Litterarum, a. 7/1783. doc. 398. 19 settembre 1435. 12 A.S.G., Litterarum, n. 7/1783, doc. 399. stessa data. 13 Archivio di Stato di Milano (A.S.M.), Registro ducale, n. 41 (1434-44), cc. 49 v. - 51 v. — 136 — Nello stesso giorno in cui l’Assereto ricevette giusta ricompensa del suo operato, il comune di Genova, di fronte alle incessanti richieste di coloro che avevano finanzialo la spedizione di Gaeta, si vide costretto a rispondere a costore di rifarsi dei loro crediti con il bottino portato dalla flotta capitanata dal nostro 14. Il 27 settembre Biagio ricevette in Milano la solenne investitura feudale delle terre e del castello di Serravalle, con il titolo di Vicecomes15. Sembra che egli non raggiungesse subito nè Serravalle, nè Genova, ma rimanesse a Milano: questo la sua città non gli perdonò mai, cioè di essere stato a Milano e di non essere intervenuto presso Filippo Maria proprio quando costui, dopo il falso accordo del 21 settembre con Renato d’Angiò 16, prese la grave decisione di liberare i prigionieri portatigli dal nostro. Senza voler con questo giustificare l’Assereto, crediamo però che il duca, in questa come in tante altre circostanze, decise ed agì da solo, seguendo le direttive della sua ambizione e della sua visione politica. Molto è stato scritto e detto sulle ragioni che indussero Filippo Maria a farsi solidale con il vinto Alfonso con l’accordo dell’8 ottobre, ma l’interpretazione più valida rimane ancora quella del \ a-leri17, che ha almeno il pregio di attenersi agli unici due documenti in proposito. Generosità non fu comunque la liberazione di Alfonso e degli altri reali, ma avveduto calcolo politico e anche resistenza all’influenza francese sulle vicende italiane: con due forti stati, il visconteo al nord, l'aragonese al sud, Filippo Maria, come ben comprese Amedeo Vili di Savoia, tentava di instaurare quella politica di equilibrio che sarà invece faticosamente raggiunta solo nel 1454. La situazione in Genova, anche se incominciavano a trapelare le vere intenzioni del Visconti nei riguardi del re Alfonso, rimaneva abbastanza tranquilla: l’Assereto vi ritornò indisturbato, partendo da Milano dopo il 23 novembre, quando nuovi ambasciatori genovesi raggiunsero la città 18. Il governatore ed il Consiglio degli An- 14 A.S.G.. Diversorum, n. 22/517 (1435). doc. 155, c. '17 v.. 23 settembre 1435. 15 A.S.M., Registro ducale, n. 41, cc. 51v:-56v. 16 G. Giulini cit., VI, p. 431. 17 N. Valeri, Signorie e principati. Milano, 1959. pp. 464-67. J8 A.S.G., Litterarum, n. 7/1783, doc. 447, 23 novembre 1435 ; doc. 456. 7 dicembre. I nuovi ambasciatori furono Andrea Imperiale e Siinone Giustiniani. — 137 — ziani erano tuttora impegnati a risolvere problemi derivati dalla spedizione dell'Assereto : il 28 ottobre pagarono 4.000 libbre a Carlo Lomellini con quanto il Comune a sua volta doveva riscuotere dai patroni della flotta comandata dal nostro19; il 28 novembre dovettero ascoltare le proteste di alcuni mercanti, perche la nave diretta in Fiandra, su cui erano imbarcate le loro merci, era stata dirottata a Gaeta per volere dell’ammiraglio 20 ; il 4 novembre ordinarono a tutti i patroni della flotta di rendere ragione, entro il 7 dello stesso mese, delle armi a loro affidate dal capitano 21 ; il 1° dicembre infine fecero debitore di 1.725 genovini, da sottrarre da quanto a lui dovuto, Biagio Assereto, per una galea da lui acquistata in Gaeta 22. Il 5 dicembre il governatore e gli Anziani decisero, con un po’ di ritardo, forse dovuto al mancato ritorno da Milano dell’ammiraglio e degli altri patroni, di ringraziare Iddio per la vittoria e di off rire qualche tangibile segno di riconoscenza a San Domenico, nella cui festività si era combattuto a Ponza 23. E’ questo il primo documento genovese in cui si fa cenno alla nuova posizione dell’Assereto: dopo aver ricordato i motivi per cui si allestì la flotta 24, si dice infatti che ammiraglio fu eletto il valoroso ed esperto Biagio Assereto, nunc aurata militia donatus et ob eius fortia facta, preter ceteros honores quibus accumulate donatus est, in clarissimam etiam Vice-comitum familiam ascitus. Si descrivono poi le fasi della battaglia, si enumerano i prigionieri più importanti ed infine, ritenendo che la vittoria fosse stata ottenuta più per volontà divina che per valore umano, si decide di offrire le croci, i calici, gli amitti, i candelabri e tutti gli oggetti sacri del tesoro preso ad Alfonso d’Aragona a San 19 A.S.G.. Diversorum, n. 22/517, doc. 185. c. 56 v. 20 A.S.G., Diversorum, n. 22/517, doc. 208, c. 62 r., 28 novembre 1435. 21 A.S.G., Diversorum, n. 21/516, doc. 486, c. 191 r„ 4 novembre 1435. 22 A.S.G., Diversorum, n. 22/517, doc. 209, c. 62 r., 1 dicembre 1435. 23 A.S.G., Diversorum, n. 21/516, doc. 533. cc. 208 r. - 209 r., 5 dicembre 1435. 21 Non si fa alcun cenno all'intervento milanese e si considera la spedizione voluta ed eseguita esclusivamente da Genova: segno questo dell'aggravarsi della tensione fra Genova e Milano. — 138 — Domenico e di riporli nella chiesa a lui dedicata. Si volle custodire questo tesoro con quattro chiavi date in possesso rispettivamente: la prima a chi governasse in Genova, la seconda a Biagio ed ai suoi discendenti per ricordo della mirabile impresa, le ultime due temporaneamente a Franco Lomellini e Nicolò Giustiniani. Nei documenti successivi Biagio non appare più con il suo cognome, ma con la nuova designazione de Vicecomitibus. Così nella riunione plenaria che si tenne il 10 dicembre fra il governatore, i vari uffici ed i rappresentanti dei patroni e dei marinai per l'equa divisione del bottino, il nostro compare con il titolo visconteo. Durante questa riunione si constatò che non si era ancora in grado di distribuire ad ogni uomo della flotta i 66 soldi promessi, nonostante la ingente preda fatta a Gaeta ed a Ponza, perchè alcuni patroni ed altri individui tenevano abusivamente presso di sè parte del bottino ed oggetti preziosi, mentre, se tutto fosse stato onestamente consegnato e messo in comune, si sarebbe potuto pagare anche di più del compenso pattuito. Per questo si decise di affiancare ai quattro ufficiali dello speciale Ufficio del Bottino anche Biagio, un consigliere ed un rappresentante dei marinai. A questi sette, che costituivano un nuovo ufficio incaricato di reperire il bottino presso privali, tam per iuramenta et examinationes testium quam etiam per tormenta cuiuscunmque generis, e di ripartirlo equamente, si concesse ampia liberta di azione25; ma il 16 dicembre questa deliberazione venne annullata: si stabilì invece di nominare solo Biagio come quinto ufficiale dell’Ufficio del Bottino, rimanendo validi lo scopo e gli ordini contenuti nel precedente decreto 26. Il 14- dicembre il governatore e gli Anziani ordinarono di nuovo a tutti i magistrati, gli ufficiali, i privati cittadini, in possesso di oggetti sacri provenienti dal tesoro del re Alfonso, di consegnarli a Biagio ed agli altri quattro incaricati di reperire questi arredi per trasferirli nella chiesa di San Domenico27. Frattanto i rapporti fra Genova e Milano andavano facendosi sempre più tesi: Filippo Maria, non pago di aver sottratto i prigio- 25 A.S.G., Diversorum, n. 21/516, doc. 520, c. 203 r., 10 dicembre 1135. 26 A.S.G., Diversorum, n. 21/516, doc. 521, c. 203 v., 16 dicembre 1435. 27 A.S.G., Diversorum, n. 21/516, doc. 529, c. 206 r., 14 dicembre 1435. — 139 — nieri alia città e di averli liberati nel novembre 28, senza interpellare coloro che glieli avevano procacciati, pretese addirittura che Genova, venendo meno alla sua secolare politica filoangioina, passasse dalla parte degli Aragonesi ed accogliesse i reali con tutti gli onori. Crediamo che alFacuirsi della tensione contribuisse anche la debolezza dei rappresentanti genovesi in Milano; non vogliamo con questo dire che se l’Assereto, il Bracelli od il Lomellini fossero stati nella città lombarda, il duca si sarebbe astenuto dal fare ciò che la sua ambizione politica gli suggeriva, ma certo non sarebbe giunto al punto di infliggere ai Genovesi l’umiliazione e lo scherno di ricevere con tutti gli onori in città il re di Navarra 29 e di trasportare a Napoli il re d’Aragona su quelle stesse navi, che erano state allestite per la di lui rovina. La richiesta di imbarcare Alfonso che, partito da Milano il 29 novembre, si trovava a Porto Venere in attesa di imbarco, fu l'ultima provocazione che. aggiunta alle umiliazioni precedenti, diede il via all’insurrezione30. La condotta di Filippo Maria dovette apparire un tradimento ai Genovesi: perciò, venuta meno una delle due parti all’accordo con cui Genova si era data ai Visconti nel 1421. essi si considerarono liberi e sciolti da quel vincolo. Il 27 dicembre, come scrissero nella lettera indirizzata in quello stesso giorno al pontefice ed in altre dirette a vari principi, essi riottennero la libertà senza spargimento di sangue e cruente manifestazioni di ostilità, limitandosi ad uccidere il commissario milanese, Opizzino di Alzate, inviso a tutti per la sua crudeltà e le sue an- 28 G. Gii lini cit.. VI, p. 343: il primo a partire da Milano fu Giovanni di Navarra, il 14 novembre; Alfonso lasciò la città il 29 dello stesso mese. 29 G. Stella cit.. col. 1318 C: nec sufficit (luci Mediolani tanta lube tantis conviciis nos mordere, quin immo regem Navarre a Mediolano Ianuam mittens iussit maximo cum applausu et sub pallio usque ad palatium residentie sociari. 30 A.S.G.. Litterarum, n. 7/1783. doc. 180. 28 dicembre 1435. Si Iralta di una lettera indirizzata ai Genovesi residenti ad Aigues-Morles in Provenza, in cui, parlando del tumulto del "ionio precedente, si scrive: liuius molus precipue causa fuit quod volebat dominus dux Mediolani hic naves armari que regem Aragonum copias-que pedestres at que equestres deportarent. — 140 — gherie 31. E poiché Genova aveva sostenuto le spese della spedizione napoletana, e aveva riportato la vittoria su Alfonso, i Genovesi tentarono di coglierne da soli i frutti con l’ordinare, il 27 dicembre stesso32, agli abitanti di Portovenere fedeli al comune di catturare il re, ancora in quel castello 33, che era stato ingiustamente sottratto loro dal duca di Milano. Dopo la sommossa del 27 dicembre, scosso il potere visconteo ed eletti alcuni cittadini Capitani e Difensori della Libertà, la calma ritornò in Genova: per questo forse la storiografia moderna, nulla scorta di alcuni cronisti, sposta al gennaio 1436 la data dell’insurrezione 3i. Crediamo che l’Assereto avesse abbandonato la città fra la fine del ’35 e l’inizio del ’36 di sua spontanea iniziativa, come dimostra il fatto che egli non si preoccupò di portare seco i familiari. Forse si recò presso Filippo Maria per tentare ancora di rinnovare l’accordo del ’21: trovatosi poi nella necessità di scegliere fra la propria patria, da cui nulla aveva avuto, ed il proprio principe, da cui aveva avuto un tangibile segno di riconoscenza, egli optò per il 31 A.S.G., Litterarum, n. 7/1783. doc. 476 al Sommo Pontefice. 27 dicembre 1435; doc. 477 a Firenze, stessa data; doc. 478, al doge di Venezia, stessa data; docc. 481 e 482, alla regina di Gerusalemme e di Ungheria. 28 dicembre 1435. 32 A.S.G.. Litterarum, n. 7/1783. doc. 479, 27 dicembre 1435. 33 II re rimase a Portovenere fino al gennaio ‘36 in attesa delle navi condotte da Napoli dal fratello Pietro, che giunse con notevole ritardo, perchè si era attardato alla conquista di Gaeta, che aprì le porte all'aragonese il giorno di Natale del ’35. Alfonso sbarcò a Gaeta, il 2 febbraio '36. con tutti gli altri prigionieri (cfr. S. Leccese cit., p. 56). Solo neH’aprile ‘36 giunsero da Milano a Lerici i bagagli di Alfonso, con uno speciale salvacondotto del doge genovese, Tommaso di Campofregoso (cfr. F. Poggi, Lerici ed il suo castello. II. Genova. 1909. pp. 240-41). 3i La sommossa, anche se con indecisione notevole, avvenne effettivamente il 27 dicembre, come attestano tutti i documenti della cancelleria genovese. L’anticipano erroneamente: al 12 dicembre il Muratori (Annali d'Italia, ad annum 1435) ed il Corio (Storia di Milano riveduta da Butti e Ferrario, II, Milano. 1856, p. 627); al 24 dicembre il Foglietta (Historiae Genuensium libri XII. Genova, 1585, p. 221). La datano giustamente al 27 dicembre il Bracelli (De bello Hispaniensi cit. f. 26), lo Scriba (Memorie patrie cit.), il Poggi (Lerici cit. II. p. 240), il Pesce, (p. 7), il Cognasso (Il ducato visconteo e la repubblica di Milano, in Storia di Milano, VI, 1955). Parla genericamente di « ultimi giorni del ‘35 e i primi del "36 » un recente studio genovese, in cui si ricordano anche documenti catalani: cfr. G. Musso, Politica e cultura in Genova alla metà del Quattrocento, in Miscellanea di storia ligure in onore di Giorgio Falco, Milano, 1962. pp. 345-47. — 141 — Visconti. Forse a forzare la sua decisione in questo senso contribuirono anche l'arresto dei familiari durante la sua assenza 35 e l’ostilità creata in Genova intorno a lui specialmente ad opera di Francesco Spinola, uno dei Capitani della Libertà, « che, o avesse sperato una mercede che i nuovi disegni di Filippo gli intercludevano, o giudicasse non potere altrimenti lavare la macchia dell'assedio di Genova che con liberarla, in tutti i suoi ragionamenti esagerava le ingiurie ricevute dai Genovesi » 36. L'Assereto si schierò quindi decisamente dalla parte del duca e operò attivamente contro la propria città: non si spiega diversamente il desiderio genovese di poterlo avere prigioniero . Infatti, durante le trattative per un accordo fra Genova e Galeotto del Carretto, i Capitani della Libertà fecero, il 3 marzo 1436. varie concessioni a Galeotto Lomellini. genero ed inviato del signore del Finale, ma a determinate condizioni e specialmente che alcune persone.fra cui Biagio, fossero consegnate a Genova 37. I familiari di Biagio rimasero in mano dei Genovesi abbastanza a lungo e furono fra gli ultimi prigionieri ad essere scambiati. La convenzione, in virtù della quale furono infine liberati, venne stipulata in Gavi il 10 aprile: i Milanesi si impegnarono a liberare tutti i Genovesi prigionieri : i Genovesi, a loro volta, promisero la libertà per tutti i Lombardi ed i sudditi del duca catturati ovunque dal 27 dicembre in avanti, compresa la famiglia delFAssereto. che fu poi posta in libertà fra l'aprile e il maggio 1436 La ritardano al 15 gennaio '36 il Decemhrio (l ita di Nicolò Piccinino, in RR.II.SS . XX. Milano. 1731 col. 1067). Il Simonetta (De rebus gestis F. Sphortiae. in RR.II.SS.. XXI. Milano. 1732. col. 259) il Serra (III. p. 157). il Gabotto (La neutralità astese nella guerra fra Genova e Milano e la signoria di Francesco Sforza in Asti, in Giornale storico e letterario della Liguria. II. 1901, p. 301). Addirittura al 25 gennaio la posticipa il Giustiniani (Annali cit.. p. 354). il quale, scrivendo che i Genovesi decisero di festeggiare ogni anno la festa di San Giovanni Evangelista, per ricordare la liberazione dal dominio visconteo ( p. 359). sembra non sapere che tale festa cade proprio il 27 dicembre. 35 A. Pesce cit., pp. 41-44. 36 G. Serra cit., III. p. 155. 37 A.S.G.. Litterarum, n. 7/1783. doc. 544. 38 A. Pesce cit.. pp. 52-53. Il 24 marzo furono liberati alcuni genovesi, ma non i familiari di Biagio, qui liberandi non essent, quia subditi non sunt d'ucis Mediolani. Qualche mese dopo Biagio ottenne a Milano un’altra ricompensa dal duca per i suoi servigi: il 3 ottobre venne investito da Corradino di Vimercate, procuratore del duca, del castello di Monaco, nella diocesi di Genova39. L’investitura concessa a Biagio di un castello così lontano da Serravalle, sempre rivendicato da Genova, in una località di grande importanza strategica, ci induce a credere che Filippo Maria, dopo la sfortunata spedizione di Nicolò Piccinino sulla Riviera di Ponente, meditasse contro Genova un attacco per mare proveniente da Monaco. Ma il 30 ottobre l’Assereto, inspiegabilmente, rinunziò, per ben due volte, al nuovo feudo 40. Dai documenti di rinunzia non è possibile desumere i veri motivi del rifiuto: in ambedue Biagio, con una formula di comodo, dichiarò di rinunziare a Monaco perchè impossibilitato a ben servire il duca in una località così distante da Milano e volle che il feudo fosse rimesso al duca, il quale non Io lasciò vacante per molto, ma lo conferì a Giovanni Grimaldi il 18 novembre41. In cambio di Monaco Biagio ebbe Arcola in Val di Magra: infatti, fin dal 20 ottobre, fu stesa un'altra procura in favore dello stesso Corradino di \imercate per investire l’Assereto di Arcola42, una delle località della Lunigiana da poco tolta a Genova e occupata dai Malaspina e da altri fautori del Visconti43. Crediamo che Biagio, il quale ricevette solennemente Arcola il 30 ottobre 44, non abbia visto mai il suo 39 A.S.M., Feudi imperiali, cart. 431. fase. 1°. 3 ottobre 1436. 40 A.S.M.. Registro ducale, n. 30 (1420-41), doc. 75. cc. 299 r. - 300 r. - 30 ottobre 1436; doc. 78, cc. 302 v. - 304 v., stessa data. 41 A.S.M., Registro ducale, n. 30. doc 79, cc. 305 r. - 309 r., 18 novembre 1436. Giovanni Grimaldi, in realtà, non occupò mai il feudo: prima non potè raggiungere Monaco, perchè trattenuto in Provenza; poi si accordò con Genova che occupò il castello. Filippo Maria non perdonò questo accordo al Grimaldi, che. trasferitosi imprudentemente dalla Provenza in Lombardia, fu arrestato nel gennaio ‘38 (cfr. A. Pesce cit., pp. 96, 102, 233). 42 A.S.M.. Registro ducale, n. 30. doc. 77, cc. 301 v., - 302 v., 20 ottobre 1436. Sulla conquista di Arcola da parte di Milano cfr. A. Neri. Nicolò e Francesco Piccinino a Sarzana. in Giormle ligustico. XV, 1888. pp. 163-64. 43 U. Mazzini, Un episodio della guerra fra Genova e il duca di Milano, in Giornale storico e letterario della Liguria. I\ . 1903, pp. 127-38. 44 A.S.M.. Registro ducale, n. 30. doc. 76. cc. 300 r. - 301 v30 ottobre 1436. nuovo feudo e neppure abbia tentato di raggiungerlo, anche perchè dopo la partenza del Piccinino dalla Lunigiana -, tenuta con il’ terrore e la forza, Arcola fu una delle prime località riconquistate enovesi, che gla la tenevano saldamente nell’ottobre 1437 “ lo tro lagl°' °Tai eSUlC' VÌSSe qUÌndÌ fra Milano e Serravalle, ove’ o troviamo nel marzo 1439 quando Filippo Maria, in seguito alle nanze d, alcun, mercanti, spogliati di 200 ducati da ignoti nel Mono d, BusaHa, ordinò a lui, a Battista di Campofregoso ed gli Spmola d, fare buona guardia sulle loro terre e di dare la Genòvaaia crirtdaifnChèn0n " Ìnterr0“P— « commercio con ^ , cau?a della cattiva sicurezza delle strade 47 Parmàe“Prei i"6' rAmmt° * D°minal0 “4Ì“"io ducale a di F I ' temPoraneamente la propria sede per ordine tasm^T 1 qUale’ “ 19 1Ugli°’ 10 S0SlÌlUÌ C0D Ì! ma—»0 - a„m.no Tnvulz.o per servirsi altrove dell’opera di Biagio » eonf "r Î meme 'ì ViSCOnti ChÌamÒ rAssereto ad incarichi più lago d Gard 7 , marinaresche del Pavese nella zona del trice deUa 1 •' ^ C°n‘r° V“’ ani™' tr ce della lega antmscontea del febbraio 1439. Forse a Biagio fu affidato il compito di guidare la flottiglia milanese sul lago in quella T 0ffenS.;VaCOm™ «"SB» veneto conclusasi felicemente, per il Visconti, il 26 settembre 1439 50. stato lüfittITBa f“ rÌFhÌamal” da"a Ll,niSÌa,,a- d0Ve' ncl «*"*> 1«7, era ’37 Gianf r P" COmbat'ere c°n,r» Venezia, dopo che. nel marzo i;Adda ”L F°Corafa' r0ma"dan,e d'"e VeneZiane' “ giunto fino al- ’ ctr- • Locnasso Cit., p. 320. vese, dà^O^ttoh '"l'aì- 255'.n°‘a 33: cita una Ictlera «Ma cancelleria geno- peratore Sigismond" I ' ^ '' ^ T°mmaS° di Ci™P°fregoso informa l’imperatore Sigismondo de, successi genovesi contro il Visconti; fra i luoghi ricon- « Ia' Ve22an0 ed altre Iocali[à della L,mieiana- M r . ’ Ch‘VW v‘sconteo'sforzesco, Decreti, eart. 1, 30 marzo 1439 braio 1882 InTuti^f ^ Gen™, 20 feh- * lt;:^:retle a,,a “ in cui G;— “ Z ArChM° Visc0n“°-Sf°™™. Decreti, cart. 2, 19 luglio 1439. riorità su] GaArdLD°f Cl1" “L ^ VC"CZia’ P'r '°gliere a Milan0 la suPe' izr iuns° ^ ™ ^ * — 144 — Il successo riportato stimolò ulteriormem l neta di Filippo Maria, il quale conferi j( , f P°lltica ^Uve- vanni Durant de Axereto, nipote di Biagio l’in ", 144°’ 3 Gi°‘ alla riparazione ed al nuovo armamento dell f ° pr0vvede« Lordine fu evidentemente un espediente * ott,S1,a sul Garda51, da Milano del consigliere e nello stesso ^ mardare la Potenza mento delia flotta ad una persona di fiduc^ de'l ra’leStÌ' dine per Biagio non tardò a giungere il 25 d 11 ° ma 1W i< Visconti gli affidò la curt del - -He virti, esprimendo il desiderio di formare un- ‘l'™6'"' naval1 ! continua * a*, ed . «r;;;;;rr: ■' ’°—i° .i balestrieri di pero egli non riuscì a dare al Visconti un’.lt ■ ' Q 3 V°ita sulle acque prospicienti Riva del Garda ” "““T ’’ 10 apr'le’ rfopo tre ore di aspro combattillfCInT “ 7"*°' mato di Biagio, catturando 3 galee, 2 barche e 80 IZone" Dopo questa sconfitta, con la ^ Pisone . Vistomi tt* anni di oilerrio!i ... q andarono perduti per il » » in,»., V,,., per sostituire Francesco Barhav * I,- ^ COmmissari0 a Parma, presso il duca. Il Visconti consiT "V13™3*0 per ^uaIche tempo comprovata onestà e la no eran 0 a grande avvedutezza, la - duca,. verso modo che più «rii c#»mk decretare nel ?a™a, ma in tutto f™! .n°" * * nomina, il duca Pa™’8«ano. Anzi, nella lettera desiderava essere Lnr 7” “"l™310 rAssere‘°- P««»>4 per autorità e per ™ d , ^ U°m° ^ moltissim« P prudenza e che fosse pienamente informato delle 52 Asm’ A.rCll'VW vlsconle°-sf°r^co, Decreti, cari. 3, 9 febbraio 1440. 53 r ” ArChWÌ° "^sforzesco. Decreti, cart. 3, 25 febbraio 1440 * E- - - a CU,a — 145 — 10 intenzioni del suo signore e sapesse prendere salutari provvedimenti54. Da Milano Francesco Filelfo indirizzò all’Assereto un'affettuosa lettera nell’ottobre. Il letterato milanese scrisse al nostro, secondo la consuetudine umanistica, quasi un trattato sulla vera amicizia e sui sentimenti disinteressati che devono unire gli uomini; ricordò poi come viva e spontanea fosse 1 amicizia che nutriva per Biagio e concluse con una frase: tu absens mihi semper es presens: iucun-dos nostros dulcissimos que sermones crebra memoria mecurn repeto. che è una chiara allusione alle qualità letterarie del nostro, messe in luce nell'aula viscontea 55. A quest'epoca, cioè agli anni immediatamente successivi al 1435, durante i quali, in qualità di consigliere, l’Assereto soggiornò alla corte ducale, possiamo far risalire 1 amicizia e la familiarità con i più famosi umanisti dell'epoca. Prima di trasferirsi a Milano, il feudatario di Serravalle era già provvisto di un corredo di studi non spregevoli « che la carica di notaio lascia supporre » 56 e che l’amicizia con altri cancellieri, quali il Bracelli e lo Stella, aveva ulteriormente affinato; ma solo vicino all Astesano, al Piccolomini, al Filelfo, al Vegio, a Ciriaco Anconitano l’Assereto penetrò nello spirito e nel fervore del movimento umanistico. Il trionfo di Ponza e la relazione che egli ne fece attirarono su di lui gli sguardi e 1 ammirazione degli umanisti, che vivevano alla corte di Filippo Maria Visconti, sempre pronti a cantare ed a celebrare le vittorie del loro mecenate. Ma verso l’Assereto non ci furono interessate adulazioni e le richieste di aiuto, con le quali costoro usavano stancare la pazienza dei loro protettori, — basti per tutto il caso del Filelfo. — ma corrispondenza di sentimenti ed affettuosa amicizia che si protrasse nel tempo, anche quando la stella di Biagio declinò. « Egli fu all’unisono nel pensiero con i dotti ed i politici del suo tempo che fanno l’opinione pubblica, egli individualità intera che con vivezza di colorito poetico descrive ai suoi signori, il giorno dopo Ponza, la memorabile vittoria, è il compagno naturale di coloro che lottavano 54 A.S.M., Archivio visconteo-sforzesco, Decreti, cart. 4, 29 luglio 1440. 55 F. Philelphus, Epistolarum liber. Venezia, 1492, lib. IV. 15 ottobre 1450. 59 C. Braccio cit., p. 56. con pari energia a dilargare la religione, l’arte, la scienza, tre raggi della mente divina, e tutto ciò ponevano come decoro di quel principato che essi favorivano, che in ogni provincia d'Italia cercava di prendere rapido assetto »57. L’Assereto fu indubbiamente uomo d armi, nelle quali riconobbe tutta la sua gloria, e non ebbe certo la presunzione di essere considerato un letterato; ma indovinò il nuovo movimento del suo secolo ed amò di sincero amore il classicismo, apparendo come il signore che, per genialità di studi, mantiene rapporti di amicizia con alcuni dei dotti più famosi. L’amore per la cultura non impedì però l’azione all’Assereto, il quale in questo periodo assecondò gli sfortunati tentativi del Visconti contro Genova nelFOltregiogo e partecipò, — almeno così ciediamo, attivamente all’azione di alcuni nobili genovesi per destituire il doge genovese, Tommaso di Campofregoso, che, in seguito al trattato di pace del 20 novembre 1441 fra il Visconti e la lega antiviscontea °8, si trovò esposto, senza più difese, ai colpi di Filippo Maria e dei suoi sostenitori in Genova. Gli Adorno ed i Fieschi, con i quali Biagio intrattenne sempre rapporti di convivenza e di amicizia, riuscirono nel loro intento nel dicembre 1442, quando allontanarono dal seggio dogale il Campofregoso. relegandolo nella sua Sarzana, e diedero alla città un nuovo doge nella persona di Raffaele Adorno, eletto di sorpresa il 28 gennaio 1443 59. Il nuovo doge dimostrò subito palesemente la propria amicizia ed anche la propria riconoscenza all’Assereto. offrendosi di fare da padrino ad un figlio del signore di Serravalle per cementare, non 57 C. Buaccio cit., pp. 52-53. STINIANI, Annali cit., II, p. 367. Secondo questo trattato. Genova avrebbe dovuto riavere le località ancora occupate da Milano, ad eccezione di Pon-tremoli, Val di Taro, Novi, che rimanevano al Visconti, e Gavi, tenuto da Battista di Campofregoso. Cfr. anche F. Cognasso cit., p. 345. 59 L'elezione dell’Adorno colse di sorpresa ed indispettì Giovanni Filippo Fieschi, conte di Lavagna, che, in un certo senso, era stato il principale fautore della rivolta perchè, sbarcato proprio in prossimità del molo, si era impadronito di quasi tutta la città: cfr. A. Giustiniani. Annali cit., II, p. 372. Il Fieschi fu però ricompensato e messo a tacere da Filippo Maria, il quale gli restituì i feudi di Grondona. Varzi, Garbagnie della diocesi di Tortona, ancora in potere del Visconti: cfr. G. P. Bognetti, Per la storia dello stato visconteo, in Archìvio storico lombardo, s. VI, LIV, 1927, doc. 44, p. 300. 