ATTI DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA Nuova Serie - Vol. X (LXXXIV) - Fase. I PAOLA MASSA L’ARTE GENOVESE DELLA SETA NELLA NORMATIVA DEL XV E DEL XVI SECOLO GENOVA - MCMLXX NELLA SEDE DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA VIA ALBARO, 11 ATTI DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA Nuova Serie - Vol. X (LXXXIV) - Fase. I PAOLA MASSA L’ARTE GENOVESE DELLA SETA NELLA NORMATIVA DEL XV E DEL XVI SECOLO GENOVA - MCMLXX NELLA SEDE DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA VIA ALBARO, 11 INTRODUZIONE L’intento che mi ha spinto a fermare l’attenzione sulla documentazione che è alla base di questo volume è di semplice e facile illustrazione. Nel XV e nel XVI secolo l’industria serica svolse un ruolo di particolare rilievo nella vita economica genovese, contribuendo in larga misura ad annullare le conseguenze di una nota flessione nelle attività mercantili e navali. Dal 1450 al 1550, al di là della retorica con la quale i setaioli, nelle loro suppliche, non esitavano a definire la loro professione « el spirito e anima de la nostra Republica », « ochio dextro » della città, o ad affermare che « ex dieta arte sola quasi civitas lanuensis sustinetur\ ut omnibus est notorium », la presenza produttiva dell’industria serica fu un elemento determinante dell’economia cittadina. Nè è senza significato, ai fini della corretta valutazione di tale fenomeno in termini di potere economico, che proprio nel periodo in cui Genova assisteva al progressivo declino del suo impero coloniale e alla diminuzione di una parte dei suoi commerci, per lo spostamento di molti interessi dall’Oriente verso l’Occidente, l’industria serica vedeva contemporaneamente ampliarsi la propria clientela e moltiplicarsi le proprie fonti di rifornimento. Non si può tuttavia affermare che le vicende dell’industria serica siano state finora oggetto di una particolare attenzione che andasse molto al di là di una illustrazione più o meno ampia dei primi Statuti concessi all’Arte nel 1432 Non sono mancati tentativi di approfondire la conoscenza del-l’Arte anche su documenti di natura non precettistica2 o di tracciarne l’evoluzione nei secoli seguenti attraverso sbrigative cavalcate nella selva 1 Cfr. G. Morazzoni, Le stoffe genovesi, Genova, 1941, pp. 97-127, e, da altro codice, R. Di Tucci, Lineamenti storici dell’industria serica genovese, in « Atti della Società Ligure di Storia Patria », vol. LXXI, Genova, 1948, pp. 48-77. 2 J. Heers, Gênes au XV siècle - Activité économique et problèmes sociaux, Paris, 1961, pp. 236-55. — 5 — delle aggiunte e degli emendamenti introdotti, attraverso il tempo e con notevole frequenza, nella più antica redazione statutaria del 1432 3. Al fine di raggiungere una maggiore concretezza nelle nostre conoscenze sull’arte genovese della seta nei suoi secoli d’oro, ho affrontato da tempo lo studio approfondito di documenti contabili che ho fortunatamente rintracciato, integrandolo con lo spoglio sistematico delle filze superstiti degli atti notarili rogati per conto dell’Arte o di suoi membri. Per uno studio di questo genere, di cui riferirò in altra sede, non potevo esimermi da un continuo e puntuale raffronto fra quanto andavo constatando nella pratica e quanto era stato sancito da emendamenti e da nuove norme statutarie od affermato dalla giurisprudenza attraverso precedenti sentenze. Di solito lo studio della normativa relativa alle Arti si è limitato alla pubblicazione o all’esegesi delle redazioni statutarie di più antica data, mentre si è sottovalutata, se non trascurata, la dinamica della vita della corporazione quale può essere ricostruita solo attraverso lo studio dell’evolversi della normativa in un lasso di tempo notevolmente lungo. Con questo volume ho tentato la ricostruzione della situazione dell’industria serica, cioè della sua organizzazione e della sua dinamica corporativa, attraverso le norme che l’hanno regolata durante due secoli. Ho riportato ampiamente nelle note larghi estratti che consentissero al lettore un più preciso contatto con le fonti di volta in volta richiamate, fossero esse fonti statutarie o di altra natura, quali sentenze, atti notarili, atti di Magistrature o superstiti testimonianze dell’attività “burocratica svolta dalla corporazione4. Credo di avere così anche messo in evidenza come, nel periodo considerato, l’industria serica genovese non si sia limitata a costituire un importante settore della vita economica, ma abbia in qualche modo fatto anche valere il suo peso nella stessa vita politica. J L. T. Belgrano, Della vita privata dei Genovesi, in « Atti della Società Ligure di Storia Patria », vol. IV, Genova, 1866, pp. 188-96; H. Sieveking, Die genueser Sei-denindustrie im 15. und 16. ]ahrhundert, in « Jahrbuch für Gesetzgebung Ver-waltung und Volkwirtschaft in Deutsch Reich », Leipzig, 1879, pp. 101-133; G. Mo-razzoni, Le stoffe..., cit., pp. 7-51; R. Di Tucci, Lineamenti..., cit., pp. 21-47. 4 Dotata dapprima di un complesso di energie personali che prestavano gratuitamente la propria opera, l’Arte giunse, con una lenta evoluzione, a trasformare le cariche onorifiche in impieghi retribuiti dotandosi gradualmente di una vera e propria burocra2Ìa. — 6 - I limiti cronologici che mi sono imposta corrispondono ad una esigenza funzionale e di omogeneità: ho concentrato cioè l’attenzione sui due secoli nei quali l’Arte genovese della seta ebbe una costante e progressiva fase di sviluppo e, correlativamente, un tipo di problematica pressoché uniforme. Le situazioni che l’Arte dovette affrontare durante il XV ed il XVI secolo furono, infatti, varie e molteplici, ma sempre legate all’espansione dell’industria, e solo talora derivanti dalla ripercussione di particolari contingenze politiche o congiunturali. Diventava allora sempre più necessario poter operare al di fuori del quadro del tradizionale vincolismo medievale5. Il progressivo aggiornarsi degli Statuti dell’Arte genovese della seta offre la documentazione tangibile di questa evoluzione che si accompagnò, peraltro, ai primi sintomi di crisi dell’ordinamento corporativo. Nel XVII secolo le vicende dell’industria serica genovese, al di là delle vicissitudini interne, risentirono del più generale tracollo dei maggiori centri manifatturieri italiani che avevano primeggiato nel Cinquecento: tale fenomeno fu provocato in massima parte dalla concorrenza straniera su mercati che fino ad allora avevano assorbito la produzione italiana legata, in larga misura, all’esportazione6. Occorre notare tuttavia che, nonostante la notevole contrazione produttiva che caratterizzò i centri classici del settore tessile, i tessuti ricchi — come appunto i velluti o le stoffe auroseriche — furono quelli che resistettero meglio 7. A Genova, durante quel secolo, la politica degli imprenditori serici cominciò ad essere rivolta maggiormente verso l’affermazione del prodotto personale, mediante l’istituzione di contrassegni distintivi dell’opera dei singoli; vennero introdotte norme rigorose sulla materia prima, mentre d’altra parte si tentò di svecchiare i sistemi produttivi, concedendo una maggiore libertà all’iniziativa individuale, per cercare di adeguare i tes- 5 Cfr. A. Fanfani, Storia economica, parte I, Torino, 1961, pp. 490-93 e F. Borlandi, L’età delle scoperte e la rivoluzione economica nel XVI secolo, in -« Nuove questioni di storia moderna », Milano, 1964, vol. I, p. 263. 6 Cfr. A. Fanfani, Storia del lavoro in Italia dalla fine del secolo XV agli inizi del XVIII, Milano, 1959, pp. 5-49, e C. M. Cipolla, Il declino economico dell’Italia, in « Storia dell’economia italiana - Saggi di storia economica », Torino, 1959, pp. 605-23. 7 Cfr. R. Romano, L’Italia nella crisi del secolo XVII, in « Studi storici », 1968, pp. 722-41. — 7 — suti alle nuove esigenze della clientela. Le condizioni generali in cui PArte si trovò ad operare furono molto diverse rispetto ai due secoli precedenti. Genova, che aveva sempre contato su larghi crediti all’estero, era stata notevolmente colpita dalla svalutazione monetaria della seconda metà del XVI secolo, ed una parte delle risorse finanziarie dei suoi capitalisti, a partire dal 1557, erano state travolte dal frequente succedersi di bancarotte della Corona di Spagna; nello stesso tempo, le frodi compiute dalla manodopera e le falsificazioni di cui erano responsabili i setaioli stessi, avevano ormai causato nella tradizionale clientela un senso di sfiducia verso una produzione che manteneva prezzi elevati ma era giudicata nel 1656 « tanto falsificata che non torna il conto provedersene ». La documentazione su cui è basato in larga misura il presente lavoro ha una caratteristica particolare: sebbene si trovi ora dispersa in vari Archivi e Biblioteche genovesi, apparteneva in origine ad un unico complesso archivistico, cioè all’Archivio dell’Arte della seta. Ogni volta, infatti, che uno dei notai ufficiali della corporazione decadeva dal proprio incarico, veniva compilato un dettagliato « inventario di tutte le scritture, fogliazzi e libri della Camera dell’Arte della seta » di cui il notaio e i suoi « subscribe » erano responsabili e che dovevano essere consegnati al successore. Alcuni elenchi giunti fino a noi attestano la varietà e la complessità del materiale documentario conservato presso la corporazione ed accertano la provenienza di singoli codici e di gruppi di documenti che ci sono pervenuti. Quanto è stato rintracciato non rappresenta che una piccola parte dei fogliazzi, dei libri e dei manuali accumulati durante quasi quattro secoli, ma comprende la serie completa dei decreti e delle sentenze che modificarono ed ampliarono i primi Statuti dell’Arte della seta e, in particolare, le disposizioni e gli emendamenti che, emanati dopo il 1432, furono' poi raccolti in una nuova redazione statutaria solo nel 1737 8. Essi vengono a colmare il vuoto fra le due sistemazioni normative, permettendo di seguire senza soluzione di continuità, le modifiche via via subite dagli 8 Leggi e ordini per l’arte della seta recompilate d’ordine e comandamento del Magistrato Eccellentissimo e Prestantissimo della seta, l’anno del Signore MDCCXXXVII, ms. della Biblioteca della Camera di Commercio di Genova, segn. Ar. n. 2-pte. s., sec. XVIII, mm. 415 x 280, cc. 63 più 52 carte bianche non numerate. Le ultime 17 carte, numerate in 34 pagine, contengono un indice dei Capitoli (pp. 1-6) e un Statuti del 1432 per adattarsi ad una situazione in evoluzione, e di stabilire quindi con esattezza le tappe successive dello sviluppo e della trasformazione del nucleo corporativo. La documentazione essenziale è rappresentata da tre codici, indicati dai notai delI’Arte come « libri di leggi »: a) Il « Liber secundus decretorum et seu capitulorum artis seaferiorum, ab anno 1432 usque ad 1562 », conservato presso la Biblioteca Universitaria di Genova 9, indicato d’ora innanzi come Cod. A. In questo codice sono contenuti gli Statuti delPArte del 1432, autenticati dal notaio Nicola da Camogli (cc. 1-26 r.), e gli emendamenti successivi, oltre a numerosi altri documenti riguardanti la corporazione, disposti in ordine sparso e comprendenti il periodo dal 1441 fino al 1562 (cc. 26 v. - 265 r.). Inventariato dall’Arte come « uno libro di leggi scritto in cartape cora, in carte numero duecentosessantacinque », il manoscritto, la cui stesura è avvenuta in tempi diversi, non è opera della stessa mano, ma presenta una successione di grafie con differenti caratteristiche. Costante è la presenza della lingua latina, lingua ufficiale di tutti i documenti genovesi del XV e XVI secolo I0. Talvolta le deliberazioni sono però seguite da un proclama in volgare, che compare quando ormai l’elaborazione legislativa era già compiuta e la corporazione si preoccupava di renderne accessibili a tutti la lettera e lo spirito. Come vedremo meglio fra poco, questo codice può essere ritenuto parzialmente copia di un preesistente « Liber primus decretorum ». b) Il « Liber tertius decretorum Artis serici, ab anno 1560 usque ad annum 1693 », conservato nella Biblioteca della Camera di Commercio di Genova, indicato in seguito come Cod. B 11. Il mano- « Indice particolare delle materie » in ordine alfabetico (pp. 7-34). In questa redazione statutaria — la prima in volgare — troviamo codificati sotto forma di “ capitoli " tutti i più importanti provvedimenti presi nel corso del XV, XVI e XVII secolo. 9 Ms. segn. B-II-25, membr., secc. XV-XVI, mm. 235 x 160, cc. 276 più un foglio di guardia al principio ed uno alla fine; le prime 11 carte non sono numerate. 10 Nella Repubblica genovese l’uso della lingua latina ebbe una eccezionale resistenza: i documenti contabili furono redatti in latino fino all’inizio del sec. XVII, i decreti fino alla metà dello stesso, gli atti giudiziari fino alla fine del sec. XVIII. Cfr. F. Borlandi, La formazione culturale del mercante genovese nel Medioevo, in « Atti della Società Ligure di Storia Patria », vol. LXXVII, Genova, 1963, p. 230. 11 Ms. segn. Ar. n. 2 - pte. s., membr., secc. XVI-XVII, mm. 245 x 175, cc. 193. Contiene inoltre una rubrica alfabetica posteriore, cartacea, così come le tre carte iniziali. — 9 — scritto presenta le stesse caratteristiche del precedente, ma la documentazione che vi è raccolta in ordine cronologico copre il periodo 1560-1595 (cc. 1-32 r.) e 1603-1693 (cc. 32 v. - 193 r.). Il manoscritto è inventariato dal notaio ufficiale della corporazione della seta, nel 1618, come « un altro libro scritto in cartapecora, scritto fino in carte set tant atre », poiché la parte rimanente venne appunto compilata in epoca posteriore. c) Le « Leges et ordinationes Magistratus Serici » o, come viene meglio specificato nella c. 2 r., la « Legum, statutorum, decretorum ac privilegiorum, ad amplissimum in Serenissima Genuensium Republica serici Magistratum spectantium, nova et ordinata compilatio a Paulo Baptista Ligalupo notario et eiusdem Magistratus cancellario confecta. Anno MDCXXIIII »12. II codice è conservato presso la Biblioteca della Camera di Commercio di Genova e sarà citato in seguito come Cod. C. Lo stesso notaio 13 che curò la redazione del volume afferma in una premessa di aver dovuto, per ordine dei consoli della seta, raccogliere in questa sua opera « statuta, decreta et privilegia . . . varie, confuse et inordinate, diversis in libris et aliis scripturis sparsa ...» e « ea pnus disiuncta et separata, tandem secundum materiarum qualitatem, suo quoque loco, accerto rerum ordine, disposui ». Il manoscritto è cioè nella prima parte (cc. 1-391 r.), una copia del « Liber secundus » e del « Liber tertius » dell’Arte della seta, di cui contiene tutta la documentazione, raggruppata per argomento, fino al 1624, anno di compilazione della raccolta. Dalla c. 391 v. alla c. 446 i documenti, trascritti da vari notai, si susseguono in ordine cronologico; l’ultimo è del 1752. L’importanza di questo codice è data in primo luogo dal fatto che, collazionando il suo contenuto con quello del Cod. A e del Cod. B, ho accertato la mancanza nei due precedenti di una serie di decreti di notevole importanza, concernenti i rapporti tra setaioli, filatori e tessitori, e relativi alle norme che regolamentavano la « scribania » dell’Arte. Si è potuta colmare così un’importante lacuna utilizzando anche questa fonte. In secondo luogo, dall’analisi di alcune annotazioni marginali — dovute al fatto che, essendo il codice una copia, veniva messo accanto ad ogni decreto il riferimento alla fonte originaria — ho constatato che i riferimenti al « Liber secundus » e al « Liber tertius » coincidono con le carte rispettivamente del Cod. A e del Cod. B, ma molti decreti contenuti nel Cod. A sono 12 Ms. segn. Ar. n. 2 - pte. s., sec. XVII-XVIII, mm. 345x240, cc. 478 più una di guardia all’inizio ed una alla fine. La c. 2 è collocata erroneamente dopo la c. 14. 13 Paolo Battista Ligalupo, notaio ufficiale delPArte della seta dal 1618 al 1635. — 10 - invece indicati come estratti dal « Liber primus ». È quindi probabile che il Cod. A sia a sua volta parzialmente copia di un preesistente « Liber primus decretorum » dal quale le disposizioni vennero riportate nel nuovo libro solo quando se ne presentò l’opportunità: questo fatto spiegherebbe il disordine cronologico con cui taluni gruppi di documenti sono registrati nel Cod. A. I tre codici erano di uso frequente da parte dell’Arte, poiché ne attestavano l’ordinamento e ne conservavano la giurisprudenza. Accanto ai titoli, numerosi richiami ad altre carte dove si trattava lo stesso argomento od un argomento connesso, quasi tutti aggiunti in epoca posteriore, facilitavano la consultazione, come una vera e propria « Pandetta delle regole dell’Arte de' seateri », di cui purtroppo si conserva solo un frammento, nell’ARCHivio degli Ospedali Civili di Genova 14. Il frammento si riferisce alle lettere A, Q, R, S, T, V, di una rubrica alfabetica, redatta in latino, i cui titoli rimandano con esattezza alle carte del « Liber secundus decretorum ». E’ importante notare come i titoli descrivano ampiamente l’argomento cui si riferiscono, in modo da coglierne gli elementi essenziali. È da notare che i decreti trascritti nei codici sopra elencati sono sempre preceduti dalle « suppliche » delle parti, talora in contrasto fra loro: la supplica era, infatti, il meccanismo per sollecitare l’emanazione dei provvedimenti senatoriali. Se l’autorità politica (Doge e Anziani durante il XV secolo, Doge e Governatori dopo il 1528) cui la corporazione sempre ricorreva, riteneva di dover emanare un provvedimento, questo assumeva appunto la forma di un decreto, la cui sostanza era poi quasi sempre quella di una vera e propria legge. Non vi erano limiti di materia e per questa ragione si spazia da questioni di interesse comune, alla risoluzione di casi singoli; dalla struttura organizzativa dell’Arte, alle norme tecniche sui tessuti; dal problema degli artigiani che si allontanavano dalla città, ai provvedimenti contro i colpevoli di aver rubato o frodato una parte della materia prima ricevuta da lavorare. Spesso era del resto la stessa Arte della seta che presentava un testo di provvedimento che l’autorità politica si limitava ad emanare, talvolta con talune aggiunte, ma diffìcilmente entrando nel merito. In questo caso la decisione era quasi sempre accompagnata da una « grida », tratta dal decreto, ma in volgare, per essere comprensibile alla popolazione. Affinchè fosse a conoscenza di tutti veniva appunto “gridata" dal «preco Communis» nei luoghi più frequentati della città; non raramente anche nelle due Riviere, dove la 14 Doc. segn. CB/B-fl. n. 1, cartaceo, senza data, ma attribuibile, dalla grafia, al tardo Cinquecento. È costituito da 8 fogli piegati in 16 carte di mm. 215 x 155. — 11 — l, manodopora collegata all’industria serica era stanziata in larga misura. Talora, invece, le suppliche dell’Arte provocavano da parte delle autorità politiche una lettera con la quale il caso era rimesso ad altri magistrati per accertamenti o per decisione: ai Padri del Comune se la questione concerneva taluni aspetti tecnici della organizzazione, come, ad esempio, il sistema di elezione dei consoli e dei consiglieri, che nella seconda metà del XVI secolo subì numerosi mutamenti; ai Consoli delle Calleghe o ai Protettori di San Giorgio, se la controversia aveva un carattere fiscale. In questi casi si assiste ad un iter più lungo, ma la conclusione formale spettava sempre al Senato ed al Doge, qualunque fosse la magistratura che dava il parere o risolveva una controversia, anche se si trattava di un accordo fra imprenditori e manodopera. Se la questione presentava poi un carattere tecnico e una notevole complessità — come accadde più volte nel XV e XVI secolo per i rapporti fra setaioli e tessitori — si ricorreva alla nomina di una commissione, il cui operato era però sottoposto a ratifica. Le sentenze raccolte nei tre codici « ut facilius omnia prescripta memorie mandentur » e la novità dei principi sanciti in campo giurisdizionale « perpetuis temporibus omnibus pateat », riguardano quasi esclusivamente due argomenti, fra i più controversi e nello stesso tempo fra i meno regolamentati dagli Statuti del 1432: la competenza esclusiva in campo giurisdizionale — sia civile, sia penale — che spettava ai consoli e consiglieri dell’Arte nelle controversie fra imprenditori e manodopera, ed alcuni privilegi fiscali rivendicati dai setaioli. Nel primo caso, si tratta evidentemente sempre del risultato di processi d’appello contro quanto già giudicato dagli organi della corporazione, e le sentenze vengono quindi emanate dai Sindicatori ordinari. Nel secondo, l’organo giurisdizionale è costituito normalmente dai Consoli delle Calleghe, anche se non sono rari i casi demandati a Magistrature politicamente più importanti. d) Un secondo importante gruppo di documenti appartenuti al-l’Archivio dell’Arte della seta è conservato nell Archivio Storico del Comune di Genova, nel fondo dei Padri del Comune, cioè della Magistratura alla quale spettò nel XVI secolo la vigilanza sulle Arti, precedentemente attribuita ai Viceduci. I numerosi « fogliazzi civili e criminali, fogliazzi di instrumenti », ed i vari libri cui fanno riferimento gli inventari dei notai dell’Arte si sono purtroppo ridotti ad alcune filze con contenuto vario e non omogeneo, anche se il loro numero rimane notevole ed il materiale offerto è decisamente superiore a quello a nostra disposizione per lo studio delle altre corporazioni genovesi. E’ a questa fonte che mi sono rivolta per avere le notizie più precise sul funzionamento dell’organismo corporativo, attraverso l’analisi dei — 12 - verbali delle assemblee dell’Arte per il rinnovo delle cariche, le liste delle elemosine, i provvedimenti presi dalla corporazione per la propria organizzazione interna, la contabilità stessa della corporazione, settoriale e discontinua, ma interessante per la sua minuziosità. Con lo stesso mezzo sono venuta a conoscenza anche di quella parte di proposte o richieste degli organi corporativi non approvate o dalla stessa assemblea dell’Arte o dalle Autorità politiche, e pertanto non registrate nei libri delle leggi, ma conservate fra le “carte” della corporazione. Spesso esse mi hanno aiutata ad inquadrare meglio taluni problemi. In relazione alle finalità che mi sono proposta in questo lavoro, la mia attenzione è qui limitata a quella parte della documentazione del XVI secolo che concerne più strettamente PArte intesa come associazione ed organizzazione autonoma dei setaioli (Arte della seta, filze n. 598, 600, 602, 603, 604), ma di non minore interesse — e mi auguro di poter presto dimostrarlo — sono altri gruppi di documenti di questo Archivio che riguardano più da vicino Poperare dei singoli imprenditori. e) Per chiarire meglio i rapporti fra PArte e i Padri del Comune, di notevole interesse è stato lo spoglio degli Atti di questa Magistratura per i secoli XV e XVI, conservati anch’essi nell’ARCHivio Storico del Comune di Genova, Padri del Comune, Atti, filze dal n. 1 al n. 57. /) Il fondo Artium dell’ARCHivio di Stato di Genova non ha offerto per lo più, per il XVI secolo, che copie dei decreti contenuti nei « libri di leggi » della corporazione, ma ha fornito importanti elementi per il sec. XV. g) Sempre nell’Archivio di Stato di Genova lo spoglio degli Atti del Senato relativi al XV ed al XVI secolo 15 si è dimostrato di particolare interesse, in quanto tutte le suppliche dell’Arte venivano rivolte alle autorità politiche della Repubblica. In questa serie sono pertanto conservate numerose suppliche non incluse nei « libri di leggi », anche se seguite dall’emanazione di decreti. h) Per il loro contenuto esclusivamente privatistico, gli atti rogati dai notai ufficiali della corporazione hanno rappresentato — ai fini del presente lavoro — una fonte complementare di minore importanza. Tutta la documentazione ufficiale redatta durante il periodo nel quale rimanevano in carica era conservata presso PArte. Gli atti da essi rogati e tuttora 15 Questo spoglio è stato compiuto sistematicamente dal Prof. Edoardo Grendi, che me ne ha generosamente comunicato i risultati. — 13 — superstiti sono relativi a soli sette notai e sonp conservati nel fondo Notai dell’ARCHivio di Stato di Genova. i) Per i rapporti fra setaioli e mereiai e fra setaioli e tintori, hanno fornito preziosi elementi due manoscritti della Civica Biblioteca Berio di Genova, gli « Statuta Artium merciariorum et corrigiariorum Genue » (segn. m. r. Ili, 4, 6) e la « Matricola dell’Arte dei tintori » (segn. m. r. I, 2, 1). In quest’ultima troviamo trascritti, in una versione in volgare, alcuni decreti del Cod. A sui rapporti fra setaioli e tintori e concernenti la tecnica tintoria. /) La serie « Instructiones et relationes » deir Archivio di Stato di Genova ha offerto, infine, alcuni documenti utili a cogliere le difficoltà e le condizioni in cui si trovò ad operare PArte durante il periodo di sottomissione di Genova al dominio sforzesco. — 14 - ELENCO DELLE ABBREVIAZIONI USATE NEL TESTO A.S.C.G A.S.G. B.C.B. B.C.C. BUG. Cod. A Cod. B Cod. C fi. n. doc, c. r. v. Archivio Storico del Comune di Genova - Palazzo Bianco Archivio di Stato di Genova Biblioteca Civica Berio di Genova Biblioteca della Camera di Commercio, Industria e Agricoltura di Genova Biblioteca Universitaria di Genova Liber secundus decretorum et seu capitulorum artis seaterio-rum, ab anno 1432 usque ad 1562 - Biblioteca Universitaria di Genova Liber tertius decretorum artis serici ab anno 1560 usque ad annum 1693 - Biblioteca della Camera di Commercio di Genova Legum, statutorum, decretorum ac privilegiorum ad amplissimum in Serenissima Genuensium Republica serici Magistratum spectantium, nova et ordinata compilatio a Paulo Baptista Li-galupo, notario et eiusdem Magistratus cancellario, confecta. Anno MDCXXIIII - Biblioteca della Camera di Commercio di Genova filza numero documento carta recto della carta verso della carta — 15 — ■ ' PARTE PRIMA LINEAMENTI DELLA CORPORAZIONE ' _ Capitolo I ORIGINE E GRADUALE AFFERMARSI DELLA CORPORAZIONE L Arte della seta fino agli Statuti del 1432. Crescente importanza economica nei secc. XV e XVI: la loggia; le speciali prerogative dei consoli; l’aumento degli investimenti. La particolare posizione di preminenza di cui la corporazione godeva nella città. - Il potere giurisdizionale dei consoli e del consiglio dell’Arte, « Magistratus Civilem et Criminalem notionem habens ». Le prime corporazioni artigiane si formarono a Genova nell’età podestarile, ed erano appena in embrione quando in altre città, come Firenze e Bologna, gruppi organizzati in arti e mestieri partecipavano già attivamente alla politica cittadina ’. Anche in seguito, però, il loro peso nella vita pubblica rimase normalmente di scarso rilievo, riflettendo, del resto, lo stesso volto dell’economia e della società genovese, caratterizzate da una sproporzione, spesso notevole, fra il commercio e l’industria. L’economia genovese era fondata sullo scambio e sull’attività finanziaria più che sulla produzione, e pertanto il numero stesso degli artefici sfigurava a confronto di quello dei mercanti, degli uomini di mare, e in genere di coloro che esercitavano attività finanziarie 2. Per quanto riguarda i tessuti di seta, prima del sec. XIV, possiamo 1 Cfr. V. Vitale, Breviario della Storia di Genova, Genova, 1955, pp. 74 ss. 2 G. Gorrini, La popolazione dello Stato Ligure nel 1531, sotto l’aspetto statistico e sociale, Roma, 1931, p. 16: « Operai nelle industrie sono poco numerosi, perche anche 1 industria è scarsamente sviluppata. Di attività manifatturiera apparisce un accenno per la seta ». Il fenomeno è del resto collegato con il fatto che nelle città di mare le classi lavoratrici non possono venire sfruttate a fondo, e godono normalmente di condizioni più favorevoli che altrove, in quanto hanno l’opzione per altri mestieri più remunerativi, legati all’economia marittima. Un altro svantaggio è poi dato dnlla concorrenza, sul mercato interno, delle importazioni, assai più sensibile in un porto che nell entroterra. Cfr. G. Arias, Il sistema della costituzione economica e sociale italiana nell'età dei Comuni, Torino, 1905, p. 113. — 19 — parlare a Genova più di commercio che di produzione, anche se fra le corporazioni esistenti nella seconda metà del sec. XIII figura annoverata quella dei « drappieri così di lana come di seta »3. La stessa industria della seta, destinata a raggiungere uno sviluppo ed una supremazia che costituirono un’eccezione nella storia dell economia della Repubblica, sorse come naturale conseguenza dell’attività commerciale, appoggiata ad un regime fiscale che favoriva l’importazione di materie prime e l’esportazione di manufatti4. Prima di essere un centro produttore di stoffe seriche, Genova era un porto, dove, fin dal sec. XII, arrivavano non solo i preziosi tessuti persiani, che venivano poi venduti nelle fiere di Champagne e di Provenza, ma anche grosse balle e fardelli di seta grezza, provenienti dall’Oriente, oggetto di particolare richiesta specialmente da parte dei mercanti lucchesi5. Dopo la prima metà del secolo XIV, quando la più antica produzione della lana a buon prezzo non prosperò più come industria esportatrice, in tutta Italia la perdita venne in larga misura compensata dal perfezionamento e dalla rapida espansione dell’industria serica6, nonostante 1 alto costo dei prodotti, destinati ai nobili, al clero ed alla parte più ricca della 3 Cfr. O. Pastine, L’arte dei corallieri nell’ordinamento delle corporazioni genovesi, in « Atti della Società Ligure di Storia Patria », vol. LXI, Genova, 1933, p. 282, nota 3. 4 Cfr. H. Sieveking, Studio sulle finanze genovesi nel Medioevo e in particolare sulla Casa di San Giorgio, in « Atti della Società Ligure di Storia Patria », voi. XXXV, Genova, 1905, parte I, pp. 175-76 e R. Di Tucci, Le imposte sul commercio genovese durante la gestione del Banco di S. Giorgio, in « Giornale Storico e Letterario della Liguria », Genova, 1929-30, p. 252. 5 La posizione di Lucca, senza navi nè porto, era tale da farla dipendere in modo notevole da Genova (e in parte da Pisa) per l’approvvigionamento di seta, droghe per tingere e altre merci di cui aveva bisogno nei suoi opifici. L’arte della seta aveva infatti nella città già una notevole importanza, e non pochi erano i capitali in essa impiegati: assai considerevole era la quantità di materia prima che le era destinata e che i Genovesi importavano dal Levante, Cipro, Spagna e Calabria. I me.-canri lucchesi dimoranti a Genova erano molto numerosi: ne può essere conferma il fatto che ai piedi delle mura della città, lungo il Bisagno, accanto alla chiesa degli Incrociati, vi era una scritta: « Sepulcrum mercatorum Lucen. MCCLV ». Poco distante vi era una chiesa dedicata a S. Zita, vergine lucchese protettrice dei mercanti. Essi godevano inoltre nella città di privilegi notevoli. Nel 1388 il doge Antoniotto Adorno stabilì che i Lucchesi fossero considerati, in Genova e nel suo distretto, in tutto e per tutto, anche nelle gabelle, come gli stessi Genovesi. Cfr. G. San Quintino, Cenni intorno al commercio dei Lucchesi coi Genovesi nel XII e XIII secolo, in « Atti della Reale Accademia Lucchese di Scienze, Lettere e Arri », tomo X, Lucca, 1840, p. 80 e - 20 - borghesia. A Genova, affacciatasi sulla scena un po’ in ritardo rispetto ad altri centri, la nuova arte superò rapidamente tutte le altre attività industriali — tolta forse una sola eccezione: quella delle costruzioni navali — e fece della città ligure una delle più importanti produttrici d’Europa 7. E difficile dire quando si sia cominciato a tessere nella città, e quali siano state le vicende che accompagnarono l’industria serica prima del 1432, anno in cui l’Arte ottenne il riconoscimento giuridico e i suoi primi Statuti. Le notizie sono numerose8, ma isolate: nel XIII secolo riguardano solo singoli maestri che conducevano una modesta industria domèstica, con scarsi mezzi, vivendo sulle commissioni di mercanti o di privati. Nel XIV secolo, così come avvenne a Venezia e a Firenze, Genova accolse un gran numero di Lucchesi, fuggiti o esiliati a causa dei torbidi che sconvolsero la città toscana, specialmente durante il primo ventennio del Trecento 9: ad essi va però riconosciuto, non il merito di aver introdotto l’arte della seta in Genova, ma piuttosto quello di avervi portato la loro mag- pp. 113-17, e A. M. Boldorini, Santa Croce di Sanano e i mercanti lucchesi a Genova (secc. XIII-XIV), in « Atti della Società Ligure di Storia Patria », vol. LXXVI, Genova, 1962, pp. 79-81. L’attività dei mercanti lucchesi a Genova nel XIII secolo, è messa anche in rilievo dai numerosi contratti di compravendita di seta grezza, per somme spesso notevoli, riportati da A. Ferretto, Codice diplomatico delle relazioni fra la Liguria, la Toscana e la Lunigiana, in «Atti della Società Ligure di Storia Patria», vol. XXXI, Genova, 1901. 6 Cfr. G. Luzzatto, Storia economica dell’età moderna e contemporanea, Padova, 1955, parte I, p. 61. 7 Cfr. R. S. Lopez, Market Expansion: The Case of Genoa, in « The Journal of Economie History », 1964, p. 455. 8 A. Ferretto, Le prime tessiture seriche di Genova, in « Il mare », Rapallo, 1922 (9 dicembre), fa risalire al 1214 il primo telaio in Genova; altri vennero montati, nel 1236 e 1241, non solo nella città, ma anche nella riviera di Levante; L. T. Belgrano, Della vita privata dei Genovesi, cit., p. 20( ricorda che tessuti di seta genovesi figurano in un inventario della cattedrale di S. Paolo di Londra del 1292; F. L. Mannucci, Società genovesi di arti e mestieri, in « Giornale storico e letterario della Liguria », Genova, 1905, p. 274, nota che negli stessi ordinamenti lucchesi del 1261 si parla di coloro che « artem exercent de drappis aureis et sete, qui secundum artem Januensium facere debeant, et in ipsa longitudine que Janue consuetum fieri ». 9 Cfr. G. Luzzatto, Storia economica d’Italia - Il Medioevo, Firenze, 1963, p. 195; T. Bini, Su i Lucchesi a Venezia. Memorie dei Secoli XIII e XIV, in « Atti della Reale Accademia Lucchese di Scienze, Lettere e Arti », tomo XXV, Lucca, 1855; F. Edler de Roover, Lucques, ville de soie, in « Les Cahiers Ciba », Basilea, 1952, gennaio. — 21 — giore esperienza, la loro tecnica, il loro gusto 10. Un documento ufficiale della corporazione, che precede il testo degli Statuti del 1432, ricorda in modo particolare l’opera di Iacobo Perolerio e dei suoi fratelli, i quali « primi apud nos eius ministerii tradidere primordia... qui pro ea re apud posteros memoriam, famam et favorem merentur » 11. Gli ultimi anni dei sec. XIV videro certamente un sempre maggiore sviluppo di quest’attività industriale, e ne sono conferma i nomi di venticinque setaioli, operanti sotto i consoli e i capitoli dell Arte dei mereiai, ricordati come « seaterii defuncti ante tempus conditorum capitulorum sea-teriorum » *2. Nel 1432, quando la corporazione inizio ufficialmente la sua vita, i setaioli che in essa si raggrupparono furono 62, e altri 117 si iscrissero poco dopo n. L’industria della seta ci appare, cioè, già di considerevoli proporzioni, al punto che nel proemio dei capitoli stessi le venne elevato un entusiastico elogio per i grandi benefici sociali eh essa apportava alla collettività. Dopo il 1432 l’industria serica genovese iniziò una fase di continua e progressiva espansione, cui corrispose il concomitante affermarsi dell’Arte sul piano economico. Gli interessi che gravitavano intorno ad essa si allargarono, gradatamente ma costantemente, sia per nuove iniziative di cittadini, sia per particolari, favorevoli circostanze, storiche ed economiche. Prima fra queste, le situazioni in cui si trovavano, in quel periodo, taluni dei centri serici più importanti, come Venezia, autolimitatasi per mezzo di rigide misure protezionistiche14, e Lucca, che continuava a sopportare le conseguenze economiche derivate dalle crisi politiche del secolo 10 Anche in epoca successiva, i Lucchesi continuarono a dare il loro contributo a questa industria genovese. F. Alizeri, Notizie dei professori del disegno in Liguria dalle origini al sec. XV, Genova, 1870, vol. II, p. 453, menziona, nel 1424, Baldus Francisci de Luca, « magister picturarum operis pannorum septe, nunc habitator in Janua »; Dadus Betini de Luca, Baldus, quondam Jacobi, de Luca e Johanetus de Florenda, « pictores operum laboreriorum pannorum septe in Janua», nel 1545. 11 Cfr. R. Di Tucci, Lineamenti..., cit., p. 53. 12 Ibidem, p. 48. 13 Ibidem, p. 32. Ogni qualvolta, nelle pagine seguenti, si farà menzione degli Statuti dell’Arte della seta del 1432, s’intende riferirsi al testo pubblicato da questo Autore, senza altra precisazione in nota. 14 Fin dagli ultimi anni del secolo XIII i Genovesi avevano iniziato a contendere ai Veneziani la fama per la bontà e la finezza dei tessuti serici. L’arte della seta — 22 - precedente. Tali situazioni di involuzione si verificavano proprio nel momento in cui una richiesta sempre maggiore di stoffe seriche si manifestava in tutta l’Europa. Nello stesso tempo, e probabilmente proprio in relazione a tale favorevole congiuntura, assistiamo ad un fenomeno nuovo per l’economia genovese: una gran parte dei capitali fu ritirata dagli investimenti commerciali a vantaggio dell’industria serica che prometteva un rapido sviluppo, tanto che si può parlare quasi di « trasformazione di capitali commerciali in capitali industriali » ,5. L’attrazione che la nuova industria esercitò nei confronti dei capitalisti genovesi durante il XV secolo è messa in evidenza sia dal fatto che in nessun altro tipo di attività industriale gli investimenti raggiunsero un livello così elevato I6, sia dalla comparsa fra i setaioli, in misura sempre più evidente e costante, di esponenti di famiglie nobili genovesi che si dedicavano tradizionalmente alla mercatura e alla navigazione: Spinola, Grillo, Di Negro, Doria, Grimaldi. Solo dopo la metà del Cinquecento, nelle leggi del 1576, venne esplicitamente codificato questo stato di fatto e si dichiarò che, essendo un’arte nella quale « non interviene Vartifizio delle mani », quella dei seateri non recava pregiudizio alla nobiltà 17. L’ascesa di questa attività non fu, inoltre, un fenomeno temporaneo, ma, dopo essersi accentuata nel primo cinquantennio del XVI secolo, perdurò fino alla fine dello stesso, indice — insieme all’attività bancaria — delle capacità di ripresa dell’economia della Repubblica, nonostante il declino di altri settori che avevano caratterizzato il suo passato anche re- rimase pertanto un elemento di rivalità fra le due Repubbliche finché Genova nel periodo rinascimentale oscurò la fama della città veneta, specialmente per i velluti in rilievo e a più tinte. Cfr. N. Campanini, Ars Siricea Regii, Reggio Emilia, 1888, pp. 31-33. 15 H. Sieveking, Die genueser Seidenindustrie..., cit., p. 105. lé Così si esprime al riguardo J. Heers, Gênes..., cit., p. 250: « L’industrie de la soie est à Gênes une très grosse affaire, capable de intéresser vivement les capitalistes. Contrairement aux habitudes génoises, le capital n’est pas ici divisé en de nombreuses parts ou "carati". Il faut beaucoup d’argent et la concentration des capitaux est nettement marquée ». 17 Le altre Arti erano quelle dei Laneri, Drappieri e « Fondaghieri », a condizione che i nobili non le esercitassero con le proprie mani e non facessero « residenza in bottega ». Con particolari riserve era concesso anche appartenere aU’Arte dei Notai. Le restanti Arti vennero definite « eser medianiche et repugnanti alla nobiltà ». Cfr. O. Pastine, op. cit., p. 307. — 23 — cente 18. Ne è una prova l’andamento delle immatricolazioni dei setaioli, che riflette anche la progressiva flessione dell’industria nel XVII secolo . Alla fine del Cinquecento, infatti, lo smembrarsi della corporazione, le epidemie, la concorrenza delle seterie prodotte a Lione e 1 aumento della pressione fiscale riuscirono a fermare lo slancio dell’industria ed iniziarono un processo di decadenza che si accentuò poi dopo la metà del Seicento. Nella sua prima fase, la corporazione potè largamente avvalersi del peso che si andava rapidamente conquistando di fronte al potere politico, tanto che lo sviluppo della produzione serica sembra procedere di pari passo con l’affermarsi dell’importanza e del prestigio della corporazione in seno alla stessa Repubblica M. Già nel 1460 l’Arte si preoccupava di 18 Cfr. F. Braudel, Civiltà e imperi del Mediterraneo nell’età di Filippo II, Torino, 1953, pp. 356-7 e 457-61. 19 I dati numerici riguardanti le immatricolazioni dei setaioli nel XVI, XVII e XVIII secolo si possono ricavare dalla « Matricula magnificorum seateriorum, ab anno 1532 in venturum », ms. B.C.C., segn. Ar. n. 2 - pte. s., cart., mm. 205x 145, cc. 139. Sec. XVI Sec. XVII 1532-1550 1551-1575 1576-1600 1 349 634 536 1601-1625 1626-1650 1651-1675 1676-1700 389 384 278 127 Sec. XVIII: 645 in tutto il secolo, contro 1178 del secolo precedente e ben 1519 per gli ultimi 69 anni del secolo XVI. Nel Cinquecento la distribuzione annuale delle immatricolazioni appare abbastanza regolare, con leggeri aumenti in alcuni periodi, come intorno al 1547, al 1560 e in particolare nel 1573, anno in cui sono registrate ben 186 nuove immatricolazioni su una media di 25,4 annuali nel periodo 1551-1575. Da altri documenti apprendiamo poi che nel 1537 i setaioli che svolgevano l’attività erano 137 (Cod. C, c. 357); nel 1558 il loro numero è salito a 244 (Cod. A, c. 65), sono cioè aumentati del 78,10 % in venti anni: siamo infatti nel periodo di massima espansione dell’industria serica. 20 I due fenomeni erano in un certo senso legati l’uno all'altro: è la scarsa potenza economica di una forma di attività che porta ad una scarsa potenza politica e quindi alla mancanza di misure protezionistiche che ne aiutino lo sviluppo economico. Cfr. G. Arias, op. cit., pp. 114 ss. - 24 - procurarsi una loggia dove tenere le adunanze e dove i consoli potessero amministrare la giustizia21; ai consoli dei setaioli insieme a quelli degli speziali, degli scrivani e dei drappieri, veniva riservato l’onore di partecipare ai funerali del Capitano della città; erano i consoli dell’Arte della seta che, nella processione del Corpus Domini, cui partecipavano solennemente tutte le Arti, occupavano il primo posto22. I tessitori di seta erano solo 21 Le « loggie » a Genova non rappresentavano, di regola, un aspetto esclusivo dell’attività corporativa, ma caratterizzavano il potere di gruppi di cittadini e specialmente di famiglie nobili, le cui case erano normalmente raggruppate in uno stesso quartiere, con la chiesa gentilizia e la piazza (« platea illorum de... ») dove si trovava la loggia. Cfr. J. Heers, Urbanisme à Gênes au Moyen-âge, in « Studi in onore di A. Fanfani », vol. I, Milano, 1962, pp. 383-86. La loggia dei seateri non fu sempre la stessa durante il XV e il XVI secolo. La prima loggia dell’Arte fu situata « in platea illorum de Marinis », nella casa di « Marietina, uxor quondam Iuliani de Marinis ». Il contratto di locazione (V. doc. III in Appendice), stipulato per nove anni e rinnovabile alla scadenza, decorre dal 1° gennaio 1461 e impegna i consoli dei setaioli a pagare dodici lire annuali « monete correntis », vincolando allo scopo i proventi di nove luoghi di S. Giorgio. Da parte sua Mariettina, oltre alle garanzie d’uso, si obbliga a pagare ai consoli, nel caso di alienazione della loggia dopo i primi novi anni, trenta lire a rimborso dei lavori di adattamento che l’Arte avrebbe eseguito (Cod. A, cc. 32 r. - 33 r., Locatio logie). Nel 1479 la loggia era però trasferita « in platea nobilium de Cigalis, sub domo heredum quondam Ambrosii de Furnariis » (A.S.G., Artium, fi. n. 161) e, nel 1506, durante i tumulti che ebbero fra i loro protagonisti i filatori e i tintori di seta, fu sede di numerose riunioni (E. Pandiani, Un anno di storia genovese (giugno 1506-07), in « Atti della Società Ligure di Storia Patria », vol. XXXVII, Genova, 1905, p. 61). In questa ubicazione è ancora la loggia nel 1575, quando «Benedictus Gattus quondam Angeli, seaterius, locavit et ex causa locationis dedit et concessit » ai consoli e consiglieri dell’Arte della seta « quandam dicti Benedicti voltam magnam sive logiam una cum volta parva contigua dicte logie site sub domo dicti Benedicti, Genue, in contracta et platea nobilium de Cigalla... hinc ad annos novem proxime venturos... pro pensione et nomine pensionis... librarum centum quindecim Genue singulo anno... » (A.S.C.G., Arte della seta, cit., fi. n. 604, doc. n. 14). Verso la fine del Cinquecento, l’Arte, dopo aver raggiunto la sua massima espansione economica cui corrispose un parallelo moltiplicarsi delle cariche per fare fronte alle necessità di organizzazione, non si accontentò più di una loggia dove i suoi componenti si radunassero occasionalmente, ma ebbe anche una sede stabile, dove i suoi “ ufficiali " potessero risiedere in permanenza (vedi cap. II). 22 La partecipazione delle corporazioni alla vita religiosa della città era molto importante. A questo proposito già gli Statuti dell’Arte della seta del 1432 fissavano una serie di giorni festivi durante i quali l’artigiano doveva sospendere il lavoro per dedicarsi alle pratiche del culto (la multa prevista per i contravventori era da dieci - 25 — al quarto posto23, e i tintori di seta al ventesimo. Alcuni documenti in cui sono riportate le scritture contabili dei libri del Banco di S. Giorgio, concernenti F Arte della seta, ci mostrano chiara- a venticinque soldi). Nel 1466 l’obbligo fu ribadito con un decreto: « Item quod nulla persona dicte artis, vel alia quevis, possit, audeat vel présumât laborare de dicta arte, quoquomodo, clam aut palam, aut sub quovis velamine exquesito colore, tempore noturno, nec in diebus feriatis contentis et declaratis in capitulis dicte artis, et si quis contrafecerit, ultra penas contentas in dictis capitulis, incurrat et incurrisse penitus intelligatur in penam florenorum decem pro qualibet vice et tociens quotiens fuerit contrafactum, applicandam prout supra. Possit tamen dictis diebus feriatis, exclusis festivitatibus que celebrantur ex precepto ecclesie, ac etiam excluso tempore noturno, laborari per homines dicte artis de auro ex quo fabricanda erit peccunia aurea in cecha Communis, et non de aliquo argento » (Cod. A, cc. 75 v. - 76 r.). Così nei capitoli era sancito l’obbligo della presenza della corporazione alle cerimonie religiose più solenni. Tuttavia, anche in questo campo l’Arte ricevette un trattamento di particolare favore: nel 1451 fu esentata dal dover portare il proprio gonfalone e dal presenziare alle funzioni che si svolgevano nel convento di S. Tecla il giorno della festa dei SS. Simone e Giuda, protettori della città e in particolare della corporazione dei « macherolii » (cfr. G. Parodi, L'Arte dei macherolii e i suoi capitoli, in « Atti della Società Ligure di Storia Patria », vol. LIII, Genova, 1926, p. 303). Questo privilegio venne concesso « actento maxime quia dicti consules et seu dieta ars, vigore dictorum suorum capitulorum, exempti sunt et seu est a ceteris lumenariis et blaniis, que fiunt et feruntur ad alias ecclesias, et sic etiam ad cautellam ad ipsas luminarias et reliqua blania etiam liberari requirentes... ». L’Arte s’impegnò tuttavia ad un’oblazione annuale a favore del convento ed a provvedere di ceri la chiesa come aveva fatto fino ad allora (Cod. A, cc. 28 r. - 29 r., Consules liberati ab onere associandi blaneum ad Sanctam Teclam). Nel 1618 i consoli dei setaioli vennero pure dispensati, « uti Magistratus Civilem et Criminalem notionem habens », dal partecipare alla stessa processione del Corpus Domini « ... inter Consules ceterarum artium, ante eorum faces... sed possint inter alios cives ire... et loco dicte arti prefixo iverint, cum facibus eorum, tralieta et sindicus, dictum Magistratum in eo représentantes...» (Cod. B, c. 74r.). Fra le spese della corporazione troviamo talvolta annotato il costo sostenuto per i ceri (in numero variabile) offerti proprio per la processione del Corpus Domini: nel 1576, « L. 34 s. 18 per due torchie bianche per la procesione »; nel 1586, « 3 torchie bianche per la pro-cesione, in peso libbre 36 a soldi 16 la libbra, L. 28 s. 16»; nel 1589 «9 torchie bianche, in peso libre 78, a soldi 15, L. 58 s. 6»; infine nel 1590 la spesa è alquanto più ridotta: «3 torchie bianche, in pezo libbre 36, a soldi 15 la libbra, L. 27 » (A.S.C.G., Arte della seta, cit., fi. n. 603). 23 Nel 1592 i tessitori presentarono ai Padri del Comune una energica protesta chiedendo di poter seguire la processione del Corpus Domini non dietro gli speziali — come aveva ribadito un decreto del 1577 — ma «appresso i seateri » (A.S.C.G., Atti dei Padri del Comune, cit., fi. n. 49, doc. n. 57). - 26 - mente come la ricchezza della corporazione aumentasse continuamente: a parte il patrimonio personale degli imprenditori, i luoghi di S. Giorgio posseduti dall’Arte, in circa trent’anni, dal 1460 al 1488, appaiono più che raddoppiati24. Durante il XVI secolo vennero addirittura quadruplicati2S. Gli emendamenti apportati agli Statuti del 1432 durante tutto il Quattrocento ed il Cinquecento attestano anche la particolare posizione di favore che lo Stato riconosceva all’Arte della seta rispetto alle altre corporazioni cittadine. I setaioli, da parte loro, ogni qualvolta rivendicavano qualche privilegio nei confronti di loro operai, richiamavano inevitabilmente l’attenzione sull’importanza che la loro categoria aveva per la Repubblica, e, in modo particolare, sul notevole ammontare dei tributi che la loro attività imprenditoriale permetteva a quest’ultima di riscuotere. Raramente l’Arte partecipò ai movimenti e alle rivolte popolari che agitarono la città: non era una corporazione di artefici, ma di mercanti e di capitalisti, talvolta anche nobili. Sono i filatori, i tessitori o i tintori, che da loro dipendevano, che noi troviamo nelle piazze26, ed in forza numerica non trascurabile: notevole massa d’urto nelle competizioni parti- 24 Questi sono i luoghi di S. Giorgio, appartenenti all’Arte e scritti nel cartolare della « Compagna Machagnane », di cui viene riportato l’ammontare nel « Liber secundus decretorum-» (cc. 52 v. -55v.; c. 89 r; c. 91 r.): anno 1460 L. 2.253 s. 17 d. 10 anno 1469 L. 3.171 s. 7 d. 10 anno 1482 L. 4.818 s. 2 d. 5 anno 1488 L. 5.718 s. 2 d. 5 e, poco tempo dopo, sempre nel 1488 L. 6.318 s. 2 d. 5 Numerosi sono i lasciti fatti dai setaioli per testamento; altre volte sono i consoli stessi dell’Arte che acquistano i luoghi con i proventi di quelli già posseduti; sovente poi, sono gli acquirenti della « gabella pannorum sericorum » che obbligano alcuni luoghi a favore dell’Arte. I lasciti dei setaioli possono avere destinazioni particolari: cosi nel 1465 Cristofaro da Passano lascia all’Arte 116 lire (1 luogo e 16 lire), i cui proventi dovranno ogni anno essere utilizzati dai consoli « pro dispensandis pauperibus dicte artis » (Cod. A, c. 52 r.). 25 « In cartulario Machagnane, L. 29.600, Ars seateriorum Ianue, cum nonnullis verbis et obligationibus (A.S.G., Senato, Atti, fl. n. 1447, anno 1580). 26 Così, nel 1506, sebbene molte delle riunioni dei 12 Pacificatori popolari avvengano nella loggia dei seateri, furono i filatori e i tintori che parteciparono attivamente alla rivolta che portò alla cacciata dei Fieschi dalla città e all’elezione, sebbene per breve tempo, di un Doge popolare: Paolo da Novi, tintore di seta (cfr. E. Pandiani, Un anno di storia..., cit., p. 61 c p. 337). Così ancora nel 1547 furono i tessitori che Gian Luigi Fieschi cercò di attirare dalla sua parte, nel preparare la congiura contro - 27 — giane. In particolare i tessitori, che nel 1575 parteciparono alla lotta fra i Nobili Vecchi e i Nobili Nuovi, a favore di questi ultimi, furono addirittura indicati come « in numero di quindecemila »2?. Se l’allargamento dei poteri e della legislazione statutaria delle Arti fu accompagnato normalmente da un intensificarsi dell’ingerenza del Comune nelle corporazioni, con un progressivo controllo, l’Arte della seta godette sempre di una particolare autonomia, solo a tratti compromessa nel corso del quindicennio 1463-1478, in cui Genova era caduta sotto il dominio sforzesco2S. Tale autonomia, probabile nel settore fiscale ed evidente in quello specificatamente tecnico ed economico29, si manifestò pienamente in campo giurisdizionale. Andrea D’Oria, con promesse e lusinghe, sfruttando il loro malcontento. Cfr. M. C. Canale, Storia della Repubblica di Genova dall’anno 1528 al 1550, Genova, 1874, p. 201. 27 F. Casoni, Annali della Repubblica di Genova del secolo decimosesto, Genova, 1799, t. IV, p. 45. Anche questa volta non furono tanto le convinzioni politiche che animarono i tessitori quanto la promessa « de il crescimento di soldi tre per braccio alle manifatture ». 28 Nel 1474, di fronte al tentativo del Duca di Milano di avocare a sè la competenza di giudicare (e nel caso specifico di perdonare) un artigiano colpevole di frode, l’Arte protestò energicamente, sia per l’intrusione nella propria sfera giurisdizionale, sia per la paura che il comportamento di Galeazzo Maria Sforza potesse costituire un precedente a suo danno, ed inviò propri ambasciatori a Milano con precise istruzioni: « Ars siricea plurimum commodi affert civitati, sed plerumque avaritia aut malitia hominum in ea fraudes committuntur, que nisi etiam acriter punirentur, periret ipsa ars, quod non esset sine extrema civitatis iactura. Hoc dicimus quia inventus est quidam Quilicus de Insula in quadam contrafactione, cui Princeps vult ignosci: orandus est Princeps ut dignetur permittere in his casis iustitiam fieri et potius severam, ne hec ars ad nihilum redigatur, cui necessarium est favores prebere, si sit servanda in futurum. Enim etiam hoc exemplo ceteri alliciuntur ad male agendum, quod esset permaxime civitati damnosum. Quare in hac re enixe instate, quia una ex maximis rebus est que provisione indigeat, ne qui delinquant intelligere possint impune errare, quia hoc esset omnino destruere hanc artem» (A.S.G., Instructiones et relationes, 2707 B. n. 17, 20 giugno 1474). Per altri esempi v. nota seguente, p. 36 e parte II, cap. I. 29 La maggior parte dei provvedimenti del XV secolo contenuti nel « Liber secundus decretorum », e che portano mutamenti anche notevoli nell’organizzazione e — 28 - Gli Statuti del 1432 stabilivano che i consoli fossero i soli giudici competenti di tutte le questioni concernenti l’Arte che non superassero le cinquanta lire, senza alcuna possibilità di appello a qualsiasi altro magistrato 30. Gli Statuti erano appena entrati in vigore e già i filatori protestavano ottenendo la nomina di una commissione dalla quale furono considerati « valde dura» i capitoli che sancivano una simile prerogativa31. Ma, a dispetto di filatori e di commissione, la prerogativa fu conservata ai consoli dell’Arte anche quando, alcuni decenni dopo, gli operai serici riuscirono ad organizzarsi in proprie corporazioni con capitoli autonomi. Nei casi in cui la controversia fosse di carattere tecnico, uno dei consoli dell’Arte della seta si riuniva talvolta insieme a un rappresentante della corporazione avversa32. nella struttura dell’Arte, appaiono presi su istanza dei consoli dell’Ajrte stessa o in seguito a una deliberazione dell’assemblea dei setaioli. Fanno eccezione solo due provvedimenti del 1467, le cui norme, riguardanti quasi esclusivamente la fabbricazione dei tessuti, sono stabilite dai « Correctores » di quell’anno. Nel XVI secolo la situazione sembrò migliorare anche per le altre corporazioni, poiché agli specifici tentativi di intervento governativo per la modificazione degli Statuti, si sostituì l’azione più generale di controllo sulle Arti da parte dei Padri del Comune e, in seguito, dei Sindicatori minori. Cfr. A. Boscassi, II Magistrato dei Padri del Comune, Conservatori del porto e dei moli, Genova, 1912, pp. 4-6. 30 Se l’ammontare della condanna superava le cinquanta lire era prevista la possibilità di appello all’« Officio banchorum », entro tre mesi. Cfr. R. Di Tucci, op. cit., p. 59. Questa competenza passò in seguito ai Padri del Comune e dopo ancora ai Sindicatori minori. Il 4 febbraio 1512, furono appunto i Sindicatori che, « prò tribunali sedentes », respinsero l’istanza di Domenico Ratto contro i consoli dell’Arte della seta, dichiarando « dictam appellationem admitti non debere, attento quod est minoris summe librarum quinquaginta ianuinorum » e che « ipsos non fore nec esse iudices competentes, et per consequens dictas partes revertantur ad dictos dominos consules qui sunt iudices competentes... » (Cod. A, c. 183 r.). 31 In quell’occasione i deputati proposero a Oldrado di Lampugnano, Luogo-tenente ducale, e agli Anziani, di stabilire a favore dei filatori « quod exercentibus artem predictam liceat appellare a sententiis cuiuscumque sume per ipsos consules ferendis ad Spectabiles Dominos Sindicatores Ianue... et non alios Magistratus... » (A.S.G., Artium, Busta n. 176, fase. n. 35). 32 Nei confronti dei tessitori la norma è già contenuta in un apposito capitolo degli Statuti del 1432: Qualiter cognosci et terminari debeant questiones et lites inter seaterium et texeranum. Nel 1473 il problema venne però rimesso in discussione, con particolare riguardo al luogo dove i due consoli delle Arti avrebbero dovuto riunirsi. I Sindicatori, delegati a risolvere la questione dal Doge e dagli Anziani, « omnes quatuor concordes, intuentes ad utilitatem et commodum ipsarum artium, senten- — 29 — Più volte, ma sempre invano, filatori e tessitori cercarono di appellarsi al tribunale ordinario o ai Padri del Comune, ai quali spettò per qualche tempo la vigilala sulle Arti33, ma i consoli dei setaioli riusci- tiando declaraverunt ipsos textores vel aliquem dicte artis, quando eos vel eorum aliquem continget vocare aut convenire in ius aliquem seaterium, vel conveniri ab aliquo seaterio coram eorum consulibus, prout per regulas ipsarum artium ordinatum est, teneantur ipsi duo consules se congregare in logia dictorum seateriorum, quam logiam decetero ordinaverunt et deputaverunt pro firmo et idoneo loco ad ius reddendum in huiusmodi differentiis, in qua logia congregati, aliis differentiis postpositis, audiant causas et differentias que verterentur inter seaterium et texeranum, aut inter texeranum et seaterium, iuxta formam et ordinamenta capitulorum ipsarum artium, ad hoc ut ipsi texerani citius expediantur et ne cause ipsorum trahantur in longum. Quod si dicti consules non servaverint, incidant et incidisse intelligantur in penam ducati unius auri et in auro, ex nunc applicata arti ipsorum textorum, totiens exigenda quotiens per eos contrafactum fuerit, de qua contrafactione stetur iuditio Spectabilium Dominorum Sindicatorum, qui nunc sunt et pro tempore fuerint » (Cod. A, c. 79 v., Consules textorum pannorum sete teneantur accedere ad logiam seateriorum quando in aliqua causa convenire debe[n]t cum consulibus seateriorum). Questa normativa rimase in vigore anche per tutto il XVI secolo, sebbene i setaioli tentassero sovente di ottenere i pieni poteri (A.S.G., Senato, Atti, fi. n. 1393, anno 1572; fi. n. 1520, anno 1576). Nelle controversie fra setaioli e tintori furono invece per lungo tempo giudici unici i consoli degli imprenditori. Solo nel 1500 Filippo di Clèves, nell’emanare un decreto contro le falsificazioni del rosso di "cremex" (vedi parte II, cap. I) prese in considerazione per la prima volta la possibilità di una seconda istanza: « Et ut predicta omni studio et diligentia executioni mandentur, et delinquentes puniantur, antedicti consules et consiliarii, tam présentes quam futuri, sint et esse debeant magistratus et iudices competentes in predictis et circa predicta ac in dependentibus, emergentibus et connexis ab eis; liceat tamen ab eorum sententiis et condempnationibus ferendis et faciendis in predictis, contra aliquem quem cognoverint seu. declaraverint contrafecisse, reclamari et haberi recursus ad Spectabiles Dominos Sindicatores Communis Genue » (Cod. A, c. 157 r.). Occorre arrivare al 1551 invece, affinché « magnifici consoli e consiglieri de’ seateri insieme siano giudici con li consoli de tintori ». Questa facolta e però limitata a particolari tipi di tinture, poiché ci si rende conto « esser difficultà in cognoscere et decidere le misture e fraudi che si potriano fare in dette tinture » (Cod. B, c. 4 r.). Gli Statuti concessi ai filatori nel 1598 non prendono ancora in considerazione, in caso di controversia con gli imprenditori, la possibilità di un intervento dei consoli a favore degli appartenenti alla nuova corporazione. 33 Nel 1500 (4 dicembre), Filippo di Clèves stabilì anche che i Padri del Comune fossero giudici competenti per le cause fra setaioli e tessitori concernenti la retribuzione: « Item sancientes et ordinantes atque decernentes in quibusvis controversiis, litibus et causis sive querellis, que occasione preciorum et solutionum ma- -30- rono sempre ad ottenere che venisse loro negata ogni competenza in controversie riguardanti l’Arte della seta. Gli stessi Sindicatori ordinari, incaricati di vigilare sull’osservanza delle leggi, « successores dominorum Patrum Communis... iudices ordinarii omnium artium et etiam a sententiis artis seateriorum in civili » poiché « a sententiis magnificorum consulum et consiliariorum criminalibus appellatio non datur » 34, dichiaravano quindi normalmente « se non esse competentes »35, assolvendo i consoli della seta dall’accusa di eccesso di potere che veniva loro mossa dagli artefici insoddisfatti. Una così ampia e insindacabile giurisdizione era infatti attribuita ai consoli da precise norme approvate dalle autorità cittadine e non da una loro arbitraria presa di posizione. Nel 1561, si presentò anche un caso limite: i Sindicatori ordinari avevano ritenuto di dover accogliere le lamentele di un tessitore condannato dai consoli, ma la loro sentenza venne immediatamente cassata dai Supremi Sindicatori, i quali, su istanza dell’Arte, dichiararono « excessum fuisse commissum per dictos Sindicatores »36. Nel « Liber secundus » e nel « Liber tertius » dei decreti dell’Arte è conservato un notevole numero di sentenze in cui, con motivazioni diverse, viene riconfermata per certe materie la completa autonomia giurisdizionale dei consoli: la corporazione cioè, ritenne opportuno inserire la giurisprudenza che concerneva la propria sfera giurisdizionale accanto ai decreti più importanti che nel corso del tempo modificavano la sua struttura e ai provvedimenti presi a difesa dei tessuti prodotti dai propri associati. Questa raccolta di sentenze emanate da Magistrature diverse, costituiva, in sostanza, la base giurisprudenziale atta a salvaguardare la nifaturarum et granorum ut supra nascerentur, vel nasci quoquo modo contigeret, inter utramque artem, sive homines utriusque artis, ipsi Domini Patres Communis sint cognitores et decisores ipsarum controversiarum ac executores, sine remedio appellationis » (Cod. A, c. 239 v.). Questa decisione venne ribadita nel 1534, 24 marzo (Cod. A, c. 230 r.). 34 A.S.C.G., Arte della seta, cit., fi. n. 604, doc. n. 18. 35 Cod. A, cc. 183 r. -185 v., Sindicatores non esse competentes in causa appellationis sete tradite ad manifacturam, in qua vir pro uxore fuit conductus (1512); cc. 192 r. -193 v., Sindicatores incompétentes in causa sete date ad manifacturandum (1516); c. 222 r. e v., Sindicatores incompétentes (1527). 36 Cod. A, c. 262 r., Excessum commissum per dominos Sindicatores. L’accusa rivolta al tessitore Nicola Micone era di aver acquistato della seta rubata da uno degli apprendisti di un setaiolo (A.S.G., Senato, Atti, fi. n. 1312, doc. n. 320). - 31 - più gelosa fra le prerogative dei consoli di fronte ad ogni tentativo di impugnazione o di giudizio conoscitivo da parte di un altro giudice. Da questi documenti risulta infatti che i privilegi attribuiti all’Arte della seta derogavano talvolta alla competenza più generale di altre Magistrature, come i Viceduci, ai quali nel Quattrocento era attribuita « generaliter in omnes artes iurisdictio »37, o il Magistrato dei rotti38, alla cui autorità gli artigiani colpevoli cercavano di fare ricorso sperando in una riduzione di pene o di multe39. 37 Nel 1481, il doge Battista di Campofregoso e il Consiglio degli Anziani della città, in seguito ad una protesta dei consoli delTArte della seta, stigmatizzarono aspramente l’operato dei Viceduci che avevano accolto il ricorso di un tintore, condannato per avere acquistato della seta di diverse qualità, nonostante il divieto dei capitoli del 1432: «... tam presenti Viceduci quam aliis quibuscunque successoribus suis, quatenus non possint se intromittere et seu impedire de rebus pertinentibus ad dictam artem quomodocunque vel qualitercumque, recte vel indirrecte, etiam si dici posset virtute Suarum regularum Viceduces generaliter habere in omnes artes iurisdictionem et derrogare eas regulas capitulis et decretis dicte artis, quas regulas ex nunc dederant nullam haberi vim» (Cod. A, cc. 56 v. -57 v., Viceduces se non intromittant de rebus pertinentibus ad artem). 38 Nel 1488 i consoli dell’Arte della seta si lamentarono con le autorità cittadine che « a certo tempore citra, . .. quidam maligni textores, filatores, tinctores et alii diversi circa manifacturas dicte artis laborantes, furati sunt et malignati circa dictam artem, et multa damna intulerunt seateriis; deinde malitiose, vel impetrant Magistratus particulares tamquam rupti, vel faciunt se remitti ad generalem Officium ruptorum, et se fingunt miseros et pauperes, cum sint multa furati, et pro minimo capiunt compositores ». Fu allora deciso da parte del Governatore Agostino Adorno che «... si decetero contingat aliquos textores, filatores, tinctores aut alios artem sericam exercentes, qui a seateriis aliquam septe summam acceperint, ad texendum, filandum, tingendum aut laborandum, eamque septam sic ut supra habitam bona fide non restituerint, et super eiusmodi causis lis aliqua aut controversia oriatur, intelligantur et sint consules artis seateriorum magistratus competens de et super decisione et terminatione earum controversiarum, ita ut in causis et controversiis que decetero oriri continget, inter seaterios una parte et textores, filatores et tinctores aut alios ut supra sericam artem operantes, occaxione septe a seateriis habite tantum, nullus alius magistratus se intromittere possit, etiam si per decretum publicum delegatio aut remissio facta diceretur, cui delegationi ac remissioni, in tali casu, derogatum esse statuerunt et voluerunt, etiam si ad magistratum aliquem pro rupto quis remissus esset » (Cod. A, cc. 91 v. - 92 v., Magistratus ruptorum non potest se intromittere de pertinentibus ad artem vel de dependentibus ab ea). 