20 febbraio 1442. modo familiaritatem, sed etiam cognationem con lui. II 4 aprile 1443 Raffaele Adorno, poiché si approssimava il giorno del battesimo ed egli non poteva intervenire alla cerimonia per la distanza del luogo, incaricò il nobile Lancillotto Costa di rappresentarlo durante la cerimonia60. Il neonato, a cui fu imposto il nome di Giuliano. venne ad aggiungersi agli altri quattro figli di Biagio: Franco o Francesco, figlio di primo letto, Stefano, Battista ed Ambrogio avuti da Pometta. Ritroviamo il nostro a Milano, quando il 12 agosto 1443 fu chiamato a far parte della commissione incaricata di dirigere e di sorvegliare il lavoro per la riforma dell estimo in Milano, nel ducato ed in tutte le terre soggette ai Visconti. Filippo Maria, constatando che nihil est quod magis pecunie recuperationis difficulta-verit quam servatam in distribuendis oneribus inequalitatem e che è giusto che ciascuno paghi solo il dovuto, decise di usare nuovi mezzi per un'equa distribuzione delle imposte, lasciando al proprio consigliere Biagio ed agli altri membri di questa commissione la possibilità di accordarsi con le autorità municipali, di imporre pene pecuniarie contro i renitenti e di scegliersi i collaboratori più adeguati 61. Oltre questo incarico 1 Assereto. nella sua qualità di consigliere, doveva svolgere anche altre mansioni che lo trattenevano ininterrottamente presso la corte ducale; qui era ancora nel febbraio dell anno sesruente quando, avendo ottenuto dal duca uno speciale salvacondotto. si fece arrivare da Genova un carico d’olio 6". Filippo Maria doveva essere soddisfatto per i servizi di Biagio e cercò di mostrargli tangibilmente la propria riconoscenza facendogli assegnare, il 14 aprile 1444, uno stipendio annuo di 500 fiorini, in aggiunta ai 60 mensili che già percepiva come consigliere ducale 63. Il soggiorno a Milano offriva all’Assereto anche un’altra possibilità: quella di incontrare i Genovesi che giungevano a corte e di 60 A.S.G.. Litterarum, n. 12/1788 (1441-44), doc. 759, 4 aprile 1443. 61 G. P. Bognetti cit., doc. 96, p. 310. 12 agosto 1443. 62 G. P. Bognetti cit., doc. 215, p. 327, 11 febbraio 1444. 63 G. P. Bognetti cit.. doc. 341. p. 340, 14 aprile 1444. — 148 — mostrar loro 1 importanza della sua posizione e la considerazione di cui godeva presso il Visconti. Nell’aprile 1445 egli rivide l'ex-collega Giacomo Bracelli, inviato colà per concludere un accordo Ira Genova ed il duca 64. Per Biagio però il Bracelli era un vero amico; ritornato infatti a Genova, dopo aver fatto sosta a Serra-valle, il cancelliere indirizzò due lettere all’Assereto, il cui tono attesta la lunga ed affettuosa amicizia fra i due. Nella prima il Bracelli ringrazia per la liberalità e le accoglienze ricevute a Serravalle da Franco, che governava avveduta-mente il feudo in assenza del padre: ricorda lo stupendo panorama della valle Scrivia goduto dalla rocca, la splendida cena allestita in suo onore ed allietata da pregiati vini e i mirabili canti in onore della Vergine composti da un tale Simone di Siena, que festivissimi pueri domini Antonii Pisaurani eleganter in convivio recitarunt 65, pregando Stefanino, il secondogenito di Biagio, che durante la cena aveva preso nota dei versi, di inviarglieli al più presto. Da questo quadretto di vita familiare, che ci mostra come, attorno all Assereto ed ai suoi figli, si fosse formata una piccola corte di dotti e di letterati, il Bracelli passa poi ad informazioni di carattere politico, non meno interessanti per noi. Fa sapere all’amico di aver parlato in suo favore, dopo il ritorno in città, con molti autorevoli cittadini e di aver messo a tacere i più irriducibili avversari di Biagio. Crediamo pertanto che 1 Assereto avesse incaricato il Bracelli di dissipare i dubbi e le ostilità intorno alla propria persona, ancora diffusi fra molti Genovesi. Egli, forte dell’amicizia con il doge Adorno, avrebbe potuto benissimo ritornare in Genova e tuttavia sembrò non voler sfruttare questa possibilità, ma chiedere una riabilita- 64 A.S.G., Litterarum, n. 12/1778, doc. 118. 10 aprile 1445: lettera commendatizia per Giacomo Bracelli. inviato a Milano in missione straordinaria. Forse il Bracelli fu il negoziatore genovese di quelle trattative che si conclusero con l'accordo del 24 settembre, secondo il quale Filippo Maria si impegnò a non tentare alcuna azione contro Genova, in cambio di aiuti navali contro Alfonso, che si era impadronito del regno di Napoli. Furono parole vane perchè, in realtà, pochi mesi dopo, il duca trattava con il duca di Savoia per attaccare Genova (cfr. F. Cognasso cit., pp. 353-54). 65 Antonius Pisauranus è Antonio da Pesaro, ambasciatore del duca di Milano a Napoli: i figli, durante l’assenza del padre, furono ospiti a Serravalle nella casa di Biagio. zione che solo chi sa di nou aver male operato verso la propria patria può chiedere ed aspettarsi. Il cancelliere genovese conclude la sua lettera con l'annuncio di aver ottenuto per Battista Amedeo, il terzogenito dell'Assereto, un salvacondotto di due mesi, che gli sarà facilmente rinnovato, e con un saluto a madonna Pometta 66. L’altra lettera del Bracelli al nostro, di intonazione più intima ed umana, è per ambedue una nostalgica rievocazione del tempo passato e della cordiale intimità che li aveva uniti durante il tempo trascorso nella cancelleria genovese 67. Questo scambio epistolare con l'amico fu una lieta parentesi per l’Assereto. in mezzo ai vari incarichi che gli procurava la subdola politica dell'irrequieto Visconti, sospettoso del genero Francesco Sforza e intento ad alienargli Venezia e Firenze, di cui lo Sforza era stato capitano generale, per poter avere in suo potere contemporaneamente un uomo e due stati. Per questo il Visconti inviò a Cremona, con l'intenzione di toglierla allo Sforza, il proprio capitano Francesco Piccinino che, nell'aprile 1446, passò il Po dal Parmigiano e mise l'assedio alla città 6S. Ma l'imperizia del Piccinino. la presenza di un esercito veneto sull'Oglio, il doppio giuoco di Bartolomeo Colleoni e lo scarso equipaggiamento, ritardarono l'attacco decisivo, per cui il duca mandò, come proprio informatore al campo, Biagio69. Questo assedio si concluse nel settembre 1446, a Casalmaggiore, con una sconfitta per il Visconti, che poco dopo tentò l’accordo con lo Sforza 70. Ma ad impedirgli il possesso della agognata Cremona, un esercito veneto comparve improvvisamente davanti alla città nell’aprile dell’anno seguente: per sventare l’improvviso attacco, il Visconti inviò nella zona, in soccorso al presidio sforzesco, Francesco Piccinino, Carlo Gonzaga e Biagio Assereto, 66 I. Bracelli Epistolarum liber unus in Lucubrationes cit.. ff. 53 u. - 54 r. 67 C. Bragcio cit.. p. 57, lettera del 5 giugno 1445. 68 Cristoforo da soldo cit., p. 66; M. Sanudo cit., col. 1176 C; G. Giulini cit., VI. pp. 397-400; F. Cognasso cit., pp. 361-370. 69 A.S.M., Archivio visconteo-sforzesco, Decreti, cart. 8. 10 settembre 1446. E: la lettera di un capitano, ex castris, al duca, in cui si parla di un « signor Biagio » inviato al campo per ispezionare le difese; sicuramente si tratta del-1" Assereto. 70 Vedi nota 68. — 150 — con le poche forze di cui ancora disponeva 71. Forse Biagio si occupò delle operazioni militari sul lago di Como e fu messo a capo della flotta che, il 9 ed il 26 luglio, frustrò due tentativi veneti di impadronirsi, dalla parte del lago, della fortezza di Lecco 72. Non sappiamo se alla morte di Filippo Maria l’Assereto fosse a Milano ; comunque egli non compare, agli inizi della Repubblica Ambrosiana, nè fra i sostenitori della nuova libertà, nè fra i fedeli dell idea ducale. E’ probabile che ragioni di prudenza e di vigile attesa lo indussero a ritirarsi a Serravalle per difendere il proprio feudo dalle minacce del marchese del Monferrato e specialmente di Genova, da dove il nuovo doge, Giano di Campofregoso, continuando nella politica della sua casa, ostile a Milano e approfittando della disgregazione dello stato visconteo, si era impossessato di Voltaggio, Ovada, Gavi, Fiaccone, Novi 73. Da Serravalle Biagio assistette ai primi mesi di vita della Repubblica Ambrosiana; poi si portò a Milano, dove, il 1° gennaio 1448, fu eletto dai Capitani e dai Difensori della Libertà podestà della città e del ducato per 6 mesi, a partire dal 29 febbraio, in sostituzione di Manfredo Ripparolo dei conti di San Martino 74. La elezione del nostro, un fedele del defunto duca, ad una carica così importante, riservata di solito alle famiglie nobili75, rappresentò indubbiamente una chiara allusione alla continuità della politica viscontea e segnò un punto a favore dello Sforza, capitano generale della Repubblica, ma anche presunto erede di Filippo Maria: infatti, mentre sul finire del 1447 la Repubblica Ambrosiana era prossima ad un accordo umiliante con Venezia, dopo l’elezione di Biagio prevalse il partito della guerra ad oltranza e non si parlò più di accordo con l’irriducibile rivale 76. L’Assereto entrò in carica il primo marzo e, fra i suoi primi 71 F. Cognasso cit., p. 375. 72 Cristoforo da Soldo cit., pp. 72-74; M. Sanudo cit.. col. 1125 B-E; F. Cognasso cit., pp. 377-78. 73 G. Giulini cit., VI, pp. 428-29. 74 I registri dell'ufficio di Provvisione cit., n. 96, p. 409, 1° febbraio 1448. 75 C. Santoro, Gli uffici del dominio sforzesco (1450-1500), Milano, 1947, p. XXX. 76 Cristoforo da Soldo cit., p. 77; F. Cognasso cit., p. 413. — 151 — provvedimenti, emanò una serie di decreti atti a riportare l'ordine in città, ove regnavano l'anarchia ed il caos. Il 3 marzo stabilì con un decreto che nessuno potesse opporsi agli ufficiali che eseguivano i suoi ordini e che tutti i cittadini dovessero assistere tali ufficiali 77 ; il 4 marzo emanò un'altra grida contro i bestemmiatori, contro chi comperava roba proveniente da scasso o da furto, e accoglieva i cittadini che erano stati banditi, comminando gravi pene, anche fisiche. ai renitenti78. Il podestà non si limitò solo a dettare leggi ed a fare eseguire ordini, ma passò direttamente all azione, quando le circostanze lo richiesero: così, quando fu necessaria la presenza di un abile ammiraglio per fronteggiare i \ eneti sul Po. Biagio abbandonò Milano e in luglio si recò nella zona di Cremona. Qui infatti 1 ammiraglio veneziano. Andrea Quirini, approfittando dell'assenza di Francesco Sforza, impegnato altrove, attaccò la città ed il ponte di barche fatto costruire dallo Sforza: fallito però il suo assalto per Teroica resistenza di Cremona, organizzata da Bianca Maria Sforza, e saputo del rapido accorrere del conte, il Quirini si ritirò a Casalmaggiore, su di un ramo del Po. Qui egli si ritenne sicuro, perchè difeso a destra dal presidio di Casalmaggiore e a sinistra da una golena formata dal fiume: inoltre egli stesso aveva munito con palizzate, steccati e catene l'entrata superiore del canale. Ma lo Sforza e 1 Assereto. due prodi, geniali e fortunati condottieri, ebbero ben presto ragione del Quirini: mentre da terra lo Sforza prese a bersagliare con le artiglierie la flotta nemica. l'Assereto si piazzò con le proprie navi all'imboccatura del canale, per tagliare ai Veneti la ritirata e costringerli a combattere. Chiuso fra due fuochi, senza possibilità di uscita e con le navi esposte ai colpi nemici, il Quirini, quando vide che Biagio si apprestava a risalire il canale per attaccare battaglia, diede fuoco ad alcune sue navi e le spinse contro il naviglio milanese per appiccarvi fuoco. Ma il nostro, intuita la manovra, fece rapidamente retrocedere dallo stretto canale le proprie navi e attese il Quirini al varco, impegnando con lui una furiosa battaglia. 77 I registri deUufficio degli Statuti cit., n. 156, p. 68. 3 marzo 1118. 78 A.S.M., Registro Panigarola, n. 6, cc. 41 v. - 42 4 marzo 1448. — 152 — dalla quale si salvarono, con la fuga, solo 7 galeoni e 1 galea delle 70 unità della flotta veneta79. La notizia si diffuse rapidamente in Milano, ove il 18 luglio, si ordinò di fare processioni, fuochi, feste e suoni di campane per celebrare la vittoria riportata il giorno prima dallo Sforza e dal-l’Assereto a Casalmaggiore contro Venezia 80. Ritornato in città, Biagio andò via via aumentando la propria autorità: il 16 agosto gli fu concesso, oltre la propria competenza, il potere assoluto per procedere contro i ribelli, i traditori, gli omicidi, i falsari, i ladri ecc. Riconoscendo la diligenza, la rettitudine e la capacità, nelle azioni militari e in quelle amministrative, del nostro podestà, i Capitani della Libertà diedero all Assereto 1 incarico di allontanare dalla città gli individui discoli, rissosi, sediziosi, pronti a compiere furti ed uccisioni ed a questo scopo gli assegnarono, ultra familiam. 50 uomini armati di balestre e di altre armi 81. 11 bando venne pubblicato il 30 dello stesso mese « a la scalla del pallazio ducale ». con invito a tutti i cittadini di aiutare il podestà nella sua opera e di mantenersi « boni, corredi, obedienti. paciffici et honesti » 82. Nel frattempo la guerra contro A enezia. a cui aveva partecipato così vittoriosamente Biagio, subì un brusco arresto, quando il capitano generale della Repubblica Ambrosiana, con un accordo unilaterale a Rivoltella, il 18 ottobre 1448, si impegnò a restituire le terre sottratte, in cambio di un riconoscimento da parte di V enezia della sua legittimità alla successione di Filippo Maria. L accordo fu interpretato a Milano come un vero tradimento dello Sforza e si procedette all'allontanamento dei Capitani della Libertà e degli altri magistrati, ritenuti responsabili di questa azione, ma l’Assereto rimase al suo posto e venne riconfermato podestà, nonostante il suo legame con il conte 83. In questo periodo di tempo lo Sforza, afflitto da preoccupazioni 79 M. Sanudo cit.. coll. 1127 B-1128 A; G. Giulevi cit.. VI, pp. 439-141. 80 / registri dell'ufficio di Prom-isione cit.. n. 109. p. 412. 18 luglio 1448. 81 A.S.M., Registro Panigarola. n. 6, cc. 77 v. - 78 r.. 30 agosto 1448. S2 A.S.M., Registro Panigarola. n. 6. c. 78 v.. stessa data. 83 G. Gii lini cit., VI, p. 445 di carattere economico per il pagamento dei suoi capitani, iniziò una politica filogenovese, ottenendo in prestito, nel novembre, 10.000 ducati e stipulando con il doge, Giano di Campofregoso, un'alleanza offensiva e difensiva della durata di tre anni 84. In questo trattato, in cui Genova e Milano si impegnarono ad osservare le convenzioni commerciali vigenti prima della morte di Filippo Maria ed a fornirsi reciprocamente aiuti militari, appare fra i sottoscritti della parte milanese anche Biagio 85. L'Assereto trovava anche il tempo di dedicarsi al commercio dei libri: in quest'anno incaricò alcuni amici di vendere al re Alfonso d'Aragona. per 100 ducati aurei, un prezioso codice di Virgilio, come ci mostra una lettera di Bartolomeo Fazio ad Antonio Becca-delli. segretario del re86. Nel 1449. nella sua qualità di podestà. Biagio dovette affrontare anche il problema del vettovagliamento di Milano in preda alla carestia, emanando una serie di decreti atti a colpire gli incettatori di generi alimentari ed a distribuire a ciascuno il grano 87. Ma la situazione nella città si fece sempre più confusa ed agitata, se l'8 settembre 1449. si dovette emettere una grida in cui si ordinava a tutti i cittadini di prestare obbedienza al podestà, Biagio Assereto, ed ai luogotenenti del capitano del popolo, Carlo Gonzaga, impegnato a fronteggiare con le anni l'avanzata di Francesco^forza 88. Nell'ottobre, fallito il tentativo dello Sforza di impadronirsi di Milano, si firmò fra i contendenti una tregua della durata di 20 giorni a partire dal 16 ottobre89: in questo lasso di tempo in Milano si riorganizzò l'amministrazione e Biagio Assereto fu ricon- 8Î G. Giulini cit., VI. p. 448; A. Giustiniani, Annali cit.. II. p. 378. Secondo il Giulini lo Sforza avrebbe dato in isposa, l’anno precedente, la propria figlia illegittima. Drusiana, a Giano Fregoso. 85 A.S.G.. Materie politiche: trattati e negoziazioni, n. 57, 1448? So F. Gabotto. Ln nuovo contributo alla storia dell'umanesimo ligure, in Atti della Società Ligure di storia patria. XXIV. 1891, appendice 4a, doc. Ili, p. 277. 87 / registri dell'ufficio degli Statuti cit., n. 242. p. 71, 30 agosto 1449. 88 G. Giulini cit., VI. p. 460, ove però è scritto « Biagio Agrato, podestà di Milano ». 89 G. Giulini cit., VI. p. 462. — 154 — fermato podestà della città e del distretto fino all’inizio del maggio seguente 90. Trascorsa la tregua, di fronte all’incalzare degli eventi, la repubblica di Sant’Ainbrogio venne ad un accordo con Venezia, credendo di trovare la propria salvezza nell’antica rivale, che in realtà mirava ad estendere il proprio dominio fino all’Adda ; ma l’aggravarsi della carestia e la pressione dei fautori dello Sforza in Milano, fra cui il nostro podestà, portarono la Repubblica all'inevitabile catastrofe 91. La situazione caotica di Milano è ben lumeggiata da due lettere che il Filelfo indirizzò a Biagio. Il 1° gennaio 1450 egli si scusa di non essere più andato a trovare l’amico, perchè impaurito dal disordine e dalle armi, e fa maliziosamente notare al podestà che, nonostante la sua autorità, la voce della legge non viene ascoltata tra il fragore delle armi; per questo rimanda la propria visita a quando laetior dies illuxerit92. Alcuni giorni dopo indirizzò al- 1 amico podestà una sconfortata lettera che descrive bene anche lo stato d’animo e 1 angoscia dei Milanesi, che ormai non sapevano più che cosa fare, nè in chi credere o sperare: versari video arma undique; quid tumultus sibi velit nundum satis intellego, nec animus pre-sagit nescio quid Deus bene versat 93. In questa incertezza degli spiriti ed in questa indigenza la conquista di Milano riuscì facile allo Sforza che, accampatosi nelle vicinanze e spedito in città Gaspare di Vimereate, per sollevare gli animi in suo favore, entrò infine in Milano, il 25 o il 26 febbraio, incontrando solo sporadiche resistenze. L'11 marzo l'Assereto, eletto di nuovo podestà di Milano e distretto con Gabriele di Vimereate come suo vicario, sottoscrisse un bando che convocava l'assemblea generale, la quale proclamò proprio signore lo Sforza: pochi giorni dopo, il 18, sempre l’Assereto ratificò gli accordi fra lo Sforza e la città di Milano 94. 90 / registri dell'ufficio di Provvisione cit.. n. 159. p. 419. 3 novembre 1449. 91 A. Colombo. 1,'ingresso di Francesco Sforza in Milano e l'inizio del nuovo principato, in Archivio storico lombardo, XXXII. 1905. p. 298. 92 F. PniLELPHUS cit.. lib. VII. 1° gennaio 1-150. 93 F. Philelphl'S cit., lib. VII; questa lettera, posta di seguito alla precedente, porta solo l’indicazione dell'anno. 94 A. Colombo cit., pp. 324-31; p. 340. — 155 — Nello stesso giorno Biagio fece pervenire allo Sforza ima lettera. scrittagli dal figlio Franco da Serravalle, sugli avvenimenti del momento in Genova. Franco aveva informato il padre che Lionello Spinola, con più di quattrocento fanti, si era portato alla fortezza di Reste e di lì a Busalla, ove erano convenuti altri Spinola, e che tutti insieme avevano fatto una scorreria in vai Polcevera. Biagio vide in tutto questo una mossa di coloro che. insieme con lui stesso, cercavano di detronizzare il doge Ludovico di Campofregoso e ammonì lo Sforza a ricevere degnamente il proprio amico, Giovanni Filippo Fieschi. che sarebbe andato ad ossequiarlo, ed a ricordarsi di tutto quello che egli gli aveva detto a viva voce sulle vicende genovesi, perchè « questa acqua vene al nostro molino » 9j. Non si sbagliò il nostro: infatti lo Sforza, crediamo con l'aiuto del signore di Serravalle. riuscì a raccogliere intorno a sè tutti gli avversari dei Campofregoso. stringendo accordi anche con i Doria e gli Adorno che gli promisero il loro aiuto nella conquista di Genova, in cambio di ampliamenti territoriali dei loro feudi96. Lo Sforza dimostrò la propria riconoscenza all'Assereto, che lo aveva favorito nell'acquisto del ducato e nelle sue mire su Genova, concedendogli il titolo di milite e di cavaliere aureo 9/. Il 25 marzo avvenne il fatto più importante della politica dello Sforza: accompagnato dalla consorte Bianca Maria, dal figlio Galeazzo. dal fratello Alessandro, dai suoi fedeli. — fra cui Biagio, — dal clero e dalle autorità, fece il solenne ingresso in Duomo, ove fu poi proclamato duca e successore di Filippo Maria Visconti. La cerimonia si concluse con la richiesta di molti cittadini affinchè il duca, in signum, memoriam et perpetuam famam tante celebritatis, festivitatis et glorie, permettesse che il figlio Galeazzo, presunto erede al trono, fosse creato milite. Lo Sforza accolse di buon grado la richiesta, dandone incarico ai militi Biagio Assereto, podestà di Milano. Morello degli Scolari di Parma e Francesco Fossati i quali, ricevuto il giuramento d’uso, proclamarono Galeazzo loro collega. 95 A.S.M., Potenze Estere, Genova, cart. 407. 18 marzo 1450. Cfr. doc. 1. 96 A. Colombo cit., p. 64. 97 G. Scriba. Memorie patrie: Biagio Assereto. in Caffaro, Genova. 20 febbraio 1882. — 156 — cingendolo con la spada dorata e calzandolo con gli speroni d oro. A sua volta il duca ordinò che fossero creati militi anche altre 91 persone di varia nazionalità per mano del principe Galeazzo Maria, del marchese Carlo Gonzaga e degli spettabili cavalieri Biagio Assereto Visconti, Polidoro dei Baglioni di Perugia. Pietro da Norcia, Francesco Fossati da Milano98. In aprile Biagio doveva finire il suo incarico di podestà, ma. poiché non era ancora giunto in Milano il nuovo eletto, il 6 aprile venne confermato, per la sua devozione allo stato ducale e per l'abilità dimostrate in questo incarico, fino all arrivo del podestà designato ", Pietro Guicciardini di Firenze, che prese possesso della sua carica il 19 aprile. Il 5 maggio 1450 lo Sforza accordò piena approvazione all'As-sereto per quanto aveva fatto durante il suo governo come podestà e gli promise eterna riconoscenza per i servigi da lui resi alla causa ducale 10°. 93 A. Colombo cit., pp. 55-58. Il documento in questione è pubblicato in appendice, a p. 100. 99 A.S.M., Registro ducale, n. 148. c. 88 r., 6 aprile 1450. 100 G. Giulini cit., VI, p. 487; viene qui citato un documento dei Registri civici di Milano. — 157 — IV IL RITIRO A SERRAVALLE E L’AZIONE VERSO GENOVA A metà del 1450 circa Biagio si ritirò a Serravalle: la partenza da Milano e Tabbandono delle cariche pubbliche possono sembrare un meritato riposo, dopo l’intensa attività dell Assereto sotto il Visconti ed al tempo della Repubblica Ambrosiana, ma coincidono anche con il riposo di altri suoi colleglli, che, al pari di lui» lasciarono la corte ducale. Francesco Sforza infatti, dopo aver mostrato la propria riconoscenza verso la nobiltà e gli antichi partigiani del Visconti che l'avevano aiutato a conquistare il ducato, li allontano da corte e si circondò di uomini nuovi che provenivano dalla bor ghesia o dall’ambiente mercantile, le due classi sulle quali lo Sforza appoggiò la saldezza del proprio potere 1. Il trasferimento a Serravalle parve sicuramente motivato dal desiderio di godersi i piaceri della vita campestre al Filelfo, il quale mostra di invidiare l amico feudatario: i soliti motivi umanistici del 1 ozio, della tranquillità, della pace agreste, compaiono spesso nelle molte lettere, scritte al nostro dal Filelfo, il quale per prima cosa, il 14 ottobre 1450, gli rimproverò di essersi dimenticato degli amici lasciati a Milano 2. 1 F. Catalano, L'età sforzesca dal 1450 al 1500. in Storia di Milano, VII, Milano, 1956, p. 18. 2 F. Philelphus cit., lib. VII, 14 ottobre 1450. Qualche giorno dopo il Filelfo, di nuovo, chiese il motivo che tratteneva l’Assereto in campagna. ^ quella stagione in cui non vi erano frutta fresche: forse gli piacevano le castagne In questo caso lo ammonisce a non farne indigestione e a ricordarsi di in\iar0 i — 158 — In realtà Biagio non poteva godersi l’ozio, che tanto gli invidiava l’amico umanista, perchè era ancora utile, forse più di prima, ed ancora al servizio attivo sotto lo Sforza, che aveva avuto le sue buone ragioni per mandarlo nel feudo di Serravalle. Serravalle, a metà strada fra Genova e Milano, era una località di estrema importanza strategica come ultimo baluardo ducale contro Novi, legata alla repubblica di Genova, e contro gli irrequieti marchesi del Monferrato ; aveva anche una grande importanza dal punto di vista economico, perchè per Serravalle passava la strada del sale, che, in tempo di pace e di guerra, doveva assolutamente raggiungere Milano. Per questo lo Sforza inviò l’Assereto a Serravalle, perchè sapeva di poter contare sull’energia e sulla fedeltà del nostro e di avere a disposizione un uomo coraggioso ed astuto, che avrebbe assicurato il trasporto del sale e che, nello stesso tempo, ne avrebbe assecondato le mire su Genova. Dopo il ’50 infatti, per il prestigio di cui Biagio ancora godeva negli ambienti genovesi ostili ai Campofregoso, Serra-valle divenne il centro del malcontento contro il governo di Genova ed il luogo di riunione di tutti i fuorusciti genovesi, di cui lo Sforza si serviva per la sua azione volta a riconquistare Genova. Da consigliere ducale l’Assereto divenne l’agente dello Sforza presso gli esuli genovesi e l’informatore del duca sugli avvenimenti in Genova e nel Monferrato: il 9 settembre avvertì lo Sforza che il giorno precedente era stato eletto doge di Genova Pietro di Campofregoso e che gli Adorno, avversari del nuovo eletto, si apprestavano a scendere dai loro feudi in vai Polcevera per un azione di rappresaglia 3. Biagio dovette anche occuparsi dell’amministrazione e della riorganizzazione del proprio feudo, nonostante il figlio Franco avesse alcune piante di fico, chieste in dono precedentemente (cfr. ibidem, lib. VII, 28 novembre 1450). Poiché l’Assereto non voleva spedirgliele, sostenendo che in inverno l’innesto non sarebbe riuscito, il Filelfo, all annunzio della buona stagione, il 2 febbraio 1451, ritornò alla carica chiedendo anche piante di progne e di altri frutti (cfr. ibidem, lib. Vili, 2 febbraio 1451). 3 A.S.M., Potenze Estere, Genova, cart. 407, 9 settembre 1450, vedi appendice, doc. 2. — 159 — ben governato durante la prolungata assenza del padre 4. Il problema più importante sembra essere stato quello della mancanza di uomini; il nostro cercò di porvi rimedio attirando in Serravalle, con la prospettiva della libertà e di un migliore trattamento, gli schiavi fuggiaschi. In varie occasioni egli fece presente allo Sforza la penuria di uomini nel proprio territorio, dei quali invece aveva assoluto bisogno per provvedere alla difesa di Serravalle, al trasporto del sale ed alle continue richieste del duca stesso, che sollecitava sempre nuove reclute per il suo esercito, dislocato nel Veronese. Dall altra parte Genova non poteva assistere a queste manovre nei confronti degli schiavi, senza intervenire: il 2 gennaio 1451 il doge invitò il nostro a restituire la schiava di un tale Ambrogio Ra-sponi. la quale, sottrattasi al padrone, si era rifugiata a Serravalle, ove era stata liberata dal nostro feudatario5: il 21 marzo il Comune genovese rinnovò la richiesta per la schiava fuggitiva e Tesortazione a non concedere asilo agli schiavi fuggiaschi6; il 20 gennaio 1452, infine, il doge ed il Consiglio degli Anziani indirizzarono a Franco Assereto una petizione, a nome di un tale Teramo Lomellini, per riavere uno schiavo che, il novembre scorso, era fuggito e si era rifugiato a Serravalle 7. Nonostante queste diffide da parte di Genova, Biagio sembrava essere, almeno formalmente, in buoni rapporti con il doge Pietro di Campofregoso. al quale scrisse, alla fine del febbraio 1451, di essere in procinto di trasferirsi a Milano per ricevere dalle mani del nuovo principe l'investitura di Serravalle. Il doge, dal canto suo, ricambiò la cortesia, complimentandosi con Biagio per la notizia ed invitan- 4 Franco, che spesso sostituì il padre nel governo del feudo, si accattivò le simpatie dei sudditi, come « savio et discreto amministratore ». Questi, « anti la morte del magnifico cavalero domino Biasio », indirizzarono una supplica allo Sforza, nella quale chiedevano che il duca stabilisse unico erede ed amministratore Franco, escludendo dalla successione tutti gli altri figli dell'Assereto e special-mente il secondogenito Stefano, « non sufficiente per il suo malo deportamento et malefici comissi », il quale accampava diritti, anche a nome degli altri due fratelli minorenni (cfr. A.S.M., Comuni. Serravalle. cart. 79, senza data). 5 A.S.G., Litterarum, n. 18/1794 (1451-58), doc. 736. 2 gennaio 1451. 6 A.S.G., Litterarum, n. 18/1794, doc. 148. 21 marzo 1451. 7 A.S.G., Diversorum, filza 20, n. 3040 (1452-53), 20 gennaio 1452 — 160 — dolo ad inviare a Genova, ove sarebbe stato bene accolto, il di lui figlio (quale?), che aveva espresso il desiderio di scendere fino a Genova 8. Lo Sforza infatti, dopo aver rivolto all’Assereto, il 20 febbraio 1451, l’invito a recarsi a Milano, gli concesse, il 27 marzo, l’investitura del feudo di Serravalle e gli conferì inoltre, per i meriti acquisiti presso il suocero Filippo Maria e presso lui stesso, il titolo di conte 9. Con questa ed altre cerimonie simili il duca cercava di riprendere nelle proprie mani tutto l'antico territorio visconteo; ma al mosaico mancavano ancora molte pietre, quali Asti, Alessandria, Tortona, Crema, la Ghiara d’Adda ecc. Per riavere questi territori 10 Sforza, oltre una serie di accordi locali, riuscì a realizzare una grande coalizione contro Venezia alla quale aderirono Firenze, Bologna, Mantova ed infine anche Genova, che, dopo laboriose trattative, e cui crediamo partecipasse anche il nostro, entrò, il 4 novembre, a far parte della lega 10. In ossequio alla nuova politica verso Genova, lo Sforza, almeno per ora, non potè più favorire apertamente gli oppositori del Campofregoso ; l’Assereto, quindi, per ordine del duca, si recò da Giovanni Antonio Fieschi per persuaderlo a desistere dalle sue scorrerie, ed a riconciliarsi con il doge, assicurandolo però che « il principe lo repute de li apostoli da mano destra per le opere sue passate et per la speranza in lo advenire ». Biagio riuscì nella sua missione e potè quindi tranquillamente comunicare allo Sforza, 11 1° dicembre, che « arosto, a lesso et in galatina la Excellentia Vostra pò usare il prefato Iohanne Filippo et in omnem eventum» n. In questo periodo 1 Assereto sembrò concedersi veramente un po’ di riposo ed il solito Filelfo gli scrisse, prima per indurlo ad 8 A.S.G., Litterarum, n. 18/1794. doc. 90. 28 febbraio 1451. 9 G. Scriba, Memorie patrie: Biagio Assereto, in Cafjaro, Genova. 20 febbraio 1882 10 F. Dumont, Corps universel du droit des gens. III. Amsterdam. 1726. parte la, pp. 188-89, 4 novembre 1451. La ratifica dell'accordo, della durata di cinque anni, da parte del comune di Firenze, si trova in A.S.G.. Materie politiche: trattati e negoziazioni, n. 2731 ( 1420-56). 14 novembre 1451. 11 A.S.M., Potenze Estere, Genova, cart. 407, 1° dicembre 1451, vedi doc. 3. — 161 — 11 accogliere alla sua corle e possibilmente nel novero degli amici un proprio protetto 13 poi, impensierito per non aver ricevuto risposta e per essere stato informato olie Biagio stava bene in salute, gli inviò, il J° gennaio 1452, una lunga dissertazione sull ozio 1S. La tranquillità del nostro durò poco: nel marzo 1452 infatti, da un lato il marchese di Monferrato ed il fratello Guglielmo sembravano sul punto di passare all’offensiva e di invadere i territori dei feudatari milanesi; dall'altro le frequenti puntate in valle Seri via del capitano generale di Genova, Nicolò di Campofregoso. e dei suoi uomini, impedivano il commercio, specialmente del sale, e costringevano i mercanti a prendere la via del Monferrato e delle Langhe, recando gravi perdite ai dazi di Tortona, Pavia. Milano. Inoltre Francesco Sforza sembrava esagerare nella nuova politica, togliendo terre ed aiuti a Giovanni Filippo Fiesehi, 1 antico fautore di Milano in Genova. Per questo Biagio, assai preoccupato, perchè tutto questo avveniva proprio mentre l'inviato del duca, Francesco Capra, si trovava in Genova, ed anche perchè i Campofregoso dicevano di « voler fare di Serravalle un orto ». consigliò lo Sforza a rivedere il proprio atteggiamento verso il Fiesehi, poiché « quanto serà più potente, forte e grande lo bastone de Iohanne Filippo, tanto ve ne potrete più adiutare. e tanto più serà la Signoria Vostra favorita a la parte di qua et e contrario » Fra gli informatori del nostro erano anche Giovanni Ferruf-fino e Antonio Guidobono, i due delegati milanesi a Genova per la compera del sale, i quali, alla fine di marzo, lo avvertirono che in città non vi erano novità, ma che erano state avvistate verso levante cinque galee del re d’Aragona '5. Le novità non tardarono ad accadere e proprio nella stessa famiglia al potere: il doge e tutti gli altri Campofregoso uccisero, nel maggio, il capitano generale Nicolò di Campofregoso, sospetto di connivenza con Milano. « cum dage e pugnali e morto li feceno taglare lo capo » ed elessero in sua vece Spinetta, fratello dell'ucciso. Dal trambusto 12 F. Philelphus cit., lib. VIIII, 27 dicembre 1451. 13 F. Philelphus cit., lib. X. 1° gennaio 1152. 14 A.S.M., Potenze Estere, Genova, cart. 407, 13 marzo 1452. vedi doc. 4. 15 A.S.M., Potenze Estere, Genova, cart. 407, 30 marzo 1452. — 162 — cercò di trarre vantaggio il solito Giovanni Filippo Fieschi. presso cui si erano rifugiati i figli dell’ucciso, scendendo con i suoi uomini fino alle porte di Genova; ma, di fronte all’accanita resistenza della citta, fu costretto a ritornare nel proprio feudo di Montaggio. Biagio pensò di sfruttare anche questa occasione e nella lettera, con la quale informò il duca dell’accaduto, gli suggerì di accogliere presso di lui i figli dell’ucciso Nicolò, per potersene poi servire contro il doge Pietro 16. Nonostante avesse fallito questa occasione per impossessarsi del potere, 1 irrequieto Giovanni Filippo continuò a dare fastidio al (l°ge: il 15 giugno, da Recco, informò il nostro che suo nipote Iacopone aveva catturato a San Fruttuoso una galea genovese, su cui ora Galeotto di Campofregoso 17. Il giorno dopo l’Assereto si affrettò a darne notizia al duca, fornendo altri particolari: « se dice che 1 duxe 1 havia (Galeotto) reconciliato per farlo capitanio e non fidarsi più de messer Spineta, novo e sanguinolento capitanio ». Si congratulò con lo Sforza per i suoi successi militari, pregandolo di scrivergli continuamente le buone novelle, per poter tacitare le false dicerie dei vicini che parlavano di sconfitte: gli fece sapere pure che la situazione nel Monferrato era calma e che il figlio Stefano, ferito ad una gamba e fatto prigioniero. « tosto sera liberato e ritornerà da la Signoria Vostra » 18. Nel luglio 1452 lo stato di guerra latente intorno a Serravalle si acuì a causa dell irrequietezza dei signori del Monferrato e di Novi, legata a Genova, da dove i Genovesi molestavano il territorio milanese, e specialmente quello di Biagio, a motivo della connivenza del nostro con i feudatari genovesi ribelli. Lo Sforza sembrava non preoccuparsi troppo di quanto avveniva e nemmeno dare ascolto alle notizie che l’Assereto, quasi quotidianamente, gli inviava sugli sviluppi della situazione. Il nostro si rivolse allora al commissario ducale in Tortona, al quale, un po’ risentito, egli scrisse: « veramenti, se non fidassi in Dio et le mie forze et de li parenti, io staria de mala vogla in questo cantone » ; pensò pure 16 A.S.M., Potenze Estere. Genova, eart. 407, 6 giugno 1452. vedi doc. 5. 17 A.S.M., Potenze Estere, Genova, eart. 407. 15 giugno 1452. 18 A.S.M., Potenze Estere, Genova, eart. 407, 16 giugno 1452. vedi doc. 6. — 163 — di correre ai ripari, da solo e di propria iniziativa, incontrandosi con Paolo Adorno, nipote dell’ex-doge Raffaele, per conoscere le vere intenzioni dei marchesi del Monferrato 19. Seppe che Guglielmo di Monferrato aveva in mente di invadere tutta la valle Scrivia e la vai Borbera, con l’aiuto di Venezia e del duca di Savoia, e che il marchese si sarebbe astenuto solo dall’attaccare Serravalle, in ricordo dei favori che il nostro gli aveva fatto al tempo della Repubblica Ambrosiana. Sembrava inoltre che Guglielmo, malcontento di Venezia, « maxime in lo fatto de li denari et altre promisioni », tentasse un accostamento a Milano ; ma Biagio ebbe l’impressione, che manifestò al duca, « che’l (Guglielmo) se vogla metere a lo incanto per avere meglor mene-stra ^da Veneciani » 20. Il suggerimento fu accolto dallo Sforza che dette ordine al proprio fratello, Corrado da Fogliano, ed agli altri suoi feudatari di continuare nell’azione contro il Monferrato: la fortuna arrise ai Milanesi che, sorpreso l'esercito di Guglielmo a Cassine, lo batterono costringendolo a lasciar sul campo armi e bagagli 21. Dopo la sconfitta, il marchese, tramite Raffaele Adorno che fungeva da intermediario, sembrò più che mai propenso all'accordo con Milano e il nostro ne scrisse al principe per sapere se dovesse o no passare le linee per invadere il Monferrato; fece anche sapere di avere « morto e stanco li mei o vostri Serravallim per far eondur el sale » da Genova, ove il Fregoso, in gran fretta, faceva fortificare la fortezza di Molassana in vai Bisagno contro gli attacchi del solito Fiesehi22. Ma dell’accordo con il marchese non si fece nulla, perchè la sconfitta inflitta a Lodi dai Veneziani ad Alessandro Sforza il 27 luglio, diede nuova baldanza e sicurezza a Guglielmo, che continuò nella lotta contro Milano . Nell’autunno 1452 nuove nubi si addensavano sul capo del nostro feudatario: le frequenti incursioni nemiche e le abbondanti piogge impedivano la vendemmia e la semina; egli, inviato ad 19 A.S.M., Potenze Estere, Genova, cart. 407, 20 luglio 1452. 20 A.S.M., Potenze Estere. Genova, cart. 407, 21 luglio 1452, vedi doc. 7. 21 G. Giulini cit., VI, p. 496. 22 A.S.M., Potenze Estere, Genova, cart. 407, 28 luglio 1452, vedi doc. 8. 23 G. Giulini cit., VI, p. 496; F. Catalano cit., pp. 30-33. — 164 — ispezionare le linee e le difese, trovò soldati ed ufficiali intenti a giocare «a triumphi»; gli aiuti genovesi, inviati da Novi e da (ravi, impedivano ai Milanesi di impossessarsi di Bosco Marengo, Frugarolo e Pozzolo Formigaro che in caso contrario « se reduria-no al baptismo o morreano di fame ». AH’Assereto venne quindi spontaneo chiedersi « che liga sia con questo duxe de Zenoa » e partecipò il suo dubbio alla duchessa Bianca Maria, il 3 ottobre, sollecitando l’invio nella zona di capitani fedeli, che alleviassero un po le sue responsabilità, anche se egli promette che « me cari-carò tanto la soma che 1 basto me caderà in collo » 24. Ma gli aiuti promessi da Milano tardavano e il nostro fu costretto ad assoldare venticinque fanti forestieri e ad arruolare cinquanta borghesi, con i quali catturò uomini e cavalli nel territorio di Frugarolo, difeso dai soldati di Novi 25. Qualche altro feudatario della zona, invidioso di questo successo, informò Io Sforza che l’Assereto aveva avuto, per il passaggio dei fanti, un salvacondotto dal marchese del Monferrato, con il quale teneva segreti accordi26. Biagio non tardò a scolparsi, ama-reggiato che il duca avesse dato ascolto a simili calunnie e che uomini così bugiardi e malfidi fossero i sostenitori del ducato milanesi; veri tradimenti si commettevano nella zona, non da parte sua. ma dei Lonate, feudatari milanesi, che cospiravano contro il loro principe 27. Allo Sforza, impegnato nel Cremonese e nel Bresciano, non interessavano molto queste beghe locali, bensì uomini e soldati: nel gennaio 1453 inviò in valle Scrivia e in vai Borbera alcuni suoi fedeli per reclutare balestrieri, guastatori e fanti da immettere nell esercito di Bartolomeo Colleoni, che stava per scendere contro il Marchese del Monferrato. Biagio assicurò tutto il suo aiuto e la sua collaborazione ad un tale Aymerico, inviato del Colleoni, il quale presso gli altri feudatari nihil aut parum facere potuit28. 24 A.S.M., Potenze Estere, Genova, eart. 407, 3 ottobre 1452. vedi doc. 9. 25 A.S.M., Potenze Estere, Genova, eart. 407, 11 ottobre 1452. vedi doc. 10. 26 A.S.M., Potenze Estere. Genova, eart. 407, 12 ottobre 1452. vedi doc 11. 27 A.S.M., Potenze Estere, Genova, eart. 407, 15 novembre 1452. vedi doc. 12. V 28 A.S.M., Potenze Estere, Genova, cari. 408. 11 gennaio 1453. vedi doc. 13. — 165 — Il 16 giugno il nostro si congratulò con lo Sforza per le vittorie da lui ottenute sui Veneziani nel Veronese, assicurando che in Serravalle si sarebbero fatte feste; colse pure 1 occasione per specificare di aver sottratto cavalli e uomini agli abitanti di Fra-garolo. come già aveva scritto, e non ai Campofregoso, come sj lamentava il duca29. Costui pretendeva che si restituissse «fin ad un pontale de stinca quello che è stato preiso al duxe de Zenoa »; allora Biagio, sdegnato di tante insistenze, rispose che, quando gli Assereto vorranno veramente vendicarsi dei Campofregoso, non ricorreranno all'uccisione dei loro servi e dei loro alleati, ma, « al sangoe proprio de1 Fregosi ». Tuttavia il nostro non si curava di queste rivalità familiari, anche se i Novesi, fautori del Campofregoso. sembravano mirare proprio a lui e giunsero ad assalire anche un drappello di Bartolomeo Colleoni che scortava l’Assereto verso Serravalle. Ma lo Sforza sembrava dare ascolto ai falsi informatori ed ai calunniatori, « mettendo la veritate de altri a banda sinistra »; inoltre impediva al proprio feudatario l'acquisto di nuove armi e minacciava di degradare da cavaliere Stefano Assereto, se non si fosse recato immediatamente al campo 30. Ci pare di capire che in questo momento lo Sforza non apprezzasse più tanto i consigli e le idee insurrezionali contro Genova del nostro, che minacciavano apertamente gli accordi del 51 con la Repubblica. Il duca cercò non solo di calmare il proprio feudatario, ma anche gli esuli genovesi, servendosi proprio di Biagio che. con il suo prestigio, doveva trattenerne le intemperanze. Forse lo Sforza, che in questo periodo stava trattando con il re di Francia, non voleva complicazioni che ritardassero 1 accordo stipulato proprio nel "53. In seguito a questo il principe Renato d An-giò si affrettò a scendere in Italia con un esercito; ma, impedito nel valico delle Alpi dal duca di Savoia, si portò a Marsiglia, da dove, su due galee genovesi, fu portato a Ventimiglia e quindi raggiunse Asti31. In questa circostanza Biagio fu inviato a Recco 29 A.S.M., Potenze Estere. Genova, cari. 408, 16 giugno 1453, vedi doc. 14. 30 A.S.M.. Potenze Estere. Genova, cart. 408, 16 giugno 1453, vedi doc. 15 c doc. 16. 31 G. Giulini cit., VI, p. 501. — 166 — presso i propri parenti per indurre il ribelle Giovanni Filippo Mescili a sottostare alle decisioni del duca; l’8 agosto egli era ancora a Recco, da dove scrisse al figlio Franco di doversi trattenere ancora alcuni giorni per accompagnare nel ritorno l'inviato milanese, Giovanni de la Guardia, e di essere lieto dell’arrivo del principe francese in Asti, perchè insieme con l'aiuto del nuovo alleato sarebbe stato più facile dominare il marchese di Monferrato 32. L’Assereto dovette affrettare il ritorno perchè, stipulata la pa-ee fra lo Sforza ed il marchese, per l'intervento del principe angioino, il Colleoni, che si trovava nella zona contro il marchese 33, era passato nei feudi degli esuli genovesi, seminando distruzioni ed incendi e facendo prigionieri Raffaele Adorno, Giovanni Montarlo ed il segretario di Giovanni Filippo Fieschi. Biagio si stupì non poco di questo improvviso cambiamento della politica ducale e fece sapere allo Sforza, il 2 settembre, che, se egli non si fosse trovato lì, tutta la valle Scrivia e la vai Borbera si sarebbero ribellate e che comunque di lì non sarebbero più potute passare nè merci, nè sale; inoltre il Fieschi, per rappresaglia, era sceso sulla Riviera di Levante e si era impadronito di Levanto 34. In seguito a queste preoccupanti notizie, lo Sforza ritenne opportuno non muovere Biagio da Serravalle ed inviare invece, per cercare un accordo con il Fieschi, che nel frattempo si era impossessato di tutta la Riviera di Levante, il proprio ambasciatore a Genova, Giovanni de la Guardia, ed il cavaliere Franco, figlio primogenito dell’Assereto e cugino dello stesso Fieschi 35. Contemporaneamente impose al proprio feudatario di fare desistere il Fieschi dalla sua azione; ma Biagio, pur affermando, il 22 settembre, di far tacere i propri sentimenti per il bene dello stato ducale, avvertì lo Sforza di dubitare « che'l duxe de Zenoa non cerche altro se non metere rugine tra la Excellentia Vostra et lo ditto Iolianne Filippo, che mai più l’uno non se fide di l'altro ». Franco riuscì 32 A.S.M., Famiglie, Assereto. eart. 9. 8 agosto [ 14-53J. 33 G. Giulini cit., VI, pp. 501-02. 34 A.S.M., Potenze Estere. Genova, eart. 408. 2 settembre 1453, vedi doc. 17. 35 A S.M., Potenze Estere, Genova, cari. 408. 8 settembre 1453, vedi doc. 18. — 167 — in Questa missione e si recò presso il duca a Milano per riferirne • • 36 a voce e per parlare con il principe angioino . La politica dello Sforza e dell’Assereto nei confronti di Genova sembra ora chiaramente divergere: lo Sforza preferiva procedere con la diplomazia e con l'astuzia ed apparentemente ostentava buoni rapporti con il Campofregoso. Biagio e gli esuli genovesi, invece. avrebbero voluto passare all'azione e prendere iniziative radicali contro il doge di Genova, ma per motivi diversi: gli Spinola, gli Adorno, i Fiesehi. in lotta tra loro stessi ed uniti solo dall odio per il Campofregoso, volevano occupare Genova per la secolare lotta fra le famiglie che si avvicendavano al potere nella citta, Biagio, al contrario, non aveva alcun interesse personale, ma si ispirava al suo ideale dello stato principesco, di cui Genova doveva essere parte integrante. Ad acuire ancora più il contrasto tra il duca e 1 Assereto inter vennero le ostilità fra Serravalle e Novi a causa delle quali ne^ Tortonese si viveva in uno stato, se non di conflitto dichiarato aperto, almeno di guerra latente con Genova, nonostante la P di Lodi 37. Il 4 maggio il doge si lamentò con Biagio perchè i uomini facevano incursioni, rapine, uccisioni nel territorio no^ ^ e lo invitò a comporre pacificamente la vertenza38; di nuovo. ^ 3 giugno, su consiglio dell'inviato milanese in Genova, Giovann la Guardia, il doge propose al nostro di scegliere due probi per parte che cercassero di risolvere pacificamente la contro\er-senza fare ricorso alla forza e alle leggi 39. ^ Il 19 giugno l'accordo era ancora in alto mare e si scrisse Genova al nostro di scegliere altri rappresentanti dei pr°Pr ^ ^ teressi. perchè quelli precedentemente scelti sembravano tutt'altra cosa che la pace con Novi40; il 1° luglio il ^°re 36 A.S.M.. Potenze Extere, Genova, cart 408. 22 settembre 14o3, /1 <90.56), doc. A.S.G.. Materie politiche, trattati e negoziazioni, n. 2.31 ( - j^jjan0. 86, [1454]: si tratta della minuta del trattato concluso per 25 anni Venezia, Firenze e dell invito a Genova di aderirvi. j0 38 A.S.G., Litterarum, n. 15/1791 (1447-57), doc. 1557, e. 436 v., 24 mar 1454. 39 A.S.G., Litterarum, n. 18/1794, dor. 2326, 3 giugno 1454. 40 A.S.G., Litterarum, n. 15/1791, doc. 1584, c. 445 r., 19 giù"110 — 168 — pegno a far sapere all’Assereto il motivo per cui ai Novesi non erano graditi i rappresentanti di Serravalle, insistendo nel desiderio di voler mantenere rapporti di buona amicizia 41. Ma Biagio non sembrò prendersi molto a cuore la faccenda, dando anche altre preoccupazioni allo Sforza, perchè, collegatosi con l’abate di Precipiano, gli Spinola di Arquata ed i nobili Ratti, cercò di togliere ai Lonate, anch’essi feudatari milanesi, ma suoi denigratori presso il duca, « el loco delle Vignole ». Anche I’ ranco dava man forte al padre e molestava nelle sue proprietà il priore di Calvenzano, per cui il duca intervenne presso l’Assereto affinchè si comportasse da buono e pacifico vicino ed ammonisse il figlio a starsene tranquillo 42. La questione di Novi e la pace con il feudatario milanese stavano troppo a cuore a Pietro di Campofregoso, pressato da ogni lato da rivali al potere, perchè non se ne facesse nulla; quindi egli tentò, il 3 agosto, la via dell’adulazione. Dopo aver ricordato all’Assereto le sue precedenti lettere, rimaste senza risposta, per risolvere una buona volta le divergenze pendenti, il doge lo informo di voler ripristinare la festa di ringraziamento a San Domenico per la vittoria di Ponza, essendo ormai estinto il ricordo del memorabile trionfo su Alfonso d’Aragona. e lo invitò a mandare, in sua vece, per quel giorno, un suo familiare che assistesse alla cerimonia con cui si celebrava il valore e la perizia di Biagio43. Crediamo che con questa mossa l’astuto doge sperasse di raggiungere due scopi: persuadere Biagio all’accordo e ricordare ad Alfonso d Aragona, che non voleva entrare nella lega di Lodi proprio per la presenza di Genova44, l’umiliante sconfitta inflittagli da Genova non molti anni prima. Il 1° gennaio 1455 l’Assereto ricevette una lettera del Filelfo 41 A.S.G., Litterarum, n. 15/1791, doc. 1601, c. 450 v., 1° luglio 1454 42 G. SCRIBA, Memorie patrie: Biagio Assereto, in Cafjaro, Genova. 21 febbraio 1882. 43 A.S.G., Litterarum, n. 18/1794, doc. 2445, 3 agosto 1454. 44 Solo il 28 gennaio 1455 Alfonso d’Aragona aderì alla lega di Lodi, facendo pace con tutti i firmatari, fuorché con Genova e con Astorre di Faenza. Cfr. G. GiU-LINI cit., VI, p. 511. — 169 — che, scusandosi per il lungo silenzio, ricordava di avere spesso chiesto notizie dell amico, il quale invece non si era fatto più vivo: forse Biagio si era irretito in qualche avventura amorosa, non^jpiù confacente alla sua età 45? Non sappiamo da quali motivi il Filelfo fosse indotto a questa affermazione, ma crediamo cìie ben altri pensieri occupassero la mente del nostro. Il Filelfo stesso, in una altra lettera del 26 maggio, mostra di aver saputo dalFAssereto stesso quale fosse il reale motivo del suo silenzio: una cupa malinconia ed il presentimento della prossima fine, che opprimevano il feudatario, togliendogli ogni volontà ed ogni desiderio di azione. L umanista milanese cercò di scuoterlo da questo stato di depressione, invitandolo a dedicarsi più attivamente alle lettere e ad inviargli una relazione sulla battaglia di Casalmaggiore contro i Veneti. che egli spesso gli aveva chiesto 46. A scuotere 1 Assereto da questo torpore intervennero, nel luglio 1455, gli avvenimenti di Genova, ove l'ostilità contro il doge Campofregoso, alimentata da Alfonso d’Aragona e da Francesco Sforza, era divenuta assai acuta: Ludovico di Campofregoso marciava contro la città, impossessandosi di Sestri Levante e minacciando Chiavari; Pietro Spinola dai suoi feudi scendeva verso Savona; gli Adorno erano arrivati fino a Cornigliano; un’armata aragonese si dirigeva contro la città ; la terra di Novi era in grande agitazione 47. Biagio avvertì il duca, il 25 luglio, di essere pronto ad occupare Novi, ove aveva molti amici e sostenitori, purché fosse concessa 1 approvazione al suo disegno48; senza attendere risposta, il giorno dopo . riferì di nuovo allo Sforza che il suo progetto doveva avere rapida esecuzione per impedire che altri, prima di lui, entrassero in Novi e inviò la copia di una lettera sulle ultime vicende genovesi, scritta al figlio dal cognato Gregorio Fieschi49. Ma l’affare di Novi sfumò per l’indecisione del duca, timoroso delle conseguenze che una tale occupazione gli avrebbe procurato. 45 F. PhilelphUS cit., lib. XII, 1° gennaio 1455 46 F. Phii.elphus cit., lib. XII, 26 maggio 1455. 4' A.S.M., Potenze Estere, Genova, eart. 410, 25 maggio 1455, vedi doc. 20. 48 A.S.M., Potenze Estere, Genova, eart. 410, 25 luglio 1455, vedi doc. 21 49 A.S.M., Potenze Estere, Genova, eart. 410, 26 luglio 1455, vedi doc. 22. — 170 — A Biagio ormai, abbassalo allo stesso livello degli altri feudatari milanesi della valle Scrivia, il duca aveva tolto quella libertà di azione, di cui il nostro godeva all’inizio, e l’incarico di informatore e di consigliere. All’Assereto, per il suo prestigio e la sua amicizia con i feudatari ribelli a Genova, rimaneva la funzione di guida e di agente segreto presso i fuorusciti genovesi, che nessun altro uomo dello Sforza sarebbe stato in grado di svolgere. Continuò quindi nei suoi contatti e nei suoi incontri segreti con gli esuli e il 2 ottobre il nostro manifestò 1 intenzione di recarsi a visitare il duca, « come è mio debito e già passato », e di riferirgli sull’equivoco nato in Genova intorno all’arrivo del cardinale di Sant’Angelo di Avignone 50, che in un primo tempo, il 25 settembre, su indicazioni sbagliate dei suoi informatori genovesi, aveva indicato come il cardinale di Santa Croce Jl. Ma il 6 ottobre, ancora ila Serravalle, Biagio informò lo Sforza che le galee papali, sulle quali viaggiava il cardinale, non erano nemmeno approdale a Genova, ma avevano navigato sei miglia al largo dirette verso ponente 52. Un altro fatto trattenne ulteriormente Biagio dal recarsi a Milano: il pericolo che il doge Pietro, incapace di far fronte alla pressione dei propri emuli, si accordasse con il re di Francia. Carlo VI, per farlo signore di Genova. Biagio si recò allora a Recco per essere informato a voce da Giovanni Filippo Fiesehi sull andamento delle trattative con i Francesi e forse per seguire più da vicino la questione; ritornato a Serravalle, il 23 ottobre cavalcò per quindici miglia in direzione di Savona per avere anche da quella parte notizie sul ventilato accordo53. Il 2 novembre il Fiesehi scrisse alFAssereto, che ne informò lo Sforza, di ritardare ancora alcuni giorni la sua partenza, per dar modo ai capi della rivolta di trovarsi ancora una volta insieme 5\ Questi indugi non furono graditi al duca, che piuttosto adirato 1*11 novembre rimproverò il 50 A.S.M., Potenze Estere, Genova, cari. HO. 2 ottobre 1455, vedi doc. 24. 51 A.S.M.. Potenze Estere, Genova, cart. 410. 25 settembre 1455, vedi doc. 23. 52 A.S.M., Potenze Estere, Genova, cart. 410, 6 ottobre 1455, vedi doc. 25. 53 A.S.M., Potenze Estere, Genova, cart. 410, 23 ottobre 1455. vedi doc. 26. 