39 Fra i capitoli concessi all’Arte nel 1432 ve ne sono due di particolare interesse, posti sotto le rubriche « Qui non est da arte seateriorum non possit eam exercere nec de ea se intromittere » e « De non alienando seu pignorando setam la- — 32 - Poiché, come vedremo40, le frodi e i furti compiuti dalla manodopera artigiana (e specialmente dai filatori) costituivano una delle maggiori preoccupazioni dei setaioli, l’Arte aveva un particolare interesse ad essere considerata unica arbitra di questo tipo di controversie, onde consentire che i provvedimenti punitivi potessero essere presi con più rapidità competenza ed efficacia41. Di non minore importanza era poi il provvedere boratam aut aham rem ad dictam artem spectantem ». Essi costituiscono la base di numerose condanne pronunciate dai consoli. Così nel 1475, Gaspare da Signorio « bambaxarius », venne condannato per aver riscattato « a feneratoribus et seu caza-neriis Cazane Vinearum» circa 14 libbre di seta, onde rimborsarsi a sua volta di un credito che aveva nei confronti di Lazzaro Calvo, setaiolo. I consoli dell’Arte della seta lo condannarono e gli confiscarono la seta « attenta forma dictorum eorum capitulorum et decretorum et eisdem concessorum, virtute quorum possint dicti consules cogere et punire quoscumque de arte seateriorum, quam non de dicta arte qui emissent vel exig.ssent aliquam septam tam a dictis cazaneriis quam a quibuscumque alus, cognitam per ipsos in fraudem emptam vel exactam illorum quorum erat et virtute quorum nemo, qui non sit de dicta arte, potest se intromittere, emere vel negcciare de dicta arte, exceptis mercatoribus vendentibus ». Il ricorso di Gaspare da Signorio al tribunale non sortì alcun effetto, ma venne dichiarato «per dictos consules seateriorum non fuisse nec esse commissum excessum in dicta causa» (n ^’-CC'x360 Vù'61V')' N°n dÌVerS° fu nd 1491 resit0 del riCOT*o di un filatore all «Officio Banchorum» (peraltro previsto dagli Statuti della corporazione). Non gli venne riconosciuta 1 esistenza di sufficienti motivazioni (Cod. A, cc. 115 v -116 r) 40 Vedi parte II, cap. II. 4' Nel 1537 i setaioli protestarono presso il Doge, i Governatori e i Procuratori, contro 1 Padri del Comune « quod videntur se velle intromittere de quadam sententia condennatoria per ipsos lata », dicendo che « cum multi operarii sint, per quorum manus septe versantur, quibus si liceret de contrafactionibus per ipsos perpetratis adire magistratus Ianue qui possent sententias ipsorum consulum reformare et retractare,.impune omnia facerent, sperantes in longum omnia protrahere... ». j. Serenissimi Collegi, «lectis privilegiis dicte artis, quibus non tantum videtur provisum ipsis consulibus et consiliariis competere potestatem in predictis providendis verum etiam iniunctum quibusvis officialibus et magistratibus Communis, quavis dignitate, predictis ut de pertinentibus ad dictam artem, occasionibus prefatis, ullo modo se impediant... », decretarono « quod a sententiis et ordinationibus factis et faciendis per prefatos consules et consiliarios dicte artis seateriorum, causa et occasione venditionum et emptionum septarum furatarum et datarum ad manifacturandum, prohibitarum tamen vendi et emi,.., et tam respectu penarum quarum interesse particularium, non liceat appellari nec reclamari quovismodo... » (Cod. A, cc. 250 r. - 251 v ) Già in anni precedenti, del resto, era stata dichiarata la piena competenza dei consoli nei giudizi riguardanti frodi e furti, anche se non con tanta chiarezza e autorità: nel 1509, respingendo l’appello di una donna accusata di furto: Declaratio quod con- con tempestività alle falsificazioni dei tessuti, in modo che la oro commet ciabilità non ne risultasse danneggiata: anche in questo campo a corpo-razione ricevette definitivamente42 pieni poteri da Agostino orno, ne 1499 43. . . Nel 1562 venne però proibito ai consoli dell Arte, «ne etnceps consules ipsi arrogent sibi plus facultates quam habeant », di ri u e propria iniziativa le multe e le pene stabilite « per se ips°s >>- ^em rava infatti al Doge e ai Governatori che questo fatto rappresentasse un eccesso di autorità da parte dei consoli, specialmente perchè ciò avveniva rapporto all’adozione di provvedimenti di magnanimità. Fu pertanto berato « alicui alii magistratui spectet remissiones et gratias vel mo tiones facere preterquam Illustrissime Dominationi, tamquam upremo Principi »44. sules artis sete sint iudices ut infra, et nullus alius magistratus possit se in ^ ^ ut infra, non obstante quod fuit ablata seta ut infra (Cod. A, cc. 104 r. > 1516, nella causa relativa a Pasquale Malaga, accusato di aver acquistato a ^ sitore della seta rubata: Nullus magistratus preter consules et consi lartos mittat in causis emptionibus et venditionibus setarum (Cod. A, c. 194 r. e v. . ^ 42 Nel periodo 1488-1499, infatti, in seguito ad un decreto del Doge Pao o J Campofregoso — nel quadro di una lunga controversia fra tessitori ^ e setaio ^ varie rivendicazioni (vedi parte II, cap. I) — era stata concessa ai tessitori una po sibilità di appello ai Padri del Comune o ai Sindicatori (esclusivamente per e s^ tenze emanate in seguito ad accuse di frode), purché l'appello venisse prese entro otto giorni dalla condanna (Cod. A, c. 123 v.). 43 «... quod ab aliquibus sententiis et condemnationibus per supradictos con sules ac eorum successores, qui prò tempore fuerint, decetero ferendis ac acien , occasione alicuius fraudis ac seu falsificationis commisse aut committende, quovis do, circa pannos sete constructos ac construendos, non possit quispiam, modo a lquo, provocare, appellare aut reclamare vel ex excessu conqueri, nec magistratus aliquis in eis se intromittere, sed ipsi soli cognitores, iudices ac executores esse intelligantur e sint, prout in eorum reformationibus et capitulis apparet ipsis cognitionem ac exe cutionem concessam esse » (Cod. A, c. 95 r.). 44 «... cum venerit ad notitiam eiusdem Illustrissime Dominationis consules artis seateriorum, quibus concessum est delinquentes in dicta arte plectere et punire..., solere per abusum, etiam post eorum latas sententias condemnatorias, sepenumero eas moderare, gratias vel remissiones faciendo, contra ius fasque omne, et preter eorum baliam et facultatem, cum omnis magistratus semper et quandocumque suam tulerit sententiam restet officio functus, volens huiusmodi abusionem tolere... decreverunt... nequaquam licere posthac ipsis consulibus aut alii magistratui dicte artis aliquas cuiusque generis condemnaciones personales aut exilii faciendas remittere vel - 34 - Questo decreto non diminuiva però di molto la portata dei poteri giurisdizionali dell’Arte, ma, piuttosto, riservava all’autorità politica un tipo di intervento basato più su considerazioni equitative e sulla valutazione di particolari circostanze umane, che su rigorosi principi giuridici. Anche formalmente i consoli ed il consiglio dell’Arte della seta costituivano nell ordinamento della Repubblica un vero e proprio « Magistratus ». Lo prova un decreto del 1576, con il quale, ritornata la pace nella città dopo i tumulti dell’anno precedente, restituendo ai magistrati cittadini l’autorità che avevano avuto prima dell’istituzione della “Ruota criminale , si collocarono i consoli dell’Arte della seta accanto ai Padri del Comune, all Officio della Moneta, a quello della Sanità ed a tutte le altre magistrature dotate, in precedenza, di propria giurisdizione4S. moderari postquam late fuerint et in iudicatum transiverint, nec super eis aliquam gratiam facere, ad penam librarum quinquaginta ab unoquoque ipsorum, toties quoties fuerit contrafactum presenti decreto auferenda, in quam penam pariter incidat et incurrat notarius scriba dicte artis, quatenus post ipsas latas sententias condemnatorias prout supra eas non notificaverit, vel Cancellarius Reipublice, qui compendium et rationem tenet bannitorum, si quis exilio multatus fuerit, vel scribe malefitiorum, si alia personali pena plectendus venerit...» (Cod. B, cc. 5v.-6r„ Sententie magnificorum consulum et aliorum magistratuum artis sete, personales aut exilii, non possint per ipsos moderari). 45 Così iniziava la proposta presentata al Minor Consiglio dal Doge, i Governatori e 1 Procuratori della città, riuniti collegialmente: «Signori, tra gl’altri Magistrati statuiti nella città, li Padri del Comune, Maestrali, Officio delle Monete, della Sanità, dell’Abondanza, de’ Poveri e li Consoli dell’Arte de’ seateri hanno le oro Regole, possanza e balia limitata nelle cause criminali secondo l’Instituzione di ciascuno di essi Magistrati nelle cose pertinenti alle loro authorità e giuridittioni, et contra le persone soggette al foro loro respettivamente, e possono secondo le dette Regole condannare, punire e castigare i contrafacienti, come nelle antiche Regole e balie loro si contiene, alle quali si habbi relatione. Hora sono sopravenute le nuove leggi, le quali danno tutta l’autorità delle cose criminali alli Magnifici Podestà et Auditori di Ruota criminale, per il che resta revocata la possanza e balia di sopraddetti magistrati... ». Fu proposto che « perchè le cose caminino secondo l’ordine, ... non ostante le dette Instituzioni delle dette nuove leggi, li sopradetti Magistrati e Uffici habbino la medesima autorità, facoltà e bailia che havevano prima, quando le leggi nuove non erano ancora fatte, et a cautella concedergliela di nuovo in tutto come nelle Regole et Decretti loro respettivamente appare... ». Il Minor Consiglio approvò la proposta con 95 voti su 105; nel Maggior Consiglio, dove venne successivamente presentata « conclusum fuit in sententiam eiusdem propositionis », ma con soli 152 voti favorevoli su 303 (Cod. B, cc. 12v.-14r, Confirmatione dell’autorità criminale delli magnifici consoli e conseglio dell’arte della seta). - 35 - Va inoltre osservato, per concludere, che 1 appoggio e la so i arietà del governo non vennero mai meno agli imprenditori serici, e c e urono costanti nel tempo46, non risentendo in maniera particolarmente sensibile dei numerosi rivolgimenti politici che turbarono la vita citta ina nel corso dei secoli XV e XVI. Ci si rivolse sempre con fiducia, ma anche con fermezza, all’autorità, fosse essa il Doge, o il Governatore e e Francia, o il Luogotenente del Duca di Milano. I rari casi in cui 1 setaio 1 non godettero di questo vantaggio coincisero con particolari fasi critic e, sia di ordine economico, sia di ordine politico. Così nel 1469, cluan 0 giunse notizia che il Duca di Milano aveva proibito «ne panni vendi aut consumi possint in Mediolano, nisi qui facti sint in lano »47. La perdita del mercato milanese preoccupò moltissimo 1 Arte Deno^ vese che inviò a Galeazzo Maria Sforza due ambasciatori, con istruz ^ precise e dichiarazioni di fedeltà ed amicizia4S. Ogni tentativo u p ^ inutile, in quanto il provvedimento non traeva origine da una vo on ^ creare difficoltà nei rapporti commerciali con i Genovesi, bensì parte di una serie di misure protezionistiche a favore dell industria milanese che proprio in quegli anni cominciava ad affermarsi . 46 Ancora nel 1625, quando l’industria serica era già in declino, venne co un nuovo privilegio ai consoli dell’Arte, ma non si trattava ormai che i un ^ ^ legio di carattere esclusivamente formale: quello di poter parlare davanti a oB . . . * j* ir a R r 94 r., NlQ’" al Consiglio degli Anziani stando seduti, invece che in piedi (eoa. o, gnifici consoli dei seateri si sentano in Senato sedendo). 47 A.S.G., Instructiones et relationes, 2707 B., n. 17, 18 luglio 1469. 48 «... Dicite Excellende Sue nos esse membrum suum sicut Lombardiam inter filios suos non solere a bonis patribus fieri differentiam, orateque clementiam Suam ne velit excludere nos a grege Suo, sed declarare ut panni siricei fabricati ap nos vendi in Mediolano possint, sicut qui facti sunt in Mediolano, deveto obstante. In quo singulari studio contendite » (Ibidem, 18 luglio 1469). 49 Nel 1457 Francesco I Sforza aveva promesso ai mercanti ed ai tessitori s^e rici che quando l’arte si fosse consolidata in Milano in modo da far lavorare continuo ottanta telai, avrebbe proibito la vendita al minuto di tessuti serici fore stieri. Nel 1460, essendo stato raggiunto il risultato richiesto, venne emanato per la prima volta il divieto, ribadito in seguito dai successori del Duca. In quello stesso anno si organizzarono in corporazione i tessitori di seta, seguiti l’anno dopo dai mercanti auroserici. Cfr. E. Verga, Il Comune di Milano e l'Arte della seta dal secolo decimoquinto al decimottavo, in « Annuario storico statistico del Comune di Milano », 1915, pp. XII-XVII e p. XL, e G. Barbieri, Origini del capitalismo lombardo, Milano, 1961, pp. 169-73. - 36 - Capitolo II I COMPONENTI E L’ORGANIZZAZIONE DELL’ARTE I rapporti fra i mereiai e i setaioli. Le varie attività ed i requisiti del setaiolo. -Evoluzione dell’organizzazione interna dell’Arte in funzione dello sviluppo dell’industria serica: l’istituzione dei quattro Protettori per vigilare su frodi e furti e dei subconsoli per dirimere le controversie fra seateri e lavoranti. La riforma del 1567. Osservazioni sul sistema di elezione degli organi direttivi della corporazione. - Le nuove cariche rispetto agli Statuti del 1432: l’assistente alla Camera, i sindaci, il notaio. La Camera della seta. - Un esempio di intervento della corporazione per la tutela dei suoi associati: i provvedimenti presi durante la pestilenza del 1579-80. Nei primi Statuti dell’Arte della seta fu dichiarato, « ad omnem dubitationem et contentionem tollendam », che l’arte stessa consisteva non solo « in jaciendo construi ac laborari pannos sericos et alia queque ad eam artem spectantia », ma anche « de eisque negotiando, emendo, vendendo et seu aliter alienando ». Possiamo quindi affermare che i setaioli erano ad un tempo mercanti e imprenditori, e che la loro attività economica deve essere esaminata in un duplice campo d’azione Da un lato, infatti, essi costituivano un ramo dell’Arte dei mereiai che, avendo acquistato particolare importanza era riuscito ad ottenere un ordinamento indipendente 2. Fra le mercanzie di ogni sorta di cui prima 1 I componenti della nuova corporazione furono i “ setaioli ”, cioè i mercanti-imprenditori serici, e non i tessitori di seta, come sostiene L. T. Belgrano, op. cit., p. 203. Questi ultimi erano riuniti in una corporazione autonoma; potevano però, con talune limitazioni, iscriversi anche all’Arte della seta. Per una più dettagliata analisi della posizione giuridica delle varie componenti della manodopera dipendente dai setaioli, vedi parte II, cap. I. 2 « L’arte della seta hebbe nella città nostra i suoi principii assai deboli, secondo la natura di tutte le cose che s’introducon di nuovo, et perciò fu esser-citata in que’ primi tempi da merciari, i quali sotto la generalità dell’arte loro impiegata in ogni sorta di merci, dal che prendono la denominazione, comprendevano - 37 — curavano la compra-vendita, essi avevano scelto e concentrato nelle loro mani, secondo la concezione degli Statuti del 1432 3, il commercio interno e l’esportazione delle stoffe di seta, spesso intessute d’oro e d argento, e di tutte le seterie in generale. Avevano ottenuto inoltre, sottraendola ai mereiai, la giurisdizione sui filatori d’oro e d’argento4. con le altre i lavori di seta. Ma havendo questi con il corso del tempo atto mag giori avanzamenti, sì nella quantità come nella varietà e stima, fu stimato per uono expediente il dividere queste due arti in corpi del tutto separati con assignare a ciasched’una di esse, per togliere confusione et ovviare disordini, que o ^c e in ciasched’una havesse ad essercitarsi, et perciò sin dall’anno 1432... »• [A.S.G., rtium, fi. n. 161, Relazione sull’origine dell’arte della seta in Genova, 11 giugno 1 relazione continua illustrando i rapporti ed i contrasti fra le due corporazioni. 3 I mereiai cercarono invano di opporsi allo smembramento della loro cor porazione. L’azione che i setaioli dovettero svolgere per ottenere 1 autonomia lunga e laboriosa: sappiamo che i primi capitoli che istituivano la nuova e della seta erano stati presentati fin dal 1428 (il riconoscimento avvenne ne Contro di essi presentarono ricorsi i mereiai, che dichiararono che le nuove norme « ... fuisse tyrannice interpretata., cum obligent multos ne vivant eo ministerio manuum suarum, quod exercere soliti sunt; atque ita subiaceant potentibus pauperes horum vita in manu illorum reposita videatur... ». L’opposizione dei mereiai n sortì alcun effetto e il 1° ottobre 1433, quando vennero ricompilati i loro tatuti, venne aggiunto un capitolo sotto la rubrica « Quod merceriorum Ars sit separat ab Arte seapteriorum et etiam contra », nel quale si specificava « Quia hinc retto seapterii vixerint sub eisdem consulibus cum merceriis, ad tollendam omnem tationem, statuerunt et ordinaverunt quod Ars seapteriorum sit et esse inte lga ^ totaliter separata ab hodierna die in antea ab Arte merceriorum etiam quo a luris dictionem... ». II 19 settembre 1452, quando vennero riformati gli Statuti dei mer dai, la parte relativa ai rapporti con i setaioli rimase invariata. Cfr. Statuta Artium merciariorum et corrigiariorum Genue ex vetustis exemplaribus in unum co ec , additis separatim quam plurimis sententiis, provisionibus ac decretis diversorum Magistratuum, ms. B.C.B., segn. m.r. III, 4, 6, sec. XVIII, pp. 1-2, 29, 51 ss., n questo ms. sono riportate le copie di alcuni documenti relativi ai contrasti fra mer dai e setaioli nel periodo che precedette l’autonomia. 4 « ... quodque de cetero mercerii nullam iurisdictionem habeant in filatores seu filatrices auri vel argenti, nec in levantes ipsum aurum vel argentum filatum m canonis vel spoletis, nisi sit falsificatum aut non bene compositum seu levatum vel filatum contra, vel preter ordines: quo casu illud possit denunciare et intimare Magistratui predicto, qui contra tales procedere possit iustitia mediante » (Statuta Artium merciariorum et corrigiariorum, cit., p. 30). Nel 1433, peraltro, in seguito alle lamentele delle “filatrici e levatrici dell’oro filato”, una commissione appositamente nominata propose di dare a questa categoria una maggiore autonomia « quod nobis durum et irracionabile videtur ipsas levatrices et filatrices esse suppo- - 38 - I rapporti coi mereiai, però, continuarono ad essere sempre piuttosto difficili5, poiché le due categorie, nonostante la separazione, finivano molto spesso per vendere le stesse cose 6. Le discordie e le controversie furono frequenti, e vennero rese ancora più gravi dal fatto che i mereiai riuscivano facilmente a farsi immatricolare anche nell’Arte della seta 7. sitas et subiectas dictis seateriis... cum hec ars filandi et levandi aurum et argentum filatum sit longe magis antiqua in hac civitate quam ars seateriorum et prevaleat multo magis aurum et argentum positum in ipsorum laborerio argenti et auri filari quam septa que in ipso laborerio fonditur... ». II parere, però, non venne accolto e il capitolo proposto dalla commissione — che prevedeva controlli sull’operato delle filatrici solo da parte delTOfficio della Mercanzia per tutelare l’arte e la bontà del prodotto — non venne promulgato (A.S.G., Artium, B. n. 176, fase. n. 35). 5 Allo scopo di risolvere con rapidità le controversie fra setaioli e mereiai venne stabilito in un apposito capitolo « Per quos terminari debeat differentia vertens inter seapterium et mercerium », che ogni contrasto « ... cognoscatur et decidatur per consules utriusque Artis, seu per duos deputandos ab eisdem consulibus ». Era ammessa la possibilità di appello solo se l’ammenda superava le quindici lire (Statuta Artium merciariorum et corrigiariorum, cit., pp. 12-13 e p. 56). 6 I mereiai potevano vendere un notevolissimo numero di cose, di cui però non esisteva nei loro Statuti un elenco dettagliato. Per questa ragione essi furono continuamente in contrasto non solo con i setaioli, ma con numerose altre corpo-razioni cittadine, accusandole o venendo accusati di aver venduto merci che esulavano dalla loro competenza. La seconda parte degli Statuti (Statuta Artium merciariorum et corrigiariorum, cit.), contiene la raccolta delle « Sententiae, provisiones et decreta diversorum Magistratuum Serenissime Reipublicae Genuensis pro Artibus merciariorum et corrigiariorum: la maggior parte delle cause concerne proprio conflitti di competenza. Una delle più aspre è quella con gli stessi “ correggiarii ”, terminata nel 1441 con la « Declaratione mercium ad utramque artium respective pertinentium» (pp. 1-3); nel 1465 è la volta dei "Berrettinari " (pp. 10-18); nel 1466 abbiamo una sentenza fra i mereiai e i fabbri ferrai (pp. 18-22); nel 1508 sorse invece una grossa lite con i « consules clavoneriorum », poiché ambedue le corpo-razioni rivendicavano l’esclusiva della vendita di « clavaturas et claves » (pp. 25-38); nel 1513 è il turno dei “ coltellieri ” (pp. 38-42). Potenziali concorrenti dei mereiai erano poi i “ vagabondi ”, cioè coloro che andavano a vendere per le strade della città, senza pagare l’immatricolazione in nessuna delle Arti. Contro di essi ottennero che venisse emanata dalle autorità cittadine una « Lista delle merci che possono essere dalli vagabondi fabricate e vendute in loci, et somme concesse » (A.S.C.G., Magistrato dei Padri del Comune, Atti, fi. n. 2, 1439-1598, doc. n. 64, 1571, maggio 28). 7 Nel 1474 Francesco Durazzo, dichiarandosi mereiaio, protestò di fronte ai Sindicatori contro i consoli dei setaioli, che, « indebite et iniuste », gli avevano sequestrato una certa quantità di seta e di nastri. Costretto dai consoli ad ammet- — 39 — Nel 1463 si cercò di ovviare in parte a questa situazione con la compilazione di tre capitoli, comuni alle due Arti8 e contenenti disposizioni più precise. I seateri ottennero la facoltà di comperare e vendere, oltre alle merci seriche, anche fustagni all’ingrosso e al minuto, coralli, ambre, paternostri, pettini d’avorio, tele, copriletti, biancheria, bocassini, pellicce di vaio e moggia9. Ogni altra cosa indebitamente trovata nelle botteghe sarebbe stata sequestrata 10. Da parte loro i mereiai avrebbero potuto acquistare seta e argento filato per confezionare cinture, cordelle, frange, borse, nastri, gonne di seta, e venderle in concorrenza coi setaioli". Furono tuttavia stabilite alcune tere di essere setaiolo oltre che mereiaio, poiché contro le sentenze dei consoli del l’Arte della seta, fino a 50 lire, non vi era possibilità di appello, fu obbligato a sottoporsi alle loro decisioni. Egli aveva sperato di sottrarsi alle pene della corporazione dei setaioli, più severe di quelle dei mereiai (Cod. A, cc. 81 v. - 82 v., Sindicatores incompétentes, stantibus capitulis artis sete. Et quod consules potuerunt capi facere setam et frexetos a persona que non est de arte). L’essere iscritto a due corporazioni contemporaneamente non era una cosa eccezionale: abbiamo notizia, ad esempio, anche di un certo Pietro Morino che nel 1571 era iscritto sia all’Arte dei cdzodi, sia a quella dei drappieri (A.S.C.G., Atti dei Padri del Comune, cit., fi. n. 2). e 1650 l’esercizio contemporaneo delle due Arti ai setaioli e ai mereiai venne peroproibito (Cod. B, c. 162, e Statuta merciariorum et corrigiariorum, cit., p.te II, P- > decreto 9 marzo 1650). 8 I tre capitoli sono riportati in identica stesura nel « Liber secundus decre. torum » dell’Arte della seta e negli Statuti dei mereiai (Cod. A, cc. 42 r. - 43 v. e Statuta Artium merciariorum et corrigiariorum, cit., pp. 23-29). 9 « Moggia » (o « mogia » o « sarza »): specie di tessuto. Cfr. G. Rossi, Glossano Medioevale ligure, Torino, 1898, p. 67 (dell’estratto). 10 « ... ordinaverunt quod seapteriis, non obstantibus suprascriptis, liceat et licitum sit, ultra pertinentia et proprie spectancia ad ipsorum artem, emere, vendere ac emi et vendi facere fustaneos in grossum et ad minutum, coralos, ambras, pater noster, pectines elephantis, tellam, sarzam, coprilectos et bancherias, bocasinos, vay-res et mogias, ac de ipsis rebus mercari, negociari et apothecam tenere, ita tamen quod, ultra suprascripta, non liceat nec licitum sit dictis seapteriis sese impedire, nec aliqualiter intromittere de pertinentibus ad artem merceriorum, sub penis amissionis rei in qua contrafactum reperiretur, et librarum decem ianuinorum, pro quolibet et qualibet vice, applicanda arti merceriorum » (Cod. A, c. 42 r., Quod seapteriis non liceat se aliqualiter intromittere de pertinentibus ad artem merceriorum, nec unquam merzariilsl de pertinentibus ad artem seapteriorum, nisi prout infra). 11 « ... et versa vice, non obstantibus capitulis seapteriorum, liceat et licitum sit merceriis vendere et emere quamlibet septam, aurum et argentum filatum pr» infrascriptis rebus neccessariam et neccessarium, ac de ipsa vel de ipso facere seu -40- restrizioni: i mereiai avrebbero dovuto denunciare, sotto giuramento, ai consoli dell’arte serica, ogni quantitativo di seta acquistata, e rendere conto con precisione del suo uso 12; gravi sanzioni pecuniarie erano previste per il mereiaio che acquistasse seta rubata 13; ai consoli dei setaioli venne data l’autorità di effettuare perquisizioni nelle botteghe dei mereiai14 fieri facere cordelas, cinctos, franzias seu fenogetos, de septa tantum vel mixtum de septa et auro vel argento, bursas cuiuslibet maneriei, cavelerias, strigionas, veteres raubas seu gonas sericas veteres, ac emere et vendere fustaneos, telam, sarzam, copri-lectos et bancherias, bocassinos, in grossum vel ad minutum, vayres, mogias, coralos, ambras, pater noster, pectines elephantis, et omnia alia hinc retro consueta per eos exerceri virtute suorum capitulorum, ac de ipsis rebus et qualibet earum emere, vendere, negociari, mercari et apothecam de ipsis et qualibet earum tenere, nec non emere a dictis seapteriis drapos sericos vel imbrocatos auro vel argento, ad retalium, ac de ipsis bursas facere et fieri facere, ac ipsas vendere et de ipsis apotecham tenere ut supra ». La multa, dello stesso ammontare della precedente, era questa volta stabilita a favore dell’Arte della seta (Cod. A, c. 42 r. e v.). 12 « Quod mercerii infra certum tempus teneantur consulibus seapteriorum in scriptis dare omnem quantitatem septe laborate vel non que penes se haberent » (Cod. A, c. 43 r.). Il provvedimento venne reso più duro stabilendo la confisca dei prodotti serici e una multa da cinque a cinquanta ducati per i mereiai che non si fossero attenuti a questa disposizione. 13 Cod. A., cc. 42 v. e 43 r.: De ordine servando per mersarios in pertinentibus proprie ad artem seapteriorum sibi concessis ut supra, et de pena contrafaci entium ac scienter ementium septam furtivam vel baratatam-. « ... Si vero aliquis de dicta arte merceriorum scienter emerit, vel alio quovis modo acquisierit, per se vel interpositam personam, aliquam quantitatem septe, laborate vel non laborate, que furtiva sit aut baratata, condemnetur et condemnari debeat per eorum con-sulles a soldis vigintiquinque usque in libras decem ianuinorum, arbitrio consulum, considerata facti qualitate et quantitate, et ultra privetur et privatus sit et esse inteligatur, ipso iure et facto, perpetuo, quod non possit nec valeat emere, vendere nec aliqualiter se intromittere, per se vel per alium, de pertinentibus et spectantibus proprie ad ipsam artem seapteriorum supra specificatis, et ultra sub pena perdendi ac restituendi talem septam, furtivam vel baratatam, domino illius cuius erat, absque aliqua precii restitutione... ». 14 « ... consulles seapteriorum, cum consulibus merceriorum, possint et valeant perquirere diligenter in domibus et apotechis singulorum merceriorum si fuerit con-trafactum in premissis, et consulles merceriorum teneantur ire cum suprascriptis consulibus seapteriorum ad omnem ipsorum requisitionem, sub pena soldorum vi-ginti usque in centum ianuinorum, pro quolibet et qualibet vice, arbitrio consulum seapteriorum, de qua stetur iuramento consulum seapteriorum, et etiam sub pena florenorum decem usque in quinquaginta ianuinorum, pro quolibet recusante ne in eius domo vel apotheca perquiratur... » (Cod. A, c. 43 v.). — 41 — per controllare che tutta la seta posseduta, e in particolare quella di colore cremisi, fosse stata denunciata 15. . Il setaiolo (« seaterius ») era fondamentalmente un commerciante al-l’ingrosso, per lo più orientato verso il commercio di esportazione, ma nella « volta » o bottega che era al centro delle sue attività gl era sentito anche l’esercizio di un commercio al dettaglio , che P^° PP ]7 sentava — di regola — solo una parte limitata del suo giro 15 I mereiai non furono gli unici mercanti coi quali, svolgen o ^ ^ lari, i setaioli ebbero motivi di attrito. Abbiamo infatti, nel 1463, una^, traversia anche coi « corregiarii », a proposito di una certa ^uant’j3 etaj0j0 cuoio con ornamenti di seta e oro filato, sequestrate a Paolo di a e a^ ^ _ consoli dei cuoiai. Mentre questi sostenevano, sulla base dei oro cap , ^ setaioli non avevano diritto di venderle, la sentenza di secondo ®ra^°gj. gtatut; catori riconobbe invece questo diritto ai componenti 1 Arte della seta. ^ ^ ad essa concessi le attribuivano, infatti, il monopolio dei lavori di seta, c ^ cum sive septam, quovis modo laboratam, omnem laborerium cons|^.^ existat septa cum auro vel argento aut sine, cuiuscumque conditionis seu qua ìt et quovis nomine nuncupatur, aurum filatum, argentum filatum, omnem jafoore.. de auro vel argento filato seu mixtum fabricatum sive constructum, omn^ rium cum septa mixtum et omne aliud quod usitatum fuit et est omini artis, ... non obstantibus quibuscumque aliis capitulis, ordinibus, statutis namentis, tam privatis quam publicis » (Cod. A, cc. 38 r. - 41 v., Sententia rum Sindicatorum ad favorem artis sete contra corregiarios). 16 Un apposito capitolo degli Statuti del 1432 stabiliva, infatti, che egli po ^ vendere al minuto la seta e i prodotti serici che aveva nella bottega facen osi esclusivamente dai suoi familiari: Quod nullus de arte possit facere ven i o r nisi per personam de sua familia. Per quanto concerne la definizione e av ^ al minuto, troviamo stabilito negli Statuti dei mereiai (ed è probabile quin 1 ^ norma valesse anche per i seateri) che « ... intelligatur ad minutum vendere, si v ^ ^ tur per aliquem civem Ianue, pro minori quantitate valoris librarum quinque si una venditione; si autem vendatur per aliquem forensem, vel alienigenam, quam m ^ quantitate librarum quindecim... » (Statuta Artium merciariorum et corrigiariorum, c > p. 80, decreto 11 febbraio 1462). 17 Questo non significa che al compratore al dettaglio non fossero dedicate part1 colari attenzioni. Per attirarli, erano disposti «tavolati, banchi, mostre, staffe, cavig e, sgabelli, banchetti..., fuori delli limiti di esse botteghe», sui quali venivano esposti 1 prodotti in vendita. Nel 1581, il 23 maggio (A.S.C.G., Atti dei Padri del Comune, cit., fi. n. 38, doc. n. 32), venne ordinato a tutti gli « artefici e bottegari » (Decreto contro chi mette in mostra le cose fuori dalle botteghe) di trasportare ogni loro cosa e merce dentro « delli limiti di esse botteghe... talché non posseno sporgere fuori di esse loro botteghe in cosa alcuna », poiché le strade della città, già strette per natura, ne risultavano eccessivamente impedite. Il 28 giugno venne ulteriormente specificato che — 42 - Alla figura del commerciante il setaiolo affiancava però anche quella dell’imprenditore che aveva sotto controllo tutto il processo produttivo dei tessuti di seta nelle sue singole fasi, organizzato in un sistema di tipo do-mestico-industriale. Anche in questo caso, la bottega rappresentava il punto di convergenza e di fusione delle attività svolte dalle componenti artigiane a lui collegate. Filatori, tintori e tessitori18 ricevevano la materia prima (seta, coloranti, etc.) acquistata dal setaiolo, o il semilavorato; dopo aver svolto il loro compito a domicilio, riconsegnavano il prodotto finito o il tessuto che aveva subito una prima lavorazione, riscuotendo un compenso per l’opera prestata. Sui filatori sappiamo poco: nel XV secolo ci appaiono come dei salariati completamente dipendenti dal setaiolo 19 ; i tessitori possono considerarsi artigiani, retribuiti con un tanto per pezza di tessuto, secondo la qualità e la lunghezza. Il loro lavoro, altamente qualificato, era svolto a domicilio, ma conosceva notevoli limitazioni quanto ad autonomia, dal momento che, per gli Statuti del 1432, i tessitori erano obbligati, anche dovevano essere demoliti « etiam tabulata coperta ab cuvis seu tegulis ». Anche in questo caso fu riservato un trattamento particolare ai setaioli. Il 25 settembre 1582, in un «Decreto per li Toscani», venne deliberato « ... ipsis supplicantibus licentiam apperiendi fenestras vulgo noncupatas mostre, existentes supra eorum apothecas », in deroga a quanto sancito nei confronti degli altri artigiani l’anno precedente. I setaioli avevano, del resto, difeso energicamente questo loro diritto, anche perchè chiedevano il permesso di aprire delle “ mostre ” con le quali si voleva cercare di porre rimedio alle condizioni disagevoli e malsane in cui si trovavano spesso le “ volte ” e le 11 boteghe " (« ... le quali non hanno altra differenza se no’ che le boteghe stanno aperte con le mostre più alte da terra e le volte stanno chiuse con le mostre più basse e con maggior larghezza nelle strade... »). Essi lamentavano che, nel periodo in cui si era cercato di osservare il decreto del 1581, era accaduto che «... oltre il non haver potuto lavorare con debita luce, hanno avuto i loro lavori pieni di muffa e guasti dal star troppo rinchiusi... ». Le mostre erano quindi una necessità « per chè oltra la luce che necessariamente si richiede discendere a quel modo, per la qualità dei lavori è anche necessario che da quelle aperture a quel modo alte exalino e si purghino quelli humori et aere che guasterebbero tanti panni, massime di colore, e sete che vi si manegiano... » (A.S.C.G., Atti dei Padri del Comune, cit., fi. n. 39, doc. n. 116, e C. Desimoni, Statuto dei Padri del Comune della Repubblica genovese, Genova, 1885, p. 331). 18 La successione non è arbitraria, ma rispecchia il susseguirsi delle varie operazioni. Una volta ritorta, la seta veniva dal setaiolo passata al tintore: si tingeva, infatti, in accia (o matassa) e non in pezza. 19 Cfr. J. Heers, Gênes..., cit., pp. 243-45. se maestri, a lavorare soltanto per conto di imprenditoriz0. I tintori, come vedremo, godevano di una limitata indipendenza21. Materia prima e prodotto finito erano pertanto di proprietà del setaiolo, titolare della bottega o « volta da seta », mentre le varie operazioni venivano svolte da persone che lavoravano su ordinazione ed a domicilio. Da parte del setaiolo era attuato un attento controllo al momento della riconsegna. Il tempo che intercorreva fra l’acquisto della seta grezza e 1 ottenimento del prodotto finito poteva essere anche lungo (talvolta persino più di sei mesi), mentre gli operai che eseguivano le varie operazioni esigevano puntualmente le retribuzioni pattuite. Ciò comportava come requisito essenziale dell’imprenditore una notevole disponibilità di capitale. Gli altri requisiti indicati già negli Statuti del 1432, di fronte a questo, passano in seconda linea, anche se espressi in norme precise e rigorose. Per entrare nella corporazione era necessario un apprendistato di sei anni - e il pagamento di una tassa di una lira e cinque soldi; era possibile « comprare » PArte, cioè essere immatricolati pur non avendo servito un maestro, senza salario, per i prescritti sei anni, ma il prezzo era assai elevato: venti lire se si trattava di un cittadino genovese e trenta lire per gli stranieri, oltre ad un esame da sostenere davanti ai consoli e consi- 20 La figura dell’artigiano che lavorava nella sua bottega e vendeva direttamente ai consumatori era praticamente sconosciuta nella Genova del XV e XVI secolo, a meno che non si trattasse di attività che richiedessero una particolare abilità individuale, come per gli orafi, i sarti o i calzolai. A questo proposito, J. Heers (op. ult. cit., p. 218): « Les tisserands et tous les ouvriers du textile, des métaux, des papiers, tous ceux de la véritable industrie n’ont pas d’initiative économique: ils travaillent à la commande, sur une tâche que leur assigne le négociant ». 21 Sul problema della manodopera che lavorava per gli imprenditori, v. più ampiamente parte II, cap. I. 22 Solo verso la metà del XVI secolo troviamo alcuni casi di deroga: nel 1644, Carlo Borsotto venne ammesso all’Arte nonostante che mancassero più' di sei mesi allo scadere del periodo di apprendistato; nel 1645, Nicolò Bevilacqua, dopo aver servito in una bottega per tre anni e mezzo, chiese di essere ammesso all’Arte: in un primo tempo gli venne data una risposta negativa, ma in seguito venne immatricolato previa « solutionem dimidii eius quod solvere teneretur artem ipsam per emptionem ingrediendo » (A.S.C.G., Arte della seta, cit., H. n. 603). — 44 - glieriB. I figli dei maestri erano esenti sia dalla tassa sia dall’apprendistato. Gli stranieri però non acquistavano il diritto di votare per la elezione dei consoli se non sei anni dopo l’immatricolazione. Queste condizioni, assai gravose verso gli stranieri, che costituivano una eccezione allo spirito genovese, largo e liberale nei loro confronti, confermano il carattere chiuso della corporazione. Il fatto poi che ai figli dei maestri venissero riservate così ampie agevolazioni rendeva l’appartenenza all’Arte quasi un diritto ereditario. Conformemente a questo indirizzo, nel 1529, i Dodici Riformatori, benché tendenzialmente ispirati, nel complesso della loro attività, a princìpi di libertà nell’esercizio delle Arti, stabilirono che « non sia alchuno jorestero quale possa exercere nè fare l’arte della septa in Genoa, salvo se vegnirà ad habitare in quella, e di essa facto citadino » 24. A capo della corporazione stavano, secondo i primi Statuti del 1432, due consoli e sei consiglieri, coadiuvati da un massaro, eletti per un anno il giorno della vigilia della festa dei Santi Simone e Giuda, e scelti fra un gruppo di candidati proposti dall’autorità uscente: nell’attribuzione delle cariche vigeva cioè, fin dall’inizio, un sistema di elezione che non permetteva l’inserimento di elementi appartenenti ad un eventuale gruppo di opposizione. I consoli usciti di carica rimanevano consiglieri per l’anno successivo 25. Numerosi capitoli degli Statuti del 1432 riguardavano poi il giuramento che doveva essere prestato da parte dei consoli, le spese che erano 23 Alla metà del Seicento queste tariffe risultano notevolmente aumentate. Il 23 luglio 1643 venne infatti decretato che ogni figlio di setaiolo dovesse pagare, per l’immatricolazione nell’Arte, 25 lire di moneta corrente; chi l’aveva « imparata secondo le forme dei capitoli, senza essere figlio di seatero », lire 100 di moneta corrente; chi la voleva “comprare”, 100 scudi d’argento (A.S.C.G., Arte della seta, cit., fi. n. 604). Non sappiamo quali siano state le modificazioni intermedie. 24 Cod. A, c. 223 v. e c. 226 v. 25 I consoli erano affiancati da due « tarezatores et cannatores », eletti dal-l’Officio della Mercanzia, sentito il parere dei consoli, che avevano mansioni di carattere tecnico e di consulenza per le questioni più strettamente inerenti ai sistemi di lavorazione. - 45 — autorizzati ad effettuare, il modo in cui dovevano rendere conto del loro operato allo scadere della carica. Si tratta di principi che non presentano caratteri particolari, ma ricalcano semplicemente un sistema organizzativo pressoché comune a tutte le corporazioni26. Notevole importanza riveste invece lo studio delle successive modificazioni delle prime norme che regolarono la corporazione, poiché ci permette di mettere in rilievo il processo di adattamento della struttura organizzativa interna dell’Arte alle nuove esigenze che man mano si presentavano e divenivano pressanti. I mutamenti avvennero a ritmo particolarmente intenso nel corso del secolo XVI. Fin dal 1492 però i consoli e i consiglieri sentirono il bisogno di essere coadiuvati nelle loro funzioni, allo scopo di « diligenter gubernandi dictam artem », da un organo che li sollevasse dall impegnativo onere della vigilanza e del controllo delle frodi e dei furti commessi dai lavoranti e, in particolare, dalle maestre che si dedicavano alla incannatura e alla trattura della seta nella Val Polcevera27. Vennero a tale scopo scelti quattro componenti la corporazione, « viri bone fame et probate vite » 2S> che presero il nome di Quattro Vrotettori. A questa magistratura fu devoluta una considerevole competenza giurisdizionale che si esplicava nella facoltà di infliggere agli artigiani colpevoli pene pecuniarie, fino all’ammontare di 100 ducati, attraverso sentenze sottratte ad ogni grado di appello s. 26 Per 1 inquadramento generale e la bibliografia essenziale (anche su studi particolari, a carattere locale), v. A. Fanfani, Storia del lavoro..., cit., pp. 167-311. 27 «... nam ab aliquo tempore citra reperiuntur quam plures magistre Pulcifere et aliorum locorum, in districtu Ianue habitantes, quibus ipsi seapterii setam suam extrahendam committunt, et tamen vel setam ipsam furantur, vel quam plures fraudes in ipsam setam committunt,... alii manifacturerii qui huiusmodi fraudes aliquando maiores, aliquando minores, in seta ipsorum seateriorum committunt... » (Cod. A, cc. 116 v. -117v., Balia quatuor Protectorum). 28 Cod. A, c. 116 v. 29 « ... et quibus quatuor elligendis attributa sit omnimoda iurisdictio, balia ac potestas puniendi, constringendi quemcumque seaterium contrafacientem in mandatis ipsorum, in ducatis decem usque in centum, in eorum arbitrio, totiens per sea-terios vel per aliquem ex ipsis fuerit contrafactum mandatis ipsorum quatuor deputandorum ut supra... et habeant amplissimam baliam in predictis et circa predicta, ac in dependentibus ab eis, et quod possint exequi, dicti quatuor elligendi, quicquid per ipsos ordinatum fuerit in predictis et circa predicta, et quod ab eorum ordinationibus fiendis circa predicta non possit appellari, reclamari, recursum haberi, nec - 46 - Dal momento che il fenomeno delle frodi e dei furti costituiva uno dei problemi praticamente più rilevanti per gli iscritti all’Arte e dava luogo a controversie frequenti e di non agevole soluzione, i Protettori acquistarono all’interno della corporazione un’importanza sempre maggiore30. Specialmente nel XVII secolo, abbiamo un notevole numero di proclami ed editti emanati in loro nome. Nel 1537, inoltre, venne stabilito che, ogni qual volta i consoli e il consiglio non fossero riusciti a mettersi d’accordo nella soluzione di una controversia o nel prendere una decisione qualsiasi, « adiungantur quatuor Protectores »31. In questo caso, ogni deliberazione avrebbe dovuto ottenere una maggioranza non inferiore ai due terzi dei votanti32. ad Dominos Sindicatores nec ad aliquem quemvis Magistratum civitatis Ianue, et quod in ordinationibus flendis suis possint procedere sine aliquo processu, servatis et non servatis capitulis Ianue, oretenus et sive inscriptis... » (Cod. A, c. 117 r., Balia quatuor Protectorum). 30 II potere dei quattro protettori e l’espandersi progressivo della loro sfera d’influenza provocò reazioni negative specialmente da parte dei tessitori che denunciarono i consoli dell’Arte della seta davanti al Governatore e agli Anziani. La giurisdizione esclusiva concessa ai quattro protettori ed il loro compito ispettivo erano infatti considerati come una provocazione dai tessitori che svolgevano una parte della loro attività in modo autonomo, sui quali si sarebbe accentuata la pressione di questi nuovi organi della corporazione. Agostino Adorno non ritenne che sussistessero i presupposti per una revoca del decreto, ma si riservò la facoltà di prendere dei provvedimenti « quotiens aliquid per seaterios contra textores novaretur requisitioni dictorum textorum... » (Cod. A, cc. 125 r. -127 r., Requisitio textorum contra baliam 4 Protectorum, super qua requisitione nihil provisum). L’attività dei quattro protettori, peraltro, continuò nei secoli seguenti senza che la loro “balia” subisse delle limitazioni. 31 «... ubicumque orta fuerit vel esse continget controversia inter dictos consules et consiliarios, in expeditionibus causarum et negociorum quas et que coram eis agi continget, et non conveniat numerus requisitus ad eandem determinationem, quod tunc adiungantur ipsis quatuor deputati protetores, et quod per maiorem partem ipsorum omnium decretum et deliberatum fuerit, valea(n)t et tenea(n)t et vim obtineat iudicati, ac si per legitimum numerum eorundem consulum et consiliariorum foret iudicatum, non obstantibus » (Cod. A, cc. 245 r. - 246 v., Quando consules et consiliarii sunt in aliquo discordes, adiungantur quatuor protectores). 32 ... quod quicquid deliberatum fuerit per duas tercias partes dictorum consulum, consiliariorum ac proptetorum valeat et teneat et non aliter, et qui prop-tectores, quando vocati fuerint et dabunt iudicia eorum, procedere debeant sub illis modis et formis prout dicti consules et consiliarii hactenus processerunt, nihil ob-stante » (Cod. A, cc. 245 v. - 246 r.). - 47 — La rinuncia da parte dei consoli ad una quota delle proprie funzioni e prerogative a favore dei Protettori, non fu però sufficiente ad assicurare all’Arte snellezza e funzionalità, in quanto il continuo sviluppo dell’attività serica comportava un conseguente aumento dell’attività amministrativa, a cui gli organi della corporazione si mostravano sempre più inadeguati33. Nel 1517, Governatore ed Anziani autorizzarono quindi l’Arte a delegare a due « subconsoli », da eleggere annualmente, una parte delle atribuzioni dei consoli ed, in particolare, la cognizione e la soluzione delle liti e delle controversie fra seateri e lavoranti, fino alla concorrenza di cinque lire di valore e una libbra di seta in peso M. Entro questi limiti, i nuovi magistrati avevano la stessa autorità35 dei consoli, la facoltà di agire in modo informale, cioè « summarie, de plano, sine strepitu et figura iu-dicii », non potevano rifiutare la carica a meno di pagare una multa da venticinque a cinquanta ducati. Un altro riflesso negativo per l’organizzazione dell’Arte derivante sempre dal processo di espansione dell’industria, si coglie in un decreto del 1519, che rispecchia le difficoltà sempre crescenti incontrate dall Arte nella composizione delle proprie magistrature, anche al livello più alto, cioè nella elezione dei consoli. Anche se, già nel 1466, l’ammenda per coloro che rifiutavano la carica, era stata portata da dieci ducati (come stabilivano gli Statuti del 1432) ad una somma oscillante fra i venticinque e 33 « Verum quia dieta ars est multum aucta, ita ut ipsi seapterii sint in maximo numero et pariter manufacturérii, ac in multo et multo maiori quam essent retroactis temporibus, et ultra malicie et differende et lites sunt plures quam sunt solite... » (Cod. A, c. 195 r., decreto 25 ottobre 1517). 34 «... elegerunt duos de dicta arte cum ordine elegendi annuatim alios duos cum balia terminandi omnes littes et differentias, que decetero inter predictos vertentur, usque in summam librarum quinque inclusive et unius libre septe in pondere... » (Cod. A, c. 195 r., Bailia subconsolum). 35 «... attribuere dictis duobus ellectis et elligendis illammet iurisdictionem quam habent ipsi consules, et hoc usque in dictam summam librarum quinque et libre unius septe, ita ut possint cognoscere et terminare littes antedictas per eorum sententias, et illas exequi facere summarie, de plano, sine strepitu et figura iudicii, iuris et capitolorum Ianue ordine servato et non servato et secundum et prout dictis consulibus videbitur, et secundum eorum puras conscientias, et quod contra eorum sententias non possit opponi de nullitate nec de excessu nec ab illis possit reclamari vel appellari aliquo modo, nec ad quemvis magistratum, sed dicte sententie pro validis ab omnibus reputentur, secundum et prout reputantur sententie ipsorum consulum... » (Cod. A, c. 195 r. e v.). — 48 - i cinquanta ducatix, i rappresentanti della corporazione dovevano lamentare che « omnes seapteriì recusant et fugiunt dicta officia »31. In effetti, l’attività dei consoli era diventata talmente impegnativa « ut fere singulis diebus in dictis officiis interesse habuerunt necesse » 38. I consoli erano costretti, per occuparsi dell’Arte, a trascurare quasi completamente gli impegni personali e la bottega, con grave danno per i loro affari e senza alcun vantaggio che li compensasse. Per di più, il silenzio dei capitoli in merito a retribuzioni per gli “ ufficiali " dell’ Arte stessa, autorizza a ritenere che la carica di console fosse essenzialmente onorifica 39 oltre che particolarmente onerosa. Per ovviare a questi inconvenienti, l’assemblea dei setaioli chiese ed ottenne il 21 ottobre 1519 dalle autorità cittadine che la durata del consolato fosse ridotta a sei mesi. La stessa decisione venne presa nei confronti dei consiglieri40. La riduzione del periodo di tempo in cui gli organi direttivi della corporazione rimanevano in carica41 fu solo il primo passo di una riforma 36 Cod. A, c. 73 v., De non recusando consulatum. 37 Cod. A, c. 204 r. 38 Cod. A, c. 204 r. 39 Solo alla fine del Cinquecento e nel Seicento — come vedremo in seguito_ abbiamo qualche cenno di retribuzione agli organi amministrativi dell’Arte. Da alcuni bilanci dell’Arte genovese dei tessitori di seta dal 1559 al 1565 risulta invece che già in quegli anni i tessitori stanziavano annualmente oltre a Lire 18 « per lo salario del notaio » anche Lire 40 o 35 « per li salari delli consoli », somme peraltro assai modeste (A.S.G., Senato, Atti, £1. n. 1352, docc. 448-49). In altre città questi provvedimenti furono presi in modo più chiaro anche in epoche notevolmente anteriori: cosi a Venezia, dove già lo Statuto del 1488 dell’Arte dei tessitori di seta prevedeva il pagamento dei vari funzionari della corporazione. Cfr. R. Broglio D’A.tano, L’industria della seta a Venezia, in «Storia dell’economia italiana...» cit., p. 246. 40 Cod. A, cc. 203 v. - 204 r., Consules et consiliarii eligantur per menses sex et non possint recusare, sub pena ducatorum quinquaginta. Non venne invece accolta la proposta dell’Arte di elevare a cento ducati l’ammenda per coloro che rifiutavano il consolato. 41 Ai consoli era concessa la possibilità di terminare i giudizi e le cause che avevano intrapreso durante il consolato. Poiché, infatti, gli Statuti del 1432 non dettavano alcuna norma al riguardo, era stato necessario nel 1441 aggiungere un apposito capitolo agli Statuti. In esso erano dati due mesi di tempo ai consoli scaduti dalla carica per definire le questioni ancora in sospeso e per riscuotere i crediti o pagare i debiti imputabili al periodo del loro consolato. Se non riuscivano, erano mul- - 49 — 4 più ampia che nel 1567 mutò completamente quanto stabilivano i primi Statuti dell’Arte serica riguardo al numero dei consoli, al procedimento della loro elezione, ai criteri che dovevano essere seguiti, in caso di necessità, per sostituire uno o più di essi o dei consiglieri. Non dobbiamo infatti dimenticare che alla metà del XVI secolo l’espansione dell industria della seta era nella sua fase più felice: l’organizzazione interna della corporazione doveva in un certo senso mantenersi alla pari coi tempi. Secondo una felice espressione dei consoli « statuta humana variari debeant secun dum varietatem temporum » a. II 6 giugno 1567 il numero dei consoli venne portato a tre43, con un provvedimento del tutto singolare, dovuto appunto alla particolare posi zione di primo piano raggiunta dall’Arte della seta nell economia della Repubblica genovese44 e alla notevole forza contrattuale della corpora zione nei confronti dei poteri pubblici. tati di dieci fiorini (Cod. A, c. 26 v., Quod consules veteres teneantur definire causas coram eis inceptas et exigere debitores ut infra). Vedi Appendice, I. 42 Cod. A, c. 203 v. 43 I rappresentanti dell’Arte ottennero questo provvedimento dalle autonta politiche facendo presente che « li negocii e facende di detta arte » erano ormai auE^ tati al punto che « li doi Magnifici Consoli, ancora che di continuo, con mo ta ^ genza, invigilino circa li affari di detta arte, non possono però, soprapressi e sopra atti dalla moltitudine delli negocii, a tutto provedere...». Chiesero pertanto di sta i re che «... si debbino creare tre consuli di detta arte con la medesima possanza e a la ch’è concessa aili doi, e con facoltà che duo di loro possino far come se fussero tutti tre congionti, perchè in questa maniera potranno sempre attendere, o tutti tre, o, quando alcuno di loro sia impedito, li altri doi, aili negocii et afari di detta arte... » (Cod. B, c. 6 r., Il magistrato de’ Magnifici Consoli sia in numero di tre). 44 Anche nell’Arte dei tessitori di seta i consoli furono, almeno a partire dal 1531 (Cod. C, c. 80), in numero di tre. Questo fatto può essere spiegato però dal regime di specializzazione che caratterizzava questa Arte, per cui era inevitabile che venissero rappresentate le varie categorie di tessitori. Nella seconda meta del Cinque cento i consoli dei tessitori di seta a Genova erano eletti con un criterio che potremmo definire “topografico”, poiché all’elezione partecipava solo una selezione degli immatricolati nell’Arte composta da artigiani di quattro quartieri cittadini: « de Predo, Marine, Molis et Portone». In tutto ventiquattro persone, sei per quartiere, scelte con un procedimento alquanto laborioso (vedi nota 57). Le dieci persone da eleggere (tre consoli, sei consiglieri e un massaro) dovevano però essere così ripartite: un rappresentante dei tessitori di taffettà, tre dei tessitori di raso e ben cinque rappresentanti di tessitori di camocati (A.S.C.G., Atti dei Padri del Comune, cit., fi. n. 34, docc. nn. 75, 80, 81). Nei secoli seguenti la divisione dell’Arte fra le diverse specia- - 50 - I setaioli stessi si resero però presto conto di come l’attività di tre consoli e di un consiglio il cui mandato scadeva ogni sei mesi non desse sufficienti garanzie di uniformità e di continuità. Per questa ragione, pochi mesi più tardi, il 15 settembre dello stesso anno, gli Statuti vennero — una volta di più — riformati, ritornando al mandato annuale, ma introducendo il correttivo di una elezione parziale di un console e di due consiglieri alla scadenza di ogni quattro mesi. Istituendo questo sistema di rotazione nelle cariche (un console su tre e due consiglieri su sei) si attenuò indubbiamente la frattura ripetutamente lamentata 45 nella politica dell’Arte ad ogni completo rinnovo degli organi direttivi *, anche se il nuovo sistema introdotto non mancò di incontrare, come vedremo, difficoltà di non lieve momento. Contemporaneamente vennero stabilite norme più precise intorno alla « surrogatione » dei consoli e dei consiglieri, problema che fino a quel momento era stato preso in considerazione solo nelle sue linee generali, anche a causa della minore complessità dell’ordinamento interno dell Arte . L accuratezza dei rappresentanti dei setaioli nel cercare una soluzione per tutte le eventualità, anche le più improbabili, come la sostituzione dei tre consoli o di tutto il consiglio, e la loro preoccupazione per la legalità delle elezioni, mostrano chiaramente quale importanza si annettesse ad un regolare e corretto funzionamento di tutta la corpo- lizzazioni si accentuò ulteriormente. Nel XVIII secolo (l’unico per il quale ci siano pervenuti Statuti di questa corporazione) i consoli dei tessitori di seta diventarono addirittura quattro: due scelti fra i tessitori di velluto, divenuti il ramo più potente della corporazione, e due scelti alternativamente fra i tessitori di taffettà o fra quelli di damasco e raso. Cfr. H. Sieveking, Die genueser Seidenindustrie..., cit., p. 17. Sui contrasti fra le varie categorie di tessitori v. anche A.S.G., Artium, fi. n.’ 161, e Senato, Atti, fi. n. 1298, doc. n. 439. « ... elegendosi ogni sei mesi tre consoli e sei consiglieri, accade molte volte che li consoli e la magior parte de’ consiglieri restano nel principio del loro ufficio quasi del tutto inscienti di molti negocii et afari di detta arte, il che porta molto preiudicio e danno... » (Cod. B, c. 7 r.). 46 In un apposito capitolo degli Statuti del 1432 (De ufficio consulatus non continuando) era vietata la rielezione dei consoli, se non dopo tre anni dalla fine del loro periodo di carica. Negli Statuti del 1432 (De surrogatione facienda in locutu consulis defuncti vel absentantis) era stato preso in considerazione solo il caso di sopravvenuta impossibilità di uno dei consoli, e non di ambedue; così non vi era parola dei provvedimenti da adottare se fossero venuti a mancare uno o più consiglieri. - 51 - razione 4)5 . .11* Da segnalare è il fatto che i quattro protettori ed i subconsoh erano scelti dai consoli e dal consiglio; erano cioè persone di fiducia che difficilmente avrebbero osato mettersi in contrasto con le direttive di chi li aveva chiamati alla carica. I consoli ed il consiglio erano invece eletti dall’assemblea dei setaioli: per partecipare alle votazioni occorrevano tuttavia particolari requisiti, simili peraltro a quelli richiesti per poter essere eletti. . ,. Oltre alla norma che negava l’elettorato attivo e passivo agii stranieri che non fossero immatricolati da almento sei anni, gli Statuti de 1432 avevano attuato una discriminazione basata esclusivamente su censo49. Aveva diritto di voto, infatti, solo il setaiolo che fosse « magister et caporalis apotece seu volte aut caput operis solus » • « La carenza degli Statuti del 1432 venne appunto lamentata dai rappresentanti dei setaioli, poiché i capitoli non provvedevano «...m caso c e occone^ far sorrogatione in luogo di doi o tutti tre di essi consoli, o quan o no numero di consiglieri legitimo. Nei quali casi si mette in du io c e vi -.v j; habbi l’auttorità di far congregare gl’uomini dell’arte, a quali compete au sorrogare come dell’eleggere, nè meno provedono in caso che per a cuna ^ e su dette conviene far sorrogatione in luogo di più di detti doi etti co che sono sei, nel qual caso, essendo sempre stato solito di far la sorrogatione da chi e come si fa loro elettione, non ni resta numero legitimo per poterla ta . Venne pertanto richiesto alle autorità cittadine di adeguare questa normat nuova struttura dell’Arte, decretando che «...occorrendo per aliuna e e su e cause far sorrogatione in luogo di doi consoli, il restante console con i glieri o con quelli di essi in luogo dei quali non bisognasse similmente sorrogare habbino con due tertie parti dei voti tutta quella auttorità... per poter far are gl’huomini di dett’arte le dette surrogationi, con dichiaratione che per ogniuno que in luogo de’ quali si dovrà fare surrogatione debbino nominare e proporre tre... » (Cod. C, c. 9 r.). « Le norme erano contenute in un apposito capitolo degli Statuti, Qui non possint eligi ad consolatum nec in ea elettane vocem dare. Nel 1519, inoltre, venne emanato un decreto concernente tutte le corporazioni secondo il quale «... decetero de qui inanzi non si possino nè si debano elesere nè deputare in consule ne anc e in consiglieri... alcuno artista quale non sia nasciuto in la presente cità, cioè entro lo cerchio de le mura nove di quella...» (A.S.G., Artium, B. n. 176, fase. n. 1). 50 Questi requisiti appaiono più specificati in un decreto del 22 maggio 1578, nel quale venne ribadito che all’elezione dei consoli e del notaio « non debeant intervenire nisi seaterii caporales exercentes artem tam in voltis et appothecis quam in domibus propriis, et quod intelligantur caporales illi qui in dictis voltis seu appo-tbecis expendunt nomen...» (A.S.C.G., Arte della seta, cit., fi. n. 603). - 52 - Nella seconda metà del Cinquecento, a causa dello sviluppo dell’industria e al conseguente aumento delle immatricolazioni51, l’Arte cominciò ad accusare per la prima volta la difficoltà di riunire i propri componenti per le elezioni dei consoli e dei consiglieri, anche perchè, in seguito alla riforma del 15 settembre 1567, era necessario indire ogni quattro mesi l’elezione di un console e di due consiglieri. Se da una parte i consoli e i consiglieri si lamentavano che non era dignitoso obbligarli, ogni qual volta doveva essere radunata l’assemblea della corporazione, a « stare tutto il giorno aspettando li seateri chiamati a tal effetto »52, da un’altra, la presenza dei setaioli alle convocazioni non era molto notevole in rapporto al numero degli iscritti53. E’ quindi spiegabile che in seno all’Arte, si sia attuato un processo di concentrazione del potere effettivo nelle mani di un ristretto numero di persone che, per prestigio, per scaltrezza o per superiorità economica, finiva per escludere da una partecipazione attiva la maggioranza degli imprenditori54, peraltro 51 I consoli lamentavano, infatti di dover convocare « tanto numero de seateri... che non solo non ponno stare in la nostra camera solita, ma siamo sforsati andare con pochissimo decoro de una cosi magnifica Arte a mendicar le stanse altrui... » (A.S.C.G., Arte della seta, cit., fi. n. 603, doc. maggio 1582). 52 A.S.C.G., Arte della seta, cit., fi. n. 603, doc. 13 marzo 1587. 53 Dai verbali delle assemblee dell’Arte per il rinnovo di alcune cariche durante la seconda metà del Cinquecento, risulta che nel 1573 (11 sett.) sono presenti 160 setaioli; nel 1574 si passa da 119 nell’assemblea di gennaio a 59 in maggio e a 51 in settembre. Dal 1575 al 1577 l’andamento è più uniforme: 1575 (58 in gennaio, 52 in maggio e 48 in settembre); 1576 (79 in gennaio, 69 in maggio, 61 in settembre); 1577 (62 in gennaio, 68 in maggio). Per il 1578 abbiamo solo due dati, ma molto importanti: all’assemblea del 14 maggio parteciparono, infatti, ben 217 setaioli; a quell? del mese di settembre solo 99, cioè meno della metà anche se definiti « numerum legitimum ». Ci rendiamo quindi conto di come il numero dei partecipanti alle assemblee non possa essere considerato rappresentativo della forza numerica della corporazione (A.S.C.G., Arte della seta, cit., fi. n. 603). 54 Si trattava del resto di una situazione comune anche ad altre corporazioni, tanto che nel 1589 venne dal Senato dato incarico ai Padri del Comune di trovare un rimedio al fatto che «... le elettioni de gli ufficiali delle arti dipendono tutte da essi medesimi perchè sogliono i vecchi e altri, per virtù de’ loro capitoli, et altri per tolerato abuso, far essi soli nominatione di quelli s’hanno da proporre all’università per scegliere i successori loro, onde ben spesso e quasi sempre cadono le elettioni o ne’ parenti o negli amici degli ufficiali vecchi, e così continouando essi soli a vicenda in ufficio... » (A.S.C.G., Atti dei Padri del Comune, cit., fi. n. 46, doc. n. 166). Il 1 ottobre 1590 i Padri del Comune decretarono che «...in numero consulum et - 53 - poco propensa a perdite di tempo che si risolvevano essenzialmente in sospensioni del lavoro55. Del resto non sembra esistessero grossi contrasti sui problemi di fondo della categoria, la quale, nella sua compattezza, non doveva presentare nel suo interno gruppi con interessi sensibilmente di-. vergenti. A differenza di quanto accadde nelle corporazioni dei mereiai e dei tessitori di seta 57, nellArte della seta non si arrivò, durante il Cinque- consiliariorum . . . non possit esse nisi unus eiusdem cognominis et familie, nec possit quisquam qui sit alicuius ipsorum coniunctus tam ex propinquitate quam ex affinitate... ». Su que6to argomento esplicita è una lamentela presentata dagli sto-peri ” in quello stesso anno «... non parendo giusto nè dovuto che in così poco numero di consoli e consiglieri vi debba essere il barba, il nepote, il suocero e genero, il cugnato e cugino... », anche perchè tutta la politica dell Arte veniva influen^ zata da questo fatto che portava scompensi nel trattamento dei singoli artigiani (Ibidem, fi. n. 47, doc. n. 144). 55 Per porre rimedio a difficoltà analoghe, nel 1599, l’Arte dei mereiai fece approvare dalle autorità politiche una aggiunta agli Statuti nella quale si stabiliva « che quando si avrà da fare l’elezione de’ consoli... convocati che ne saranno in loggia solita sino al numero di cento, compreso li consoli e consiglieri, s intendano esser numero competente per far detta elezione e possano in detto numero kr.a* (Statuta Artium merciariorum..., cit., p. 120). In precedenza, nel 1576 (27 feb raio), per dare una maggiore garanzia di regolarità alle elezioni, era stato deciso che as semblea sarebbe stata validamente convocata quando « pro legitimo numero con gregati fuerint 130, comprehensis consulibus et consiliariis ». Questo numero era stato scelto in quanto corrispondeva all’incirca ai tre quinti degli iscritti all Arte (A.S.C.G., Atti dei Padri del Comune, cit., fi. n. 34, doc. n. 106). 56 Nel 1606, i mereiai « per levare le difficoltà che sono in congregare tutti gli uomini... per l’elezione dei consoli» stabilirono che «venissero registrati tutti li nomi delle persone immatricolate in uno bigliettino per ognuno... e que bollettini metterli in uno bussolo ». In seguito si sarebbe dovuto fare « estrazione di cinquanta bollettini di detti nomi, i quali estratti debbano per quell’anno intervenire alla detta elezione...» (Statuta Artium merciariorum..., cit., pp. 134-135). 57 Secondo gli Statuti dell’Arte dei tessitori di seta in vigore nella prima metà del Cinquecento, i tre consoli dovevano essere eletti da 40 persone, scelte dieci per ciascuno dei quattro quartieri di Pré, della Marina di Sarzano, del Molo e di Portoria. Nella seconda metà del XVI secolo questo procedimento subì parecchie modifiche. Nel 1575 (31 ottobre) « per modum provisionis et hac vice tantum », il numero degli elettori venne portato a 24, scelti secondo questo procedimento: i Padri del Comune avrebbero dovuto nominare 12 maestri per ognuno dei quartieri sopra indicati (in totale 48) e fra questi si sarebbero estratte a sorte 6 persone per quartiere. L’anno dopo, pur lasciando a 24 il numero degli elettori, si stabilì che, accanto ai maestri scelti dai Padri del Comune, ne venissero presi in considerazione - 54 - ■ cento, ad instaurare un nuovo sistema di elezione, basato sull’estrazione a sorte di un certo numero di artigiani che avrebbero costituito il corpo elettorale per la durata di un anno. Proposto a varie riprese (nel 1582, nel 1587 e nel 1592), esso non riuscì mai ad ottenere i due terzi dei voti dei componenti 1 assemblea, cioè il quorum necessario per l’approvazione58. altrettanti designati dai consoli, per equilibrare l’esito dell’elezione. In totale, 96 persone fra le quali si dovevano estrarre a sorte, in due fasi, i ventiquattro delegati, sempre rispettando il principio della provenienza dai diversi quartieri. Il problema era molto importante perchè questo piccolo gruppo di persone doveva eleggere ben 30 ufficiali dell’Arte: oltre ai tre consoli, ai sei consiglieri e al massaro, vi erano poi otto Sindicatori (2 per quartiere), tre “capitanei” o esaminatori dell’Arte, 8 aggiorni o sia consultori delli consoli e consiglieri ” e un “ capsero grosso dell’Arte ”. Nel 1580 il numero degli elettori venne nuovamente portato a 40, estratti a sorte fra gli 80 rappresentanti dei quattro quartieri (A.S.C.G., Atti dei Padri del Comune, cit., fl. n. 2, doc. n. 64; fi. n. 34, docc. nn. 75 e 81; fi. n. 37, doc. n. 125). 58 La prima volta, nel maggio 1582, venne proposto « che si ellegese ogni anno cinquanta seateri », i quali, radunati insieme ai consoli, al consiglio e ai quattro protettori potessero prendere, con due terzi dei voti, tutte le deliberazioni per le quali era prevista la convocazione dell’assemblea plenaria. Questa proposta non venne ritenuta degna neppure di essere votata. Nel marzo del 1587 il problema venne nuovamente sollevato e la proposta fu, questa volta, di « imbusolare tutti li seateri che hanno volta aperta e da quelli cavarne 25 a sorte, et elligerne 25 a balle, che faccino numero di cinquanta, de’ quali quando serano quaranta se intenda essere numero competente... ». Nessuno dei 50 avrebbe potuto ricoprire la carica una seconda volta, se non dopo un anno di intervallo. Il documento venne respinto con 28 voti contrari su 48 convenuti. L’ultima proposta (5 novembre 1592) era simile alla seconda, ma mutavano le proporzioni: due terzi dei cinquanta avrebbero dovuto essere estratti a sorte e solo un terzo, eletto. Anche questa volta venne respinta, ma con soli 19 voti contrari su 44 convenuti (A.S.C.G., Arte della seta, cit., fl. n. 603). Nella nuova redazione degli Statuti dell’Arte della seta, del 1737, troviamo stabilito che « S’intenderà numero legitimo di Università quando interverranno nella loggia della seta quaranta seateri... compresi li Magistrati ». (Leggi e ordini per l’arte della seta recompilate d’ordine e comandamento del Magistrato Eccellentissimo e Prestantissimo della seta, l’anno del Signore MDCCXXXVII », ms. B.C.C., cit., p. 6). Anche nei secoli seguenti, cioè, non ci si indirizzò verso l’estrazione a sorte, ma all’inizio di ogni anno venivano compilate e affisse le liste degli aventi diritto di partecipare alle assemblee: gli esclusi potevano così eventualmente ricorrere (Ibidem, p. 5). Il numero di quaranta scelto come parametro di legalità per le assemblee, induce però a pensare che la media delle presenze non fosse cambiata rispetto al sec. XVI. - 55 - Alle dipendenze dei consoli e del consiglio vi era un piccolo gruppo di “uffiziali” e di subalterni, di cui gli Statuti del 1432 non avevano previsto l’inquadramento, allora non giudicato necessario. Scelti dai consoli senza alcun controllo particolare da parte della corporazione, essi comparvero nella struttura organizzativa dell’Arte solo negli ultimi anni del secolo XVI. Alcuni svolgevano mansioni di minore importanza, come il traglietta ed i messi, ma altri, come Yassistente dia Camera, esercitavano funzioni di rilievo, superate soltanto da quelle di cui erano investiti i sindaci, le cui importanti funzioni venivano istituzionalizzate in quegli stessi anni . In particolare l’assistente “ in Camera ” fu nominato per la prima volta nel 1582 60, con il compito di aver « cura di notare tutti li mancamenti di qual si voglia qualità che sarano dati dalli manifatureri et ogni altra cura che li sarà appoggiata dalli magnifici consoli »61. In relazione alla delicatezza ed alla responsabilità del suo compito, gli fu fissato un salario compreso fra le 200 e le 250 lire all’anno, secondo il parere dei conso i, a patto che non si dovesse ricorrere, per pagarlo, a misure finanziarie di carattere straordinario62. I sindaci erano quattro (nominati o almeno riconfermati ogni sei mesi)63. Sebbene fossero stati istituiti « per investigare et scoprire le fro t 59 I sindaci, sebbene la loro figura non fosse ancora regolamentata da appo-siti capitoli, operavano nell’Arte della seta con mansioni ispettive e di po zia gl nel sec. XV (Cod. A, c. 56 v. e c. 60 v.). 