54 A.S.M., Potenze Estere, Genova, cart. 410, 4 novembre 1455, vedi doc. 2.. — 171 — proprio feudatario55: altrettanto risentito, Biagio si affrettò, il 13 dello stesse mese, a far sapere al duca di non essere mai stato nè lento, nè pigro nelle cose del ducato e di essere pronto a recarsi presso di lui, anche se « piove quanto se po* » 56. L'Assereto aveva ben ragione di tardare: infatti in quella stessa notte giunsero furtivamente a Serravalle Raffaele e Barnaba Adorno. Giovanni Antonio e Pietro Spinola, che si erano allontanati dai loro feudi con il pretesto di partecipare ai funerali di Oberto Spinola di Francavilla. ucciso da quelli di Gavi, in realtà per un convegno segreto in casa di Biagio 57. Il 17 novembre costoro, dopo gli accordi con il nostro, si portarono da Giovanni Filippo Fieschi con questa decisione comune: impedire l'accordo di Genova con la Francia, fare doge l'Adorno ed accordarsi con lo Sforza contro i Campofregoso e i Francesi, mentre il doge era abbandonato anche dalle compagnie degli artigiani, che l'avevano sostenuto 58. Dopo questo convegno Biagio si recò a Milano per riferire finalmente al duca ed al ritorno, il 20 dicembre, si trovò di nuovo con gli stessi Adorno e Spinola. « chi sono guida e nauteri de la nave da queste parti di qua »: perchè fra i nostri cospiratori doveva essere intervenuta qualche difficoltà. Biagio si affrettò ad ammonire lo Sforza a non far capire all Adorno che gli Spinola e i Fieschi avrebbero sempre sostenuto il duca, ma mai un Adorno doge -Tutte queste manovre e questi accordi non ebbero alcun esito, in parte per 1 astuzia del doge60, in parte per l indecisone dello Sforza 55 A.S.M.. Potenza Estere. Genova, eart. -110. 9 novembre 1455. vedi doc. -8. 56 A.S.M.. Potenze Estere. Genova, eart. 410. 13 novembre 1455. vedi. do<. -9 A.S.M.. Coinuni. Serravalle. eart. 79. 13 novembre 1455. vedi do<. 30. 'ero motivo del convegno non sfuggì al doge di Genova che. per mezzo di un fedele alleato, ne chiese spiegazione a Biagio; ma l’Assereto. molto evasivamente, ri>pose che « luy non po vedere luti quelli che vanno e vengono». (Cfr. A.S.M-Potenze Estere. Genova, eart. 410. 25 novembre 1455). 58 A.S.M.. Potenze Estere. Genova, cari. 410. 17 novembre 1455. vedi doc. 3 A.S.M.. Potenze Estere. Genova, eart. 410. 20 dicembre 1455. vedi doc. Il doge, pressato dagli Adorno e dai Fieschi. finse di abbandonare la con tutti i suoi fedeli: in realtà lasciò la fortezza del Castelletto ben fornita di armi e di uomini e si ritirò in attesa degli eventi. Come aveva preveduto, Adorno e Fieschi occuparono la città e si diedero battaglia per il potere: ma. quando pi“ che, corae prima per la faccenda di Novi, temette che l'occupazione di Genova da parte degli insorti, con il suo aiuto, avrebbe portato ad un aperto conflitto con la Francia61. Ad aggravare ancor più la situazione in Genova, nel gennaio 1456 navi aragonesi comparvero nel porto seminando panico fra la popolazione e la stessa famiglia dei Campofregoso, perchè non si sapeva bene da chi fossero state chiamate e per quale scopo 62. Il fallimento di quest'ultimo tentativo per rovesciare il doge Pietro, preparato così minuziosamente e con la quasi completa partecipazione di tutti gli esuli genovesi, diede un colpo decisivo alle aspirazioni milanesi su Genova. L'Assereto rimase profondamente colpito da questo insuccesso che, in cuor suo. attribui ad incapacità dello Sforza e, fingendo di riportare pensieri altrui, elencò chiaramente al duca tutti gli errori della sua azione politica verso la città: non aveva saputo approfittare di questo momento in cui tutti i cittadini genovesi guardavano a lui come al loro naturale protettore, «credendo la Signoria a lettere de altri che li scriveno le cosse che non sono, nè seranno per quello modo»; si era comportato, ritirando all'ultimo momento il suo appoggio agli insorti, in modo tale che « li cittadini ora se dariano avanti al Turcho », per cui egli stesso sarà « caxone de far capituiare la città in Francesi, ma non per lo modo che le scriveno et dano ad intendere quelli a chi la Signoria crede più che a li altri boni ». Il presagio della prossima fine diede forse tanta chiarezza e tanta veemenza insieme al nostro, che conclude la sua lettera, del 29 gennaio, con una frase di condanna alla politica genovese dello Sforza: « Lo duca Filippo Maria Visconti veramente intendeva meglio le cosse de Zenoa, lo quale, se havesse avuto la presente opportunitate, non haveria mantenuto questo stato, ma ne haveria mutato quatro » 63. acceso era il combattimento, il doge piombò su di loro, mentre dal Castelletto uscivano i suoi fedeli, così che gli insorti, presi tra due fuochi, furono sbaragliati ed egli restò solo al potere, più saldo di prima: c£r. A. Giustiniani. Annali cit.. II, P. 385. 61 F. Catalano cit.. p. 105. 62 A.S.M., Potenze Estere. Genova, cart. 411. 6 gennaio 1456, vedi doc. 33. Cfr. A. Giustiniani, Annali cit., II. p. 385. 63 A.S.M., Potenze Estere. Genova. cart. 411. 29 gennaio 1456. vedi doc. 34. — 173 — Queste parole non furono davvero gradite al suscettibile Sforza,, il quale a sua volta cercò di cogliere in fallo Biagio ed i suoi familiari: l'ultima lettera dell’Assereto al duca, del 3 marzo, è infatti una vigorosa difesa del proprio operato contro le accuse del podestà di Tortona sostenute dallo Sforza. Nonostante lutto il nostro sentiva ancora intatto il vincolo che 1 assoggettava al principe ed umilmente concludeva: peto veniam; mens lesa oh veritatem non est humilis 6\ L Assereto chiuse la sua agitata ed operosa vita il 25 aprile 1456 in Serravalle 6j, circondato da tutti i suoi figli che, divisi da rivalità e da diverse simpatie politiche, avrebbero finito ben presto per farsi togliere il feudo di Serravalle, faticosamente acquistato e conservato dal padre 66. Rimane ora da giudicare la personalità e l'operato del nostro che dal tabellionato giunse al grado di consigliere ducale, in virtù del proprio valore, delle proprie doti ed anche della propria astuzia. E un chiaro esempio di uomo nuovo, sviluppatosi in seno alla società mercantile genovese, quale auspicherà il Machiavelli, che alla occasione sa bene essere « tristo », ma che è in fondo un « virtuoso », dotato anche di genialità artistica, che a pochi in quell epoca fu comune, lomo d armi, dalle quali riconobbe tutta la sua gloria, 1 Assereto. pur non nutrendo pretese di letterato, sentì sinceramente le aspirazioni civili e culturali del suo secolo e, nel suo desiderio di A.S.M., Potenze Estere, Genova, cart. 411, 3 marzo 1456. vedi doc. 35, 6d La data precisa è riferita dal Belgrano (cfr, G. Sckiba, Memorie patrie: Biagio Assereto. in Cafjaro. 21 febbraio 1882), il quale scrive di averla tratta da un documento dell Archivio di Stato di Milano, da noi non reperito. E senza dubbio accettabile: dopo il marzo non si trovano più missive di Biagio al duca o altre prove della sua attività; inoltre un documento notarile genovese del gennaio 1457 attesta l’awenuta morte delFAssereto (cfr. A.S.G., not. Foglietta Uberto iuniore, filza 5 (1457-58), n. 16, 10 gennaio 1457). Sulle lotte dei fratelli per l’eredità paterna, sulla divisione del feudo operata dallo Sforza e sugli intrighi genovesi per occupare Serravalle esistono molti documenti all Archivio di Stato di Milano, ancora inediti, che forse saranno oggetto di un nostro prossimo studio. — 174 — gloria e di affermazione mondana, mostrò di condividerne le tendenze e gli atteggiamenti più caratteristici; per questo ebbe l'ammirazione e l’amicizia di molti umanisti. Cresciuto in una famiglia di artigiani, che le cariche pubbliche e i legami di parentela avevano inalzato, Biagio lottò per conquistarsi una posizione sempre più elevata nella società e nella vita pubblica genovese. Iniziò con una sola galea, forse pagata dai Ghi-solfi, la vita sul mare che, attraverso alcune famose imprese, come quelle di Napoli, di Recco, di Portofino, di Pisa, lo porterà a Ponza. Di pari passo crebbe la sua importanza nella vita pubblica: da notaio a cancelliere, da cancelliere ad ambasciatore, da ambasciatore a rappresentante, quasi permanente, degli interessi genovesi presso Filippo Maria Visconti. Il feudo di Serravalle e l’ascrizione alla famiglia dei Visconti furono i due atti che suggellarono la sua intensa attività: ma questo equo riconoscimento parve agli occhi degli scontenti Genovesi il premio del tradimento. Così la sua condotta verso Genova, dapprima leale, devota, rispettosa, fu giudicata, dopo Ponza, oltraggiosa: ma fu in un certo senso più coerente il comportamento dell’Assereto, che ebbe il coraggio di dare un colpo netto al passato e di crearsi una nuova patria, di fronte all’ambiguità ed allo squallore ideale di tanti Spinola, Adorno, Fieschi, che, pur rimanendo in Genova in nome di una tradizione secolare, si schieravano ora con questo, ora con quel nemico della propria città. , APPENDICE 1 [1450- - 18 marzo] A.S.M., Potenze Estere, Genova, cartella 407, 1450 marzo. Illustrissimo principi et excellentissimo domino, duci Mediolani etc., Papie Anglerieque comiti ac Creinone domino metuendo. Cito, cito sunt importancie. Magnifico Ciclio fideliter1. Illustrissime princeps et excellentissime domine, domine mi me-tuendissime. Me scrive Franco, mio figlio, quanto vedrà la Excellentia Vostra per la inclusa copia del capitulo di sua lettera. Et per dire lo mio parere, credo che questa sia opera de quelli che hanno excoso et voleno mutare lo stato de Zenoa, corno meglo saperò scrivere liogi a la Excellentia Vostra, inteso che habia un doctore che ha mandato il magnifico Iohan Filippo dal Fiesco, el quale credo etiam vegnirà da la prefata Vostra Excellentia . Signore, questa aqua vene al nostro molino ; sapia la Signoria Vostra, conio prudentissima, recoglerla et consigiare questa materia de Zenoa cum qui de-xiderà che quel dominio torne, unde debitamente de essere, come a boca dixi, et darasi el modo quando la Signoria Vostra vorrà, a la quale me arecommando. Ex Mediolano, die xvm martii 1450. Illustrissime dominationis prefate fidelis miles Blasius Axeretus de Vicecomitibus potestas etc. Copia Ve ho scripto che erano fanti cccc in più in una de le terre de Leonello Spinola, el quale cum tuti et altri amici soi se retrovò liieri in Reste et de li andò a Buzalla. Hano fatto molti mai et priso muli de Polceveraschi et le cosse de mangiare et hanno ferito persino alcuni mulatieri et li se stano a Buzalla. Del processo che farano. ne sareti avvisato; bisogna che’l nostro Illustrissimo Signore intenda ale cosse de Genoa, chi sono soe. et la brigata li serà disposta. Ex Seravalle, die xvn martii, Franchus filius vester etc. 1 Tutte le indicazioni del destinatario sono a tergo. — 179 — 2 [1450 - 9 settembre] A.S M.. Potenze Estere, Genova, cartella 407, 1450 settembre. Illustrissimo principi et excellentissimo domino, duci Mediolani etc.. Papie Anglerieque comiti ac Creinone domino metuendo. Magnifico Cicho etc., cito, cito, cito. Illustrissime princeps et excellentissime domine, domine metuende. Pur mo mo , uno Gabriele de Rapalo, genuese, scrive de verso Gavi come lì era questa nocte passata arivato uno messo proprio da Zenoa, come liieri ale xxii hore lo magnifico messer Piero Fregoso 2, olim eapitaneo, era electo duxe a Zenoa, de voluntate de li altri Fregosi. Se altro sentirò, lo scriverò. M arecommando a la Excellentia Vostra. Da li Adorni sono avisato che liogi deviano descendere in Polcevera cum cavalli cc et fanti cccc et che’l monsignor messer Guillelmo 3 personaliter descenderà a la impresa di Adorni. Lo condutero era uno Banifacio de Castagnola, soldato del duca di Savoya. Date Serravallis, die vim septembris mccccl. hora prima. Illustrissime dominationis prefate fidelis miles Blasius. 3 [1451 - 1 dicembre] A.S.M., Potenze Estere, Genova, cartella 407, 1451 dicembre. Illustrissimo principi et excellentissimo domino, duci Mediolani etc.. Papie Anglerieque comiti ac Cremone domino metuendo. Magnifico Cicho secretario etc., cito per postas, quia rem importantem. Illustrissime princeps et excellentissime domine, domine me-tuendissime. Son stato dal magnifico Iohanne Filippo da Fiesco, poi eh io visitai lo illustre signor Conrado 4 in Alessandria, et referilo a lui quanto me ha imposto la Excellentia Vostra; el quale non gli è paruto niente di novo nè difficile a credere che la Signoria Vostra lo repute de li apostoli da mano destra per le opere sue passate et per la speranza in lo advenire. Li ho etiam molto persuaso al ben vivere cum li regenti a Zenoa al che, dal canto suo, dice non man- 2 E Pietro di Campofregoso. Guglielmo, fratello di Giovanni marchese di Monferrato. Corrado da Fogliano, fratello, per parte di madre, di Francesco Sforza, inviato nell Alessandrino contro il marchese di Monferrato. — 180 — oliera mai, ancora che questo gli sia pericoloso a la vita et al stato et non meno a la reputatione, la quale molto existima, referendola sertiper a la Excellentia Vostra, a la quale me ha dicto che scrivo a complemento per le sue alligate. Ideo serò breve, facendo questa conclusione: che arosto, a lesso et in galalina, la Excellentia Vostra pò usare de quanto vo’ il prefato Iohanne Filippo et in omnem eventum. A la quale me arecommando. Date Serravallis, die primo decembris mccccl primo. Illustrissime dominationis prefate fidelis miles Blasius. 4 [1452 - 13 marzo] A.S.M., Potenze Estere, Genova, cartella 407, 1452 marzo. Illustrissimo principi et excellentissimo domino, duci Mediolani etc., Papie Anglerieque comiti ac Cremone domino metuendo. Magnifico Cicho, cito per postas. Illustrissime princeps et excellentissime domine, domine me-tuendissime. Potrà la Excellentia Vostra, se gli piacerà, intendere quanto per la inclusa me scrive lo magnifico Iohanne Filippo da Fiesco et perchè la diferentia al mio inditio et de li servitori vostri non toca manco a la Ilustrissima Signoria Vostra, quanto a luy, m è paruto debito testificare che damnoso et periculoso seria al stato ducale diminuyre alcuna cosa de honore, de reputatione, de potentia, ni de le membre et fortezze, che tene o dè tegnire lo ditto messer Iohanne Filippo, perchè el è signuin stabile, li altri, amici de fortuna et per necessitate: ricordando domesticamente a la Excellentia Vostra che a questo punto mira et guarda luti quelli del suo colore, quale sententia procederà da la Illustrissima Signoria Vostra. Li quali, per dire vero, tra la grande amicizia quale vedeno tra la prefata Vostra Excellentia et li' magnifici Fiorentini, reputano che la Signoria Vostra sia etiamdio capo et protectore del ditto colore; de la principalitate nunc se contende et lo quale colore ha semper favorito cum lo prefato Iohanne Filippo le cause vostre. Concludo che quanto serà più potente, forte et grande lo bastone de Iohanne Filippo, tanto ve ne potrete più adiutare et tanto più serà la Signoria Vostra favorita a le parte di qua et e contrario. Sono avisato de firmo che li Spinoli, che sono in Monferrato, hano facto prendere statum in Asti per partirsi de Monferrato et questo perchè, pubblice, dicono che messer Guillehno et lo Marchese ne farano guerra. M'are-comando a la Excellentia Vostra. Date Serravallis, die xm martii MCCCCLII. Illustrissime dominationis prefate fidelis miles Blasius. — 181 — Polizza Qua a Rigoroso, in la strata de Valleseripia, stano molti de quelli del magnifico messer Nicolò de Campofregoso cum arme et ogni dì pigliano tereno et fano condure a Gavi li mulateri et muli et liomini chi passano per questa o altra strada ; che per Gavi et pei questo vano ogni dì dicendo che voleno fare de Serravalle un orto, parole altre etc. Non liavia disposto scriverne a la Signoria Vostra, ma, essendo Francesco Capra a Zenoa et novamente siando incorso scandalo, dubito de maiore. Ne segue grande dano a li dazii de Dartonna. Pavia et Milano, perchè li mulatieri dexdegnati prendeno la via de Monferato et de le Langhe et altri vendeno li mulli. May may non fonno fate simili excessi et pur li vostri ambassadorri ne sono avisati da li officiali del sale, el quale male se conduce et le comune cridano. Date ut supra. 5 [1452 - 6 giugno] À.S.M., Potenze Estere, Genova, cartella 407, 1452 giugno- illustrissime princeps et excellentissime domine, domine metuende. Poi cliio scripsi la morte de messer Nicolò de Campofregoso, lo quale lo illustre duxe cum li fradeli et messer Spineta, fra-delio de messer Nicolò, in prima, occiseno cum dage et pugnali et, morto, li feeeno taglare lo capo, è stato fatto capitanio el dicto mescer Spineta et hieri fu a Gavi et ha lo fornito a suo nome segundo ho inteso; poi è ritornato verso Zenoa a consortio et rogamus au i, immo libera nos domine, signore, fidatene corno fradello de frade o. Li fìgloli del dicto quondam capitaneo sono fugiti et sono in mano del messer Iohanne Filippo, le brigate del quale son corse fin a e porte de Zenoa: credo che retornerà a Montobio. Etiam se diee c ie non se truova messer Matheo Lomelino, ni lo figlo Rafaele de Marco et altri guerfi de la citade. Et primo, secondo una pecia chi debia seguire, et capitaneo sirà questo novo capitaneo, poi lo * * poi mes ser Thoma, non de morte violenta. In merito la Signoria Vostra c e a re favore a li figli del morto, a recoverarli, per via che se dice puh l ice chi l’hanno morto per che era vostro partexano; credane la i gnoria Vostra che essi non prenderanno altro partito che lo vostro, se non potranno. Date Serravallis, die vi iunii, summo mane, MCCCCLII. Illustrissime dominationis prefate fidelis miles Blasius. — 182 — 6 [1452 - 16 giugno] A.S.M., Potenze Estere, Genova, cartella 407, 1452 giugno. Illustrissimo et excellentissimo domino, duci Mediolani etc., Papie Anglerique comiti ac Creinone domino metuendo. Magnifico Cicho, cito, cito, per eavallarium postarum. Refero, più che possibile, gracie a la Illustrissima Signoria Vostra de li advisamenti a mi scripti de felici successi suoi, aspettando la executione de la ultima particella de la littera, de farme sentire bone e più relevate novelle. Et, a dire el vero, io sono sì bene avicinato atorno, che quasi me bisogneria portare ogni dì la berretta bruna in li loghi, tanto bone novelle ogni hora ritrovano et false de la Signoria Vostra, et per quel Dio chi se adora hano fatto festa de la perdita de Soncino 5, sed tacendum est. Supplico a la Excellentia Vostra che, per bene del stato suo in queste parte, non gli sia fastidio de farmi scrivere continuamente, per remordere le false novelle de vicinii. Io sono in puncto cum cento boni homini, sempre a requesta del signor Conrado6: non ne requere più, nè ancora li vole al presente che non bisogna, che fin a qui non s’è facto cosa de covelle ; meraveglome bene che quelli de Gavi et de Nove dicano che’l messer Guillelmo 7 non li farà danno in sul suo territorio. A Zenoa, secundo sono avisato, è fatto consiglo de dare favore a la Excellentia Vostra et è remisso in otto cittadini: di ço serà avvisata la Signoria Vostra per littere de Ferufino 8. Intenderà la Signoria Vostra per la copia de messer Iohanne Filippo 9 inclusa come Iacobone, suo nevodo, ha preiso Galeotto de Campo Fregoso et uno figlo de Antonio de Biasia, possente partexano de Fregosi. Questo Galeotto fu figliolo de messer Zohanne, fratello de messer Thoma, valente et crudellissimo, et se dice ch’el duxe l’havia reconciliato per farlo capitanio et non fidarsi più de messer Spinetta, novo et sanguinolento capitanio. M’arecoinmando a la Excellentia Vostra, a la quale Dio done victoriam. Ex Serravalle, die veneris xvi iunii, hora xxm, 1452. 5 Soncino, difesa da Tristano, figlio illegittimo di Francesco Sforza, fu espugnata dai Veneziani. 6 Corrado da Fogliano, fratello, per parte di madre, dello Sforza, stava ad Alessandria, come comandante delle forze milanesi contro il marchese di Monferrato. 7 Guglielmo di Monferrato, fratello del marchese Giovanni. 8 Giovanni Ferruffino delegato milanese in Genova per la compera del sale. 0 Giovanni Filippo Fieschi. — 183 — Illustrissime dominationis prefate fidelis miles et comes Blasius. Stefano, mio figlo, tosto serà liberato et ritornerà da la Signoria Vostra et spero in Dio la gamba serà bona corno prima. 7 [1452 - 21 luglio] A.S.M., Potenze Estere. Genova, cartella 407, 1452 luglio. Illustrissimo principi et excellentissimo domino, duci Mediolani etc Papie Anglerique comiti ac Creinone domino metuendo. Magnifico Cicho fideliter, cito, cito, per postas cito. , Illustrissime princeps et excellentissime domine, domine me-tuendissime. Poi ch’io scripsi a la Excellentia Vostra de la vegnuta enitori et meterlo a la prova, offerendosi a dare et fare ogni cautella possibile per observacione de fede et de promesse. einde dice cum fermeza che messer Guillelmo 11 è malcontento et mal tratato da Veneciani, et maxime in lo fatto de li denari et altre promisioni. et che la firma sua non è per più de un anno, che crede unisca in fine de febraro. Item che, se la fede avesse havuto loco tra a Excellentia Vostra et luy, el saria amico vostro et circa questa materia ha ditto molte cose, dandosi ad intendere de sapere la vo-untate sua et quella del marchese. Dice (che è da notare) che luy, messer Raffaele, saperia trovare modo a la fede predicta. Dice più avanti che messer Guilliermo, sapiando che’l devia parlare cum mi, i ( ixe che 1 me ricordasse che lui havia a rendermi remerito del iavore eh io li feci, nel tempo de la libertà mata, quando el vegne a - Iilano, per la furia del populo unde li levai grande rumore, essendo podestà io; et che’l mal volentera per quello me offenderà, 10 Giovanni Filippo Fiesehi. Guglielmo di Monferrato, fratello del marchese Giovanni. — 184 — se’l potrà resistere alla instancia et importunitate del provedore ve-neciano, chi li dà grandi stimuli de vegnire qui a campo, dicendo che Vallescripsia et Val de Borberia et lo vescovato me serano conira e che Gavi et Nove sono in tregua cum luy. Ma notate che messer Raf-faelo adscrive questa parte et queste parole ad altro fine, videlicet che’l seria contento me intromettesse cum lui insieme a fare questo acordo o che almeno io confortasse a la Excellentia Vostra la coni-posicione et amicicia cum lui. Molto seria longo scrivere le persuasione m’à fatto messer Raffaele ch’io ne voglia avvisare la Signoria Vostra, dicendo che’l non vole punto monstrare de movere et tentare questa materia, corno requesto da la Excellentia Vostra, ni monstrare che essa ne sappia cavelle, ma conio da si stesso, et già l’averia fatto et faria se gli l’avesse persuaso o persuadesse. Ma solum vole, o per segni o per mio conforto, essere certo che’l non despiaceria a la Excellentia Vostra et che, trovando ben mezo più utile a la Excellentia Vostra che a luy, el ne reporte honore et gracia: et prega che sia tegnuto secretessimo et che più secretamente se proceda in questo fatto. El mio consiglio questo è: de non negare, ma de procedere, perchè non gli cade dubio che’l se vogla metere a lo incanto per avere ineglor menestra da Veneciani. Io son certo che messer Raffaele parla recte. M’arecomando a la Excellentia Vostra, la quale è stata dì assai tacita. Ex Serravalle, die xxi iulli, veneris, 1452. Illustrissime dominationis prefate fidelis miles et comes Blasius. 8 [1452 - 28 luglio] A.S.M., Potenze Estere, Genova, cartella 407, 1452 luglio. Illustrissimo principi et excellentissimo domino, duci Mediolani etc., Papie Anglerieque comiti ac Cremone domino metuendo. Magnifico Cicho, cito, cito, cito, per postas. Illustrissime princcps et excellentissime domine metuendissime. Me sollecita, per littere repetite, messer Rafaelo Adorno ch'io voglia instare appresso a la Excellentia Vostra circa la faccenda de che ho scripto per due littere a la Excellentia Vostra, videlicet de inter-ponersi cum messer Gullielmo de Monferrato: et dice che la Excellentia Vostra, per questa rotta data a messer Guillielmo, non dè mancare che non se proceda a la pratica per più respetti, ma principaliter che’l se dà ad intendere che ne debia seguire grande beneficio al stato de la Signoria Vostra, chi dè intendere ad humiliare la superbia de Veneciani; la quale cosa declarerà quando li si licito proceder più avanti, replicando le preghiere che la Signoria Vostra vogla tenere la cosa et lo processo secretissimo, acciò che ne segua buon frutto; et vole certificarvi che mai non dirà che’l se intro- — 185 — metta a persuasione, ni conforto, ni anche de cosciencia vostra, ma da lui stesso gli è pensato e reveglato, veruni che vole o per littere o per signi o da la Excellentia Vostra o da mi de vostra voluntade intendere che non vi despiace tale pratica. Disponna uno la Excellentia prefata conio li piace et me avise che non passerò la linea. A Zenoa. di più sospetti: el duxe sta armato la nocte et alcuna fiata de dì in Consiglio; fa fortificare la bastita de Morazana 12 in cò de Besagno contra Savignone et Montobio. Signore, bisogneria de un tale conio Francesco Capra a Dertona, videlicet nel Episcopato; valiria x milia fiorini de intrata a la camera vostra e lo sale seria conducto et io ho morto e stanco li mii o vostri Serravallini cum periculo per fare condur el sale. Per Dio, manda la Capra o uno simile chi liabbia animo de stare in lo Episcopato o Conradino Bo-tigella o Babbiano, che mai non spendessi meglori denari- Ex Serravalle, die xxviii inlii 1452. Illustrissime dominationis prefate fidelis miles et comes Blasius. 9 [1452 - 3 ottobre] A.S.M.. Potenze Estere, Genova, cartella 407, 1452 ottobre. Illustrissime principisse et excellentissime domine, domine du-cisse Mediolani etc., Papie Anglerieque comitisse ac Creinone domine clarissime. Cito, cito, per postas. Illustrissima principissa et excellentissima domina, domina clarissima, Non segue poco pericolo et suspetto in queste parte per lo diluvio, del quale ho scripto, lo mancare de li molini guasti, li quali universaliter non potranno macinare fin a molti giorni, et pertanto da più parte sono avisato che li inimici se sforzano de farsi grossi et vegnirne a trovare. Io per mi poco li temo, che ho castagne per uno mese e me provedo de molini de braza13; son certo che, non commendando altri, non so come ne posso fare; io me earicarò tanto la soma che 1 basto me caderà in collo. Io non ho ancora cognosciuto un homo per la Excellentia Y ostra da le parte di qua, le quali Dio ha salvato et non diligentia, salvo che a li dì passati, trovandomi a Tertona cum Petro Antonio de Villa et sonando la campana a le armi asperamenti, andiamo a vedere le provisione facciano li officiali de la Signoria Y ostra et trovaino che giogavano a triumphi et, dolendomi cum loro, lo referendario rispose che le porte erano fermate e che non haviano commissione de guardare salvo le mure et ben la observano; vidi correre al rumore un prete cum uno frugone 12 La fortezza di Molassana, aU'eslrcma periferia di Genova, verso Piacenza. 13 Mulini di braccia. — 186 — de tanlo populo; dexiderai messer Mafeo da Muzano vivo. Mandati, Madonna mia, a Tertona o lo magnifico messer Piero Vesconte o messer Piero Cotta o uno simile et non homeni partiali de altri ch‘a de la Excellentia Vostra; io l’ho pur scripto. Al presente li inimici sono vegnuti a combatere lo molino de Manuelle in Terto-nese per Contravilla, vagando l’aqua grossa et sapiando che era mal proveduto ; et l’haviano havuto a patti et non lo provitero bene. Io lì mandai li mei cum extremo periculo, cum favore et adiuto de Pietro Antonio, et virilmente s'è reliavuto, et è in li mei. Lo farò consegnare al . . . commissario de Tertona chi gli proveda meglo che nel passato ; se li inimici lo tegniano, era rotta la strada del vescovato. M‘è affermato che gli erano de li homini de Nove cum li inimici a combaterlo, certificando la Excellentia Vostra che, se non haves-sero de Novi et da Gavi le farine et li altri suxidii, oramay lo Bosco, el Frugarolo et Pozollo 14, chi stentano, se reduriano al baptismo o morriano di fame. Non so che liga sia cum questo duxe de Zenoa, che per mi vorria più tosto e Novi et Gavi me facessino guerra, che stare a questo modo; ogni dì è la fera de li inimici et mectono li agoayti15 in lo suo territorio et sono guidati da loro, che Anfossi et Girardenghi et Filippo, figlio de Francesco Barbavera, sono soldati de signor Guilliermo et la cosa va male. Non balliamo potuto finire de vendemiare, ni se po’ seminare, nè coglere le castagne, che ogni dì me correno a casa et in un giorno ne hano menato XL bestie bovine et otto prexoni ; et ex adverso questo lupo, chi deveria essere pastore, cum lo fideile Morexino, hanno fatto ordine che niuno del vescovato possa vegnire a Serravalle. Li manca lo suo penserò et dexiderio de altra stella, come li proverò cum lo tempo, che corno ho scripto le differentie non sono reale, ma mentalle, nè io voglio altro signore, nè lui po' essere contento di questo. M arecommando a la Excellentia Vostra. Date Serravallis. die m octobris 1452. Illustrissime dominationis prefate fidelis miles et comes Blasius. 