60 A.S.C.G., Arte della seta, cit., fl. n. 604, doc. n. 34, Ordine fatto che si elle ggi uno assistente in Camera per un anno, e doc. n. 35, Ordine che possino proto gare la balia dell’assistente o ellegerlo di novo. 61 A.S.C.G., Arte della seta, cit., fl. n. 604, doc. n. 34, cit. 62 « .. . pagarli il salario de libre ducente sino in ducente cinquanta in arbitrio di detti magnifici consoli, pur che non si paghino di denari di San Giorgio nè di atri denari spetanti alla magnifica Camera, il qual salario si habbi da scodere da coloro c e otterranno sentenza in favore per conto di essi mancamenti, cioè un soldo per ogni onsa di seta... » (Ibidem, doc. ult. cit.). 63 A.S.C.G., Arte della seta, cit., fl. n. 604, doc. 27 giugno 1585, Ordini sui Sindaci. Furono approvati in questa occasione, dai consoli e dal consiglio, ben quattro capitoli riguardanti i Sindaci. In essi vennero regolamentate la loro nomina e la riconferma periodica; fu stabilita una cauzione di cento scudi d’oro “d’Ittalia da pagarsi per ciascun eletto alla carica; fu severamente vietato ai sindaci «... di pigliar beveraglio o mangiaria nè denari o altra cosa da persone sospette in colpa o colpevoli », sotto pena di perdere la cauzione stessa e di essere privati della carica. Venne - 56 - e fraudatori che si fanno nelle sete che si danno a manifatturare » M, il loro compito finì per abbracciare un campo più vasto: quello di perseguire i colpevoli, ricercandoli se fuggiaschi all’estero e obbligandoli, senza risparmio di mezzi, a pagare le multe e a scontare le pene. Ai sindaci, nel 1602, venne persino riconosciuto il diritto di circolare armati65, per potersi difendere se « per l’essecuzioni che gl’occorrono fare, incorrino l’odio de' contrafadenti » 66. Poiché era frequente il caso che questi “ufficiali” si dovessero allontanare dalla città per eseguire interrogatori, indagare su denunce, recuperare sete rubate, ad essi venivano rilasciate delle “lettere patenti”, comprovanti i loro poteri, e nelle quali le autorità locali venivano invitate a prestare tutto l’aiuto possibile, compresa la concessione di una scorta armata67. Una figura che non troviamo negli Statuti del 1432, ma che acquistò un’importanza sempre maggiore con lo sviluppo dell’Arte della seta, è quella del notaio o scriba della corporazione. Non sappiamo esattamente quando i setaioli abbiano cominciato ad avere un proprio notaio ufficiale: le norme che regolano le sue funzioni sono, infatti, contenute in un de- inoltre specificato che essi avrebbero dovuto versare al cassiere dell’Arte tutte le somme riscosse dalle persone multate « entro il termine de hore ventiquattro »; in caso contrario, sarebbero incorsi in severe senzioni. Altre norme di minore importanza furono approvate nel 1566 e 1587 (Ibidem, fl. n. 604). 64 Cod. B, c. 34 r. 65 «... concesserunt et concedunt sindicis dictorum magnificorum consulum et consiliariorum... gestandi ensem et pugionem, interdiu tantum, et usque ad solitum campane armorum signum, et cum conditione etiam quod dicti sindici gestare non possint pugionem absque ensem... ». Venne posta anche la limitazione « purché non portino archibuggi, archibugietti, fuzelli nè consimili arme particolarmente prohibite » (Cod. B, cc. 35 v. - 36 v. e c. 39 r., Licenza a sindaci di portare le armi). Questa prerogativa costituiva una eccezione alle severe e particolareggiate prescrizioni che proibivano nella città le armi da fuoco e da taglio, stabilendo multe, pene corporali, ed addirittura l’arresto e l’esilio per i colpevoli di porto abusivo d’armi. Cfr. Statuta Criminalia Serenissimae Reipublicae Ianuensis, Genuae, MDCLIII, pp. 373 ss. e p. 384. « Cod. B, c. 39 v. 67 Numerose lettere patenti relative al periodo 1604-13 si trovano in A.S.C.G., Arte della seta, cit., fl. n. 603. Esse sono indirizzate ai Capitani di Bisagno, di Polcevera, di Recco, di Rapallo e di Chiavari, i luoghi dove più spesso si recavano i sindaci in ispezione « per ritrovare i delinquenti che rubano e vendono e quelli che comprano sete rubate ». - 57 - creto del 1537 **, tuttavia due documenti del 1464 e del 1517, concernenti la « electio scribe artis », attestano la sua esistenza già in epoca precedente 69. In questo caso i setaioli precorsero i tempi, poiché l’obbligo per le corporazioni di avere un proprio notaio venne sancito soltanto nel 1574 70. Il notaio era l’unico componente della corporazione che non esercitasse l’arte, anzi il farlo gli era tassativamente vietato71. Eletto per un anno, doveva rappresentare l’Arte in giudizio, conservare e tenere aggiornati tutti i registri contenenti le deliberazioni e i processi verbali delle assemblee, compilare gli elenchi dei beni dell’Arte, registrare le immatricolazioni ed il pagamento delle tasse e dei tributi, rendere conto ai Padri del Comune delle pene pecuniarie inflitte ai membri dell’Arte72. Allo sca- 68 Cod. C, cc. 353 v. - 355 v„ decreto 21 febbraio 1537, Electio cancellarii (v. Appendice, XXIV). Queste norme furono modificate da un decreto del 1573 (8 di cembre) in Cod. C, cc. 363 r. - 364 v. e ampliate ulteriormente nel 1591 (A.S.C.G., Arte della seta, cit., fl. n. 604, doc. n. 49 del 23 aprile 1591, Ordini sopra il cancelliere). 69 Cod. A, c. 44 r. e c. 199 r. 70 II 22 dicembre 1574 il Doge e i Governatori della città decretarono « quod omnes artes huius civitatis habere debeant unum notarium de collegio notariorum huius civitatis, sine interventu cuius non possint fieri electiones consulum ipsarum artium nec condemnationes alique, et si facte fuerint non valeant nisi recipiantur a notario earum... » (A.S.C.G., Atti dei Padri del Comune, cit., fl. n. 33, doc. n. 138, e C. Desimoni, Statuto dei Padri del Comune..., cit., p. 313, Quod consules artium te spective habeant suum notarium deputatum). La stessa Arte dei mereiai, madre di quella dei setaioli, regolamentò i compiti e le funzioni del proprio notaio con norme apposite solo nel 1572, col capitolo «De notario dicte Artis et eius Officio » (Statuta Artium merciariorum..., cit., p. 104). 71 «... quovis modo non possit nec valeat per se vel per alium facere, nec exercere, nec fieri facere artem seateriorum, nec aliquid exercitium pertinens ad ipsam artem, sub pena scutorum quinquaginta auri solis usque in centum... ». (Cod. C, c. 353 v.). Nel 1572, Ilario Spinola venne codannnato a non poter poter più esser eletto notaio della corporazione in quanto accusato, fra l’altro, di « haver esso per molti anni esercito l’arte della seta per mezo de soi fratelli cum liquali è in tresca, non obstante che per li ordini delPArte ciò li fusse prohibito... » (A.S.C.G., Arte della seta, cit., fl. n. 604, doc. n. 7, Posta letta all’arte contro il nobile Hilario Debenedetto). 72 « . . . quiquidem notarius teneatur intra mensem de ipsis condemnationibus notitiam facere in actis Camere Magnificorum Patrum Communis; quicumque autem contrafecerit incidat in penam scutorum decem... » (A.S.C.G., Atti dei Padri del — 58 - dere della carica, il suo operato doveva essere approvato dai consoli, dal consiglio e dai quattro protettori, con almeno due terzi di voti favorevoli; in caso di constatata irregolarità, il notaio era esonerato dal suo ufficio ed era obbligato a restituire ai consoli tutti i documenti concernenti la corpo-razione che avesse presso di sè73. L’Arte mise sempre una particolare cura nel cercare di rientrare in possesso di tutta la documentazione che durante la “scribania” si accumulava presso il notaio74, tanto che nel 1573, modificando le norme del 1537, venne deciso che alla fine di ogni anno i documenti dovessero es- Comune, cit., fl. n. 33, doc. n. 138 cit.). I notai dell’Arte della seta non furono mai molto solleciti nell’adempiere a questo loro compito. Nel 1535, il notaio Lazzaro Domenico Spinola Debenedetti, duramente ripreso per il suo ritardo, poiché era dalle annotazioni del notaio che i Padri del Comune calcolavano la « pars seu portio obveniens ex ipsis condemnationibus presenti Officio », si difese accusando la mole di lavoro cui era obbligato per tenere aggiornate le scritture dell’Arte, riuscendo persino ad ottenere dai Padri del Comune un compenso personale, cioè « libras sex Ianue prò tempore preterito..., pro autem futuro tempore annuatim, in fine anni,... id quod iustum et conveniens videbitur spectato Officio... » (A.S.C.G., Atti dei Padri del Comune, cit., fl. n. 14, doc. n. 150). Circa un secolo più tardi, nel 1652, venne intimato al notaio dell’Arte, « sub pena solvendi de proprio », di presentare il conto delle condanne pecuniarie inflitte dai consoli negli ultimi dieci anni, perchè i Padri del Comune, che non erano ancora riusciti ad ottenerlo, potessero riscuotere le quote parti di loro spettanza (A.S.C.G., Arte della seta, cit., fl. n. 604). 73 « Item statuerunt quod scripture, instrumenta et acta quecumque spectantia dicte arti seateriorum, quandocumque notarius ellectus non fuisset confirmatus et approbatus in dicto officio, vel ab eo amotus remaneret, remaneant et remanere debeant penes consules et consiliarios dicte artis, nec possit dictus notarius non confirmatus vel amotus aliqua ex ipsis actis in se retinere, vel recusare aut differre trad-ditionem facere dictis consulibus et consiliariis, sub pena scutorum vigintiquinque in quinquaginta auri solis » (Cod. C, c. 354 v.). 74 I documenti che rimanevano presso il notaio erano molto numerosi e riguardavano tutta la vita amministrativa della corporazione. Quando nel 1573 essi furono richiesti a Ilario Spinola, venne specificato che egli doveva restituire «... tutti l’instru-menti di tele fatti per seateri e manifatureri; gli instrumenti fra seateri soli; i debiti confessi fra li detti nominati e anche fra manifatureri soli; tutti li processi criminali; tutti li atti, domande e sentenzie agitate e fatti per qualsivoglia Magistrato della loggia; qualsivoglia promessa fatta in giudizio dalli Magistrati della loggia; il libro delle licentie date per li magnifici signori quattro Protettori e anche fatte fra seateri di volontà loro, et in somma tutte quelle scritture fatte per detto notaro, per le-quali consta che gli magnifici della Loggia sono giudici, et anco quelle che contengono che le parte se contentano d’haverli per giudicio et in generale tutte le scritture fatte per detto notaro sotto la corte e giurisdizione del magistrato della Loggia per - 59 - sere lasciati « in mano d’un notario eligendo per gli magnifici domini consoli e conseglio, sino a tanto sia fatta nuova electione... sotto pena di scudi 100 sino in 1000 »75. La presenza di uno scriba o di un cancelliere era una cosa comune negli ordinamenti delle altre corporazioni, tuttavia, generalmente questi non dedicava la sua attività esclusivamente all’Arte, come invece pretendevano da lui i setaioli di Genova76. Si può dire però che 1 opera del notaio nell’Arte della seta fosse costantemente necessaria: per dare la “ tella " a un tessitore77 occorreva infatti un documento ufficiale; per tingere in colore cremexile o morello era richiesta la sua presenza; ogni sentenza, ogni interrogatorio di testimoni, ogni petizione, doveva essere depositata presso di lui. I compensi che gli spettavano, dettagliatamente indicati in un « Tarifa » che egli era tenuto ad osservare, pena la decadenza dall’ufficio78, rendevano la carica particolarmente appetibile, perchè assai redditizia79. tutto il tempo del suo ufficio... » (Cod. C, c. 363 r.). Un interessante esempio di in ventano del materiale documentario della corporazione (A.S.C.G., Arte della seta, cit., fl. n. 604, doc. n. Ili del 18 aprile 1618) è riportato in Appendice, XXXIII. 75 Cod. C, c. 364 v.. Questa deliberazione venne presa in un’assemblea nella quale convennero ben 212 setaioli. L’irrigidimento della corporazione fu dovuto al comportamento del notaio Ilario Spinola, che nel 1573, « amovuto dalla scrivania, cavilandosi di molte cose », rifiutava di consegnare i documenti della corporazione (Cod. C, c. 363 r. e v., decreto 8 die. 1573, cit.). Il comportamento di questo notaio aveva del resto suscitato molte critiche per la sua inobbedienza ai consoli ed il suo disprezzo per le norme dell’Arte (vedi anche note 71 e 72), tanto che fu deciso « che non puossi più in l’avenire atendere nè essere amesso alla detta scrivania... » (A.S. C.G., Arte della seta, cit., fl. n. 604, doc. n. 7, cit.). 76 «... stare debeat assidue diete scribanie et ad logiam ipsius artis, et non possit alicui alii officio nec scribanie alicuius cuiusvis magistratus vacare nec attendere, quovis modo » (Cod. C, c. 353 r.). 77 Tella: ordito. Veniva data dall’imprenditore al tessitore insieme con la seta necessaria per la trama. Vedi parte II, cap. I. 78 La « Tarifa, taxa seu meta mercedis scribe logie seateriorum, instrumentorum, scripturarum et aliorum actorum » (Cod. C, cc. 352 v. - 353 r.) è riportata in Appendice, XXV. 79 Per questo motivo, una volta scaduta la carica, non tutti erano lieti di abbandonarla. Nell’aprile del 1598, ad esempio, l’Arte dovette prendere dei provvedimenti perchè il notaio Augustino Morinello, il cui incarico era terminato il 13 settembre dell’anno precedente, senza essere stato confermato, perseverava « in recipiendis actis tam civilibus quam criminalibus dicte arti spectantibus, ut scribam dicte artis ». T - 60 - I setaioli si rendevano conto della rilevanza economica di questo incarico. L’elezione dello scriba avveniva con molta solennità, prima di quella dei consoli80, e con gli stessi elettori. Da un documento del 1518, concernente la gabella « pannorum sericorum » che PArte acquistava dal-POfficio di San Giorgio per trecento lire annue81, risulta inoltre che i setaioli ottennero in quell’occasione che settantacinque lire, un quarto dell’intera somma, fossero sborsate dal notaio Lazzaro Spinola Debenedetti, come ricompensa per l’elezione82. Questo per la durata di cinque anni, durante i quali egli s’impegnò anche a stendere gratuitamente « quascumque scripturas quas continget jieri per ipsos emptores pro dicta cabella »83. Solo alla metà del Seicento si ebbe un mutamento nel tipo di rapporto che legava all’Arte il notaio: egli divenne un funzionario della corporazione, con uno stipendio annuale, aiutato da un “ sottocancelliere ”, e tenuto a svolgere tutte le sue mansioni senza più riscuotere alcun compenso per ogni singola prestazione84. consoli decisero che, in via eccezionale, gli venisse riconfermato l’incarico per un anno e che, sempre eccezionalmente, venisse riconosciuta la validità degli atti da lui compiuti in detto periodo. Il Morinello riuscì però a farsi rieleggere anche negli anni seguenti, fino al 1603 (A.S.C.G., Arte della seta, cit., fl. n. 603, docc. 16 aprile e 13 maggio 1598). 80 A.S.C.G., Arte della seta, cit., fl. n. 603. 81 Vedi cap. III. 82 Lazzaro Domenico Spinola Debenedetti fu notaio dell’Arte nel 1501, dal 1517 al 1523 e nel 1536 e 37. Gli altri notai dell’Arte che sono emersi dai documenti consultati sono: 1464, Paolo Raggio; 1537, Giovanni Cibo Rollerio; 1559-72, Ilario Spinola Debenedetti; 1573-75, Stefano de Marini; 1576-77, Stefano Davania; 1578-80, Innocenzo Carroccio; 1582-94, Giovanni Battista Bisso; 1595, Stefano Isola; 1596-1602, Augustino Morinello; 1603-17, Innocenzo Carroccio; 1618-36, Paolo Battista Ligalupo. Gli atti di alcuni di questi notai, conservati presso l’Archivio di Stato di Genova, si sono rivelati fonte complementare non molto rilevante per questo studio, poiché la documentazione “ufficiale" redatta durante il periodo in cui erano in carica rimaneva presso la corporazione. 83 Cod. A, c. 200 v. 84 Nel 1647 il notaio Giovanni Andrea Celesia venne eletto « per cancelliere della prestantissima Camera per anni cinque, con salario di lire mille l’anno da pagarseli de tre in tre mesi la quarta parte, con carrico di tener anco la scrittura della Camera e fare tutto ciò che sarà necessario per la Camera tornante al notaio e cancelliere... » (A.S.C.G., Arte della seta, cit., fl. n. 603, doc. 10 luglio 1647). - 61 - Negli ultimi decenni del secolo XVI si ebbe un’altra importante innovazione: alla « logia seateriorum », che fino a quel momento aveva costituito il punto di riunione degli appartenenti all’Arte ed il luogo in cui veniva amministrata la giustizia dai consoli e dal consiglio, si affiancò la « Camera Artis sete »85. Gli organi della corporazione, che presiedevano all’amministrazione della stessa, non potevano più accontentarsi, infatti, di una loggia all’aperto: la cura degli affari dell’Arte richiedeva una presenza quasi continua degli “ ufficiali ", il cui numero, in due secoli, era più che raddoppiato, e quindi si rese indispensabile la disponibilità di una sede dove essi potessero attendere in permanenza alle loro funzioni. Queste avevano ormai assunto quasi un carattere professionale: è in questo periodo che si cominciò a parlare per la prima volta di retribuzione per coloro che ricoprivano cariche nell’ambito delPArte. Fino a questo momento si erano avute solo delle regalie periodiche, in corrispondenza delle 55 La “Camera” dell’Arte, come la loggia, non ebbe sempre la stessa ubica- zione. Gli atti dei notai ufficiali ci permettono però di seguirne in parte gli spo- stamenti: 1578-80 in piazza dei Cigala; 1581-92 in piazza «nobilium Ususmaris »; 1593-95 in «contracta Caneti »; 1596-1602 in «contracta ubi dicitur Orti de Banchi »; 1613-1630 in « contracta de Marinis ». Essa rimase peraltro sempre nella zona intorno a piazza Banchi, centro commerciale della città. Nel 1596, inoltre, nel contratto d’affitto fra i consoli e « Giovanni Battista Pastene, seaterius » il quale « locavit et titillo locationis dedit vel concessit... voltam existentem sub domo magne ipsius magnifici Iohannis Baptiste, sita in contrada Bancorum, ubi dicitur in li Orti de Banchi,... per annos novem proxime venturos... pro pensione librarum centum septua- ginta quinque » venne stabilito « quod dictis consulibus liceat et licitum sit fieri facere ostium respicientem et tendentem in platea nobilium Ususmaris, cum scala lignea...», cioè verso la piazza dove la "Camera" aveva avuto la propria sede negli anni precedenti (A.S.C.G., Arte della seta, cit., fl. n. 604, doc. n. 62). Da parte della corporazione venne però fatto anche un tentativo per avere una sede stabile, e nel 1583 un’assemblea di setaioli deliberò «... di far compra de un sitto per dover fa- bricar la Camera nostra, molto commodo a tutti li seateri et utille innumerevole di detta arte, essendo esso sitto tale per poter fare molte intrate... et essendo cosa in- degna che una sì nobil arte che è delle principali di questa città non abbia loco pro- prio dove possino li magnifici Consoli e Consiglieri et altri officiali di essa far re- sidenza... ». Il tentativo non ebbe evidentemente un esito positivo, nonostante che i consoli avessero avuto facoltà di « in quella compra spendere tutto quello che sarà al bisogno et esso fabricarlo come meglio a loro parerà più utile » e di « poter vendere, alienare, impegnare et obligare tutti i lochi di San Giorgio con soi proventi e paghe passati, presenti e da venire... (A.S.C.G., Arte della seta, cit., fl. n. 604, doc. n. 9). - 62 - festività di Natale e Pasqua86, nelle stesse occasioni cioè in cui venivano distribuite le elemosine alle famiglie bisognose dei setaioli8?. La Camera della seta ” divenne pertanto la sede delPArte88. Nello stesso tempo la denominazione di “ Camera della seta ”, attraverso un 86 Queste regalie, dal 1572 al 1599 (periodo per il quale ci è pervenuta la documentazione), riguardano il notaio, il suo aiuto (o 11 subscriba ”), i sindaci, i due messi, il custode delle carceri e i due custodi delle chiavi (v. parte II, cap. II), il barrigello, e talvolta anche altre persone, come « Oberto Bracho, chirurgo » o « David Vacca, advocatus ». Le somme distribuite variano secondo le persone: intorno alle cento lire al notaio (compresa una parte data normalmente « pro laboribus extraordinariis »), da venti a trenta lire a ciascuno dei sindaci, poche lire agli altri. Nel complesso veniva distribuita una media di 250 lire a Natale (con delle punte massime di L. 392 e L. 361 nel Natale del 1588 e 1593 e una punta minima di L. 100 nel Natale del 1584), e una somma che oscillava dalle 170 alle 220 lire a Pasqua (A.S.C.G., Arte della seta, cit., fl. n. 603). Nel 1584, del resto, era stato decretato che i consoli non potessero distribuire a Natale e a Pasqua più di cento lire fra il notaio e il sottocancelliere, di trenta lire per ciascun sindaco e di sette lire per ognuno dei messi (A.S.C.G., Arte della seta, cit., fl. n. 604, doc. n. 36). 87 L’Arte distribuiva alle famiglie bisognose degli appartenenti alla corporazione le somme che venivano raccolte attraverso una colletta nelle varie botteghe « insieme con il provento de’ lochi cinquantasei incirca che sono in San Giorgio sopra l’Arte ». Dagli elenchi che ci sono pervenuti risulta che si tratta quasi esclusiva-mente di vedove di setaioli o di orfani, da 60 a 70 famiglie ogni volta, i cui nomi si ripetono con notevole costanza, trasformando l’elemosina (per ottenere la quale occorreva del resto una domanda) in una embrionale forma di assistenza, se non di pensione. Nel periodo 15724613 alcuni destinatari ricevettero questa elemosina per più di venticinque anni consecutivi: così la famiglia del « quondam Nicolai Gurlerii, prò Ambrosio filio », compare negli elenchi dal 1582 al 1607; la famiglia del «quondam Georgii Bianchi» dal 1588 al 1609 e ancora nel 1611; «Argentina,’ uxor quondam Francisci Balestrini, pro filia, in contrada Luculi » dal 1582 al 1608; e questi non sono che alcuni esempi. Le somme ricevute da ciascuno non sono ingenti, in genere alcune lire, ma talora si arriva anche a quindici o venti lire per volta. Nel complesso veniva distribuita, fra le due festività, una media di seicento lire all’anno (A.S.C.G., Arte della seta, cit., fl. n. 603). 88 L’« Inventarium arnensium et bonorum mobilium existentium in Camera artis serice, factum de mandato M.D. consulum et consiliariorum artis serice » non tradisce peraltro un arredamento lussuoso: « Et prima uno banchale grande di legno; un altro banchale senza coperchio; quatro banche di taole da ponte; una bancha da taola di legno; una taola con soi trespi; una taoleta con il suo pede de lattone; carreghe da homo n. sexdeci; cossinetti giali e verdi n. quatordeci; tre scabelli de legno; uno drapo verde da taoleta et il suo fenogietto; uno coito rosso da taoleta co’ frixi d’oro intorno; un campanello di mettallo; un bollo di lattone; una taola - 63 - comune fenomeno di assimilazione, giunse a significare l’intero apparato organizzativo della corporazione, e non solo l’edificio in cui questo risiedeva. La denominazione venne anche ripresa nella documentazione ufficiale, per cui, da un certo momento in poi, fu la “Magnifica Camera che cominciò a riscuotere le multe, a nominare i sindaci e l’altro personale, a convocare le assemblee, dotata anche di propria autonomia finanziaria e contabile, come quella che gli Statuti del 1432 avevano attribuito ai consoli89. Il sistema di organizzazione interna dell’Arte della seta subì una eccezionale ristrutturazione in conseguenza degli strascichi della pestilenza scoppiata in alcune zone dell’Italia settentrionale nel 1578 e propagatasi in Liguria verso la fine dell’anno seguenteso. Questa calamità produsse una paralisi pressocchè totale in tutte le attività economiche che si svolgevano nella Repubblica ed ebbe una particolare rilevanza per l’industria serica che vide, sia nella città, sia nelle due Riviere91, decimata la mano- vechia et li trespi rotti; uno banchale de legno di doi banchali; candelieri di lattone, cinque; una taoleta de Santo Antonio; uno pacco di ferri da camino fatti a balaustri et paretta, molete, forca, ferro e rampino; una stora de erba vechia; tre careghe da homo, doe nove, una vechia, et uno cossinetto de firoxella gialla, appresso di Ge-ronino Ricio » (A.S.C.G., Arte della seta, cit., fl. n. 603, doc. 19 novembre 1582). 89 Le spese sostenute dalla “Camera” riguardavano, ad esempio, le candele per l'illuminazione (circa 50 lire l’anno, oltre ai ceri per la processione del Corpus Domini), la carta necessaria ai libri delle licenze, delle condanne, etc. (circa 20 lire 1 anno), il riscaldamento (sacchi di carbone e legna), il rimborso spese dei sindaci inviati in missione, gli abiti dei messi. La contabilità relativa agli ultimi anni del Cinquecento, peraltro settoriale e discontinua, ma interessante per la sua minuziosità, è in A.S.C.G., Arte della seta, cit., fl. n. 603. 50 II 7 agosto 1579 le autorità cittadine predisposero alcune norme di carattere straordinario per l’elezione del Maggior e Minor Consiglio, il cui mandato scadeva a Natale, da applicarsi «... quando la peste prendesse prima il campo... » (A.S.G., Legum 1576-1590, ms. Biblioteca n. 8, c. 85 r.). Già dal 1577, alle prime avvisaglie della pestilenza, erano stati varati i primi provvedimenti (Ibidem, cc. 49 r. -54r., decreto 14 gennaio 1577, De Forma Regiminis Status tempore pestis, quattenus ea per totum annum 1577 incipiat). Per più approfondite notizie in merito a questa pestilenza: A.S.G., Sanità, sala 69. 91 « Durò l’influenza poco meno di un anno, e nel corso di esso perirono nella città vent’otto mila duecento cinquanta persone, secondo il registro, che per ordine del Senato fu tenuto. Nella Riviera di Levante, compresa la valle di Bisagno, man- - 64 - dopera addetta. Fu questo un ulteriore, grave elemento che contribuì a porre in evidenza i sintomi di un processo di crisi e di involuzione che, sia pur lentamente, portera questa industria al declino ed alla graduale perdita del peso economico e politico di cui aveva goduto. Il contagio, tra 1 altro, scoppiò in « Pontedecimo, luogo della valle di Ponzevera »92, dove la materia prima degli imprenditori faceva quasi una tappa obbligata, in quanto in questa zona risiedeva la maggior parte delle maestre incannatrici93, lavoranti a domicilio. La corporazione, pertanto, prese tutta una serie di precauzioni, con il duplice scopo di impedire da un lato che venisse paralizzata l’attività dei setaioli (messi nell impossibilita di recuperare o mandare la loro seta nella Val Polcevera), e dall altro che lo smercio dei tessuti, destinati quasi tutti all’esportazione, subisse più gravi flessioni. I primi provvedimenti portano la data del marzo 1579. I consoli e il consiglio dell Arte ordinarono che venissero nominati quattro « vigilatoti » per sei mesi, con il compito di studiare quali misure sarebbe stato necessario prendere onde evitare che l’attività serica risentisse di eccessivi disagi. Qualche mese dopo, gli stessi setaioli reclamarono però presso i « Conservatores Sanitatis », per ottenere talune agevolazioni considerate come irrinunciabili onde « perseverare in dar da fabricare ai tessi- carono quattordeci mila persone, e in quella di Ponente da cinquanta mila » (F. Casoni, op. cit., t. Ili, libro IX, p. 110). Quasi dieci anni dopo, il 24 settembre 1596, i tessitori, lamentandosi della loro situazione economica, notavano come prima della pestilenza «... nella citta e nel dominio si son trovati più di sedici milia telari, et hora non se ne trovano da duo milia in circa... » (Cod. C, c. 88 r.). Simile in A.S.G., Artium, fl. n. 161, Relazione sull’arte della seta, 1608. 92 F. Casoni, op. cit., t. Ili, libro IX, p. 109. 93 L incannatura era la prima operazione che doveva subire il filo di seta greggia acquistato normalmente dai seateri e consisteva neU’avvolgimento del filo stesso su rocchetti o bobine. Cfr. L’Arte della seta in Firenze - Trattato del secolo XV, pubblicato da G. Gargiolli, Firenze, 1868, pp. 5-7, Cap. I, Dello incannare. Se l’imprenditore acquistava invece dei bozzoli, queste maestre eseguivano anche la trattura, cioè la dipanatura del bozzolo stesso: dalla riunione in un unico filo dei capi di alcuni bozzoli si otteneva la seta greggia (vedi parte II, cap. I). 94 « ... quod eligantur per ipsos consules et consiliarios quatuor viri prestantes qui vigilatores appellentur et curam habeant invigilandi, excogitandi ac scrutandi ea que tendunt ad utilitatem, conservationem et augumentum dicte artis ac regiminis ipsius... et quod munus dictorum eligendorum duret per sex menses tantum » (A.S.C.G., Arte della seta, fl. n. 603, doc. 17 marzo 1579). - 65 - 5 tori et altri manifattureri » in modo che « tanta moltitudine de poveri c^ vivono di giorno in giorno con la manifatura non si morano di fame » . In primo luogo, infatti, gli imprenditori chiesero il rilascio ’ tutta la materia prima che si trovava ancora nel lazzarettoe la concessione di provvedere per proprio conto alla purga della seta , a spese pero del pubblico erario. Una seconda richiesta molto importante riguar ava il libero passaggio, attraverso i paesi confinanti, dei tessuti da esportare . Infine chiesero di poter impiegare per la produzione anche gli artigiani che erano segregati quali sospetti di contagio, naturalmente con e ovu^e cautele, cioè « provederli per la fabrica con calare dalla finestra °^cor a o simil altra cosa dove si ponghi quanto aili serrati si converrà » Circa un mese dopo, il 12 ottobre, venne data una risposta positiva a tutte queste richieste, tranne che ad una: il Magistrato della Sanità ri utò di concedere che la disinfezione venisse fatta a spese del pubblico erano, 95 A.S.C.G., cit., doc. 7 settembre 1579. 96 Fin dal 1573 il Magistrato della Sanità aveva fatto emanare un « Decretum Illustrissime Dominationis prohibens ut nemo possit conducere merces ex porti us infectis, sub penis ut ex eo ». Nel 1577, inoltre, circa due anni prima de o scoppio della pestilenza nel territorio della Repubblica, era stato deciso che « Res et merces conducende ex partibus Provintie, que afferre possunt infectionem, deferantur a aza retum et in eo purgentur per dies viginti » (Magistrato della Sanità - Decreti, ms., B.U.G., segn. C-VI-24, sec. XVII, pp. 1-2, decr. 10 luglio 1573, e pp. 87-88, decr. marzo 1577). 97 « I luoghi che occorrono a detti seateri per poter purgare le sete, sonc Castelletto, dove si fa la polvere, Pietra Minuta e Santo Geronimo del Rozo, per esser luoghi apartati da commercio, e si potria provedere a quelle cinque monac e che in detto luogo di Santo Geronimo restano... » (A.S.C.G., cit., doc. ult. cit.). 98 «... se li veluti non possono essere portati fuora della giurisditione, se impedirà la fabrica di essi, perciò ricordano le W.SS. Illustrissime che sarà bene i procurare con li Principi circonvicini che con tutta quella cautella che sia possi e diano libero passo alle case de veluti » (Ibidem, doc. ult. cit.). 99 Ibidem. Circa due mesi dopo, il 21 novembre, venne più in generale concesso «... quod manufacturerii diete artis de locis non infectis sed nictis, cum licentia tamen Magnifici Conservatoris sui sexterii, possint deferre veluta et setas ad domos seateriorum et ad eas accedere pro capiendis setis manufacturandis, dum tamen Magnifici Conservatores sesteriorum, in quibus sunt habitationes manufactu-reriorum et seateriorum sint securi quod utrique sint sine infectione... » (Ibidem, doc. 21 novembre 1579). Questa concessione venne fatta in deroga alle norme generali che, per cercare di evitare il contagio, limitavano le possibilità di spostamento dei cittadini. — 66 — assegno pero « la guardia de soldati che li bisognasse » I00; in considerazione dei! alto valore del materiale serico. Riguardo al luogo dove effettuare la ^ purga ", venne in un primo tempo indicato il monastero di San Benigno ma m seguito furono definitivamente scelti il monastero agostiniano e la chiesa di S. Maria di Belvedere, posti « poco distante dalla citta di Genova, nell’estremità di una collina sovrastante al borgo di San Pier d’Arena » ,02. Ottenuta la possibilità di usufruire di questo luogo, PArte organizzò negli ultimi due mesi del 1579 un complesso ma funzionale collegamento tra il monastero, in cui veniva effettuata la "purga” delle sete, e la loggia dell Arte, dove confluivano le stesse per essere redistribuite ai proprietari. Si trattava di un compito delicato, e, per assolverlo, fu necessario reclutare ed organizzare il personale necessario: esso risultò costituito — come vedremo fra poco — da sette persone qualificate, con mansioni specifiche, da cui dipendeva poi un nutrito gruppo di operai e manovali (circa 43 persone). Ad essi si devono aggiungere i sindaci delPArte, il cui numero fu portato in questa occasione a dieci103, ai quali venne affidata la prima e più delicata fase dell’operazione. Per prima cosa, infatti, occorreva radunare la materia prima ed i tessuti, o facendoli raccogliere e portare dalla Val Polcevera, o cercandoli e prendendoli in consegna dalle case infette e recandosi « in domos clausas manifactureriorum ». 100 A.S.C.G., cit., doc. 12 ottobre 1579. Qualche giorno dopo vennero concessi all’Arte « ... decem milites pro custodia dictarum setarum... » (Ibidem doc 23 ottobre 1579). 101 Ibidem, doc. 14 ottobre 1579. 102 A.S.C.G., Chiese di Genova, ms. n. 050, c. 184 r., e Memoria della Chiesa di S. Maria di Belvedere, in « Miscellanea di scritture ecclesiastiche genovesi di epoche varie », ms. B.U.G., segn. B-VII-28, sec. XIX, cc. 161-178. Il 23 ottobre 1579 « Prior Sancti Augustini Genue concessit dictis dominis consulibus dictum Monasterium de Belvedere, posito in Promontorio, pro reponendis setis et pannis sete et ibi purgandis... ». Venne stabilito inoltre che «... sete conducende in ecclesia Sancte Marie de Brevei, concessa pro reponendis setis, conducantur per viam publicam promontorii, sub cautellis et custodibus deputandis per Dominationem Suam... » (A.S.C.G., cit., doc. 23 ottobre 1579). 103 Venne stabilito il numero di dieci perchè si desiderava che vi fossero due sindaci per ognuno dei sei sestieri in cui era divisa la città, ma «... parendoli che in un sestiero non facci di bisogno prendere sete... » (A.S.C.G., cit., doc. 21 novembre 1579). - 67 - Ai sindaci — le cui funzioni, anche in tempi normali, avevano un carattere inquisitorio e di polizia — venne appunto delegato il compito di curare il recupero delle sete da portare al Belvedere • Considerata la natura straordinaria della prestazione, venne loro concesso un compenso mensile di 20 lire105, e l’aiuto di « portatori », « con un salario i so i 25 al giorno per il tempo che seranno a detta cura; e per il tempo c e seranno in purga, a soldi 10 il giorno » m. Una volta venuti a contatto con le sete infette, anche gli uomini dovevano sopportare un perio o 1 iso lamento onde non essere veicolo di contagio. Il numero dei “ portatori ” alle dipendenze dei sindaci, trenta per sone107 che due volte alla settimana portavano le sete fuori citta, a ^a un’idea dei quantitativi che venivano ammassati e del notevo e ^ _ore essi costituito. Si imponevano, pertanto, misure straordinarie a i esa^ tale patrimonio, come si può vedere da un documento del 26 novem che ordinava a tre dei « portatori elletti a prendere e imbaiare e te e veluto e altri panni di seta e sete che sono in le case chiuse e inje e » « dormino in la Sacrestia della casacia de Santo Antonio » > Per eserclt una adeguata sorveglianza. _ . Questa casaccia, unitamente a quelle di Santo Stefano e di Santa ^ gida 109, costituiva un punto di raccolta e di ammasso del materia e seri infetto che in un secondo tempo veniva smistato al Belvedere. 104 A.S.C.G., cit., doc. 17 novembre 1579. 1(b Ibidem, doc. ult. cit., nell’eleggere tre nuovi sindaci « ad imbalari fa ^ dos pannos sete et setas... deliberant salarium sindicorum elligendorum... libras Ianue singulo mense pro singulo eorum. Pro nunc deliberant libras decem pro quolibet eorum ». 106 Ibidem, doc. 17 novembre 1579. II 30 novembre a nove di questi uom^ venne concesso un anticipo di « scuti quatro per ogniuno di loro, a bon conto suo stipendio... » (Ibidem, doc. 30 novembre 1579). 107 « Che... Magnifici Commissari sesteri diano a detta arte trenta delli loro huomini portatori per giornata, che portino dette sete in lo luoco di Belvedere... » (Ibidem, doc. 21 novembre 1579). 108 Ibidem, doc. 26 novembre 1579. Qualche giorno prima era stato eletto pure un « sorvegliante », con un salario di 20 lire al mese, « qui curam habeat assistere continue ad casatiam Sancti Antonii, causa recipiendi omnes pannos sete et setas ibi ferendas per portatores, et debeat... tenere apud se claves dicte casatie... » (Ibidem, doc. 17 novembre 1579). 109 « Che sia concesso a detta arte la casacia di S. Stefano, quella di S. Antonio e quella di S. Brigida, per poter ivi reponere le sete fabricate o non fabricate che si — 68 - Poiché, per paura del contagio, vigevano nella città norme rigorose che regolavano gli spostamenti delle persone no, ai sindaci dell’Arte venne concesso di poter liberamente « andare, venire, ritornare per la città, non ostante la prohibitione della quarantena »111 ; venne inoltre stabilito, affinchè potessero meglio adempiere al loro compito, che non fosse lecito, se non in loro presenza, asportare dalle case infette tessuti o semilavorati serici, e che almeno uno dei sindaci accompagnasse ogni giorno, in ogni sestiere, il Commissario di Sanità m. Presso il monastero del Belvedere avveniva la parte più importante dell operazione, alla quale erano addetti numerosi elementi. In primo luogo, i « purgatori setarum », in numero di sei, con un salario di soldi 22 al giorno I13: ad essi spettava l’ingrato compito di venire per primi a contatto col materiale serico infetto da sottoporre alla “ purga ”, Ancora prenderanno nelli sesteri a dette casacie rispettivamente più propinqui, e che siano date a detta arte due giornate della settimana espresse e dichiarate... per poter far condure le sete a Belvedere, et nottificare dette due giornate al Commissario di Premontorio, acciò che ne faccia far noticia aili vicini, delle due giornate » (Ibidem, doc. 21 novembre 1579). 110 Era stata infatti dichiarata « una quarantena stretta, e che si divieti non solamente il traffico da sestiero a sestiero ma anco l’uscita di casa, fuori che a quelli capi che haverano licentia per quel spatio del giorno che li sarà assignato... e durerà per diece o vinti sin’in trenta o quaranta giorni continui, secondo quello che parrà espediente... » (A.S.G., Senato, Atti, fl. n. 1435, doc. n. 355 dell’ll novembre 1579). 111 A.S.C.G., cit., doc. 21 nov., cit. Il privilegio era esteso ai consoli dell’Arte, ai membri del consiglio, ai quattro vigilatori, al notaio, al “giovane della logia", ed a un messo, e venne mantenuto dai “ministri” delI’Arte anche per tutto il 1580 (A.S.G., Senato, Atti, fl. n. 1447). 112 « Che in qual si voglia casa o altro luoco non si puossino, d’ordine di cui si vogli, prendere sete fabricate o non fabricate che non li sia presente uno dei sindici di detta arte, elleti per detta arte, duo de’ quali sindici assisteranno di continuo apresso d’ogn’ono delli Magnifici e Prestantissimi Signori Commissarii di sesteri, o, almeno uno de detti sindici, mentre l’altro compagno anderà in altro luogo o sarà impedito in altro negocio... » (A.S.C.G., cit., doc. ult. cit.). 113 Ibidem, doc. 8 novembre 1579. Il compenso dei “purgatori" del Belvedere è superiore a quello percepito da coloro che svolgevano la stessa attività nel lazzaretto, alle dipendenze del Magistrato della Sanità. Il governo cittadino aveva infatti stabilito che «... a purgatori per le robbe che procedono da luoghi banditi si paghi soldi venti il giorno. A tutti li altri soldi quindeci » (Magistrato della Sanità - Decreti, cit., p. 89, decreto 31 luglio 1577). - 69 - 1 II # ff • sei erano gli « scioratori », coloro cioè che dovevano sciorare , ossia stendere all’aria, le sete e i tessuti già purgati. Il rischio era quindi minore e così pure il loro compenso giornaliero, che variava però da soldi 18 per « illi qui sciorarent septas captas et habitas a magistris in loco Porcifere a Sancto Francisco supra », a soldi 15 per quelli che le avevano avute « a Sancto Francisco infra » 114. Una particolare cura veniva posta nella scelta di questo secondo gruppo di uomini, che dovevano essere al di fuori di ogni sospetto di contagio: prima di iniziare il loro compito erano sottoposti ad un periodo di isolamento, che veniva loro regolarmente retribuito 115. A capo di essi vi era poi un « proveditore » o « soprastante degli scioratori », con un salario di soldi 25 giornalieri, il cui compito principale era di « vigilare ne sete sciorande in dicto loro furentur »116. Responsabile dell’organizzazione di quanto avveniva al Belvedere e diretto rappresentante dell’autorità delPArte era poi il « Commissario in loco Brevei », dotato di pieni poteri sulle persone e sulle cose presenti nel monastero. A compenso delle responsabilità che gli erano attribuite, egli aveva una disponibilità mensile di 310 lire, in parte per la sua retribuzione, in parte per far fronte alle spese più urgenti u7. Ad aiutarlo, per le mansioni di minor importanza, gli era stato affiancato uno « iuvems », la cui retribuzione era di 40 lire al mese I18. 114 A.S.C.G., cit., doc. 31 ottore 1579. 115 Ibidem, doc. ult. cit.. Dovendo scegliere uno “scioratore” da aggiungere agli altri, viene specificato «... et dum staret in dicto loco Belvedere per dies sex, separatus, antequam intret ad sciorandum dictas setas una cum aliis elligendis ad hoc, ut videatur... sit sanus, ordinaverunt dari... per dictos sex dies soldos decem singulo die... », con decorrenza dal giorno del suo arrivo al Belvedere. 116 Ibidem, doc. ult. cit.. 117 II 9 novembre 1579 venne eletto Paolo Cavo « prò commissario in loco Brevei, super setis sciorandis in dicto loco et alia, prout latius apparet in scriptura et patente Sue Dominationis... ». Dopo che ebbe prestato giuramento, vennero accreditate a suo favore L. 310 mensili, « ad bonum computum sui salarii ac aliarum expensarum faciendarum... » (Ibidem, doc. 9 novembre 1579). Contemporaneamente all’elezione del Commissario, i consoli e il consiglio dell Arte della seta « ordinant dari unum iuvenem... commissario in loco Brevei, super setis sciorandis »; venne eletto « Iohannes Iustinianus per menses duos proxime venturos, cum salario librarum quadraginta Genue singulo mense, qui curam habeat servendi dictum Paulum prout sibi ordinatum fuerit... » (Ibidem, doc. ult. cit.). — 70 - Tutta la parte, per così dire, amministrativa, collegata all’ammasso del materiale e dei prodotti serici (identificazione dei proprietari, registrazione, attribuzione), veniva svolta nella loggia delPArte, e vi furono delegati i quattro “deputati" o «vigilatone che nel marzo del 1579 erano stati eletti con una funzione meramente ispettiva. Presso la sede della corporazione essi tenevano un libro con l’elenco dei setaioli che mandavano seta da incannare alle maestre della Val Polcevera e l’indicazione dei loro rapporti finanziari con le stesse. Era l’Arte che in seguito provvedeva a far portare al Belvedere, per la “ purga ”, le sete avvolte su rocchetti o bobine 119. In un secondo libro veniva quindi annotato questo ulteriore trasferimento di materiale: «... di più habbino cura di imponere uno altro libro in lo quale sia distinto li panni di setta e sete che si manderanno al luogo di Belvedere o altri luoghi, in purga...»120. Il compito più importante dei quattro « vigilatori » era, infine, quello di provvedere alla riconsegna ai rispettivi proprietari dei tessuti e della materia prima che, finalmente liberata da ogni pericolo di contagio, veniva ammassata nella loggia dell’Arte121. Tale operazione coincideva, infatti, con il pagamento da parte degli imprenditori di una tariffa stabilita dai consoli, a titolo di rimborso spese. Per maggiore cautela, era stato ordinato ai « vigilatori » di non consegnare il materiale serico ai proprietari se non dopo aver accertato l’avvenuto pagamento m. 119 «... che li prefati Magnifici quattro deputati habbino cura de imponere uno libro in lo quale distintamente siano notati tutti quelli che hanno sete in Polcevera, e tengino conto con ogniuno di detti seateri di quello che hanno sborsato e quello che di nuovo sborseranno... » (Ibidem, doc. 31 ottobre 1579). 120 Ibidem, doc. ult. cit. Nell’inventario delle “carte” ricevute dal notaio Giovanni Battista Bisso nel 1582, quando fu eletto notaio della corporazione, troviamo enumerati « uno fogliazzo di expeditioni di sette a Brevei che comincia 1579, de settembre; diversi quaderni di sette racolte in Polcevera e manualetti n. sette de’ sindici per le sette che prendevano al tempo della peste in le case infette » (A.S.G., notaio Giovanni Battista Bisso, fl. n. 7, doc. 18 aprile 1582). 121 Le quantità raccolte nella loggia erano sovente assai notevoli. Gasi, ad esempio, il 16 novembre i consoli e i consiglieri «... dederunt et dant baliam magnificis dominis quatuor deputatis vigilatoribus dispensandi et consignandi fangotos quinquaginta setarum, existentes in logia predicta seateriorum, quibus spectant » (A.S.C.G., cit., doc. 16 novembre 1579). 122 «... Che tutte le sete così fatte come disfatte che sono e seranno nel laza-retto corno in Belvedere, in purga, purgate che seranno, si debbano esse sete fare portare in logia appresso magnifici Consoli e Consiglio, e non si debbano consegnare - 71 - La funzione di “ cassiere " era svolta dal più giovane dei quattro deputati speciali. Egli era tenuto ad esigere dai setaioli delle quote diverse, secondo una precisa suddivisione dei tessuti che era stata fatta dagli organi decisionali della corporazione 123: soldi 3 per ogni libbra di seta portata dalla Val Polcevera. A questa somma, richiesta per la purga, dovevano essere aggiunti soldi sei per libbra come compenso dovuto alle maestre, alle quali l’Arte si impegnava a versarli124. soldi 2 per ogni libbra di seta proveniente dalla citta, lire 4 per ogni pezza di velluto, lire 8 per ogni pezza di raso, lire 4 per ogni pezza di taffettà fine, lire 2 per ogni pezza di taffettà leggero. Per gli scampoli («scaparroni ») era fissata una tariffa proporzionale in rapporto alla qualità ed alla dimensione. Le somme riscosse dagli imprenditori, tuttavia, non furono suf cienti a coprire le spese effettuate dalla corporazione che, nel 1580, dovette « fare una vendita di paghe » su una parte dei « luoghi » che possedeva in San Giorgio. Sebbene i consoli ritenessero di poter in seguito « rimpetrarsi » di una parte dei denari « da cui in questo caso sera debitore », la sgomma che l’Arte dovette anticipare fu quella notevole di trecento scudi . Almeno per le sete in matasse o rocchetti — le uniche per le quali possiamo stabilire confronti — il costo sopportato dai setaioli che ricorrevano all’Arte per le operazioni di “ purga ” era incredibilmente supe riore alle somme richieste dal Magistrato della Sanità per effettuare la purga ” nel lazzaretto: due lire per “ Postellaggio ” nel lazzaretto ed dette sete alJi seateri a cui spettano che prima non si veda che detti seateri habbino pagato a magnifici quattro vigilatori per tutte le sete... A coloro che li haranno pagati li siano consignate le sue sete che li spettano » (Ibidem, doc. 5 novembre 1579). 123 Ibidem, doc. 31 ott., cit. 124 Ibidem, doc. 31 ott., cit., e doc. 5 nov., cit. 125 A.S.G., Senato, Atti, fl. n. 1447. Poiché la decisione per la vendita avrebbe dovuto essere presa dall’assemblea dell’Arte e « la qualità del tempo non comporta che si faccia congregatione di persone... », i consoli chiesero al Senato di poter agire come se i membri del’Arte avessero dato l’autorizzazione, « acciò che il negotio della purgatione non resti impedito ma camini inanzi ». - 72 - una lira per la purga di ogni balla di seta, e « s’intenda la balla de libre ducento cinquanta brutte »126. Tre lire, quindi, (cioè sessanta soldi) ripartite su duecentocinquanta libbre di peso lordo, contro i due soldi per libbra richiesti dalla corporazione. E’ difficile rendersi conto delPenorme difle-renza, se non considerando che l’organizzazione indipendente delPArte presentava numerosi vantaggi di altra natura, come: 1) una più rapida esecuzione delle operazioni di purga, cioè un più breve immobilizzo del capitale impiegato; 2) una maggiore sicurezza contro i furti, attraverso un diretto esercizio di vigilanza; 3) un diretto controllo delle sete in quanto, ricorrendo all’Arte, si evitava che esse fossero ammassate nel lazzaretto insieme ad un’infinità di altre merci di ogni specie, spesso di minor valore, e perciò custodite con minor impegno 127. Del resto, in tutto questo periodo, l’attenzione delPArte fu sempre rivolta a cercare di ridurre al minimo gli intralci e le remore che la situa- 126 Già il 7 agosto 1576 il Magistrato della Sanità (Decreti, cit., p. 3) aveva emanato un « Decretum Illustrissimorum Collegiorum quid exigendum sit a mercibus facientibus purgam in Lazareto et a navibus in portu, pro ostellagiis earum ». In esso venne stabilito che si dovessero esigere «... libras duas Genue pro qualibet balla sete et libram unam pro qualibet balla cottoni et lane, que posite fuerint in Lazareto ad purgationem faciendam, ac soldos quatuor usque in viginti pro quolibet homine ponendo in Lazareto ad purgationem faciendam, et a navibus ad rationem scutorum quatuor pro singulo miliario saltuarum portate eorum... ». Questo decreto venne perfezionato il 31 luglio 1577, dichiarando che «... in l’avenire le sete che si purgheranno in Lazareto, oltra l’ostellaggio ordinato, ... non si possa essi-gere per le spese di qualsivoglia sorte, compreso salario del commissario, altro che soldi 20 per balla, e s’intenda la balla de libre ducento cinquanta brutte... ». La tariffa stabilita per la seta era alquanto superiore a quella di tutte le altre merci, sia per l’alto valore unitario di questo filato, sia probabilmente per il fatto che era stato deciso che «... un purgatore non possa purgar altro che otto balle di seta; cottoni, lane, lini e simili merci balle dieci per purgatore » (Ibidem, pp. 88-89). 127 Malgrado questo, non era infrequente l’invio di sete anche al lazzaretto. Così il 24 novembre 1579, i consoli dell’Arte fanno presente alle autorità cittadine che «... si sono ricevute quantità di sette di Polcevera e mandate al lazzaretto e essendosene purgate colli cinquantaquattro già per più di quaranta giorni... » ne chiedono il rilascio, « essendo dette sete di molta valuta e spettando a diversi seateri ». Per ottenere il rilascio delle sete fu necessario però avere il parere favorevole dei Conservatori di Sanità del lazzaretto, del Rettore del Collegio dei Medici, e infine del Conservatore di Sanità del sestiere di S. Lorenzo (A.S.C.G., cit., doc. 24 novembre 1579). È questo un esempio delle formalità burocratiche che i setaioli cercavano probabilmente di evitare il più possibile, anche tenendo conto che in questo caso la seta fu tenuta nel lazzaretto più di un mese. - 73 - zione contingente apportava al regolare svolgimento dell’attività dei propri membri. Venne stabilito persino che, per sveltire il lavoro amministrativo, le stesse deliberazioni che l’Arte avrebbe dovuto prendere con la partecipazione dei consoli e del consiglio al completo, potessero essere discusse e votate dal numero di questi, qualsiasi esso fosse, che si trovasse nella loggia « dentro da un’hora dal termine della cittatione, purché vi inter-venghi uno di consoli almeno » m. Così venne pure prorogata la durata della carica dei due organi decisionali n9, in modo da non dover ricorrere a nuove elezioni durante il perdurare di una situazione d’emergenza . La maggior parte dei provvedimenti presi negli ultimi due mesi del 1579 rimasero in vigore ancora per buona parte del 1580. Anche il centro organizzativo del Belvedere continuò a funzionare positivamente, tanto che nel marzo di quell’anno i consoli e il consiglio potevano riferire alle autorità cittadine che, fra coloro che avevano partecipato alla purga , non si era registrato alcun caso di infezione 131 ; solo nel mese di dicembre, pero, 128 ... fatta citatione di quelli consoli e consiglieri di detta arte che si potrà..., possi quel numero di consoli e conseglieri che si ritroverà nella logia... expedire tutte quelle cose che occorreranno, come se il magistrato fussi in numero legitimo et intiero... » (Ibidem, doc. 4 novembre 1579). 129 «... e di più che, finito il tempo d’alcuno delli consoli o di consiglieri, ... li sarà prorogato il tempo a detti consoli e consiglieri... » (Ibidem, doc. ult. cit.). 130 Erano queste delle norme di buona amministrazione riprese dalle più importanti leggi che riguardavano il governo della Repubblica. Il 7 agosto 1579 le autorità cittadine avevano infatti deliberato che, nel caso in cui la pestilenza avesse dilagato nel territorio dello Stato «... poiché in quelli tempi non si possono governare le Repubbliche con la congregazione di molti... », una volta che fosse stata « sonata la campana », il Maggior e il Minor Consiglio potessero prendere le deliberazioni necessarie qualunque fosse il numero dei convenuti. Non sarebbe stato loro lecito, però, emanare « nuove leggi, nè d’alterare le già fatte, nè di mettere nuove gabelle o tasse... ». Era stato parimenti deliberato di «... prorogare la balia dei presenti consigli» (A.S.G., Legum, cit., cc. 84r.-88r.). Qualche giorno dopo, il 17 agosto, venne pure emanato un decreto De non repudiandis Commissariatibus et aliis oneri-bus Sanitatis per totum annum 1580 (Ibidem, cc. 88 v. - 89 v.). «... VV. SS. Illustrissime sappino che l’esperienzà ha fatto conoscere che le sete o non sonno soggiette ad infettare, o la prendino legera e prestamente la lassino, e si è vedutto chiaro in stando de Belvedere dove si è fatta la purga di tutte le sete raccolte di Polcevera e di quelle sete e panni che si son raccolte dalle case infette della città, che costoro che le hanno purgatte e manegiatte sono sempre statti sanissimi e sonno... » (A.S.C.G., cit., Memoria datta aili Mag.ci Benedetto Canevali e Ottaviano Dona, deputati dalla Signoria Illustrissima, marzo 1580). le ultime quattromila libbre di seta terminarono la loro quarantena nel monastero 132. L’attenzione del “ governo " dell’Arte cominciò in questo periodo ad orientarsi maggiormente verso misure che potessero portare, anche se lentamente, ad una normalizzazione dell’attività. Dopo aver ordinato ai setaioli, nel gennaio del 1580, di provvedere a rendere immuni da contagio tutte le sete che, sotto qualsiasi forma, esistessero nelle loro botteghe 133, in modo che si potessero “ manifatturare " senza pericolo, i consoli si adoperarono per cercare di rendere più facili i rapporti con la manodopera. Gli ostacoli, dovuti alle numerose formalità di carattere sanitario cui il materiale serico doveva essere sottoposto nel passare da un artigiano all’altro, non poterono essere eliminati in breve tempo, anche per le obbiettive difficoltà di controllo della manodopera, risiedente in buona parte fuori città. Nel luglio del 1580 i consoli ottennero finalmente che tutte le sete « in azze, testoi filati, torti e tinti, veluto, razi, damaschi, taffetali e altri panni di seta » che si trovavano fuori città, o presso le maestre, o nelle case di campagna dei setaioli, o nell’abitazione di qualsiasi lavoratore, potessero essere portate presso le porte di S. Tommaso e di S. Caterina; venne stabilito però che, prima di introdurle entro le mura cittadine « debino li patroni. . . toccarle e maneggiarle »134. Si voleva in questo modo evitare che venissero coscientemente introdotte nella città sete infette. A cura della corporazione vennero organizzati persino dei “ laboratori ”, dove le sete sospette venivano lavorate da persone qualificate, sotto stretta sorveglianza: pur cercando di evitare il contagio, in questo modo non si teneva la manodopera inattiva mentre si “ purgava ’’ la materia prima, e si limitava un ulteriore danno agli imprenditori ed allo Stato. La particolare situazione di indigenza degli artigiani faceva sì che accettassero 132 A.S.G., Senato, Atti, fl. n. 1441, doc. n. 372 del 1° dicembre 1580. 133 «... se ordina e comanda da parte de i Magnifici Consoli e Consiglio de l’Arte de la seta a tutti i seateri a quali si mostreranno le presenti che debbano per tutti il quindeci di febraio prossimo haver fatto intorno le loro sete e panni di seta tutta quella diliigenza et purga che havendono da farli per le raggioni sopra espresse, e questo sotto ogni grave pena..., acciò che quando, che Dio noi voglia, in dette sete e panni fusse qualche infettione, si scuopra subito, e non s’aspetti quando la cita sera per gratia di Dio purgata... » (A.S.C.G., cit., doc. 30 gennaio 1580). 134 Ibidem, doc. 20 luglio 1580. - 75 - il rischio — peraltro ormai molto ridotto — di essere contaminati dalle sete, piuttosto che adattarsi ad una forzata inattività 135- Anche se in seguito l’industria serica riprenderà, almeno in parte, la sua posizione di notevole importanza per l’economia della Repubblica, il colpo subito con la pestilenza del 1579-80136 segnò indubbiamente la fine della sua fase di ascesa. 135 II 30 maggio 1580 venne ordinato dai consoli che «... quelle sete sospette che sono nella casatia di Santo Antonio, sopra rocchetti, si possono trasportare, una quantità per volta, in una casa in Santo Agostino, deputata a questo effetto... dove si habbino a fabbricare da quelle persone che sarano deputate... e, condotte, si rinchiuda in quella casa quelli che doverano fabricarle, con deputarli una guardia che vi stia giorno e notte perchè non si usi fraude, con prender nota di nomi di quelli tali che saranno in casa e farli comandare, sotto pena della vita, che non eschino fuori... facendo masime mettere la saracinesca alla porta, acciò alcuno non possi entrare nè uscire... ». Il 31 maggio entrarono in questa casa, in cui vi erano « tri butteghe », per svolgere la loro attività, ben nove persone. Il 26 luglio vi si trovavano ancora, uno di loro, colpito da peste, venne mandato al lazzaretto (Ibidem). Soio il 15 dicembre 1580 le autorità cittadine emanarono la « Declaratio cessationis pestis et sic ordinum et legum prò tempore pestis factarum ». Poiché, 1 atti, era passato un mese dal 10 novembre, giorno nel quale si era verificato extra chitatem quidam suspectus seu infectus peste, et non secutus est aliquis a ius casus... », ritennero « per consequens observantiam et rigorem legum reformatarum pro tempore pestis cessare» (A.S.G., Legum, cit., c. Ili r. e v.). Capitolo III LE PREROGATIVE FISCALI DELL’INDUSTRIA SERICA Breve cenno sul trattamento fiscale preferenziale di cui godevano la materia prima ed i tessuti. La « Gabella pannorum sericorum ». Analisi della « Venditio ». Il divieto di introdurre nella città tessuti forestieri. I "compratori" della gabella. - I numerosi processi fra i setaioli e gli appaltatori dei « carati maris » e dell’« introitus censarie ». Le prerogative fiscali degli imprenditori. Il sistema tributario della Repubblica genovese non ebbe come esclusivo fine quello di assicurarsi un’entrata che fosse sufficiente a soddisfare determinati bisogni pubblici. In un primo periodo i dazi ebbero infatti una tendenza rivolta a favorire il commercio mediante una differenziazione delle tariffe; nel XIV secolo numerose furono le disposizioni emanate allo scopo di proteggere contro la concorrenza esterna le industrie che incominciavano a svilupparsi. Questa politica continuò per tutto il Quattrocento e buona parte del Cinquecento, e riuscì a creare nella città una industria di esportazione avente carattere competitivo l. Di queste facilitazioni si giovò più di ogni altra l’arte della seta, anzi essa dovette in parte notevole il suo affermarsi e la sua importanza alla particolare protezione fiscale ed alle agevolazioni concesse agli imprenditori 2. Durante il XIV e il XV secolo, infatti, tutte le stoffe di seta o di seta e oro, fabbricate a Genova, non pagarono mai alcun diritto di esporta- 1 Cfr. H. Sieveking, Studio sulle finanze..., cit., parte I, pp. 175-76. 2 Cfr. D. Gioffrè, Gênes et les foires de change - De Lyon à Besançon, Paris, 1960, p. 60: « Le sete genovesi sopportano con successo la concorrenza di Fiorentini e Lucchesi anche grazie alla politica fiscale che, al contrario delle altre città, Genova aveva adottato nei loro confronti ». Così H. Sieveking, Studio sulle finanze..., cit., parte II, p. 199, riporta l’ipotesi del Pohlmann, secondo il quale, nel 1478, i forti dazi di esportazione esistenti a Firenze avrebbero favorito l’affermazione dell’industria serica a Genova. zioneJ; dalla fine del Quattrocento una parte della stessa seta greggia godette di alcune riduzioni del dazio di entrata4. La completa esenzione da ogni tributo riguardava anche loro e l’argento — assai spesso utilizzati nella fabbricazione dei tessuti genovesi — sia nel caso di importazione di materia prima, sia per l’esportazione di oro e di argento filato 5. Nel corso del XVI secolo le franchigie sui dazi di cui godeva l’industria serica vennero in parte abolite. La nuova politica fu adottata a causa delle accresciute e pressanti necessità finanziarie della Repubblica ed iniziò a concretarsi nel 1539, quando l’addizionale dell’un per cento sui « carati maris » venne applicata anche all’esportazione delle stoffe seriche fabbricate a Genova 6. L’arte, tuttavia, avviata verso il periodo di massima espansione, non risentì sensibilmente di questo aggravio. 3 « De pannis auri vel sette vel auri et sette factis et fiendis in Janua extrahendis de Janua pro quacumque mondi parte nil solvatur pro exitu » (Liber Institutionum Cabellarum Veterum Communis ]anue, a cura di D. Gioffrè, Milano, 1967, p. 5, Venditio introitus karatorum viginti quatuor (sec. XV). Il dazio dei « carati maris », spettante al Comune, colpiva normalmente tutte le merci che entravano od uscivano dal territorio della Repubblica nella misura del 5 % del valore reale. Quando nel 1466, con successive additiones", i 24 carati (o parti in cui era diviso l’appalto e a gabella) furono portati a 60, l’eccezione stabilita per i tessuti auroserici rimase invariata. Cfr. G. Rebora, Prime ricerche sulla «Gabella caratorum sexaginta maris», lesi di laurea depositata presso l’istituto di Storia Economica dell’Università di Genova, p. 12. 4 Nell articolo 14 della Venditio introitus caratorum sexaginta maris venne “ f°. C,.L,^e SSte ®reg£e Verona e Vicenza pagassero soltanto lire 40 per ogni balla di libbre 250 lorde e le sete già filate e ritorte, lire 45. Cfr. G. Rebora, ime ricerc e..., cit., p. 12. Facilitazioni fiscali erano riservate in linea generale a i importatori di materie prime destinate ad alimentare le industrie locali Cfr. Ul lucci, Le imposte..., cit., pp. 254-56. <<.^)e.^uro’ r? Pecunia, boiono, perlis, lapidibus preciosis et de quibus-q e loca us mittendis per mare vel terram de Janua extra districtum Janue ad a ^-Ue£ l*0-0 '• P.artes’ s°lvantur libra una ed solidi decem, excepto auro filato i 3tlS 3 ^lcat's *n Janua de quibus nil solvatur, et de dictis rebus et mercibus ndecumque aductis vel aportatis in civitatem Janue vel districtum, solvantur Hbra , * ef^m’ e*cePt0 auro et argento non fabricatis vel laboratis et pecunia umerata de quibus nil solvatur de adventu» (Liber Institutionum Cabellarum..., cit., P. ). ure questa disposizione rimase invariata nella riforma del 1466. Cfr. anche Ul lucci, Le imposte..., cit., p. 249. « cui drS'-H' SlEVEKING’ Studi0 sulle finanze..., dt, parte II, p. 199 e ivi nota 2: sinTnh LT UmUS Pr° Centenf° 8eneraIÌS dktÌS Caratis «corporato, intelligantur et a omnia panna sete fabricata in Janua, pro quibus solvantur lib. XVII pro Conseguenze diverse ebbe invece il provvedimento del 15 marzo 1565, col quale venne stabilito un dazio d’esportazione su tutti i tessuti di seta genovesi: 15 soldi per ogni pezza di velluto (100 piedi), di raso e di damasco (150 piedi); il taffettà venne tassato a peso, cioè un soldo e mezzo « prò libra ponderis »7. L’imposta danneggiò notevolmente l’industria la cui produzione era in larga misura destinata all’esportazione, diminuendone la competitività8, e costituì un ulteriore elemento di difficoltà per l’arte che altre circostanze, in parte già esaminate, avevano portato a vacillare, accentuandone il lento ma costante declino9. qualibet capsia de capsiis II, pro qualibet sauma, et pro illis pannis non existentibus in similibus capsiis solvantur sol. XXI, pro qualibet petia veluti, et pro aliis pannis sete, auri vel argenti ac auri vel argenti cum seta, ac etiam frezetis similiter in Janua fabricatis, solvatur I, pro cent, pro dicto drictu ». 7 Cfr. H. Sieveking, Studio sulle finanze..., cit., parte II, p. 199. Il dazio sulla seta doveva servire per l’estinzione di un « mutuum locorum » di 8.950 lire. Sappiamo che questo da2Ìo rendeva all’inizio circa 5.000 scudi d’argento all’anno; negli ultimi anni del XVII secolo il provento scese in media a 800 scudi d’argento all’anno, nonostante che nel 1665 fosse stata applicata un’ulteriore addizionale. Cfr. C. M. Cipolla, Il declino economico dell’Italia, cit., p. 612, nota 1, e H. Sièveking. op. ult. cit., p. 199, nota 3. 8 H. Sieveking, Studio sulle finanze..., cit., p. 199, nota 3, riporta alcuni dati sull’aggravio fiscale subito dai mercanti. Una cassa di tessuti di 11 rubbi e mezzo (destinata a Lione) pagava in media 11 lire di dazio; una cassa di 12 rubbi (per la Fiandra ed il Brabante) 12 lire; una cassa di 12 rubbi e mezzo (per la Germania) 12 lire e 15 soldi. 9 I tessuti genovesi esportati erano però sovente colpiti da altri tributi particolari o locali. Così nel 1517 venne stabilita a Genova una tassa di trenta soldi per ogni cassa di velluti destinata a Lione, per coprire la spesa dell’invio alla corte francese di quattro ambasciatori; diversi furono poi nel tempo i diritti di transito che i Genovesi dovettero pagare al duca di Savoia e quelli di importazione stabiliti per i tessuti a Lione (Cfr. D. Gioffrè, Gênes et les foires..., cit., pp. 51-59 e p. 61, e M. Bresard, Les foires de Lyon aux XV et XVI siècles, Paris, 1914, pp. 146 ss. e pp. 174 ss). Questi tributi, del resto, erano normalmente legati a periodi di contrasto nella politica internazionale. Proprio in considerazione dei non buoni rapporti fra Genova e la Francia e delle difficoltà che incontrava .l’esportazione dei velluti verso Lione — poiché Francesco I aveva dal 1540 messo un tributo aggiuntivo di due scudi d’oro per pezza — PArte della seta chiese al Senato nel 1560, dopo la pace di Cateau Cambresis, di poter prendere contatti col re « Christianissimo », non attraverso la Repubblica, ma con la propria organizzazione, per cercare di ottenere «la remissione e liberatione della detta imposta» (A.S.G., Senato, Atti, fl. n. 1319, anno 1560). Il testo della richiesta dei consoli è riportato in Appendice, XXXI. - 79 - Prima di questo inasprimento, l’unico tributo particolare al quale appare soggetta l’industria, era una imposizione globale di trecento lire annue, pagate alla Casa di S. Giorgio ed alle « Compere capituli ». Dopo il 1454, in seguito all'incorporamento di queste ultime nelle Compere di S. Giorgio, l’Offido di S. Giorgio ne fu l’unico beneficiario. Queste trecento lire costituivano l’ammontare previsto della gabella di un denaro « prò libra pretii et valoris », che veniva riscossa su tutte le stoffe seriche, anche in tessute d’oro e d’argento, e su tutte le merci di seta prodotte a Genova o nel suo distretto 10. Si trattava di una somma veramente modesta, specialmente se consideriamo che essa, nonostante il grande sviluppo dell’attività, non venne mai aumentata dalla Casa di S. Giorgio fino alla metà del XVII secolo n. Anche l’oro e l’argento, filati o ridotti in foglie, fabbricati, venduti o donati in Genova o nel distretto, erano soggetti ad una leggera tassazione assimilabile alla precedente. Veniva cioè riscossa una imposta sulla base di quattro denari per lira di valore del prodotto I2. L’appalto di questa gabella, durante la seconda metà del XVI secolo, non superò mai le cento lire I3. «... introitus denarii unius pro libra velutorum et pannorum de seta, tam laboratorum cum auro vel argento, quam sine, qui fient, laborabuntur et construentur in Ianua et districtu, et aliorum infrascriptorum... videlicet quod ille vel illi <3ui emerint dictum introitum possint et valeant... colligere... denarium unum pro qualibet libra seu ad rationem denarii unius cuiuslibet pretii et valoris omnium et singulorum pannorum de seta, sive fuerint cum auro vel argento, sive cuiuscumque generis ve! nominis sint vel appellentur» (Cod. A, c. 148 r. e v.). R. Di Tucci, Le imposte..., cit., p. 260 e ss., analizza l’andamento nel tempo dei prezzi di cessione degli appalti delle più importanti gabelle di S. Giorgio. * lntroltus pannorum sericorum » è registrato per 300 lire dal 1567 ai primi anni del XVII secolo. 12 « Venditio introitus auri et argenti fillati et folie auri atque argenti ac cen-datorum qui et quod laborantur, construuntur vel fabricantur in Janua vel districtu... videlicet quod quicumque emerit dictum introitum possit percipere, colligere et babere, ■■■a quacumque persona... que fieri, laborari vel fabricari fecerit et seu vendiderit, deerit, donaverit vel quomodocumque alienaverit aliquam quantitatem seu partem dictarum rerum et mercium superius descriptarum... denarios quatuor per libram fusti Precij et valimenti ipsarum... » (Liber Institutionum Cabellarum..., cit., p. 77). '3 La gabella fu venduta per 55 lire dal 1567 al 1577; per 79 lire dal 1578 al 1582; per 100 lire dal 1583 al 1586; per 60 lire nel 1597; per 32 lire dal 1597 al 1602. Cfr. K. Di Tucci, Le imposte..., cit., pp. 260-62. - 80 - Il « Liber secundus decretorum » dell’Arte della seta ci ha conservato, a scadenza di 5 o di 10 anni, vari resoconti dell’appalto della gabella « pannorum sericorum »: già nel 1423, prima dunque che la corporazione iniziasse ufficialmente la sua vita, essa venne ceduta per dieci armi a quattro setaioli14; di quell’anno è pure la « Venditio introitus denarii unius » che ci è pervenuta 15, nella quale sono raccolte tutte le norme che regolavano la riscossione e che garantivano i diritti degli appaltatori. Dall analisi del contenuto della « Venditio » ci rendiamo conto di come anche 1 istituzione di questa gabella possa essere inquadrata in una politica tributaria favorevole all’industria serica. Il tributo, di ammontare determinato, aveva la natura di un corrispettivo pagato allo Stato per un servizio reso: le trecento lire costituivano un’aggiunta allo stipendio dello scrivano cui la gestione doganale di S. Giorgio affidava il disbrigo degli affari della seta in un ufficio ad hoc (rastello della seta)16. L’istituzione del tributo aveva però portato all’abolizione di due imposte di carattere esclusivamente fiscale: una di quattro denari, che fino a quel momento era stata pagata « prò libra nacorum »17, e una seconda cui era stato assoggettato chiunque avesse portato abiti di seta o di velluto 18. Il manteni- 14 Essi erano Iacobo Perolerio, Triadano Lomellino, Giovanni da Borlasca e Guglielmo De Pirru, che l’acquistarono per 10 anni, a partire dal 2 febbraio del 1423, e si impegnarono a pagare le 300 lire annue « per quattuor equales pagas, ut moris est fieri per emptores aliorum introituum et cabellarum Communis Ianue ». (Cod. A, cc. 144 r. -147 v., In causa pannorum sericorum seu venditionis cabelle eorundem). Gli acquirenti erano fra i più notevoli seateri del momento: nel 1432 Iacobo Perolerio diventò uno dei primi due consoli dell’Arte e Giovanni da Borlasca fu uno dei sei consiglieri. Il periodo di 10 anni per cui acquistarono la gabella era inoltre eccezionalmente lungo, poiché la consuetudine genovese era di appaltare le tasse per un anno. Solo verso la fine del XV secolo gli appalti furono concessi per tre o cinque anni; essi cominciavano normalmente il 2 febbraio, data d’inizio dell’anno fiscale genovese. 15 Liber Institutionum Cabellarum..., cit., pp. 94-99. 16 Cfr. H. Sieveking, Die genueser Seidenindustrie..., cit., p. 120, nota 6, e G. Giaccherò, Storia economica del Settecento genovese, Genova, 1951, p. 369. 17 "Naco": broccato d’oro di provenienza africana (dall’arabo nakh), molto usato per i paramenti delle chiese. Cfr. D. Cambiaso, Stoffe e paramenti nelle chiese genovesi, Genova, 1948. 18 « Venditio introitus denarij unius pro libra velutorum et pannorum de septa... impositus loco introitus denariorum quatuor pro libra nacorum... et alterius introitus qui solebat esse super portantibus vestem de panno sirico, qui introitus et quilibet - 81 - « mento di quest'ultima imposta, in particolare, sarebbe stato particolarmente pregiudizievole per l’industria serica. Secondo le nuove disposizioni era “obbligata al pagamento della gabella non solo la produzione locale (di Genova e del distretto) ma anche quella dei territori d’oltre mare soggetti alla Repubblica, sotto la responsabilità congiunta dei tessitori e degli imprenditori19. Oltre ai tessuti subiva l’imposizione ogni « mersaria de seta »: per queste ultime era concessa però una esenzione se il valore dell’acquisto non superava le dieci lire20. Senza rinunciare completamente ai suoi proventi, la Repubblica, limitando a trecento lire la stima del valore di un appalto che col passare del tempo avrebbe potuto essere più redditizio, cercò quindi di favorire l’industria serica nascente e PArte stessa, che, dopo la sua costituzione, divenne la regolare acquirente della gabella21. Si evitò così di pesare in misura scoraggiante sopra una nuova attività di cui non si intendeva frenare lo slancio. Contemporaneamente (cioè fin dal 1423) venne proibito, pena la ipsorum sunt et intelliguntur esse ex toto cassati et annullati ac revocati et loco ipsorum impositus presens introitus... » (Liber Institutionum Cabellarum..., cit., p. )■ 19 «... ita quod pro dicto introitu sint obligati tam textores et magistri dic torum pannorum quam etiam domini ipsorum et seu qui illos fieri fecerint vel com miserint, et etiam panni predirti, ac etiam colligere et colligi facere possint unum e narium pro qualibet libra precij pro quocumque panno de seta cum auro vel argento vel sine ut supra texto... etiam extra dictos confines in locis tamen de ultra mare subditis Communi Janue... unica tamen solucione contenti etiam si dictum pannum mutaverit dominium » (Ibidem, p. 95). 20 « .. . eodem modo et forma colligere et colligi facere possint de quibuscumque mersarijs de setta cuiuscumque forme et generis sint que fient in civitate Janue vel districtu et que vendentur in civitate Janue vel de ipsa civitate extrahentuf... et hoc ubi... unica venditione vendentur tot mersarie de setta quod ipsarum precium excedat libras decem januinorum; pro illis autem que vendebuntur dicto precio vel ab inde infra et similiter que extrahentur precij librarum decem Januinorum vel ab inde infra, nil solvatur nec solvi debeat... ». I venditori furono obbligati a rendere conto ogni tre mesi delle vendite compiute prestando giuramento sul valore delle stesse. Erano esenti però dall’obbligo di dettagliare il tipo di merce venduta; al collettore spettava l’onere di provare la eventuale falsa testimonianza (Ibidem, p. 95 e p. 98). 21 Vedi p. 89. — 82 - perdita della merce 2, di introdurre nella città stoffe di seta non prodotte entro 1 con ini territoriali della Repubblica, a meno che non si trattasse i prò otti e e colonie, o di clamellotti, zendadi, dimiti, sciamiti23, taf-tetta o altri tessuti sui quali fino a quel momento era stato pagato 1’« introitus nacorum »24. L’industria genovese, infatti, non si dedicò mai in pascolar modo alla produzione di questi tipi di drappo (per quanto con- * '■ qu°d nullus’ tam civis Janue quam districtualis vel extraneus qui- r e;er— COnftÌ0DÌS- Status vel Preheminentie existât, nullo modo possit, valeat vel présumât, m Januam vel eius districtum, conducere vel apportare seu œndua vel app ^ ^ ^ ^ ^ ^ ^ ^ ^- vel formeT’ ^ ^ ““ aUI° ^ S6U sbe’ “i1151110* conditionis rme sit, qui non sit factus, textus vel fabricatus in civitate Janue et districtu Corvo usque ad Monachum, vel saltem ultra mare, in terris et locis subditis Com- Janue et districtu dicti Communis; quod si aliqui panni ex predictis fuerint conducti vel apportati contra formam predictam, et de extra loca predicta, intelli- gantur dicti panni ipso iure incidisse in commissum et predicti pleno iure acquisiti dicto emptori et collectori pro tercia parte, et pro una alia lercia parte Operi portus moduli, et pro reliqua tercia parte accusatori. Et eodem modo intelligatur de mer- “r qU£ fUerÌnt ^ Se“a’ Ut n°n p0SSÌnt Januam vel in districtum, - ierint extra Januam et districtum, modo et forma quibus dictum fuit supra de pannis sette... » (Uber Institutionum Cabellarum... », cit., p. 96). * «Clameloto» (0 « camellotto »): preziosa stoffa di pelo di cammello e di (O,. Rossi, op. cit., p. 19); veniva importata soprattutto da Chio, dove arrivava a a urchia. A loro volta i Genovesi la riesportavano verso la Francia, la Barbena e la Spagna. (Cfr. D. Gioffré, Gênes et les foires..., cit., p. 66). « Cendato » o «sendato» o « zendato »): stoffa di seta leggera simile al taffettà, molto usata per o a un tessuto da Poco prezzo, spesso di seta cruda o borra di seta. «Di-mito»: tessuto a due licci di bambagia o di cascami di seta o filosella. (E. Pandiani, Vita privata genovese nel Rinascimento, in « Atti della Società Li^ire di Storia Patria »! vol. XLVII, Genova, 1915, p. 360 e p. 388). «Sciamito» (o « exametum » o «xami-tum»: veUuto di seta pesante a sei licci, era il “pannus holosericus” per eccellenza. Originario della Grecia, era molto prezioso. Cfr. C. Du Cange, Glossarium medie et infime latinitatis, Parigi, 1845 e D. Cambiaso, Stoffe e paramenti, cit. 24 « ... eodem modo et forma colligi facere possint denarium unum pro libra precn et valoris quorumcumque clamellotorum, samitorum, dimitorum, cendatorum et aliarum rerum de quibus et pro quibus solebat solvi antea introitus nacorum... qui vel que conducentur Januam de quacumque mondi parte, etiam de extra districtum et qui vel que conduci possint non obstantibus infrascriptis... ». Venne però aggiunto «...exceptis cendatis et tafetà qui possint libere conducere quacumque mondi parte in Janua et districtu... » (Liber Institutionum Cabellarum cit od 95-96). . ■’ - 83 - cerne il taffettà essa iniziò solo nei primi decenni del XVI secolo) . Nei confronti degli zendadi venne addirittura dichiarata anche 1 esenzione completa 26. Circa un secolo dopo, nel 1535, la proibizione d’introdurre tessuti provenienti da altre regioni venne riconfermata, soprattutto nei confronti dei rasi e dei camocati che erano importati da Lucca. Quanto alla pena, notiamo come essa rimanesse invariata. Un particolare, piccolo ma significativo per capire come l’Arte intendesse difendere nel modo più completo e minuzioso i propri interessi, riguarda l’abolizione della facoltà, concessa nel secolo precedente, di introdurre nella città drappi stranieri per stretto uso personale, anche se col divieto assoluto di venderli e pa gando il previsto tributo27. Nel 1535 il decreto escluse che alcuno po tesse approvvigionarsi dall’estero « in alcuna quantità quantocumque mi nima, etiam per proprio uso loro »28; furono dichiarati in questo caso i e ^ da ogni vincolo e limitazione i rasi e i damaschi cremisi, gli zendadi, i tappeti e i taffettà stretti provenienti dall’Oriente, stabilendo che « de le Pre ete cose... sia libero et in facultà di ciascuno poterne condure per arbitrio senza pena alcuna »29. Anche se non vennero chiarite le ragioni dell esen 25 Vedi parte II, cap. II. 26 «... qui possint libere conducere quacumque mondi parte in Janua et strictu absque solvendo quidquam... presentis introitus de dictis cendatis » 1 Institutionum Cabellarum..., cit., p. 96). 27 « . .. liceat et licitum sit cuicumque civi vel extraneo conducere et co duci facere Januam et in districtum pannos et de pannis predictis de qucJcum^c loco voluerint... pro usu suo tantum et pro vestimentis ipsius et illorum de om seu familia ipsius, pro quo tamen panno sic conducendo solvere teneatur et denarium unum precij et valimenti ipsius ut supra... et quem pannum seu^ quos pannos ut supra conductos pro usu conducentis nullo modo possit dictus qui con duxiset illos vel illum vendere vel alienare in Janua vel in districtu, sub pena pre dicta... » (Ibidem, p. 96). 28 Cod. A, c. 244 r.. Simili divieti d’importazione nei confronti delle stoffe di seta straniere furono comuni anche a Venezia, dove il più antico risale al 1366. ssi si susseguirono numerosi per tutto il XV secolo. Nel 1490 venne vietato anche i farsi vestiti con stoffe di seta straniere: se questi vestiti venivano trovati, erano bruciati sul ponte di Rialto; i contravventori dovevano inoltre pagare una mu ta che superava del 20 % il valore del tessuto relativo. Cfr. R. Broglio D Ajano, op. cit., pp. 261-2. 29 Cod. A, c. 244 v., Panni serici forenses non introducantur in civitatem. 11 testo latino del decreto e quello in volgare del proclama (Cod. A, cc. 243 r. -244v.) — 84 — zione riservata a questi tessuti, non è inverosimile che la produzione locale non fosse sufficiente a soddisfarne la domanda. Tuttavia i tessuti genovesi erano quasi i soli venduti nella Repubblica, ed il monopolio di fatto, anche se in questo limitato ambito, arrecava agli imprenditori serici i vantaggi di un sicuro mercato. Venne persino vietato ai sarti di confezionare abiti con stoffe che non avessero il bollo del collettore della gabella, se per essi ne fossero occorsi più di venti palmi. Gli artigiani potevano essere anche costretti a giurare di aver osservato questa disposizione, e multati di un fiorino30 se fosse stata accertata la violazione della norma. Contemporaneamente si ordinò ai tessitori di non togliere le stoffe dai telai senza il permesso del collettore31 che avrebbe dovuto procedere sono riportati in Appendice, XXIII. Nel luglio di quello stesso anno i consoli chiesero al Senato di poter « ogni anno far publicare detto decreto o proclama per li lochi soliti della città » (A.S.G., Senato, Atti, fl. n. 1340). 30 «... quod nullus sartor vel incisor vestium, civis vel extraneus, cuiuscumque conditionis existât, possit vel présumât incidere pannum aliquem de setta, cuiuscumque conditionis vel generis existât, pro faciendo aliquam vestem vel aliter, nisi primo viderint dictum talem pannum habere bullam vel signum dicti emptoris vel collectoris, et hoc si dictum pannum fuerit a parmis viginti supra, quo casu vendirent sibi locum predicta. Si vero fuerit a viginti parmis infra, possit libere incidere, etiam si non viderit bullam; quam bullam teneatur et debeat retinere in se, et illam tradere et consignare dicto emptori et collectori, ad requisicionem ipsius, et sibi manifestare, ad ipsius requisitionem, cui dictum pannum pro veste vel aliter inciderit, et hoc sub pena floreni unius totiens auferenda a dicto sartore quotiens con-trafecerit, applicanda dicto emptori vel collectori; qui etiam sartores semper et quandocumque possint compelli ad instantiam dicti emptoris et collectoris, iurare de veritate dicenda de predictis et alijs quibuscumque pertinentibus ad presentem introitum, de quolibet mense... et hoc si dictum pannum fuerit a parmis viginti supra... » (Liber Institutionum Cabellarum..., cit., p. 98). 31 «... quod aliquis textor non permittat levare pannum de telario seu aliquam partem antequam fuerit facta denuntiatio de dicto panno et de eius qualitate emptori et collectori dicti introitus... » (Ibidem, p. 95). Nel 1500, Andrea di Solario e Pietro di Gersio, tessitori di seta, furono condannati dai « Consules calle-garum et introituum Communis Ianue » — giudici competenti di primo grado in materia di contravvenzione alle clausole degli appalti — perchè avevano estratto il tessuto dal telaio senza effettuare regolare denunzia a Tommaso di Mersio e Cristo-foro di Capriata, che avevano ricevuto la gabella in appalto dall’Arte della seta. Furono inoltre obbligati a dare conto di tutta la loro produzione dal momento in cui la gabella era stata acquistata dai due appaltatori per poter verificare se già altre volte non avessero osservato la norma (Cod. A, cc. 168 v. -171 r., Pro cabella panno-rum sericorum). all'apposizione del bollo prescritto32. Con severi controlli si vigilò poi sull’osservanza di questa norma che, malgrado il suo carattere, prevalentemente se non esclusivamente fiscale, finì per contribuire alla tutela qualitativa dei prodotti, in quanto — e conviene precisarlo fin da ora la gabella « pannorum sericorum » fu normalmente appaltata a imprenditori serici, quando non lo fu addirittura allo stesso notaio dell Arte. La tutela della produzione locale era però strutturata in modo da non pregiudicare il commercio di transito, al quale fu riservato un trattamento particolarmente favorevole. I tessuti serici in transito, qualunque fosse la loro provenienza, non erano tenuti, infatti, al pagamento della gabella « pannorum sericorum ». L’unico obbligo per i mercanti era quello di comunicare al collettore dell’introito — preventivamente o entro 1 tre giorni successivi all’arrivo — la quantità ed il tipo della stoffa importata 33. Il collettore aveva la facoltà di apporre il proprio sigillo sui tes 32 « ... teneantur et debeant quicumque fieri facientes pannos predictos, ut supra manifestatos et denuntiatos, non incidere nec incidi permittere de tellario a 1 quem pannum ex predictis, nec aliquam partem ipsius, nisi primo dicti panni, ve dicta pars que debuerit incidi, sit bullata et signata bullo et signo dicti emptoris seu collectoris; qui emptor et collector teneantur et debeant, semper et quandocumque fuerint requisiti, accedere ad bullandum et imprimendum bullum et signum suum pannis predictis, ubi debuerint in totum vel pro parte incidi, sine tamen premio ve expensis ex parte dicti facientis dictum pannum, eo semper salvo quod de dictis pannis ut supra manifestatis et denuntiatis possit incidi totiens quotiens placuerit usque in parmis quindecim de dicto panno, duntaxat absque eo quod expediat dictum pannum signare predicta... » (Liber Institutionum Cabellarum..., cit., p. 99). 33 «... eo salvo et reservato quod liceat et licitum sit cuicumque civi vel extraneo conducere vel conduci facere Januam pannos ex predictis, de quibuscumque locis fuerint facti, etiam extra loca districtus Janue vel subdita Communi Janue, cuiuscumque generis sint vel existant, dummodo non conducantur ut vendantur in totum vel pro parte in Janua vel districtu, sed ut ad alias partes mittantur extra districtum Janue, liceat transitum faciant per civitatem vel districtum; de quibus pannis sic conducendis, presens introitus solvi non debeat, ita tamen quod nullo modo vel aliqua via, per directum vel indirectum, vendi, consumi vel vestiri possint in civitate Janue. Teneatur tamen, quicumque tales pannos pro transitu conduxerit vel conduci fecerit, per mare vel per terram, antequam illos exoneret vel exonerari faciat, vel conducat intra portas Janue, ubi per terram conducerentur, denunciare dicto emptori vel collectori numerum et qualitatem dictorum pannorum, et hoc antequam exonerentur vel conducantur intra portas Janue ut supra, et in omnem casum intra tres dies postquam applicuerint portum predictum, si intra dictos tres dies contingat dictos pannos non exonerari » (Liber Institutionum Cabellarum..., cit., pp. 96-97). - 86 - suti e di controllare di persona che essi non fossero venduti in città34. A lui doveva essere segnalata in anticipo anche l’uscita dei tessuti in transito. Come in altri casi del genere, gli evasori avrebbero subito la confisca della mercanzia35. È importante notare, inoltre, che i Procuratori ed i Protettori di San Giorgio si impegnarono nel 1423, per tutta la durata dell’appalto decennale, a non imporre alcun altro tributo sulle stoffe di seta36, ed il Comune promise che non avrebbe vietato in alcun modo, per lo stesso periodo, di indossare vesti di seta3?. Il Governo della Repubblica rinunciò così, e per 34 « Qui emptor seu collector, possit, si voluerit, bullare dictos pannos seu fradelum, vel fangotum, seu vas in quo fuerint reconditi dicti panni, et teneantur, ad requisitionem collectoris, ostendere bullam vel alia supradicta, si remaneret vel remanerent bullata, totiens fuerint requisiti bullare et consignare, seu bullari et consignari facere, bullo et signo ipsius, ut semper constare possit quod non fuerint venditi vel in aliqua parte diminuti in Ianua... » (Cod. A, c. 151 r.). 35 «... et tempore quo extrahi debebunt de Ianua non possint extrahi nisi facta denuntiatione dicto emptori vel collectori qui possit recognoscere dictos pannos seu dicta bulla et si [non] erunt bullati, vel fraus aliqua fuerit commissa in predictis pannis, contra predicta, quo casu dicti panni sint et intelligantur cecidisse in commissum ut supra; ad quam fraudem inveniendam liceat et licitum sit dicto emptori et collectori, donec dicti panni steterint in Ianua vel districtu, vel postea quando-cunque, interrogare dictum conductorem cum iuramento, et alium quemcunque, de qua etiam fraude possit probare et fides fieri, per alium quemcunque modum legitimum » (Cod. A, c. 151 r.). 36 « .. . acto etiam quod durante tempore presentis venditionis dicti introitus, tam in principio et medio quam in fine, non possit imponi aliquis alius introitus seu aliqua alia nova cabella, vel aliquod gravamen, cuiusvis nominis nuncupatur, dictis pannis fiendis, factis et seu qui fient, et qui extrahentur extra Ianuam vel districtum, prout in clausulis dicte venditionis continetur, sed sunt dicti panni liberi a quocumque alio introitu de novo imponendo quantum pro dicto tempore: et eodem modo non possit aliquis introitus imponi nec, impositus, exigi, de mersariis que fiunt in Ianua et que dependent a seta conducta in Ianua, pro extrahendo dictas mersarias extra Ianuam... » (Cod. A, cc. 135 v. -136 r., Introitus cabelle pannorum sericorum). 37 « . . . quod durante dicto tempore, Commune Ianue non possit facere, vel ordinare, vel fieri vel ordinari facere, statutum, decretum vel ordinationem aliquam, vel aliquod ex quo, vel quibus, dirrecte vel per indirrectum, vel per aliquos cives vel habitantes in Ianua prohibeantur vestire vestes de panno sete, cum auro vel argento vel sine, pro ipsorum civium et habitantium libero arbitrio et voluntate». Se i patti non fossero stati rispettati, gli appaltatori avrebbero avuto il diritto di sospendere il pagamento delle rate (Cod. A, c. 136 v.). - 87 - un periodo relativamente lungo, alla emanazione di disposizioni di carattere suntuario38. Fu appunto basandosi sulla convenzione del 1423 che alcuni anni dopo l’Arte della seta riuscì ad avere ragione sui « collectores censarie nove » che pretendevano dagli industriali e dai loro clienti il pagamento di una addizionale decretata il 15 maggio 1428 « quarti unius centanario pro qualibet parte ultra solitam censariam » e di un successivo aumento dell’8 ottobre 1433. Una commissione appositamente nominata nel 1437 deliberò infatti che i setaioli erano esenti da queste gabelle « attento maxime onere in se ipsos seaterios suscepto de cabella pannorum sete » e per i particolari privilegi e immunità ottenuti nel 1423 • 38 Mentre la Casa di San Giorgio mantenne anche in seguito il suo impegno — di cui nel 1459 venne stipulata una ufficiale riconferma (A.S.G., Artium, ■ n. 161 ) — la Repubblica verso la metà del XV secolo riprese ed emanare norme suntuar e. Nel 1449 (7 marzo), in particolare, fu decretata una legge veramente draconiana c e proibiva alle donne di avere più di una veste di seta « que tamen si vi osa ve u dici solet ex pillo fuerit », cioè di velluto, « esse non possit coloris rubri aut vio ace Hoc est ne sit tincta cocco sive, ut loquimur, grana, neque vermiculo seu c amo xili » (Cfr. L. T. Belgrano, Della vita privata dei Genovesi, Genova, Tipog. or o-muti, II ediz., 1875, pp. 254-56 e p. 497). Negli anni seguenti le disposizioni si susseguirono con una certa frequenza, ma nel 1512 se ne mitigò in parte il rigore, per quanto concerne le seterie, fu decretato che ogni donna poteva aver « robe tree septa », ma una sola poteva essere cremisi (Idem, p. 255 e p. 257, nota 1). ^ tante però notare come non siano ricordati provvedimenti del genere dopo 1 (quest’ultimo decreto, inoltre, fu emanato dopo venti anni di silenzio), cioè nel peno o di massima espansione dell’industria serica genovese. Li ritroviamo, invece, alla ne del secolo, quando l’attività iniziò il suo declino: nel 1578 (13 gennaio) fu vietato alle donne « maritate e di qualunque stato » persino di vestire abiti di velluto ( r-Appunti storici e documenti relativi alla Storia di Genova, ms. B.U.G., segn. B-21, sec. XVIII, vol. II, suppl., p. 32); nel 1579 (18 maggio) un provvedimento suntuario (ripetuto poi l’8 novembre 1580, al termine della terribile pestilenza), anc e se non prese in considerazione in modo specifico le seterie, proibì però il lusso eccessivo. Cfr. Gride contro i banditi e i perturbatori della quiete pubblica, ms. B.C.B., segn. m. r. X, 2, 64, cc. 555 r.-556 r. e cc. 561 r. -562 v. 39 «... nos invenisse non potuisse nec posse impositos fuisse dictos introytus censarie nove soldorum quinque et soldorum trium et denariorum quattuor pro centanario nec non salsarum censarie veteris ipsis seateriis seu arti eorum... attento maxime onere in se ipsos seaterios suscepto de cabella pannorum sete super ipsis pannis tunc imposita, attentoque privilegiis et gratiis ipsis seateriis superinde factis occasione dicte cabelle pannorum sete et ut ars seateriorum in hac urbe utilius augmen-taretur... et quod per ipsos seaterios vel eorum aliquem solutum fuit dictis collectori- Nel 1433, allo scadere del primo appalto, la gabella fu ceduta alle stesse condizioni, ma per soli cinque anni, a Bartolomeo Gatto e Giacomo Oliva. I due setaioli però ricevettero l’appalto non in proprio nome, ma dichiarando « se ipsos emere dictum introitum nomine et vice ipsorum et totius artis seateriorum lanue »w. Lo stesso fece nel 1438 Gaspare da Passano41. Si avviò così una consuetudine che rimase in vigore anche nel XVI secolo: la corporazione pagava direttamente le trecento lire alla Casa di S. Giorgio e poi appaltava a sua volta la gabella. Nel 1516 questa venne venduta dai consoli al notaio dell’Arte stessa, Lazzaro Domenico Debenedetti. Nello stesso tempo, poiché i consoli desideravano che « decetero seapterii non compellantur solvere cabellam pannorum sericorum »42, egli venne autorizzato a riscuotere, invece della solita tassa dell’un per cento, la terza parte di tutte le multe imposte dalla corporazione, trenta soldi dai tessitori che si iscrivevano all’Arte della seta per avere il permesso di lavorare per conto proprio a due telai43, e tre lire da tutti i nuovi iscritti (oltre naturalmente alla tradizionale tassa di immatricolazione), fatta eccezione per i figli di maestri44. La produzione di stoffe di seta aveva raggiunto ormai un tale livello che indubbiamente la riscossione della gabella tradizionale dell’un per cento avrebbe reso, complessivamente, molto di più delle trecento lire dovute alla Casa di San Giorgio per l’appalto. Nel 1516, la corporazione era però ben in grado di rinunciare ai proventi di questo tributo, in vigore da quasi un secolo, tanto più che scaricava ogni onere dalle spalle dei propri membri a quelle dei tessitori e di chi aspirava ad entrare nel-l’Arte; il che era a tutto vantaggio di coloro che all’Arte già appartene- bus... certain pecunie quantitatem vigore clausularum dictorum introytuum... declaramus et pronuntiamus dictas solutiones factas... firmas debere remanere... » (A.S.G., Artium, fl. n. 161, doc. 3 marzo 1437). «® Cod. A, c. 138 v. 41 Cod. A, c. 141 v. 42 Cod. A, c. 197 v. 43 Vedi parte II, cap. I. 44 Cod. A, cc. 197 v, -198 v., Ellectio scribe artis. II testo di questo documento è riportato per esteso in Appendice, XVI. - 89 - vano nonché del notaio che, in complesso, non sembra aver combinato un cattivo affare di carattere personale45. Già nel 1517 avvenne però una piccola modifica del nuovo sistema: i tessitori indipendenti vennero tassati non più globalmente per trenta soldi, ma di un soldo « pro quolibet centanario librarum omnium et singulorum pannorum septe construendorum »46. Questo provvedimento, se da una parte favoriva i tessitori la cui produzione autonoma aveva un rilievo modesto, permettendo loro di pagare un tributo proporzionale alle proprie capacità produttive, da un’altra, costituiva evidentemente un meditato tentativo dei setaioli di porre un freno, una volta di più47, all attività dei tessitori, che con un progressivo accrescersi della loro indipendenza avrebbero potuto facilmente trasformarsi in concorrenti. Istituendo nei loro confronti un’imposta sulla produzione, venne attuata un azione inversa a quella compiuta a favore dei componenti la corporazione degli imprenditori. Nel 1518, tuttavia, non soddisfatti dall’operato del notaio, i consoli vendettero la gabella a Melchione Bracelli e Nicola Caffaroto. I due setaioli furono autorizzati, durante i cinque anni dell’appalto, a riscuotere come negli anni precedenti, la soprattassa di immatricolazione e la terza parte delle ammende. Venne invece abolita l’imposizione a carico dei maestri tessitori indipendenti; contemporaneamente Lazzaro Domenico Debenedetti, riconfermato notaio della corporazione48, si impegnò a versare agli appaltatori settantacinque lire all’anno, cioè un quarto dell’intera somma dovuta a S. Giorgio, come ricompensa per l’elezione49. 45 Pur non essendo possibile un calcolo preciso dei proventi del notaio in seguito all’appalto del 1516, si può notare come, considerata la media delle immatricolazioni del periodo (v. cap. I, nota 19) la soprattassa che pagavano i nuovi iscritti potesse rimborsargli già circa un terzo del prezzo pagato (anche se bisogna ricordare che i figli dei setaioli erano esenti da questo pagamento). La terza parte delle multe comminate dall’Arte, inoltre, procurava normalmente ai Padri del Comune, qualche decennio più tardi, un introito superiore alle millecinquecento lire (v. parte II, cap. II, nota 37). 46 Cod. A, c. 199 r.. Anche questa modifica, che completa il decreto dell’anno precedente, è riportata in Appendice, XVI. 47 Vedi parte II, cap. I. 48 Vedi cap. II. 49 Cod. A, cc. 199 v. - 200 v., Venditio cabelle pannorum sericorum. Il testo del documento è riportato in Appendice, XVII. — 90 - Nell esercizio della loro attività i setaioli avevano anche a che fare con tutta la serie di « gabellotti » genovesi, ed in particolare con quelli che sorvegliavano le operazioni commerciali di vendita, all’ingrosso e al minuto, compiute nelle botteghe. Poiché dalle due parti si cercava di salvaguardare gli interessi della propria categoria, le controversie e i contrasti furono molteplici, con frequenti seguiti giudiziari. Particolare rilevanza ebbero sempre i rapporti con gli appaltatori dei « carati maris » e dell’« introitus censarie », ma non meno spesso furono oggetto di contestazione la « ripa grossa » e 1’« introitus canne »50. Durante il XV e il XVI secolo, alla base di numerosi processi fu quasi costantemente la rivendicazione da parte dei setaioli di due privilegi, sempre riconfermati agli imprenditori dalle autorità cittadine, ma costante-mente impugnati dai collettori delle gabelle. In primo luogo, i setaioli erano esenti dal dover dichiarare sotto giuramento, a qualsiasi esattore, le compravendite effettuate, sia di tessuti, sia di qualsiasi altra merce di seta, anche se avvenute attraverso un pubblico mediatore51. Questa fa- 50 « Introitus canne pannorum » (o « malatolta pannorum »): consisteva nel pagamento obbligatorio di un soldo e quattro denari per ogni lira di valore dei tessuti di qualsiasi genere acquistati sia per essere rivenduti al minuto, sia per uso personale. « Introitus censarie »: era un’imposta che colpiva il volume degli affari. Il termine viene da « sensaria », ma il tributo colpiva tutte le vendite, che avessero avuto luogo con o senza l’intervento del sensale. Nel primo caso il sensale doveva pagare i 3/5 del suo provento; nel secondo l’appaltatore della gabella riscuoteva invece la intera somma che sarebbe spettata al sensale. « Rippa grossa »: colpiva il passaggio di proprietà di qualsiasi bene mobile (con alcune eccezioni). Andava a carico del compratore ed era di sei soldi per ogni lira di valore. Cfr. R. Di Tucci, Le imposte..., cit., p. 156 e p. 160, e H. Sieveking, Studio sulle finanze..., cit., parte I, pp. 170j71 e pp. 82 ss. 51 I setaioli avevano cioè il diritto di rifiutarsi di rendere noto con giuramento « omnia et singula mercata per ipsos quomodocumque facta, cum censario vel sine. nominando nomina et cognomina mercatorum cum quibus contraxerunt res et merces, nec non censarios cum quibus mediantibus ipsa mercata fuerunt completa, nec non etiam negotiaciones quas ipsi pro aliis seu alii pro eis fecerunt... » (Cod. A, c. 47 v.). Nel 1500, Battista di Passaggio, setaiolo, richiesto di giurare di aver osservato il decreto che vietava di esportare gli attrezzi adoperati nella lavorazione della seta, dichiarò di acconsentire « propter utilitatem publicam, dummodo non preiudicent iuribus artificum ac decretis, legibus, sententiis, consuetudinibus per ipsos artifices, ut asserunt, obtentis et ex quibus cavetur... ne ipsi artifices possint abstringi ad iuramentum pre-standum, et presertim circa administrationem apothecarum et negociationum suarum... ». Una volta ottenuta l’assicurazione scritta che il suo agire non avrebbe recato - 91 - colta — riconosciuta ai setaioli e ai membri di altre corporazioni da alcune sentenze già agli inizi del sec. XV52 — andava a danno specialmente dei collettori della « censaria »53, ma colpiva in generale gli appaltatori delle altre gabelle 54) ai quali le varie « venditiones » davano la facoltà, in pregiudizio ai diritti già acquisiti dalla categoria, « iuravit de veritate dicendo circa pertinentia ad dictum decretum tantum... » (Cod. A, c. 160 r. e v., Circa iuramentum prestandum per artifices de eorum negotiis). 52 I primi documenti del « Liber secundus decretorum » che hanno per oggetto questo diritto sono del 1412 e del 1419: ambedue, cioè, anteriori alla costituzione dell’Arte della seta come corporazione autonoma. L’uno e l’altro sono il resoconto di due processi causati dalla impugnazione del privilegio da parte dei « consules et collectores introitus censarie ». La controversia del 1412 si svolse davanti ai Procuratori di S. Giorgio, chiamati ad esprimere il proprio parere dalle autorità politiche della Repubblica nel ricorso esperito dall’Arte dei setaioli, degli speziali, dei barn baxari”, dei pellai, dei formaggiai, dei cambiatori «et aliarum artium». Nel 1419, davanti ai « consules callegarum » comparvero un tintore e « certi alii artiffices ». In ambedue i casi venne dato torto agli esattori (Cod. A, cc. 45 r. - 47 v., Relatio Officii dominorum octo Procuratorum Sancti Georgii veteris Illustri Domino Marchioni Montisferrati, Capitano Ianue et venerando Consilio dominorum Antianorum Civita tis Ianue super introclusis, e Cod. A, cc. 47 v. -48v., Sententia dominorum Consulum callegarum super mercatis non manifestandis). II privilegio di rifiutare il giura mento non era quindi proprio solo degli appartenenti all’Arte della seta. Nel 1471, Raffaele di Andora, testimoniando in un processo, dichiarò « quod imo cogl non potest nec tenetur ad aliquam manifestationem faciendam nec rationem traddendum, cum... fuerit et adhuc sit artista et de numero artistarum Ianue, qui sunt immunes et exempti ab huiusmodi oneribus: nam ipse est seaterius » (Cod. A, cc. 142 r. -143 v., Contra collectores cabelle censoriarum). 53 Oltre ai processi ricordati nelle due note precedenti, la documentazione ne fornisce altri che non chiamano però direttamente in causa l’Arte della seta, ma ebbero sempre per oggetto i tentativi degli esattori della « censaria » di investigare con ogni mezzo sull’attività degli artefici: Cod. A, c. 209 r. e v., Contra gubernatores censaria-rum (1491 - a proposito di un acquisto di panni lombardi); Cod. A, cc. 210 r.-213 v., relativo alla contrastata vendita di dieci pezze di stameti fra « Vincentio di Boxus, in Veglevano » e Simone di Recco. La controversia riguardava in questo caso la sede dove era stato stipulato il contratto, poiché la tassa era dovuta per le contrattazioni avvenute entro il territorio della Repubblica e fuori di esso ma la « venditio » specificava «... solvatur presens introitus de omnibus et singulis contractibus et mercatibus de quibus contrahendis habitum fuerit aliquod colloquium... », mentre Simone di Recco sosteneva di aver fatto l’acquisto per lettera. Sulla base di questa e di alcune altre cavillose considerazioni il mercante venne assolto. 54 Cod. A, c. 44 v., Artifices non astringantur ad iuramentum (marzo 1485 -concerne il ricorso di alcuni artefici contro gli esattori della « rippa grossa » che - 92 - caso di controversia o di dichiarazioni contestate, di « astringere ad manifestandum cum iuramento omnia et singula mercata » 55. L’altro privilegio, non meno importante, era rappresentato dal fatto che le “ volte " e le botteghe dei setaioli erano esenti da ogni perquisizione e atto di inventario da parte di qualsiasi esattore56. Ne derivava che la pretendevano venissero loro manifestate con giuramento « omnia mercata, emptiones et venditiones»); Cod. A, cc. 164v.-168r., Contra Gubernatores ripe minute (giugno 1499 - riguarda il rifiuto di giurare da parte di Bartolomeo di Ceva per l’estimo di una casa, « quia est artista et in numero artistarum Ianue»); Cod. A, cc. 205 v. -206 v., Comerchiarii annullaverunt preceptum factum seaterio (marzo 1520 - riguarda una deposizione fatta di sua volontà ai collettori dei « carati » da Agostino Magnasco, setaiolo, a patto che «... non intelligatur aliquid additum neque sublatum iuribus partium, neque inductum aliquod exemplum quod decetero in iudicio vel extra possit per ipsas partes vel alteram ipsarum allegari ad preiudicium alterius »); Cod. A, cc. 213 v,-214 v., Contra Gubernatores ripe grosse (aprile 1521). 55 Cfr. Liber Institutionum Cabellarum..., cit., p. 61 (Venditio introitus censarie...). Lo stesso concetto, con altre formulazioni, lo troviamo: Ibidem, p. 88 (Venditio introitus... rippe grosse)-, p. 127 (Venditio introitus... canne pannorum...)-, p. 152 (Venditio introitus rippe minute...). Nella « Venditio introitus censarie... », dei resto, l’ultima disposizione prima dell’elenco delle merci con le rispettive tassazioni, suonava: « Et que dicta sunt super, acta et firmata esse intelligantur salvis iuribus competentibus artistis Janue vigore publici decreti facti in eorum artistarum favorem per tune Présidentes dominationi Januensi... ». (Ibidem p. 62). A questo comma delle disposizioni generali sulla gabella si fa spesso riferimento nelle varie controversie. Nel 1490, inoltre, quando la « venditio » fu modificata da Agostino Adorno, su suggerimento della commissione che aveva a capo Baldassarre Lomellini, il comma venne ampliato, con una maggiore specificazione dei diritti e dei doveri delle parti: « Et que superius dicta sunt, acta, facta et firmata salvis iuribus competentibus artificibus sive artistis civitatis Ianue, vigore publici decreti scripti in eorum artistarum favorem, cui decreto seu quibus iuribus non intelligatur in aliquo derrogatum. Qui artifices non teneantur dare rationes suas neque aliorum in generali, teneantur tamen iurare, pro rauba que per eos expedietur, si sua propria est, conducta eorum risico et periculo, non spectans aliis in totum vel in partem; pro qua rauba, rebus et mercibus ipsismet spectantibus et ad eorum propriam proprietatem, que conducta fuerit pro exercitio ipsorum artificum et quam ipsi consenserint in eorum apothecis, non teneantur ad aliquam solutionem presentis introitus. Et intelligantur artifices, illi tantummodo qui in angariis et aliis officiis Ianue pro artificibus habentur et reputantur et non aliqui alii, qui artifices tractari et frui debeant exemptionibus et franchisiis sicut hactenus fecerunt, non obstantibus oppositis » (Cod. A, c. 162 r. e v.). 56 Nel 1539, a proposito di un inventario eseguito per ordine del Podestà, su richiesta dei Governatori dei "carati", nella bottega di Pasquale Cavalino, setaiolo, - 93 - seta e i tessuti « in bottega » non potevano essere confiscati o sequestrati, anche se il collettore aveva fondate ragioni per sospettare che non fossero state pagate le imposte dovute. Il setaiolo aveva anche il diritto di rifiutare agli esattori le informazioni sulla provenienza della materia prima e delle altre mercanzie che aveva nella bottega57. Contro simili facilitazioni fiscali concesse agli appartenenti all’Arte della seta fecero ricorso più volte i “Governatori dei carati”, cioè gli appaltatori più direttamente colpiti nei loro interessi, ma i vari arbitrati richiesti alle autorità ebbero sempre esito negativo nei loro confronti5S. Questi privilegi, di cui non si fa cenno negli Statuti del 1432, si venne dichiarato dai Sindicatori che « habeatur et haberi debeat prò non scripto, et quod de hoc inventario non debeatur traddere alicui seu aliquibus copia », perchè « contra formam iuris et privilegiorum artificum seateriorum » (Cod. C, c. 351 r.). 57 «... ex antiqua consuetudine, semper observata in civitate Ianue, per tantum tempus cuius contrarium memoria non existit... seaterii et alii artifices non possunt compelli a commerchiariis Ianue quod manifestent setam et alias merces a quibus personis seu mercatoribus habuerint, nec eis dare aliquam rationem de illis rebus, mercibus et seta quas habent in suis aphotecis seu voltis, nec de eorum negotiationibus tenentur aliquam rationem dare dictis commerchiariis ». (Cod. A, cc. 129 r. -132 r., Contra comerchiarios in favorem artis sete). In questo processo (novembre 1481) sono riportate quattro testimonianze di altrettanti setaioli che attestarono la veridicità di quanto sostenuto, facendo riferimento a casi personali e ricordando che, ogni volta, ai collettori dei carati che avevano tentato di sequestrare loro seta grezza, o zibellini o altri tessuti, era stato dato torto in giudizio. 58 Nel 1494 i Governatori dei “carati” furono obbligati a restituire ad Agostino Palazzo una certa quantità di seta che avevano sequestrato « in camera cubiculari ipsius Augustini..., cum seta ipsa capta fuerit ex domo ipsius Augustini et in dugana conducta vi violenter ac preter ipsius Augustini voluntatem, nova nihilominus introductione et preter consuetudinem solitam et contra privilegia artistarum Ianue, tempore longevo et fere perpetuo usitata ac ipsis artificibus observari solita, et quibus privilegiis et consuetudinibus ipsi artifices soliti sunt uti ac continuo utebantur et utuntur » (Cod. A, cc. 154 v. -155 v., Contra comerchiarios). Nel 1499 una analoga restituzione venne ordinata a favore di Vincenzo Vinelli, la cui seta era stata confiscata nella “volta” stessa (Cod. A, c. 95r. e v., Contra comerchiarios). Nel 1505 sempre i Governatori dei “carati” furono condannati a rendere a Simone de Iugo un panerium" di seta che avevano confiscato ad una delle serve dell’imprenditore « cum esset iam ingressa dieta serva dicti Simonis eius voltam et reposuisset dictum panerium in quo erat dieta septa supra banchum diete volte ». Venne infatti ulteriormente chiarito che « nec per comerchiarios nec per eorum custodes posse capi septa quando est in voltis et in apotecis ipsorum seateriorum » (Cod. A, cc. 262 v. - 265 r., Sententia contro li comerchiari). — 94 — desumono dai verbali dei numerosi processi fra seateri e “ gabellotti " contenuti nel « Liber secundus decretorum »59. Ancora una volta60 troviamo cioè raccolte accanto alle deliberazioni di carattere legislativo, una serie di sentenze, e due importanti prerogative vengono riconosciute dalla prassi giurisprudenziale prima ancora di essere recepite e normativamente definite negli Statuti. È stato appunto sulla base dei precedenti giudiziali che questi problemi furono presi in considerazione nel secolo XVIII: nel 1737, quando si procedette al riordinamento e alla ristrutturazione dei Capitoli dell Arte, essi furono risolti in modo duraturo per mezzo di opportune disposizioni, che sanzionarono l’indirizzo dei tribunali, colmando, nel contempo, il vuoto normativo preesistente61. Oltre a quelle accennate, di notevole importanza per i setaioli furono anche due sentenze del 1505 e del 1509, che attestarono il diritto di vendere, senza subire più molestia da alcun esattore, i tessuti bollati dagli appaltatori dell’« introitus canne ». Nella fattispecie viene chiaramente messo in evidenza il grande interesse della corporazione nel raccogliere e conservare le sentenze che la riguardavano: in tale modo essa aveva a propria disposizione, raccolti in maniera organica, tutti i precedenti 59 Nel 1538, però, i « Gubernatores caratorum » riuscirono ad ottenere un vero e proprio decreto col quale alla “Venditio" dei carati veniva apposta una clausola « quod... liceret intrare in voltis et apotecis seateriorum, et si reperirent aliquas setas quas suspicarent ab eis non fuisse factum debitum dugane, quod deberetur reddere rationem a quo seu quibus habuerunt et seu emerunt setas ipsas ». In seguito al ricorso dei quattro Protettori dell’Arte non solo il decreto venne cassato qualche tempo dopo, ma venne anche vietato ai Cancellieri del Comune di darne copia ad alcuno. Questa notizia è riportata sul retro della prima carta non numerata del Cod. A, con l’intestazione « Hec serviant pro memoria ». 60 Vedi cap. I. 61 Nella redazione statutaria del 1737 vennero infatti aggiunti due capitoli sui privilegi di cui godevano i setaioli. Nel primo venne dichiarato che « Li seatieri che tengono volta o bottega e qualunque sì sia altra persona che s’impieghi nell’Artificio et Arte della seta, non sia nè siano obbligati di manifestare con giuramento le compre e vendite da essi fatte di seta o robba alla seta appartinente, ancorché fossero fatte per mezzo di cénsale pubblico, a collettori delle Censarie, Riva grossa e minuta »; nel secondo fu codificato il divieto di perquisizione: « Non si potrà da qualunque si sia Gabellot'to o altra persona che abbia il carrico di essigere Gabelle, prendere o far prendere sete di alcuna sorte sotto qualunque pretesto una volta che siano introdotte nelle volte de’ seatieri, nè in esse volte farvi alcun atto d’inventario, perquisizione o cose simili » (Leggi e ordini per l’arte della seta recompilate..., cit., pp. 117-118). - 95 - giurisprudenziali favorevoli alle proprie tesi, e ne faceva tesoro nel corso di successivi giudizi62. L’Arte, del resto, prestò sempre la più grande attenzione, durante i due secoli, ad ogni provvedimento di carattere fiscale, anche se di interesse non sempre diretto. A questo scopo venne tenuta copia nei libri della corporazione di numerosi decreti che, pur non concernendo diretta-mente l’Arte della seta, o costituivano una “memoria di deliberazioni prese, o un precedente di richieste accordate63, o ancora riguardavano modifiche dei principi generali concernenti il funzionamento e la normativa delle gabelle64. 62 Cod. A, cc. 171 r. -182 v., Contra Gubernatores caratorum maris, e Cod. A, cc. 105 v. -112r., Contra cabellotos canne. Durante il primo processo (1505) erano state registrate ben ventotto testimonianze di altrettanti artigiani sul fatto che « ex antiqua consuetudine... commerchiarii nec alii gabelloti non possunt inferre aliquam molestiam super tellis, pannis lanarum, fustaneis et aliis mercibus que reperiuntur bullate per collectores gabelle canne in aphotecis artificum ». Il bollo dava cioè il diritto di vendere le merci « tam ad minutum quam aliter, tam in eorum aphotecis quam extra ». Fra i testimoni, diciotto erano setaioli. Queste testimonianze e questo processo, registrati « in volumine capitulorum artis seateriorum » furono richiamate quattro anni dopo dalla difesa del setaiolo Giovanni di Lavagna, imprigionato dagli esattori della « gabella canne » nonostante che i tessuti fossero già provvisti di bollo. 63 Cod. A, cc. 98 r. - 99 v., Contra Comerchiarios (febbraio 1501 - concerne una supplica di un certo numero di corporazioni contro i Governatori dei carati che intendevano subappaltare la gabella a delle condizioni ritenute dagli artigiani pregiudizievoli ai loro interessi, supplica accolta dalle autorità cittadine); la stessa è riportata una seconda volta in cc. 162 v. -164 r., Regius Gubernator possit cognoscere de gravaminibus in venditione comerchiorum. 64 Cod. A, c. 159 r. e v., Pro cabella censarie (riguarda una aggiunta del 1490 alla "Venditio" della suddetta imposta); Cod. A, cc. 160 v. -162v., Reformationes commerciorum et drictuum, fiende visa relatione nostrorum Rolandi de Ferrariis et sociorum; Cod. A, cc. 187 r. -188 v., Contra comerchiarios (concerne una precisazione fatta dai Protettori di S. Giorgio sui diritti degli appaltatori della “censaria” sui tessuti di lana e altre merci provenienti da Alamania, Lombardia, Piemonte e Asd). PARTE SECONDA LA CORPORAZIONE E GLI ARTIGIANI AD ESSA COLLEGATI Capitolo I fc FILATORI, TINTORI E TESSITORI: ORGANIZZAZIONE E RAPPORTI CON LARTE DELLA SETA I rapporti fra capitale e lavoro. - La filatura. La posizione dei filatori nell’ambito dell Arte. Vani tentativi di costituirsi in corporazione autonoma durante il XV ed il XVI secolo. Gli Statuti del 1598. - I tintori di seta. I capitoli del 1465 e le aggiunte del 1486 e 1492. Importante controversia fra tintori e setaioli nel 1471-72. La precisa normativa sui coloranti. Le « Reformationes ». La particolare vigilanza esercitata dai setaioli sulla tintura in rosso. - I « textores pannorum sericorum ». La posizione giuridica di questi artigiani secondo gli Statuti del 1432. Il diritto al lavoro autonomo a due telai durante il XV ed il XVI secolo. Il sistema retributivo. I compensi in natura. Staticità della retribuzione durante il XV secolo e la prima metà del XVI. Le controversie salariali dal 1575 ai primi anni del Seicento. - Le arti minori collegate con l’industria serica. Uno dei problemi principali che l’industria genovese della seta dovette affrontare durante il XV ed il XVI secolo fu quello della manodopera, e in particolare delle relazioni fra il capitale, rappresentato dal setaiolo-imprenditore, e il lavoro, nelle due forme in cui esso veniva svolto: salariato ed artigianato. I due elementi risultarono in continuo contrasto e la struttura sociale di tutta la corporazione ne venne investita *. Infatti, in base agli Statuti del 1432, ai vari rami di specializzazione tecnica dell’arte serica non era consentito di costituirsi in unità associative completamente autonome, essendo ad essi riservata una posizione di completa e quasi incondizionata sottomissione agli interessi degli imprenditori, inquadrati nellArte. A questo stato di cose cercarono di reagire, con maggiore o minore fortuna, filatori, tintori e tessitori. Durante due secoli gli artefici non desistettero dalla loro azione rivolta ad ottenere migliori condizioni giuri- 1 Cfr. J. Heers, Gênes..., cit., p. 230. - 99 - diche ed economiche, nonostante che ogni tentativo di organizzarsi in modo indipendente ed ogni richiesta per avere una propria iniziativa eco nomica venissero considerate alla stregua di sollevazioni rivo uzionarie contro l’ordinamento della corporazione e della stessa Repubblica. La lotta non si presentava facile: i setaioli, forti dell appoggio e e autorità politiche, presso le quali avevano buon gioco, presentan osi come tutori degli interessi della comunità, erano ben decisi a difendere a propria posizione di privilegio ed a soffocare ogni tentativo di emancipazio categorie ad essi subordinate. . Non a caso, nel ribadire la loro opposizione a rivendicazioni 1 nomia da parte dei lavoratori, gli imprenditori fecero sempre pr necessità che la giurisdizione totale sugli affari della seta spettas sivamente ai loro consoli, affinchè questi potessero garantire a la regolarità della merce, le due qualità che permettevano ai pro g novesi di affermarsi sui mercati stranieri2. _ . Tuttavia, sfruttando le rivalità esistenti fra le varie fazioni a interno della Repubblica, i tintori prima, i tessitori ed i filatori in un tempo, riuscirono ad infrangere, almeno in parte, la supremazia g prenditori, anche se la loro conquista fu automaticamente im fatto che, per la natura stessa delle loro attività professionali, 1 autonomia giuridica non potè rappresentare anche un autonomia economico. . , «. * i- L’azione di queste tre categorie di artefici ebbe scopi, mo a 1 a attuazione e tempi di svolgimento differenti, ed è per questo cessario esaminarle separatamente. La filatura della seta si era sviluppata a Genova più tardi della tes situra e della tintura: lo ammettevano gli stessi filatori, in una supp ca del 1432, affermando che la loro attività, sebbene praticata già negli anni passati, aveva da poco cominciato ad occupare della manodopera in m sura rilevante3. I setaioli, probabilmente, dopo aver importato per ungo tempo la seta già ritorta, cominciarono a trovare più conveniente far ese guire questa operazione direttamente in loco, tanto più che il fiorire e 2 Vedi parte II, cap. II. 3 Cfr. R. Di Tucci, Lineamenti..., cit., p. 25. L’incremento della filatura coincise quasi con la costituzione dell’Arte della seta come corporazione autonoma. - 100 - 1 arte aveva favorito nelle due Riviere la coltivazione del gelso e l’allevamento del baco da seta. È importante notare, inoltre, come la filatura fosse preceduta da un altra operazione, la “incannatura", cioè l’avvolgimento su rocchetti o bobine delle matasse di seta greggia. Ad essa facevano seguito la “filatura" vera e propria e la “torcitura”, o unione di più fili spesso già torti isolata-mente, ed eventualmente una ulteriore binatura del filato. Il complesso di queste tre operazioni era comunemente denominato « filatura » ed aveva lo scopo di dare alla materia prima i requisiti che le consentissero di affrontare i successivi stadi di lavorazione4. La incannatura era svolta prevalentemente da donne che lavoravano a domicilio ed erano concentrate in gran numero nella Val Polcevera5. Da queste veniva pure effettuata, anche se in misura meno rilevante, la trattura dei bozzoli, cioè la dipanatura o trasformazione in seta grezza. All’operazione più importante, la torcitura, presiedevano invece dei “maestri” o dei lavoranti alle dipendenze dei setaioli. Nell’industria serica genovese i filatori — e in questa dizione sono nei decreti considerate anche le incannatrici — erano compresi nella corporazione degli imprenditori, ma i rapporti interni di potere erano tutti a favore di questi ultimi. Negli Statuti del 1432 nessuna norma di carattere tecnico riguardava la filatura della seta6: al contrario di quanto acca- 4 « ... l’arte dei filatori di questa città di Genova, la quale consiste in ricevere ogni sorte di sete sopra rochetti, e quelle sopra vareghi filarle, e ridurle in asse empie e poi, fatta dalli seateri scelta di dette asse conforme alla qualità delle sete, e ridotte poi e addopiate in rochetti dalle maestre, sono poi torte da essi filatori sopra vareghi e ridotte in asse che si restituiscono a seateri per farne li panni di seta... » (A.S.C.G., Atti dei Padri del Comune, cit., fl. n. 56, doc. n. 37). Sulle varie operazioni v. anche L’Arte della seta..., cit., p. 5, Cap. I, Dello incannare, e pp. 21-22, Cap. Vili, Del torcere e filare. 5 La Val Polcevera fu sempre la sede principale delle donne che svolgevano a domicilio alcune operazioni collegate all’industria serica. Ancora nel 1570 (A.S. C.G., Arte della seta, cit., fl. n. 602, doc. 23 aprile) in un « Proclama mandato in Polcevera quando vennero gli Alemanni a Genova », venne consigliato a « tutti quelli che hanno sete a manifaturare da seateri, le debbino portare a loro seateri e ridurle in loco sicuro, che non li possino essere prese, altrimenti facendo saranno obbligati a satisfare il pretio di dette sete a chi spetteranno... ». 6 L’unico accenno ai filatori, negli Statuti del 1432, concerne l’obbligo loro imposto, nel caso vogliano entrare nella corporazione dei setaioli, di abbandonare pubblicamente la loro arte (Quoid filatores sirici vel tinctores non possint artem setarie intrare neque exercere nisi relicta eorum arte). - 101 - deva per la tessitura, nessun accenno veniva fatto ai criteri ed al livello delle remunerazioni dei filatori. Nei confronti dei compensi, la stessa carenza normativa è riscontrabile anche negli emendamenti successivi7. Durante il XV secolo i filatori genovesi furono in pratica dei salariati 8, poiché erano completamente privi di iniziativa economica, ricevevano dall’imprenditore l’attrezzatura (di cui talvolta pagavano 1 affitto in danaro) e percepivano sovente anche una retribuzione fissata in anticipo, indipendentemente dalla quantità del lavoro effettuato 9. 7 Ancora nel 1625 ai filatori che, ormai riuniti in un’Arte autonoma, c le e vano « mercede stabilita et ferma », veniva risposto « essere impossibile farsi ®e^za pregiudizio di seatieri e filatori, essendo sotto Fistessa spetie di seta mo ta ^e renza tra di esse e per conseguenza meritano più o meno mercede... » 0 > c. 420 v.). 8 Cfr. J. Heers, Gênes..., cit., pp. 243 ss. 9 Interessante può essere a questo proposito riportare alcuni passi di un tratto di lavoro fra un setaiolo « Triadanus Lomellinus, civis Ianue, ex una parte, et Antonius de Vultura... magister filandi et torquendi setam ex parte altera », stipu lato a Genova nel 1428. L’anno è particolarmente importante poiché solo quattro anni dopo i setaioli ebbero un’Arte propria e capitoli autonomi da quelli dei mer ciai. Il filatore si impegnò « eidem Triadano asidue et studiose filare et torquere et laborare realiter et cum effectu die noctuque, debitis et consuetis tempori us, prout moris est dicte arti dicti Antonii, secundum possibilitatem et doctrinam lp sius Antonii... intra tamen muros civitatis et seu burgorum Ianue, videlicet ad fi torium sive fillatoria eiusdem Triadani, ... omnem illam quantitatem sete quam ipsi Antonio dabit et consignabit... nec non facere exercere eidem Triadano, pro ips0 et nomine ipsius, omni fraude et dolio cessante, quecumque laboreria et exercitia spectantia ad dictam artem fillandi et torquendi setam... ». In relazione alla durata del contratto venne stabilito « ... et hoc usque ad annos quatuor proxime venturos » che il filatore « non recedet durante dicto tempore... sine sententia et voluntate ipsius Triadani ». Da parte sua l’imprenditore si impegnò a « dare et solvere... prò salario et mercede et patrocinio ac laborerio ipsius Antonii libras septuagintaduas ianuinorum dumtaxat in anno... solvendas de mense in mensem in fins cuiuslibet mensis libras sex ianuinorum ». Il contratto si dilungava poi nel prevedere persino il caso che il filatore, durante i quattro anni potesse « infirmare seu alia causa le-giptima non posset laborare »: il setaiolo in questa circostanza « non teneatur ad solutionem predictam et prò rata ». Parimenti l’imprenditore non era tenuto a pagare il salario se reputava per un certo periodo « laborerio et magisterio suo non indigeret, facta prius notitia per ipsum Triadanum ipsi Antonio ». Era questa una clausola molto importante poiché il salariato veniva in questo modo privato della sicurezza del guadagno (A.S.G., notaio Branca Bagnara, cartolare n. 20, cc. 197 r. -198 v.). - 102 - Questo tipo di rapporto appare tuttavia in rapida evoluzione, in quanto, già nella metà del Quattrocento, i filatori iniziarono ad essere ri-compensati “ad opera" con un tanto per libbra di seta filata10. Nei primi decenni del XVI secolo, inoltre, i filatori cominciarono ad assumersi spesso in proprio il compito di far incannare o dipanare la seta, fungendo da intermediari fra gli imprenditori cittadini e le lavoratrici a domicilio delle campagne ", pur persistendo la grossa limitazione costituita dall’obbligo di lavorare esclusivamente la materia prima fornita dagli imprenditori n. 10 Alcuni esempi di questo tipo di retribuzione sono rintracciabili negli atti notarili. Il compenso era in genere calcolato sulla base del filato restituito: abbiamo un esempio di pattuizione di sette soldi per ogni libbra di seta filata e di dodici soldi per ogni libbra di seta filata e ritorta. In un altro caso vennero stabiliti quattordici soldi per libbra di seta filata, ma questa volta la retribuzione fu pattuita in « lire di paghe », cioè da effettuarsi con le ricevute dei dividendi scaduti dei “ luoghi ” di S. Giorgio, e venne infatti specificato « in ragione di quindici soldi di moneta corrente per lira » (cfr. J. Heers, Gênes..., cit., p. 244). In una supplica del 1604 i filatori chiesero che la loro retribuzione venisse aumentata in modo « che li sia pagato prò mercede per conto di sete messine e Calabrie e testoi, soldi otto prò libra; per la lombarda, nostrale et altra qualità, soldi sedici prò libra » (A.S.C.G., Arte della seta, cit., fi. n. 603). 11 Nel 1526 uno dei protagonisti di un processo è il setaiolo Manuele Pelle-rano, il quale « dedit in eius volta, prout moris est, Antonio de Gersio, tres aut quatuor sortes septe extrahende per uxorem ipsius Antonii et alias mulieres affines ipsius et habitantes in possessionibus suis et particulariter nominatas, [ut] in cartulario sue volte distincte continetur, ut consuetum est per quoscunque seapterios observari... quod non censetur prohibitum ut mariti vel alii attinentes veniant ad voltas seapteriorum et capiant septas portandas ad eorum mulieres pro ipsis extrahendis... » (Cod. A, c. 219 r. e v.). Nel 1604 i filatori, nel richiedere un aumento delle mercedi, ricordarono come ormai i setaioli avessero preso l’abitudine di dare « ai filatori tutte le sete descanate, dove ànno perdimento di tempo, travaglio e spesa, facendo bisogno che una persona non attendi ad altro solo essere a turno a procurare e solicitar le maestre, oltre il rischio in quale incorrono essi filatori per tale causa... » (A.S.C.G., Arte della seta, cit., fl. n. 603, cit.). 12 La dipendenza funzionale dei filatori dai setaioli faceva sì che gli imprenditori fossero anche arbitri dei processi di lavorazione e delle eventuali innovazioni tecniche da apportare ad essi. Fu all’Arte della seta che si rivolse, infatti, nel 1576, Matteo Merizano, il quale, avendo « con suoi longhi studii, fatiche et spesa... ritrovato modo di fare che li vareghi di filatori serano volti con maggior facilità e minore spesa di prima, ... perchè il metterlo in atto potrebbe dare ad altri quel frutto che ne spera et è raggionevole che sia dell’inventore » desiderava ottenere un « privi-leggio a esso et suoi heredi che altri nel dominio della Repubblica non possi fare — 103 — Contemporanea a questo effettivo allargamento delle proprie funzioni, fu l’azione intrapresa dai filatori per ottenere l’autonomia giuridica, documentata dalle continue e pressanti “suppliche" rivolte alle autorità cittadine affinchè ponessero rimedio alla disparità delle rispettive con dizioni. La richiesta di capitoli autonomi, avanzata già nel 1432 13, al momento della costituzione delPArte della seta, venne ripetuta nel 1469, ma trovò nei setaioli degli energici avversari. Le ragioni addotte furono molteplici, ma gli argomenti alla base dell’opposizione non variarono durante i due secoli. Gli imprenditori sostenevano in primo luogo la necessità di un accurato controllo sull’operato dei filatori, allo scopo di impedire frodi e furti, specialmente da parte delle incannatrici. L’Arte dichiarò infatti, nel 1469, che i filatori — se avessero ottenuto capitoli autonomi e propri consoli — « confisi quod... possint inter se ipsos cervicem erri gere 14, avrebbero subito compiuto ogni sorta di frode ed immediatamente non avrebbero più rispettato l’autorità degli imprenditori. Secondo i setaioli, inoltre, i filatori non erano, come veniva affermato, senza capitoli, poiché gli Statuti dell’Arte della seta comprendevano norme che concernevano tutti coloro che svolgevano un’attività collegata all’arte. Nello stesso tempo, i setaioli rivendicavano a sè ed al proprio capitale il merito dello sviluppo dell’industria della seta in generale e del ramo della filatura in particolare, che da essa strettamente dipendeva: separarle sarebbe stato come creare una frattura « in ter caput et membra », con grave danno per entrambe. Una commissione, composta da due giureconsulti, Matteo della Corte, vicario ducale, e Francesco Sofia, incaricati di risolvere la controversia, accettò la posizione degli imprenditori e deliberò « capitula requisita per filatores non esse concedenda » 15. Non diversa fu la risposta che i filatori ottennero nè, fatti, usare senza sua licenza detti artificii et lavori per lui inventati, nè simili o parte di essi per anni cinquanta, sotto pena di scuti cento e perdere essi ingegni e vareghi, da applicarsi per la metta alla Camera dei magnifici Procuratori, un quarto all’accusatore et l’altro ad esso supplicante... ». I consoli dell’Arte gli riconobbero il privilegio e le richieste il 1 luglio; il Senato genovese gliele confermò il 3 agosto (A.S.G., Senato, Atti, fi. n. 1416). 13 R. Di Tucci, Lineamenti..., cit., p. 25. 14 Cod. A, c. 48 v. 15 Cod. A, cc. 49 r. - 51 v., Contra requixita capitula filatorum sete. Questo decreto, con le suppliche delle controparti, è riportato per esteso in Appendice, VII, in quanto riassume, meglio degli altri, le rispettive argomentazioni. - 104 - nel 1500, allorquando presentarono nuovamente al governatore Filippo di Clèves un testo di Statuti da loro elaborato, « in quodam liberculo descripta »16. Del resto, le argomentazioni addotte dai filatori a sostegno della loro tesi furono sempre alquanto vaghe e mai, anche da un punto di vista formale, strutturate con chiarezza come quelle degli imprenditori; spesso, anzi, non andarono al di là dell’enunciazione del fatto che « omnes art es civitatis Ianue habent sua capitula quibus ipsi de dicta arte reguntur, licet minime respectu personarum et qualitatis artium sunt alique, habito respectu ad artem ipsorum flatorum » 17. L’attiva partecipazione dei filatori di seta alla rivolta del 1506, a sostegno dei tintori e di Paolo da Novi, fu indubbiamente una prova dello stato di scontentezza e di tensione che regnava fra questa categoria di lavoratori, i quali cercavano ormai di ottenere con la violenza ciò che veniva negato con mezzi legali. L’esito negativo della sommossa, e la breve durata del dogato popolare, non permisero loro di raggiungere alcun risultato. È anzi senz’altro probabile che proprio il ricordo di quegli avvenimenti abbia ispirato la dura risposta del Governatore e degli Anziani ad una ennesima richiesta di autonomia, avanzata, certo incautamente, nel 1508. Risposta particolarmente dura (« perpetuum silentium impositum esse requisitioni dictorum flatorum, ita ut amplius proponi non possit » 18), tanto che dovettero passare quarant’anni prima che i filatori osassero un nuovo, inutile, tentativo19, seguito da un altro circa dieci anni dopo 20. 16 Cod. A, c. 97 r. e v., Capitula requisita per filatores non esse concedenda. 17 Cod. A, c. 97 r.; con altra formulazione, Cod. A, c. 100 r. 18 Cod. A, cc. 100 r. -103 v., Capitula non esse concedenda flatoribus. Le due suppliche e la risposta delle autorità sono riportate in Appendice, XIII. Mentre il documento dei filatori non è che un sintetico esame delle proprie peripezie, la risposta dei consoli delPArte della seta è un esempio di abilità oratoria, sia per lo stile incisivo, sia per la puntualizzazione degli argomenti. Le critiche ai filatori non vengono lesinate e si arriva, ad un certo punto, a dire « ... dicti filatores nedum sunt aborrendi, sed puniendi, et graviter, de tanta eorum audacia et presumptione... ». 19 A.S.G., Senato, Atti, fl. n. 1252, doc. 16 giugno 1546. A questa supplica lurono allegati sette capitoli, di cui veniva chiesta l’approvazione, e venne specificato che « li maistri de detta arte sono n. 240; li lavoranti in circa sono n. 200 ». 20 Cod. A, cc. 257 r.-258 r., Reprobata requisitio filatorum (1559). I setaioli i ibadirono in questo caso « filatores non faciunt artem per se, sed sunt de connexis et dependentibus ab arte seateriorum, et consules dicte artis sunt competentes iudi- - 105 - Oltre ai motivi ricorrenti, in questa circostanza i setaioli nella loro opposizione denunciarono per la prima volta esplicitamente il danno economico che avrebbero subito da una eventuale decisione favorevole alla controparte, ammettendo che « sunt multi seaterii qui habent propria filatoria, et si hoc concederetur filatoribus, esset etiam, destruere in magnam partem artem seateriorum... »21. I rifiuti costantemente ottenuti, fino alla proibizione di avanzare nuovamente la richiesta, testimoniano la forza e l’ascendente politico degli avversari dei filatori. Solo alla fine del secolo XVI questi ottennero soddisfazione, ma in un periodo caratterizzato dalla carenza di manodopera conseguente alla peste del 1579, che aveva decimato il numero dei telai liguri22, e da una depressione economica generale23. Anche in questo caso, tuttavia, le autorità cittadine non dimostrarono alcuna sollecitudine nel reagire positivamente all’insistenza dei rappresentanti dei filatori. Passarono, infatti, più di venticinque anni prima che i Padri del Comune, in seguito ad una supplica del 1572 24, solleci- ces inter dictos filatores per eorum regulas et decreta antiquissima... », e, un poco più avanti, « ... filatores non habent artem per se sed est de dependentibus ab ipsa arte et per ipsos seaterios inventa... et eadem ratione magistre setam extrahentes et alie incanantes et orditrices deberent habere earum consules... ». 