10 [1452 - 11 ottobre] A.S.M., Potenze Estere, Genova, cartella 407, 1452 ottobre. Illustrissimo principi et excellentissimo domino, duci Mediolani etc., Papie Anglerieque comiti ac Creinone domino metuendo. Magnifico Cicho. in castris felicibus, cito, cito, cito, per postas. Illustrissime princeps et excellentissime domine metuende. Non habiando alcuno adiutorio in favore da li officiali de la Excellentia 14 L’odierno Pozzolo Formigaro 15 Nel significato di agguati. — 187 — \ ostra, como lio scripto molte volta, et non possando finire le nostre vendemmie, ni castagnare. ni seminare, m’è stato necessario, a le mie spese et de questi vostri subdicti di Serravalle, prendere vinti-cinque fanti forestieri, a li quali ho azonto L.ta borghesi apti, per reparare a le cottidiane, ymo continue, prede et corrarie, chi me sono facte su le porte, esendo yo solo in questo cantone di qua da 1 aqua. Li quali mei fanti forestieri et li compagni hanno preiso certo bestiame de li inimici vostri del Fregarollo 16 et duoy puti chi guardavano el bestiame, li quali de plano confessano loro essere del Fregarollo et lo bestiame etiain essere del Fregarollo; et queli de ^o\e lo voleno defendere, conio vederà la Excellentia Vostra, per la inclusa copia, scrive el commissario de Nove, la quale, benché la sia sotto nome del commissario, fò scripta per lo suo vicario, chi è de li Tro\amalla de Salle, superbo et bestiale, et non de sciencia del commissario. Vederà ancora la Signoria Vostra la risposta, la quale li ho fatto con pura intencione de observarla. et perchè a la Excellentia \ ostra per altri porria esser referita la cosa in altro modo, ne ho voluto fare noticia a la prefacta Excellentia, acio chè gli possa respondere di rasone, perchè li inimici vostri non devono più essere seguri in el territorio de Nove, come siamo noi. se è vero quello che senveno. che voglono essere indifferenti et neutrali. Fazano adunque restituire quaranta capi de bestie bovine et octo presoni preisi et conducti per mezo le porte de Nove, crucificati fin a Tosso, che pareno quelli de San Lazaro. rescosi come se fussero stati in mano de Turchi, da Gulliermino. ribaldelo del Bosco, e da li homini del Fregarollo; et cosi se restituirano queste bestie preise per li nostri instamente, benché non passerano pochi iorni che poteremo fare miglor piperata . Et se la Excellentia \ ostra me manda cento cavalli o alman-cho (.c fanti, non correrano li inimici, como fano, a la quale me arecomando. Date Serravallis. die xi octobris mcccclii. Illustrissime dominationis prefate fidelis miles et comes Blasius. 11 [1452 - 12 ottobre] A.S.M.. Potenze Estere. Genova, cartella 407, 1452 ottobre. Illustrissimo principi et excellentissimo domino, domino duci Mediolani, etc.. Papie Anglerique corniti ac Cremone domino metuendo. Magnifico Cicho, cito, cito, per cavallarium postarum. Illustrissime princeps et excellentissime domine, domine me-tuendissime. Quelui chi ha scripto a la Excellentia Vostra, ch'io ho 16 L‘odierna Frugarolo. 17 Nel significato di festino. — 188 — impetrato salvaconducto da messer Guillielmo, ha scripto più tosto per iniqua voluntà, che per mala informatione, nè vorria già io che'l stato vostro fosse segundo il suo appetito ; et per certo è pur ben stata carestia de valentomini che a Tortonna non si sia potuto mandare uno chi sia universale et indiferente et non partexano d'altri ch’a de la Signoria Vostra. Dio ha conservato questo cantone fin a qui, et non diligentia. Lo mio salvacondotto si è xxv fanti forestieri, ch’ò fatto a le mie spese, et L.ta de li mei, chi ogni dì sono a le mano cum li inimici; et sei vesco consentisse et Piero de Luna e li suoi homeni, gli ne intraria in questa compagnia tanti che ne basteria l’animo non de defendersi, ma de pigliare Pozollo ; ma li officiali de Terdona observano bene quel che dicono essere suo officio, de guardare tantum le mura de Dartonna, et Dio li dia lo malo perchè scriveno: commissarius Terdone et pertinenciarum. Se le pertinencie non poteno havere pur una littera da loro, et più chiaro vederà la Excellentia Vostra per la inclusa copia, quanto favore se pò aspectare da li convicini ; chè favore, nè amore dè portare a la Excellentia Vostra, ni al stato, lo figlio de Iohanne Morexino. che’l padre crepò de doglia, la zobia che la Excellentia Vostra fece la intrada et lo fratello fu impiccato dal vostro executore a Milano, et chel sia vivario de lo vescovato... Quid libi multa dicam domini, simile est, m’arecomando a la Excellentia Vostra. Ex Serravalle. die xn octo-bris 1452. Lo salvaconducto fu che l'altro dì era sì bene provveduto lo molino de Manuelle in Tertonnese per Contravilla forte che li inimici lo presero a pacti et. non provedendoli bene anca loro, li mandai li miei cum grande periculo et lo recuperano et fecelo consignare al commissario, cum lo favore di quelli de Villa. , Illustrissime dominationis prefate fidelis miles et comes Blasius. 12 [1452 - 15 novembre] A.S.M., Potenze Estere, Genova, cartella 407, 1452 novembre. Illustrissimo principi et excellentissimo domino, domino duci Mediolani etc., Papie Anglerique comiti ac Cremone domino metun-do. Magnifico Cicho, cito per postas. Illustrissime princeps et excellentissime domine, domine me-tuendissime. Ho scripto a Zorzo d'Annone, pregandolo voglia confortare al bailio 18 et a la vostra gente d'arme che vegnano per uno dì 18 Nel significato di balivo. — 189 — a Pozollo 19, et mi et Piero Antonio de Villa se offerimo cum più de ccc boni et nobili homini, che sono certo non nè durerà quatrohore: fin a qui non gli pò andare. Si a la Signoria Vostra piacesse di scriverli. se leveriano questa tigna da gli oglii, chi è caxone di ogni male. Et a ciò che la Excellentia Vostra intenda corno li officiali del vesco sono bene disposti contra lo stato ducale et ancora altri, vi mando una littera de Antonio Spinola de Cassiano per uno ordene dato che se devesseino congregare tuti in unum al mantenimento del stato nostro in questo cantone, et Donato da Camgo, citadino di Milano, rufiano del vesco, è andato per tuto el vescovato ad inhibire la intelligentia et cosi Pedro da Lunate. Dio o lo diavolo voglia che la Excellentia Vostra intenda una fiata li tradimenti di qua. M’are-comando a la Excellentia Vostra. Ex Serravallis, die XV novembris 1452. Illustrissime dominationis prefate fidelis miles Blasius. 13 [1453 - 11 gennaio] A.S.M., Potenze Estere, Genova, cartella 408, 1453 gennaio. Illustrissimo principi et excellentissimo domino, domino duci Mediolani etc., Papie Anglerique comiti ac Cremone domino metuendo. Magniiico Cicho, cito per postas. Illustrissime princeps et excellentissime domine, domine me-tuendissime. Questi dì passati lo discreto Aymerico. familiare e commissario de la Signoria Vostra, mandato da Bartholomeo Collione capitaneo etc., in Valle Scripia et vai Borbera. la valle de li Rati et a li luoghi de quelli de Lunate, fece capo qui da mi cum lettere del «lieto magnifico Bartholomeo per avere subsidio de balestrieri et gua-stadori da tutti questi, al quale, cum la solita devotione mia, dedi le informatione et advisamenti ch’io sepi. Lui cum grande diligentia, cura et sollecitudine ha requesto, tentato et sconzurato quanto li è stato possibile, et tandem nihil aut parum facere potuit. Vederà etiam una lettera la Signoria Vostra, scripta per li quatro deputati al governo de la casa Spinola, a li quali s’è scripto de consiglo del magnifico messer Sceva de Corte, che a mi non piace, perchè le terre et lo governo di qua da Zena specta a la Signoria Vostra et non a quelli che sono dentro la citate. Intenderà etiam la Excellentia Vostra quanto Aymerico gli scriverà in questa materia et poi iu-dicarà quel che gli piacerà; et per dire el mio parere, per nullo modo non lasceria passare la cossa a questo modo, perchè seria 19 L'odierna Pozzolo Formigaro. — 190 — male principio, ma cum temperati modi, quanto si pò, tegniria tale vie che o de tuto o de parte suppliriano a la demanda del magnifico Bartholomeo, fatta per Aymerigo, o li daria ad intedere che chi non cole li favori de la Signoria Vostra, cum fatti et non cum parole, non è amico de la Excellentia Vostra, a la quale me arecominando. Ex Serravalle, die xi ianuarii 1453. Illustrissime dominationis prefate fidelis miles et comes-Blasius. 14 [1453 - 16 giugno] A.S.M., Potenze Estere, Genova, cartella 408, 1453 giugnoillustrissimo principi et excellentissimo domino, domino duci Mediolani, Papie Anglerique comiti ac Creinone domino metuendo. Magnifico Cicho, cito, cito, cito, in castris felicibus. Illustrissime princeps et excellentissime domine metuendissime. In questa benedecta hora ho recevuto le lettere de la Excellentia Vostra de xim, a le xx hore, de singulare rotta data a li inimici in Veronese, appositive, initio et bono augurio de meglor successione. Cum grande alegrezza ne serà fatto solemnitate letissima et copie per lo mundo, ringraciando et laudando Dio de tanto beneficio et la sancta justicia. Quel che ser Leonardo 20 ha scripto a la Excellentia Vostra, del retenere de cavalli et famigli Fregosi, non fu vero, corno per la copia, scripta a la illustrissima Madona inclusa, intenderà la Signoria Vostra ; et sonno certo che lui è mal contento non sia stato vero ch’io l’abbia arestati, per una fiata fra tante busie che’l l’ha ditto e dice ogni dì falsamente di fatti mei, haverne indivinato una veritate. Non sonno si sempio, come me existima ; lo magnifico Bartholomeo 21 sa la veritate, a peticione de chi ogni cosa fu presta ; et anche li sonno le sarbatane ad ogni sua requesta che, non volando, non anderano a Zenoa, quia circumdata est, et più chiaro ne scriverò a la Excellentia Vostra per altre per quel che senta andare a torno contra quel becharo. M'areeomando a la Illustrissima Signoria Vostra. Date Serravallis, die xvi iunii, hora xvili. MCCCCLIII. Illustrissime dominationis prefate fidelis miles Blasius. 20 Leonardo Pietrasanta, avversario dell'Assereto. 21 Bartolomeo Colleoni. — 191 — 15 [1453 - 16 giugno] A.S.M., Potenze Estere, Genova, cartella 408, 1453 giugno. Illustrissimo principi et excellentissimo domino, duci Mediolani etc., Papie Anglerieque comiti ac Creinone domino metuendo. Magnifico Cicho. per postas, cito. Illustrissime, pur hogi, cum le littere de la gloriosa novella de la rotta de Veneciani in Veronese, ho ricevuto un'altra littera da la Excellentia Vostra continente che Stefano, mio figlo, vegna in campo o restituisca lo cavallo e le armi. Io, Signor mio, non foi mai contento che Stefano stesse lontano da la Excellentia Vostra et Francesco da la Capra testificarà per mi; ma per mia excusatione, poi che lo messer Bartholomeo Collione vegne a le parte di qua, Stefano fu cum liu, dicendo de conciarssi cumsì unde fosse de contentamento et licentia de la Excellentia Vostra; Bartholomeo gli dixe che lui era contento et de la licentia se laxeasse ad esso la fatiga et, retornato in Milano, andai io a visitarlo et me dixe che la Vostra Signoria era molto contenta et me ne faria scrivere et sopra di questo me staxie a bon sonno. Hora la Excellentia Vostra po’ comandare quello che più li è gratto ; et lo vero che, non siando Stefano de più maturo cervello, corno ha mostrato fin a qui, credo che 1 vorria patire che li fosse sempre presente. Et Dio et Francesco me sonno testimonii de la poca obedientia che ha verso de mi, de che poco goadagna: passano xxx di o circa eh’ le non fu da mi; et io prendrò lo cavallo in rocha e farò li bene attendere, finché la Signoria Vostra comanderà. Ex Serravalle, die xvi iunii mccccliii, vesperis. Illustrissime dominationis prefate fidelis miles Blasius. 16 [1453 - 16 giugno] A.S.M., Potenze Estere, Genova, cartella 408, 1453 giugno. Illustrissimo principi et excellentissimo domino, duci Mediolani etc., Papie Anglerieque comiti ac Cremone domino metuendo. Magnifico Cicho, cito, in castris felicibus. Illustrissime princeps et excellentissime domine, domine me-tuendissime. Per altre mie, poco avanti scripte a la Excellentia Vostra, ho notificato havere ricevuto le littere de la gloriosa victoria contra Veneciani in Veronese, quasi initio et speciale augurio de meglore et maiore jornata; qui n'è accoinensata la festa cum immensa leticia et mandasi le copie per lo mondo, laudando et ren- — 192 — gratiando Iddio et la sancta iusticia de tanto beneficio. In quelle lettere era uno capitulo, ch'io restituisca fin ad uno pontale de stinca quello che è stato preiso al doge de Zenoa in Serravalle et pare che la Excellentia Vostra habia ad me scripto altre lettere in questa materia ; non le ho havute, sì bene da la illustrissima Madona et ho mandato a la Excellentia Vostra la resposta et pur me sonno meraveglato de questo capitulo che la Excellentia Vostra me repute si lengiero che ’1 sangoe o carne d’Axireto, impicata crudelmenti contra raxone, chieda da mi vendeta de pigiare cavalli. Signore, carne demanda carne, et non de cavalli, ni de famigli, ma de quelli proprii chi, non credendo in Dio, non credono che ’1 gli possa offendere ; et per adviso de la Excellentia Vostra, li parenti mei de le marine liano avuto in le mano loro alcuni de li meglori famigli suoi et relaxatili non per timore, ma dicendo che carne d’Axereto non mangia carne de famiglia, ma si del sangoe proprio de Fregosi, et queste cum lo tempo se intenderà. Io, Signore, non me intrometto in queste facende, perchè gli ne è clxiii masculi d’Axereto, senza li mei de Serravalle, chè bastano quelli senza mi, el quale mi governo cum una rognosa stizza, corno ha veduto il magnifico Bartholomeo 22 de Bergamo al modo de San Lazaro; etiam dico che nel mio retorno da Pozollo 23 folcero assaltati et feriti da quelli de Novi li soi homeni d'arme, chi me haviano accompagnato, credendo assaltarmi come gli dixeno; et poca stima se n’è fatta, come de le altre ingiurie. Non me pò troppo dolere che le busie del duxe 24 et de Leonardo Petrasancta siano pur sempre misse a banda drita et le ventate de altri a la sinistra ; et che l’habia havuto tanta balia a Milano che a Carlino, mio nevodo, mandato da mi e da borgesi de questa terra per comprare tarconi. lanze et sarbatane, per defendere questa vostra terra, non solum ser Leonardo presonaliter l’habia sequestrato, corno arcipresidente in Milano, et inhibito non se sia potuto haver covelle, ma oltre li lia inhibito la bolleta et fatto bol-leta de altro, e ritornato a Serravalle senza covelle. Io me defendo cum saxi, li quali ser Leonardo non me po’ toglere et bavero cum omnimoda dispositione in tutto paciencia, como fidele, saldo et non ficto servitore de la Excellentia Vostra, a la quale me arecommando. Ex Serravalle, die xvi iunii, hora xxm, 1453. Illustrissime dominationis prefate fidelis miles Blasius. 22 Bartolomeo Colleoni. 23 Pozzolo Formigaro. 24 II doge di Genova. — 193 — 13 17 [1453 - 2 settembre] A.S.M., Potenze Estere, Genova, cartella 408, 1453 settembre. Illustrissimo principi et excellentissimo domino, duci Mediolani etc., Papie Anglerieque comiti ac Creinone domino metuendo. Magnifico Cicho. cito, cito, per postas, sub pena furcharum. Illustrissime princeps et excellentissime domine, domine me-tuendissime. In quest'hora è giunto qui lo spectato Iohanne de la Guardia 25, cum littere de la Excellentia vostra ad me de credenza in lui, et, inteso quanto m’ha referito, dico ch’io sonno presto ad andare unde commanda la Signoria Vostra et non existimare pencolo nè fatiga, pur ch’io faca cosa gratta a la prefata Excellentia Vostra. Yerum, illustrissimo signore, considerata la preisa et la detentione de messer Raphaelo Adorno et de Zohanne de Montaldo, cane et servitore de la Excellentia Vostra, et etiam de maestro Donino, cancellerò del magnifico Iohanne Filippo 26, li quali sono in Alexandria in la Rocheta. et ultra lo danno cum insulto dato a Grondona, Garbagna et Vargo, terre del prefato Iohanne Filippo, cum lo incendio de molte case arse dal magnifico Bartholomeo da Bergamo et da la gente ducale, non ho consigliato ni laudo che dicto Iohanne passe più avanti, se’l non se intende altramenti, percio che Val de Scripia et Val de Borbera hanno le arme molto turiate de tale insulto subito senza alcuna diffidanza. Et in verità, se non me trovava qui, chi ho mitigato li animi loro, el seria pezore c e a guerra del messer Guillelmo 28, nè passeria mercantia ni sale, senza grande scorta, perchè tuti li bandezati se voliano tirare in questi tri loghi per offendere; pur ho tegnuto modo che non ne hano recep tato uno, ni hano fatto offeisa alcuna, fin a qui. Se questo è u*° da la mente de la Excellentia Vostra, sia cum lo nome de Dio, in quanto che non supplico ch’ella se degne de scrivere che simili excesi non se façano et che siano liberati alcuni prexoni de li homem ( e dicto Iohanne Filippo, preisi da la vostra gente d'arme. Ilis non obstantibus, me darò logo et cercheremo qualche bono mo o e transferirlli seguri dal ditto Iohanne Filippo, lo quale ha pig iato Levanto. M’arecomando a la Excellentia Vostra. Ex Serravalle, < ie il septembris mccccliii. Illustrissime dominationis prefate fidelis miles Blasius. 525 Giovanni de la Guardia, ambasciatore a Genova di Francesco Sforza. 26 Giovanni Filippo Fieschi. 27 Bartolomeo Colleoni. 28 Guglielmo fratello di Giovanni marchese di Monferrato. — 194 — 18 [1453 - 8 settembre] A.S M., Potenze Estere, Genova, cartella 408. 1453 settembre. Illustrissimo principi et excellentissimo domino, duci Mediolani etc., Papie Anglerique comiti ac Cremone domino metuendo. Magnifico Cicho, cito, per postas. Illustrissime princeps et excellentissime domine metuendissime. Per lo spectabile Iohanne de la Goarda29 la Excellentia prefata è pienamente avisata. però non me extendo più avanti. Franco mio figlio, cavalero de la Signoria Vostra, va cum esso et cum bene cento homeni per lo mal seguro camino et ha in commissione, et non manco in dispositione et voluntate, de persuadere a l amico et stren-zerlo ad ubbedire a la voluntate de la Excellentia Vostra; et perchè è cosino germano del dicto Iohanne Filippo 30 li crede assai, lo quale procede in la Rivera de Levante, sichè poco resta contra de lui. Io attendo cliel magnifico Andrea manda per mi et andrò in campo cum quanti potrò- Arecommandome a la Excellentia Vostra. Ex Ser-ravallis, die vi septembris, mane, mccccliit. Illustrissime dominationis prefate fidelis miles Blasius. 19 [1453 - 22 settembre] A.S.M., Potenze Estere, Genova, cartella 408. 1453 settembre. Illustrissimo principi et excellentissimo domino, domino duci Mediolani etc., Papie Anglerique comiti ac Cremone domino metuendo. Magnifico Cicho, per postas. Illustrissime princeps et excellentissime domine, domine metuendissime. Le littere de la Excellentia Vostra, de xim del presente, me admoniscono a persuadere l’acordo tra lo illustrissimo duxe de Zenoa et Iohan Filippo 31. Dico, Signore mio, che mai inimicizia che altri habia cum mi, ni offesia, non me moverano l’animo a fare altro che quanto me comanda la prefata Excellentia Vostra, e vero che da mi io conosca essere utile al stato de la Vostra Signoria, da la quale pende il mio picolo essere. Et per questo, non possando io transferirmi dal ditto Iohanne Filippo, li mandai Franco mio figliolo come scripsi ; lo quale ha fatto dal canto suo quanto li è stato possibile, et lo quale è ritornato hieri et tene questa opinione. 29 Giovanni de la Guardia ambasciatore dello Sforza a Genova. 30 Giovanni Filippo Fiesehi. 31 Giovanni Filippo Fiesehi. — 195 — che'I prefato Iohanne Filippo mai non si partirà da la voluntate vostra. Veruntatem, Signore, io dubito che’I duxe de Zenoa non cerche altro, se non metere tale rugine tra la Excellentia Vostra et lo ditto Iohanne Filippo, che mai più l'uno non se fide di l’altro; et, tunc lo duxe se degnerà de scrivere a la Signoria Vostra frater carissime et cum pace dictum sit, mancarà a la Signoria Vostra lo meglore bastone da baterlo etc. Ha dubitato lo prefato Iohanne Filipo che le machinacione del duxe non Fabiano un poco fato exoso a la Sacra Maestà de Rei 32, la qual cosa tanto li è più molesta, quanto vede più strecta coniunctione tra la Maestà e Signoria Vostra. Et pertanto ha deliberato de mandare da la dieta Maestà el ditto Franco, vostro cavalero, unde io sia contento per fare sua excusatione. Io, rendendomi certo che la Maestà Sua cum la Excellentia Vostra debiano trovare insieme, non solum ho consentito, ma persuaso et strecto mio figlo che omnino vegna ; et supplico a la Excellentia Vostra cum lo tempo lo vogla adoperare in sue facende, chè troverà in lui maturitate, fede et tanta discretione, che satisferà a la Illustrissima Signoria vostra, la qual cosa non dico per laude, ma per advisa-mento. Arecommandomi ad essa. Ex Serravalle, die xxii septembris M CCCCLIII. Illustrissime dominationis prefate fidelis miles Blasius. 20 [1455 - 25 maggio] A.S.M., Potenze Estere. Genova, cartella 410, 1455 maggio- illustrissimo principi et excellentissimo domino, duci Mediolani etc. Papie Anglerieque comiti ac Cremone domino metuendo. Magnifico Cicho, cito, cito, per postas. Illustrissime princeps et excellentissime domine, domine me-tuendissime. Per molti, che vennero de Riviera e de Zenoa, se refere che messer Ludovico da Campofregoso è intrato in Sestro da Levante, de voluntate de la magior parte, et che haverà Chiavari, la quale cosa credo serà notta a la Excellentia Vostra avanti questa lettera. Ma io scrivo perchè, seguendo questo principio, in inagiore executione et effecto, la Excellentia Vostra examine bene e il façia bon pensamento in cui lo vole che cada la ballota ; ricordando che la cità de Zenoa non fo mai in tanta confusione et ambiguitate, remire bene la Illustrissima Signoria Vostra le parte et unde hano radice et, corno prudentissima, non se laxe mettere da canto, a la quale me arecom-mando. Date Serravallis, die xxv maii mcccclv. Illustrissime dominationis prefate fidelis miles Blasius. 32 II principe Renato tTAngiò. — 196 — 21 [1455 - 25 luglio] A.S.M., Po Lenze Estere, Genova, cartella 410, 1455 novembre {sic). Illustrissimo principi et excellentissimo domino, duci Mediolani etc., Papie Anglerique comiti ac Creinone domino metuendo. Magnifico Cicho, cito per cavallarium, etc. Illustrissime princeps et excellentissime domine, domine me-tuendissime. Più fiata, per fare lo debito mio, ho avisata la Excellentia Vostra de li fatti che occorreno contra Zenoa o meglo contra lo stato presente et de novo aviso como li fuoriusiti ogni dì crescono de favore e contra mancano al stato- Petro Spinola è andato verso Saona cum multi cavalli et fanti; lo capitaneo messer Spinetta 33 hogi credo anderà con bona compagnia; li Adorni, chi eri deviano allogiarsi a la ripa del mare, a una villa chiamata Corniliano presso a la citade doa miglia, li quali Adorni me hanno mandato questa alligata che scriveno alla Excellentia Vostra, strezandomi la mande statim et habiando risposta gli la mande contamente. Ulterius aviso la Excellentia Vostra che la terra de Novi è in grande divisione tra loro et gli n’è morti et periti etc. et, mancando lo favore al duxe, sta a pericolo de prendere altro partito. Io lì ho bonna squadra et parte dentro et saperia volentera corno me debia comportare, avisando la Signoria Vostra che, per la vostra sententia, lo aiudicasti a la memoria degna del signor duca Filippo, et per opera de uno prete Thoma de Nove, chi me combaté cum littere de la Illustrissima Madona Lisa Sforcia, se ribellò verso Zenoa, morto el prefato signore. Se la Excellentia Vostra me signerà. io ubedirò, a la quale me arecommando. Date Serravallis, die xxv iullii mcccclv. Eiusdem illustrissime dominationis fidelis miles Blasius. 22 [1455 - 26 luglio] A.S.M., Potenze Estere, Genova, cartella 410. 1455 novembre (sic). Illustrissimo principi et excellentissimo domino, duci Mediolani etc., Papie Anglerieque comiti ac Cremone domino metuendo. Magnifico Cicho, cito, cito, citissime, per cavallarium postarum. Illustrissime princeps et excellentissime domine, domine metuende. Ieri scripsi alla Excellentia Vostra circha alli facti de Zenoa ; hora mando inclusa una copia della lettera scripta ad Francho. mio 33 Spinetta Campofregoso. — 197 — figlio, per lo nobile Gregorio da Fiesco, cognialo suo et cogniato de Nicolaso de Guarco, lo quale la Signoria Vostra campò dalla morte, quando elio era in mane de Fregosi, et he cane et schiavo de la prefata Excellentia Vostra, la quale intenderà che lui liè lo cavallo leardo scripto in la copia e lo amico grande fu messer Iamphilipo Preterea le cose stanno in grande pericolo de Nove, che non capite in altra persona che la Signoria Vostra. Io non ho resposta alcuna de lettera eli io scrivia alla prefata Excellentia Vostra ; pure, in questi facti de Nove, procederò come me pare convenire allo stato della Signoria Vostra et alla salute de li amici duclieschi, che sono li dentro. Ricomandandomi sempre a la Excellentia Vostra. Date Serravallis, die xxvi iulii, mane, 1455. Prefate illustrissime dominationis vestre fidelis miles Blasius. 23 [1455 - 25 settembre] A.S.M., Potenze Estere, Genova, cartella 410, 1455 settembre. Illustrissimo principi et excellentissimo domino, domino duci i ediolani etc., Papie Anglerique comiti ac Cremone domino metuendo. Magnifico Cicho. cito per postas. Illustrissime princeps et excellentissime domine, domine me-tuendissime. Sono avisato che a Zenoa se aspeta lo reverendo Cardinale, ut aiunt, de Sancta Croce, tanquam legatus de latere, supra alcune galee et dicon che’I dè vegnire a Milano; la qual cosa, seguendo è verissimile, debia dare la via de questa vostra terra, Serra-)a e" ^*az*a donca a la Excellentia prefata commandarmi se io ò da fare più una cosa cha un’altra, che sempre ubedirò. Ho mando a Zenoa per sapere più certo et notificarollo a la Illustrissima Signoria o^tra, a la quale ma arecommando. Date Serravallis, die xxv sep-tembris 1455. Illustrissime dominationis vestre fidelis miles et comes Blasius. 