21 Cod. A, c. 258 r. 22 « ... in detta arte innanzi il detto anno 1583 si lavoravano in Genova e fuori telati dieci in undici milia in circa, et hora, cioè del detto mese di novembre, sono diminuiti di tre quarti » (A.S.G., Filze carati, n. 2786, « Fede de’ consuli e consiglieri dell’arte della seta et altri seatieri per il mancamento di detta arte », doc. del 3 novembre 1586). 23 Ancora nel 1604 i filatori si lamentarono per « le spese che si fanno di molto di più di quanto si faceva prima della peste, atteso che a lavoranti e incana-tori se li paga di avantaglio del doppio di quello si faceva prima della peste. L oleo valeva Lire 14 in 15 il barrile, hora vale sino Lire 40; le pigioni di case e butteghe non solo sono multiplicate il doppio ma molto più..., per conto del vito e vestito si spende più assai del doppio... » (A.S.C.G., Arte della seta, cit., fi. n. 603). H «ferimento ad un evento memorabile quale la peste, sembra celare agli occhi di questi contemporanei, il peso degli eventi monetari che caratterizzarono la seconda metà del XVI ed i primi decenni del XVII secolo, e che, per Genova, attendono ancora un’indagine sistematica. 24 Cod. C, cc. 206 r. - 207 r., Contra requisita capitula filatorum. In questa supplica, Pasquale Montoggio e Antonio Montesoro, procuratori di molti maestri filatori, dichiararono fra l’altro che erano « in vero essi filatori quasi al numero di 3®® - 106 - tati nel 1595 25, esprimessero il loro parere favorevole nel 1598, in data 9 settembre26. Per di più, il 23 dello stesso mese, la validità dei Capitoli venne estesa ad un solo quinquennio, «... cum declaratione tamen quod concessio ipsa sit et facta intelligatur citra preiudicium iurisdictionis consulum dicte artis serici »27. Nel 1604, allo scadere dei cinque anni, malgrado le proteste dei setaioli, unanimi nel sostenere di aver subito un gran danno dall’autonomia accordata ai filatori, gli Statuti di questi ultimi vennero riconfermati per altri cinque annia. L’ordinamento della nuova corporazione ricalcava quello dell’Arte della seta: a capo di essa stavano due consoli e sei consiglieri, da eleggersi annualmente, la cui competenza riguardava essenzialmente i contrasti fra i filatori: non vi era possibilità di appello per le multe fino a dieci lire, se comminate dai soli consoli, e fino a 25 lire, se decise dai consoli e dai consiglieri insieme. La Magistratura eventuale di appello era costituita dai Sindicatori. Requisito essenziale per essere eletto console era quello di aver tenuto bottega per almeno sei anni; per i consiglieri, erano sufficienti tre anni. Il provento di tutte le multe era ripartito a metà fra PArte ed i Padri del Comune. La corporazione aveva un proprio Santo protettore, S. Defendente, maestri... ». Per cercare di vincere l’ostilità dei setaioli, inoltre, i filatori si adattarono ad ammettere che «... non ricusano essi filatori di esser membro di essa arte nè tampoco si vogliono sottraete dalla giurisditione di seateri in quelle cose però che concernono all’amministratione di giustitia delle differenze loro che riguardano sete e mercede di manifature d’esse », non tuttavia per quanto concerneva la propria organizzazione interna ed i problemi della loro arte. 25 Cod. C, cc. 207 r. - 208 r. 26 Cod. C, cc. 208 r. - 209 r., Relatione de' Signori Padri del Comune. I documenti relativi all’ottenimento dell’autonomia da parte dei filatori sono riportati per esteso in Appendice, XXXII. Anche a Milano, del resto, i filatori dovettero lottare per più di sessant’anni per conseguire la sospirata autonomia. Cfr. E. Verga, op. cit., pp. XXV ss. 27 Cod. C, c. 208 v. 28 Cod. C, c. 216 r. Ulteriori conferme per cinque anni vennero poi ottenute dai filatori nel 1609 e nel 1613 (A.S.G., Artium, fl. n. 161). Ormai si trattava evidentemente quasi di una mera formalità, anche se per tutto il secolo XVII continuarono ad ardere controversie fra seateri e filatori, specialmente in tema di salari e di frodi. E’ da osservare però che gli Statuti delPArte della seta redatti nel 1737 sancirono definitivamente l’autonomia dei filatori (Leggi e ordini..., cit., pp. 49-50). - 107 - la cui cappella si trovava nella chiesa della Maddalena 29, ove tutti i filatori dovevano recarsi la prima domenica di ogni mese (la multa prevista variava da soldi 2 a soldi 5) e in tutte le altre festività elencate negli Statuti (in questi casi la multa variava da soldi 20 a soldi 40). Ogni anno, inoltre, tutti i maestri — e non solo i consoli, come nella maggioranza delle altre corporazioni — erano obbligati ad accompagnare la processione del Corpus Domini, « portando una torchia per uno in mano, in peso almeno di libre sei l’una »30. Particolare attenzione (sei capitoli su un totale di diciassette) venne posta nella regolamentazione dell’apprendistato. Per chi non era figlio di maestro, esso venne fissato obbligatoriamente in cinque anni , alla fine dei quali occorreva prestare servizio ancora per due anni, come lavorante. Era però possibile “comprare” l’esenzione dall’apprendistato, pagando all’Arte 20 lire se si era genovesi, 50 se stranieri. Ad un capitolo che limitava tassativamente a non più di due gli apprendisti in attività presso ogni maestro, veniva affidata la tutela degli interessi presenti e futuri della categoria ormai assurta a corporazione, analogamente a quanto era già stato sancito dagli Statuti di altre due corporazioni collegate alla industria serica, quella dei tintori e quella dei tessitori32. A partire dagli ultimi anni del Cinquecento i filatori di seta avevano così ottenuto dignità di corporazione, ma questo non bastò ad assicurare loro ima concordia interna33 ed il pacifico ed esclusivo esercizio della 29 I filatori possedevano la cappella nella chiesa della Maddalena fin dal 1477 (A.S.C.G., Arte della seta, cit., fl. n. 604). 30 Cod. C, c. 212 r. 31 Nei capitoli presentati nel 1546 l’apprendistato era stato stabilito in sei anni, ma era stato precisato che i garzoni dovevano essere « di 12 anni o più » (A.S.G., Senato, Atti, fl. n. 1252, doc. cit.). 32 Vedi p. 114 e nota 94. Per quanto riguarda l’Arte della seta, una norma che concede un solo giovane apprendista ai setaioli compare nella redazione statutaria del 1737 (Leggi e ordini..., cit., pp. 44-45). 33 Nell’ambito della nuova Arte, infatti, iniziarono ben presto i contrasti fra il gruppo dominante dei maestri e quello più numeroso, ma economicamente più debole, dei lavoranti. Nel febbraio del 1599 questi ultimi presentarono alle autorità cittadine una supplica contro i consoli « eletti da soli quattro mesi », che avevano emanato un provvedimento giudicato « a danno di ducento povere famiglie di lavoranti », in quanto « dove è stato sempre solito di pagarli a tanto il mese o vero la settimana, tentano di far nuovi ordini, volendo dedur le feste che nelle dette setti- - 108 - propria attività professionale. L’ultimo dei capitoli del 1598 indicava, infatti, che la supremazia dei setaioli era sempre viva: «... si dichiara che non ostante le cose predette, non resti prohibito, e anzi sia lecito a seateri e tessitori il poter far dell’arte a loro beneplacito, senza essere in alcun modo levati dai loro consoli, e senza esser sogetti aili presenti ordini e capitoli, i quali solamente habbino luogo e vigore tra li maestri filatori che non siano nè seateri nè tessitori... » M. Non è detto, quindi, che specialmente i setaioli non approfittassero di questa concessione, facendo praticare la filatura nelle loro botteghe ai garzoni o agli schiavi ed ai liberti che erano autorizzati a tenervi dagli Statuti del 1432. La regolamentazione giuridica che riunì i filatori in una corporazione indipendente, pur migliorando la situazione, non allentò quindi di molto i vincoli economici che li facevano dipendere dai setaioli. Una volta ritorta, la seta veniva passata dai setaioli nelle mani dei tintori: normalmente si tingeva, infatti, in “accia” o matassa, e non in pezza. La seta tinta fu anzi oggetto di commercio e di esportazione, anche se in misura minore rispetto ai tessuti. I tintori di seta erano degli artigiani specializzati, i quali, insieme con altre categorie che svolgevano un’attività similare, avevano formato una corporazione indipendente già nella seconda metà del XIII secolo . mane a metà decorrono, pagandogli per giornate, il che non si conviene come ne gli altri esercitii, incominciando tutte l’altre nel far del giorno sino al tramontar del sole e i lavoranti de’ filatori incominciando sempre alle ott hore sino a un hora di notte... ». A loro volta i maestri si difesero addossando la responsabilità ai setaioli « poiché se essi maestri non lavorano non sono pagati da seateri se non di quello fabricano », cosicché si trovavano obbligati ad usare lo stesso sistema nei confronti dei lavoranti, non per « sminuirli il prezzo, ma si ben pagarli di quello lavorano, non già delle feste che vanno a sollazzo... » (A.S.C.G., Atti dei Padri del Comune, cit., f. n. 57, doc. n. 11, Supplica dei lavoranti dei filatori contro i consoli). 34 Cod. C, c. 212 v.. Il testo completo degli Statuti concessi ai filatori (Cod. C, cc. 209 r. - 213 r., Capitoli dell’Arte de' filatori di seta) è riportato in Appendice, XXXII. Una norma che riconosceva particolari diritti ai setaioli compariva anche nel testo dei capitoli presentati, ma non approvati, nel 1546, con una stesura più sintetica: «... che ogni seaterio possa accomodarsi de l’arte corno noi proprii filatori » (A.S.G., Senato, Atti, fl. n. 1252, doc. cit.). 35 Cfr. G. Serra, La Storia dell’Antica Liguria e di Genova, Capolago, 1835, vol. II, p. 217. - 109 - In seguito, i vari rami di specializzazione dell’arte tintoria risultano distinti in base alle materie trattate, con un grado di maggiore o minore autonomia nei confronti di arti maggiori. All’inizio del XV secolo, in un elenco delle Arti esistenti, vennero registrate quella dei « tinctorum vernila » e dei « tinctorum endegi »36, e nei documenti notarili era sempre indicato se si trattava di un « tinctor sete » o di un « tinctor pannorum lane », o ancora di un tintore in « gualdo »37. Nel 1465, « li consoli dell’arte de’ tintori d’endeghi e sete » fecero presente ai « capitulatori, revisori e reformatori de’ capitoli dell’arti, artisti della città di Genova ... che li capitoli . .. della detta arte . .. concedere e riformare si debbano ad essi consoli, a nome e vicenda degli huomini della dett’arte »38: furono proposti dai consoli sedici capitoli, dei quali due vennero respinti e alcuni modificati39. A partire da questo momento possiamo seguire con maggiore chiarezza le vicende dei tintori di seta, che, rispetto ad altri prestatori d’opera, godevano già in precedenza del privilegio di una organizzazione autonoma. Tra l’altro, gli Statuti del 1432 dell’Arte dei setaioli, pur contenendo alcune norme tecniche 36 Monumenta Historiae Patriae, tomo XVIII, 1901, Leges genuenses, col. 667. I tintori di panni di lana « dependenti dell’arte della lana », chiesero dei capitoli speciali solo nel 1595, e in quell’occasione presentarono « anche li capitoli di detta arte de’ tintori di setta, acciò conforme a quelli di detta arte siano concessi a detti tintori di lana...» (A.S.C.G., Atti dei Padri del Comune, cit., fl. n. 53, doc. n. 178). 37 Cfr. J. Heers, Gênes..., cit., pp. 248-49. 38 Matricola dell’Arte dei tintori, ms. B.C.B., segn. m.r. I, 2, 1, cart., sec. XVII, c 1 r. 39 II primo dei capitoli rifiutati ai tintori era posto sotto la rubrica « Di non lavorare a quelli che recusano di pagare », cioè sanciva il diritto dei tintori di rifiutarsi di lavorare per chi avesse dei debiti nei confronti di un membro della loro arte. E’ interessante il fatto che i Riformatori dei capitoli lo esclusero con la nota che « è stato fatto in pregiuditio de tutti li cittadini di Genova ». Il secondo capitolo respinto vietava ai membri dell’Arte di « incantare o fare incantare alcuna casa, volta, banio, botega o stanza la quale o il quale alcuno, di dett’arte tenesse o terrà a pigione... » (Matricola..., cit., cc. 6 v. - 7 v.). A proposito di questo secondo capitolo possiamo peraltro osservare che una norma simile a quella richiesta dai tintori era stata invece concessa ai setaioli negli Statuti del 1432, sotto la rubrica « De domibus, apotecis vel bancis non incantandis ». Le altre modifiche apportate dai Riformatori riguardarono quasi esclusivamente le condanne a pene pecuniarie. - 110 - concernenti la tintura40, non interferivano minimamente nell’organizzazione dei tintori. Dai documenti consultati appare che, almeno a datare dal 1465, i tintori di seta fossero indicati indifferentemente come tintori di indaco o come tintori di seta41, con una confusione abbastanza spiegabile se si tiene conto del fatto che l’indaco era una materia tintoria fra le più pregiate e quindi fra le più usate nella tintura delle sete 42. Dalla fine del XV secolo fino ad oltre la metà del XVI, la denominazione di tintori d’indaco scompare quasi completamente43, prevalendo quella di tintori di seta, i quali, in realtà, esercitavano la loro giurisdi- 40 Vedi p. 117. Secondo gli Statuti del 1432, inoltre, i tintori di seta potevano entrare a far parte delPArte degli imprenditori solo dopo aver abbandonato la loro. Cfr. R. Di Tucci, Lineamenti..., cit., p. 63. 41 Sulla base di questa duplice dizione J. Heers (Gênes..., cit., p. 249) Ha ipotizzato una particolare corporazione dei tintori di indaco, esistente a Genova alla fine del XV secolo. Il documento cui si riferisce questo A. (A.S.G., Diversorum filze, n. 49, 11 aprile 1492), riporta infatti una richiesta di quattro capitoli da parte dei « consules artis tinctorum endeghi » riuniti « in claustro inferiori Beate Marie de Vineis », insieme con 44 tintori, di cui vengono riportati i nomi. Tuttavia la consultazione e trascrizione quasi completa della Matricola dell’Arte dei tintori, conservata presso la B.C.B., ha permesso di chiarire come il documento, anche in essa riportato (cc. 52 v. -57 r.; per il testo vedi Appendice, IV) non sia che un’aggiunta del 1492 ai capitoli del 1465 delPArte dei tintori d’indaco e seta. Le due dizioni vengono infatti usate alternativamente in tutti i documenti contenuti nel ms. e riferentisi sempre alla stessa corporazione; solo alla fine del XV secolo prevale quella di " tintori di seta ”, E’ da notare, inoltre, che nell’elenco dei nomi contenuti nel documento, fra i nove artigiani appartenenti alla famiglia da Novi, è anche Paolo da Novi, Doge popolare nel 1507, già noto per altri versi come « tintore di seta ». Cfr. F. Casoni, Annali..., cit., t. I, p. 94; E. Pandiani, Un anno di storia..., cit., pp. 238-39, e M. Staglieno, Intorno al Doge Paolo da Novi e alla sua famiglia, in « Atti della Società Ligure di Storia Patria », vol. XIII, Genova, 1897, pp. 487-95. 42 Ai tintori di seta era infatti tassativamente proibito tingere servendosi del guado (surrogato dell’indaco e meno costoso) e della robbia (usata al posto del cre-mex per i tessuti di minor pregio), anche se il tintore di seta fosse stato ammesso all’esercizio contemporaneo della tintura di lana (A.S.CG., Atti dei Padri del Comune, cit., fl. n. 23, docc. n. 161 e n. 167; fi. n. 24, docc. n. 11 e n. 126 (1558-60). 43 Anche nel decreto del 16 giugno 1557, con cui fu stabilito l’ordine di precedenza dei consoli delle varie corporazioni nella processione del Corpus Domini, troviamo registrati al ventesimo posto i « Tinctores sete » e al ventunesimo i « Tinctores », senza alcuna ulteriore specificazione. Cfr. 0. Pastine, op.. cit., p. 331. - Ili - zione anche su una minoranza di tintori « tellarum et fili », che erano l’ordito e la trama dei velluti44. Proprio alla metà del Cinquecento, in concomitanza con il momento di maggiore sviluppo dell’arte genovese dei velluti, i « tinctores tellarum et fili », acquistando maggior peso all’interno dell’Arte, ottennero che uno dei tre consoli dei « tinctores sete » venisse scelto fra gli appartenenti alla propria categoria45. Il perdurare di questa situazione portò inevitabilmente ad una nuova denominazione: « tinctores sete et tellarum »46. 44 Non abbiamo dati numerici su questi artigiani relativamente alla metà del XVI secolo, ma nel 1581 la proporzione registrata nella Matricola..., cit., cc. 122 v. - 123 r. e c. 127 v., è la seguente: 44 « tintori di seta e maestri dell’arte » più due consoli, sei consiglieri e un cassiere; 8 « tintori di tele e maestri di dett’arte » più un console. Nel 1606 i tintori di seta registrati sono 87, quelli di tela 12 (Matricola..., cit., cc. 125 v. -128 r. e c. 131 r.). 45 « ... elligendum esse et elligi debere singulo quoque anno unum ex arte dictorum tinctorum tellarum et fili in consulem et pro consule et... aliorum duorum consulum e arte tinctorum septarum... qui omnes tres consules elligantur et elligi debeant per homines predictarum ambarum artium... » (A.S.C.G., Atti dei Padri del Comune, cit., fl. n. 6, doc. n. 70 del 13 ottobre 1540). I Padri del Comune presero questa decisione respingendo la richiesta di sessanta tintori di seta che affermavano nei confronti di quelli di tela e filo « esset conveniens quod ipsi essent submissi consulibus artis tinctorum sete » (Ibidem). Nel 1578 « il consule et huomini dell’arte de’ tintori di tela e filo, si come essendo la detta loro arte congionta e unita, anzi tutta una cosa, con l’Arte de’ tintori di sete, come che ambe si reggano sotto un consolato » chiesero di modificare la norma statutaria secondo la quale le deliberazioni prese da due dei consoli erano valide come se fossero state prese dai tre insieme. Poiché due dei consoli erano del gruppo dei tintori di seta, accadeva, infatti, che questi si arrogavano « la giurisdittione et emolumenti di tutta l’arte », e il terzo console « più presto li serve per testimonio che per giudice ». La situazione si aggravava poi quando si trattava « di far scuse de’ luoghi o qualche distributione in povere persone » in quanto « essi due consoli si arrogavano la facoltà di farlo, non tenendo del terzo compagno conto alcuno e finalmente, confondendo ogni cosa, vogliono i tintori di tele per compagni ai carichi e alle spese ma non all’utile nè agli onori... ». Venne chiesto pertanto che la norma sull’autorità dei due consoli venisse interpretata nel senso che « debbino essere almeno uno di seta e quel di tela » (A.S.C.G., Atti dei Padri del Comune, cit., fi. n. 37, doc. n. 4, 12 dicembre e 25 dicembre 1578). 46 A.S.C.G., Atti dei Padri del Comune, cit., fl. n. 47, doc. n. 171 (1590); fl. n. 57, doc. n. 232 (1599); A.S.G., Senato, Atti, fl. n. 1391, doc. 27 giugno 1577. Nel 1574 i « tinctores sete et tellarum » radunati per eleggere i loro consoli sono c8 e rappresentano « ultra duas tercias partes hominum et universitatis dicte artis » (A.S.C.G., Atti dei Padri del Comune, cit., fl. n. 33, doc. n. 107). - 112 - I capitoli approvati a favore dei tintori di seta nel 1465 non devono essere considerati — come è stato fatto fin’ora47 — i primi Statuti concessi a questi artigiani, come risultato di un’azione simile a quella svolta dai filatori per sottrarsi al predominio della corporazione degli imprenditori. A suffragio della tesi della preesistenza della corporazione dei tintori di seta, oltre al fatto che troviamo nominata l’Arte dei tintori d’indaco già al tempo del Boucicaut48, se ne possono invocare alcuni altri. In primo luogo nel 1465 esistevano già dei consoli e dei consiglieri dell'Arte (poiché è in loro nome che venne chiesta l’approvazione dei capitoli) i quali postulano, per il fatto stesso di essere tali, una organizzazione già in atto. In secondo luogo, la forma della concessione, la terminologia usata, la limitatezza delle rubriche, sembrano riferirsi più ad un alquanto dimesso aggiornamento di norme preesistenti che ad una vera e propria concessione di autonomia più o meno condizionata49. Da un punto di vista formale, del tutto simili furono, del resto, gli altri due decreti che nel I486 e nel 1492 emendarono in parte gli stessi capitoli del 1465. Fra l’altro, questi ultimi sembrano tendere ad una normativa precisa e circonstanziata, sovente riferita a situazioni particolari, più che al disegno generale di una vera e propria corporazione50. Per quanto riguardava, ad esempio, l’apparato organizzativo, soltanto tre capitoli erano 47 Cfr. H. Sieveking, Die genueser Seidenindustrie..., cit., p. 109; R. Di Tuc-ci, Lineamenti..., cit., pp. 26-7 e J. Heers, Gênes..., cit., p. 248. 48 Vedi nota 36. 49 Quando nel 1471 (vedi p. 115) i setaioli chiesero che venissero abrogati i capitoli concessi ai tintori nel 1465, una delle motivazioni fu proprio il fatto che essi erano stati concessi « a certis civibus » e non dalle supreme autorità politiche. Poiché i Padri del Comune, nella deliberazione con la quale riformavano uno solo di quei capitoli, non dettero credito alcuno a questa pesante motivazione, possiamo ritenere: 1) che i capitoli erano stati emanati da organi giuridicamente competenti, anche se in periodo di occupazione; 2) che non trattandosi della costituzione di una nuova corporazione, le procedure adottate nel 1465 non erano di competenza dei supremi organi legislativi, ma dei Riformatori che in quel momento si trovavano in carica. 50 II testo completo dei capitoli concessi ai tintori di seta nel 1465 ( Matricola..., cit., cc. 1 r. -14 r.) è riportato in Appendice, IV. - 113 - 8 intesi a regolare le funzioni dei consoli e concernevano uno solo dei loro compiti, cioè quello giurisdizionale, stabilendo con precisione i limiti entro i quali erano giudici senza possibilità di appello (« purché la cosa domandata non ecceda libre cinque »), i criteri da seguire nei giudizi (« conosciuta la sola verità del fatto..., osservati li capitoli e non osservati, come a detti consoli meglio parerà e piacerà »), e sancendo nei loro confronti il diritto ad ottenere obbedienza da parte di tutti i componenti la corpo-razione, ma anche l’obbligo di « accordare li rissanti di dett arte fra sei giorni, sotto pena de soldi venti di Genova per ogni console se sarà negligente... ». Altri capitoli regolamentavano poi il giuramento di fedeltà che gli "ufficiali” dell’Arte dovevano prestare al Doge (corretto poi in « Duca di Milano, patrone di Genova »), le spese necessarie per il funzionamento della corporazione, la ripartizione delle condanne, le feste religiose durante le quali era obbligatorio osservare il riposo51. Mancano pertanto talune norme tipiche, che sono comuni e fondamentali negli Statuti istitutivi di corporazioni, quali quelle concernenti le tasse di immatricolazione, le norme sulla posizione degli stranieri che volessero entrare nell Arte, o ancora quelle sul numero dei consoli e dei consiglieri e sul procedimento della loro elezione. Brevi e scarse sono pure le prescrizioni sugli apprendisti, per i quali ci si limitava a stabilire che dovevano prestare la loro attività gratuitamente presso un maestro per cinque o sei anni, a giudizio dei consoli, e senza cambiare bottega. Disposizioni più precise su questo argomento furono emanate nel 1492: in quattro nuovi capitoli si stabilì che il periodo di apprendistato durasse sei anni, ma che ogni tintore dovesse fare ancora quattro anni di pratica come lavorante prima di acquisire il diritto di aprire una bottega. L’osservanza di questa norma doveva essere confermata con giuramento (da recepirsi in un atto pubblico) da parte del maestro, in presenza dei consoli e dei consiglieri. Contemporaneamente, a protezione dell’arte, o almeno di coloro che in essa erano i più potenti, cioè i tintori residenti in Genova, fu vietato ad una parte dei maestri di tenere in bottega più di un apprendista « ancorché più maestri fusse) o 51 La corporazione ebbe però una propria cappella solo nel 1532, nella chiesa di S. Francesco (Matricola..., cit., cc. 113 r. -116 r., Istrumento fra li fratti di Santo Francesco e l’Arte de’ tintori circa la capella). - 114 - nella detta bottega »52: la limitazione, infatti, riguardava solo le botteghe che si trovavano nelle due Riviere e nelle tre “podestarie” di Voltri, Polcevera e Bisagno, non quelle cittadine. Fra i quattordici capitoli delPArte dei tintori di seta emanati nel 1465, solo uno appare fondamentale e politicamente rilevante, e forse scopre lo scopo principale di questa ristrutturazione di un preesistente sistema organizzativo. Si tratta del capitolo che vietava tassativamente 1 esercizio della tintoria di sete in luoghi diversi dalle « boteghe publiche delli mastri di detta arte »53. La disposizione era del tutto rivoluzionaria e rompeva un privilegio di cui gli imprenditori serici si erano dimostrati estremamente gelosi, pretendendo che la tintura delle sete avvenisse « ubi, quando et quomodo ipsis seateriis placebat » M. La controversia che nel 1465 aveva dato come vincenti i tintori, provocava però un’aperta controffensiva da parte dei setaioli che, cogliendo il destro da una mutata situazione politica, nel 1471 reclamavano 1 abrogazione dei mai tollerati capitoli, rivendicando, per di più, l’inclusione nella loro Arte dei tintori di seta55. La reazione da parte dei setaioli era in ritardo di circa sei anni, ma non bisogna dimenticare che, fra il 1465 ed il 1471, dal dominio di Francesco Sforza, morto nel ’66, Genova era passata a quello di Galeazzo Maria, affrontando un periodo del quale si scrisse che « la città non ebbe mai tempi peggiori »56. Divenuto "Signore” dei Genovesi nel 1464, Francesco Sforza aveva garantito alla città un periodo di pace e di stabilità politica ed economica57. L’accettazione delle rivendicazioni dei tintori 5- Su questa aggiunta vedi anche p. 108 e nota 32. Il testo dei capitoli del 1492 (Matricola..., cit., cc. 52 v. -.57 r.) è riportato in Appendice, IV. Nel 1.567 venne decretata una multa di venticinque lire per chi aprisse una bottega senza aver svolto regolarmente l’apprendistato [Matricola..., cit., cc. 58 r. -59r.). 53 Matricola..., cit., c. 3 r. e v., in Appendice, IV. 54 Cod. A, c. 83 v. 55 Cod. A, cc. 83 r. - 84 v., Seaterii possunt babere tinctoriam: controversia seateriorum cum tinctoribus. Il testo dei documenti che riguardano la controversia è riportato in Appendice, VIII. 56 A. M. Canale, Nuova Istoria della Repubblica di Genova, Firenze, 1864, vol. IV, p. 237. 57 Cfr. A. Sorbelli, Francesco Sforza a Genova (1458-1466), Bologna, 1901, pp. 170-80. Su questo giudizio del governo di Francesco Sforza concordano anche — 115 — potrebbe dunque essere inquadrata in un più ampio disegno politico mirante a sottrarre potere alla più forte delle corporazioni. Il disordine degli anni seguenti58 offrì però ai setaioli una prospettiva più favorevole per cercare di riprendere il sopravvento. Gli imprenditori sostenevano che la prosperità dell arte tintoria era collegata allo sviluppo dell’industria serica ed accusavano i tintori di aver ottenuto « fraudolenter » le norme del 1465, senza cioè che fosse stato sentito il parere dell’Arte della seta, peraltro interessata alla questione: sulla base dei nuovi capitoli, infatti, i tintori cercavano ora di impedire ai setaioli di tingere autonomamente anche la propria seta, mentre nei tempi passati « prout sibi libebat, manibus propriis sericum tingebant » I rappresentanti dei tintori (fra i quali troviamo anche Paolo da Novi, console dell’Arte nel 1470) ribatterono che l’Arte del tingere era « unam ac per se ipsam divisam et dipartitam ab ipsa arte seateriorum » ^ e che per esercitarla era necessario acquisire conoscenze tecniche particolari stando lunghi anni presso un maestro tintore, e non presso setaioli che, in materia, non erano che sprovveduti. I Padri del Comune, ai quali il Governatore ducale e gli Anziani demandarono la questione — dopo circa un anno dall’inizio della con- gii Annalisti A. Giustiniani, Castigatissimi annali con la loro copiosa tavola della Eccelsa et Illustrissima Republica di Genoa, Genova, 1537, f. 222 r., e U. OGLïETTA, Dell'Istorie di Genova, Genova, 1597, p. 513. Facendo riferimento al periodo 1464-1466 i Protettori di S. Giorgio scrissero ai Consoli e Massari di Caffa che a Renova e in Italia vi era quiete e stabilità quale non era esistita da lungo tempo. Cfr. A. Vigna, Codice diplomatico delle colonie tauroliguri durante la signoria di . to gio, in « Atti della Società Ligure di Storia Patria », voi. VII, Genova, 1874, doc. n. 716. 58 Cfr. per tutti V. Vitale, Breviario della Storia di Genova, cit., pp. 163-64. 59 Dall’analisi della “supplica” presentata in quest’occasione dai setaioli appare chiaramente che l’attacco, formalmente diretto a tutto il complesso dei capitoli del 1465 di cui chiedeva l’abrogazione, tendeva sostanzialmente ad ottenere che g ì imprenditori fossero reintegrati nel diritto di tingere nelle proprie botteghe (« quo jpsi possint tingere et tingi facere, ad solitum, setam ipsam et prò usu suo et sua rum aphotecarum, in omnibus et per omnia prout facere consueverunt... ») e ad ottenere « sicut semper illis licuit absque aliquo obstaculo tingere, ita nunc et deinceps semper permittatur eis ac declaretur ut libere tingere possint sericum et artem ipsam tinctorie libere exercere et exerceri facere... » (Cod. A, c. 83 r. e v.). « Cod. A, c. 84 r. — 116 — traversia non misero in dubbio, sotto alcun aspetto, la validità dei capitoli concessi all Arte dei tintori nel 1465, ma cercarono un compromesso a proposito del monopolio del tingere: ai setaioli venne concesso di avere « unam tantummodo tinctoriam pro singulo eorum et non ultra, que sit patens et publica, in qua possit tingi facere solummodo setam suam et propriam » . Gli imprenditori erano obbligati anche ad osservare le regole tecniche stabilite dai capitoli dei tintori, i cui consoli vennero autorizzati ad ispezioni di controllo: « ad eorum liberam voluntatem... accedere et tincturas revidere ac percensere... prout possunt in tinctorias aliorum tinctorum » 62. Ai setaioli venne inoltre vietato tingere in rosso e in morello63, di cremex e di grana, colori particolarmente difficili e riservati ai più esperti maestri tintori M. La perfezione del colore rosso stava notevolmente a cuore non solo ai tintori ma anche ai componenti l’Arte della seta, poiché importante era l’esportazione di tessuti, e in particolare di velluti, di questo colore. Già gli Statuti del 1432 stabilivano che, secondo il colorante impiegato, i tessuti venissero caratterizzati da cimose particolari65, intessute accanto ai fili di colore che — come vedremo in seguito66 — avevano la funzione di distinguere le varie qualità di un drappo: cimose gialle se era usato il cremex puro, gialle e verdi per la grana, gialle e bianche se si ricorreva ad entrambe le sostanze coloranti67 e bianche se si era impiegato il bra- 61 Cod. A, c. 84 r. 62 Cod. A, c. 84 v. 63 “morello" = paonazzo, violaceo. Cfr. L’Arte della seta..., cit., pp. 161-162. 64 Cfr. anche R. Di Tucci, Lineamenti... cit., p. 27, e H. Sieveking, Die ge-nueser Seidenindustrie..., cit., p. 109. 65 Queste norme erano contenute in un apposito capitolo «De diversis colori-bus cordonorum pannorum serici ». La norma valeva per i camocati, broccati, velluti e avellutati, secondo quanto sancito nella rubrica « De pannis siricis recte construendis » (vedi parte II, cap. II). 66 Vedi parte II, cap. II. 67 II “cremex” e la “grana” erano le due sostanze più usate per la tintura rossa di alta qualità. Il primo dava un rosso scarlatto; la seconda, un colore carminio. G. Heyd (Storia del Commercio del Levante nel Medio Evo, Torino, 1913, pp. 1165-6) considera la differenza fra “grana” e “cremex” (da lui raggruppate sotto l’unica denominazione “ cocciniglia ” ) come una classificazione eccezionale che compare nel trattato L’Arte della seta in Firenze, cit., pp. 29-35. Invece, anche a — 117 — sile68. I prezzi dei tessuti tinti col cremex puro erano molto più alti degli altri e — poiché le diverse sfumature di colore non sempre erano afferrabili dai profani — si voleva evitare, con questo accorgimento, possibili frodi w. Anche nelle disposizioni dell’Arte dei tintori del 1465 le uniche norme di carattere tecnico concernevano il rosso. In un capitolo troviamo prescritte le dosi in cui le sostanze dovevano essere usate per tingere in morello o di grana o di cremex. Prima di procedere al bagno della seta nella porpora, i consoli delPArte dei tintori avrebbero dovuto controllare che, in precedenza, la seta fosse stata trattata con un bagno del colorante di base prescelto, « il quale... babbi due terze parti del colore ». Tutta la materia prima tinta in cremex e grana era del resto sottoposta a revisione prima di essere restituita ai setaioli70. La regolamentazione più precisa a proposito dei vari coloranti e pero contenuta nelle « Reformationes » del 1466, quasi tutte di carattere tecnico, che rappresentano un vero e proprio adeguamento delle norme ai procedimenti in uso nel campo della tintura e della fabbricazione dei tessuti71. Venne tassativamente proibito tingere seta in rosso usando la Genova, dove precise norme regolavano la tintura del rosso, veniva data una gian-dissima importanza a tale distinzione. La possibilità di confusione derivava dal fatto che ambedue questi coloranti erano di origine animale, ma gli insetti da cui erano ricavati erano diversi: per la grana si trattava del “coccus cacti" o cocciniglia, per il cremex del “coccus illici” o kermes (A. Chevalier, Dictionnaire des drogues, Paris, 1828, pp. 165 e 297). Mentre la grana era importata a Genova da Maiorca, dalla Provenza e dalla Barberia, il cremex proveniva dall’Oriente. Creta e Corinto ne fornivano una notevole quantità. Cfr. J. Heers, Gênes..., cit., p. 392 e pp. 489-93. 68 II “braxile” (o brasile, o legno rosso, o verzino) era ricercato soprattutto per i toni rosa. La colorazione rossa che dava era infatti poco resistente alla luce. Per questa ragione lo si usava spesso per modificare o graduare altre tinte, ma in alcuni luoghi le leggi ne vietavano l’uso. Cfr. F. Brunello, L’Arte della tintura nella storia dell’umanità, Vicenza, 1968, p. 369. 69 La grande differenza di prezzo fra la grana e il cremex è confermata anche dalle tariffe della dogana genovese. Cfr. D. Gioffré, Gênes et les foires..., cit., p. 85. 70 Matricola..., cit., cc. 11 v. -12v. (vedi in Appendice i Capitoli del 1465). La multa per chi non osservava questa norma era di venticinque fiorini. 71 Vedi parte II, cap. II. — 118 — « lacha » , ed introdurre nella città sete o stoffe tinte per mezzo di questo colorante, con pene molto severe per i contravventori: una multa da cento a duecento ducati, l’espulsione dall’Arte per il tintore e la pubblica distruzione dei panni, « qui comburi debeant » B. Fu vietato mescolare il cremex con qualsiasi altra sostanza e, per tingere in morello, la dose di cremex per il primo bagno fu portata da due terzi a tre quarti, ma fu concesso che i tessuti morelli tinti col rispetto di questa norma avessero le cimose « ad similitudinem puro cremexili »; per la grana fu lasciata invariata la misura dei due terzi ma fu prescritta ai tessuti una speciale cimosa celeste con un « animello viridi in medio ». Una particolare attenzione venne poi raccomandata ai consoli nella ■sorveglianza dell’uso del “brasile", meno richiesto rispetto ai precedenti coloranti, ma il cui impiego si andava affermando. Nel 1531, venne deliberato che, per non trarre in inganno il consumatore, nelle stoffe tinte utilizzando brasile invece di cremex o di grana, la tradizionale cimosa bianca venisse sostituita da una bianca, verde e vermiglia74, di più difficile contraffazione. Tra i numerosi colori in cui veniva tinta la seta, il rosso era l’unico che avesse una normativa così rigida è severa. Sulla tecnica tintoria del nero, peraltro largamente diffuso, troviamo soltanto una norma del 1486, nella quale l’Arte dei tintori stabiliva che si dovesse usare « galla, vitriola, gomma, limagia rausìa, roza, accetto e sapone, e non ponerai alcuna altra mistura »75. Nessun cenno viene fatto nelle norme statutarie alle tinture in altri colori. 72 La “lacha” (o lacca, o gommalacca), che dava al rosso una tonalità violacea, era un colorante animale, originario dell’Asia meridionale. Cfr. F. Brunello, L’Arte della tintura..., cit., pp. 192-194 e p. 361. 73 Cod. A, cc. 69 r. - 76 v.. Il testo completo delle « Reformationes » è riportato in Appendice, VI. Un estratto in volgare delle « Reformationes » è anche nella Matricola..., cit., cc. 14 r. - 50 r. 74 « ... quia solent fieri cordoni albi pannis sericis brazilis et violeti, propter quod dicta panna possunt falsificari, ideo ordinaverunt et ordinant quod decetero -cordoni fìendi dictis pannis sericis fabricandis sint albi, viridi et vermilii mixti, et si in predictis contrafactum fuerit, dicti panni reputentur falsi, et quod possit procedi contra fabricari facientes dicta panna absque dictis cordonis, sicut proceditur ex forma •capitulorum dicte artis contra fabricantes panna serica falsa » (Cod. A, c. 197 r.). 75 Matricola..., cit., c. 50 v.. II testo di questo capitolo è riportato in Appendice, IV, insieme agli altri ottenuti dall’Arte dei tintori nel 1486. Gli ingredienti elencati - 119 - È da notare, però, che sebbene l’Arte dei tintori prevedesse con rigidezza multe e pene contro qualsiasi artigiano che commettesse frodi nello svolgimento della propria attività76, una parallela, e forse più pesante, azione di controllo era svolta dagli imprenditori serici. Per tutto il XV ed il XVI secolo, malgrado l’autonomia giuridica dei tintori, questi ultimi dovettero sempre rendere conto del loro operato ai seateri11. La giurisdizione sulle frodi nella tintura spettò, infatti, per lungo tempo, ai soli consoli dell’Arte della seta, a cui furono affiancati i consoli dei tintori (nel 1466, per pochi casi; dal 1551, per una parte delle controversie concernenti il colore rosso) solo perchè, per giudicare determinate contraffazioni, era necessaria una competenza tecnica che i setaioli non possedevano . In una aggiunta alle « Reformationes », il 24 settembre 1466, veniva sancito il diritto dei setaioli di assistere, nelle botteghe dei tintori , al (noci di galla, vetriolo, gomma arabica, limatura di ferro arrugginita, robbia, aceto e sapone) erano quelli abituali per fare il nero, che compaiono anche nei ricettari medievali. Cfr. Plicto de l’Arte de’ tentori (1548), in app. a I. Guareschi, Sui colori degli Antichi, Torino, 1905 e 1908. In una ricetta, « A tenger Seda in color negro », viene specificato ad esempio « vino forte cioè aceto di vino negro »» con galla, vetriolo, gomma arabica e sapone dolce. In un’altra, « A tenger Seta in color negrobello e fenissimo », troviamo indicati galla, vetriolo, limatura di ferro, gomma arabica e sapone (Ibidem, pp. 403-4 e pp. 390-92). Gli stessi ingredienti sono elencati in alcune ricette di tintori di seta genovesi della seconda metà del XVI secolo (A.S.C.G.r Arte della seta, cit., fl. n. 602 e fl. n. 604). 76 II primo capitolo concesso ai tintori nel 1465 conteneva un provvedimento Ji carattere generale contro i colpevoli di qualsiasi tipo di frode e stabiliva una multa di quattro lire per ogni volta che un artigiano fosse stato riconosciuto responsabile di contraffazioni. Nel 1486 venne addirittura stabilita l’espulsione dall’arte per chiunque commettesse frodi (Matricola..., cit., c. 1 v. e c. 50 v.). 77 II 6 agosto 1465 i consoli dell’Arte della seta condannarono ben 24 tintori, colpevoli di non aver effettuato la tintura « in cremexi nitido ». Nella sentenza non sono tuttavia riportate le multe (A.S.C.G., Atti dei Padri del Comune, fl. n. 1, doc. n. 155). 78 Vedi parte I, cap. I, e in particolare la nota 32. 79 Le botteghe dei tintori di seta erano concentrate quasi esclusivamente in due quartieri, cioè in quello « del Guastato o per dir meglio di Santo Tommaso o del Borgo dilla, cioè di Prè e corno si dice vulgarmente del Borgo di Là » e in quello « di qua, cioè di Piccapietra o sia di Santo Andrea o da Banchi in qua ». Vi fu tuttavia una evoluzione, in quanto mentre nel XV secolo « magistri dicte artis erant ripartiti fere pro dimidio in quolibet ipsorum quarteriorum », cosicché ogni quartiere aveva il suo console, nel 1569 gli artigiani denunciarono la situazione sostenendo che — 120 - trattamento della propria materia prima, e l’obbligo per i consoli del- 1 Arte di recarsi « se pis sime » presso i tintori a controllare che non commettessero frodi, « et oculis videant tingere sericum quod tingendum erit » . Nella stessa occasione, venne decretato che, da quel momento in poi, ogni mese, i consoli dei tintori fossero obbligati a giurare ai rappresentanti dei setaioli di aver ottenuto da tutti i tintori il giuramento « quod tinxerunt toto eo mense iuste, secundum normam presentium capitulorum »81. Con molta probabilità, queste disposizioni furono il risultato della reazione dei setaioli alla norma dell’anno precedente (1465) che impediva loro di tingere liberamente nelle proprie botteghe. Occorre osservare, tuttavia, che esse non vennero modificate negli anni seguenti, neppure dopo il compromesso del 1472, e che rimasero in vigore anche per tutto il XVI secolo. Durante questo secolo, i diritti di sorveglianza che i setaioli richiedevano sull’operato dei tintori furono ulteriormente rafforzati, e, correlativamente, la sfera di autonomia di questi ultimi venne alquanto ristretta. Nel 1519, l’Arte della seta ottenne che un suo rappresentante, estratto a sorte fra i consoli, i consiglieri e i quattro protettori, dovesse essere presente, insieme con il notaio della corporazione, ogni qual volta i tintori eseguivano delle tinture in rosso o in morello usando il cremex. La loro presenza sarebbe servita ad esigere l’esatta dosatura del colorante e ad la reale suddivisione delle botteghe era ormai di 45 nel quartiere di Piccapietra a solo di cinque o sei nel quartiere di S. Tommaso: non vi era più ragione quindi, che i consoli dovessero appartenere ciascuno ad un quartiere diverso. Una identica protesta venne presentata ai Padri del Comune nel 1603, segno che alla prima non aveva fritto seguito alcun valido provvedimento. « Trenta maestri e buteghe aperte » sono dichiarate per il primo quartiere e solo sei per il secondo che aveva « non di meno ogn’anno il consolato fra vechio e novo quasi nell’istesse persone ». In seguito a questa protesta, tuttavia, il criterio della scelta dei consoli non venne mutato, ma fu stabilita l’impossibilità di rielezione « se non passati tre anni da cominciare il giorno che haverano finito il loro consolato » (A.S.C.G., Atti dei Padri del Comune, cit., fl. n. 54, doc. 192 del 7 novembre 1569 e Matricola..., cit., cc. 99 r. -112 r.). 80 Cod. A, c. 88 r.. Il testo di questa aggiunta è riportato in Appendice, VI. 81 Cod. A, c. 88 r. (v. Appendice, VI, Reformationes). Alla luce di queste disposizioni, sembra pertanto da attenuare il giudizio espresso da J. Heers (Gênes..., cit., p. 248): « Une corporation du textile échappe presque complètement au contrôle des soyeux: celle des teinturiers ». - 121 - evitarne il reimpiego, cioè per ottenere che « datis coloribus, bagnum ipsum disperdatur, ne ex eo fraus committi possit »œ. I velluti rossi confezionati con materia prima tinta secondo queste norme, avrebbero avuto un bollo particolare, in mancanza dal quale sarebbero stati sottoposti ad immediata confisca. Per poter meglio controllare il rapporto fra la materia prima tinta ed i tessuti bollati, nel 1551 venne poi stabilito che, prima di tingere in rosso, qualunque fosse il colorante impiegato, la quantità della seta doveva essere registrata negli atti del notaio dell’Arte dei seateriB. L’interesse dei setaioli e dei tintori per una perfetta riuscita di ogni tipo di rosso, che aveva spinto PArte della seta a chiedere nel 1500 a Filippo di Clèves un ennesimo decreto con cui si dichiarasse che il cremex poteva essere unito solo « cum alumine roche puro et nitido »84, fu sempre accompagnato da una comprensibile forma di diffidenza verso ogni novità. Quando, ad esempio, in altre città si cominciò ad adoperare un nuovo colorante detto « cremex d’india » o « coconiglia d’india »85, i Genovesi non lo accettarono subito;- nel 1543 l’Arte dei tintori ne proibì persino l’uso, anche in unione con altre sostanze8Ó. Solo in un secondo tempo, nel 1550, quando l’impiego della nuova “mistura” era ormai ampiamente diffuso non solo in Italia (Venezia, Milano, Firenze e Lucca) ma — per ammissione degli stessi setaioli — anche fuori d’Italia, gli industriali genovesi si convinsero ad adoperarlo. I motivi che li spinsero a questa de- 82 Cod. A, cc. 201 r. -203 v., Quomodo tingenda cremexilia. Il testo del documento è riportato in Appendice, XVIII. 83 Cod. B, c. 2 v.. Questa misura venne riconfermata con un decreto ancora nel 1664 (A.S.G., Artium, fl. n. 161, doc. 18 maggio 1664). 84 Cod. A, cc. 156 v. -158 r., Cremexili. Anche in questo caso la richiesta era ispirata dal desiderio di proteggere i prodotti genovesi sui mercati stranieri affinchè non accadesse che « panni serici Genuenses, qui ubicumque locorum inter ceteros exterarum nationum excellentes et famosi habentur, velut adulterati et ficti falsique col-loris omnes eque negligentur et absque emptore residebunt... ». La pena per i colpevoli di frode contro questa norma era una multa di cento fiorini più Ia perdita della seta che doveva essere bruciata (vedi Appendice, XII). 85 Con questo nome era probabilmente indicata la cocciniglia proveniente dal Messico, che cominciò ad essere usata per il rosso dopo la scoperta dell’America. Il colore che si otteneva era più bello e più stabile. Cfr. L. Ponci, Tintura della seta, Milano, 1876, p. 240. 86 Cod. B, c. 1 r. - 122 - cisione furono di larga portata economica: le stoffe seriche tinte con il cremex d’india" cominciavano ad essere molto richieste sul mercato e gli acquirenti, obbligati a rivolgersi altrove per ottenerli, finivano per comperare presso i nuovi fornitori anche tutti gli altri tipi di tessuto di cui, in precedenza, si provvedevano a Genova87. Recepito il nuovo colorante nella tecnica tintoria genovese, occorreva però inquadrarlo anche nella normativa. Si provvide, in primo luogo, a dare alla tinta ed alla sua sfumatura violetta una denominazione ufficiale, stabilendo che si dovesse chiamarle esclusivamente « vermiglio di cocciniglia d’india e morello di coconiglia d’india », e bandendo l’espressione « cremexile d’india », colpita da severe sanzioni. Fu scelto poi un particolare colore per le cimose dei drappi tinti secondo il nuovo procedimento: per i velluti fu resa obbligatoria una cimosa verde con un doppio filo d’oro in una maglia della cimosa stessa; per gli zentonini, i camocati e il taffetà, una cimosa verde. Tuttavia, poiché il verde era stato fino a quel momento il colore che aveva caratterizzato le cimose di questi tessuti se tinti « di vermiglio di cremexile », venne deciso che, se la materia prima era stata trattata con puro cremex, tutti i tessuti, di qualsiasi qualità, prodotti con essa, avessero delle cimose gialle (riservate nel tempo precedente ai soli velluti)88. Tutte le regole già esistenti che regolamentavano la tintura del rosso vennero naturalmente estese alla nuova materia tintoria: il divieto di unirla ad altre sostanze e l’obbligo di tessere ogni pezza con seta tinta con un solo colorante furono ribaditi ed accompagnati da precise sanzioni89. Fu d’altra parte proprio a causa dell’introduzione di questo nuovo 87 « ... quali colori hanno buona requesta in Ponente, massime in Anversa, talché li mercadanti fransosi et alemani, per haver velluti e panni di seta del detto colore, sapendo che in Genoa non sono de’ detti colori, perciò hanno ricorso a Lucca et in altri luoghi, dove si tinge del detto colore, e accatando veluti e panni di detto colore, comprano ancora panni di seta de altri colori, sì che di ciò ne procede gran danno a detta arte di seta di Genoa e sussequentemente alla nostra Republica... » (Cod. B, c. 1 r.). 88 Nel 1564, in un decreto sulle « Cimose », vennero riconfermate tutte le norme esaminate (A.S.C.G., Arte della seta, cit., fl. n. 602, doc. n. 48). La stessa normativa fu ribadita anche nel 1589 (Ibidem, fl. n. 604, doc. 16 ottobre 1589). 89 Cod. B, cc. Ir. -3v., Vermiglio di coconiglia. Il testo completo di queste norme è riportato in Appendice, XXVII. In identica lezione il documento è anche in Matricola..., cit., cc. 87 v. - 92 v. - 123 - sistema di tintura — che rendeva ancora più complesse e difficoltose le controversie — che i consoli dei tintori ottennero di poter sedere accanto a quelli dei setaioli nel giudicare gli artigiani tintori accusati di frode . La seta tinta veniva affidata ai tessitori, insieme alla « tella » od ordito, una catena la cui struttura era diversa secondo il tipo di tessuto da produrre91. Negli Statuti e nei successivi emendamenti non viene però fatta menzione della categoria di persone addette a questo lavoro preparatorio. Non sappiamo quindi come fosse organizzato. La mancanza di notizie particolari fa presumere, tuttavia, che venisse svolto da operai salariati, sprovvisti di una organizzazione riconosciuta (forse dalle stesse donne che incannavano la seta grezza), ed operanti a domicilio o nelle botteghe dei setaioli92. Anche il tessitore dipendeva dal setaiolo, da cui riceveva la materia prima, e lavorava per un compenso stabilito in precedenza, tuttavia la sua posizione — ampiamente regolata dagli Statuti del 1432 presentava dei caratteri particolari. Prima della fondazione dellArte della seta, infatti, esisteva già a Genova una corporazione di maestri tessitori indipendenti93, che tessevano la propria seta e, dietro compenso, quella di clienti privati. La loro organizzazione94 dovette perciò essere riconosciuta dagli imprenditori che, nel 1432, garantirono a questi artigiani il monopolio della tessitura dei 90 Cod. B, cc. 3 v. - 5 r., Magnifici consoli e consiglieri de’ seateri insieme siano giudici con li consoli de’ tintori per le contraventioni nel tingere in color di^ coconi glia, ed idem in Matricola..., cit., cc. 92 v. -95v. Il testo di questa disposizione ». riportato per esteso in Appendice, XXVIII. 91 Per il velluto, ad esempio, erano necessari due orditi diversi, uno per il fondo, l’altro per la superfìcie vellutata. Quest’ultimo veniva detto « pilum » o pelo. Cfr. L. Brenni, I velluti di seta italiani, Milano, 1927, p. 13. 92 Cfr. anche J. Heers, Gênes..., cit., p. 246. 93 Cfr. H. Sieveking, Die genueser Seidenindustrie..., cit., p. 110, e F. L. Man-nucci, op. cit., p. 275, il quale riporta anche il parere di G. Heyd circa l’esistenza di una corporazione dei tessitori di seta a Genova nel sec. XIII. 94 Gli Statuti dell’Arte dei tessitori che ci sono pervenuti sono tutti di epoca molto più tarda (XVIII secolo). Abbiamo però notizie frammentarie concernenti alcune agggiunte ai capitoli preesistenti, introdotte durante il XV ed il XVI secolo. Esse hanno come centro il problema degli apprendisti che dovevano rimanere presso i maestri per sei anni (portati a sette nel 1471) come garzoni e per due come lavo- — 124 - panni di seta: a nessun altro degli appartenenti all’Arte, nemmeno ai setaioli, fu consentito di tenere anche un solo telaio nella propria casa o bottega95. Il tessitore era un vero e proprio artigiano che lavorava in casa o in un laboratorio, nella città o nelle Riviere, da solo o con persone alle sue dipendenze, e su telai che di norma gli appartenevano. Non era al livello del setaiolo, ma doveva pur sempre disporre di un certo capitale, anche se limitato, per iniziare la propria attività. I tessitori furono però assoggettati dai setaioli a numerosi vincoli. In primo luogo, infatti, gli Statuti del 1432 stabilivano il divieto agli imprenditori di dare seta da lavorare agli artigiani che operassero fuori città, sotto pena di essere espulsi dall’Arte %. Specialmente durante il XVI secolo, ranti. Anche gli stranieri non potevano esercitare l’arte nella città se prima non erano stati due anni nella bottega di un maestro cittadino « ut deinde fiant magis experti et docti in dicta arte » (12 agosto 1454). Il numero dei garzoni per ogni maestro era inoltre limitato a due e il titolare della bottega doveva provvedere anche al loro abbigliamento. Ad un certo punto il lusso degli abiti dei giovani divenne quasi un simbolo dell’abilità e del prestigio del maestro, tanto che, sia nel 1471, sia nel 1516, i consoli dell’Arte dei tessitori decretarono « quod famuli textorum non possint ferre seu indui septa neque berreto rubeo... et magister eorum non possit in vestitu dictorum famulorum... plus expendere valoris librarum decem, sub pena florenorum quinquaginta ». All’inizio del XVI secolo l’Arte, retta da tre consoli, sei consiglieri e un massaro, portò il periodo di apprendistato a nove anni, ma dal 1531 al 1542 fu nuovamente ridotto a sette per motivi contingenti. Quando, infatti, nel 1542 i consoli dei tessitori chiesero che venisse ripristinata la norma dei nove anni, sottolinearono come la riduzione del periodo di apprendistato fosse stata decisa « ex eo quod ob pestem secutam anno de 1528 numerus habitantium in civitate et districtu valde diminutus erat ». Numerose erano poi le facilitazioni previste per i figli dei maestri che desideravano entrare nelPArte. Altre aggiunte riguardano problemi diversi: la ripartizione delle multe (1470), la tassa d’immatricolazione (1476), i criteri seguiti nel XVI secolo per la elezione dei consoli e degli altri “ufficiali” dell’Arte (vedi parte I, rap. II) o ancora problemi di organizzazione interna (1537) (A.S.G., Artium, fl. n. 161; Senato, Atti, fl. n. 1219, docc. 28 settembre e 17 ottobre 1537; fl. n. 1319, doc. 26 gennaio 1560; Cod. C, c. 80 r.). 95 Gli Statuti del 1432 sancirono in un apposito capitolo « Quod seaterius non possit in domo tenere aliquod telarium ad laborandum ». La multa prevista per i contravventori era di 20 fiorini, oltre alla confisca dei telai. 96 « Quod non possint laborari panni serici nisi in Ianua aut burgis ». L’espulsione dall’Arte della seta poteva essere « in perpetuum vel ad certum tempus, in arbitrio consulum et consiliariorum ». Il setaiolo poteva però dimostrare che il tessitore aveva lavorato fuori città a sua insaputa. - 125 - l’Arte della seta cercò in ogni modo, e inasprendo successivamente le multe e le pene, di agire « contra exercentes artem extra urbem et suburbia »97. I risultati, peraltro, non furono notevoli ed i tessitori residenti nelle due Riviere continuarono ad essere tanto numerosi e dispersi che il “preco pubblico” incaricato di rendere noto uno degli editti del 1515, impiegò quattro giorni per recarsi in tutti i borghi dove lavoravano degli artigiani , in località forse meno funestate dal caro vita e, per di più, lontane da un diretto controllo dei setaioli. Per ovviare ad un progressivo dilagare di questo inconveniente, nel 1514, l’Arte ottenne che non solo i tessitori, ma tutti gli artigiani collegati all’industria serica, venissero diffidati dal recarsi « extra lanuam et suburbia»-, se non avessero ottemperato all’ingiunzione sarebbero stati puniti come se avessero tentato di trasferire le tecniche dell’arte « extra lanuam et districtum »". Nel 1537, la conferma della norma (già vanamente ribadita nel 1535) che vietava ai setaioli di dare lavoro ai tessitori operanti fuori città, portò l’intestazione «Non portanda ars extra»100, non diversamente dai decreti emanati contro gli artigiani fuggiaschi dalla patria101. Tuttavia, nè le multe previste a carico sia dei tessitori, sia dei setaioli m, nè le sanzioni decretate contro gli eventuali complici103, nè ancora 97 In taluni periodi furono emanati addirittura due o tre decreti all’anno. Così nel 1514 (11 gennaio, 4 maggio e 17 maggio) e nel 1515 (4 maggio, 28 maggio e 23 novembre). Altri decreti sono registrati nel 1535, 1536 e 1537 (A.S.G., Artium, fl. n. 161). 98 Vennero visitate Vernazzola, Quarto, Quinto, Nervi e Capolungo, il primo giorno; Sori, Recco, Santa Margherita, Rapallo e Zoagli, il secondo; Sestri Levante, Lavagna e Chiavari, il terzo; Bogliasco, il quarto, durante il ritorno (Cod. A, c. 191 r., Quod textores veniant Genuam). 99 Cod. A, cc. 185 r. -187 r., Contra exercentes artem extra urbem et suburbia. Venne tuttavia riconosciuta una eccezione, « excepto exercitio extrahendi settas in testais, quod fieri et exerceri possit in quocunque loco trium potestatiarum... ». Il testo latino del decreto e quello in volgare del proclama sono riportati in Appendice, XIV. «» Cod. A, cc. 246 r.-249 v. 101 Su questo argomento vedi più ampiamente parte II, cap. III. 102 Nei confronti dei setaioli la sanzione stabilita dagli Statuti del 1432 era stata in seguito resa più grave e trasformata in « pena amissionis telarum et setarum et florenorum xxv usque in l et etiam privationis ab arte... », con la moderazione tuttavia « ut quod, semper et quando aliquis textor decetero portaret extra Ianuam telas - 126 - il costante appoggio dato dal potere politico agli imprenditori, mediante l’emanazione di « ordinationi » alle autorità locali delle Riviere 1M, riuscirono a concentrare la manodopera entro le mura della città, secondo il disegno dei setaioli, finché, alla fine del XVI secolo, ogni velleità coercitiva fu del tutto abbandonata, dopo che anche la pestilenza del 1579 aveva contribuito a disperdere la manodopera cittadina in località dove la popolazione era meno concentrata e dove, pertanto, minore era il pericolo del contagio 105. Troviamo però instaurato un regolare sistema di controlli da parte dei consoli dei tessitori stessi sugli artigiani localizzati fuori città, « per rivedere se... osservino gli ordini o li contraffanno o vero se fabricano lavori prohibiti e per corregerli » I06. vel setas tinctas, et seaterius cuius esset tela vel seta, intra dies octo post recessum textoris, annotari fecerit ad logiam seateriorum talem textorem recesisse contra eius voluntatem et sine sua licentia, quod, eo casu, eius seta et tela non sit amissa nec cadat in aliquam penam, sed predicta pena agendum contra textorem » (Cod. A, c. 247 v.). Per i tessitori, prima delle deliberazioni del 1514, era prevista una multa di dieci scudi per ogni pezza che avessero prodotto fuori città. Nel 1536, durante un estremo tentativo per convincere gli artigiani, venne ordinato ad ogni tessitore «... che dentro da li otto di genaro prosimo chi viene debia esersi ridutto in la città con la sua famiglia, telari e telle per habitare e lavorare in essa el suo esercitio... sotto pena di perdere telari e telle, le quale, passato el detto termine, li seran tolte per perdute... » (A.S.G., Senato, Atti, fl. n. 1213, doc. n. 372; Artium, fl. n. 161). 103 « ... si quis mulio reperietur exportare vel exportasse aliqua instrumenta dictam artem et fabricam concernentia, intelligatur amisisse mullum et in dictam penam incidat, et similiter si patronus alicuius lembi seu barche instrumenta ipsa in dicto suo lembo vel barcha exportaverit extra civitatem sine licentia logie vel consulum dicte artis, cadat in penam combustionis dicti sui lembi aut barche » (Cod. A, c. 248 v.). 104 A.S.G., Artium, fl.' n. 161, doc. n. 346; Senato, Atti, fl. n. 1221, doc. n. 61. II testo di una di queste “lettere patenti” (20 febbraio 1538) indirizzata ai «podestà, rettori e ufficiali » del dominio, è riportato in Appendice, XXVI. 105 Nel 1580 furono gli stessi consoli dell’Arte della seta a fare presente alle autorità politiche l’utilità di permettere che « le arte che si fanno nella città si potessero fare nel dominio... puoi che con tale lisenza si allengerirebe in grosso la città de’ tintori, filatori e altri manifatureri che sono una infinità e tutta povera gente, e sia serta che questo è più facil modo di purgarla che ogn’altro... e in le pestelentie passate, tale arte si faceva più fuora che dentro... » (A.S.G., Senato, Atti, fl. n. 1445, Lettera dei consoli dell’Arte al Serenissimo et Magnifico Signore Nicolò D’Oria, Duce della Repubblica di Genova). 106 A.S.G., Senato, Atti, fi. n. 1676, doc. n. 96. — 127 — Ma gli Statuti delPArte della seta imponevano ai tessitori un’altra e più grave limitazione, vietando tassativamente di lavorare per conto proprio e tessere a pagamento per qualsiasi persona che non fosse un setaiolo. Dal canto loro, i tessitori potevano iscriversi alla corporazione dei seateri senza abbandonare la propria, cosa che — come abbiamo visto — non era consentita ai filatori ed ai tintori, ma l’immatricolazione, che costava sette fiorini107, attribuiva soltanto diritti limitati, cioè inseriva i tessitori nel-l’Arte su un piano diverso da quello dei setaioli. Infatti, con l’iscrizione, il tessitore otteneva il diritto di lavorare per conto proprio e di vendere le proprie merci, ma non doveva disporre di più di due telai, ai quali potevano accudire esclusivamente i famigliari e non degli apprendisti o dei salariati108. I consoli dei setaioli godevano di un diritto di prelazione su tutti i tessuti, di cui dovevano però approvare, in ogni caso, il prezzo di vendita. L’artigiano non poteva alterare la valutazione stabilita dai consoli, pena la perdita del diritto di tessere per proprio conto, e il tessuto venduto non poteva misurare meno di venti palmi Tale situazione normativa, creò divergenze tra imprenditori e tessitori, a partire dal 1432, fino agli inizi del secolo XVI, e risentì in modo no- 107 Un capitolo degli Statuti del 1432 stabiliva « Quantum solvere debeat texe-ranus pro ingressu artis setarie ». Per poter aprire una bottega l’artigiano doveva pagare un’ulteriore somma, pari a quella versata dai setaioli all’atto dell immatricolazione. Nel 1500 i sette fiorini necessari per l’immatricolazione furono ridotti a quattro dal Governatore francese Filippo di Clèves (Cod. A, c. 239 r.). 10i> E’ importante notare come non abbiamo notizia negli Statuti genovesi di limitazioni al numero di telai cui i tessitori potevano lavorare per conto degli imprenditori. A Venezia, invece, il numero di telai — libero fino al 1492 — venne in quel-1 anno limitato a sei; nel 1503 fu portato a dodici; nel 1559, per qualche tempo, il limite venne fissato a 20 o 25. Cfr. R. Broglio D’Ajano, op. cit., pp. 257-58. 109 Queste norme erano contenute in due capitoli degli Statuti del 1432, « In quibus casibus possint texerani laborare pannos sericos de se ipsis » e « Quod texe-ranus qui intravit artem setarie teneatur manifestare consulibus precium quod habere potuit de qualibet pecia panni sirici quem laboravit ». E’ difficile, tuttavia, dire quanto siano state osservate delle norme così severe. Nel 1473, Tommaso Paganello, tessitore, accusato di non averle rispettate avendo fatto lavorare ai due telai persone estranee alla sua famiglia, si difese dicendo che il capitolo « a multis et pluribus annis citra non fuit observatum nec praticatum, nec aliqua persona, vigore dicti capituli, fuit condemnata ». La sua scusa non venne accettata e fu condannato ad una multa di sette lire e dieci soldi (Cod. A, cc. 80 v. - 811.). Nel 1500 gli imprenditori si lamentarono con Filippo di Clèves perchè un gran numero di tessitori lavorava continuamente a più di due telai (Cod. A, c. 233 v.). — 128 — tevole delle vicende politiche e dell’alternarsi delle varie fazioni al governo della Repubblica 110. In un primo tempo le decisioni prese da una apposita commissione, creata dal doge Paolo Fregoso nel 1488, sembrarono far evolvere la situazione a favore dei tessitori, il che non sorprende se si considera che, nella lotta tra i Fregoso e gli Adorno, le due famiglie che si contendevano il Dogato della Repubblica, i Fregoso contavano sull’appoggio della più bassa borghesia, sfruttando abilmente le agitazioni ed il malcontento degli artigiani. La commissione, dopo essersi limitata nel 1488 a riconfermare la situazione del 1432 1H, successivamente (nel 1491) abolì sia la limitazione secondo la quale solo i famigliari del tessitore potevano aiutarlo ai due telai, sia quella che stabiliva in venti palmi la misura minima dei tessuti di seta che l’artigiano poteva vendere m. Nello stesso tempo fissò un importante principio, di per sè indicativo delle tendenze politico-sociali 110 Una interessante analoga regolamentazione del lavoro in proprio su due telai vigeva a Venezia, dove nel 1423 era stato consentito il lavoro indipendente a un telaio, con l’aiuto di uno o più apprendisti. Nel 1554, i telai furono portati a due (cfr. R. Broglio D’Ajano, op. cit., p. 254). A Lucca un simile diritto per un telaio venne ottenuto nel 1531, con una vera e propria sommossa: la «rivolta degli straccioni». A Firenze ed a Milano troviamo un sistema imprenditoriale attuato con maggiore durezza che nell’industria serica genovese: filatori, tintori e tessitori potevano lavorare esclusivamente per gli imprenditori. Cfr. H. Sieveking, Die genueser Seidenin-dustrie..., cit., p. 28, e E. Verga, op. cit., pp. XIX e XXX ss. 111 « ... nemo textorum predictorum possit, nec eis liceat, preter duo tellaria de proprio laborare, ut in dictis Statutis prohibitum est, sub penis in dictis Statutis contentis; verum quia dicitur in Statuto predicto esse aliquas metas sive penas et conditiones que reformatione et correctione digne sunt, reservamus ideo nobis facultatem et arbitrium eas reformandi et corrigendi ac limitandi, si nobis visum fuerit, et prout nobis placuerit... » (Cod. A, c. 121 r., Ordinationes inter seaterios et textores). 112 « ... et quia in capitulis artium predictarum, inter cetera, continetur quod dicti textores non possint laborare de suo proprio nisi pro se ipsis et filiis etc., ...declaraverunt ipsos tales textores... a dicta scisa et obligatione penitus exemptos et liberatos esse; imo eis liceat, in casibus predictis, laborare dicta duo tellaria per se et filios et etiam per alios pro eis... et in ea parte ubi in dictis capitulis prohibetur textoribus incidere telas texutas vel laboratas, videlicet a palmis viginti infra... quod a tali scisa et obligatione ac prohibitione tales textores... penitus liberentur et exempti intelligantur; imo de dictis telis per se laboratis ut supra liceat incidere secundum et prout voluerunt, dicta scisa et prohibitione non obstante... » (Cod. A, cc. 122 r. -125 r., Sententia inter seaterios et textores). — 129 — 9 del momento: il diritto al lavoro autonomo a due telai riservato ai tessitori iscritti all’Arte della seta — venne esteso in modo automatico a tutti i tessitori che, dopo aver denunciato ai consoli degli imprenditori « se non habere tellas sete quas texent aut laborent », non avessero ricevuto, entro otto giorni, del lavoro su ordinazione da alcun setaiolo Per di più, venne abrogata una concessione elargita poco tempo prima a vantaggio degli imprenditori, sottraendo a questi ultimi il privilegio di acquistare seterie prodotte da tessitori “autonomi con uno sconto di sei denari rispetto al prezzo pagato dai non appartenenti all Arte della seta u4. Non ultima concessione ottenuta dai tessitori fu la possibilità di appello presso i Sindicatori o i Padri del Comune contro le sentenze emanate nei loro confronti dai consoli dei setaioli115 La vittoria dei tessitori fu tutt’altro che definitiva, anzi, non sappiamo neppure se queste norme abbiano avuto il tempo ed il modo di entrare in vigore. Quasi contemporaneamente, infatti, le alterne vicende politiche e militari portarono al governo della Repubblica il partito degli Adorno, 113 « ... textores qui dixerint se non habere tellas sete quas texent aut laborent, et vellent fideiussionem prestare de restituenda tella seu veluto tele, aut ipsa tela laborata, et de bene se habendo cum tali seaterio cuius esset tela, quod eo casu semper teneantur seaterii intra dies octo a die habite per eos noticie seu facte querelle et requisitionis predicte, taliter providere quod dicto tali seu talibus requirentibus et fideiubentibus ut supra, detur seu dentur tele ad laborandum. Alioquin liceat dicto tali textori seu talibus textoribus, non habentibus telas ut supra, laborare duo tellaria, de quibus in Statutis eorum fit mentio, de proprio ipsorum talium textorum, sub tamen scisis et conditionibus ac obbligationibus contentis in capitulis dictarum artium... » (Cod. A, c. 122 v.). Un provvedimento simile venne ottenuto in quegli anni (1490) anche dai tessitori di seta di Milano. Cfr. E. Verga, op. cit., p. XX. 114 « Declaramus etiam quod liceat textoribus pannos sericos, per se de proprio laboratos ut supra, vendere cuicumque voluerint, et non teneantur, nec cogi possint eos vendere seateriis pro minori precio quam ceteris de denariis sex singulo palmo, ut in scisis predictis contineri videtur, imo indiferenter sit eis libertas seu facultas dictos suos pannos vendere, non obstantibus scisis seu obligationibus predictis; quod locum habeat tam respectu textorum non habentium telas laborandas seu texendas, quam etiam respectu ceterorum omnium textorum, ita quod sit in facultate et arbitrio omnium textorum, tam non habentium telas laborandas quam aliorum omnium, vendere pannos suos absque scisis et obligationibus predictis... » (Cod. A, c. 123 r.). Venivano in questo modo abolite anche le limitazioni al libero smercio dei tessuti sancite nei confronti dei tessitori dagli Statuti del 1432, 115 Cod. A, cc. 123 v. -124 r. — 130 — con il favore della grossa borghesia116, e con grande sdegno dell’altra parte, che trova la sua espressione in una invettiva dei tessitori, « propter eorum divitias, nam tiranni amant divitias et non paupertatem »117. Poco tempo dopo, la città cadde sotto il dominio dei Francesi ed il governatore Filippo di Clèves decise la controversia in modo favorevole ai setaioli. Egli si appoggiò sull’aristocrazia e sui mercanti, e fu mal tollerato dagli artefici, ai quali era inviso il duro regime da lui instaurato. Invano i tessitori fecero presente che le decisioni della commissione del 1491 erano state prese « non sub brevi examine, sed in spatio annorum quator vel circa » 118, e che i tessuti da loro prodotti non danneggiavano i setaioli, in quanto erano venduti esclusivamente nella città. Filippo di Clèves ordinò che si ritornasse alla completa osservanza dei capitoli del 1432, e vietò inoltre che i lavoratori indipendenti venissero ammessi alle cariche della corporazione dei tessitori: se eletti, durante la carica non avrebbero potuto più lavorare per proprio conto119. È però importante notare come il governatore francese, pur opponendosi ai tessitori, non avesse osato soddisfare completamente i desideri degli imprenditori che chiedevano un completo divieto del lavoro indipendente, sostenendo che non era giusto che i tessitori traessero vantàggio svolgendo contemporaneamente due diverse attività. Di fatto la situazione tollerata dalla commissione del 1491 consentiva ad una categoria di tessitori — quelli inquadrati anche nelPArte dei seateri — di vendere i loro prodotti a prezzi più bassi, danneggiando di conseguenza gli altri iscritti alla stessa Arte, che si vedevano costretti « etiam magna 116 Che gli Adorno rappresentassero allora il partito dei possidenti si rivela anche dal fatto che, appunto nel 1490, venne abolita 1’« avarìa » o imposta diretta che pesava soprattutto sui ricchi, mercanti e nobili. Da quel momento, infatti, il Banco di S. Giorgio dovette pagare annualmente all’erario 33.000 lire, somma che raccoglieva aumentando le imposte indirette, quindi principalmente a spese della popolazione povera. Cfr. A. Giustiniani, Castigatissimi Annali..., cit., f. 264 v. 117 Cod. A, c. 232 r., anno 1500. 118 Cod. A, c. 232 v. "Tutta la documentazione relativa a questa fase della controversia (petizione dei tessitori e dei setaioli, inquadramento della situazione da parte di Filippo di Clèves e suo decreto) costituisce il preambolo delle decisioni prese da Andrea D’Oria nel 1534 (Cod. A, cc. 230 r. -240v., Multa continet inter seaterios et textores, implicite quidem). Il testo dei documenti è riportato in Appendice, XXII. — 131 — cum sua iactura, eodem pretio suos quoque vendere » ■ In altri termini, la politica dei Fregoso aveva portato al ribasso dei prezzi delle seterie e — in pratica — a favorirne l’esportazione, mentre Filippo di Clèves rimetteva in vigore norme non dotate dello stesso potere incentivante. Non è forse senza significato il fatto che il governatore francese adottava questi provvedimenti quando era in atto il decollo dell industria serica a Tours ed a Lione. Filippo di Clèves, in quella stessa occasione, offriva però un ulteriore contentino ai seateri, obbligando i consoli dei tessitori a consegnare ogni anno a quelli dell’Arte della seta l’elenco scritto di tutti gli artigiani che tessevano per conto proprio, in modo che fosse possibile svolgere sulla loro attività un accurato controllo. In particolare, i consoli dei setaioli furono autorizzati a compiere delle ispezioni nelle case stesse dei tessitori. Un più grave inasprimento della situazione si ebbe nel 1529, quando i Dodici Riformatori vietarono — per la prima volta nella storia della corporazione — il diritto al lavoro autonomo 121. Sarebbe stata una grande vittoria per gli imprenditori se solo pochi anni più tardi, il 24 marzo 1534, al termine di una lunga controversia iniziata nel 1531, la proibizione non fosse stata revocata, e non fosse stato definitivamente riconosciuto « texeranis qui intraverint artem setarie » il diritto di lavorare per conto proprio a due telai e di vendere essi stessi la produzione ottenuta . Da quel momento in poi questo diritto non venne più messo in discussione, e fu regolamentato anche negli Statuti del 1737 123. 120 Cod. A, c. 233 v. 121 « ... et in primis che alchuno texitore de pani di septa, volendo essere e restare texitore, non possia nè devia texere nè far texere del suo proprio, ne fare o far fare l’arte di la septa, sotto pena di perdere la septa e la tella gli fusse trovata, e sotto qualùnque altra pena possi occorrere in arbitrio de’ consoli e conseglio di detta arte di septa » (Cod. A, c. 226 r.). Se avessero contravvenuto al divieto, avrebbero subito la confisca di tutto il materiale serico trovato in loro possesso. Questo proclama venne letto « alta et intelligibili voce » dal preco pubblico nei luoghi più frequentati della città. (Il testo del decreto, in latino, comprendente anche tutti gli altri provvedimenti presi nel 1529 dai XII Riformatori, è riportato in Appendice, XXI). 122 Cod. A, c. 239 v. 123 Cfr. Leggi e ordini..., cit., pp. 43-44. Esisteva però nella città una corporazione del tutto separata dagli altri tessitori e su cui gli imprenditori avevano un’autorità ancora maggiore: quella dei « Textores citi torum septe » o di nastri e galloni, - 132 - Anche se il decreto del 1534 si rifaceva formalmente alle norme emanate nel 1500, nella sostanza venivano riaffermate le disposizioni statutarie del 1432, pur attenuate da alcune precisazioni più favorevoli ai tessitori. Venne così ordinato ai consoli dei seateri di sveltire le operazioni di controllo dei tessuti prodotti dai tessitori, che da quel momento non avrebbero potuto essere trattenuti nella loggia della seta per più di un giorno, e venne concesso agli artigiani di scegliere uno o due dei propri consoli fra coloro che lavoravano in proprio m. Accanto ai tessitori che lavoravano esclusivamente la seta degli imprenditori poterono cominciare quindi ad affermarsi dei maestri indi-pendenti 125, la cui attività era limitata, almeno all’inizio, al mercato interno, ma che costituivano indubbiamente dei potenziali concorrenti dei setaioli ,2é. assai rinomati nella città e fuori. Essa ottenne propri Statuti nel 1444, il 18 novembre. (I « Capitula totius Artis cendateriorum sive cingulorum sete » sono conservati presso la Civica Bibl. Berio di Genova, in una copia del sec. XVIII, segn. m.r. I, 3, 46, che contiene anche aggiunte e modifiche dell’aprile del 1701). Poiché alcuni dei capitoli del 1444 erano in contrasto con i privilegi dei setaioli, vennero modificati il 24 novembre dello stesso anno, in modo che la forza della corporazione nei confronti degli imprenditori venisse diminuita. Ai setaioli « qui fuerunt caput et fundamentum artis textorum cintorum septe », venne concesso di tenere nelle loro case e botteghe dei lavoranti di nastri da loro dipendenti, senza alcuna limitazione di numero; inoltre le donne che tessevano nastri per gli imprenditori furono autorizzate a « edocere pueros », nonostante che un capitolo degli Statuti negasse in genere alle donne questa facoltà. Il tempo che gli apprendisti avrebbero passato presso i setaioli sarebbe stato computato ai fini dell’apprendistato di sei anni, come se lo avessero passato presso un maestro delPArte dei « cendateriorum » (Cod. A, c. 27 r. e v. Il testo dei capitoli del 1444 è riportato in Appendice, II). 124 Cod. A, cc. 239 v.-240 v. (vedi nota 119). 125 Anche nell’ordinamento della manifattura di Lione esistettero, accanto ai « maîtres fabriquants », dei « maîtres marchands », che vendevano prodotti fabbricati da loro stessi ed ebbero un’importanza notevole. Cfr. A. Charmettant, Les anciennes corporations de la soierie à Lyon et l’avenir du mouvement corporatif, in « Réforme sociale », Paris, nov. 1889. 126 Ben presto si presentarono però ai tessitori nuovi problemi collegati con la loro nuova situazione, e primo fra tutti quello dello smercio dei tessuti prodotti autonomamente, riservati esclusivamente al mercato cittadino, e per il quale si dovevano affidare ai sensali (come del resto i setaioli). Poiché taluni « censari » tenevano « volte de panni di setta », accadeva che « havendo loro a vendere ne le loro volte o maga-zeni delli panni di questo et di quel altro povero tessitore, havendo loro de i soi, ... — 133 — Queste deliberazioni, se riconobbero maggiori diritti a una categoria di artigiani, favorirono però uno smembramento dell Arte, con il consenso, se non con la complicità, delle massime autorità della Repubblica. Non a caso, alle discussioni precedenti l’emanazione del decreto, partecipò Andrea D’Oria quale Priore dei Supremi Sindicatori. L indebolimento di una corporazione potente e l’esigenza di contenere entro limiti controllabili contrasti in atto fra categorie produttive, possono essere forse considerati come obiettivi non estranei a questa presa di posizione a favore dei tessitori. L’importanza e la posizione degli artigiani indipendenti si consolido rapidamente, specie all’interno della stessa corporazione dei tessitori, nell’ambito della quale, durante la seconda metà del XVI secolo, gli interessi dei tessitori indipendenti cominciarono presto ad avvicinarsi più a quelli degli imprenditori che a quelli degli artigiani della stessa corpo-razione. Nel 1567, un gruppo di tessitori chiese addirittura, anche se inutilmente, alle autorità cittadine di vietare la partecipazione al consolato delPArte ai tessitori autorizzati a lavorare anche in proprio, poiché altrimenti « sequeretur in damnum et detrimentum artis textorum, cum verosimile sit laborantes de suo potius habituros rationem utilitatis proprie et sic seateriorum quam textorum »127. La proposta venne ripresa qualche tempo dopo da altri duecento tessitori, e nel marzo del 1568 venne introdotta dai Padri del Comune una innovazione che l’accoglieva parzialmente, escludendo dalla carica di console gli artigiani immatricolati anche come setaioli, che non si limitassero a lavorare ai propri telai, ma « extra eorum quelli d’altri restano invenduti et in puoca estimatione, di che ne segue che per venderli poi si dano a pretii che è quasi vergognia a dirlo... oppure li tristi loro panni si permutano con li boni d’altri... ». I sensali non avrebbero evidentemente mai osato tenere un simile comportamento nei confronti di alcun setaiolo. Sia nel 1536, sia nel 1546, riuscirono ad avere ragione sui tessitori, nonostante che questi chiedessero 1 osservanza di un decreto, per altro già esistente, « ex quo prohibetur censariis posse texere per se vel per alios ». L’arte stessa dei tessitori era del resto resa più debole da divisioni interne, poiché alcuni degli artigiani (specialmente i più poveri) riuscivano nonostante tutto ad arrotondare i loro guadagni dando ai sensali qualche pezza da vendere e non volevano inimicarsi la categoria (A.S.C.G., Atti dei Padri del Comune, cit., fl. n. 15, doc. 49 e fl. n. 19, docc. n. 62 e n. 89; A.S.G., Senato, Atti, Û. n. 1251). 127 I Padri del Comune ribadirono le norme del 1534 (A.S.C.G., Atti dei Padri del Comune, cit., fi. n. 28, doc. n. 116; A.S.G., Senato, Atti, fl. n. 1363, doc. n. 513). - 134 — domos tellas darent ad fabricandum et manifacturandum, vel acciperent aut conducerent in eorum domibus respective textores et magistros mercenarios pro texendis tellis iuxta formam ordinamentorum artis seateriorum... ». Si trattava, in sostanza, di tessitori la cui configurazione si avvicinava ormai più a quella dell’imprenditore che a quella dell’artigiano m. Analogamente, tutti coloro che ricoprivano cariche nelPambito del-l’Arte della seta vennero privati del diritto di voto e del diritto di accedere al consolato nella corporazione dei tessitori. Alla base di un secondo importante contrasto fra imprenditori e tessitori fu il sistema retributivo: gli Statuti fissavano minuziosamente 1 ammontare dei compensi, un tanto per braccio di tessuto, secondo il tipo, ma non è facile dire fino a che punto i setaioli rispettassero queste tariffe e le norme relative. Benché fosse vietato da una convenzione del 1460, l’uso delle paghe di San Giorgio129, non è improbabile che gli imprenditori sfruttassero la loro posizione di superiorità per effettuare i pagamenti in « lire di paghe », cioè in moneta deprezzata, inferiore ai 20 soldi per lira e a corso instabile, con notevole danno per gli artigiani 13°. 12S A.S.C.G., Atti dei Padri del Comune, cit., fi. n. 28, doc. n. 216. Poiché la delibera dei Padri del Comune riguardava in particolare i tre consoli, nell’aprile dello stesso anno venne precisato a proposito dell’elezione anche dei sei consiglieri e del massaro « quod in ellectione dictorum decem officialium semper adesse debeant tres texentes de suo proprio, ita quod si uno anno erint electi in consules duo ex illis qui fabricant de suo, ex inde immediate elligi debeat unus ex consiliariis qui pariter fabricat de suo, et primi ex predictis extracti sint consules et alius de consilio, et alio anno quo eodem modo erit ellectus unus consul ex ipsis qui de suo fabricant, creari debeant duo de consilio videlicet de suo texentes... » (A.S.C.G., Atti dei Padri del Comune, cit., fl. n. 28, doc. n. 126). 129 A.S.G., Artium, fl. n. 161. 130 II fatto che il divieto dovesse essere periodicamente riconfermato induce a pensare che non sempre i setaioli lo rispettassero. Nel 1462, infatti, nonostante che la convenzione del 1460 fosse ancora in vigore, venne nuovamente imposto (cfr. J. Heers, Gênes..., cit., p. 246). Nel 1479, nella stesura di una nuova convenzione, fu specificato « ... prò qua quidem solutione vel in solutionem dictorum suorum labore-riorum, dicti seapterii non possint nec aliquis ipsorum possit aliquo modo dirrecto vel indirrecto dare ipsis textoribus vel alicui ipsorum aliquam aliam rem preter pecuniam numeratam, adeo quod non possint dare pagas Sancti Georgii alicuius generis, etiam pro eo quod valebunt tempore solutionis fìende... » (A.S.G., Artium, fl. n. 161, doc. 22 aprile 1479). — 135 — L’ammontare nominale del salario veniva inoltre difficilmente rispettato effettuando il pagamento di una parte della mercede non in danaro ma in natura (seta, tela, granaglie e vino)131. Gli ultimi due beni costituivano allora gli elementi essenziali del vivere quotidiano dei lavoratori, per la soddisfazione delle primarie necessità di sopravvivenza, e ben poco restava per la soddisfazione di altri bisogni132. Mentre i decreti della fine del XV secolo facevano riferimento al grano ed al vino, dall’inizio del Cinquecento venne preso in considerazione quasi esclusivamente il frumento e solo nel 1596 si parlò nuovamente di « fromento, vino, oglio... e qualsivoglia altra sorte di vettovaglia o merce di qualsivoglia qualità » 133. Un simile sistema di pagamento era indice di stretti vincoli di dipendenza, perchè la merce veniva normalmente valutata al di sopra del proprio valore, riducendo così l’ammontare dei compensi. Inoltre gli imprenditori effettuavano pagamenti in grano non certo in periodi di carestia, ma « tempore abundantie et vilibus triticis » m. Proprio in forza di queste considerazioni, i tessitori genovesi (i filatori ed i tintori non svolsero mai autonomamente alcuna azione in tale senso) cercarono in ogni modo di ottenere almeno un’equa valutazione delle merci ricevute in conto retribuzione e, in particolare, del grano. Le varie convenzioni salariali stabilivano infatti, solo in linea molto generale, che il valore computato al tessitore dovesse corrispondere al prezzo corrente di mercato 135. In un primo tempo fu deciso che il prezzo delle granaglie e del vino avrebbe dovuto essere fissato ogni due mesi dai componenti la commis- 131 « ... ex solutionibus mercedum que, ut plurimum, fiunt per seaterios ipsis textoribus et manifatureriis in frumentis, settis, pannis, tellis et aliis huiusmodi... » (Cod. A, c. 252 r.). 132 Cfr. R. Romano, Storia dei salari e Storia Economica, in « Rivista Storica Italiana», 1966, II, pp. 311-20. 133 Cod. C, c. 102 v. 134 Cod. A, c. 58 r., Revocatio condemnationis facte seaterio qui permutavit ve-lutum cum grano dando textori pannorum sericorum (v. il testo dei documento in Appendice, X). 135 « ... et quod granum et vinum ut supra dandum... teneantur dare pro eo vero pretio quo valebit eiusdem qualitatis granum in raiba et vinum in darsina... » (A.S.G., Artium, fl. n. 161, doc. 22 aprile 1479). - 136 — sione del 1488 136; nel 1500 il provvedimento venne perfezionato e l’incarico venne demandato ai Padri del Comune: entro la prima settimana di ogni mese, doveva essere da loro stabilito « quantum valerent grana ad pecuniam numeratam » I37, ma, verso la fine del secolo, il compito passò ai consoli dell’Arte della seta 138. Prima che la quotazione delle vettovaglie fosse affidata all’arbitrio di questi ultimi, si offriva alla manodopera l’illusione di una maggiore certezza nel valore reale delle proprie retribuzioni. È però da osservare che l’apparente semplicità dell’operazione celava sostanzialmente un agguato. Sulla base della valutazione dei Padri del Comune, dalle somme dovute veniva detratto il valore della quota di compenso corrisposta in natura, cosicché 136 « ... quod granum et vinum... dari et estimari debeat precio per nos, delegatos antedictos, indicando de duobus in duos menses » (Cod. A, c. 120 r.). Nel 1491, quando la commissione decadde dal suo incarico, i componenti stabilirono « ... quia reservavimus nobis arbitrium iudicandi et precium ponendi frumento et vino dando textoribus et etiam applicandi penas contrafactionum... ideo quia tempus balie nostre habitur, tale iudicium et eiusmodi declarationem et reservationem nostram, remittimus iudicio et sententie Prefati Illustrissimi Domini Gubernatoris et Consilii, vel deputandorum vel elligendorum ab eis » (Cod. A, c. 124 r. e v.). 137 «... mandantes Prestantibus Dominis Patribus Communis presentibus et iis qui pro tempore fuerint, ut, singulis mensibus, intra et per totam primam ebdomadam sive septimanam cuiuscumque mensis, ponant, declarent et taxent precium granorum de quibus superius fit mentio, absque ulla exceptione, videlicet quantum valerent grana ad pecuniam numeratam et plus usque in solidos quinque iuxta suas conscientias, imponentes consulibus ipsorum seateriorum, presentibus et his qui pro tempore fuerint, ut, singulis mensibus, intra et per totam primam septimanam cuiuslibet mensis, curent et cum effectu curare teneantur et debeant, quod dictum precium ipsis granis statuatur, ponatur et taxetur per ipsos Dominos Patres Communis, sub pena librarum vigintiquinque, applicata pro dimidia ipsis Dominis Patribus Communis, et ab eis exigenda quotienscumque ipsi consules seateriorum id facere et solicitare neglexissent aut omississent, et pro reliqua dimidia dicte arti textorum applicata. Item sancientes et ordinantes atque decernentes in quibusvis controversiis, litibus et causis sive querellis, que occasione preciorum et solutionum manifaturarum et granorum ut supra nascerentur, vel nasci quoquo modo contingeret inter utramque artem, sive homines utriusque artis, ipsi Domini Patres Communis sint cognitores et decisores ipsarum controversiarum ac executores, sine remedio appellationis » (Cod. A, c. 239 r. e v.). 138 «... non si dia grano a manifattureri che non sia appretiato da’ magnifici consoli... ». La multa per i contravventori era di dieci scudi (A.S.C.G., Arte della seta, cit., fl. n. 604, doc. n. 25, del 25 febbraio 1577). Il provvedimento venne notificato a 133 setaioli. l’altra parte, corrisposta in moneta, era inevitabilmente soggetta alle frequenti fluttuazioni del mercato. Per di più, le quotazioni si riferivano a prezzi al minuto, mentre i seateri erano portati ad effettuare acquisti all’ingrosso, cioè a prezzi più favorevoli, ed a rifornirsi di derrate di qualità spesso scadente. Per queste ragioni, la corporazione dei tessitori cercò più volte, fin dal XV secolo, di ottenere dalle autorità cittadine che venisse posto un limite all’ammontare della parte del compenso corrisposta in merci, opponendosi ai setaioli che tendevano invece ad aumentarla indiscriminatamente 139. In materia, durante la seconda metà del XV secolo, le due parti pervennero periodicamente ad accordi. Nel 1460, gli imprenditori si impegnarono a dare in contanti ai tessitori non meno di diciotto soldi e due denari per ogni venti soldi di compenso dovuto 14°. L’accordo fu stipulato con la validità di cinque anni, ma di fatto rimase in vigore per parecchi anni dopo la scadenza prevista, cioè fino al 1473, quando si addivenne ad una seconda convenzione. Maggiori dettagli possiamo ricavare dalla terza convenzione, l’unica che ci sia pervenuta nella sua integrità, stipulata nel 1479, per otto anni141. Essa vincolava da una parte PArte dei 139 II sistema di pagamento in natura, così strettamente collegato al livello dei salari, appare adottato ai danni anche di altre categorie (nel XVI secolo se ne lamentavano i corallieri, cfr. O. Pastine, op. cit., p. 318), e diffuso anche altrove (v., ad esempio, i numerosi provvedimenti adottati nel XV secolo a Venezia in R. Broglio D’Ajano, op. cit., p. 252, ed a Milano in E. Verga, op. cit., p. XX). 140 A.S.G., Artium, fl. n. 161. 141 A.S.G., Artium, fl. n. 161. Il testo completo della convenzione è riportato in Appendice, IX. Stipulata fra una rappresentanza della corporazione dei setaioli e i consoli dell’Arte dei tessitori, i quali « pervenerunt ad infrascriptam compositionem et pacta super salariis seu mercede solvenda », è stata definita « uno dei casi più significativi di concordato sui salari della manodopera, concluso fra datori di lavoro e artigiani, che la storia ricordi » (R. Dì Tucci, Lineamenti..., cit., p. 31), ma era rimasta fin ora inedita. Articolata in una serie di tredici paragrafi, essa regola minutamente le diverse infrazioni e i vari casi di controversia. A tutela della sua osservanza sono previste multe nei confronti sia dei setaioli (dodici fiorini per ogni pezza la cui tessitura venga retribuita in modo diverso da quanto sancito dalla convenzione), sia dei tessitori (sei fiorini) per evitare che questi ultimi, accettando condizioni di lavoro più gravose di quelle previste dall’accordo, recassero pregiudizio agli interessi degli altri artigiani, diminuendone la forza contrattuale. Essa rappresentò indubbiamente una conquista per i tessitori, i cui rappresentanti furono tutelati con particolari garanzie per evitare ritorsioni nei loro confronti da parte degli imprenditori. - 138 — tessitori e dall’altra non tutti i setaioli, ma esclusivamente coloro che la volessero liberamente sottoscrivere entro otto giorni142. Il numero dei datori di lavoro che si impegnò ad osservarne le disposizioni raggiunse il numero rilevante di centoventiquattro 143. Con questa nuova convenzione, gli imprenditori si impegnarono a dare in contanti diciassette soldi per ogni lira di retribuzione144, ma, per alcuni tessuti (velluti doppi e velluti cremisi, zentonini145 e camocati) si concordò che il compenso per la tessitura dovesse essere pagato totalmente « de numerato ». Nello stesso tempo, la parte di retribuzione che, negli altri casi, poteva essere corrisposta in natura, fu definita in un massimo di due mine di grano e di una metreta di vino 14é, qualora la « tella » della pezza misurasse da trenta a quaranta braccia. Il ricorso a qualsiasi altra merce o derrata, per il pagamento della parte di compenso consentita in natura, fu tassativamente vietato, salvo « de expressa licentia consulum artis textorum » 147. 142 « ... et intelligatur predicta locum habere cum illis tantum et respectu ipsorum qui manibus eorum propriis presentibus pactis et compositioni se subscribent, infra dies octo proxime secuturos a die requisicionis super hoc fiende per dictos consules; pro aliis autem non, sed remaneant in illi statu et gradu ac forma quibus sunt vigore dicte sententie dictorum dominorum Sindicatorum commissariorum, presentibus pactis et compositione in aliquo non obstantibus... » (Ibidem). 143 L’elenco dei setaioli che sottoscrissero la convenzione è riportato in Appendice, IX. Dopo l’accettazione da parte degli imprenditori l’accordo venne ratificato dal Doge e dagli Anziani. 144 « ... convenerunt dare et solvere dictis textoribus ab hodie in antea usque ad perfectum seu completum tempus dictorum annorum octo, soldos decem et septem ianuinorum de numerato pro singula libra eius quod eis debetur pro mercede laboris ipsorum texaranorum vigore conventionum suarum... » (A.S.G., Artium, fl. n. 161, doc. 22 aprile 1479, cit.). 145 « zentonino » (o zetanino); « orsoio crudo e tinto che serve pel rovescio del velluto ». L’Arte della seta..., cit., p. 333. 146 La mina di grano del XV secolo e della prima metà del XVI era pari circa a Kg. 82,434; nella seconda metà del Cinquecento variò da Kg. 87,360 (1550) a Kg. 90,895 (1586). La metreta (o mezzarola) era di litri 91,480. Cfr. P. Rocca, Pesi e misure antiche di Genova e del Genovesato, Genova, 1871, pp. 67, 96-7 e 108-9. 147 « ... quod possint ipsi seapterii dare ipsis textoribus, infra solutionem dictorum suorum laboreriorum, granum et vinum hoc modo, videlicet in et super qualibet tella de braciis triginta usque in quadraginta, minas duas grani et metretam unam vini et sic pro rata mensure cuiuslibet telle, salvo quod pro dictis zentoninis non liceat nec possit granum neque vinum dari, sed teneantur solvere de numerato — 139 — Nel 1488, allo scadere della convenzione, i tessitori presentarono però una energica protesta, lamentando che i setaioli non solo li obbligavano ad accettare più grano del consentito, ma anche lo computavano a prezzi maggiori di quelli correnti148. Poiché inoltre l’accordo del 1479, in caso di controversia salariale, consentiva indifferentemente il ricorso ai Sindicatori, ai Padri del Comune o ai Censori, furono chieste precisazioni che attribuissero certezza al giudizio 149. Contestualmente, i tessitori avanzarono anche tutta una serie di rivendicazioni intese principalmente a contestare la giurisdizione esclusiva dei setaioli sulle frodi ed a rimuovere le limitazioni imposte dagli imprenditori alla loro autonomia 15°. Per sanare il contrasto, le autorità cittadine provvidero alla nomina di una speciale commissione « inter seaterios civitatis Ianue ex una parte et textores pannorum sericorum eiusdem civitatis parte altera », composta da quattro delegati ed istituita per tre anni151. I lavori della commissione portarono a due decreti, uno del maggio 1488 e l’altro del maggio 1491, che, pur accordando ai tessitori maggiore autonomia in materia di uso di telai e di vendita a terzi di loro prodotti prout supra, et... si quod aliud ultra reperiretur [datum] per aliquem per rectum aut per indirrectum preter pecuniam numeratam, granum et vinum modo et forma quibus superius dictum est, nisi processerit de expressa inscripta licentia dictorum consulum artis textorum... intelligatur et sit deperditum... » (A.S.G., Artium, fl. n. 161,. doc. 22 aprile 1479, cit.). 148 « ... premissis non obstantibus, prefati seaterii seu maior pars ipsorum in dicta mercede continue inhianter non sunt veriti tam vinum quam granum multo maiori precio quam videretur ut supra tradere... » (A.S.G., Artium, fl. n. 161, doc. 27 marzo 1488). 149 «... cuilibet ex dictis tribus Magistratibus ut querelas ipsorum textorum in-telligant dictosque seaterios ad condignam satisfactionem mercedis prestandam cogant puniendo contrafacientes... » (A.S.G., Artium, fl. n. 161, doc. 27 marzo 1488). 150 Sul primo punto vedi parte I, cap. I; sul secondo vedi pp. 128-32. 151 « ... sunt quoque ipsi Lodisius et college commissarii predicti etiam magistratus inter dictas partes omnium et singularum differentiarum que inter eas quomodocumque verti contingitur triennio durante...» (A.S.G., Artium, fl. n. 161, doc. 27 marzo 1488). I componenti della commissione furono « Lodisius de Ingibertis, Francisais de Camuiio, notarius, Anfreonus Ususmaris et Vesconte de Auria » (Cod. A, c. 119 r.). 152 Vedi p. 129. — m — non rappresentarono per la categoria, per quanto concerne le retribuzioni, un sostanziale successo. L’impegno di retribuire il loro lavoro in « pecunia numerata », che — come abbiamo visto — era passato da un minimo di 18 soldi e 2 denari per ogni 20 soldi dovuti, ad un minimo di 17 soldi, viene compieta-mente abbandonato, mentre assume sempre più larga parte la possibilità di retribuzioni in natura. I tessitori di zentonini, che, fin dal 1460, dovevano essere pagati esclusivamente in contanti, potranno ora ricevere, in conto retribuzione, anche una quantità di grano, fino al massimo di una mina 153. I tessitori di pezze di lunghezza superiore alle 30 braccia, che dal 1479 potevano essere retribuiti in natura non oltre i massimi di due mine di grano e di una metreta di vino, potranno ora ricevere fino a tre mine di grano, oltre alla metreta di vino, mentre ai tessitori di pezze di lunghezza inferiore alle 30 braccia viene riservato il trattamento spettante in precedenza ai tessitori di pezze di lunghezza maggiore 154. Pochi anni dopo, nel 1500, il governatore Filippo di Cleves emanò una nuova disposizione nella quale il vino non era più preso in considerazione, ma la quantità di grano ammessa veniva aumentata di una mina 153: 153 « pro qualibet vero tella zentoninorum, cuiusvis mensure sit, non possit née debeat per seaterios dari textoribus pro solutione et seu infra solutionem texture ipsorum, quicquam preter minam unam grani, et restum de peccunia numerata solvere teneantur dicti seapterii, sub penis in ultima conventione predicta contentis» (Cod. A, c. 120 r.). Nel 1491 venne ulteriormente specificato « ne super hoc oriatur lis... dictam ultimam conventionem esse illa[m] que facta est 1479, die 22 aprilis » (Cod. A, c. 124 r.). 154 « ... videlicet quia possint dicti seaterii et unusquisque ipsorum et eis liceat, infra solutionem mercedis textorum et cuiuslibet eorum, dare textoribus pro qualibet tella veluti et avelutati, et etiam camocati, cuiusvis modi sint, modo tella sit usque in brachia triginta, et sic recusare non possint ipsi textores quin acceptent minas duas grani et metretam unam vini; de tellis vero que essent ultra brachia triginta, infra solutionem eorum mercedis texture ut supra, usque in minas tres grani et metretam unam vini, arbitrio seaterii... » (Cod. A, c. 120 r.). Non bisogna dimenticare, però, che queste norme venivano ad essere obbligatorie nei confronti di tutti i setaioli, mentre nel 1479 l’accordo era stato sottoscritto solo da un gruppo di imprenditori, anche se numeroso. La differenza delle quantità può quindi trovare una parziale giustificazione nella diversa portata dei due gruppi di disposizioni (v. anche nota 170). 155 « ... quod possint dicti seaterii... infra solutionem mercedis textorum et cuiuslibet eorum, dare textoribus pro qualibet tella veluti et avelutati et etiam camocati, cuiusmodi sint, modo tella sit usque in brachia triginta, et sic recusare non possint — 141 - i limiti massimi (tre e quattro mine), riconfermati anche nel 1534, raggiunsero così un livello superiore alla media del consumo annuale per una persona 156. Con lo stesso decreto, venne demandata ai Padri del Comune la competenza sulle controversie aventi per oggetto la retribuzione l57. Poiché, secondo gli Statuti del 1432, i rapporti fra setaiolo e tessitore erano registrati in un libro nel quale normalmente veniva segnata la qualità e la quantità di seta e di ordito avute in consegna, nonché il tipo di tessuto richiesto dal committente — quem librum teneatur texe-ranus secum portare quandocumque ibit ad seaterium 158 — sia nel 1488, sia nel 1500, venne ribadito l’obbligo di registrare, con precisione ed a scopo di controllo, anche ciò che il setaiolo dava al tessitore in conto retribuzione: «... si granum fuerit, granum scribatur, si vinum, vinum, ipsi textores, quin acceptent minas tres grani; de tellis vero que essent ultra brachia triginta infra solutionem eorum mercedis texture, ut supra, usque in minas quattuor grani, arbitrio seateriorum; pro qualibet vero tella zentuninorum, cuiusvis mensure sit, non possit nec debeat per seaterios dari textoribus, pro solutione et seu infra solutionem texture ipsorum, quicquam preter minam unam grani; restum vero de pecunia numerata solvere teneantur dicti seaterii, sub penis in ultima conventione predicta contentis» (Cod. A, cc. 237 v. - 238 r.). 156 II fabbisogno medio annuale può essere considerato oscillante dalle tre mine (cfr. J. Day, Les douanes de Gênes, Paris, 1963, p. 29) alle due mine (cfr. E. Grendi, Genova alla metà del Cinquecento: una politica del grano?, in « Quaderni Storici », Ancona, genn.-aprile 1970, p. 111). Possiamo notare però che tutti coloro che godevano dell’esenzione doganale « de non solvendo introitu vini et grani » potevano usufruire dell’immunità « in hac forma, videlicet quod sint franchi prò se et quolibet de familia sua secum habitante ad rationem de tribus metretis vini et de tribus minis grani pro se et quolibet de familia sua pro singulo anno » (A.S.G., Regule Consulum Callegarum, ms. LXXVIII, sec. XV, c. 53). Le due ipotesi portano a risultati alquanto distanti fra loro: si ha infatti un consumo medio giornaliero di 680 grammi sulla base di tre mine annuali di Kg. 82,434 (sec. XIV-XV) e di 480 grammi su due mine di Kg. 87,360 (sec. XVI). Presi come limite massimo e minimo di consumo, tuttavia, i due dati si inseriscono efficacemente a fianco dei consumi medi giornalieri di altre città, lontane dal mare e quindi aventi tendenzialmente una utilizzazione maggiore di cereali: 580-690 grammi a Pavia; circa 600 grammi a Perugia; più di 800 grammi a Como e da 650 a 712 grammi a Firenze. Cfr. D. Zanetti, Problemi alimentari di una economia preindustriale, Torino, 1964, pp. 60-62. 157 Vedi parte I, cap. I. 158 Cfr. Statuti del 1432, capitolo « Quod texeranus semper babeat librum in quo scribantur data et accepta ». - 142 - si peccunie, peccunie... » 159, e la data precisa del pagamento160. In questo modo, i tessitori ottennero, almeno, di non essere defraudati delle eventuali differenze di prezzo dei beni verificatesi fra il giorno del pagamento dichiarato e quello del pagamento effettivo: numerose erano, infatti, le lamentele contro gli imprenditori per il loro abituale ritardo nel saldo dei debiti, anche se la convenzione del 1479 aveva disposto che i setaioli fossero obbligati, entro due mesi dalla consegna della pezza ultimata, a concludere il pagamento del compenso dovuto al tessitore161. Questa norma, del resto, non trovò più alcuna conferma negli accordi successivi. Nel 1529, quando — anche se per poco tempo — fu vietato ai tessitori di lavorare per conto proprio, gli imprenditori furono obbligati a rinunciare completamente al pagamento in natura ’62, ma solo nel 1558, rinnovando il divieto, vennero stabilite delle pene per i setaioli che non si fossero attenuti a queste disposizioni,63. È importante sottolineare come >59 Cod.-A-, c.120 v. 160 Vedi in Appendice, XXII, il testo integrale del decreto del 1500 (Cod. A, cc. 238 r. -239 r.) che, su questo argomento, riproduce sostanzialmente quello del 1488 (Cod. A, c. 120 r. e v.). 161 «... quod dicti seapterii infrascripti et quilibet ipsorum teneatur et debeat semper solidare cum suis texaranis in libro ipsorum taxaranorum de qualibet tella saltem in menses duos secuturos a die consignationis ipsi seapterio facte per dictum texaranum, et hoc sub pena florenorum duorum a singulo ipsorum contrafaciente... ». Il tessitore stesso, entro un mese dalla consegna, era obbligato (pena la multa accennata) a denunciare il setaiolo che trascurava di pagargli il compenso pattuito (A.S.G.. Artium, fi. n. 161, doc. 22 aprile 1479, cit.). 162 « ... che essi texitori di pani di septa non siano intenuti nè obligati nè pos-sino essere astretti da li seapteri o da alchuno di essi a prender grano o vino in pagamento de loro mercede li vegnisse per cagion di texere, nè mancho possiano o de-biano ipsi seapteri o alchuno di loro satisfare detta mercede a detti texitori o ad alchuno di loro in grano o sia vino, come per avanti si soleva fare, ni alchuno altro modo, anzi che detta mercede debiano e siano intenuti et obligati a pagarla di numerato et in contante, non obstante qualonque ordine circa ciò facto chi se intenda in questa parte derrogato » (Cod. A, c. 226 r.). Così il proclama letto nella città; il testo del decreto in latino, contenente tutti i provvedimenti presi dai 12 Riformatori nei riguardi delPArte della seta è invece riportato per esteso in Appendice, XXI. 163 «... solum debeat talem solutionem facere in pecunia numerata, sub pena scutorum decem ipso facto incurrenda per contrafacientem, totiens quotiens fuerit contrafactum » (Cod. A, c. 252 v., Solutio fiat textoribus pannorum sete in pecunia numerata). Il testo latino del decreto e quello in volgare del proclama sono riportati in Appendice, XXIX. - 143 - questa volta gli ispiratori del provvedimento fossero stati gli stessi consoli dell’Arte della seta, che giudicarono il pagamento in natura « maximum damnum et interesse ipsis textoribus et manifatureriis » , in un momento particolarmente grave per la Repubblica, appena uscita dalla lunga guerra di Corsica e nuovamente afflitta da una carestia che portò ad altissimi livelli i prezzi delle vettovaglie 165. Sui reali effetti di queste disposizioni è però lecito esprimere qualche dubbio, se già pochi mesi dopo (14 giugno 1599) fu necessario ribadire il divieto166. Normalizzatasi la situazione economica era evidentemente ripreso anche il sistema di pagamento in natura, più vantaggioso per gli imprenditori167. Durante tutta la seconda metà del XVI secolo, del resto, il problema continuò ad esistere e fu oggetto di numerosi decreti, la cui ricorrenza nel tempo lascia seri dubbi sulla loro efficacia . Oggetto di controversie e di contrattazioni fu anche la determinazione deH’ammontare nominale della retribuzione. Contro il legittimo desiderio dei tessitori di vedere adeguati i compensi alle condizioni della vita ed ai prezzi dei generi di prima necessità, stavano gli interessi degli imprenditori che tendevano a tenere bassi i salari per resistere alla concorrenza intemazionale. Il basso costo della manodopera, infatti, permetteva di vendere a prezzi competitivi senza vedere diminuiti i profitti. 164 Ibidem, c. 252 r. 165 Cfr. F. Casoni, Annali..., cit., t. III, p. 124. Sulla gravità della situazione frumentaria cittadina nel periodo 1555-57, vedi E. Grendi, Genova alla metà del Cinquecento..., cit., p. 117 e p. 120. 166 A.S.G., Senato, Atti, fi. n. 1312, doc. n. 332. 167 Per l’approvvigionamento cittadino di grano il 1559 fu infatti uno degli anni migliori del decennio degli anni cinquanta, superato solo dal 1553. Cfr. E. Grendi, Genova alla metà del Cinquecento..., cit., p. 117 e p. 120. 168 Nel 1587 venne decretato che non si potesse dare ai tessitori, in conto retribuzione, « grani, seta, panni di lana, tela et altre robe ». La multa per chi non osservava la prescrizione rimase quella del 1558 (A.S.C.G., Arte della seta, cit., fi. n. 602, doc. n. 45). Ancora nel 1596 le autorità cittadine dovettero ricordare ai setaioli che non era lecito « dare a tessitori, in pagamento della mercede loro, fromento, vino, oglio nè qualsivoglia altra sorte di vettovaglie o merse di qualsivoglia qualità, anzi siano tenuti et obbligati pagare a detti tessitori la detta mercede in denari contanti...» (Cod. C, cc. 102 v. -103 r.). — 144 — Per quanto riguarda il XV secolo, oltre ad alcune indicazioni contenute nella convenzione del 1479 169, sono purtroppo riportate negli emendamenti agli Statuti dell’Arte serica soltanto due “tariffe”, una del 1488 e un altra del 1500: un periodo forse troppo breve per stabilire raffronti, ma il fatto che nei dodici anni le retribuzioni rimangano invariate è pur sempre significativo 170. Non dobbiamo dimenticare, inoltre, che il governo I tessuti a cui in questa occasione fu fatto riferimento erano quelli per i quali venne decretato che il pagamento dovesse farsi esclusivamente « de numerato »: velluti doppi 20 soldi al braccio camocati 14 » » » avellutati 25 » » » Più importante, la tariffa stabilita per gli zentonini, in quanto ad essa si fece sempre riferimento nei decreti successivi: zentonini fino a portate 84 8 soldi al braccio zentonini da portate 84 a 105 10 » » » zentonini oltre portate 105 12 » » » (A.S.G., Artium, fi. n. 161, doc. 22 aprile 1479, cit.). Dalla commissione del 1488 venne emanata la seguente tariffa: «... et primo pro velutis duplis, pro singulo brachio de parmis tribus ipsorum velutorum, soldos viginti ianuinorum; pro velutis simplicibus, pro singulo brachio de parmis tribus ipsorum velutorum, soldos decem et septem ianuinorum; pro avelutatis, pro singulo brachio ipsorum avelutatorum de parmis tribus, libram unam, soldum unum et denarios tres ianuinorum; pro velutis altis et bassis, pro singulo brachio ipsorum de parmis tribus, libras duas et soldos duos ianuinorum; pro camocatis larghis, pro singulo brachio de parmis tribus, soldos duodecim cum dimidio ianuinorum; pro camocatis strictis, pro singulo brachio ipsorum de parmis tribus, soldos duodecim cum dimidio ianuinorum; pro zentoninis, ad rationem ultime conventionis inter partes predictas facte, cuiusvis portate dicti zentonini...» (Cod. A, c. 119 v.). Dodici anni dopo, le retribuzioni decretate da Filippo di Clèves furono identiche, ma venne precisato: « prò zentoninis, ad rationem preciorum ultime conventionis inter partes predictas facte, cuiusvis portate sint dicti zentonini, scripte anno MCCCClxxviiii die xxii aprilis... » (Cod. A, c. 237 v.). Per quanto concerne gli avellutati ed i camocati, queste tariffe si presentano leggermente inferiori ai compensi stabiliti nel 1479 (per i primi si è passati da 25 soldi a 21 soldi e tre denari, e per i secondi da 14 soldi a 12 soldi e mezzo). Per — 145 — io aristocratico, recependo nel 1534 le norme sui tessitori emanate nel 1500 da Filippo di Clèves — salvo alcune modifiche 171 — riconfermò automaticamente anche il livello delle retribuzioni: la tariffa del 1488 rimase pertanto invariata per quasi cinquant’anni. Per il XVI secolo, una dettagliata tariffa dei taffettà, del 1513, anche se non è accompagnata da alcun altro elemento che ci aiuti nello studio della sua evoluzione, ci permette un raffronto fra la valutazione del lavoro del maestro tessitore e quella di un lavorante, poiché vi sono riportati i compensi di ambedue: il lavorante, cioè colui che aveva già svolto un periodo di garzonato, ma non era ancora maestro, percepiva esattamente i due terzi di quanto otteneva un maestro m. Più numerose sono le notizie che riguardano i velluti piani a un pelo, per i quali apprendiamo che nel 1575 era ancora in vigore la tariffa stabilita nel 1432 e confermata sue cessivamente nel 1484: venti soldi per braccio di tessuto . Solo in quel l’anno, dopo aver presentato una lunga supplica, contenente un lacrime vole quadro del disagio nel quale si trovavano, i tessitori riuscirono ad ottenere che i loro problemi venissero presi in considerazione dalle au i velluti la tariffa è invariata. La differenza può trovare una giustificazione ne at che mentre nel 1479 si era avuta una convenzione alla quale ogni impren itore aveva avuto libera scelta di aderire o di non aderire, la delibera della comm _ del 1488 e il decreto del 1500 avevano effetto obbligatorio nei confronti di tutti i componenti l’Arte della seta. 171 Cod. A, c. 240 v.. Vedi anche p. 133 e nota 119. 172 Cod. A, cc. 196 v. -197 r.. La mercede è calcolata « pro singulo brachio de parmis tribus »: ai tessitori: pro singulo brachio taffetalis stridi de parmis tribus pro singulo brachio taffetalis largi reforsati s- 4 pro singulo brachio taffetalis largi non reforsati s' 4 ai lavoranti: ? d 8 pro singulo brachio taffetalis stricti s- pro singulo brachio taffetalis largi reforsati s- ^ pro singulo brachio taffetalis largi non reforsati s. 2 d. 4 na «... dicono che l’anno 1432 a 6 di marzo il Signor Duce et magnifico Senato degli Anziani... statuirono che la mercede del tessere veluto fosse di venti soldi il brazzo, il qual ordine poi l’anno del 1484 a 7 di luggio fu confermato... » (Cod. C, c. 81 r.). — 146 — tonta cittadine, da un lato usando toni drammatici174 e non peritandosi di definire la loro situazione « tale che i sassi piangerebbero di pietà » 175; da un altro, avvalorando la richiesta di aumento delle mercedi con argo-mentaziom più solide, quali la svalutazione subita dalla moneta e l’aumento dei prezzi di tutti i beni176, il fatto che a Genova le remunerazioni ossero più basse che a Milano ed a Lucca (dove peraltro erano calcolate su unità di misura più piccole), o ricordando agli Anziani come, anrn^prima, un aumento fosse stato concesso ai tessitori dell’arte della lana . Con abile mossa psicologica, non mancarono, inoltre, di fare presente come la maggior parte delle frodi e dei furti compiuti sulla materia prima ^ dei setaioli e di cui gli imprenditori si lamentavano in continuatone _ fosse causata esclusivamente dalle condizioni di indigenza nelle quali si trovavano, per cui « spinti dalla eccessiva povertà », cercavano in questo modo di fare una « compensatione » m. Secondo i tessitori, un miglioramento delle retribuzioni avrebbe quindi avuto riflessi positivi anche per gli imprenditori. Solo a seguito di questa dettagliata e ben fondata protesta, il 16 174 «... considerata la calamità dei presenti tempi et il prezzo de tutte le cose necessarie al vivere..., i poveri tessitori, per sì piccola e bassa mercede, non possono sostenersi, di modo che le indispositioni et malade che si pigliano gli son caosate dai governi che fanno del mangiare, pastendosi spesse volte a guisa d’animali onde gli caosano humori tali nei corpi loro che li generano in breve la morte..»’(Cod C, c. 81 r. e v.). 175 Cod. C, c. 81 r. 176 «... aU’hora, per la bontà dei tempi, dei detti soldi venti si facevano più provvigione del vivere et vesdre che non si fanno al presente de cinque libre ». E ancora «... fatta... consideratione da quelli ai tempi presenti nei pretii delle vettovaglie et altre cose necessarie al genere humano, et anche al crescimento della moneta perche allora il ducato d’oro valeva soldi 48 e al presente vale 40... » (Cod C c 81 r. e v.). 177 « ... considerato massime che in Milano il brazzo del velluto è doi palmi e mezzo quarto, et in Lucca è doi palmi e un quarto, et hanno a detti lochi et in molti altri più premio del fabricarli che non hanno qui a Genova i tessitori, il brazzo dei quali è tre palmi, oltre che l’anno del 1537, a 10 d’aprile fu da’ Deputati di questa Serenissima Repubblica accresciuto la mercede del tessere a i tessitori dell’arte della lana perchè si lamentorno che non potevano sostenersi con la mercede che gli era data dai laneri... » (Cod. C, c. 82 r.). 178 Vedi parte II, cap. II. 179 Cod. C, c. 81 v. — 147 — marzo 1575, dopo circa un secolo e mezzo, la mercede corrisposta ai tessitori di velluti fu aumentata di tre soldi al braccio, mentre per gl a tri tessuti venne stabilito un aumento che tenesse proporzionalmente conto della tariffa precedente 18°. Ben poco in realtà, considerato arco tempo così lungo (1432-1575), specialmente se teniamo conto del fatto che aumento venne ottenuto quando la “rivoluzione dei prezzi eie caratterizzo la seconda metà del XVI secolo era ormai entrata nella fase critica, e dopo che si era registrato in alcune zone d Italia, per tutto 1 periodo 1552-1560, il maggior tasso medio annuale d’inflazione: il 5, o Nello stesso tempo occorre anche rilevare come, nonostante tu base della concessione non vi fosse tanto la sensibilità dei governanti verso i bisogni di questo settore di lavoratori, quanto la^necessi p “Nobili Nuòvi” di acquistarsi una più larga base politica182. L’aumento del 1575 non fu tuttavia che il primo sintomo di un pm vasto movimento di rivendicazioni, non solo salariali, che caratte fine del XVI secolo e l’inizio del XVII. L’Arte della seta stava ormai 180 « .. . pro velutis cuiusvis qualitatis, solidos tres monete Genue pro sta gulo brachio, ultra solitam mercedem, et pro razis, damaschis et ta età 1 u mentatio proportionabiliter ad ratam velutorum, ita quod seateru teneantur et debe solvere textoribus non tantum solitam mercedem texendi, verum enam mrgumen dictorum soldorum trium pro quolibet brachio veluti cuiusvis qualitatise et ^ debitam ratam et proportionem super razis, damaschis et taffete i us P hinc in antea imponendis...» (Cod. C, cc. 82v.-83i„ Augumentum mercedis texto rum factum anno 1575, die 16 marcii). >8' Cfr. A. Fanfani, Storia del lavoro..., cit., pp. 33-37; C.M. Cipolla La prétendue révolution des prix: réflections sur l’expérience italienne, in « Annales; t ^c o-nomi,, - Sociétés - Civili,,.»»,) », P,m, 1955, pp. 513-16; D. Zm», rivoluzione dei prezzi, in « Rivista Storica Italiana », 19 , PP- . . ’ ’ rr luni aspetti particolari, G. Parenti, Considerazioni su recenti indagini intoi• storia dei prezzi, in « Annali di statistica e di economia dell Università di Gen VI, Padova, 1940, pp. 253-82. '82 Vedi parte I, cap. I, pp. 27-8, e F. Casoni (Annali..:, cit., pp. 44-46), c e ricorda lo stato di « confusione » in cui si trovava il Senato nel 1575 e 1 agitazione popolare dei mesi di febbraio e marzo: «onde per quietare la città e per contentare la plebe commossa, il Senato decretò il numero di trecento aggregati, 1 abolizione della gabella del vino, molto gravosa a’ poveri, e il crescimento di soldi tre per braccio alle manifatture. Coll’esecuzione delle quali cose i Nobili del Portico di S. 1 ìetro maggiormente si obbligarono l’affetto e il seguito dei popolari, massime dei tessitori di seta... ». - 148 - lentamente perdendo il predominio economico conquistato nei decenni precedenti, e filatori e tessitori, su questa progressiva debolezza, gettavano le basi di un’azione martellante destinata a sconvolgere uno stato di sottomissione sempre meno tolleratoI83. Contemporaneamente, PArte subiva le conseguenze di una deteriorata situazione monetaria 184 e di mutate relazioni politiche con paesi che, come la Francia e le Fiandre, erano stati sbocchi importanti per la produzione serica genovese I85. Nel 1596 i tessitori presentarono alle autorità cittadine un lungo documento nel quale veniva criticato tutto il sistema dei rapporti con gli imprenditori: in una serie di note — a cui i setaioli risposero punto per punto, con argomenti non sempre validi186 — denunciarono le limitazioni che i setaioli ponevano alla loro autonomia, impedendo i collega-menti fra le varie botteghe, nel timore di rafforzare la posizione economica dei singoli tessitori; i controlli personali eccessivi a cui erano sottoposti; i ritardi nei pagamenti e le irregolarità nella tenuta dei libri; gli abusi dei consoli della seta nell’esercizio del loro potere giurisdizionale, che si concretavano spesso nel rifiuto di rilasciare copia di atti processuali, impedendo cosi ai tessitori di interporre eventualmente appello contro 183 Oltre a quanto è esposto nelle pagine che seguono, si può ricordare che proprio in quegli anni (1598) i filatori riuscirono ad ottenere la sospirata autonomia, per la quale avevano dovuto lottare per quasi due secoli (v. pp. 104-07). Inoltre, le rivendicazioni dei tessitori si susseguirono a ritmo continuo: dopo il decreto del 1596, nuovi adeguamenti dei compensi furono richiesti ed ottenuti nel 1604, nel 1612 (v. p. 155) e nel 1623 (Cod. C, cc. 114 r. -124 v.). « ... si agionge che, crescendo di continuo il pretio dello scuto d’oro, comprando essi e pagando le sete in Messina, Napoli e circonstantie in oro e dando in quei lochi ordine per la compra di esse, vi vien fatto la tratta in scudi d’oro e vendendo essi poi in moneta, sentono in questo sei et sette per cento di danno, e molte volte più, essendoli spesso fatto pagamenti in ducatoni et simili monete forestiere, per onde sono necessitati i seateri, corno alla giornata molti di loro vano facendo, di manchari di fabricare... » (Ibidem). 185 «... essendo in parte mancata detta arte o per li accidenti de’ tempi o per le penurie o per le guerre di Francia e Fiandra... » (A.S.G., Senato, Atti, fi. n. 1559, anno 1592). 186 Cod. C, cc. 87 v. - 91 v. — 149 — le loro sentenze 187. Per la prima volta, inoltre, i tessitori dichiararono apertamente che i setaioli non rispettavano le tariffe stabilite (in questo caso quelle del 1575) dando un preciso elenco, per i vari tipi di tessuto, delle differenze fra le mercedi dovute e quelle effettivamente pagate dagli imprenditori La differenza, che talvolta raggiungeva anche i dieci o i dodici soldi per braccio di tessuto, costituiva una notevole diminuzione dei compensi dovuti: per i velluti “sopraricci in 210” gli artigiani ricevevano in media 187 Cod. C, cc. 86 v. - 87 v.. L’obbligo di rilasciare ai tessitori copia degli atti dei processi e delle sentenze dovette nuovamente essere proclamato nel 1600, « acciò possano difendersi » (A.S.G., Senato, Atti, fi. n. 1628, doc. n. 209, dell 11 novembre 1600). 188 Cod. C, cc. 85 r. - 86 r. RETRIBUZIONE TIPO DI TESSUTO TARIFFA STABILITA EFFETTIVAMENTE (secondo i tessitori) PAGATA velluti in 210 sopraricci soldi 50 al braccio da soldi 38 a soldi 40 velluti in 105 sopraricci soldi 44 » da soldi 35 a soldi 38 velluti prefilati in 210 soldi 50 » da soldi 38 a soldi 40 velluti prefilati in 105 soldi 45 » da soldi 32 a soldi 34 velluti ricci in 210 soldi 36 » soldi 30 velluti ricci in 105 soldi 35 » da soldi 26 a soldi 28 velluti operati “a carcare" soldi 33 » da soldi 23 a soldi 24 velluti ricci a due peli soldi 45 » da soldi 36 a soldi 38 velluti ricci a un pelo soldi 30 » da soldi 25 a soldi 26 raso lavorato soldi 20 » soldi 13 denari 6 raso piano (da portate 112% “alla rata" soldi 13 denari 6 a portate 175) taffettà lavorato da soldi 16 a soldi 18 da soldi 10 a soldi 12 velluti prefilati in 420 lire 3 al braccio da soldi 50 a soldi 55 velluti piani a tre peli soldi 33 » Per questi ultimi, venne denunciato che « da un pezzo in qua li seateri hanno ritrovato una inventiva che fanno doppiar la seta a tre capi e poi lo torsono facendo l’ordire a doi cavi, come li lavori a doi peli. , e li mettono sopra le marche a tre peli, come pur sono, e per tali li vendono, e : ... pagano al tessitore solo soldi 30 denari 6 per brazzo, raggionando che si lavori a doi peli e mezzo, li quali sono tre... ». Questa frode da parte dei setaioli venne proibita il 21 giugno 1596, stabilendo che «... non si possino fabricare nè far fabricare di simili sorte veluti a tre peli fabricati a duo fila torti a tre cavi, ma che detti veluti a tre peli si debbano in ogni modo fabricare a tre file torti a due cavi, conforme a gl’ordini antichi et antico modo di fabricare essi veluti a tre peli... » (Cod. C, cc. 99 v. -100 v.). — 150 — il 22 % in meno di quanto era stabilito nella tariffa; per i velluti “prefilati in 105" lo scarto poteva essere anche del 28,89 %; per il taffettà ed i rasi la percentuale della diminuzione era ancora più alta: 31,11-31,25 % per i primi, e 32,59 % per i secondi. Alla base del contrasto furono quindi prevalentemente, anche nel 1596, le retribuzioni. Alle dichiarazioni dei tessitori fece seguito un’aspra replica dei setaioli che non riconoscevano la tariffa, sostenendo che le mercedi derivavano dalla contrattazione personale tra le parti: occorreva, infatti, tenere conto del perfezionamento della tecnica e del variare della moda, che usava tessuti più o meno complicati, incidendo quindi sulle remunerazioni. Era inoltre giusto — secondo gli imprenditori — che i compensi potessero essere variati secondo l’abilità ed il rendimento degli artigiani,89. Queste argomentazioni di carattere tecnico sono certo esatte, ed economicamente corretto pare anche il richiamo alla necessità che venisse fatta una distinzione tra i velluti piani e quelli operati (la cui produzione stava aumentando proprio in quegli anni), in quanto questi ultimi richiedevano tutta una serie di investimenti preliminari, da effettuarsi al momento in cui il tessuto veniva impostato190, ed un impegno variabile di lavoro e di tempo, secondo la qualità e il disegno 191. È però nel suo complesso che la presa di posizione dell’Arte della seta si presenta apparentemente come nuova e diversa rispetto alle precedenti. Era la prima volta che l’Arte accettava di fornire spiegazioni e K'9 « ... talvolta si è trovato un maestro tanto eccellente che ha meritato, per il suo valore, pagamento avantaggiato da gl’altri, la qual cosa non deve operare che si paghino tutti a un modo, ma conforme al valore et alla scienza si fa il pagamento... » (Cod. C, c. 88 v.). 190 « ... essendo... il fabricare tal sorte di panni molto differente dal fabricare alla piana, poiché la prima volta che si incomincia un’opera si fanno molte spese del dessignatore, di filo, di spago e dell’inventore, le quali spese non si fanno poi più negl’altri panni che si fabricano sopra l’istesso dessigno... » (Cod. C, c. 88 r.). 191 «... in quel tempo, oltre che non si fabricava la centesima parte di quello che si fa ora, non si usava all’hora tanta varietà di foggie che dai moderni sono state introdotte, più facili, di meno travaglio e di minor spesa... così è stata presa la dovuta provisione perchè avendo considerato che secondo la qualità delle foggie v’entra più o meno manifatura et il tessitore travaglia più e consuma più tempo in una che in un’altra, perciò si è deliberato che il seatero, il quale vuole fabricare veluto a foggia, resti prima d’accordo col tessitore di quanto li debba pagare per la manifatura... » (Cod. C, c. 88 r.). — 151 — rinunciava alla tradizione delle imposizioni. Fino a quel momento, essa aveva consentito che le tariffe venissero pubblicamente decretate, ed ora si faceva paladina del ricorso alla libera contrattazione, ma la sostanza non era cambiata. La disparità di condizione e la diversa capacità contrattuale delle due categorie erano ancora troppo grandi perchè si potesse seriamente pervenire a libere contrattazioni sulla base dell equità. Ed i tessitori non stettero al gioco, osservando che in quelle circostanze « il miserabile tnatiifaturero, da necessità astretto, succumbe alle voglie del seatero, non havendo altro modo di vivere »192. A distanza di venti anni dall’unico aumento delle retribuzioni ottenuto dopo un secolo e mezzo di immobilismo — si pervenne, così, nel 1596, ad un nuovo adeguamento dei compensi, nel quadro di una situazione divenuta pesante per l’aumento dei prezzi dei generi alimentari, degli affitti, e degli stessi attrezzi indispensabili ai tessitori193, e questi ultimi ottennero tre soldi in più per ogni braccio di velluto piano (nei vari tipi ad un pelo, ad un pelo e mezzo e a due e tre peli), mentre per altri tessuti gli aumenti furono minori e per taluni venne confermata a tariffa del 1575, fino ad allora non osservata e contestata dai seateri 192 Cod. C, c. 92 r. 193 Nel 1596 i tessitori lamentarono che dal 1575 (cioè in poco più di venti anni) «... le vettovaglie e le piggioni delle case sono multiplicate quasi al op pio... » (Cod. C, c. 84 r.), «... e che dal 1575 in qua che fu un poco cresciuta detta manifatura, le vettovaglie sono almeno tutte cresciute un terzo di pretio l’olio, del quale consumano assai li tessitori, è cresciuto la metta più di pretio, oltre che si fa manco lavoro di prima perchè le sete e trame che si usano sono più sottili di prima. Il vestito, le piggioni, li lidi, lo spago, lo filo, le cassie, ferri, spole, forbici, tagiole e tutti gli altri arnesi sono cresciuti di pretio il doppio a quando fu fatto tale augumento... » (Cod. C, c. 97 r.). 194 «... hanno in prima accresciuto a detti tessitori la mercede delle mani fature loro ». La nuova tariffa fu la seguente: velluti a un pelo soldi 26 al braccio velluti a un pelo e mezzo soldi 28 denari 6 al braccio velluti a due peli soldi 31 al braccio velluti a tre peli soldi 36 al braccio « per li rasi, damaschi, taffetali e canavazzi alla rata, giusto la forma e disposizione del decreto... fatto Fanno 1575 a 16 di marzo, et per li razi di portate 150 in più alla rata del crescimento delle portate ». Per gli altri velluti: - 152 - Ma, anche questa volta, l’aumento, considerato « troppo gagliardo », fu contestato dai setaioli, che rifiutarono di riconoscere la nuova tariffa, provocando un intervento del potere politico, che, nel 1599, portò ad un « mutuo accordo » delle due corporazioni in contrasto 195. L’accordo, stipulato per cinque anni, riduceva di un terzo le maggiorazioni stabilite nel 1596, ma, nel frattempo, erano passati tre anni, nel corso dei quali, di fronte all’irrigidimento dei setaioli, diversi tessitori, piuttosto che rimanere senza lavoro, si erano rassegnati a lavorare « pretio tantummodo... solito, non obstante augmento facto per Serenissima Collegia., cui decreto eiusque beneficio... renuntiavit eoque non uti nec se valere promisit et ita etiam iuravit... », sancendo addirittura questa palese violazione con la sti- soldi 34 soldi 40 in 105 soldi 45 soldi 45 in 210 soldi 50 soldi 50 soldi 50 soldi 70 i 105 soldi 32 i 210 soldi 35 i 420 soldi 48 soldi 25 soldi 12 soldi 14 velluti ricci a un pelo velluti ricci a due peli velluti prefilati con fondo ras< velluti sopraricci in 105 velluti prefilati con fondo raso velluti sopraricci in 210 velluti a liste i suddetti in 420 velluti ricci e taglio a opera i velluti ricci e taglio a opera i velluti ricci e taglio a opera i velluti a opera “a carcare” taffettà ritorti taffettà ad opera ritorti o no (Cod. C, cc. 101 v. - 102 r., Aumento delle mercedi de' tessitori, fatto l’anno 1596 a 24 di settembre). 195 « ... che l’augumento di tre soldi per braccio di veluto che si fece in virtù di decreto... l’anno del 1596 a dì 24 di settembre a favore de’ tessitori, si riduca a soldi doi per braccio, e così di tutte l’altre mercedi di razi, damaschi, taffetali e cana-vazi alla rata, sopra quali fu fatto l’augumento, fuori però di quelli a opere et altri lavori distinti in detto decreto del 1596... la quale riduzione debba comminciare al primo d’agosto prossimo e duri per cinque anni; ...che passati detti cinque anni sia lecito aili tessitori di poter domandare l’essecuzione del detto decreto del 1596 etiam per il compimento del terzo soldo, stando fermo in perpetuo come sopra l’augumento di due soldi e le raggioni per tal conto di detto terzo soldo, e così del resto alla rata restino nel stato, grado e conditione che sono hora ». E ancora « ... che li seateri siano obligati pagare al tessitore le dette mercedi non ostante qualsivoglia accordio, instrumento et conventione che facesse lo tessitore al seatero... » (Cod. C., c. 107 r. e v., decreto 12 luglio 1599). - 153 - pulazione di accordi davanti a notaio 19é. Secondo il compromesso del 1599, nel 1604, allo scadere dei cinque anni, si sarebbero dovute applicare le tariffe decretate nel 1596 con quel provvedimento che i setaioli continuavano a considerare « insolito e insu-fribile »197, ma la situazione, in quegli ultimi anni, si era ulteriormente deteriorata, ed all’insistenza dei tessitori19S, i seateri potevano replicare denunciando apertamente le serie difficoltà in cui si trovava 1 industria, e facendo presente come l’aumento di tre soldi al braccio che per i tessitori era poca cosa — rappresentasse invece per gli industriali circa sei lire per pezza, valore che aumentava più rapidamente se si pensava ad una 196 A.S.G., notaio Augustino Morinello, fl. n. 5. Negli atti di questo notaio (che fu scriba ufficiale della corporazione dal 1596 al 1602) è conservata una unga serie di accordi stipulati fra numerosi setaioli e tessitori, per il periodo compreso fra il novembre 1596 (il decreto di aumento delle tariffe è del settembre i que l’anno) e l’aprile 1597. Mentre l’atto notarile concernente la « traditio tele » era con servato « in actis Camere artis serici », l’accordo privato fra le parti rimaneva ra le carte del notaio. E’ da sottolineare, inoltre, la formula costante con la qua e ve niva sancita la deroga alle norme esistenti, dalla quale veniva fatto abilmente risu tare come il setaiolo si adattasse a questo compromesso esclusivamente a vantaggio del tessitore: « ... cum... (nome del setaiolo) ...non valeat perseverare in dandis teis sericis ad texendum, nisi cum notorio et notabili eius damno et interesse, ••• augu mento precii setarum et augumento precii manifature... fueritque requisitus a ... (fio me del tessitore) ... uno ex eius manifatureriis, et qui hucusque panna serica sibi a bricavit, ut vellet perseverare in dandis eidem texendis ad tellaria precio quo hucus que ipse fabricavit, ut possit providere sibi et sue familie... pietate et caritate motus, decreverit complacere, etiam quod id tendat ad eius damnum ex causis premissis... »• 197 « ... insolito e insufribile, insolito perchè veniva a stabilir mercede certa fra tessitori e seateri contra la volontà d’essi seateri, cosa che per avanti giamai era se guita... oltre che la mercede delli operarii, non solo nell’altre città straniere ma anco in questa, sono sempre state e sono libere e solite a dipendere dalla volontà d ambo le parti, come segue delle mercedi di tutti li altri operarii nell’arte della seta... e insufribile per due raggioni, l’una per la qualità del tempo in che fu fatto, perciò che all’hora li seateri nel loro essercitio facevano pochissimo guadagno e molti perdevano, e l’altra per esser troppo gagliardo, perciò ch’era di tre soldi per braccio di veluto e cossi delli altri lavori alla rata...» (Cod. C, cc. 110 v. - 111 r.). 198 « ... essendo hora detti cinque anni passati... e desiderando... che li sia osservato detto decreto del 1596 e pagato il terzo soldo per compimento di tre soldi sino all’hora accresciuti, ... e non facendo essi seateri, ancor che molte volte ne siano stati instati, non potendo più essi tessitori perderli tempo a dietro a tante dilationi c travagli, hanno avuto per ispediente di ricorrere da VV.SS. Serenissime... di ordinare che essi seateri paghino a essi tessitori...» (Cod. C, c. 109 v.). - 154 - produzione media di quattro pezze all’anno per circa quattromila telaiI99. In seguito alla maggiorazione dei compensi decretata nel 1596, alcuni fra i più importanti setaioli erano stati costretti a ridurre di molto la propria attività, ed i tessitori stessi si erano resi conto della situazione, accettando il compromesso del 1599 200. Malgrado queste precise argomentazioni, con un decreto del 24 novembre 1604, i setaioli furono obbligati a rispettare in pieno la tariffa del 1596, a meno di pagare una multa di trenta lire per pezza201, con un onere cinque volte superiore (cioè 15 soldi al braccio) a quello comportato dal rispetto della norma. La situazione di crisi dell’industria serica, per la quale il contenimento del costo della manodopera aveva sempre rappresentato un solido punto di appoggio, non poteva che risentire negativamente della nuova situazione. Le pretese dei tessitori continuarono del resto ad aumentare, e nel 1612 questi artigiani ottennero un nuovo aumento della loro retribuzione, anche se limitato ai tessuti operati 202. Per completare il quadro della manodopera collegata all’industria serica, con vincoli di dipendenza più o meno accentuati, oltre alle arti dei battiloro e dei filatori d’oro e d’argento, di cui ci occuperemo nel 199 « ... questi tre soldi importano lire sei per ogni pezza incirca, e per conseguenza con gravame di lire 96.000 l’anno, calculando che fussero in detta arte telari quattro milia e chi, uno per l’altro, facesse quattro pezze l’anno di lavoro... » (Cod. C, r. Ili r.)