24 [1455 - 2 ottobre] A.S.G., Potenze Estere, Genova, cartella 410, 1455 ottobre. Illustrissimo principi et excellentissimo domino, duci Mediolani etc., Papie Anglerique comiti ac Cremone domino metuendo. Magnifico Cicho, cito, per postas- Illustrissime princeps et excellentissime domine, domine me- 3i Giovanni Filippo Fiesehi. — 198 — tuendissime. Scripsi a la Excellentia Vostra, li di passati, del vegnire del Cardinale de Sancta Croce etc., et quelui chi me scripse equivocava in lo titulo, che volse dire de Sancto Angelo o de Avignone. Poi hogi sonno avvisato che, martedì matino proxime passato, cinque galee sonno passate sopra Zenoa, large da terra sei miglia, navigando verso Ponente, unde existimano essere lo ditto cardianle chi va in le ditta parte de Ponente. M’arecommando a la clementia ducale, la quale fra pochi dì vegnirò a visitare, come è mio debito e già passato. Ex Serravallis, die n octobris 1455. Illustrissime dominationis prefate fidelis miles et comes Blasius. 25 [1455 - 6 ottobre] A.S.M., Potenze estere, Genova, cartella 410, 1455 ottobre. Illustrissimo principi et excellentissimo domino, duci Mediolani etc., Papie Anglerieque comiti ac Cremone domino metuendo. Magnifico Cicho, cito, per postas. , Illustrissime princeps et excellentissime domine, domine me-tuendissime. In quest’hora ho recevuto lettere de la Excellentia Vostra a la quale, nel fatto del cardinale, de che fano memoria, per altre mie ho satisfatto, mandate per le poste; videlicet che, per dire più chiaro, li parenti del Cardinal da Fiesco scriviano da Zenoa che aspetavano lo ditto Cardinale de Fiesco, de dì in dì, sopra le galee del Papa, in le quale vegnia lo Cardinale de Sancta Croce, legato da latere, per vegnire a Milano et deinde andare in Ponente e volian dire lo cardinale de Sancto Angelo e de Vignone; poi, come lio scripto, me avisano che le galee martedì passato proximo naviganno verso ponente, passando sopra lo porto di Zenoa, lontane sei miglia, e non nominano cardinale alcuno. Questo quanto ne sento ; se altro saperò avanti al mio partir de qua, per vegnire a visitare la Excellentia Vostra, lo scriverò. A la quale me areeommando. Ex Serravallis. die vi octobris 1455- Eiusdem illustrissime dominationis fidelis miles et cornes Blasius. 26 [1455 - 23 ottobre] A.S.M., Potenze Estere, Genova, cartella 410, 1455 ottobre. Illustrissimo principi et excellentissimo domino, duci Mediolani etc. Papie Anglerieque comiti ac Cremone domino metuendo. Magnifico Cicho, cito, cito, per postas, cito. Illustrissime princeps et excellentissime domine, domine me- — 199 — tuendissiine. Sentiando Io messer Iohanne Filippo da Fiesco del mio voler vegnire a visitare la Excellentia Vostra, me scripse che, per cosa importante al stato ducale, bisognava conferissemo insieme ; io subito me conduxi a Recho a li parenti miei. Lui vegne molto presto. La casone era per la pratica che è cum Francesi, de la quale me dixe bavere dato aviso a la Signoria Vostra, poi lo dì segondo fo lo tradimento de Rochataglata ; cavalcai cum sì et presto Dio reduxe la cosa a soi primi termini, inde in verità certifico la Excellentia Vostra se seriano trovati intra trei dì quattro mille personne cum più de md baleste in suo favore. Ritornamo a raxonare de la pratica cum Francesi, unde lui dice esserli lo duce de Zenoa et molti gen-tilhomeni cum dolosità et inganno da l'uno a li altri. Lui ha mandato a Savonna, unde se pratica, per sapere più chiaro et io sonno retornato qui et domatina cavalcarò presso a miglia XV, per andare più o tra ad intendere meglo ; et. se una storta o saxo che me ha ofFeiso al piede senestro non me dà impegno, passerò più avanti. Et havuto < a lui quello che me scriverà, cum quanto io sentirò aliunde, vegnirò f a la Excellentia Vostra, credo cum modi e forma de troncare tale pratica, a la quale me arecommando. Supplico che solimi de receptione presentis me vogla fare certo. Ex Serravallis, die iovis, xxiil octobris 1455. vespere. Prefate illustrissime dominationis fidelis miles et comes Blasiu». 27 [1455 - 4 novembre] A.S M., Potenze Estere. Genova, cartella 410, 1455 novembre. Copia Principi per Blasius. Illustrissime etc. Perchè la Signoria Vostra non se meravegle < el tardar mio. includo in questa lo capitulo me scrive lo magnifico Iohanne Filippo35, a li dì ii del presente. «Videlicet, circa la risposta che aveti a fare al principo nostro, si è che, quando ve Par" listi (la mi, era preiso una deliberatione et per novi respeti se n è preiso un'altra, per meglor consiglio e più chiarezza de la mente del principo et più secretezza de le cose; et così v’è necessario in-dusiare fin a questa conclusione, cum la quale andereti meglo fornito et armato, sichè studiati la venuta de l’amico et secrete ». Unde io, Signore mio, me retarderò, corno lui scrive per utile de la facenda. Date Serravallis, die mi novembris 1455. Blasius. 3j Giovanni Filippo Fiesehi. — 200 — 28 [1455 - 9 novembre] A.S.M., Potenze Estere, Genova, cartella 410, 1455 novembre. Illustrissimo principi et excellentissimo domino, duci Mediolani etc., Papie Anglerieque comiti ac Cremone domino metuendo. Magnifico Cicho, cito, cito. Illustrissime princeps et excellentissime domine, domine rne-tuendissime. Questi passati iorni scripsi a la Excellentia Vostra la raxone me havia retardato et mandai lo capitulo de la littera de messer Iohanne Filippo36. Poi, come prima avea scripto a la Excellentia Vostra, cum maxime piobie et camini transversi, me sonno trasferito unde dirò a boca a la prefata Excellentia et ho trovato la cosa essere stata per concludersi, de che segueria danno a la Illustrissima Signoria Vostra et a tutti vostri servitori. Pur Dio e li homeni del mondo l’hano disturbata, non dico tolta via in tuto; et non è manco dubio de Saona, quanto de quel ch'io scripsi in le mie prime lettere- Bisognarne ancora tardare per alcuni pochi dì, perchè li mali tempi, chi me hano voluto anegare, etiam hanno impedito lo convenirsi insieme di alcuni vostri servitori, da li quali bavero più avisamenti in la facenda et in altro, come dirò viva voce, unde convenne che la Excellentia Vostra et mi siamo ancora pa-cienti, a la quale m’arecomando. Ex Serravalle. die vini novembris 1455. Illustrissime dominationis prefate fidelis miles Blasius. 29 [1455 - 13 novembre] A.S.M., Potenze Estere, Genova, cartella 410, 1455 novembre. Illustrissimo principi et excellentissimo domino, duci Mediolani etc., Papie Anglerique comiti ac Cremone domino metuendo. Magnifico Cicho, cito, cito, per cavallarium. Illustrissime princeps et excellentissime domine, domine me-tuendissime. Hogi, a hore xxini, ho recevuto lettere da la Excellentia Vostra de xi del presente. Replicano quello m'è stato scripto da Essa, la quale se meravigla del mio tardare, o vero che non habia scripto casone chi m’à retegnudo. Et io respondo che, ni le cose che aparteneno alo stato de la Excellentia Vostra, non foi mai pigro ni iento, da lo quale dipende lo essere et lo vivere mio, et così se vedrà 36 Giovanni Filippo Fieschi. — 201 — fin al dì del iudicio, questa essere stata la mia voluntate et opera cum effecto, avanti che la Excellentia Vostra me segnorezasse, nè che io li fosse subdicto obligato, benché voluntarie, lo fosse molto tempo avanti; de la qual cosa credo et non dubito che la vostra mente ne sia clara et per veri effetti da mi dimostrati non ne dubito punto. Del tardamento lo defetto non è mio, ni anche del non avi-sare, conio intenderà la prefata Excellentia Vostra per le copie incluse: bisogna pocheti de bavere paciencia. che questi carri, ch’io traverso, hanno le rotte sì mal ferrate che non sonno corno Biasio, al quale lo maltempo è cosino o fratello; et pure è necessario che da loro, uniti insieme, conclusione se habia per lo bene del stato vostro, al quale remiro. In breve vegnirò; piove quanto si pò, et credo per modo de resecare che li mali spiriti non vegnano per questa parte. In veritade, signor mio, non ho dormito, che non è mia usanza laxarme prendere dal sonno. Data Serravalle, die iovis xiii novembris, noctu. mcccclv. Illustrissime dominationis prefate fidelis miles Blasius. 30 [1455 - 13 novembre] A.S-M., Comuni, Serravalle, cartella 79. Illustrissime princeps et excellentissime domine, domine me-tuendissime. Questa serra tardi sonno arivati qui in lo borgo li messer Raffael, Barnaba Adorni cum li messer Iohanne Antonio e Petro de Spinoli: non li ho veduti, nè vedrò in pubblico, ma si bene in secreto. Colorisseno, segundo me, hanno mandato a dire, che la sua vegnuta si è per andare in Val de Scrivia per conferire cum li altri Spinoli, per caxone de la morte del quondam Oberto Spinola da Francavilla, questi dì morto da quelli de Gavi, in la torre de Bisio. Non darò logo de intendere più avanti. M’arrecommando a la Excellentia ducale. Date Serravallis, die xm novembris, hora na noctis. Heri feci responsione a le littere de la Signoria Vostra, per cavallarium de Zohanne da la Goardia 37. Illustrissime dominationis prefate fidelis miles Blasius. Questoro se troverano insieme cum lo messer Iohan Filippo 38 et altri gentilhomeni et de tutto serò avisato, de ogni conclusione, cum la quale spero, come scripsi, vegnire presto et de quante pra- 37 Giovanni de la Guardia ambasciatore a Genova dello Sforza. 38 Giovanni Filippo Fieschi. — 202 — ticlie contra lo siato de Zenoa, in la qual cosa remirano sempre la voluntate de la Excellentia Vostra et così quanto troveranno de la pratica francese. Idem Blasius. 31 [1455 - 17 novembre] A.S.M..Potenze Estere, Genova, cartella 410, 1455 novembre. Illustrissimo principi et excellentissimo domino, duci Mediolani, Papie Anglerique comiti ac Cremone domino metuendo. Magnifico Cicho, cito, cito, per postas, cito. Illustrissime princeps et excellentissime domine, domine me-tuendissiine. Li amici se partiron de qui et sonno andati in V al de Scrivia, come scripsi per trovarsi in loco secreto cum lo magnifico Iohanne Filippo 39- Credo serano insieme infra trei dì, per prendere finale conclusione contra lo stato presente de Zenoa et per obviare in totum che non se possa prendere la via de Francesi; et la loro voluntà, quanto habia potuto intendere, seria de metere 1 Adorno per duxe et de havere bona, vera et firma intelligentia, quasi obe-dientia, cum la Excellentia Vostra a vivere et morire simul. Fatta la conclusione, tale quale serà, me ne vegnirò da la Excellentia prefata, corno per altre mie scripsi, a la quale me arecommando. Preterea le cosse dentro da la citade sonno in tumulto et de li artisti, deli quali lo duxe se favoriva, gli ne va mancando ogni dì grande nomero, perchè non fano nulla in le arte et se moreno de fame. Date Serravallis, die xvn novembris mcccclv, mane. Illustrissime dominationis prefate fidelis miles Blasius. 32 [1455 - 20 dicembre] A.S.M., Potenze Estere, Genova, cartella 410, 1455 dicembre. Illustrissimo principi et excellentissimo domino, domino duci Mediolani, Papie Anglerieque comiti ac Cremone domino metuendo. Magnifico Cicho, cito, cito. Date Serravallis die xxi. in aurora. Illustrissime princeps et excellentissime domine, domine me-tuendissime. La casone che non ho scripto a la Excellentia Vostra, poi che sono arrivato qui, si è stata per non scrivere cose incerte; et le cose chi procedono da mio principio et signore, fatta la conclusione, statiin succede la executione, ma le cosse chi hano determinatione da molte teste et capi, come sonno queste, bisogna non 39 Giovanni Filippo Fiesehi. — 203 — solum maturarle cum lo tempo, ma adaptarsi al tempo. Ritornano dalla Excellentia Vostra li spectabili messer Cristoforo et messer Otto, li quali sonno stati cum tuti questi Adorni e Spinoli, videlicet messer Raffael. Barnabe Adorno, Zohanne Antonio et Petro Spinola, chi sono guida et nauteri de la nave da queste parti di qua, et Iohan Filippo 40 da 1 altro canto. La Excellentia Vostra intenderà quello che dirano. la quale prego che non gli offera ni profera più come requerirano, perchè a li Adorni non intrasse sospeto che li Spinola et Fieschi non volessero fare per la Signoria Vostra et non per li Adorni. Item se degne la Excellentia Vostra audire qualche fiata messer Cristoforo in privato, solus cum solo, a la quale me arecoinmando. Ex Serravalle, die xx decembris mcccclv. Illustrissime dominationis prefate fidelis miles Blasius. 33 [1456 - 6 gennaio] AS.M., Potenze Estere, Genova, cartella 411, 1456 gennaio. Illustrissimo principi et excellentissimo domino, domino duci Mediolani. Papie Anglerieque comiti ac Cremone domino metuendo. Magnifico Cicho, cito, per postas. Illustrissime princeps et excellentissime domine, domine me-tuendissime. Le galee catalane chi erano nel porto de Zenoa, siorte al ferro, se sonno partite et sabato passato, avanti lo sole preiseno la via de 1 alto mare sopra Sextri de Levante al capo de Manera41: de diete galee se ragiona variamenti, le quale non hanno fatto alcuna offensione, salvo che se dice, corno è loro usanza, hano misso a reme per forza lombardi lavoranti e fanti forestieri preisi nel suo partire. Altri dicono che erano vegnute per favore de messer lo... duxe per xerta pratica et conventione ha cum la maiestà del rei d Aragona et da mano fornire Portoveneri. Lilice et La Spezia 4a, ma non è piazuto a la brigata et che messer lo duxe a* pubblicato tuto a li citaci ini. Altri dicono che 1 duxe ha dimostrato non sapere rovelle de esse e gli fanno convinto che tra lui et Masino suo fratelo hanno avuto parole grave et che messer lo . . . duxe ha ferito Masino in lo brazo e teneno la cosa secreta. Hec sunt verba vulgaria: tosto caveremo lo vero più chiaro et serane advisata la Excellentia Vostra, a la quale me arrecommando. Ex Serravalle, die vi ianuarii MCCCCLVI. Illustrissime dominationis prefate Blasius miles et comes. 40 Giovanni Filippo Fiesohi. 41 Loiücrna punla Manara. 42 Porlovenere, Lerici, La Spezia. — 204 — 34 [1456 - 29 gennaio] A.S.M., Potenze Estere, Genova, cartella 411, 1456 gennaio. Illustrissime princeps et excellentissime domine, domine me-tuendissime- Messer Baptista da Goano, legumdoctor, capellatio de populo gibellino, del quale el padre fu duxe de Zenoa, et messer Dorino de Grimaldo, gentilliomo guerfo de una de le quatro case principale de la dieta città, chi vanno per la via de Piaxensa et Ferrara, ambassiatori a Roma, hoggi a nonna, armati equi, subito me fecero demandare et, essendo noi trei in secreto, acommenciò messer Dorino a parlare cum animo ferventi dicenti: « Biaso, che vole dire che non sia seguito alcun bono effecto per la nostra cittade de tanta cumgregacione, de tanti notabili cittadini foriusiti, hi la qual cosa speravano tuti quelli chi hano da perdere et da spendere, che se dovesse levar quella città afflitta de tante tribulacioni et maxime essendo ti, Biaso, tanto pratico de le faccende nostre quanto altri cittadini et siando ti stato in le pratiche loro et audito dal . . . duca de Milano, lo quale, come habiamo inteso, te ha dato spessa et singulare audiencia ; de la qual cossa li boni stavano cum optima ex-pectacione de rimedio a la infermitate sua, perchè la cossa non va da gentilhomo a populo, ma da boni et ben dispositi a tristi et mal compositi ». Io, commendando a respondere che la mia chiamata de la Excellentia Vostra era per altri respecti etc., subito tuti doi me interrompero lo parlare dicendo: « questo è un evitare de respondere ». Lo duca de Milano non ha mostrato, nè mostra alcuna gratitudine verso quella città, ni cittadini che aspectavano ; al quale, ne la guerra che havia cum Veneciani, li hano pur subvenuto et la Signoria Sua consente e patisce che la città et boni cittadini sia destrutta ; da li quali è preceduto li favori che l’ha havuti et non da chi el mantiene, preponendolo a la cittade et a tuti boni citadini, li quali li haviano singulare amore et devocione, credando la Signoria Sua a lettere de altri che li scriveno le cosse che non sono, nè serano per quello modo et chi li metono paura de Francesi, per fare lo facto suo et de fare quello del ... duca et de la cittate ; per modo che io, Dorino, te dico che, de quanti amici et servitori la Sua Signoria havia a Zenoa, gli ne resta sì pochi che non pò mancare et maxime per la pocha piettà che l’ha mostrato et mostra a la cittate et boni citadini et de li foriusiti, la maior parte de li quali erano soi cani et parciali, gli ne resterà presto pochi soi amici. La Signoria Sua tenne Iohanne de la Goardia a Zenoa con seglali che non gli lo laxe una hora per bene de lo stato de la Signoria Sua »; et in questo disseno tuti doi più largo ch’io non scrivo. Vogliando io replicare contra, non me fu dato arbitrio. Ma luy perseverando disse: — 205 — / « Se 1 . . . duca de Milano ha appetito de Zenoa, el tenne tuti li modi contrari, perchè, conoscendo li cittadini questo modo, se dariano a>anti al Turcho o fariano segnore naturale Perino da Beghe (cussi o nominò) ». Poi messer Baptista, non discutiendo in alcuna cossa a quanto fu detto de sopra, me disse: « Biasio, tu conoscesti lo... cuca Filippo; veramente la Sua Signoria intendeva meglio le cosse ( e Zenoa che non se intendono a presente, la quale, se havesse havu-to a presente opportunitate, non haveria mantenuto questo stato, ma ne ia\eria mutato quatro ». Et poi tuti doi disseno che, non mutando proposito lo . . . duca de Milano et non facendo altra demo-. tracione a er?-o quella cita et boni cittadini, lui, duca de Milano, sia caxone c e farla capituiare in Francesi, ma non per lo modo chi le scrneno et dano ad intendere quelli a chi la Signoria Sua crede più i ìe a i altri boni. « Et queste cosse dile a la Signoria Sua, de loca a boca. ma non altramenti che tu sai, chè del nostro parlare a uon ine pei lo bene de la Sua Signoria ne porria seguire inconveniente a noi, ni ad altri haveriamo parlato in questo modo, salvo a e. per lo vinclulo del baptismo, fra tuti ». Poi se partiron a suo cammino. Date Serravallis, die iovis xxvim ianuarii, ante vesperas, MCCCCLVI. Illustrissime dominationis prefate fidelis miles Blasius. 35 [1456 - 3 marzo] A.S.M., Potenze Estere. Genova, cartella 411, 1456 marzo. _-^ustrissimo principi et excellentissimo domino, domino duci - et miam papie Anglerique corniti ac Cremone domino metuen- i usiino. i magnifico V incentio secretario, cito, per postas. ustnss^mÇ princeps et excellentissime domine, domine me-en ipsime, elix Terdona, cuius falsitates et mendacia pro veritate au ìuntur, infelix Serravallis, qui sine defensione condemnatur! ^uis statuit aliquid, parte inaudita altera etc., priusquam potestas .!1C att*^sset- restituti fuerunt denarii aurei nobili et generoso nataeli de Nigris, qui suam esse illam pecuniam affirmabat. Hic onocu us anconitanus, cum quo bellum est, non cum sacrilego aut re, pro missale, quid tibi vult cum suis mendacibus litteris? Men-acia enim uerunt scripta et significata per eum suis litteris Excel-en ie estre, mendacia in his novissimis litteris nunciaverunt. Ideo vera non oquuntur, quia quia non didicerunt- Hec satis sint pro e ensione mee innocencie, sed de missale actum est. Peto venia ■_i ta iter, qualiter scribo, mens lesa oh veritatem non est humilis. itecommendo me Illustrissime dominationi vestre. Date Serravallis, die in martii 1456. Illustrissime dominationis prefate devotus Blasius. — 206 — GIUSEPPE ORESTE UNA NARRAZIONE INEDITA DELLA BATTAGLIA DI LEPANTO . . E' conservato nell’Archivio di Stato di Genova 1 un documento sulla battaglia di Lepanto non privo di interesse, specialmente se la sua data è esatta (e non vedrei motivo di dubitarne). E’ un foglio di cm. 21X30, scritto sulle due facciate e senza margine per complessive 68 rigbe fitte, con parecchie lacerazioni, specialmente ai margini, ma non tali da impedire una sufficiente lettura del testo. Il foglio porta più filigrane lungo l’asse centrale: due cerchietti sovrapposti, uniti da una riga, e un « croissant de lune » contenente le lettere maiuscole P M e sormontato da una croce a doppio tratto di linea 2. Il testo è in grossa e chiara scrittura cinquecentesca, con quasi una riga cancellata da un tratto di penna per una serie di otto parole; non firmato. E‘ accompagnato da un altro foglio (senza filigrana), dove l’occhiello, di mano più recente, secentesca, reca scritto: « N. 2. 1571 alli 7. 8brc. Naratione del Combatim.10 et insigne Vitoria ottenuta dall’ Armata Christiana sopra l’Armata Turcha nel Golfo di Lepanto ». I due fogli sono conservati entro una custodia sulla quale, di mano ottocentesca, sono riprodotte le parole dell’occhiello, corrette nella ortografia, e cancellata la parola « Naratione » che è sostituita da « Ragguaglio » (e come tale il documento è catalogato nella pandetta dell’Archivio). 1 Archivio Segreto, Politicorum, mazzo 4 - 1650, doc. n. 18. 2 Come quelle descritte da C. M. Briquet, Les papiers des Archives de Gênes et leurs filigranes, in Atti della Società Ligure di Storia Patria, XIX, 1888, p. 346 e tavv. 221-222. Nell’opera maggiore dello stesso autore questa filigrana si trova indicata anche per altre città dell'Italia settentrionale, ma non per Venezia. — 209 — 14 Le prime quattro righe del foglio sono evidentemente una intestazione. Segue il testo vero e proprio in otto capoversi: i due primi, più ampi, sono dedicati rispettivamente ad un riassunto dei fatti del 5-6 ottobre e alla descrizione viva e particolareggiata, anche se sommaria, dello svolgimento della lotta. Altri tre capoversi, più brevi, contengono notizie e commenti vari. Gli ultimi tre, assai brevi e con notevole stacco anche stilistico per un certo tono di servizio di cronaca, sembrano una appendice di notizie aggiunte, ma sempre in relazione con 1 argomento. Ho accertato, con tutta la scrupolosità che mi è stata possibile, che si tratta di una narrazione inedita e forse del tutto sconosciuta agli studiosi. In effetti essa non coincide interamente con nessuna delle relazioni, descrizioni e lettere dei contemporanei, pur riferendo quasi sempre particolari ormai accertati e definiti, special-mente dagli studi di Guglielmotti, Manfroni, Molmenti, Quarti, Braudel, o comunque rispondenti alle relazioni e narrazioni di provenienza \eneta, tra le prime ad essere composte per diffondere e celebrare la famosa vittoria. Ad una prima lettura il documento appare uno di quegli « avvisi » che dai principali punti di osservazione erano diffusi in ogni parte d Europa come veri e propri servizi giornalistici. Venezia fu appunto, insieme con Roma, una delle più importanti sedi di « agenzie di informazioni », anzi la culla del « giornale » 3. I rappresentanti diplomatici e gli stessi organi di governo già da qualche tempo se ne servivano, acquistandoli dai compilatori, ormai specializzati in questo genere di attività. Il Consiglio dei Dieci di Venezia ne spediva ai Rettori delle città di Terraferma il 19 ottobre 4. La repubblica di Genova ricevette appunto da Venezia la prima notizia della vittoria il 22 ottobre in « capitoli », che essa immediatamente rispediva al suo ambasciatore in Spagna, Marc’Antonio Sauli ; e questi ne accusava ricevuta con lettera del 7 novembre, dicendo di averli ricevuti il 2 novembre, due giorni dopo che analoga notizia era giunta alla Corte con due corrieri, uno da Venezia e l’altro da Ge~ 3 Cfr‘ C' D Onofrio, Gli « avvisi »di Roma dal 1554 al 1605 conservati in iblioteche ed archivi romani, in Studi romani, X, 1962, pp. 529-548. 4 Archivio di Stato dì Venezia, Senato, fondo Terra, 1571, filza 78. — 210 — nova0. Non è improbabile che i «capitoli » inviati al Sauli siano proprio il nostro documento, sebbene questo non si trovi nel fondo che comprende la corrispondenza diplomatica. Ma due fatti richiamano subito l’attenzione: la data, 18 ottobre, e 1 assenza del nome di colui che, secondo le testimonianze di quei giorni e secondo tutta quanta la tradizione accettata, sarebbe stato il primo a portare nel mondo cristiano la notizia della vittoria, cioè Onfrè Giustinian, capitano o « sopracomito » della galea veneta « Arcangelo Gabriele », che combattè nell’ala sinistra dell’armata cristiana a Lepanto, ma sarebbe giunto a Venezia il 19 ottobre. Mi e sembrato quindi necessario riprendere in esame tutta la questione del primo arrivo della notizia a Venezia. La questione non è stata mai finora trattata, perchè di per se stessa non meriterebbe particolare attenzione: ai contemporanei il fatto non presentava dubbi o problemi, nè la data precisa offriva interesse, mentre per i moderni studiosi la discordanza delle fonti su questo punto poteva essere di scarso rilievo. Soltanto il Quarti, infatti, nella sua poderosa e diligentissima ricostruzione della guerra di Cipro e della battaglia di Lepanto, ne fa un cenno, correggendo la data del 19 in 17 ottobre 6. Ora invece, l’esistenza del nostro documento con le due circostanze sopra citate, inducendomi a cercare di chiarire la cosa, mi ha posto un vero e proprio problema, dietro il quale se ne profila almeno un altro di più rilevante interesse. Dalla loro chiarificazione dipendono l’interpretazione e la valutazione stessa del documento. d Lettera del gov. a M. Ant. Sauli, 22 otl. : «Glorioso et felice giorno, gloriosa, felice et immortai gratia che ha fatto il S. Dio al popolo suo cristiano, anzi tanto maggiore quanto nudi noi christiani d’alcun merito anzi colmi d'ogni peccato, ci ha fabricato di sua mano cosi alta non mai più intesa vittoria havendo discipato in guisa li nemici della Fede Christiana sotto li hospitij di Sua Maestà Cattolica che ne secoli avvenire si può sperare che non si habbino a riaver già mai. Li particolari della vittoria li vedrete per l’inclusi capitoli ». Con lettera 3 nov. il gov. manda « l’inclusi avisi che si sono potuti raccogliere del fatto acciò possiate servirvene per lume vostro e per notizia d’altri » (Archivio di Stato di Genova, Lett. Min. Spagna, mazzo 4 - 2413, dove è anche la risposta del Sauli, 31 ott. - 7 nov.). 6 G. A. Quarti, La guerra contro il Turco in Cipro e a Lepanto. Venezia, 1935, pp. 741 e 753. — 211 — La tradizione che chiamerei « vulgata » riferisce che uno o due giorni dopo la battaglia il Capitano generale della flotta veneta, Sebastiano V enier, spedì in patria con le prime e sommarie notizie la galea di Onfrè Giustinian, che in una diecina di giorni giunse a Venezia, dove apparve nel porto trascinando sull’acqua trofei strappati ai turchi: immensa gioia nella città; feste; processioni: spedizioni di « avvisi » in ogni direzione: il Giustinian creato cavaliere; intenso lavorio diplomatico per lo sfruttamento politico e militare della vittoria. Questa la chiara sostanza dei fatti, sui quali non vi sono dubbi. Ma quando si vuole scendere ai particolari, specialmente cronologici, il quadro si fa nebbioso ed incerto. E se ciò si riscontrasse solo nelle fonti narrative, che sono più o meno successive ai fatti, la cosa potrebbe non sorprendere: per i cronisti del tempo, evidentemente, era del tutto irrilevante la data precisa dell’arrivo in confronto con 1 importanza della vittoria in sè. Ma gli stessi atti di governo e le primis&ime testimonianze rivelano anch’esse qualcosa di oscuro e persino, forse, di artefatto, che fa sospettare una situazione degna di richiamare l’attenzione. Ho già detto che le cronache contemporanee non sono concordi, riferendo chi il 17. chi il 18. chi (più spesso) il 19 ottobre7. Dagli atti del go\erno si rileva invece costantemente la data del 19 « mattina » . Ma alcuni particolari mi hanno messo in sospetto: a) la lettera deliberata dal Senato al Venier il 22 ottobre fa riferimento soltanto alla lettera di questo dell’8 ottobre (che indicava il Barbarlo ferito gravemente) e non a quella del 9, che comunicava ' Vista la impostazione del mio lavoro, non mi soffermerò a discutere questa divergenza nei cronisti. 