- Dal calcolo dell’Arte possiamo dedurre che la pezza media era considerata di 40 braccia. 200 « ... il quale gravame, sebene a tutti li seateri restava imposto, tuttavia, essendo non molto numero quelli che facevano fabricare la maggior parte di sudetti telari, in pregiuditio di questi principalmente ridondano, i quali per le sudette cause erano risoluti e precessitati ad abbandonare il loro essercitio, se non in tutto, almeno in qualche parte, e già havevano dato principio alcuni di essi a licentiare qualche tessitori et a sminuire il numero de’ telari ch’essi solevano far fabricare; il che vedendo li tessitori e conoscendo le sudette cose esser vere...», si erano adattati alla nuova convenzione (Cod. C, c. Ili r.). 201 Cod. C, cc. 109 r. -114 r., Decreto dell'augumento del terzo soldo, con pena imposta a’ seateri de Lire 30 per pezza. 202 Cod. C, cc. 114 v. -121 v., Decreto dell'augumento de' mercedi sopra li veluti soprarizzi in 140, veluti a corcare, rizzi e tagli in 250, detti in 140, veluti a frangie et altre cose spettanti al pagamento di dette mercedi, 3 febbraio 1612. - 155 - seguente capitolo 203, occorre ancora accennare a due arti minori: quella della « straccia di seta » e quella degli « stoperi » o « scarlasatori di co-coli ». Queste due arti minori erano spesso in contrasto, in quanto ognuna delle due cercava di invadere il campo dell’altra, peraltro non ben definito, anche se apposite norme stabilivano che all’arte della « straccia » di seta spettasse “maneggiare" seta, filo e “bambaggio” 204, mentre gli sto-peri” costituivano 1’« ars quedam dictorum cuculorum (o bozzoli) ex quibus non potest extrahi setta » 205. Delle due attività, quella degli “stoperi” era la più importante per il numero dei suoi componenti che, « non volendo ...più stare sotoposti alla giurisdizione delli capituli et consoli de’ mersari » 206, ottennero nel 1569 degli Statuti autonomi 207, nonostante l’opposizione non solo dell arte dei mereiai, ma anche di quelle della lana e della seta 208. 203 VecJi parte II, cap. II. Per i filatori d’oro e d’argento vedi anche parte I, cap II. 204 A.S.C.G., Atti dei Padri del Comune, cit., fi. n. 37, doc. n. 2, 29 maggio 1579. 205 A.S.C.G., Atti dei "Padri del Comune, cit., fi. n. 2, doc. 26 ottobre 1596. 206 Ibidem, doc. ult. cit. 207 Aggiunte successive agli Statuti del 1569 furono emanate nel 1572 e nel 1584. Questi ultimi capitoli, concessi solo per quattro anni, furono riconfermati nel 1588 (A.S.G., Artium, B. n. 178, fase. n. 20). 208 La prima richiesta di autonomia venne avanzata nel 1555 ai Padri del Comune, che solo nel 1596, in seguito ad una energica protesta da parte degli stoperi , espressero il loro parere concedendo agli artigiani venti capitoli. La nuova corporazione, posta sotto la protezione di San Leontino, era retta da due consoli e quattro consiglieri, eletti il giorno di San Luca da un gruppo di dodici elettori, a loro volta designati dall’assemblea dell’Arte. Per entrare nell’arte era necessario un apprendistato di cinque anni, più uno come lavorante: per essere “incartato” occorreva pagare una tassa di dieci soldi, al momento dell’ingresso ufficiale nella corporazione trenta soldi, e se si voleva “comprare” l’arte il prezzo era di venti lire per i genovesi e trenta per gli stranieri (queste somme vennero portate rispettivamente a settanta-cinque e cento lire nel 1596). Giudici di tutte le controversie « per cose solamente spettante e tocante a detta arte » erano i consoli; era possibile interporre appello ai Sindicatori ordinari solo se le questioni superavano le cinque lire. Altri capitoli riguardavano l’obbedienza ai consoli, alcune norme sugli apprendisti, le spese della corporazione, e la destinazione delle multe riscosse dai consoli (abbastanza singolare in quanto non prevedeva alcuna aliquota a favore dei Padri del Comune): « ...tutti — 156 — È appunto dai Capitoli della nuova corporazione che apprendiamo come la materia prima (cioè i bozzoli di scarto), utilizzata esclusivamente per « contexere cintas, cimosias et dimitos » venisse denominata « stopeta de cocolo » 209, mentre era tassativamente proibito « mescolare lana, fillo, bambaxo, seta e altre cose... » cioè la « strazza di seta che si compra da seatteri », di competenza appunto dell’altra arte 21°. La multa consisteva nel pagamento di venti lire, più la perdita della merce. Questi artigiani lavoravano anche la « fillosella », filato di scarto, il cui uso era vietato ai setaioli2U. La materia prima utilizzata non era fornita solo dall’industria serica genovese, ma veniva anche importata dalla Sicilia, da Napoli, dalla Calabria, dalla Spagna e, in misura minore, dalla Lombardia212. Fin dal 1523 gli "stoperi” avevano ottenuto dalle autorità cittadine il diritto di vendere i propri prodotti all’ingrosso in qualsiasi punto della città, mentre la vendita al minuto era limitata a « Ponticello, Fossatello e a tutti li ponti di mare fuora di sotto la riva, verso la marina », e fu pro- li danari qualli pervenirano alle mani di detti consoli, tanto per conto di condane quanto per ogni altra cosa, siano obbligati li detti consoli in fine del loro consolato comprarne tante paghe di S. Giorgio » e, una volta detratte le spese necessarie alla cappella etc., dette paghe « si debiano ... dispensare per maritare poere figliole di detta arte e stoperi egualmente » (A.S.C.G., Atti dei Padri del Comune, cit., fl. n. 2, doc. cit.; fl. n. 23, docc. n. 174 e 175 e fl. n. 54, doc. n. 186; A.S.G., Artium, B. n. 178, fase. n. 10). 209 In altra sede è definita « scalacias cum quibus préparant stracias sete prò ipsis postea filandis et vendendis » (A.S.C.G., Atti dei Padri del Comune, cit., fl. n. 31, doc. n. 3); altrove «spoglie di cocoli » (Ibidem, fl. n. 51, doc. n. 13 e A.S.G., Atti, fl. n. 1420). 210 Venne stabilita, tuttavia, una eccezione « dichiarando che della strazza di setta che si compra da seateri e da ogn’altro, possiane detti stoperi, non obstante quanto si è detto di sopra, fabricarne dette loro merce secundo che sino a qui hanno fatto, donde però sia scarlasata, prima che si habbia a dare principio a farla filare al modo della stopeta... ». 211 A.S.C.G., Atti dei Padri del Comune, cit., fl. n. 54, doc. n. 186 e Cod. A, c. 70 r. e v., Reformationes. 212 Nel 1594 (25 gennaio) venne emanato un proclama contenente l’obbligo di denunciare ai consoli dell’Arte la materia prima acquistata dagli “stoperi” e proveniente « dall’isola di Sicilia, Regno di Napoli e Calabria et di Spagna ». Lo stesso obbligo venne esteso alla « merce lombarda ... escluso sempre le merce che si fabri-cano nel dominio, corno sarebbe Sestri e tutta la Riviera di Ponente e quella di Levante e Corsica» (A.S.C.G., Atti dei Padri del Comune, cit., fl. n. 51, doc. n. 13). - 157 - prio vicino a Ponticello che PArte degli stoppieri ebbe una propria loggia nel 1589 213. Anche se la dimensione economica e sociale di quest’arte è difficilmente valutabile, poiché, alla stessa data (1596), i mereiai sostenevano che non più di trenta erano i maestri che si dedicavano ad essa, mentre gli artigiani denunciavano più di quattromila persone, rimane tuttavia confermata, una volta di più, l’importanza dell’industria serica, oltre che per se stessa anche come fautrice dello sviluppo per induzione di una serie più ampia di attività collegate2I4. 213 Una lite fra due membri dell’Arte si svolse in quell’anno « in logia stupe-riorum, in carrubeo novo supra platea Ponticelli » (Ibidem, doc. 9 giugno 1589). 214 II numero dei maestri denunciati dai mereiai doveva peraltro essere alquanto vicino alla realtà se nel 1593, a causa di una controversia sorta per l’elezione di uno dei consoli, furono citati 43 “stoperi” e nel 1594, ad una assemblea dell’Arte, convennero 38 artigiani « qui sunt ultra duas tercias partes hominum dicte artis » (A.S. C.G., Atti dei Padri del Comune, cit., fl. n. 50, doc. n. 193 e fl. n. 51, doc. n. 13). luttavia, già nel 1576, gli stoperi sostenevano di costituire una « arte in la quale si governa più di sei millia persone ». La diversa valutazione può anche dipendere dal fatto che in un caso si teneva conto esclusivamente del numero dei maestri e nell’altro anche dei lavoranti e degli addetti alle varie operazioni con le loro famiglie, il cui sostentamento dipendeva appunto dallo sviluppo di quell’attività. Collegati all’arte degli “ scarlasatori ” erano poi anche numerosi filatori che lavoravano a domicilio nelle campagne e specialmente nella Valle di Fontanabuona, nella Riviera di Levante (A.S.G., Senato, Atti, fl. n. 1420 e fl. n. 1447). — 158 — Capitolo II IL PROCESSO DI FABBRICAZIONE DEI TESSUTI: ASPETTI TECNICI E GIURIDICI Le restrizioni normative riguardanti la materia prima e la tecnica di fabbricazione dei tessuti come forma di protezione del prodotto. Le norme concernenti i principali tipi di stoffe: velluti, camocati e taffettà. Pene e multe contro i responsabili di frodi. Incapacità di rinnovarsi dell’industria serica genovese. - L’oro e l’argento filato. - I severi provvedimenti contro i furti. Il « Career mulierum ». Ladri e ricettatori accomunati nella responsabilità dei furti. Gli accordi con Lucca e Siena per l’estradizione dei colpevoli. I Genovesi, pur avendo intrapreso l’attività serica con un certo ritardo, acquistarono in breve una posizione di primo piano, fino a dominare praticamente il traffico di esportazione delle stoffe di seta, special-mente nelle fiere di Ginevra e di Lione. Era quindi logico che, soprattutto nel periodo della massima espansione dell’industria serica genovese, il XVI secolo, la corporazione si preoccupasse di salvaguardare la fama ed il credito di cui godeva la produzione locale, vigilando in ogni modo sulla bontà della materia prima e sulla estrema accuratezza del lavoro. Abbiamo già visto le numerose norme che regolavano la tintura, specialmente del rosso, e le severe pene stabilite per coloro che non osservassero tutte le prescrizioni analiticamente determinate dall’Arte. Altrettanto precisi erano i decreti che regolamentavano in modo tassativo l’altezza di ogni tipo di drappo, il numero dei denti dei pettini e il numero dei fili che dovevano costituire l’ordito di ogni tessuto. Quanto alla genesi di queste norme, va sottolineato come esse non promanassero da una autorità esterna, cioè da organi di governo della Repubblica, ma fossero il risultato di una operazione di autodisciplina, proiettata verso il futuro, che gli stessi setaioli si imponevano, talvolta anche con sacrificio dei loro interessi immediati. Gli imprenditori sapevano che fino a quando fosse stata conservata la bontà dei tessuti, e di - 159 - conseguenza la grande reputazione del lavoro genovese, avrebbero conservato posizioni di assoluto prestigio e di preminenza nei confronti dei prodotti confezionati in località concorrenti. La preoccupazione traspare pressocchè da tutti i decreti nei quali, « per chiarezza e riconoscimento di ciascheduno » furono stabiliti accorgimenti per impedire che i tessuti di qualità scadente venissero venduti abusivamente, senza le prescritte riduzioni di prezzo, o nei quali ci si preoccupava dei requisiti di queste stoffe che « escono di continuo da questo dominio serenissimo et sono portate insino all’estreme parti della terra »2. La produzione dell’industria genovese era caratterizzata da una marcata specializzazione in tessuti lussuosi e di alta qualità. Già gli Statuti dell’Arte del 1432 avevano posto una serie di principi di carattere generale rivolti a coordinare, a questo scopo, l’attività di tessitori e tintori, con chiare norme sia per le tinture, sia per la qualità degli orditi e delle trame3. Col passare del tempo vennero emanate disposizioni più specifiche e sempre più particolari, destinate soprattutto ad evitare la falsifi" cazione dei tessuti più importanti: velluti, camocati, damaschi e taffettà . Nel 1466, inoltre, una speciale commissione, composta da Benedetto di Negro, Battista Garrone, Giovanni Giustiniani e Marco D Oria, su richiesta dei consoli di setaioli e tessitori, procedette ad una revisione di alcuni capitoli delle due Arti. Le « Reformationes » che costituirono il 1 Cod. B, c. 8 r. 2 Cod. B, c. 25 r. 3 In un capitolo « De pannis siricis recte construendis » erano stati stabiliti al cuni principi relativi alla tintura col cremex, al numero dei denti dei pettini e all a ^ tezza degli “avelutati”, degli “zentonini", dei velluti piani e avellutati, dei camocati e dei broccati. Una multa da 25 a 100 ducati era prevista per ogni pezza falsificata. Un’apposita rubrica, « De cendadis terzanellis recte costruendis », dava norme più particolari per questi tessuti che dovevano essere prodotti esclusivamente con seta spagnola e di cui era tassativamente regolamentato anche il peso. Il “cendado fu del resto uno dei primi tessuti serici ad essere prodotto nel genovesato (se ne ha notizia fin dal XII secolo). Cfr. G. Morazzoni, Le antiche stoffe genovesi, cit., pp. 10-12. 4 “Camocato” (o “camocan, camocas"): ricco e prezioso tessuto di seta damascata e spesso broccata d’oro, usato per abiti da cerimonia, ornamenti sacerdotali, tappezzerie. Si fabbricava originariamente in Cina, dalla quale aveva derivato il nome (kincha o kimcha). “Damasco”: da Damasco, dove se ne produceva in gran quantità. Drappo pesante, a disegni tessuti nel corpo della stoffa, vellutati o broccati, con fondo a raso. Cfr. G. Heyd, op. cit., pp. 1148-49. - 160 — risultato dei lavori di questa commissione5, contengono norme, come abbiamo già detto, quasi esclusivamente di carattere tecnico6, riguardanti cioè le modalità di lavorazione. Si inizia dalla materia prima, la cui scelta e selezione deve essere compiuta con cura7: la “seta cruda”, più pesante, ma di minore durata, venne ammessa solo per “baldacchini"8, i quali dovevano essere inoltre registrati presso il notaio della corporazione9; l’uso di unire al filo più 5 Cod. A, cc. 69 r. -111. La citazione in nota dei provvedimenti presi dalla commissione è limitata ad alcuni passi più importanti, tratti dalla più sintetica stesura del «Proclama» (Cod. A, cc. 85 r. -86v.) che segue il decreto, mentre il testo completo delle «Reformationes» è riportato in Appendice, VI, insieme con alcune modifiche successivamente introdotte a seguito di vivaci proteste da parte degli artigiani. 6 Altre importanti norme di carattere tecnico, riguardanti però quasi esclusiva-mente i camocati, furono approntate l’anno dopo, 1467, da Nicolò Cebà, Andronico De Franchis, Brancaleone D’Oria e Pietro di Murchio, « spectabiles Domini Quattuor electi ac constituti ad revidenda corrigendaque capitula artificum civitatis Ianue » (Cod. A, cc. 77 r. - 78 r.). 7 La corporazione, se da una parte si preoccupava della bontà della materia prima, contemporaneamente svolgeva una notevole attività rivolta a salvaguardare gli interessi dei propri componenti, vigilando sul prezzo stesso della seta greggia. Nel 1529, ad esempio, « considerando che le compre di sete da tempo in quà si son fatte a prezi disordinati ed eccessivi », fu consigliato ai setaioli di non fare acquisti massicci « per non causar disordine in li pretii di esse », poiché un aumento del prezzo della materia prima nella citta avrebbe provocato aumenti nelle sete importate, a tutto vantaggio dei « forastieri » (A.S.C.G., Arte della Seta, cit., fl. n. 604, doc. n. 33). Ancora nella seconda metà del Cinquecento quasi annualmente veniva emanato un proclama contro « gli apaltatori » che con le loro incette causavano aumenti di prezzo anche di quindici soldi alla libbra, in un mercato molto sensibile, in quanto in attesa della « nova compra di seta » (A.S.C.G., Arte della Seta, cit., fl. n. 602). 8 Baldacchino : stoffa di seta ricca e costosa, generalmente ornata di figure, e il cui tessuto era sovente broccato d’oro. Verso la fine del Medioevo, alla seta con la quale essa era fabbricata, si mescolavano altre materie di minor valore, come il cotone e il filo, ma in origine non era ammessa che la seta. Il nome deriva da Bagdad, dove ebbe principio la fabbricazione di questa stoffa. Cfr. G. Heyd, op, cit.. p. 1248. ^ « ... quod in pannis texendis et fabricandis non ponatur sericum crudum, etiam si fuerit quandocunque tinctum, nec aliquis tinctor possit illud tingere, excepto pro pannis baldachinis, notificando consulibus de dicta arte tinctorum antequam tingatur» (Cod. A, c. 85 v.). La notifica doveva essere fatta anche all’Arte della seta, e a quella dei tessitori se ad un artigiano veniva commissionato un tessuto di questo tipo. - 161 - li pregiato “costa” e “firoxella", fili di seta gommati e particolarmente grossi, ottenuti spesso con bozzoli di scarto, fu severamente vietato, o tre a una multa, venne prevista anche l’espulsione dall Arte . or e u revocato solo in un secondo tempo, in seguito alla protesta 13 cuni ioh, e in particolare al ricorso di Francesco di Nazario, che imostro come l’attività di tutti coloro che commerciavano questo tipo di panni non po tesse sopravvivere con simili limitazioni. Venne così concesso delle stoffe di seta in cui vi fosse “costa fina” al massimo « prò tema parte telle et seu orditure » e di usare “firoxella” nelle cinture . egi-slatore, che si trovava davanti al difficile compito di non contri g interessi di tutti gli imprenditori, stabilì che una particolare cimo colore verde, molto sottile e tessuta accanto a quella solita, ser\ segno distintivo per le stoffe « in quibus nihil sit ex ea costa » Multe e gravi sanzioni furono poi decise contro coloro ^che essero gomma alla seta o bagnassero i tessuti per aumentarne il poso . i ta ed il raso venivano infatti venduti a prezzi diversi secondo il peso.^ questo tipo di frode gli Statuti del 1432 avevano stabilito che ogni taiolo colpevole fosse espulso dall’Arte per due anni e che i tessuti proprietà venissero bruciati14. L’espulsione venne confermata ne e formationes », ma in modo definitivo, non prevedendo i capito i a cu possibilità di riammissione; fu concesso tuttavia agli imprenditori c e p tessero dimostrare la propria innocenza e la colpa del tessitore, la ac di vendere i tessuti, solo dopo che i consoli avessero asportato dalle sto la cimosa, affinchè « conditio eorum, a nemine possit ignorari » (la Per per il setaiolo che « neque animo, neque effectu peccasset » veniva co ad essere diminuita. Per il tessitore colpevole fu prevista una multa da 10 Venne concesso però di tessere esclusivamente con “costa delle sto e minor valore: « Item quod non possit fabricari vel texi aliquis pannus in Q^o mixta costa, nisi pannus in totum sit ex costa, sub penis contentis in capitu (Cod. A, c. 85 v.). n Cod. A, c. 87 r. 12 Cod. A, c. 87 v. 13 Cod. A, c. 86 r. 14 Nel capitolo « De fraudibus inquirendis et puniendis » era inoltre prevista una serie di ammende e la ripartizione delle stesse, riservandone sempre una parte all’accusatore. — 162 — pagarsi entro quindici giorni dalla condanna; in caso di mancato pagamento venne stabilito che gli fosse amputata una mano15. Le « Reformationes » non costituiscono l’unico esempio di provvedimenti contro le falsificazioni compiute durante il processo produttivo dei tessuti: nel 1533, a causa delle numerose frodi commesse dai fabbricanti di pettini da tessitore, che non rispettavano la misura stabilita, si decretò che la « mensura pectenum » (di due palmi e un terzo, cioè l’altezza dei tessuti), fosse depositata nella Sacrestia di San Lorenzo, « in loco in quo cetere mensure et pondera civitatis collocantur, ut procedente tempore, mensura ipsa adulterari nequaquam possit »16. Si obbligò inoltre ogni fab-biicante di pettini 17 a contrassegnare i prodotti confezionati, al fine di 15 Questo fu il più importante provvedimento preso dai « quatuor Correctores capitulorum Artium » del 1467 (decreto 18 marzo). Sebbene il decreto riguardasse in particolare i camocati, le norme in esso contenute vennero estese a tutti i tessuti serici: « ... quandocumque contingat repperiri aliquos pannos sete habentes aquam vulgariter celandriam ut supra, contra formam capitulorum dicte artis, si cognitum fuerit huiusmodi delictum a culpa mercatoris et seu seaterii vel una cum textore procedere, servetur omnino forma et pena de qua in capitulis fit mentio, tam pecuniaria quam combustionis; si vero cognitum fuerit non culpa mercatoris, sed culpa solum textoris id actum fuisse, in quo consules advertant sub magno onere veritatem cognoscere, tunc tales panni a pena incendii exempti sint atque liberi, sed textor penam pecuniariam in capitulis contentam incidisse intelligatui, a qua nullo modo absolvi possit, ymo quod primum ad id talis textor condennatus extiterit, teneatur talem penam solvere infra dies quindecim a die condennationis, immediate et continue se-quuturos, deque solutione eius, statim condennatione facta, fideiussorem ydoneum apud dominos Patres Communis, ad quos ea pena devoluta est, prebere vel in carcerem usque ad tempus solutionis fiende recludi. Quam penam si tempore solutionis non solvisse videbitur, loco eius pene pecuniarie, manus sibi ferro postremum amputetur ». L’esecuzione della pena venne affidata ai Padri del Comune (Cod. A, c. 77 r. e v., Aqua celandria). Cod. A, c. 242 r., Pectenum. Nel 1542 (29 luglio) la misura dei pettini venne ristretta « di un mediocre cordone » rispetto a quella del 1533, allo scopo di render? l’altezza delle stoffe, e dei velluti in particolare, simile a quella di Firenze e Lucca Contemporaneamente fu stabilito che « mensure » uguali a quella depositata in S. Lorenzo venissero tenute presso le Arti della seta, dei tessitori, dei fabbri e dei maestri che fabbricavano pettini, allo scopo di poter meglio vigilare sulle frodi (Cod. C cc. 346 v. - 347 r., Mensura pectenum). 17 II cancelliere Ambrogio di Senarega dichiarò di aver notificato il provvedimento a « omnes magistri ad presens fabricantes pectynos de quibus supra ». Apprendiamo dai nomi riportati che nella città in quel momento i maestri che fabbricavano pettini da tessitori erano undici (Cod. A, c. 242 v.). — 163 — permettere di individuarlo, in caso di illecito18. Nel 1560 i conso e-PArte si preoccuparono di proibire il ricorso a « certa foggia i ferii piatti », da poco introdotti nella città, ed ottennero il consenso el e autorità cittadine 19, in quanto, con tali strumenti, si otteneva un velluto « raro, molle, e senza bellezza alcuna »20. È vero che 1 uso ’ questi erri avrebbe permesso il risparmio di circa un terzo della materia prima normalmente impiegata 21, ma la difesa di una linea di alto livel o qua itativo rappresentava per i setaioli genovesi la più importante esigenza e rte. La fama dell’Arte genovese della seta era legata soprattutto ai velluti 22, rinomati sia per i disegni, sia per la qualità delle materie ìmpie- 18 « Item quod omnis fabricator pectynum suprascriptorum teneatur et obligatus sit marchare seu marcari facere omnes pectynos, quos fabricaverit, priusquam i os vendat, cum signo et impressione nominis dicti talis fabricatoris ad hoc ut om tempore apareat quisnam fuerit eorundem pectynum fabricator, et hoc su pena torum duorum pro qualibet vice... » (Cod. A, c. 242 r.). 19 Cod. A, c. 259 r., Prohibitione di ferri quadri. 20 Ibidem. 21 « .. in la forma di tutti i ferri nuovi ponesi manco il terzo di seta i que o si pone nelli altri con li ferri antiqui, e per coprire questa magagna e diftetto che si causa in detti velluti hanno ritrovato forma di acqua e goma et altre mesture c falsificano detti velluti, facendo parere quel che non sono, e detti.ferri nuovamen ritrovati sono dell’istessa sorte che si fanno le trippe in ponente... » Cod. A, c. r.;. Di questo tipo di ferri venne proibito non solo l’uso ma persino il possesso, pena perdita dei ferri stessi, dei velluti eventualmente fabbricati ed il pagamento di u ammenda. , • . Verso la fine del XVI secolo la normativa divenne ancora più tecnica, stendo la struttura vera e propria dei telai: nel 1578 venne emanato un decreto che regolamentava la quantità e la misura delle "tirelle" (Cod. B, cc. 2 r. - r. e forma di tirelle); nel 1582, d’accordo con i consoli dei tessitori, lArte de a stabilì l’espulsione dalla rispettiva corporazione — oltre ad una ammenda^ aumen -bile per i recidivi — per chi non rispettasse nell’ordito il numero dei lizzi o . , cc. 24 v. - 30 r., Le telle di veluto si umettino in sei tizi. Prohibitione de quatto lai). Era infatti invalsa l’abitudine, contro la norma che sanciva « la tella in sei lia e 1 pello in quatro », di fare « la tella solamente in quatro, il che fa il veluto stoposo, mal conditionato, di bruta mostra e di poca durata, e solamente porta un poco di comodo al tessitore chè la tela si comporta meglio... ». 2 Nel 1555 si contavano a Genova 145 telai da velluto, e molti battevano nelle due riviere: ne sono ricordati 250 a Levanto, 80 a S. Lorenzo della Costa (L Brenni, I velluti.., cit., p. 44). I velluti da soli rappresentavano più della metà delle esportazioni dei tessuti genovesi nelle fiere. Secondo un registro doganale del 1510, si può considerare un’esportazione di circa 360 casse annuali, 90 casse per fiera, per un va- - 164 - gate, sia per 1 impegno dell’esecuzione tecnica. Quest’ultima era particolarmente ^complessa: oltre all’ordito vero e proprio, veniva tessuto il cosiddetto ordito di pelo”, su dei sottili bastoncini di ottone23. Terminato il lavoro, gli anelli potevano essere tagliati, dando origine al velluto “rasato o plano , o lasciati inalterati: il velluto era allora “riccio o soprariccio . Si potevano in questo modo produrre tessuti operati a due o più colori e con complicati disegni in rilievo, in cui i Genovesi erano maestri , spesso con fili d’oro e d’argento che facevano risaltare i motivi ornamentali. Due decreti, del 1530 e del 1560, non solo fissarono minuziosamente lore di 130.000 lire, verso la sola Francia; essa è seguita dalla « Alamania » (252 casse) e da Inghilterra e Spagna, in misura molto minore (10 e 8 casse). Ogni cassa conteneva circa 91 Kg. di tessuto (cfr. D. Gioffré, Gênes et les foires..., cit., pp. 63-4). I tessitori di velluto furono del resto per lungo tempo il gruppo più importante all’interno della corporazione dei tessitori di seta e nel 1546 ben 146 tessitori di velluto chiesero al Senato la concessione di capitoli autonomi (A.S.G., Senato, Atti, fl. n. 1278). I « Capitoli dell Arte dei tessitori di veludo» che ci sono pervenuti (ms. B.C.B., segn. m.r. I, 2, 47) sono però del XVIII secolo, anche se, nella loro introduzione, viene spiegato come si tratti di una ricompilazione, poiché i precedenti « a caggione delle bombe seguite nell’anno 1684 si sono abbruciati e spersi ». 23 Cfr. L. Brenni, I velluti..., cit., pp. 13 ss. 24 Non è forse superfluo ricordare come le quattro città italiane in cui l’arte deila seta fu più fiorente abbiano prodotto velluti con caratteri ornamentali diversi. Lucca si specializzo, infatti, nelle stoffe a soggetto religioso, con scene prese soprattutto dal Nuovo Testamento, e fondi stellati. Costante un particolare preso dall’O-riente: un nastro ondulato che i Cinesi usavano per raffigurare il cielo. Siena fu rinomata per i velluti con figure umane, spesso inquadrate in motivi architettonici; la loro destinazione era quasi sempre per paramenti sacri. Nelle stoffe più antiche il disegno ha toni chiari su fondo generalmente rosso; più tardi predominano i disegni a toni scuri su fondo chiaro. Venezia dette il suo nome al cosiddetto « velour coupé », con un gusto che rifletteva completamente quello orientale. (L’Asia Minore, con cui aveva frequenti contatti, l’influenzò anche nel gusto). Numerosi i fiori (tulipani, garofani, giacinti), con dettagli orientali, come astri o piccole palme. Genova ebbe invece la specialità dei velluti « cesellati », che proprio da essa presero il nome: « velours à la façon de Gênes », con i disegni sempre in rilievo, e con tinte scure su fondo satinato, spesso con animali e alberi. La composizione non è mai simmetrica, e il tessuto è sovente in parte rasato e in parte riccio, in modo che lo stesso colore assuma sfumature diverse. Cfr. R. Cox, Le musée historique des tissus de Lyon. Lyon, 1902, pp. 70-87. — 165 — il numero delle portate per il velluto ad un pelo, ad un pelo e mezzo s, e per il « terciopelo », il più famoso velluto genovese, ma stabilirono norme precise anche per la trama, che doveva essere uniforme, omogenea e « bone qualitatis », poiché da essa dipendeva la solidità del tessuto . Non meno ferrea era la normativa nei confronti dei taffetà e dei ca-mocati. Il camocato veniva fabbricato nella città secondo due procedimenti, « more ianuensi » e « more veneto »: il primo era il sistema tradizionale, il secondo — tale peraltro da rendere i tessuti « illustriora, solidiora et magis venalia, quam illa que more ianuensi fiunt » 27 fu introdotto in Genova nella seconda metà del XV secolo. Poiché alla base degli Statuti genovesi era il principio che un procedimento di fabbricazione non potesse essere ufficialmente ammesso senza essere regolamentato fin nei minimi particolari, nel 1488 i consoli delPArte ottennero che venissero raggruppate e stabilite in un apposito capitolo le norme per la larghezza di questi camocati, il tipo di seta che doveva essere usato, il numero delle portate e dei denti dei pettini, per poter, in forza di esso2S, punire le frodi di coloro che tentassero di sfuggire alla vigilanza della corporazione sfruttando l’introduzione del nuovo sistema di produzione29. Una multa di 25 Poiché era stato trovato di recente un nuovo sistema per falsificare i velluti a “pelino", « i quali per aver un poco di pelo più lungo cuoprono i fatti che sono di mettervi manco fitte e farli parere quel che non sono, et in quelli si pongono manco il terzo di seta di quello che il dover vuole », fu decretato « che non si possi fabricare veluti a pelino che non sii di portate quattordici, che si chiama quando è fabbricato in sette file, o vero a portate ventiotto quando il veluto fabricato si chiama a un pelo, o vero a portate quarantadue al manco, quando il veluto fabricato si chiama a un pelo e mezzo sino in doi, e che di manco numero si possi fabricare, sotto la istessa pena di perdere i veluti... » (Cod. A, cc. 259 v. - 260 r., Portate di veluti a pelino). 26 Cod. A, cc. 227 r. - 229 v., Modus fabricandi veluta. Il testo del decreto, caratteristico per la precisione delle sue norme, è riportato da R. Di Tucci, Lineamenti..., cit., pp. 40-42. 27 Cod. A, c. 113 r. 28 II capitolo, contenuto in un decreto dell’aprile 1488 (Cod. A, cc. 113 r. - 115 r., Camocata), è riportato per esteso in Appendice, XI. 29 Nel 1484 una analoga richiesta era stata avanzata dai consoli a proposito dei panni di seta cosiddetti “doppi”, che «antiquissimis temporibus non conficiebantur». Anche in questo caso la mancanza di regole avallate dalle autorità faceva sì che « si aliquis in ipsis fraudem aliquam comitteret, non posset fraudibus provideri ». Venne pertanto emanato un capitolo che riunì tutte le norme più importanti relative a que- — 166 — venticinque ducati per pezza di tessuto fu stabilita in particolare contro coloro che non avessero tessuto i camocati « cum drictu semper versus partem inferiorem » 30; non conformandosi cioè ad un accorgimento lavorativo, certo gravoso, ma più utile per la produzione di tessuti di migliore qualità. Nel XVI secolo raggiunse una certa importanza anche la fabbricazione del taffettà, tessuto leggero, non operato e usato specialmente per fodere. Gli stessi consoli dell’Arte della seta affermarono nel 1513 che -« ab aliquo tempore citra » esso veniva prodotto in maggiore quantità, con notevoli guadagni per gli imprenditori. Pertanto, per impedire che anche questo tipo di tessuto, a causa delle falsificazioni « in quacumque mondi parte repudietur » 31, e per permettere che la sua esportazione e il suo commercio continuassero ad essere fonte di ricchezza per la corporazione e per lo Stato, si rese necessaria, una volta di più, l’emanazione di due decreti32 contenenti disposizioni precise per la fabbricazione del sto tipo di tessuto: « ... videlicet quod veluti dupli de filis octo habeant et habere debeant, et sint, de filis sex de tela prò dente et duobus de pillo torto prò dente, et pectines habeant et sint de ligaturis ad minus vigintiuna, cura dentibus quadraginta pro singula ligatura. Item quod veluti duplices de filis septem, habere debeant et sint de filis sex de tela pro dente, et uno de pillo torto pro dente, et pectines habeant et sint de ligaturis ad minus vigintiuna, cum dentibus quadraginta pro singula ligatura; sintque illius latitudinis cuius sunt simplices panni serici, de qua fit mentio in capitulis artium predictarum, aliter autem falso fabricati esse intelligantur, et de dictis pannis sic repertis disponatur secundum formam capitulorum facientium mentionem de pannis falsis » (Cod. A, cc. 112 v.-113 r., Quod panna serica duplicia possint laborari de filis octo et septem). 30 Cod. A, c. 78, Camocata non possunt fabricari nisi cum drictu semper verso inferius. Questa regola di tessitura è sopravvissuta a lungo nel tempo. Cfr. P. Pin-CHETTI, Il compositore di tessuti, Como, 1888, p. 4: « Quasi tutte le stoffe che hanno un ritto e un rovescio si tessono col rovescio rivolto verso l’operaio, quindi col ritto all’ingiù. Per siffatta disposizione, oltre al mantenere meglio la freschezza del colore e la bellezza della stoffa, preservando il dritto di essa dall’immediato contatto dell’operaio, si ottiene anche un lavoro più accurato, e per la minore quantità di fili alzantisi ad ogni inserzione, in confronto al numero di quelli che rimangono abbassati, e per la conseguente più facile separazione di essi durante la tessitura ». 31 Cod. A, c. 196 v. 32 I provvedimenti più importanti del decreto del 1513 (Cod. A, cc. 196 v.- 197 v.) sono riassunti nel titolo stesso: « Taffetalia strida sint de portatis 48, taffe-lalia vero larga 44; et sint latitudinis, videlicet strida, velutorum, larga vero sint palmorum trium cum dimidio de nitido. Nel 1520, invece, vennero stabilite alcune nor- - 167 - taffettà. Il tutto, sempre al fine di offrire agli acquirenti il massimo di garanzie e, in ultima analisi, stabilità ed incremento al mercato. A questo scopo, come già abbiamo visto a proposito dei coloranti, vigeva a Genova anche una precisa regolamentazione delle cimose dei tessuti. Ogni varietà di stoffa serica veniva quindi ad avere quasi come un contrassegno, reso di pubblico dominio. Le ispezioni dei consoli nelle botteghe dei tessitori accertavano la rispondenza della cimosa al prodotto in corso di lavorazione33, rendendo più difficili le frodi ai danni dei compratori. Le norme per la identificazione dei vari tipi di tessuto vennero aggiornate in un decreto del 13 maggio 1572 ^ che prese in considerazione una maggiore varietà di drappi, e col quale fu introdotta 1 innovazione di tessere nelle cimose dei fili d’oro in numero variabile, secondo precise disposizioni: TIPO DI TESSUTO velluti a 1 pelo, rinforzati velluti a 1 pelo e mezzo velluti a 2 peli velluti a 2 peli e mezzo velluti a 3 peli rasi e zentonini (fino a portate 124) rasi e zentonini (da portate 125 a 136) CONTRASSEGNO 1 filo d’oro per cimosa 2 fili d’oro (separati) in una cimosa e 1 filo nell’altra 2 fili d’oro (separati) per ciascuna cimosa 3 fili d’oro (separati) in una cimosa e-1 filo nell’altra 3 fili d’oro (separati) per cimosa 1 filo d’oro per cimosa 2 fili d’oro (separati) in una cimosa e 1 nell’altra me rivolte a garantire la buona esecuzione dei taffettà di colore leonato , molto esportati (Cod. A, cc. 204 v.-205 v., Taffetalia leonata cum tramis nigris non fabricanda). Il colore “leonato” (o “pili leonis” o tanè) era la tinta ocra. Cfr. L Arte della seta..., cit., p. 54 e pp. 161-62. 33 Per questa ragione le « Reformationes » del 1466 avevano stabilito « ... quod possint consules textorum interdicere pannos penes textorem et condemnare delinquentes, sub condictionibus et penis contentis in capitulis » (Cod. A, c. 86 r.). 34 Cod. B, cc. 8 r. -12 r., Fila d’oro che si devono metere nelle cimoze di panni di seta. Il contrassegno speciale dei fili d’oro era stato in verità istituito per la prima volta nel 1542 e ribadito nel 1549. In quella circostanza non era stato reso obbligatorio come invece fu fatto nel 1572, ma ci si era limitati a dire « e quando alchuno non potesse o non si elegesse farla detta spesa de l’oro, in tal caso siano i detti cordoni senza segno alchuno e sia il veluto di qual si voglia bontà e finezza... » (A.S.G., Senato, Atti, fl. n. 1261, doc. n. 274). — 168 — rasi e zentonini (da port. 137 e Vè in su) 2 fili d’oro (separati) per cimosa damaschi (fino a portate 98) 1 filo d’oro per cimosa damaschi (da portate 99 in su) 2 fili d’oro (separati) per cimosa taffettà fine (largo 3 palmi) 1 filo d’oro per cimosa taffettà fine (largo 3 palmi e Vè) 2 fili d’oro in una cimosa e 1 nell’altra taffettà fine (più largo ancora) 2 fili d’oro (separati) per cimosa Qualche anno dopo però (29 gennaio 1578), i consoli, « come che, fatta la legge, si vada escogitando l’inganno », si resero conto che i tessitori (e i setaioli più ancora) avevano trovato il modo di aggiungere dei fili d’oro nella cimosa una volta passato il controllo, « e con detta fila far che un velluto di un pelo e mezzo paia di due peli »35. Per questa ragione venne stabilito che al posto dei fili d’oro venissero tessuti dei « corsi di pello gialdo »36, più difficili da aggiungere a tessuto terminato, pur lasciando in vigore, per tutto il resto, la dettagliata normativa del precedente decreto. I due provvedimenti del 1572 e del 1578 rappresentarono una vittoria della corporazione dei setaioli su quella dei tessitori, anche se, in assoluto, le pene più dure (perdita dei tessuti, espulsione dall’Arte ed ammende di ammontare variabile) sembravano riservate agli imprenditori, mentre sui tessitori incombeva soltanto il rischio di una multa (ma di ben dieci scudi d’oro! ) per ogni pezza falsificata. Si trattava di una somma enorme e questo spiega l’energica opposizione dei tessitori, che, giudicando già eccessiva ed esageratamente gravosa la normativa precedente, specie quando non concorressero dolo o colpa, ma semplicemente eventuali errori o circostanze casuali, non si sentivano di sopportare aggravamenti ulteriori. Non è del resto impossibile rendersi conto delle difficoltà che dovevano incontrare i setaioli per ottenere da parte dei tessitori l’osservanza di tutte le innumerevoli disposizioni cui abbiamo solamente accen- 35 Cod. B, c. 16 r.. I setaioli non si peritavano, nello stesso tempo, di denunciare immediatamente qualsiasi tessitore che non osservasse detto decreto nella fabbricazione dei tessuti che produceva in proprio (A.S.G., Senato, Alti, fl. n. 1420, doc. 11 novembre 1576). 36 Cod. B, cc. 16 r. - 24 r., In le cimoze di panni di seta si metano corsi di pello gialdo in luogho di fila d’oro. Già nel 1576, del resto, il decreto sui fili d’oro era stato ribadito con l’aggiunta: «... casu quo aurum non reperirete » i consoli avessero la facoltà di trovare un sostitutivo, a condizione che « respectu vero filli sete apponendi loco auri deficientis quod sit in forma cattenete et ad dictam formam fieri debeat » (A.S.G., Senato, Atti, fl. n. 1421, doc. n. 219). - 169 - nato: numerosi operai, per insufficiente esperienza, finivano per causare inevitabilmente la produzione di tessuti in qualche parte difettosi; altri, coscientemente, per aumentare i loro guadagni, alteravano la qualità delle stoffe e sottraevano una parte della materia prima loro affidata. I consoli dell’Arte compivano frequenti ispezioni nelle botteghe dei tessitori, e — come abbiamo visto — tutte le norme concernenti i tessuti prevedevano ammende37 e pene severe per i contravventori, tuttavia non sempre questo fu sufficiente. Non era raro il caso della produzione di tessuti (avellutati, zentonini, camocati, rasi e velluti) di altezza inferiore a quella prevista dalle tassative disposizioni statutarie, a causa sostenevano 1 tessitori — della insufficiente quantità di ordito ("tella ) o di seta per la trama effettivamente fornite dagli imprenditori. Questo fece sì che, a partire dal 1459, al momento della consegna, la materia prima dovesse essere controllata dai consoli dei tessitori, onde evitare il ribaltamento della 37 Le multe stabilite nei decreti non rimanevano lettera morta. Ci è pervenuta, infatti, anche se solo per alcuni anni, la quota delle ammende versate dall Arte de a seta ai Padri del Comune, cui spettava, secondo i casi, un terzo o un quarto delle somme. Il loro ammontare è notevole: Lire 1.779 soldi 6 denari 1 nel 1573; Lire 1.734 soldi 14 denari 10 nel 1579: questa volta è specificato che si tratta di un terzo di tutte le multe riscosse dai consoli durante l’anno, il cui totale era quindi stato di ben Lire 5.204 soldi 4 denari 6 (A.S.C.G., Atti dei Padri del Comune, cit., fl. n. 34, doc. n. 215; fl. n. 40, doc. n. 194). Nel 1591-92 (da dicembre a maggio) i Padri del Comune riscossero, «per il loro terzo», Lire 1.673 soldi 4 denari 8, con un residuo credito di Lire 301 soldi 19 denari 4 per condanne inflitte ma non ancora riscosse, nel 1593 la somma loro spettante fu di Lire 1.496 soldi 16 denari 8, sempre per il loro terzo (Ibidem, fl. n. 49, doc. n. 56; fl. n. 50, doc. n. 210). Altri dati riguardano degli anticipi versati dall’Arte ai Padri del Comune: Lire 973 soldi 1 denari 1 nel 1583; Lire 1.463 soldi 6 denari 8 nel 1585; Lire 1.000 in San Giorgio nel 1586 (Ibidem, fl. n. 43, doc. n. 161). Da alcuni elenchi contenenti le somme imputate ai singoli setaioli, tessitori o tintori, risulta inoltre che le ammende raggiungevano spesso somme elevate: da mille a cinquecento lire; più sovente intorno a qualche centinaio di lire; nei casi più comuni, dalle cinquanta alle cento lire (Ibidem, fl. n. 1, doc. n. 155; fl. n. 27, doc. n. 230). Poiché però nei documenti non è mai specificata dettagliatamente la causa delle condanne, non è possibile un confronto con le norme statutarie. Un interessante esempio di verbale di condanne comminate congiuntamente dai consoli dell’Arte dei setaioli e dei tessitori di seta (A.S.C.G., Atti dei Padri del Comune, cit., fl. n. 1, doc. n. 157 del 4 settembre 1465, Condanne inflitte a diversi individui per falsificazioni di panni di seta) è riportato per esteso in Appendice, V. — 170 — responsabilità 38. Questo rigoroso apparato normativo ed organizzativo, che si manifestava esteriormente soprattutto attraverso misure di rigida sorveglianza e di immediata sanzione, certamente produsse degli utili effetti, attraverso la tutela della qualità e del nome d’origine. Tuttavia esso soffocò inevita-bilmetne ogni iniziativa individuale, cioè lo spirito di inventiva e la ricerca della novità o del miglioramento tecnico da parte dei singoli artigiani. Un simile sistema di regolamentazione riusciva difficilmente a tenere il passo con metodi sempre nuovi e ad adottare provvedimenti soprattutto tempestivi, richiesti da una industria che doveva far fronte alle mu-tevoli esigenze di un sempre più ampio mercato. Ogni attività industriale ha bisogno ad un certo punto di rinnovarsi, sia nei sistemi di lavorazione che, antiquati, diventano anche più costosi, sia nel tipo di produzione che deve essere sensibile al mutamento del gusto, delle esigenze e del ceto dei consumatori. L’arte genovese della seta, retta da imprenditori restii ad uscire dal solco della tradizione, non riuscì a farlo. Ad un certo punto, e precisamente nel secolo XVII, mentre quasi contemporaneamente le continue frodi compiute nei tessuti minavano la fama dei prodotti genovesi39, venne a mancare a questa industria la va- 38 Cod. A, cc. 34 r. - 36 r., Protestatio facta per consules seateriorum contra consules textorum, quod denuntient tellas quas recipiunt contra formam ordinamen-torum. 39 II 3 maggio 1656 il nobile Lazzaro D'Oria scrisse da Roma al Senato della Repubblica in merito alle difficoltà che incontrava la vendita delle seterie genovesi in quella città, non tanto per la concorrenza di prodotti di altra provenienza, quanto per « la malitia di proprii negotianti » di Genova: « In Roma sentii l’anno passato concetto simile de’ panni di seta fabricati costì che ne stupii, ma in progresso di tempo ho havuto occasione di rendermene sicuro in modo che non ponno credere, il malconcetto che cotesta fabrica ha acquistato, a segno tale che solo di Napoli si provede questa piazza di panni leggieri ma di veluti anche cremisili. tutto che il prezzo sia più alto e svantagioso, et havendo fatto qualche perquisitione con li stessi mercadanti, ritrovo che tutti concordano che la fabrica di Genova sii tanto falsificata che non torna il conto provedersene, e che la qualità delle sete è diversa, cioè quella delle tramme e quella del coperto, il che cagiona pochissima durata et in consequenza il rifiuto, e non solo concorrono i forastieri in questi sentimenti, ma i stessi nostri naturali si riducono a confessare il disordine... » (A.S.C.G., Arte della seta, cit., fl. n. 604, doc. 3 maggio 1656, Lettera da Roma de n. Lazaro D’Oria al Serenissimo circa la mala qualità di panni. Trasmessa dal Ser.mo Senato allo Ecc.mo e Supremo Magistrato della seta). — 171 - rietà di produzione necessaria per adeguarsi ai gusti ed alle possibilità economiche di nuovi acquirenti. Se, infatti, in precedenza, i principali compratori delle seterie erano stati ecclesiastici o nobili, con l’estendersi sempre maggiore dell’uso della seta, la domanda si rivolse progressivamente a tessuti più a buon mercato, ma all’ultima moda anche se meno resistenti. Era la fortuna dell’industria serica di Lione che, dotata di una struttura ben più elastica, aveva finito per sottrarre non indifferenti clientele alle prospettive di quella di Genova. Abbiamo visto che nel 1432, quando i setaioli si raggrupparono in una corporazione indipendente, separandosi dai mereiai, ottennero anche la giurisdizione su un’arte strettamente collegata alla loro attività: quella dei battiloro e dei filatori d’oro e d’argento. Si trattava di una corporazione già in vita nel XIII secolo40, che con lo sviluppo della tessitura della seta vide ampliare in modo notevole il proprio campo di attività41: i fili doro e d’argento erano, infatti, usati per ricamare fondi ad arabeschi, bordure sulle stoffe o sui tappeti, oppure venivano tessuti nella stoffa stessa per ottenere dei broccati. Il centro più noto per questa produzione era stato nel passato 1 isola di Cipro, onde il nome di « oro di Cipro » che fu sempre sinonimo di oro filato. A Genova il « mysterium auri fillati » si affermò precocemente, e dopo essersi limitato a sostenere la concorrenza degli articoli simili del Levante42, riuscì in seguito persino ad esportarvi la propria produzione, 40 F. Alizeri, op. cit., vol. II, p. 30, segnala che i battifogli liguri ebbero leggi e matricola fin dal 1248; A. Ferretto, L’arte dei battifogli e della filatura dell’oro e dell’argento, in « Il mare », Rapallo, 1922 (30 die.), riporta numerosi atti che comprovano il lavoro dei battifogli, dei tiraoro e dei filatori d’oro e d’argento nel sec. XIII. 41 Nel 1438, i battifogli oltre ad affermare che « aurum fillatum quod de hac civitate extrahitur excellit omnem aurum fillatum alliarum civitatum » sottolineavano con energia il fatto che « singulo mense beneficium suscipit hec civitas de libris duobus milibus, computatis manifaturis et cabellis, et etiam ars seapteriorum, que maxima est in hac civitate, plurimam recipit commoditatem... » (A.S.G., Artium, B, n. 176, fase. n. 9). 42 I battifogli e filatori d’oro genovesi furono ricercati anche in altri paesi: Giovanni Molfino da Rapallo, battifoglio e fabbro argentiere, intorno al 1375 commerciò a Siviglia, ove poi trasportò l’arte servendosi di operai genovesi. Fra questi — 172 — tanto che l’oro e l’argento filato di Genova furono ben presto ricercati anche a Costantinopoli43. Era un’attività che richiedeva pazienza ed abilità: occorreva fare passare l’oro attraverso una serie successiva di operazioni, trasformandolo prima in sottilissimi fogli (o lamine), e poi avvolgendolo ad elica, più o meno stretta, sopra l’anima della fibra di seta o di altra fibra animale il filo veniva poi, a sua volta, avvolto su rocchetti o in piccole matasse, che, secondo gli Statuti delPArte della seta del 1432, dovevano contenere esattamente due once, o un’oncia, o mezza oncia di filo d’oro o d’argento45. Le varie fasi della lavorazione potevano essere eseguite sia da un solo artigiano, sia ognuna da uno diverso, con una maggiore specializzazione. In ogni caso, gli Statuti delPArte della seta del 1432 obbligavano questi artefici a lavorare quasi esclusivamente per i setaioli, maestri o capi bottega. Era concesso loro di lavorare per proprio conto solo a patto che sottoponessero la loro produzione ai consoli degli imprenditori, incaricati di controllarne la buona qualità e di apporre ai prodotti il bollo delPArte. Era invece severamente vietato il lavoro « prò alio ad mercedem seu premium »46. Nell’industria serica la posizione di questi artigiani non era fu Costantino di Sampierdarena, che promise di lavorare alle opere d’oro e d’argento in Siviglia e in altre città per dieci fiorini d’oro al mese; lo stesso promise il 22 febbraio 1384 il battifoglio Antonio Boveto. Cfr. A. Ferretto, L’Arte dei batti-fogli..., cit. 43 Cfr. G. Heyd, op. cit., p. 1229. 44 « Volendo fare oro filato, o vero argento, secondo la professione che attende a questo, è necessario certamente tirar l’oro in filo e così l’argento, battendolo e assottigliandolo in prima benissimo, e finalmente arrivando a questo segno, dove si pone sopra fili di seta o d’altro, con grande industria e artificio di simili maestri, per la pratica dei quali (ma prima per l’oro), si nota brevemente che è solito e consueto presso a costoro di fondere una verga d’oro o di copella o d’altro, la quale verga va distirata col martello, poi si raspa e poi si fa una verghetta d’oro, la quale si distira e assottiglia benissimo, ... per forza di martello, e fassi più sottile che la carta da colui che Battiloro propriamente è nominato, e doppo si tagliano le vette sottili, si fanno filare su seta... etc. » (T. Garzoni, La piazza universale di tutte le professioni del mondo, Venezia, 1645, p. 664). 45 La norma era contenuta in un apposito capitolo, « De ponderibus auri et argenti filati levandis in canonis », che stabiliva anche una multa da cinque a cinquanta fiorini per i casi di inosservanza. 46 II capitolo « De auro et argento filato », in cui sono contenute queste disposizioni, prevedeva inoltre che tutti gli aspiranti ad esercitare questa attività dovessero - 173 - quindi molto diversa da quella occupata dai tessitori, di cui abbiamo a lungo discorso. Le « Reformationes » del 1466 47 contengono numerose norme riguardanti anche l’oro e l’argento filato: la lega d’argento adoperata doveva essere sottoposta, onde evitare frodi, ad un accurato controllo in « cecha Ianue » da parte del « sazator Communis » cui era pure fatto obbligo di presiedere personalmente alla dosatura dell’oro che precedeva ogni « battitura »48. Le dosi stesse furono accuratamente stabilite con molta precisione 49. Un’attenzione particolare fu pure rivolta all’uniformità del prodotto che doveva essere « totum, in principio, medio et fine de unomet auro, ilio et seu serico, et unius qualitatis et bonitatis »50. La multa per i con- essere registrati presso l’Arte della seta. Precisi capitoli regolavano però l’ordinamento interno della corporazione dei battiloro e vietavano fra l’altro di « recedere de hac civitate causa eundi ad allias civitates ad docendum et extrahendum dictam artem » (A.S.G., Artium, B. n. 176, fase. n. 9, doc. 14 febbraio 1438 e fase. n. 10, doc. 12 giugno 1498). Altre aggiunte e modifiche furono apportate durante il XVI secolo (A.S.C.G., Atti dei Padri del Comune, cit., fl. n. 47, docc. n. 112 e n. 123 e Capitula Artium, I, ms. A.S.C.G., n. 0428, cc. 69r.-83v.). 47 Vedi nota 5. 48 « Item quod batifolium non possi(n)t laborare argentum de sua arte nisi primo fieri facia(n)t in cecha Ianue sazium de suo roello, et sit dictum argentum per sazatorem Communis approbatum in liga et qualitate convenienti, sub penis contentis in capitulis. Item non possit daurari aliqua batitura, nisi in presentia sazatoris Communis qui ponat aurum in qualitate et quantitate declarata per capitula dicte artis, sub penis contentis in capitulis; et teneatur sazator ire ad apothecam batifoliorum sem-percumque fuerit requisitus, pro dando dicto auro, sub pena contenta in capitulis » iCod. A, c. 86 v.). 49 « ... quod batitura integra non possit fieri pluris quam librarum decemseptem argenti in pondere, in qua ponantur et poni debeant, pro dauratura, ducati quator-decim et quinta pars alterius boni auri ad pondus ceche Ianue, et si quis velit laborare pro medietate, id facere liceat, sed dicta medietas non possit excedére libras octo et uncias sex argenti in pondere, et in ea, pro dauratura, non possit poni minus quam ducati septem et decima pars alterius ducati boni auri ad pondus ceche predicte, ita ut laborando pro dimidia, ponatur dimidia pars argenti et dimidia pars auri batiture integre, ut superius dictum est, et si quis contrafecerit, cadat in penam declaratam in precedenti capitulo “De roello saziando” » (Cod. A, c. 88 r. e v.). 50 « Item non possit levari aurum filatum in aciis vel canonis, nisi aurum sit totum in principio, medio et fine de unomet auro, filo et seu serico et unius eiusdem qualitatis et bonitatis, sub pena contenta in capitulo, et teneantur magistre iurare de sex in sex mensibus observantiam presentis reformationis » (Cod. A, c. 86 v.). — 174 — travventori era abbastanza forte: da venticinque a cinquanta ducati; per l’argento erano previsti ulteriori dieci fiorini per ogni “denaro” di cui la lega risultasse mancante al controllo. Da questi provvedimenti risulta chiaramente che nella loro attività i battifogli erano spesso aiutati da donne, poiché, nel ribadire l’obbligo, già sancito nel 1432, di giurare ogni sei mesi ai consoli dell’Arte della seta di « bene et fideliter operando », ci si rivolse in particolare alle “maestre , oltre che a tutte le altre persone che esercitavano l’arte51. Nonostante l’evidente interesse e la cura che le autorità cittadine mostrarono verso questa produzione che, come abbiamo già detto, oltre ad essere sussidiaria dell’industria serica, alimentava anche una notevole esportazione, verso la fine del XVI secolo l’arte cominciò a decadere, a causa specialmente della concorrenza degli artigiani forestieri stabilitisi nella città52. Già nel 1519, inoltre, i consoli dell’Arte della seta si erano lamentati che l’oro filato e i galloni, « que erant magna membra diete artis », a causa delle falsificazioni, « in omni parte mundi ab omnibus respuitur et contemnitur, et fuit necesse ipsis de dieta arte desistere a tali fabrica »53. Un’altra grave difficoltà che la corporazione si trovò a dover fronteggiare era rappresentata dai furti di materia prima continuamente attribuiti dai setaioli a filatori ed a tessitori. Il sistema organizzativo dell’industria serica, a carattere domesticoindustriale, presentava un grave inconveniente: la seta, prima di essere trasformata in tessuto, doveva passare attraverso molte persone, ognuna delle quali lavorava normalmente lontano dalla sorveglianza diretta dell’imprenditore. Se le donne che incannavano ed ordivano si rendevano spesso colpevoli di furto, non meno numerosi erano i casi di tessitori che si appropriavano della seta o della “tella" loro data da tessere, o la sostituivano con altra di qualità più scadente, specialmente se erano autorizzati anche a lavorare per proprio conto o avevano il laboratorio fuori città. Una delle lamentele più comuni contro i tessitori che lavoravano nelle 51 Vedi nota precedente. 52 L. Brenni, L’arte dei battiloro e i filatori d’oro e d’argento, Milano, 1930, p 43, ricorda soprattutto un notevole numero di lucchesi e di messinesi. 53 Cod. A, c. 201 v. - 175 — Riviere, era appunto quella che — lontano dalla sorveglianza cittadina — potevano più facilmente appropriarsi in modo indebito della materia prima loro affidata. La tentazione era forte: quando arrivava nelle mani del tessitore, il materiale, già caro all’origine, era divenuto più pregiato a seguito delle operazioni di dipanatura, torcitura e tintura. Anche per questo i setaioli cercarono — come abbiamo visto — di impedire ai tessitori di lavorare per proprio conto, e allorquando dovettero cedere, stabilirono che i consoli dell’Arte serica potessero chiedere al tessitore di dimostrare l’origine della seta da lui lavorata in "proprio”. Le persone più spesso accusate e condannate per sottrazione di seta ricevuta erano le « magistre de Pulcifera » — cosiddette perchè risiedevano soprattutto nella Val Polcevera — che si dedicavano all’incannatura. Nei numerosi decreti emanati durante il XVI secolo contro coloro che « commiserint fraudem aut latrocinium », venne quasi sempre specificato che i provvedimenti venivano presi nei confronti « tam mares quam feminas » M; ogni volta, inoltre, che gli imprenditori avevano rifiutato ai filatori capitoli autonomi, non avevano mancato di sottolineare che « sunt in eo numero mulieres et persone de quibus nulla haberi posset confidentia5S. Queste donne erano pertanto sottoposte ad una accurata vigilanza e soggette a frequenti visite da parte dei consoli dell’Arte che poco si fidavano di loro. Non sempre, però, i controlli si svolgevano in modo tranquillo: nel 1511, avendo alcuni setaioli cercato di recuperare insieme ai consoli la seta che era stata loro sottratta da alcune incannatrici, « fuerunt insultati et gravibus vulneribus percussi et quasi semimortui derelicti »56■ 54 Cod. A, c. 37 v. e c. 207 r. 55 Cod. A, c. 49 r. 56 H. Sieveking, Die gettueser Seidenindustrie..., cit., p. 108. Il continuo ripetersi dei furti sollecitava anche l’inventiva delle persone. Nel 1568 Alberto de Grassis, veronese, ottenne dalle autorità cittadine — con parere favorevole dell’Arte della seta — una privativa di trenta anni su una sua invenzione che avrebbe dovuto « esser remedio alle fraudi e inganni e robarie che oggidì si fanno così dalle incanatrice come dalli maestri de’ filatori ovvero garzoni ». Si trattava di un nuovo tipo di « racordo, tanto utile e fruttuoso », da utilizzarsi nell’incannatura, col quale « immediate che la incanatrice haverà portato la seta incanata al mercante, senza che detta seta sia lavorata al filatore, si conoscerà apertamente quanta seta mancherà per mancamento et furto della incanatrice, la qual in fatto conoscerà e confesserà l’error suo e vederà se la seta mancherà o no» (A.S.C.G., Arte della seta, cit., fl. n. 602, doc. n. 91). — 176 — . J Arte ottenne persino un proprio « carcer mulierum », nel palazzo del Comune, in contrada Serravalle, munito di doppia serratura e le cui chiavi erano tenute da due persone diverse: i precedenti esperimenti avevano infatti dimostrato che un unico custode non sarebbe stato sufficiente 57 ! Fin dal 1461 era stato anche escluso che si potesse affidare seta da lavorare a qualunque artigiano avesse commesso in precedenza furto o frode nei confronti di un componente dell’Arte58. Circa un secolo dopo, nella seconda metà del Cinquecento, i nomi dei colpevoli venivano fatti registrare in un libro particolare, detto « Libro di specchio », tenuto dal notaio della corporazione, cui i setaioli erano tenuti a denunciare i « delinquenti »59. Il divieto di dare lavoro agli artigiani recidivi, e quindi già annotati nel libro per i loro « rubamenti », venne nuovamente sancito e reso più drastico attraverso una pena pecuniaria imposta agli inadempienti 60. 57 Cod. A, c. 221 r. e v., Carcer mulierum. Il testo completo del documento è riportato in Appendice, XX. 58 « Item statuerunt et ordinaverunt quod aliquis seaterius civitatis Ianue non audeat vel présumât, quovis modo, tradere ad laborandum aliquam quantitatem sete, sive telam ad texendum, seu aliquid aliud pertinens ad dictam artem peragendam, alicui persone, tam masculo quam femine, que commiserit alicui de dicta arte seateriorum fraudem aut latrocinium seu falsitatem, in seta sive artificio aliquo dicte artis sibi tradito ad laborandum per aliquem de dicta arte seateriorum, vel que receperit aliquam quantitatem pecunie ab aliquo dicte artis pro aliquo laborerio sive exerci[ti]o faciendo quod non perfecerit neque perficere curaverit, vel que non observaverit promissa dicto tali seaterio in aliquo contractu iuste et licite inito inter eos, nisi primo fuerit, per eum qui talia commisisset, satisfactum de suo damno et pecunia dicto seaterio seu mercatori cui damnum fecisset, vel conventa non servasset de dicta arte, sub pena solvendi de suo proprio tali seaterio damnum passo illud quod recipere debuerit ab illa persona que fraudem aut latrocinium seu falsitatem commisisset in seta sive rebus sibi tradita sive traditis ad laborandum per dictum talem seaterium, sive solvendi illam quantitatem pecunie dicto tali seaterio de dicta arte quam recipere debuisset a dicta persona contrafaciente ut supra, vel non servante promissa pro laborerio per eam perficiendo et non perfecto nec perficere curante...» (Cod. A, c. 37 r. e v., Non detur ad laborandum illi qui commiserit fraudem aut latrocinium, vel qui habuerit ab alio seaterio, ut infra). ^ A.S.C.G., Arte della seta, cit., fl. n. 604, doc. n. 52, Ordinatio quod omnes seaterii debeant manifestare nomina illorum qui dederunt mancamenta. 60 A.S.C.G., Arte della seta, cit., fl. n. 604, doc. n. 31, Che non si dia a mani-fatturate a coloro che sono nel libro di spechio. - 177 - 12 In materia di pene occorre osservare come i provvedimenti emanati colpissero in misura eguale sia coloro che sottraevano la seta « datam ad manifacturandum », sia coloro che l’acquistavano. La corporazione partiva, infatti, dal principio che « se non si ritrovassi compratori non si troveria venditori »61, cioè ladri. La refurtiva, venduta a basso prezzo, alimentava un mercato della materia prima molto redditizio per gli imprenditori senza scrupoli, colpiti però, in caso di colpa provata, anche con una condanna come correi nel furto62. Per rendere più difficile l’alienazione della materia prima sottratta, vennero anche prese drastiche misure: fu vietato a chiunque non fosse iscritto all’Arte dei setaioli di vendere o dare in pegno della seta, così come venne proibito a tutti di accettare in pegno o di acquistare seta da qualsiasi persona che non fosse « magistro artis seateriorum qui teneat voltam seu apothecam publicam »63. I risultati, tuttavia, non furono positivi e questo « malanno » accom- 61 Cod. A, c. 255 r. 62 Nel 1488, nel 1529 e nel 1558, i decreti con i provvedimenti delTArte miranti a porre un freno al dilagare dei furti recano il titolo « Contra ementes et vendentes setam datam ad manifacturandum » (Cod. A, cc. 92 v. -93r.; 223 r. e v.; 255 r. -256v.; il testo del decreto del 1558 è riportato in Appendice, XXX). Il principio ispiratore dei provvedimenti è chiaramente espresso durante un processo contro Simone Chiesa, incarcerato per aver acquistato sete rubate: « ... che si metta in chiaro chi sono li colpevoli et delinquenti... perchè se non si trovassero compratori di sete rubate, non saria chi rubasse; et chi ruba, ruba il più delle volte per necessità et per bisogno; et chi compra, compra per cattività et per mera tristitia et-avaritia... » (A.S.G., Senato, Atti, fl. n. 1434, doc. n. 97). 63 « ... quod decetero nulla persona, cuiuscunque gradus et condicionis, qualitatis ac sexus, sit masculus aut femina, dominus aut domina, servus aut serva, famulus aut famula, audeat vel présumât clam vel palam, directe vel indirecte, aliquo quesito colore, et sive sit persona publica sive privata, etiam si esset cazanerius vel cazana, vendere, emere nec pignori accipere aliquam quantitatem sete laborate, nisi a magistro artis seateriorum qui teneat voltam seu apotecham publicam, nixi de expressa licentia consulum dicte artis; pariterque non possit aliqua persona vendere, a ienare seu pignori tradere aliquam quantitatem sete supradicte, alicui persone cuiuscunque qualitatis, condicionis et sexus existât, sine licentia dictorum consulum, nisi icta ta is persona sit magister et apotecham sive voltam tenens dicte artis, sub pena per en i dictam setam, et ultra solvendi tantum quantum esset precium sive valor icte sete, et alia graviori, arbitrio consulum et consiliariorum dicte artis, considerata qua itate elinquentis et quantitate delicti, usque in ducatos centum auri... » (Cod. A, cc. )2 v. - 93 r., Contra ementes et vendentes setam). — 178 - pagnò la corporazione sia nel sec. XV, sia nel XVI. Il divieto, presente in parte anche negh Statuti del 1432- venne ribadito più volti nel 1461 nel 1488, nel 1529 e ancora nel 1588. Fin dall’inizio del XV secolo i più ampi poteri erano stati concessi ai consoli della corporazione degli imprenditori, sia nelle misure di prevenzione, sia nei giudizi: le autorità cittadine li assecondavano in ogni iniziativa65, concedendo che le loro sentenze fossero assolutamente inappellabili66, e accontentando le loro richieste tendenti ad un progressivo aggravamento delle pene. “ Previsto in formulazione generale sono la rubrica «De „„„ ,,, ”*** '«?»«'«» dia* ren, ad arlem pertinentem,. ,1 divieto venne nói codificato m marnera più ptecisa nell, redazione statutaria del 1737, nel capitolo r “t'^TT,,"e ‘ tonnoncbi da ,calieri (cfr. Lem , ori,m per I Arte della seta recompilai, cit., p. 981. Fin dal 1432, pento, “ca zaneni» avevano protestato conno queste disposizioni, sostenendo che esse è,«noi contrasto con , cap.toli della convenzione da loto stipulata con il Comune di Geno, ma ogni tentativo si rivelò vano (A.S.G., Artium, fl. n. 161). « «Item quod Magnificus Dominus Presidéns sive Potestas Ianue et Spectabi-hs Dominus Vicanus ducahs, qui nunc sunt et prò tempore fuerint, coniunctim e divismi, teneantur et obligati suit dictis consulibus semper et quandocunque ad eo-rum simplicem volontatem et requisitionem, prestare omnem opem, consilium, auxi-lum et favorem eis possibilem, et ad requisitionem ipsorum procedere contra omnes et singulos delinquentes et eis suspectos, summarie et de plano, sine strepitu et figura nidic sola facti veritate inspecta. Et si quo casu reperirei aliquis contrafackns predictis male fame, et assuetus similibus contrafactionibus, possit prefatus CUS ™nUS tCStaS’ qul nunc est et Pro tempore fuerit, contra talem procedere in criminalibus usque ad ultimum supplicium, ipso ultimo supplicio excluso servato ordine nos et non servato; tamen si de iure et ex forma capitulorum Ianue, ultimum suppjcmm mereretur, his omnibus non obstantibus, possit etiam talem contrafacien-tem ultimo supplicio punire, servato ordine iuris et forma capitulorum Ianue» (Cod A, c. 94 r.). Inoltre, per evitare che la responsabilità dei furti venisse attribuita a persone giuridicamente non imputabili, venne dichiarato: « Item quod pro dictis et ad omnia et smgula predictorum pater teneatur pro filio non emancipato et [qui] steterit in domo eius, et pro filia non nupta; vir pro uxore et socer pro nuru ipsa stante m domo et sub disciplina soceris; pater familias pro famulis et familia domus >> (Cod A c. 93 v., Contra ementes et vendentes setam, e C. Desimoni, Statuto dei Padri del Comune..., cit., p. 331). 66 Vedi parte II, cap. I. Ricordiamo qui ancora un processo in cui venne riconfermata l’autorità dei consoli: nel 1521, Innocentina di Cremorino, «culpata de emptione sete furate », da due filatrici della Val Polcevera, cercò invano di appellarsi all autorità del doge Ottaviano Fregoso e degli Anziani, che la rinviarono al riudizio dei consoli deU’Arte (Cod. A, cc. 207r.-208v„ Fuit per Senatum data repulsa cui-dam mulieri que fuit culpata de emptione sete). — 179 - Nel 1488 la pena, stabilita inizialmente in cinque lire, sia per 1 venditori, sia per gli acquirenti, fu portata alla notevole somma di cento ucati d’oro, oltre, naturalmente, alla restituzione della seta al proprietario e rubato67. Nel 1529, i Dodici Riformatori, che esprimevano indubbiamente lo stato d’animo e i desideri degli imprenditori, arrivarono a e<-r^ J pena di morte per chi rubasse seta per un valore superiore a e La stessa pena fu confermata pochi anni dopo, nel 1558, con un col quale venne anche concesso all'Arte della seta di avere un p p « cavallero » (o esecutore giudiziario), « con uno o doi sbirri, li qua i pr ^ dino li malfattori che fano ogni giorno maggiori danni alla detta arte » . Occorre però mettere in rilievo come il persistere delle sostitu di materia prima e dei furti di materia prima o di prodotto ^n*t0 non _ stituisse un problema facilmente risolvibile, derivando da un i etto ins nel sistema organizzativo dell’industria, che si era preoccupata i ren 67 Vedi nota 63. 