8 Archivio di Stato di Venezia, Annali della Repubblica 1571, c. 229, e( reto del Senato del 19 ott. : « in quella segnalata vittoria ch'oggi si è udita ettere del Capitano nostro General da mar»; Deliberazioni Senato, Secreta, reg. .8, c. 23, minuta di lettera al Venier in data 22 ott.: Io si informa di aver ricevuto notizia della vittoria dalle sue lettere dell’ ottobre e «dalla relazione e nob. nostro Onfrè Giustiniano governator di galea, da voi mandatone et gionto qui la mattina de 19 ». E tutte le altre comunicazioni, ai sovrani e ambasciatori, sono del 19 ottobre (nel reg. 78 cit.). Cfr. anche Calendar of STATE PAPERS, I'oreign Service, 1569-1571, London, 1874, n. 2092 p. 551; CALENDAR OF STATE PAPERS, Venetian, 1558-1580, London, 1890, n. 526, p. 478. — 212 — la morte del Provveditore Generale, mentre nel testo della deliberazione la morte di questo è già nota ; b) nella minuta di istruzioni al Venier, 23 ottobre, sulla condotta da tenere con Don Giovanni d’Austria, e aggiunta in calce questa nota: « sia fatta la data alli 19 del mese presente » 9; c) nè il Consiglio dei Dieci nè il Senato accennano mai alle lettere dell’8 ottobre del Provveditore Marco Quirini e del comandante delle galeazze Francesco Duodo, mentre in un « Rubricano dell’Armata » è registrata una « prima [sic] lettera » dell*8 ottobre del Quirini, subito prima della lettera Venier della stessa data 10. Aggiungo che una lettura attenta delle tre lettere che il nunzio Facchinetti mandò da Venezia al Card. Rusticucci Segretario di •Stato n, può far pensare che l’arrivo del Giustinian non fosse inaspettato (v. spec. la terza lettera: « Hi e ri toccò a me d’esser il primo d baver la buona nuova della vittoria, che venendo dall’audienza di S. Ser.tà nell’andare a casa in barca vidi venir la galera, strascinando dietro parechi stendardi per acqua, onde ima gin an do mi quello che era. 1 aspettai et intesi la nuova, et me ne tornai a Palazzo, et fui il primo a darla in generale a Sua Serenità » ; il corsivo è mio). Il Quarti, senza approfondire l’argomento e senza tener conto di ciò che risulta dalle deliberazioni del Consiglio dei Dieci e del Senato, sostiene la data del 17 ottobre basandosi su due notizie: 1°) i 9 Archìvio di Stato dì Venezia, Liber IX secr. Cons. X. f. 181. 10 Archivio di Stato di Venezia, Rubricario deli Armata. 1558-1573, Mise. Coti. 383. Purtroppo anche in questo registro la corrispondenza si sussegue secondo l'ordine cronologico delle date di origine. 11 Una del 19 ottobre, scritta subito dopo l’arrivo del Giustinian (« poco fa è giunto»), con alcune notizie sulla battaglia; un:altra. brevissima, dello stesso giorno, della quale non vedo bene il motivo se non quello di precisare la data di partenza del Giustinian dall armata. cioè il 9 ottobre; una terza, del 20 olt.. diffusa relazione che fa il punto sulla situazione politica quale si presenta dopo la vittoria, inserendovi qualche altra notizia sulla battaglia. Queste ultime due lettere, che si trovano riprodotte nel reg. 9. fol. 113 v. e 117 r. delle Nunziature Venete deirArchivio Valicano, sono riportate in una nota della Correspondencia diplomatica entre Espana y la Sancta Sede, a cura di L. SERRANO. IV. Madrid. 1914. p. 491, ma in trascrizione imperfetta e, della terza, solo in un breve estratto. La prima invece, che si trova in un diverso registro dello stesso Archivio (reg. 10. fol. 255), è riportata da D. M. Valensise, Il Vescovo di Nicastro poi Papa Innocenzo IX e la Lega contro il Turco, Nicastro. 1898. p. 171. — 213 — provvedimenti presi il 18 ottobre dalla Signoria contro gli ebrei, « come sentimenti di viva gratitudine a Dio liberatore del popolo cristiano », e quindi con riferimento alla vittoria di Lepanto evidentemente già conosciuta ; 2°) una lettera dell’oratore veronese residente a Venezia, Bartolomeo Rizzi, inviata ai Rettori della sua città, appena giunto nel porto il Giustinian 12. Tuttavia, sul primo documento osservo che egli attinge la notizia non agli atti del Senato, bensì ad un cronista, il Gallicciolli, ma non ne ho trovato traccia nè nelle deliberazioni del Senato nè in quelle del Consiglio dei Dieci, che presero invece provvedimenti di clemenza e di amnistia il giorno 20 ottobre; sul secondo documento osservo che la lettera, che il Quarti riporta integralmente, è senza data, e non so di dove egli la stabilisca al giorno 17, a meno che non abbia interpretato in tal senso le prime parole: « Iior hora, che sono li 17 bore, è gionto il Cl.mo Onfrè Giustiniano »; e alla congettura, nel suo insieme, osservo che non si capisce come mai la Signoria veneta in tutti i suoi atti indicasse sempre l'arrivo del Giustinian alla mattina del 19 ottobre. Orbene, il sospetto che la Signoria veneta volesse sottolineare con insistenza una data diversa da quella effettiva sembra confermato da un diario del presidio veneziano di Zara, nel quale sono annotati giornalmente gli avvenimenti dell ottobre 1571 13. Alla pag. 11 trovo scritto: « Al li 18, nel apparir del giorno, fu scoperta la galera Onfrè Giustiniana, che veniva da levante a vela a remi con gran sollecitudine [.....] et dette nuova che Tarmata turchesca era stata rotta dalla nostra, ma lei seguitò il suo viaggio per Venezia, carica de honoratissime spoglie, et dopoi circa un’hora giunsero le galere del Giustiniano et del Pasqualigo 14 et introrno in porto e alla bocca scaricorono tutte l’artegliarie », dando poi i particolari 12 G. A. Qi arti cit., p. 675. Ho cercato di rintracciare questa lettera, che il Quarti indica in un archivio privato a Verona, ma finora senza alcun esito. 13 a Tutti li successi dell'annata christiana el turchesca del 1575 [sic I » • Biblioteca Marciana di Venezia, Cod. Gl. VII 210, 8188; copia piuttosto tarda, secentesca. 1 ulto questo Diario zaratino mi semiira di notevole interesse e andrebbe esaminato più atlentamente. 14 Marco Antonio Pasqualigo, capitano della galea veneziana « Il Crocifisso » era morto nella battaglia; con lui era il fratello dodicenne Filippo. — 214 — della battaglia svoltasi presso le isole Curzolari il 7 ottobre. Ma, incredibilmente, poche pagine dopo, sotto la data del 16 ottobre, è annotato che verso sera una ventina di cavalieri turchi si avvicinarono al forte « per aver lingua e nova de l’alegrezza fatta questa mattina»; fatti più tardi entrare con salvacondotto, quei turchi conobbero dalle parole e dai volti dei veneziani la sconfitta subita dalla loro armala a Lepanto 15. E continuando, il diario annota « a dì 17 » gli ordini per le processioni in ringraziamento della vittoria; mentre « a dì 18 » arriva a Zara la galea di G. B. Contarini, che conferma le precedenti notizie e ne lascia altre da Costantinopoli sui movimenti della flotta turca dal luglio in poi e sullo svolgimento della battaglia, informando che i turchi avevano perso 173 vascelli fra galee e galeoni. E’ evidente che in questo diario la prima notizia segnata sotto la data del 18 ottobre è spostala o non dice il vero 16. A questo punto mi sembra che possa inserirsi con una certa autorità il nostro documento genovese, che porta la data del 18 ottobre e non fa parola del Giustinian. Penserei cioè che il 18 giungesse a Venezia almeno una galea partita il giorno 8 da Dragomeste, dove si trovava concentrata la flotta veneta, e portasse le prime notizie della vittoria, se non anche la lettera del Quirini e forse anche del Venier di quel giorno; mentre nella tarda mattina del 19 ottobre sarebbero giunti il Giustinian e il Contarini, partiti il 9 con le lettere di questa data e con più precisi particolari, e solo sulla base di questo secondo arrivo la Signoria veneta avrebbe dato l’avvio ai festeggiamenti e alle comunicazioni ufficiali. Sulle notizie del giorno 18 sarebbe composto il nostro documento. Confesso tuttavia che questa congettura lascia ancora parecchi punti oscuri: 1°) perchè mai il governo veneto avrebbe deliberata-mente ignorato quei primi arrivi del giorno 18? 2°) è possibile che questi passassero inosservati nella città e che non ve ne sia traccia nelle cronache? 3°) è possibile che nessuno dei rappresentanti diplomatici in Venezia ne fosse avvertito? 15 descrizione particolareggiata di questo cavalleresco incontro (vi fu anche una sfida a singoiar tenzone) è vivace e interessante. 16 Da Zara a Venezia le 150 miglia circa potevano essere coperte in una ventina di ore. — 215 — II terzo di questi interrogativi potrebbe trovare risposta se si potesse accertare l'esistenza «li una comunicazione del nunzio Facchinetti anteriore al 19 ottobre, secondo l’ipotesi fatta più sopra; ma non ho avuto la possibilità finora di approfondire le indagini nell’Archivio Vaticano. Per Genova non risulta in Venezia alcun rappresentante diplomatico ufficiale, nè ho potuto individuare il mittente della informazione qui giunta il 22 ottobre. Resterebbero da esaminare, tra le fonti più importanti, quelle degli Archivi di Simancas. Quanto al secondo interrogativo, si direbbe che proprio le fonti cronistiche e narrative, mentre raccolgono e riflettono 1 orientamento « ufficiale » sull'unico arrivo rilevante (quello del Giustinian), con le loro divergenze potrebbero confermare la ben diversa situazione reale. E sul primo interrogativo la spiegazione si potrebbe forse intravvedere collegando insieme due interessanti testimonianze, le quali però allargherebbero il problema. Occorre riportarsi a quanto avvenne all indomani della battaglia fra i capi della armata cristiana. Una lettera di Marc’Antonio Colonna, scritta da Corfù al Doge di Venezia il 26 ottobre, si sofferma sui rapporti personali tra il Venier e Don Giovanni d’Austria: nell’entusiasmo e pei la gioia della insperata vittoria i due capi si erano riconciliati e abbracciati, e il Venier, evidentemente per sottolineare con un gesto di cortesia 1 avvenuta pacificazione, aveva fatto sapere per mezzo del segretario del Barbarigo, tanto al Colonna quanto a Don Giovanni, di voler mandare una galea a Venezia e li invitava ad approfittare « se si voleva scrivere o mandare » ; ma, continua il Colonna, « io non so come, basta, che la galera Giustiniana se ne andò senza altro, cosa che diede a Sua Altezza fastidio ». E infatti Don Giovanni ebbe una violenta reazione per quello che considerava un affronto, tanto più grave perchè veniva dopo la spontanea offerta di servirsi della galea: si impadronì di una fregata veneta di Zante, ne arrestò il capitano e l’equipaggio 17. Inutile dire che i rapporti tra i due tornarono ad essere tesi e diffìcili; e su questo punto le varie testimonianze dei contemporanei e in particolare la relazione 17 Lett. Colonna al Doge, 26 ottobre, in Archivio oi Stato di Venezia, Annali 1571, c. 249 r. dello stesso Venier, pure senza accennare all’incidente segnalato dal Colonna, sono concordi18. Si dovrebbe dunque pensare che solo il giorno 9 ottobre si sarebbe avuta la partenza autorizzata dal Venier, e cioè quella di G. B. Contarini (la stessa galea che risulla passata da Zara il 18 ottobre), che recava a bordo quattro ambasciatori di Don Giovanni d’Austria, rispettivamente per il Papa, per il re di Spagna, per I Imperatore, per il Doge di Venezia. Ad Otranto tutti i quattro ambasciatori sbarcarono, compreso quello diretto a Venezia: insofferenza fisica per il viaggio via mare, oppure preciso ordine di Don Giovanni, come ripicca 19‘? Senza dubbio l’incidente, specialmente per le sue possibili complicazioni circa la condotta delle future operazioni militari, dovette apparire assai increscioso alla Signoria Veneta, ma non vi è alcuna traccia di ciò neppure nei registri più segreti dei Capi del Consiglio dei Dieci, nè questi mostrano di prender atto degli sfoghi del \ enier. Invece, parecchi giorni più tardi, si presenta un fatto che non risulta osservato dagli studiosi, ma che a mio parere è da mettere in diretta relazione con l’incidente provocato dal Giustinian. Il 6 novembre, in seno al Consiglio dei Dieci (che, come è noto, comprendeva altri membri, ed in quel giorno ne contava presenti 27 ), venne proposto da due dei tre « Capi », Andrea Sanuto e Giovan Francesco Dona, di dare le seguenti istruzioni segretissime al nuovo Provveditore Generale, Giacomo Soranzo, eletto al posto del Barbarigo. caduto a Lepanto: «Voi sapete li rispetti che moveno a non lassar sotto 1 giudicio del Capitaneo nostro General da mar il diletto nob. nostio 18 Sulle reazioni di Don Giovanni d’Austria per le partenze non autorizzate da lui. cfr. anche G. A. Ql ARTI cit., p. 728; C. Manfroni. Storia ,Iella Marina italiana dalla caduta di Costantinopoli alla battaglia di Lepanto. Roma. 189,. p. 501. che cita una corrispondenza da Roma in data 11 nov. da E. Charriere, Négotiations de la France dans le Levant. II. 240; Fr. Lonco. Successo della guerra fatta con Selim Sultano..., a cura di A. Sagredo, in Archivio Storico Italiano. 1817, IV. append. n. 17. p. 27. 19 Giunto a Venezia, il Contarini lasciò una relazione importante che non vedo citata da alcuno studioso. Non ha data nò titolo, ma è inserita nel registro degli Annali della Repubblica (Archivio di Stato ni Venezia) c. 226 r. - 22, v. fra le date dell'8 e del 9 ottobre. — 217 — Onfrè Giustiniano, però ne è parso commetervi col Consiglio nostro di X et Zonta che, tenendo secretissimo questo ordine appresso di voi. quando venisse occasione, che volemo sperar che non sia per >enir, che 1 Capitaneo General prefato volesse far alcuna cosa contra la persona o 1 honor del prefato M. Onfrè, debbiate in tal caso far intender ad esso Cap. Gen. in nome del prefato Consiglio di X et Zonta che debba astenersene, volendo noi che esso nobel nostro ;-ia per convenienti rispetti giudicato da voi ; et perchè potrebbe occorrer che vi separaste dal detto Capitaneo General, nel qual caso deverete haver sempre qualche numero di galee, volemo che tra li altri conduchiate con voi esso M. Onfrè, acciò che non possa mai seguii alcun inconveniente, et in tutte queste operationi, se sarà bisogno, et non altrimenti, vi valerete dell’authorità del sopra detto Consiglio di X et Zonta, mostrando anco, se così giudicarete necessario. le presenti lettere nostre ». La proposta, messa ai voti, fu per ben quattro volte bocciata, e il foglio della minuta, dal quale si può intuire l’andamento delle discussioni, registra solo i voti favorevoli (10, 10, 9, 9), trascurando di regnare gli astenuti e i contrari. Intervenne allora il terzo dei « capi » . Federico \ allaresso, proponendo di aggiungere: « che sia data libertà a M. Onfrè Giustinian cavallier che, come l’habbi condotto il diletto nostro nob. Iacomo Soranzo cavallier Provveditor General da mai all armata, possa renonciare la galea senza pena alcuna et >ia scritto al Capitaneo General da mar in questa forma Altre quattro \otazioni non ebbero esito, ma è segnata questa volta 1 intera distribuzione dei voti: i contrari oscillano tra 4 e 5, i favorevoli vanno crescendo da 11 a 13. Viene allora « ballottata » la sola proposta Vallaresso. la quale, dopo un’altra votazione infruttuosa (14 favorevoli, 5 contrari, 7 astenuti), viene finalmente approvata con 14 favorevoli, 4 contrari e 9 astenuti20. Ho voluto riportare anche i particolari di questa votazione, perchè da essa mi pare risulti evidente il proposito, sia pure molto contrastato, di « proteggere » il Giustinian da qualche temuta azione Archivio di Stato di Venezia, Consiglio dei Dieci, Parti segrete, filza n. lo. Un particolare ringraziamento al dr. Eligio Vitali che mi è stato di prezioso aiuto per interpretare queste discussioni. — 218 — ostile del Venier. E quale altro motivo si potrebbe pensare se non la irritazione del vecchio Capitano Generale contro quel Giustinian, al quale doveva risalire la responsabilità della nuova rottura con Don Giovanni d’Austria, con la conseguenza di veder questo raffreddarsi nel suo programma di continuare le operazioni contro i Turchi, come voleva insistentemente Venezia e come invece lo dissuadevano i suoi consiglieri spagnuoli? D’altra parte, risulta anche evidente che la Signoria veneta non intendeva disapprovare il comportamento del Giustinian, creato anzi cavaliere proprio in premio di aver portato notizia della vittoria. Già da tempo a Venezia si era parlato di una sostituzione del Venier, e lo fa capire il nunzio Facchinetti nella sua lettera del 20 ottobre: « Qui pensano di mandar nell’Armata Senatore di qualità in luogo del Clarissimo Barbarigo morto, per temperamento della natura del Clarissimo generai Veniero » 21 ; ed infatti per la campagna militare del 1572 il comando veneziano venne affidato a Giacomo Foscarini22. In conclusione, la Signoria veneta, ignorando accuratamente il primo arrivo del giorno 18 ottobre, che risultava un atto di insubordinazione, riversava sul secondo la propria soddisfazione ufficiale in forme tali che non offendessero direttamente il vecchio e valoroso combattente Venier. Per tornare al nostro documento, la cui data mi ha portato necessariamente a esaminare una situazione nuova, di un certo interesse, si rileva che non meno interessante risulta 1 esame interno del suo contenuto. Infatti, questo « avviso » sugli avvenimenti svoltisi tra il 5 e 1*8 ottobre è particolarmente preciso, anche se naturalmente incompleto. La fonte dell'informatore dev’essere senza dubbio cercata 21 Archivio Secreto Vaticano, Nunz. Veri., 9. fo. 118. 22 Cfr. Natale Conti, Universae historiae sui temporis, Vcnetiis, apud D. Zenarum, 1581. p. 492: « ne Austriaci et Venerii dissensio rebus bellicis sequentis anni obesse posset, Patres lacobo Foscareno viro prudenti imperium classis da-ferunt, ea tamen lege nihil ut ageret inconsulto Venerio, ne illi qui tam praeclare in omni re bellica, et supra vel aetatem vel experientiam se gessisset, tantum fieret iniuriae, aut aliquid adimeretur existimationis ». — 219 — molto vicina ai capitani veneti che, reduci dalla gloriosa giornata, arrivavano nella loro città con il ricordo vivo dei fatti dei quali essi stessi erano stati parte principale. Come è noto, fu la flotta veneta comandata da Agostino Barbarigo, ala sinistra delFarmata cristiana, che sostenne il peso maggiore della lotta ed ebbe il maggior numero di perdite, fra cui lo stesso Barbarigo. Il comportamento \aloroso dei veneziani, e in primo luogo del settantacinquenne ^ enier. era stato generosamente riconosciuto da Don Giovanni d’Austria, che dopo la battaglia si era abbracciato con lui e riconciliato: il nostro documento corrisponde a queste notizie, che risultano dai documenti d archivio 23, mentre non fa parola della successiva rottura. E così pure corrispondono alle prime relazioni sincrone gli accenni che qui si trovano sulle discussioni che si erano avute il 5 e il 6 ottobre nel Comando supremo delFarmata: la risolutezza dei capi veneti fu quella che eliminò le ultime perplessità di Don Giovanni, che su una fregata passò in rassegna la flotta cristiana, « inanimando hora in una parte, hora in un'altra » 24. E’ comprensibile che in un avviso «veneziano» questi particolari, del resto veri, avessero un certo rilievo. In altro punto importante, che convalida la congettura secondo la quale il nostro documento sarebbe anteriore alle notizie giunte a ^ enezia il giorno 19 ottobre, è il silenzio sullo svolgimento della battaglia all ala destra comandata da Giovanni Andrea Doria, e la 23 Archivio di Stato di Venezia. Deliber. Senato. Secreta, reg. 78 c. 26-28 v.. 29 ottobre, commissione al nuovo Provveditore Giacomo Soranzo, eletto al posto del Barbarigo. Cfr. anche lett. Venier dell'8 ottobre (ibidem. Annali 1571 c. 224): « conseguita cosi gloriosa vittoria. S. Alt. mi ha abbracciato con tanto amore, che più non si potrebbe imaginare, havendo dagl‘effetti conosciuto ch’io gli ho consigliato il bene et con quanta fede et valor l'armala di V. Ser. gli sia stala al pari nel combatter, el si ha lassato intender di andar inanti ove io \oglio». Queste ultime parole trovano rispondenza nel nostro doc.: «il signor don Giovanni cum una fregata mandò al General Veniero ad offerirsi de seguirlo o\e li piacesse andare, dicendo bavere cognosciuto che li signori Venetiani sono li primi signori nel mare et bavere anchor cognosciuto più facti che parole ». 24 Cfr. Diario zaratino cit. a n. 13 c Relazione G. B. Contarmi cit. a n. 19. Anche G. Diedo. Lettera a Marco Antonio Barbaro... in Lettere di Principi, Venezia, Ziletti. 1581, III, p. 256 e sgg.. è preciso su questo punto, d’accordo con molte altre narrazioni di fonte veneziana citate dal Quarti (p. 602). — 220 — approssimazione e imprecisione stessa delle notizie che concernono il capitano genovese. Dal diario zaratino risulta che solo il Contarini, passato da quel porto il 18 ottobre, diede notizia di quelle operazioni, mentre nel nostro documento abbiamo su questo punto l unico notevole errore di fatto. L’ammiraglio genovese, che comandava la flotta spagnola ed occupava l’ala destra, è collocato invece « per retroguardia et soccorso », il Barbarigo « nel corno destro » e Marco Quirini « nel sinistro ». Ma non deve meravigliare che le prime notizie, proprio perchè attinte a chi aveva cognizione diretta soltanto del proprio settore, contenessero imprecisioni e lacune 25. Comunque, forse non è difficile rendersi conto dell’errore confrontando la descrizione fatta da Gerolamo Diedo, il quale dice che il Barbarigo « se n'andava con la sua galea innanzi a tutta la sua schiera, per modo che la coda di lei, che era verso il corpo della battaglia, veniva dietro et alquanto lontano dalla schiera della battaglia ; et egli con la testa della sua schiera pareva che continuasse et facesse maggior la forma del predetto mezzo cerchio del corpo della battaglia »: dunque il Barbarigo poteva dar l’impressione di essere verso la destra dello schieramento veneziano. E quanto al Doria, continua il Diedo, « non potendo per la molta distanza pervenir così tosto là, dove star doveva nel suo lato destro del mare verso la Morea, si vedeva andando tuttavia restare alquanto a dietro con la testa della sua schiera » 26. Direi anzi che le osservazioni del Diedo su questo punto vogliano di proposito correggere qualche diversa notizia diffusasi a Venezia anche in ambienti autorevoli o bene informati. Per quanto riguarda poi la condotta del Doria, ormai gli studiosi più sereni hanno riconosciuto che l'ammiraglio genovese fu costretto a far fronte a una gravissima minaccia delle soverchianti 25 Della difficoltà di ricostruire con esattezza le varie fasi della lotta si mostrava ben conscio il Diedo, che aveva dovuto usare « somma diligenza in ricercarne informatione da molti », osservando che ciascuno dei protagonisti non po. leva essere informato esattamente delle «operationi dell'altro» (p. 260). Questa «lettera», composta a Corfù nelle ultime settimane del 1571, ha interessanti coincidenze col nostro documento. 11 Diedo era stato capitano nella piazza di Corfù nel 1571 e l'aveva valorosamente difesa contro i Turchi, respingendoli, nell'estate di queH’anno. 26 G. Diedo, cit., p. 266 i>. (il corsivo è mio). — 221 — forze di Uhieh-Alì, che tentava di aggirarlo dal largo e di prendere così alle spalle tutto lo schieramento cristiano; e quando il corsaro turco vide che la contromanovra del Doria rendeva impossibile quel piano, con rapida conversione si gettò nel « loco vacuo » indicato dalle fonti, formatosi tra il Doria e il corpo centrale cristiano, e di qui. fatta strage di alcune galee (in gran parte veneziane) appartenenti alla coda dell ala doriana. tentò l’assalto sullo stesso corpo centrale: ma trovò anche qui fortissima resistenza, sicché, non appena accortosi che il Doria a tutta forza e con audace manovra sopraggiungeva in soccorso, sfuggì alla stretta abbandonando la lotta con un piccolo numero di galee 2'. Orbene, ciò che è riferito nel nostro documento è senza dubbio un eco, approssimativa ma non imprecisa. di questi fatti avvenuti in un settore lontano dallo schieramento veneziano. Ho già detto che le notizie più precise su questo settore vennero portate dal Contarini. e cioè non prima del giorno 19 ottobre. Comunque, è significativo che, mentre più tardi alcuni cronisti veneti si mostrarono assai severi verso il Doria, accusandolo di inerzia o di mancata volontà di combattere o addirittura di tradimento, il nostro documento due volte lo cita con espressioni di elogio e con un rilievo che nella sua brevità corrisponde alle più antiche narrazioni \enete. In realtà questa condotta, in un primo momento, non ?uscitò commenti a \enezia; solo più tardi, quando vennero diffuse le accuse del Colonna, feroce rivale del Doria. esse si trovano raccolte dai cronisti veneti28. Non si dimentichi d'altra parte il difficile gioco di rapporti di amico-nemico che correvano tra Venezia e la Spagna; resi forse più acuti i risentimenti dal mancato sfruttamento della Attoria. Ancora il 27 ottobre l ambasciatore spagnolo a Venezia così scriveva a Giovanni Andrea Doria: « Podria V. S. Ill.ma \enir ?eguro a \ enetia segun en ella se tratta de lo que hizo en esta viteria, de que deve V. S. gracias a N. S. por que toda parte le dan Cfr. G. A. Qlarti cit.. cap. XI; F. Braudel. Civiltà e imperi nel Mediterraneo al tempo di Filippo II, trad. it., vol. II, Torino, 1958. p. 1280 e sgg. (attribuisce al Doria. insieme con Don Giovanni, il merito maggiore della vittoria). E da questi, insieme con le informazioni, non certo imparziali, offerte dall Archivio Colonna, le riprese A. Guglielmotti. Marcantonio Colonna alla battaglia di Lepanto. Firenze. 1862, opera che è tutta un’acre requisitoria contro l’ammiraglio genovese. — 222 — lo que mereçe. Yo le lie oydo a muehos, y alioy en una oration publica, que se hizo en Santo Marco a loda la Sennoria, a donde se celebrò el nombre de Doria, come covcnia y se deve. De aqui nenguna cosa bay de nuevo de que pueda avisar. Todo es alegria, recozija i conversamiento, orationes i communiones, dando gracias a Nuestro Sennor » 29. Un ultimo punto, infine, mi sembra degno di essere rilevato, a confermare quanto il nostro informatore fosse bene addentro in certi particolari della complessa situazione politica: voglio dire l’accenno dell’ultimo capoverso circa i tentativi fatti per attirare Uluch-Ali nel campo cristiano. Su questo punto, oltre alle congetture dubitative del Manfroni, si ha solo la notizia data dal Duro, la quale però non è stata più oltre approfondita 30. I contemporanei tacciono. Soltanto il Diedo dice qualcosa, ma in una forma che sembra riferire non un fatto reale, sia pure solo sospettato, ma una situazione del tutto apparente, un « come se ». Si badi che il passo viene subito dopo aver detto che il Doria « venne a dar soccorso a molti de’ nostri ch’erano in gran periglio » 31. 29 Archivio di Stato di Venezia, Mise. Cod. 670, f. 121: lettera di Jo. Guzman de Silva a Giov. Andrea Doria (copia). A proposito delle diffidenze reciproche fra Venezia e la Spagna è interessante notare che alla corte di Madrid, dopo le prime notizie non ufficiali e non ancora confermate da alcun dispaccio di Don Giovanni d Austria, si temeva che la vittoria fosse stata fabbricata («finta») a Venezia: cfr. lettera deH'amhasciatore genovese Sauli da Madrid. 17 nov. 1571, in Archivio di Stato di Genova, fondo Loti. Min. Spagna. 4-2413. Vedere anche, per simili sospetti nel 1570, L. Serrano, La liga de Lepanto entre Espana, Venecia y la Sancta Sede, Madrid, 1918, I, p. 103. 30 Cfr. C. Manfroni cit.. p. 482, che cita da C. F. Duro. Annoda espaiìola. II, p. 184, una «carta cifrada » di Simancas del 28 febbr. 1572. Cfr. anche: G. Coco, Venezia e la battaglia di Lepanto secondo le recenti ricerche, in l\uova Antologia, CLXVI, 1899, p. 12; Lettere di Don Giovanni d'Austria a Giovanni Andrea Doria, a cura del Principe A. Doria Pamphili, Roma, 1896, p. 26 (oscuri accenni di « lavarsi le mani » da certi intrighi); G. A. Quarti cit., p. 652. 31 G. Diedo cit., p. 270 : quelli contrari al Doria « hanno insomma lasciato intendersi che il detto Signor Giovanni Andrea si è portato non altrimenti che se havesse havuto intendimento con Ulucchi Alì, il quale havendo lo istesso pensiero di salvarsi, quando i suoi havessero perduto, come s'è veduto che ha fatto, è stalo a vedere in qual parte piegasse la vittoria non men che s'habbia fatto esso Ill.mo Doria » (il corsivo è mio). — 223 — La vittoria sul Turco veniva in un momento in cui il sentimento pubblico era particolarmente sensibile: da tempo era negli animi un’idea di crociata, da troppo tempo quel nemico pagano passava di successo in successo e batteva senza tregua con le sue incursioni piratesche tutto il Mediterraneo e le regioni continentali, dove si era spinto fin nell’Ungheria e verso l'Austria; vi era nell’aria come un’attesa, tenuta viva dallo zelo infaticabile di Pio V, e resa più intensa dai laboriosi negoziati diplomatici per tenere insieme i componenti della Lega; mentre a Venezia, proprio intorno al 15 ottobre, era giunta la dolorosa notizia della perdita di Famagosta e dello scempio che il Turco aveva fatto di quegli eroici ma sfortunati difensori. Sicché l'annuncio della vittoriosa giornata, prima ancora che se ne conoscessero tutte le difficili e contrastate fasi e prima ancora che i successivi atteggiamenti politici e militari ne fermassero le prospettive e gli sviluppi favorevoli, venne accolta dovunque con un'esplosione di gioia che prese tutti, ad ogni livello, nel popolo come nei più compassati e controllati uomini politici. Sono note le manifestazioni popolari e pubbliche di Venezia e di Roma. Anche nel governo della repubblica genovese se ne può avere una prova visibile: nel foglio che contiene la minuta della prima comunicazione inviata a Madrid, la scrittura è più veloce del solito, e lascia trasparire la gioiosa fretta anche graficamente e non soltanto nelle calorose espressioni, piene di un sincero sentimento di religiosa gratitudine. Dopo aver fatto così un esame dei punti salienti suggeriti dal testo del nostro documento, mi limiterò a richiamare nelle relative note altri raffronti con le fonti sincrone, tralasciando una più ampia esemplificazione per non appesantire la lettura 32. Ma credo di poter concludere sulla autenticità e importanza di questo documento sia 32 Nulla dice d'importante per l'interpretazione del nostro documento la lettera di Ettore Spinola, comandante delle tre galee della Repubblica genovese, schierate col centro dell'armata cristiana (da Santa Maura, 11 ottobre 1571, pubbl. da A. Neri, per nozze Poggi-Guidi, Genova, 1901); e così pure la Lettera del successo della felice vittoria... fatta per un Mercadante genovese ad un suo signor amico finto, da Genova li XVI di novembre MDLXXI, ms. della Biblioteca — 224 — »«<£/ f Ci cv++*r> -*n-* rrvì Cfr $+*~~rr (V, r- r-. j^’ trr ' *■ *** t'r h++*TV 1 tf'HT Narratione del eombatlimento el insigne vitoria ottenuta dall’armata Christiana sopra l’armata turcha nel Golfo di Lepanto. (recto) ? ?»Ì' fl'T+iHy ec<4 ^ <+>-vt *tt e £y **?(&' •$>' --^'jììì ‘^'^"l il j^»7-«r J~ h'i’ L 1 fa*frt**r* jh+vC^ff’.«&. 477rrf « f tir^ .r»^hwr$+ Si■*'.&*£*f+ ,-<-«• tV<7 £r-rihr Xwrt*' frW*‘f^ ^^VrWV ' ' *» ," ' / ^cAnA t'?7h7*f ’Xfrr'viotM t*** *y~rr / £*. 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Questa narrazione, composta a Venezia nelle ore immediatamente successive al primo arrivo, ne fìssa, per così dire, una registrazione precisa e accurata, anteriore allo spettacolare ingresso del Giustinian33. Ma vi è di più: il suo « autore » rivela una volontà di oltrepassare il livello di una semplice offerta di notizie, cioè di un « avviso », per comporre invece una vera e propria « narrazione », un testo già in parte « letterario », con la elaborazione dei primi dati a disposizione 3\ Si osservi infatti Berio di Genova, pubbl. da P. Molmenti in Rivista marittima, XXXI, 1898, pp. 253-272. Nel Pastok (Storia dei Papi. trad. it., VIII, Roma. 1929, p. 563, n. 1) vedo indicato un inedito avviso da Venezia, del 22 ottobre 1571, conservato nel-1 Archivio Doria.Pamphili di Roma; ma per l'assenza dell’archivista non mi è ancora stato possibile prenderne visione. Da notare infine che nel nostro documento è del tutto ignorato il Colonna. 33 Tra le prime narrazioni mi sembra significativo un passo del diario di un nobile veneziano, il Compendio di me Francesco da Molino de miser Maree) delle cose che riputerò degne di tenerne particolar memoria. 1558-1598, in Biblioteca Marciana di Venezia, mss. ital., VII, 53, 8812. A pag. 29 è annotato: « A 18 del mese d'ottobre 1571 ad hora di sesta in tempo di grandissima afflizione per i tanti mali successi, perdita di tanti luochi [...] ecco la misericordia del Signore opperar de suoi magnifici effetti : la galea d'Onfrè Giustiniano trascinando bandiere de nimici per acqua piena de turbanti et abiti turcheschi all’improvviso comparere » (debbo la segnalazione alla cortesia del dr. E. Vitali, al quale rinnovo qui i più vivi ringraziamenti). 34 Non deve meravigliare questo sconfinamento; nell'originario « avviso » doveva essere già contenuta in germe questa possibilità. Una trentina d'anni più tardi, già diventato in certo modo un « genere letterario ». esso potè stimolare l’estro fantastico, polemico e critico di Traiano Boccalini nei suoi Ragguagli di Parnaso. In quest’opera numerosi sono gli echi della battaglia di Lepanto: incidentali della II centuria (pp. Ili, 208, 267 della ediz. G. Rua, Bari. 1912); ma significativi il 99° della stessa centuria (p. 122) dedicato al Venier, di cui sotto-linea, forse non senza ironia, la fierezza altera e sdegnosa, e, nella III centuria, non destinata alle stampe e pubblicata da L. Firpo, Bari, 1948, il 63° e il 66° « ragguaglio », quest’ultimo risolvente una questione di precedenza tra Andrea Doria e Offredo Giustiniani, « quegli che per aver portata alla sua patria la prima nuova della famosissima vittoria navale che si ebbe ai Curzolari, meritò dal Senato veneziano di essere creato cavaliere », naturalmente a favore di questo ultimo e con sarcastica ironia per i Genovesi. — 225 — 15 la notevole differenza di struttura e di tono fra i primi cinque capo-versi e gli ultimi tre. ohe sembrano aggiunti come un'appendice; soltanto quest*ultima rientra Tiri compito informativo più modesto e col linguaggio tipico della originaria natura di « avviso » (« per lettera s’intende»; «riferisce similmente»; «riferiva»; « hogi è venuto nova »; « dicesi »: « qui è opinione »: genere di espressioni del tutto assenti nel resto del documento). Ma nella sua parte maggiore la eccezionalità degli avvenimenti gli ha fatto assumere il carattere di ciò che oggi si direbbe un « servizio speciale in edizione straordinaria ». Anzi, direi, può essere collocato al punto di origine di quella tradizione narrativa, che in modo più o meno fedele celebrò in Venezia, prima e più che altrove, la guerra contro il turco e la clamorosa vittoria di Lepanto, sentite, non senza motivo, come « gesta Dei per Venetos ». — 226 — 1571 alii 7. 8brc. Narratione dei Combatimento et insigne Vitoria ottenuta dal-l’Arinata Christiana sopra 1’Armata Tureha nel Golfo di Lepanto. La stupendissima victoria dell’armata christiana contra la turchesca seguita per gran bon[tà] di N. S. Giesu Christo nel golfo di Lepanto a .7. d'ottobre del 1571 che fu il giorno glorioso de dominica. Da Venetia alli 18 de 8brc 1571. Trovandosi Tannata christiana in Cefalonia nel porto d’Argo-stilli 35 e la nemica turchesca nel golfo di Lepanto, consigliorno quello che si dovea fare: et il signor don Giovanni non era di parere che entrassero nel Golfo, sì bene il generale Veniero et il signor Agostino Barbarigo essortavano che andassero dentro a investirlo perchè resteriano vincitori, e conclusero che octo galere cum il Barbarigo andassero in bocca del golfo a tentare per tirarli fuori ; e mentre che stavano in questa resolutione, viene aviso al generai Veniero che cinquanta galere turehesehe s’erano smembrate andate verso levante36. Portato questo aviso dal Veniero al signor don Giovanni, si deliberò poi che andassero dentro, et ciò fu alli .6. del mese. E montato esso signor don Giovanni in una fregata personalmente a dare Lordine et innanimare tutti che per il giorno 35 Tutte le fonti, compresa la relazione di G. B. Contarmi, che sarebbe giunto i! 19 ottobre, indicano a Valle Alessandria (nella parte nord-est dell'isola di Cefalonia) la sosta del giorno 5 ottobre. L'indicazione di Argostoli, città principale dell'isola, appare solo in questo documento. 36 II Venier da Paxù, 3 ott.. informava la Signoria veneta che la flotta nemica si trovava a Lepanto, « detratte 50 vele in conserva che con Uluzali vano verso Modone » (porto della Morea). Con questa stessa lettera egli dava notizia della caduta di Famagosta (Archivio di Stato di Venezia, Annali 1571. c. 220): inesatto perciò il Quarti ( p. 578). quando afferma che l'armata cristiana ne fosse informata al Guiscardo, dove giunse il 5 ottobre. — 227 — seguente si [mettesse]ro in ordine per combattere, la dominica che fu alli 7 la mattina a bona hora si trovò in ordinanza tutta l’armata senza navi 37. In mezzo li generali cum .50. galere, nel corno destro il Barba-rigo. nel sinistro il Quirini, per retroguardia et soccorso il Doria. il qual si portò assai valorosamenti : et le sei galere grosse tre per banda veniva [no] remorchiate da doe galere sottili per una: e camminavano in questo [modo] cum un puocho de vento anchora, ma assai più favorevole alli ne[mi]ci. Et a bona hora scopersero la nemicha che li veniva incontro com[o] un boscho senza servare ordine38; (corno poi si seppe) pensavano che, corno fussero visti li nostri, voltassero le spalle e loro acquistassero qualche parte de galere39: ma vedendo che arditamenti gli andavano incontro, co-minciorono [a] mettersi in ordinanza in forma lunare 40 : et arrivati 37 Notizia esatta: infatti, alla partenza dell'armata da Messina il 22 sett. era stato ordinato alle 26 « navi » (cioè le imbarcazioni destinate al trasporto di uomini e materiali) di dirigersi a Corfù e di fermarsi qui in attesa di ordini (efr. A. Salimei, Gli Italiani a Lepanto, Roma, 1931. p. 71); la flotta da guerra vi si ricongiunse il 23 ottobre. Cfr. anche G. P. Contarini. Historia delle cose successe fin dal principio della guerra..., Basilea, 1573, p. 97. 38 Notizie confermate da tutte le fonti: sia la posizione delle galeazze rimorchiate davanti alla flotta da due galee, sia il vento contrario all'inizio della giornata, sia il « disordine » della flotta turca. Cfr. ampia documentazione in G. A. Quarti, cap. IX. passim. Ma soprattutto significativo è il paragone del « bosco », che si ritrova testualmente in N. Conti cit., p. 486, e nella relazione di Alvise Soranzo (che combattè a Lepanto), pubblicata da Silvestri per nozze Soranzo-Vidoni. Venezia. 1852, p. 23. 39 Sulla baldanzosa fiducia dei turchi efr. l’interrogatorio del figlio di Ali Pascià, Mahumet, preso prigioniero: «interrogato se mostravano alegria o dispiacere quando scopersero la detta armata che bene lo poteva sapere, come huomo tanto familiare al generale, disse, che non solamente non mostromo dispiacere e discontento, ma molto gran gusto e piacere, perchè tenevano per vinta la nostra armata» (Archivio di Stato di Venezia, Mise. Cod. 670, f. 120; si trova anche trascritto nel citato volume di Annali 1571, nello stesso Archivio). 40 II Guglielmotti (p. 208) e il Quarti (p. 606) negano che l'armata turca si presentasse a forma di mezzaluna, come è indicato in alcune cronache (fra le altre, una « Relacion » inedita scritta dai luoghi della battaglia e conservata nel- l Archivio Zabàlturu in Spagna: cfr. L. Serrano cit., I, p. 130). Ma due disegni che lo stesso Quarti riporta (tavv. 29 e 31), ambedue di composizione veneziana, la confermano. Può darsi che dal punto di vista dell'ala sinistra cristiana, riflesso — 228 — a tiro d’artig [liaria], le g[alere sotti] li [la]seiorno il remurchio delle grosse e si ridussero al suo [loco] destinato 41, e le grosse cum l’artegliaria affrontorno e passorno l’armata, e [metten]dola in grandissimo dissordine, che si può dire quelle essere statte causa della victoria42; e tirate l’artegliarie, la nemicha fece puoeho danno, ma la [christia]na assai a quella: e prima la generale catholica et venetiana, posta in [mezzo] quella del Bassa, in puoeho tempo l’acquistorno : et la testa del Bassa posta in cima de una picha, il signor don Giovanni cum uno braccio la tenea corno suo trofe[o] 43. Ochiali cum le soe galere affannava assai il corno si- nel nostro documento, e forse per un effetto di prospettiva, i turchi apparissero in forma di semicerchio. Infatti il Diedo (p. 267), pur affermando che i turchi venivano « quasi in ordinanza diritta », aggiunge che « nel mezzo si spingevano alquanto in fuori in forma acuta, et la testa del lor corno destro, che era dalla parte della terra, se ne veniva molto piegata innanzi ». 41 Relazione particolare delti successi dell'armata cristiana dell'anno 1571 (senza nome d'autore, che certamente combattè a Lepanto), in Archivio di Stato di Venezia, Mise. Cod. 670, f. 97: «Le galee deputate al remurchio delle ga-leazze[...] se ne ritornorno nel loro loco tra le altre galee ordinato ». 42 F/ riconosciuta da molte fonti la efficacia determinante delle artiglierie delle galeazze venete, vere fortezze galleggianti, il cui tiro disordinò lo slancio del- 1 assalto turco Cfr. p. es. la cit. Relazione di G. B. Contarmi (che si esprime in modo quasi identico al nostro doc.); la narrazione di P. Tiepolo (ms. della Biblioteca Marciana di Venezia: «questo inaspettato incidente non solamente causò a' nimici molto danno, ina messe ancora in loro maggior spavento et, quello che grandemente importò, li astrinse, per allontanarsi in quanto potevano daH’offese, a restringer el in qualche parie confonder et disordinar la loro ordinanza » : e il doc. pubblicato da G. Tomassetti, I Romani a Lepanto, in Cosmos illustrato, Bergamo, 1904, p. 86: «dette galeazze furono al parer mio gran parte della vittoria ». Ved. altra ampia documentazione in L. Serrano cit., I, p. 134. 43 Esatto che la galea capitana turca con Ali Pascià venne a trovarsi stretta dalla capitana veneta e dalla Reale di Don Giovanni (cfr. G. A. Quarti cit.. pp. 638. 640 e spee. 469). Ma la morte di Ali viene riferita con molte divergenze dalle fonti sincrone, alcune delle quali sono indicate dal Quarti (p. 691, n. 58). Una fonte da lui riportata (ma non dice quale) riferisce che «un tal Bisogno, soldato spagnolot...] gli mozzò il capo e subito lo portò a nuoto a Don Giovanni », che invece mostrò di sdegnare questa offerta. Secondo un'altra fonte (Biblioteca del Museo di Padova, (.od. C. M. 933, f. 138), « don Giovanni de sua man li tagliò la testa, la qual tien fita in una ponta da pica sopra la sua galea », ma il Quarti nega ogni attendibilità a questa notizia. Osservo tuttavia che pressoché — 229 — nistro 44 et così il corpo delTarraata nemicha il corpo della christiana, ma il Doria soccorse subito il corpo, e poi il signor don Giovanni mandò una banda de galere al corno sinistro, che già erano sette o octo galere venetiane45. E combattendo a questo modo dalla mattina alla sera 46, restorno pregioni 183 vass[elli] nemici, cioè 130 galere et il resto fuste 47. Ochialì fuggì cum puoche galere, Pertaù bassa non si trova identico al nostro doe. è il Diedo (p. 269 v.): la testa di Ali «essendogli stata tagliata dal busto, fu posta ed innalzata sopra una lancia acciò che meglio veduta fusse»; e così pure la cit. Relazione di G. B. Contarmi e la lettera di Luigi Groto ad Attilio Lovato. da \ enezia, 19 ott. 1571. stamp. nel suo Trofeo della l'ittoria sacra ottenuta dalla Cristianissima Lega conira Turchi, Venezia, presso Bordogna. 1571. 44 A questo punto il nostro documento presenta cancellate le seguenti parole : « che già erano sette o octo galere venetiane », cioè quelle stesse che chiudono il capoverso. Si tratta dunque, evidentemente, di trascrizione da un originale, fatta, con molta probabilità, a Genova. 45 Le poche righe qui dedicate a Ulueh-Alì e alLintervento risolutivo del Doria trovano conferma nel Diedo (p. 270 v.): « Il signor Gio. Andrea [...]. venne a dar soccorso a molti de" nostri che erano in gran periglio », e poco più sotto riconosce « esser venuti da lui effetti manifestissimi d ardimento » (sembra di notare una implicita nota polemica nei confronti di quelli tra i veneziani che erano stati violentemente critici verso il Doria). Quanto poi alle indicazioni di « sinistra », rimando alle osservazioni fatte nel testo di questo mio studio. Nella relazione Venier (pubblic. da P. Molmenti cit.. p. 313): «nel corno destro sette nostre galee sono state tutte malmenate »; si trovavano appunto nel « loco vacuo » dove piombò Uluch.Alì. Anche la relazione di G. B. Contarini, pur presentando con più ordine questo punto, sostanzialmente conferma la narrazione del nostro documento. 46 Comprensibile esagerazione; lo scontro vero e proprio non durò più di quattro ore. Ma è notevole che unica, fra tutte le prime informazioni, la lettera di Francesco Duodo dell‘8 ottobre (che riterrei giunta colla prima galea) dica che si combattè « daH'hore \ di giorno fino alle 23». (Archivio di Stato di \ enezia, Annali 1571, c. 225 v.). 4/ Questi dati sulle perdite corrispondono esattamente o quasi alle notizie giunte a Venezia il 18 ottobre: cfr. il documento zaratino cit. alla n. 13 e la lettera dell oratore veronese scritta la sera stessa dell'arrivo del Giustinian (ved. più sopra n. 12). che indica « 180 galee, et in queste 39 fanò ». V edi anche lettera Guzman De Silva al Duca d Alba, da Venezia, 20 ottobre 1571 ( 180 galee prese, 5000 prigionieri. 20.000 morti, 15.000 schiavi cristiani liberali), cit., da G. Castellani, in Civiltà (.atlolica, 1937. II, p. 263. Del resto, come giustamente si nota, nessuno era stato lì a — 230 — nè vivo nè morto, e l’altro Bassa che successo in luoeo de Piali è quello che s’è detto de sopra essere statto preiso e morto 48. Vinti milia turchi sono morti e cinque milia facti schiavi, e liberati 20 milia cristiani49. Et sopra l’armata haveano posto per rinfrescarla levati dal [la] Morea quattordeci milia spachi. E li christiani schiavi, vedendo il numero puoclio de turchi che erano nelle galere e la roina totale dell’armata, cominciorno a solevarsi 50. E l’armata è tornata a Corfù cum la victoria C1. Et il signor don contare il naviglio nemico die affondava durante il combattimento, ma il giorno successivo i capi dell'armata si recarono sul luogo della battaglia. Nella ripartizione del bottino queste cifre vengono sostanzialmente confermate (cfr. p. es. Nota della distribuzione delle galee, in Archivio di Stato di Venezia, Mise. Cod. 670, f. 138). Anche a Roma le notizie giunte da Venezia indicavano 190 galee prese (lett. A. Seton a Lord Seton. 21 ottobre, in Calendar of State Papers, Foreign sériés cit. p. 552); « avvisi » da Venezia, 20 ottobre, danno 180 galee prese e 36 affondate, 20.000 uomini uccisi o annegati, 5000 prigionieri, 14 000 cristiani schiavi sulle galee liberati (sunto in Calendar cit., Foreign, p. 553, n. 2097). 48 Esatta la notizia della fuga di Uluch-Alì « con puoclie galee » (cfr. tra l’altro la lettera Venier dell’8 ott.). Quanto al Pascià Pertaù, comandante delle truppe imbarcate, solo più tardi si seppe che era riuscito a fuggire su di una piccola imbarcazione. Alì Pascià, comandante dell'Armata turca, era succeduto a Piali nel maggio precedente. 49 Naturalmente sulle perdite turche tutte le fonti danno dati diseguali, anche le più autorevoli. Il Diedo (p. 273) indica 30.000 morti, 3486 fatti schiavi (è una cifra «ufficiale», che risulta dalla divisione fatta tra gli alleati; ma dovettero essere certamente di più). E" significativa la coincidenza esatta delle cifre del nostro documento con quelle riportate da un opuscolo senza data, esistente presso la Biblioteca Marciana di Venezia: Il successo della navale vittoria christiana contra l'armata turca, « stampato in Venetia et ristampato in Brescia ». pp. 11 non numerate. Comincia: «Al Magnifico et Eccellente Signor Pompeo Macerani mio osservandissimo, il Bresciano»; sembra scritto nei primi giorni dopo l'arrivo del Giustinian. 50 Anche la notizia della sollevazione degli schiavi cristiani incatenati al remo sulle galee turche risulta dalle prime fonti veneziane; qui sopra il numero appare assai maggiore, ma corrisponde esattamente nell'opuscolo citato nella nota precedente. 51 Non è da intendere « arrivata », ma « partita per... ». In realtà l'armata fece una lunga sosta nelle acque di Petalà, dove si procedette alla divisione del bottino (di ciò nessun cenno nel nostro documento), e ripartì il 23 ottobre per Corfù, dove trovò le 26 « navi » di Cesare Davalos (cfr. Archivio di Stato di Venezia, Mise. Cod. 670, f. 170). — 231 — Giovanni cum una {regata mandò al generai Veniero ad offerirsi de seguirlo ove li piacesse andare, dicendo bavere cognosciuto che li signori venetiani sono li primi signori del mare, et havere anchor cognosciuto più facti de parole 52. Ma è statto cosa maravigliossiina [sic] che nelle sei g[al]ere [d]elle g[ro]sse non sie[no] morte più de tre persone et il resto dell armata liavuto puochissimo danno53. Il generale Barbarigo liebbe gratia de vivere sino alla sera che intese la victoria, et alzate le mani al cielo ringratiando Dio subito spirò, essendo ferito d una frezzata nell’ochio 54. 52 Importante questa notizia, che il 18 ottobre poteva risullare da una conoscenza diretta della lettera Venier (ved. più sopra alla nota 23). Se si pensa che già il 9 ottobre ripresero i vivaci contrasti fra Don Giovanni d'Austria e il Venier. la notizia qui riferita dal nostro documento, sostanzialmente esatta, convalida in modo particolare l'interpretazione da me data, che cioè esso rifletta le notizie partite dall’armata cristiana non oltre il giorno 8 ottobre. 53 Anche su questo punto il Diario zaratino ha interessanti precisazioni: « sino alli 9 non sapendo che fusse persa altro che la galera soranza et altre 5 o 6 tagliate a pezzi» (fra le notizie lasciate a Zara da G. B. Contarini il 18 ottobre). oi Sono qui fuse insieme due distinte notizie, che il Diedo invece riferisce, pur con parole quasi identiche, separatamente: la gioia del Barbarigo per la vittoria. e la morte avvenuta successivamente (p. 272: «udito che i nostri haveano ottenuto vittoria, alzate le mani al cielo, perciò che non poteva formar parola... fece sembiante d’infinita allegrezza et di ringratiarne Iddio»; p. 273: «morto della ferita dell occhio tre giorni dopo la battaglia, con infinito dispiacere non solamente di chi ’l conobbe, ma di quegli anchora che ’l sentirono ricordare »). Il Venier. con la sua prima lettera dell'8 ottobre, dà il Barbarigo ferito mortalmente, mentre ne comunica la morte con la lettera successiva, del 9 (« hora il M.co Pesaro suo cognato è venuto a dirmi che è passato a miglior vita »). Ma le sue parole (le quali probabilmente sono la fonte del Diedo) non escludono che il valoroso Provveditore Generale fosse spirato la sera precedente. La prima galea, partita da Dragomeste l’8 ottobre, probabilmente nella tarda sera o nella notte, poteva già portare la notizia della morte. Questa quindi a mio parere (contrariamente al Quarti, pag. 686) andrebbe fissata al giorno 8 ottobre. Sulla tomba del Barbarigo, che è a Venezia nella chiesa di S. Stefano, l’iscrizione dice: «A. Dni 1571 die 7 oct. in memorabili de Tureis victoria sagitta transfixus occubuit » (cfr. G. Giuriato, in Archivio Veneto, 1871, to. I, parte II, p. 19). Ma è umano che la famiglia volesse far coincidere la data della morte con quella della battaglia, nella quale il Barbarigo aveva confermato e concluso la sua fama di generoso combattente. Per lettere de Anchona s’intende essere gionta una nave ra-gusea de Candia alli 13 de 7brc, che riferisce che era ritornata la galeotta da Famagosta, ove havea introduto le monitioni; riferiva similmenti che per tutto il sei de detto stava gagliardissima -JJ. Hogi è venuto nova che Lepanto si è reisa all’armata nostra [e] che si sono preise tre nave carriche che venivano all’armata turchescha. Dicessi che il signor Giovanni d’Austria ha mandato un homo a Ochiali corsaro ad offerirli diece millia ducati de piato se vole venir al servitio del re de Spagna, e qui è opinione, e de tale è il signor Sforza Pallavicino, che l’Ochialì debbia accettare il partito 56. 55 E’ evidente che questi tre ultimi eapoversi non segnalano più le notizie pervenute dalLarmata cristiana con i recentissimi arrivi, ma sono aggiunti per dovere di cronaca, pur essendo superate o malsicure. La Signoria veneta aveva conosciuto la caduta di Famagosta intorno al 15 ottobre Tuttavia, un « avviso » veneziano conservato a Londra porta già questa notizia sotto la data del 29 settembre (in Calendar of State Papers, Foreign cit. p. 554); se questa data è esatta, dimostra che gli autori degli avvisi avevano talvolta notizie ancor prima degli organi statali. 56 Nella trascrizione il testo è stato leggermente ammodernato nella grafia e nella punteggiatura. — 233 — INDICE Atti Sociali Gèo Pistarino: Questioni di toponomastica: la Spezia Dino Puncuh: I più antichi statuti del Capitolo di San Lorenzo di Genova Statuta antiqua reverendissimi Capituli Indice dei nomi propri e delle cose notevoli Alberto M. Boldorini: Santa Croce di Sarzano e i mercanti lucchesi a Genova (secc. XIII - XIV) Documenti Giovanna Balbi: Uomini d’arme e di cultura nel Quattrocento genovese: Biagio Assereto I - Da notaio ad ammiraglio della Repubblica genovese II - La battaglia di Ponza e la relazione del- P Assereto III - Le conseguenze di Ponza e 1 attività politica di Biagio Assereto in Milano IV - Il ritiro a Serravalle e l’azione verso Genova Appendice Giuseppe Oreste: Una narrazione inedita della battaglia di Lepanto p. 5 » 7 » 17 » 43 » 71 » 77 » 91 » 97 » 99 » 126 » 133 » 158 » 177 » 207 — 237 — Finito di stampare il 25 Maggio 1963 nella Tipografia Ferrari, Occella e C. di Alessandria -X-