68 « Item che qualùnque persona quale rubasse septa, cioè di quella sera s data a manifacturare, o vero come a lui fidata e data a manifacturare a ven , anchora che fusse in più volte, e se ritrovasse ascendere a la valuta de libre quin di moneta di Genua, in tal caso cada tale venditore e intendasi caduto in pena co porale et ultimo suplicio incluxive. Item che quella persona quale accatasse e sim septa, o fidata, o rubata, o vero per pegno alchuno la prendesse o receptasse, ca a in tal caso, o in alchuno di essi, in pena di perdere essa septa e oltra di pagare a valuta di essa a quello di cui la fusse, e più de pagarli tuto quello e quanto ta e venditore o vero impegnatore di essa septa fusse debitore o dovesse dare al patrone di detta septa. Sia tamen licito a cadauno accatare e ricevere in pegno ogni e qua on que soma di simil septa, se quella cum il bullo de l’arte de la septa sera bullata, et non altramenti » (Cod. A, c. 226 r. e v.). 69 Cod. A, c. 255 r. (v. Appendice, XXX). Le pene, anche corporali, che erano comminate agli artigiani accusati di furto erano sovente assai severe e furono u te riormente inasprite nei decenni successivi. Nel 1605, un tessitore colpevole di aver fatto da mediatore in una vendita di sete rubate, fu condannato dai consoli e consi glieri dell’Arte a sei anni di lavori forzati su una galera, poi commutati « in penam relegationis in Regno Neapolis per annos quinque ». Sempre nello stesso anno, una donna « per aver comperato sete contro le regole concesse », venne condannata « a esser frustata per la città et esserli tagliati il naso *>, e ad un vecchio tessitore di settanta anni, per la stessa colpa, furono attribuiti dieci anni di prigione, sostituiti poi — a causa dell’età — con una multa di mille lire più il pagamento del prezzo delle sete. I due venditori furono invece condannati in contumacia, uno alla « galera perpetua », perchè recidivo, e l’altro a dieci anni di prigione (A.S.G., Senato, Atti, fl. n. 1674 e fl. n. 1677). — 180 - i controlli sempre più rigidi, ma che non aveva la possibilità di renderli funzionali. Quando il libro che i tessitori, e in un secondo tempo anche i filatori, furono obbligati a tenere, e « in quo scribuntur data et accepta », era redatto in tutti i dettagli, salvo casi del tutto eccezionali, era pratica-mente impossibile che un setaiolo, ritirando un tessuto, potesse stabilire sé il tessitore aveva sostituito la seta a lui affidata con altra seta di qualità inferiore. Analoga era la situazione dei setaioli nei confronti dei filatori. Di conseguenza, la vera tutela dell’Arte finiva per essere affidata alla dubbia rettitudine di delatori largamente retribuiti, più che all’efficacia di controlli, anche se rigorosi, ed al senso della misura dei singoli, filatori o tessitori che fossero, più che alla possibilità materiale di accertarne i reati. Quando poi il senso della misura, la discrezione del lavoratore, venivano meno al punto di dare luogo a sottrazioni smaccatamente evidenti, restava sempre aperta la via dell’espatrio clandestino o dell’esportazione fraudolenta del prodotto rubato. Anche su questo fronte l’Arte fu tratta quindi a costituirsi una linea di difesa. Nel 1516, in seguito alla fuga a Lucca di un tessitore genovese, Vincenzo di Vado, « qui se transtulit cum magna quantitate septe et veluti fabricati », l’Arte genovese della seta trattò con gli Anziani della città toscana una convenzione di estradizione che fu regolarmente sottoscritta e successivamente ratificata dal Doge Ottaviano di Campofregoso 70. L’accordo, che impegnava vicendevolmente i governi delle due città ad arrestare ed a rimandare nella città di origine, « ligatum et detemptum », ogni lavoratore di seta colpevole di furto e fuggito dalla patria, si rivelò, peraltro, di notevole e duratura efficacia71. A distanza di quasi un secolo, /0 Cod. A, cc. 224 v.-225 v., Conventio cum Repubblica Luce de dandis qui eo aufugiunt. Il testo della convenzione è riportato in Appendice, XV. 71 Fra la documentazione del!Arte vi sono alcune lettere con le quali i consoli della corporazione genovese segnalavano al governo di Lucca la presenza nella città toscana di malfattori, conformemente alla convenzione che « già ci ha dato molta contentezza »: nel 1571 è il caso del filatore di seta Filippo Riva «il quale ha portato via ad un nostro cittadino notevole somma di seta che gl’haveva dato a manifattu-rare ». Una settimana dopo egli era già stato arrestato e qualche tempo dopo già in viaggio sotto sicura scorta (A.S.C.G., Arte della seta, cit., fl. n. 602, doc. n. 122). L’azione dei Lucchesi fu sempre molto rapida: in seguito ad una denuncia del 10 luglio 1602, il 25 dello stesso mese venne data notizia all’Arte genovese dell’awenuta cattura di Domenico Olivero e Agostino Sobrero, filatori, che avevano rubato più di cento libbre di seta ricevute da lavorare. Nel 1604 venne richiesta la cattura di Lazzaro Costa, tessitore (A.S.C.G., Arte della seta, cit., fl. n. 603). - 181 - una lettera dei consoli dell’Arte della seta di Siena 72 documenta la collaborazione instaurata in materia anche con quella città. Nel XIV secolo il decollo dell’industria serica genovese era stato reso possibile da un flusso a senso unico di immigrati, proprio da Lucca. A partire dal XVI secolo, la tendenza sembra capovolgersi: sono maestranze seriche genovesi che prendono la via della Toscana, ma portandosi dietro un fardello di colpe. E le città toscane saranno pronte al rigetto . Nel Trecento, Genova non aveva avuto particolare interesse a scrutare nella moralità e nel passato degli immigrati che le giungevano dalla città toscana, recandole i segreti di un’arte nuova e, per di più, in corso di netta affermazione. Nelle maestranze che aveva raccolto nel Trecento, Genova non aveva considerato che le attitudini ad un lavoro particolarmente qualificato; in quelle che nel Cinquecento prendevano la via di Lucca, que-st’ultima, forte di un’arte serica da tempo affermata, non era interessata a considerare i requisiti tecnici, ma quelli morali. Genova, nel XIV secolo, aveva accolto degli immigrati in quanto erano dei setaioli. Lucca, nel XVI respingeva dei setaioli in quanto, a Genova, si erano dimostrati degli imbroglioni o dei ladri. Concorrenti nel settore della produzione, Genova, Lucca e Siena erano invece strettamente solidali nel combattere un male comune. 72 A.S.C.G., Arte della seta, cit., fl. n. 603. Mentre non abbiamo lettere di denunzia di fughe da parte dell’Arte lucchese, i consoli di Siena denunciarono nel 1608 che un tessitore napoletano, Mauro Pappalardo (di cui danno un’accurata descrizione del fisico e del modo di vestire), dopo essere stato « più mesi » nella città era fuggito con tre pezze di tessuto. Chiesero pertanto di vigilare se egli tentasse di vendere a Genova la « mercanzia furata ». - 182 - Capitolo III LA CRISI E IL DECLINO DELL ARTE: « NEMO PORTET ARTEM EXTRA » Le principali cause della defezione degli artigiani. La scarsa efficacia degli editti e ■delle gride. Drastica presa di posizione dei XII Riformatori. - I centri più importanti dove si trasferirono gli artefici genovesi: Chio, la Catalogna, Mantova, Trento. I setaioli genovesi in Francia e loro contributo all’afiermarsi della manifattura di Lione. Indipendentemente dall’espatrio a seguito di furti ai danni di membri dell Arte, nel corso dei secoli XV e XVI, la corporazione genovese della seta si trovò a dover far fronte ad un problema ben più complesso, costituito dagli espatri spesso massicci di artigiani attratti in territori stranieri per esercitarvi la loro attività a condizioni migliori. Si trattava di un fenomeno di dimensioni sempre più preoccupanti, che agli occhi del potere pubblico si presentava come non molto diverso da quello delle “fughe” di artefici colpevoli di furto, in quanto ciò che veniva sottratto dai fuggitivi, non era una quantità di materia prima o di prodotto finito, ma l’esperienza acquisita ed i segreti dell’arte. Nella repressione di questo fenomeno, la solidarità fra la Corporazione e la Repubblica appare perfetta, perchè « non accadeno cose di mdor importantia a la città corno quando si tratta di negotii spedanti a l’arte Ae la septa e tutte le sue pendentie » \ e la fuga di maestranze seriche 1 Cod. A, c. 215 v. Le espressioni di elogio e di considerazione non riguardano solo la corporazione degli imprenditori, ma tutta la manodopera che si dedicava alla industria serica: « ... animavertentes artes infrascriptas, in civitate Ianue constitutas, videlicet seaterie, textorum pannorum sete, tintorum et filateriorum eiusdem sete, in Ianua maximum prebere emolumentum et beneficium, sicut manifestum est, adeo ut bona pars pauperum personarum ex eis nutriatur, civitas hominibus repleatur, et ca- - 183 - recava « maximum preiudicium et detrimentum non tantum ipsius artis sed totius Reipublice » 2. L’abilità dei tessitori e dei tintori genovesi, nonché la bellezza e la perfezione dei loro tessuti, provocavano proposte e lusinghe da paesi anche non confinanti, sotto forma di ricompense, di facilitazioni fiscali, di privilegi di ogni genere, mentre a Genova i setaioli, forti dei loro privilegi, opponevano — come abbiamo visto — ostacoli di ogni genere alle aspirazioni di filatori, tintori e tessitori. In particolare, risentivano di questa situazione i figli dei maestri tessitori, i quali, appresa l’arte, al momento di esercitarla, venivano osteggiati dai setaioli che, sorvegliando attentamente il numero delle botteghe e dei maestri, cercavano di impedirne la concentrazione3. Accadeva quindi frequentemente che, invece di legarsi alla corporazione, spinti anche da spirito di avventura e da aspirazioni al miglioramento, essi preferissero allontanarsi, sfidando le ire del pubblico potere. Non minore era poi il numero di coloro che si allontanavano per sottrarsi al pagamento di debiti nei confronti dello Stato o di privati. In un proclama del 15 febbraio 1529, i Dodici Riformatori — nel comandare a « tutti texitori di pani di septa, quali hano portata e transferta detta arte fori de la cità » e « in qualsivoglia parte del mondo », di rientrare in patria entro un anno dalla pubblicazione dell’editto — garantirono « gratia et belle multum superlucrentur, et demum urbi multa commoda subsequantur et mercature exercitium multipliciter augeatur... ». Così si esprime, nel 1452, il doge Pietro di Campofregoso, dichiarando insieme al Consiglio degli Anziani, la necessità che queste Arti «... favoribus licitis et honestis communiri et solidari, adeo ut non diminuantur sed potius augeantur et substernentur » (Cod. A, c. 29 v.). 2 Cod. A, c. 128 r., decreto di Agostino Adorno (30 gennaio 1494): Contra portantes artem extra. 3 Solo alla fine del Cinquecento le autorità politiche presero dei provvedimenti contro questi abusi dei setaioli, dopo che, nell’ambito delle rivendicazioni salariali del 1596, i tessitori avevano denunciato apertamente che « Li seateri hanno tra dì loro parimenti trovato inventiva che, se il figliolo di maestro si vuole fare maestro, e pigliare tele per maestro, non possa abitare in la propria casa del padre, ma separatamente, la qual cosa è in grandissimo preiudicio, ... poiché devono pagare due pigioni... ». E ancora: « Detti seateri tra di loro hanno ordinato che se un tessitore maestro si vuole tirare ad habitare con il suo telaro a lavorare in compagnia d’un altro, che non si possa andare salvo con licenza del suo mercante o sia seatero, il quale non gliela vuole concedere... » (Cod. C, c. 86 r. e v.). — 184 - salvacondotto » a quanti si erano allontanati da più di sei mesi: peT dieci anni dal giorno del ritorno, essi non avrebbero potuto essere « molestati in la persona, nè personalmente detenuti per quanto dovessino dare a seap-terii o ad alcuno di loro »4. L’esodo di maestranze era anche favorito da momenti di crisi caratterizzate da eccedenza di manodopera, dall’influenza negativa delle abituali irregolarità nel pagamento delle mercedi5, e dalle continue lotte interne che, durante tutti e due i secoli, agitarono la città, danneggiando i sostenitori ora di questo, ora di quel partito. Nel 1514 e nel 1515, due decreti del doge Ottaviano di Campofre- 4 Cod. A, c. 226 v. Così il decreto che precede il proclama reso pubblico dal cintraco del Comune « alta et intelligibili voce, sono tubarum procedente, palam et publice, in omnibus et per omnia »: « Item ordinatur et precipitur, et sic ordinatum ac statutum est, quod omnes et singuli textores pannorum septe, qui portaverunt et seu transtulerunt artem ipsam extra civitatem Ianue, et pari modo quilibet alius textor qui reperiretur fuisse egressum extra civitatem hanc, et profectum in quamvis mondi partem, debeant infra annum unum venturum, a die publicationis presentium proxime venturum, venire et reverti in eam et ibidem habitare; quibus venientibus et seu reddeuntibus intra dictum terminum, ad hoc ut tute venire ac accedere possint, eisdem et cuilibet ex ipsis redde[u]ntibus intra dictum tempus de quo supra, conceditur gratia et salvusconductus, ut non possint seu debeant molestari, nec realiter vel personaliter detineri, pro eo quod tenerentur seu deberent seapteriis, vel alicui eorum, tantum usque ad annos decem, inchoandos a die illo quo in Ianuam reversi fuerint, prout supra dicitur, excludentes et exclusos esse declarantes, a presenti gratia et salvoconductu, eos omnes testores sunt in districtu et dominio Ianuensi et quemcumque alium ex ipsis textoribus qui a mensibus sex citra a presenti civitate Ianue recesserunt et se absentaverunt, notificando cuique textori quod qui in civitate non revertetur, intra dictum tempus, eo elapso, imponetur talia super vita eorum et cuiuslibet eorum » (Cod. A, c. 224 r.). 5 II 24 settembre 1596, i tessitori si lamentarono — una volta di più — dell’irregolarità dei pagamenti dei setaioli: « ... e da questi inconvenienti ne risulta che molti, vedendo il modo di procedere, hanno abbandonato la città e sono andati in altri paesi, a metter l’arte della seta dove da quelli seateri sono ben visti e trattati... ». All’immobilità dei salari faceva riscontro l’aumento dei prezzi dei beni di prima necessità, « ... et così tutti se ne vanno per non poter vivere in questa città con le sue fatiche e sudori... » (Cod. C, c. 99 r. e v. e c. 97 r.). Simile era stata la lamentela nel 1575, quando, per la prima volta dopo più di un secolo, venne concesso ai tessitori un aumento salariale: «... per sì piccola e bassa mercede... non ponno sostenersi, onde sono sforzati oltre l’abbandonar la patria loro, lasciar le povere mogli et innocenti figlioli in estrema necessità... » (Cod. C, c. 81 v.). - 185 - goso, ordinando la concentrazione di tutti i telai entro le mura della città6, tendevano certo ad indebolire il partito dei Fieschi, forte specialmente nella Riviera di Levante, ma, pur recando un notevole danno ai tessitori delle due Riviere ed un sensibile vantaggio ai seateri della Dominante, finivano implicitamente con l’arginare esodi potenziali, creando le condizioni per controlli immediati e diretti, altrimenti irrealizzabili. Il persistere delle principali circostanze favorevoli agli espatri, portò ad un progressivo inasprimento delle pene dirette ad arginarli1. I primi 6 Nell’ordinanza del 1515, Quod textores veniant Genuam, considerando che « ... se el non si provedesse a qualche ingani e fraude che fare si potriano in dieta arte, che quella mancheria e se reduceria in niente...» si ordinò che «...ogni e singulo textore de drapi di setta de qual sorte sia, quale di presente si trova cum soi telari a lavorare fori de la cita e burgo de Genua, che intra e per tuto lo octavo giorno di decembre proximo da venire, postposita ogni dilatione e difficultà, habia e debia venire dentro da la cita e burgi cum dicti soi telari e altri asneisi necessarii al texere, a lavorare; nè fori de epsa cita e burgi, ulterius, passata la dieta iornata, possia nè debia lavorare o vero fare lavorare, sotto la pena, o sia pene, chi se con-teneno in li capituli de le arte, così de li seapteri corno de li textori di ogniuna di quelle, et ulterius da essere condemnato ogni contrafaciente in la pena da dexi fiorini in sino in vinticinque, in arbitrio de li prefati consuli de diete arte e loro consegli... Et a ciò che la presente crida habie del tuto la sua observantia, si comanda ad ogni e singulo rectore de qual si voglia loco, plebe o villa in li quali fusseno alcuni de epsi textori, che habiano et debiano comettere et comandare a detti textori e quelli licentiare, et ita fare che detti textori, passata detta iornata sopradetta, non stiano nè habitano in dicti loci per causa di texere de dicti panni de septa, sotto pena de libre xxv et ogni altra pena, in arbitrio del prefato Magnifico Senato, aufferende da ogniuno rectore e villa quale fusse trovato contrafaciente, applicande etiam in arbitrio del prefato Magnifico Senato. Notificando ad ogniuno che, passato detto iorno octavo di decembre, si manderano li sindici de dieta arte di septa et li consuli de li textori cum il brado de la corte, e de tutte le predicte cose se farà diligente inquisitione, e chi serà trovato delinquente, sia chi se voglia, serà rigidamente punito, e non se li haverà rispecto alcuno, secundo la dispositione de detti capituli et loro rigore de la presente nostra crida, per chè ogniuno si goardi de non falire nè contrafare » (Cod. A, c. 190 r. e v.). 7 Anche i provvedimenti presi dalle stesse corporazioni degli artigiani collegati all’industria serica furono meramente repressivi, sebbene un atteggiamento diverso da parte loro sarebbe stato più problematico. Così nel 1486 l’Arte dei tintori di seta fece ratificare un capitolo (poi ribadito nel 1492) secondo il quale nessun artigiano potesse, senza espressa “ licenza ” dei consoli, portare l’arte « fuori della città di Genova », sotto pena di essere « privato della dett’arte... e mai in tempo alcuno possa la dett’arte esercitare in la città nè in lo distretto di Genova » (Matricola..., cit., c. 51 r. e c. 55 v.). - 186 - provvedimenti presentano un carattere relativamente più blando; in un secondo tempo essi si susseguono con ritmo più intenso e tono più aspro. Nel 1452, venne stabilita dal doge Pietro Fregoso una multa di quattrocento ducati per ogni setaiolo, tessitore, tintore o filatore di seta che si allontanasse dalla città o trasferisse i suoi strumenti senza il permesso del governo. La stessa pena pecuniaria fu prevista per coloro che prestassero ai fuggiaschi consiglio, favore od aiuto8. Responsabile dell’esazione era 1 Officio della Moneta, al quale i consoli dell’Arte avrebbero dovuto denunziare i colpevoli, ma la cautela giunse al punto di concedere ai consoli stessi anche la facoltà di arrestare preventivamente i sospetti9. Solo una obbiettiva situazione di indigenza e di disoccupazione dell’artigiano faceva prendere in considerazione la possibiiltà di un trasferimento, limitato però alle città di Lucca, Firenze, Venezia e Caffa, dove — previa autorizzazione — « ... quod nemo de dictis artibus seu aliqua ipsarum possit, audeat vel présumât clam vel palam recedere de civitate Ianue et districtu, iturus ad habitandum ad alias partes, occasione alicuius artium predictarum, sine expressa licentia prefato-rum Illustris Domini Ducis et Consilii, et quod nemo predictarum artium vel alicuius ipsarum audeat vel présumât extrahere vel extrahi facere instrumenta et alia necessaria ad exercitium dictarum artium seu alterius ipsarum, de civitate Ianue et ixtrictu, sine expressa licentia ut supra, et quod nullus alius, tam civis districtualis quam extraneus, in predictis vel aliquo predictorum, cuiuscumque qualitatis et gradus vel preminentie existât, audeat vel présumât alicui ex predictis artibus prestare auxilium, consilium vel favorem, et quod nullus patronus alicuius navis sive navigii, sive Ianuensis sit sive alienigena, nec aliquis officialis sive marinarius, aut aliqua que-vis persona, tam civis quam extranea ut supra, audeat vel présumât levare et seu levari permittere tales personas neque talia instrumenta spectantia et pertinentia ad dictas artes seu ad alteram dictarum artium, et similiter nec aliqua alia persona audeat vel présumât defferre et seu defferri facere predicta vel aliquod predictorum per terram, sine expressa licentia de qua supra. Et si quis repertus fuerit vel repe-riatur in futurum contrafacere vel aliqualiter contrafecisse predictis seu in aliquo predictorum, intelligatur incurrisse et incursus sit in penam florenorum quadringentorum Ianue, pro qualibet vice qua repertus fuerit et reperietur predictis vel alicui predictorum contrafecisse » (Cod. A, c. 30 r.). 9 « Possint tantum consules dictarum artium, seu aliquis ex eis, si ad ipsorum noticiam pervenerit aliquem in predictis vel aliquo predictorum contrafacientium, ex superius memoratis, et tam civibus districtualibus quam extraneis, vel si in predictis aliquam suspitionem haberent, dictos tales recedentes vel recedere volentes, et eorum bona, res, arnixa et instrumenta quecumque spectantia ad dictas artes seu aliquam ipsarum, arestare et arestari facere » (Cod. A, c. 30 v.). — 187 — poteva emigrare ogni artigiano della seta che non trovasse in Genova lavoro sufficiente per mantenere se stesso e la propria famiglia I0. Il decreto esaminato riveste una particolare importanza, poiché rappresenta il primo serio provvedimento adottato dal potere politico per opporsi alla fuga degli artigiani. Fino ad allora, la corporazione aveva cercato di vigilare da sola, attraverso la propria organizzazione, ma il crescente sviluppo della sua attività richiedeva ormai allo Stato di affiancare l’Arte per « buie morbo providere » 11. Probabilmente per questa ragione, prima che venisse eseguito l’ordine « predictum decretum... incorporari et incorporandum esse in capitulis dictarum artium »12, venne concessa ai fuorusciti una ultima possibilità: se fossero rientrati entro sei mesi, avrebbero evitato la confisca dei beni13. Tuttavia, qualche anno dopo, nel 1483, poiché POfficio della Moneta 10 « Et quia posset contingere quod aliqui seu aliquis ex dictis artibus seu aliqua ipsarum, non haberent tantum aviamentum seu exercitium ex dictis artibus in civitate Ianue, sicut crebro contingit, et ex hoc non possent eorum familias gubernare, statuerunt et mandaverunt quod predictis, dicto casu, et prius obtenta licentia a prefata Dominatione, licitum sit et liceat de civitate Ianue et districtu recedere pro eorum libito voluntatis et se transferre ad civitates Florentie, Luce, Ve-netiarum et Caffè, seu ad alteram ipsarum, solum et dumtaxat et non in aliis locis. Et si in futurum reperietur vel reperir r]etur aliquem ex predictis, in casu predicto recedentibus, se transtulisse ad alia loca quam predicta, occasione dictarum artium et exercicii ipsarum vel alicuius ipsarum, quod dictus talis contrafaciens sive contra-facientes, dicto casu, intelligantur et sint obligati ad dictam penam, et in eam incidisse censeantur» (Cod. C, cc. 30v.-31 r.). La concessione non poteva però portare un gran vantaggio agli artigiani, poiché le quattro città erano dei centri ormai molto importanti nella produzione dei tessuti di seta, con un’esperienza anche maggiore di quella di Genova. Era ben difficile, quindi, che in esse vi fosse bisogno di manodopera straniera. Tuttavia, possiamo inquadrare il provvedimento nell’ambito degli accordi stipulati in quegli anni fra Venezia, Lucca, Genova e Firenze, allo scopo di abolire reciprocamente le restrizioni e le proibizioni al trasferimento degli artigiani della seta e dei loro strumenti. Cfr. G. Canestrini, L’arte della seta portata in Trancia dagli Italiani, in « Archivio Storico Italiano», Firenze, 1857, t. IV, pp. 9-11. 11 Cod. A, c. 29 v. 12 Cod. A, c. 31 r. 13 « Item pro conservatione et amplificatione artis seaterie in civitate Ianue, decreverunt et deliberaverunt quod omnes et singuli artis seaterie, textorum panno-rum sete, tintorum et filateriorum, qui ab anno uno citra recesserint de civitate Ianue - 188 - non era stato abbastanza severo nell’esazione delle multe, e poiché « impunitas delicti occaxionem delinquendi prestat », i consoli dei setaioli ottennero di sostituirsi all’Officio della Moneta, « ut pena effectualiter exigatur » 14. La pena stessa subì un primo inasprimento: alla multa, ripartita fra detto Officio e l’Arte della seta, si aggiunse, infatti, l’espulsione del colpevole dalla corporazione 15. Questi provvedimenti punitivi non furono sufficienti a scoraggiare l’audacia dei fuggiaschi, ed il 30 gennaio 1494 Agostino Adorno, per dare maggiore certezza all’esecuzione delle sentenze, stabilì che le multe potessero essere riscosse anche procedendo alla vendita delle case e dei beni dei contravventori16. Nello stesso tempo, si cercò di favorire le delazioni, promettendo agli accusatori la quarta parte di quanto riscosso 17. Significative, cum instrumentis, utensilibus aptis et necessariis ad exertitium dictarum artium vel alterius earum, vel etiam sine, debeant redire ad civitatem Ianue cum instrumentis per eos vel alios pro eis extractis de civitate Ianue, intra menses sex proxime venturos, sub pena rebellionis et confiscationis omnium bonorum suorum... » (Cod. A, c. 30 v.). 14 Cod. A, c. 89 v. 15 « ... quod, sicut in dicto decreto dicitur quod dictum Officium Monete in causa contrafactionis dictam penam exigere teneatur, tolantur predicta verba de dicto decreto et addatur dicto decreto quod dictam penam exigere teneantur a contrafac-tientibus dicti consules dictarum artium, qui nunc sunt et pro tempore erunt, et dicta pena, sic exacta, aplicetur prefato Officio Monete pro dimidia, et pro reliqua dimidia dictis artibus, pro expensis quas fieri contingeret pro exactione dicte pene et in procedendo contra huiusmodi contrafacientes... et quod non solum talles con-trafacientes dicto decreto et contentis in eo incidant in dictam penam, exigendam et applicandam ut supra, sed inteligantur et sint, incontinenti et ipso facto, privatti dictis artibus et qualibet earum, nec dictas artes seu alteram earum possint in Ianua ac districtu, ullo unquam tempore, amplius exercere...» (Cod. A, c. 89v.). 16 « ... pena florenorum quadringentorum imposita contrafacientibus, que aliquando segniter exacta fuit vel non exacta, decetero diligentius et (non) maiori cura per consules artis seateriorum et textorum omnino a contrafacientibus exigatur summarie et de plano, brachio regio, procedendo, si opus fuerit, ad domorum et possessionum venditionem » (Cod. A, c. 128 v.). 17 « Pena autem ipsa hoc modo dividatur: quarta videlicet pars illi qui revelaverit prefatis consulibus aliquem contrafacientem, et bona que habet vel quovis modo possidet, mobilia et immobilia, volentes et mandantes ut exacta ipsa pena, predicta quarta pars omnino acusatori traddatur, reliquum dividatur pro dimidio inter ipsum Officium Monete et artes predictas; ex qua pena fieri possint expense necessarie arti, tam in exactione condemnationis quam in procedendo contra huiusmodi contrafacientes » (Cod. A, cc. 128 v. -129 r.). — 189 — a questo proposito, le parole con le quali si chiuse il proclama del 4 febbraio 1494, per portare a conoscenza del pubblico le nuove deliberazioni: « per tanto ad ogniuno chi acuserà si fa botto animo che li sarà data la merce la quale se dice de sopra » 18. La creazione, nel 1499, di una magistratura speciale, composta dai due consoli dei setaioli e da due degli Anziani della città 19, con il potere di infliggere pene da cento a cinquecento ducati, fu l’ultimo passaggio verso la drastica presa di posizione dei Dodici Riformatori del 1529. Decisi a provvedere, una volta per tutte, a questo male dello Stato, essi -non solo ribadirono la pena della confisca dei beni agli artigiani fuorusciti, ma — come per dei fuorilegge — stabilirono che potessero essere impunemente uccisi, e su di essi posero addirittura una taglia: da cinquanta a duecento ducati, secondo il giudizio dei consoli dei setaioli, ed a carico della corporazione20. 18 Cod. A, c. 129 r. 19 Geronimo di Invrea e Gregorio di Marineti, consoli dell’Arte; Francesco Lo-mellini e Raffaele de Fornari, scelti fra gli Anziani. Ad essi venne inoltre concessa la facoltà di ricompensare gli accusatori « secundum ipsis consulibus melius videbitur ». Per la prima volta, però, fu esplicitamente codificata la possibilità di appello — sulla materia — ad una Magistratura cittadina: « ... si aliqua persona senserit se gravatum, comparere possit coram Illustri Dominatione et Magnificis... », cioè ricorrere al Doge e al Consiglio degli Anziani (Cod. A, c. 59 v., decreto di Filippo di Clèves: Contra portantes artem extra). 20 « Item si reperiretur aliqua persona que defferret artem ipsam septe extra presentem civitatem Ianue, causa fabricandi illam, cadat et cecidisse intelligatur in penam confiscationis omnium bonorum suorum, et ulterius quod impune occidi possit, et qui illum talem occideret lucretur et lucratum fuisse intelligatur ducâtos a quinquaginta usque in ducentum, arbitrio consulum et consilii dicte artis septe, qui tali interfectori solvi debeant ex peccuniis arti huic spectantibus et pertinentibus » (Cod. A, c. 224 r., Contra portantes artem extra). Queste pene feroci non rappresentano un « unicum » della legislazione genovese, ma ricalcano norme in vigore da tempo a Lucca contro coloro che avessero portato l’arte della seta fuori della città 0 del distretto («...pena del capo e publicatione di tutti i beni suoi... e che colui 1 quale ucciderà alcuno di loro fuori della città di Lucca, in qualunque parte del mondo, guadagni dei publici denari del Comune di Lucca, ducati cinquanta per ciascuno di detti uccisi »). E’ peraltro da osservare che questo decreto, emanato nel 1314, quando dopo il sacco di Uguccione della Faggiola — i lavoratori della seta c e non trovavano più lavoro in Lucca si recarono numerosi a esercitare le loro arti in paesi stranieri, fu mantenuto inalterato anche nello Statuto del Comune del 1523, quando l’arte si era già diffusa in tutta l’Italia. Cfr. G. San Quintino, op. cit., pp. 106-07. A Siena, nel maggio 1440, veniva invece stabilito che ai contravventori — 190 — Questo provvedimento fu il più severo fra quelli presi nel corso del XV e del XVI secolo e rimase a lungo in vigore, per essere ribadito, in particolare, dopo la peste del 1579-80 21. Durante il « licentioso tempo della peste », infatti, per la paura del contagio, c’era stato un progressivo decentramento di numerose botteghe di filatori e di tintori; ritornata la situazione alla normalità, l’Arte desiderava ristabilire quello che considerava l’ordine costituito 22. Occorre mettere in rilievo, inoltre, come nella seconda metà del XVI secolo i setaioli — nel quadro dei provvedimenti rivolti ad impedire il sorgere di centri produttivi di tessuti serici in altre località — accentuarono il regime protezionistico anche sui telai e sugli altri strumenti necessari alla produzione dei tessuti, ed arrivarono a decretare il divieto di venderli a chi non fosse immatricolato nell’Arte dei tessitori23. Questi, a loro volta, non potevano disfarsi dei telai che avevano presso di sè se non con il permesso dei loro consoli. Accadeva, infatti, che alcuni speculatori facevano incetta di telai e ferri per tessere, in parte per rivenderli a prezzi più alti; in più larga misura, per farli uscire clandestinamente dal territorio della Repubblica24. a simili divieti « si marcasse con un ferro rovente dalla gola in su, per modo che ad ammonimento di tutti restasse visibile sempre sulla faccia quel segno d’infamia ». Cfr. L. Banchi, L’arte della seta in Siena nei sec. XV e XVI, Siena, 1881, p. 123. 21 A.S.C.G., Arte della seta, cit., fl. n. 603, Ordine che non si porti l’arte fora, 15 novembre 1580. 22 Mentre veniva vietato ai setaioli « dar sete a manufatturare a fìllatori nè a tintori fuori delle mura e... consignare e far consignare fuori della città sete alle maestre per trarle e Aliarle », fu ordinato « a tutti i tintori e fìllatori che hanno imposto butteghe così nelle tre podestarie come nell’una e nell’altra Riviera, e a tutti i lavoranti che in esse respetivamente s’esercitano, che debano fra detto termine de quin-deci giorni ritornare dentro, con tutti i loro attrati spettanti alle dette arti... » (Ibidem). 23 A.S.G., Senato, Atti, fl. n. 1319, doc. 31 ottobre 1557. In seguito alle proteste dei fabbricanti di telai, il decreto venne sospeso il 30 gennaio 1560, ma fu poi rimesso in vigore alcuni anni dopo. 24 «... Alcuni sono che comprano detti ferri e instrumenti dall’istessi fabricatori, non per usarli ne valersi per le fabriche loro, ma per farne mercadantia a guisa di monopolii, perchè hanno comprato per tenerli nelle loro botteghe e rivenderli, el che causa grandissimo danno all’arte di tessitori, perchè oltre che questi compratori rivendono detti instrumenti agl’huomini dell’arte per eccessivi precii, essi rivenditori — 191 — Bandi, proclami e minacce non riuscirono tuttavia ad impedire completamente gli espatri. Sono numerosi i documenti in cui si fa menzione di città o paesi in cui gli artigiani genovesi della seta si trasferirono, con maggiore o minore fortuna: l’isola di Chio, la Catalogna, le città di Trento, Mantova, Vicenza e Ferrara. Si tratta, specialmente nei primi due casi, di luoghi in cui era presente in abbondanza la materia prima, sia perchè prodotta sul posto, sia in quanto oggetto di un notevole commercio. Nel sec. XV, Chio era infatti un importante centro del commercio genovese, e — in un certo senso — un deposito della seta proveniente dall Oriente25 e destinata ad alimentare i telai della Dominante 26. Una prima volta, nel 1483, la fedeltà della “maona” alla patria fece rimandare a Genova, in stato di arresto, Stellino da Novi, tintore di seta, Tommaso di Vemazza, setaiolo, e Antonio dal Pozzo, tessitore di panni non hanno riguardo a chi si vendano, di maniera che per indirretto, senza impedimento delli fabricatori, segue l’incommodo e danno alla detta arte chè detti instrumenti agievolmente trapassano in detti luoghi estranei... » (A.S.C.G., Atti dei Padri del Comune, cit., fl. n. 31, doc. n. 7 dell’ll marzo 1567). Il decreto rimase in vigore nonostante che anche questa volta vi fossero state vibrate proteste da parte di « quelli che fanno i pettini, dei bancalari che fanno le cassie e li tellari, quei che fanno i ferri, li chiappuzzi che fanno i licci... ». Non è più la seta della Cina, cosiddetta del Cathay, come nel secolo prece-ente, ma quella prodotta da Mitilene, Rodi e da Chio stessa (la seta era infatti, insieme con il mastice, una delle produzioni principali dell’isola), o — in misura ancora maggiore — quella proveniente dal Mar Caspio, come la seta “stravai”, delle regioni del Sud-Est del Caspio, o la seta “leggi o leagi”, prodotta nelle regioni più ocadentali. Cfr. J. Heers, Gênes..., cit., pp. 389-91 e D. Gioffré, Il commercio importazione genovese alla luce dei registri del dazio, in « Studi in onore di A. ranfani », cit., vol. V, p. 215. La produzione di seta della Liguria era, infatti, del tutto insufficiente: « Le Cinque Terre producono insieme quasi 500 libbre di seta, pari a poco più di un quinta e. Si tratta qui di seta grezza che veniva poi ad alimentare la ricca e diffusa ustria della seta in Genova » (G. Gorrini, op. cit., p. 16). Assai scarsa questa ?44^tlt'i' ^a-° C^e S°^° Su una nave Oberto Squartafìco, proveniente da Chio nel 445, il carico è di 6.000 libbre, circa 2 tonnellate, per un valore di 40.700 lire circa c r. J. Heers, Gênes..., cit., p. 417). Notevoli erano inoltre anche le quan-j. * C^e yenivano ^portate dalla Sicilia e dalla Calabria. Secondo i cal* ioffré (op. ult. cit., pp. 183 ss. e p. 237) le sete gregge avrebbero rap-f_1Q 1 '/o delle merci non alimentari entrate nel porto di Genova nel 1519 ed il 53,4 % di quelle entrate nel 1531. — 192 — di seta, che si erano recati a Chio per esercitare le loro arti27. Così nel 1498, su richiesta della corporazione, le autorità dell’isola consegnarono ai Genovesi Gaspare Borra, che aveva a Chio un’avviata attività di produzione di tessuti serici, e bruciarono le “macchine” che egli utilizzava, anche se il procedimento da lui introdotto rappresentava una novità interessante28. Nel 1523, invece, quando la situazione del commercio dell’isola era ormai precaria per la minaccia sempre crescente dei Turchi, inutilmente le autorità della Repubblica ed i consoli dell’Arte della seta fecero appello all amor di patria dei maonesi per ottenere la consegna di un gruppo di artefici che « in quel loco si son trasferti et seco portato li instrumenti apti a tal fabrica ». Le suppliche e le minacce del doge Antoniotto Adorno non ottennero alcun effetto, poiché — come sottolinearono i consoli dei setaioli — le autorità dell’isola vedevano ora di buon occhio il fatto che un attività a carattere artigianale, e l’esercizio della filatura in particolare, cominciasse « a stender l’ali in quella isula »29. Il testo delle lettere scritte dal Doge ai maonesi in questa circostanza rispecchiò chiaramente l’irritazione dell’Arte e delle autorità genovesi che ritenevano « nihil deterius in exercitio mercature contigere posset in pre- 27 All’arrivo a Genova dei colpevoli, i consoli dell’Arte si dimostrano molto duri nei loro confronti, richiedendo alle autorità cittadine la pena capitale: « ... cete-rum quia Stelinus de Novis, tinctor sete, Thomas Vernasanus, seaterius, et Antonius de Puteo, textor pannorum sete, qui, contra formam dicti decreti arripuerant fugam €x civitate Ianue, se transferentes ad partes orientales, ut dictas artes ibi exercerent, reperti in civitate Chii, missi sunt ex Chio detenti ad civitatem Ianue, per dominum Potestatem ac dominos Mahonenses Chii, in observatione litterarum dominorum Pre-cessorum Vestrorum, dictis dominis Potestati et Mahonensibus dirrectarum, nunc sunt personaliter detenti in carceribus scale Ducalis Palatii, pro dicta contrafactione, igitur supplicant, instant et requirunt dictos sic detentos in dictis carceribus sub fida custodia, retineri donec et quousque de et super dicta contrafactione fuerit plene cognitum et iudicatum, et quicquid iudicatum fuerit, habuerint plenariam executio-nem: aliter daretur delinquendi facultas et esset res pessimi exempli... » (Cod. A, c. 90 r. e v.). 24 Cfr. Ph. Argenti, The occupation of Chios by the Genoese and their administration of the island, Cambridge, 1958, vol. I, p. 493. 29 Cod. A, c. 215 v.; Ph. Argenti, The occupation..., cit., pp. 492-3 e p. 535, sostiene che 1 industria serica, anche se in misura non rilevante, esisteva nell’isola già prima dell occupazione da parte dei Genovesi. Nella città vi era anche un quartiere detto « Aplotarià » per il fatto che, probabilmente, era il luogo dove la seta, dopo essere stata tinta, veniva stesa ad asciugare. — 193 — 13 senti civitate quam tollerare tale exercitium in dicto loco »30. Una prima lettera, di tono fermo ma pacato, venne inviata nel 1523 31 : in essa furono dettagliatamente esposte le argomentazioni dell’Arte, la cui politica di accentramento e di protezionismo non risparmiava i territori d oltremare, anche se collegati alla Repubblica da rapporti particolari, come quelli di una maona. Si richiese la simultanea distruzione di « tutti li instrumenti et artificii a tal fabrica necessarii et quali operassino » nell’isola, poiché era pervenuta notizia ai Genovesi che si erano trasferiti a Chio anche artigiani « forasteri », cioè provenienti da città diverse da Genova. L’anno dopo, 1524, una seconda lettera del doge Antomotto Adorno lasciò maggiormente trasparire l’irritazione32. Le autorità di Chio, prodighe delle più ampie assicurazioni, in pratica non avevano preso alcun provvedimento, nemmeno contro « l’esercitio » della filatura della seta, che i maonesi erano accusati di « haver lassiato in piedi ». Ma, questa lettera non servì a nulla, visto che nel 1527 il Doge dovette tornare alla carica ancora una volta23, che forse non fu nemmeno l’ultima, conferendo pieni poteri al podestà di Chio, Baldassarre Adorno, « cum ultra ordinaria... balia extraordinaria... sub pena sindicamenti et indignationis nostre », purché provvedesse con ogni mezzo « super extirpanda arte septe » . Come Chio, anche la Catalogna non mancò di attirare transfughi genovesi, già nella prima metà del XV secolo. Sembra trattarsi di un esodo di dimensioni non irrilevanti, che non implicò solo l’espatrio di maestranze, ma anche di « instrumenta et artificia ». Nel 1452, uno di questi espatriati in Catalogna, il tessitore Urbano Trincherio, osò persino rientrare a Genova per rifornire i compagni di nuovi strumenti di lavoro, ma incorse nelle maglie dalla giustizia che, proprio in quella occasione, aggravo i termini [ 30 Cod. A, c. 215 r. 31 Cod. A, cc. 215 v.-216 v. (v. il testo della lettera e della supplica dei setaioli che la provocò, in Appendice, XIX). 32 Cod. A, cc. 216 v.-218 v. (v. anche il testo di questa seconda lettera in Appendice, XIX). 33 A.S.G., Artium, fl. n. 161, doc. 26 giugno 1526, Supplicatio consulum artis seapteriorum. In seguito alla richiesta dei setaioli, la lettera venne scritta circa un anno dopo, cioè il 15 marzo 1527. 34 Ibidem, doc. 15 marzo 1527. i — 194 - l della sua intransigenza35. Sorte sempre peggiore sembrano aver incontrato, a distanza di tempo, altri avventurosi tessitori che tentarono, malgrado tutto, la via dell’espa-trio, come quel Bernardo di Sampierdarena che nel 1501, insieme ai fratelli, si trasferì a Mantova « clanculum et insalutato hospite ». Pagarono per lui i suoi famigliari rimasti a Genova, che, senza alcun riguardo per le donne, i vecchi ed i bambini, vennero arrestati e, successivamente, impegnati sotto cauzione a non allontanarsi dalla città3Ó. 35 « ... considerantesque quod, certo iam lapso tempore, quidam textorum pannorum sete arripuerunt fugam et se transtulerunt ad partes Catalonie, ut ibidem dictam artem exerceant et ipsam artem ex Ianua illuc transferant, quod erat realiter valde pernitiosum, et nuperrime supervenerit in Ianua quidam Urbanus Trincherius, unus ex illis qui ut supra recesserant, et qui venerat ut secum portaret instrumenta et artificia dicte artis textorum in Catalonia, in grave damnum et preiudicium totius Reipublice Ianuensis, quod debitum non patitur, et maxime quod présumant sine licentia clam recedere et familias eorum de civitate extrahere, instrumenta et alia necessaria ad dictas artes spectantia ad alienas regiones et terras conducere, hinc extracta, ut dictum exercitium hinc amoveatur et ad alienos transferatur, in damnum ac iacturam Reipublice Ianuensis...» (Cod. A, c. 29v.). Fu proprio in riferimento al caso del Trincherio e dei suoi compagni, che il doge Pietro di Campofregoso promulgo nel 1452 il decreto « Nrao portet artem extra ». L esito sfortunato del tentativo non fu sufficiente a calmare lo spirito d’avventura di questo tessitore thè, dieci anni più tardi, insieme con altri compagni, godeva di privilegi e prerogative a Ferrara, dove, nel 1468, giungeva anche un altro genovese, maestro Marco Calvi, chiamato dal duca Borso d’Este. Cfr. G. Morazzoni, Le stoffe genovesi, cit., p. 27. 36 « ... quod ipsi consules possint dictos fratres de Sancto Petro Arene et quemlibet eorum atque familias ipsorum, tam mares quam feminas, comprehensa etiam socru, cogere et compellere ut fideiubeant quod non recedent extra civitatem Genue, ad exercendum dictam artem, et quod non exportabunt aliqua instrumenta pertinentia ad exercitium dicte artis... usque ad eam summam que ipsis consulibus videbitur et placuerit...» (Cod. A, cc. 158v.-159r.). Non a caso questo gruppo di tessitori genovesi si trasferì a Mantova all’inizio del Cinquecento: l’arte della seta — incoraggiata da Ludovico Gonzaga nella seconda metà del XV secolo — cominciava allora a divenire fiorente, anche se solo nel secondo ventennio del Cinquecento si può parlare di vera e propria attività industriale. L’evoluzione dell’industria serica mantovana fu resa possibile proprio dagli stranieri, ai quali furono aperte le frontiere dello Stato ed offerte numerose facilitazioni. Cfr. A. De Maddalena, L’industria tessile a Mantova nel ’500 e all’inizio del ’600, e G. Coniglio, Agricoltura e artigianato mantovano nel sec. XVI, in « Studi in onore di A. Fanfani », cit., vol. IV, pp. 337-40 e pp. 642-51. Altri, invece, arrivarono fino a Trento, come un certo Augustino, figlio di Giorgio Liberti, che raggiunse quella città, « in Alamania » insieme alla madre, avvalendosi della complicita di un cittadino genovese « ona causa non nominando ». Il caso appare di particolare gravità, forse non tanto per la persona, certo influente, che salvò il fuggitivo a e spa e, quanto perchè il trasferimento, presumibilmente isolato, avreb e potu o provocare imitazioni a catena verso questo nuovo polo di attrazione, avo rito da tutta una serie di circostanze: la materia prima era prò otta posto, quindi meno cara; gli artigiani ottenevano trattamenti sca 1 pr ferenziali; i salari dovuti ai dipendenti erano più bassi ed i generi 1 prima necessità più a buon mercato. Lo smercio dei tessuti vi era ino tre m facile, perchè Trento si trovava « quasi in medio mondi », rispet mercati di Lione e del Piemonte, sulla strada per recarsi a Bruges, molto lontana dall’Italia37. Ma, oltre a questi casi di emigrazione più o meno clamorosa, i cui è del resto già traccia negli scritti di Belgrano, Sieveking, Di Tucc Heers, un esodo silenzioso portò artigiani genovesi ad introdurre o^ potenziare Parte della seta in Piemonte38, a Reggio Emilia , a Tours nella stessa Lione che, con lo sviluppo della sua industria serica ne seco XVII avrebbe largamente contribuito al declino di quella di Genova, 37 « Que res quantum detestabilis et damnosa sit toti Reipublice infra declarabunt. . • Primo se transtulerunt ad civitatem Trenti, in qua fruentur setis, item q de eis habebunt bonum mercatum. .. Secundo intelleximus ad certum eos habuisse privilegium non solven a q cabellas, tam de emendo quam de vendendo: que res facit additionem boni merca^ Tercio audivimus in ea civitate victualia pauculum precium constare, item qu manifactores cum pauca pecunia sustentare poterunt. Quarto dictus locus Trenti reputari potest esse in medio mondi, quantum spectu dicti exercitii, quia est in marcha itineris pro Brugiis, nec multum distans confinibus Italie, propter quod panna construenda commode poterunt destinare pro Lugduno ac pro Pedemontibus. Quinto quia scimus eos velle falsificare artem circa texenda veluta, et zentu nilia de filo emi, pro quo filo poterunt bonum mercatum de eis facere, ita quod est proprie artes predictas in totum destruere et sic consequenter principale membrum huius civitatis anichilare, maxime cum intelligamus eos habere auxilium pecuniarum ab aliquo cive nostro, bona causa non nominando » (Cod. A, c. 59 r.). 38 Nel 1527, un tintore di seta, maestro Sebastiano Isola, «civis Ianue», si obbligò per due anni consecutivi al servizio del nobile Benedetto Gottifredo de signori di Buronzo, che aveva impiantato a Torino una manifattura di panni di seta. Qualche tempo dopo, nel 1534, le autorità genovesi concessero a due tessitori su — 196 — traendole il mercato francese, che era uno sbocco di prima grandezza41, specialmente per i velluti ed i tessuti ricamati d’oro e d’argento42. L’accaparramento di maestranze genovesi a vantaggio del setificio francese, era cominciato precocemente, già ai tempi di Luigi XI che, nel 1470 43, tentò di attirare a Tours artefici italiani e specialmente genovesi, offrendo privilegi di ogni sorta ed autorizzando le autorità cittadine a rice- richiesta della loro corporazione — di poter rientrare in patria da Racconigi, dove si erano trasferiti: « quorum alter tamquam conscius furti commissi... fugam arripuit, alius captus amore cuiusdam femine alteri nupte cum ea arripuit ». Il loro stanziamento a Racconigi, dove era una notevole « copia magistrarum in extrahendis septis », aveva fatto sorgere nella località un centro di tessitura « frexetorum et tafetalium », il cui sviluppo impensieriva la corporazione: di qui il provvedimento di clemenza, poiché i due artigiani si dichiaravano disposti a « redire et secum adducere quos po-terint ex loco predicto » (A.S.G., Artium, fl. n. 161). Più tardi, nel 1582, un altro genovese, G. B. Castro, ottènne particolari privilegi dal Duca di Savoia per aver introdotto l’arte della seta nel vercellese ed essere riuscito, poi, a propagarla anche ad Asti e ad Aosta. Gli esempi sono numerosi anche nel secolo successivo. Cfr. G. Mo-razzoni, he stoffe genovesi, cit., pp. 29-30. 39 N. Campanini, Ars..., cit., p. 3 e p. 69, attribuisce a « mastro Antonio se-dajolo a Zenua » il merito di avere iniziato, nel 1520, l’arte in quella città, dove si era recato insieme alla moglie, presentato al Capitano ed agli Anziani da una lettera di Lucrezia Borgia. Ottenuti rapidamente quei privilegi e favori che gli parvero necessari per l’esercizio della sua attività, insieme con altri Liguri che presto lo raggiunsero, fece notevolmente aumentare l’importanza di quest’industria a Reggio. Essi influenzarono « con il loro stile e la loro tecnica » anche la poca produzione locale preesistente. In seguito al suo rapido sviluppo, nel 1546, si ebbero i primi Statuti dell’Arte della seta in quella città. 40 Nel 1546, Marino Cavalli, ambasciatore veneziano, parla dell’esistenza a Tours di ottomila telai, a cui lavoravano numerosi artigiani veneziani, ma aggiunge che i Genovesi erano in numero di gran lunga maggiore. Cfr. J. Godard, L'ouvrier en soie. Monographie du tisseur lyonnais, Lyon-Paris, 1899, p. 16. 41 Secondo N. Rondot (L’art de la soie. Les soies, Paris, 1885, vol. I, pp. 7-8), nel 1536 i soli Genovesi avrebbero venduto in Francia tessuti di seta per un milione di scudi d’oro. 42 L’ambasciatore veneziano alla corte di Francia, Marino Cavalli, scriveva nel 1546 — a proposito dei Genovesi -— che « leur travail est tout à fait du goût des Français ». Cfr. N. Rondot, L’ancien régime du travail à Lyon du XIV au XVII siècle, Lyon, 1897, p. 41. 43 Nel 1466, Luigi XI aveva cercato in un primo tempo di creare una manifattura a Lione, ma aveva incontrato una notevole ostilità nei Consiglieri cittadini e nella maggior parte dei mercanti che avevano paura di veder diminuire i loro traffici, poiché dal 1450 Lione godeva del monopolio del commercio delle stoffe di seta in Francia. Dato che, nei primi quattro anni di esistenza, la fabbrica non aveva fatto 197 - vere liberamente tutti gli artigiani genovesi che si impegnassero a lavorare per tutta la vita nella manifattura reale, esentandoli inoltre da ogni tributo 44. Quando poi il grande setificio francese mise prospere radici a Lione, lo fece — nè avrebbe potuto fare altrimenti — ricorrendo a mano d opera genovese. Dichiaratamente di origine genovese furono Stefano Turchetti e Bartolomeo Narriz45, concordemente considerati come i fondatori della « fabrique lyonnaise », come genovesi furono le maestranze da essi rec^‘ tabili « cum privilegio »46, e genovesi i modelli di velluti da imitare , quegli stessi velluti per i quali i Genovesi avevano goduto, specialmente in Francia, di un assoluto primato. molti progressi e l’importazione delle sete italiane era continuata in misura mo to notevole, nel 1470 la maggior parte degli operai venne trasferita nella nuova mani fattura di Tours. E’ in questa città che la produzione di stoffe di seta acquistò per la prima volta in Francia un’importanza notevole; per questa ragione, la sua mani fattura venne erroneamente considerata molte volte come prima anche in ordine 1 tempo. Cfr. H. Algout, Grammaire des arts de la soie, Paris, 1912, passim, e J. o-DARD, op. cit., pp. 4-9 ss. 44 « ... tous ouvriers génois s’engageant à travailler leur vie durant en la manu facture royale. Us étaient en retour exonerés de toutes taxes fiscales... ». E. Lerou dier, Histoire de la fabrique lyonnaise des étoffes de soie, Lyon, 1934, pp. 5-6. I Genovesi furono assai sensibili a questo invito: Ilario Fazio, Andrea ote a, Genesio Ricci e Giovanni da Camogli (maestri); Raffaele Pareto e Francesco Gari baldi (lavoranti) furono fra i primi a recarsi nella città francese, come risulta da^ L. T. Belgrano (Vita privata..., cit., p. 192) integrato da R. Gandillon (Politique économique de Louis XI, Rennes, 1941, p. 180). 45 Per J. Godard (op. cit., p. 15) i due artigiani sarebbero stati invece piemontesi; per N. Rondot (L’ancien régime..., cit., p. 35) Stefano Turchetti sarebbe stato originario di Chieri. Ma, in un atto del 1460 del notaio Nicola Garumberio, concernente l’affitto, da parte dei consoli dell’arte della seta, della loggia della corporazione, viene nominato fra i testimoni « Benedictus Turchetus, textor pannorum septe, civis et habitator Ianue » (Cod. A, c. 33 v.). 46 Nelle « Lettere patenti », concesse da Francesco I alla città di Lione nell ottobre del 1536, è riconosciuto al Turchetti e al Narriz « le droit de faire venir du pays de Gênes des compagnons et ouvriers aver leurs femmes et enfants, pour habiter perpétuellement en la ville de Lyon et y faire des draps de soie, d’or et d’argent. Ces compagnons, ouvriers et apprentis, seraient exempts, leur vie durant, de tous droits, tailles et impositions, et leurs veuves jouiraient du même privilège après leur mort ». Venne inoltre concessa la cittadinanza francese a tutti gli artigiani ed ai loro figli (cfr. E. Leroudier, op. cit., pp. 6-7). Grazie al suo rapido sviluppo, la manifattura lionese ebbe i propri Statuti omologati già nel 1554. 47 Cfr. J. Godard, op. cit., p. 16 ss. — 198 - APPENDICE I Primo emendamento agli statuti del 1432 1441, 18 novembre Cod. A, c. 26 v. Item quod consules proxime preteriti et alii venturi teneantur et debeant definire omnes questiones coram eis inceptas intra menses duos transacto tempore sui anni, sub pena florenorum decem ianuinorum pro utroque ipsorum auferenda, et pro dimidia applicanda dicte arti et pro reliqua dimidia Operi portus et moduli. Item quod ipsi consules teneantur intra dictum tempus exigere omnes debitores dicte artis et solvere, similiter recipere, debentibus a dicta arte pro suo tempore tantum et reddere de predictis omnibus rationem aliis consulibus sequentibus, sub pena predicta et applicanda ut supra. mccccxxxxi, die xvm novembris. Illustris et Excelsus Dominus Dux Ianuen sium etc., et Magnificum Consilium Dominorum Antianorum civitatis Ianue, in sufficienti et legitimo numero congregatorum, audita requisitione coram eis facta, parte Bartolomei Gati et Antonioti de Arquario, consulum artis predicte seapteriorum, requirentium confirmationem suprascriptorum duorum capitulorum, quia convenire videntur commodum et utilitatem hominum dicte artis, omni modo, via, iure et forma quibus melius p>otuerunt et possunt, ipsis prius duobus capitulis visis et lectis, approbaverunt et ratificaverunt illa et omnia et singula in eis contenta, mandantes ipsa observari debere, sub pena in dictis capitulis contenta. Matheus de Bargalio, cancellarius. II Aggiunta ai capitoli dell’arte dei tessitori di cinture di seta, con riconoscimento di particolari prerogative ai setaioli 1444, 9 dicembre Cod. A, c. 27 r. e v. mccccxxxxiiii, die xxvii novembris. Pro declaratione contentorum in capitulis artis textorum cintorum septe, tam ad licia quam ad torellas, facte sunt additiones infrascripte per viros prestantes Badasarem de Vivaldis, Damianum de Oliva et Theramum de Cavo, tres ex quatuor correctoribus capitulorum artium civitatis Ianue, absente egregio Gabriele de Persio, quarto collega ipsorum officialium, quibus attributa est ampla balia et arbitrium per Illustrem et Excelsum Dominum — 201 - Ducem Ianuensium et Magnificum Consilium Dominorum Antianorum, corrigen i, addendi, minuendi et emendandi capitula artium civitatis Ianue. Et primo, considerantes quod seapterii fuerunt caput et fundamentum artis textorum cintorum septe, tam ad torellas quam ad licia, declaraverunt et presentium tenore declarant, dictos seapterios et eorum quemlibet posse tenere in eorum et cuiuslibet ipsorum domibus et appotecis eos laboratores cintorum, et tarn mares quam feminas, pro ipsorum et cuiuslibet eorum voluntatis libito, prout actenus tenuerunt, non obstantibus aliquibus capitulis concessis textoribus dictorum cinto rum forte in contrarium disponentibus. . , Item quod mulieres nunc artem textorie cintorum exercentes, et que in turum exercebunt, possint, eisque liceat, edocere pueros Ianuen6es et ictioni ^ a nuensium suppositos, impune, non obstante contraditione, seu capitulo a iquo tis textoribus concesso, in contrarium disponente. Et qui pueri adiscentes su seap teriis et mulieribus, postquam steterint ad magisterium annis sex et fuerint appro bati sufficientes per consules artis seapteriorum, si regere voluerint appotecam, so vere teneantur prout reliqui dicte artis, consulibus ipsius artis, libras quinque nuinorum pro eorum singulo, et sint suppositi capitulis ipsius artis. Item quia, non bene informati, concesserunt magistris cintorum ad licia possin, in introitu dicte artis cuiuscunque forensis, percipere et habere pro ona intrata libras vigintiquinque ianuinorum, quod est unumquid excessivum, e i e verunt quod, non obstante dicto capitulo, quicunque- forenses, approbati seu approbandi per consules dicte artis sufficientes ad regendum appotecam, non possint cogi ad solvendum nisi tantummodo libras decem ianuinorum; Ianuenses vero bras quinque, ut superius declaratum est. Mccccxxxxiui, die vnn decembris. Illustris et Excelsus Dominus Dux Ianuen sium et Magnificum Consilium Dominorum Antianorum in sufficienti et legitimo numero congregatorum, visis additionibus et declarationibus suprascriptis et con tentis in eis, illas approbaverunt et confirmaverunt, mandantes eas servari in om nibus et per omnia prout in eis continetur. Thomas de Credentia, cancellarius. III Contratto di locazione della prima loggia dell’arte 1460, 11 ottobre Cod. A, cc. 32 r. - 33 v. In nomine Domini, Amen. Marietina, filia Melchionis de Vivaldis et uxor quondam Iuliani de Marinis, in presentia, auctoritate, voluntate et consensu dicti Melchionis patris sui, presentis, autorizantis, volentis et consentientis, omni modo, iure, via et forma quibus melius et validius potuit et potest, locavit et titulo locationis dedit et concessit et seu quasi, Iohanni Pansano, quondam Iacobi, et Antonio Caffa-roto, seateriis, consulibus artis seateriorum civitatis Ianue, presentibus, stipulantibus — 202 - et recipientibus nomine et vice dicte artis et hominum eiusdem artis seateriorum, sub pactis et conditionibus infrascriptis, quandam voltam sive logiam ipsius Marietine, quam habet sub domo sua, sita Ianue in contracta illorum de Marinis, cui coheret antea carrubeus, ab uno latere domus Urbani lode, ab alio domus Damiani Squartafici, retro domus Iacobi de Marinis, et si qui sunt seu esse consueverunt viciniores confines, cum omnibus et singulis iuribus, ingressibus et egressibus ad dictam logiam sive voltam spectantibus et pertinentibus, nichil ex eis in ipsa Marietina retento, ad habendum, tenendum, gaudendum, possidendum et usufructuandum, titulo locationis predicte, usque ad annos novem proxime venturos, incohandos in calendis ianuarii proxime venturi anni de mcccclx primo, pro pensione et nomine pensionis librarum duodecim ianuinorum monete currentis, omni anno dictorum annorum novem, in calendis ianuarii dandarum et solvendarum ipsi Marietine per consules dicte artis seateriorum sive massarios eorum aut legitimam personam pro eis, promittens ipsa Marietina dictis Iohanni et Antonio, consulibus antedictis artis seateriorum, stipulantibus nomine et vice dicte artis, dictam logiam sive voltam eisdem et hominibus dicte artis dimittere et non aufferre per dictos annos novem, pensionem non augere nec pacta mutare, sed dictam logiam sive voltam eisdem deffendere, autorizare, expedire et disbligare a quacumque persona, comuni, corpore, collegio et universitate, expensis propriis ipsius Marietine, remissa eisdem consulibus et hominibus dicte artis necessitate denuntiandi et apellandi ac alia iuris solempnia. Versa vice dicti Iohannes et Antonius, consules antedicti, aceptantes supra-scriptam locationem et omnia et singula supra et infra scripta, promisserunt et solempniter convenerunt dicte Marietine, presenti et stipulanti pro se, heredibus et quibuscumque successoribus suis ac habentibus et habituris causam ab ea vel eis, dictam logiam sive voltam tenere et conducere ab ipsa Marietina per tempus suprascriptum, et omni anno dictorum annorum novem, in calendis ianuarii, dare et solvere eidem Marietine sive persone legitime pro ea, libras duodecim ianuinorum monete currentis, pro pensione et nomine pensionis dicte logie, et in fine dictorum annorum novem dictam logiam sive voltam restituere et relaxare dicte Marietine melioratam et non deterioratam, in pace et sine lite, omni omnino exceptione remota. Acto tamen in presenti instrumento inter ipsas partes, et tam in principio, medio, quam in fine et qualibet eius parte, quod si, finitis dictis annis novem, consules sive homines dicte artis aut legiptima persona pro eis adhuc elligerent conducere dictam logiam sive voltam a dicta Marietina pro aliis annis novem, pro dicta annua pensione, et infra mensem unum a fine dictorum annorum novem tunc proxime venturos, requirerent a dicta Marietina, sive legitima persona pro eis ', quod de dicta logia faceret ipsis consulibus sive legitime persone pro eis locationem pro aliis annis novem pro dicta annua pensione, tunc et eo casu, dicta Marietina, sive successores sui, teneatur et debeat, sive teneantur et debeant, facere dictis consulibus dicte arris, ut supra stipulantibus, instrumentum dicte locationis pro dictis annis novem, et si recusaverit seu recusaverint illud facere, teneatur et debeat, seu 1 eis: così il manoscritto in luogo di ea — 203 — teneantur et debeant, dare et solvere dictis consulibus libras quinquaginta ianuinorum, pro expensa seu tabullariis per eos facta in dicta logia. Si vero, finitis dictis annis novem, dicti consules sive homines dicte artis non amplius elligerint conducere dictam logiam, non teneatur dicta Marietina aliquid solvere dictis consulibus pro dicta expensa a tabulariis factis in dicta volta, ymo dicta volta cum dictis tabulariis et expensa restet, absque aliqua solutione fienda, dicte Marietine. Item acto in presenti instrumento prout supra inter ipsas partes, quod si dicta Marietina infra dictos annos novem venderet dictam domum cum logia, ex quo presens locatio esset finita, teneatur et debeat dicta Marietina dare et solvere consulibus dicte artis, pro dictis expensa et tabulariis factis in dicta volta seu logia, libras triginta la-nuinorum, salvo si ille in quem facta esset dicta venditio dicte domus cum logia, permitteret quod homines et consules dicte artis conducerent dictam logiam ab eo pro dicta annua pensione per dictos annos novem, et etiam per alios annos novem finitis dictis primis, si hoc pro dictis aliis novem elligerent dicti consules. Item etiam acto in presentì instrumento prout supra inter ipsas partes, quod si, finitis dictis annis novem et adhuc conducentibus dictis consulibus et homi nibus dicte artis pro alliis segundis annis novem dictam logiam, contingeret dictam Marietinam vendere dictam domum cum logia, ex qua venditione esset finita dicta locatio, tunc et eo casu etiam dicta Marietina teneatur et debeat dare et solvere dictis consulibus, pro dictis expensis tabulariorum factis in dicta logia per dictos consu les, libras vigintiquinque ianuinorum, nisi emptor eiusdem domus cum logia resta ret contentus quod dicti homines et consules dicte artis conducerent ab eo dictam logiam pro dictis segundis annis novem. Que omnia et singula suprascripta dicta Marietina iuravit ad sancta Dei Evan gelia, tactis corporaliter scripturis, et etiam dicta Marietina et dicti consules, présentes et stipulantes prout supra, promisserunt et solempniter convenerunt sibi ipsis invicem et vicissim habere perpetuo et tenere rata, grata et firma actendere, complere et effectualiter observare, et contra in aliquo non facere, dicere vel venire, de iure vel de facto, aliqua demum ratione, occaxione vel causa, que quovis ingenio dici vel excogitari posset, sub pena dupli tocius eius de quo vel in quo contrafieret vel ut supra non observaretur, cum restitutione tamen omnium dannorum, interesse et expen sarum que propterea fierent seu essent litis et extra solempni stipulationi premissa, ratis tamen et firmis semper manentibus suprascriptis. Et perinde et ad sic observandum, dicta Marietina, dictis consulibus ut supra stipulantibus, ypotechavit et obligavit omnia bona sua, presentia et futura, et ex adverso dicti consules obligaverunt dicte Marietine ut supra stipulanti, omnia bona dicte artis, presentia et futura, et presertim tot proventus locorum dicte artis, valentes annuatim dictam pensionem, ita quod specialis obligatio non derroget generaliter nec econverso. Actum Ianue, in contracta illorum de Marinis, videlicet in aula dicte domus, anno dominice nativitatis milessimo quadringentessimo sexagessimo, inditione octava segundum Ianue cursum, die sabati undecima octobris, hora vigessima secunda vel circa. Presentibus testibus ad hoc vocatis et rogatis, Simone de Iugo, testore pannorum septe, quondam Antonii, et Benedicto Turcheto, etiam testore pannorum septe, civibus et habitatoribus Ianue. — 204 - Ego Nicolaus Garumberius, quondam Petri, imperiali auctoritate notarius, predictis omnibus interfui, rogatus subscripsi, testatus fui et publicavi, licet per quen-dam coadiuctorem meum, in hanc publicam formam, extrahy fecerim, variis meis negociis occupatus. IV Capitoli dell’arte dei tintori di seta 1465, 13 febbraio Matricola dell’Arte dei tintori, ms. B.C.B., segn. m. r. I, 2, 1, cc. 1 r. -14 r. Giesus, mcccclxv, a xxv di genaro. Noi Anfrano Centurione, Branca di Bagnara, notaro, Gioanni Gentile, del quondam Andrea, e Tomaso Scaglia, capitu-latori, revisori e refformatori de’ capitoli dell’arti, artisti della città di Genova e borghi, elletti e deputati a queste cose con potestà a bailia della quale consta in atti della Cancellarla del Commune di Genova, uditi et intesi i consoli dell’arte de’ tintori d’endeghi e sete della città e borghi di Genova, domandanti e richiedenti che li capitoli infrascritti della detta arte per noi concedere e rifformar si debbano ad essi consoli, a nome e vicenda degl’huomini della dett’arte, e visti e diligentemente letti et essaminati li detti capitoli per noi, diciamo e refferiamo a Voi Illustre e Magnifico Signor Ducale in Genova Governatore et anche al Magnifico Consiglio de’ Signori Antiani del Commune di Genova come in appresso. E prima sopra il capitolo primo della detta arte, posto sotto la rubrica « di punire li fraudatori », il tenor del quale è tale: « E prima che gl’homini della dett’arte siano tenuti e debbano la loro arte bene e legalmente esserdtare, nè debbano commettere o far commettere alcuna fraude in la dett’arte o in alcuno lavorerò che appartenghi alla dett’arte o che facino essi o alcun di loro, e se alcuno contrafarà sia punito e condennato per li consoli della dett’arte in libre quatro di Genova ogni volta che contrafarà, in arbitrio di detti consoli e consiglieri della detta arte », diciamo e refferiamo che il detto capitulo si deve concedere e confermare in tutto come in quello si contiene. Sopra l’altro capitulo posto sotto la rubrica « di non recapitare li disdpoli o sia garzoni d’altri i quali si saranno partiti inanti il termine e ài non dare a quelli da lavorare » il cui tenore è tale: « Item che alcuno di detta arte non debba dare da lavorare ad alcun garzone o sia discepolo o lavorante o esso recapitare in alcun modo il quale fusse stato accordato con qualcheduno di dett’arte a lavorare o a fare suoi servitii per qualche termino, se si sarà partito da quello col quale fusse stato accordato senza licenza di quello, prima del termine, e se alcuno contrafarà sia punito e condennato per li consoli di detta arte in libre cinque di Genova ogni volta che contrafarà, e se li consoli della detta arte saranno negligenti in scuodere la detta pena, siano condennati essi in la medema pena. Item non dii nè debba dare alcuno di detta arte da lavorare ad alcuno lavorante forastiero accordato a certo termine o sii a finire alcun lavore, eccetto compito il tempo convenuto o finito il lavore come di sopra, sotto pena di soldi venticinque per - 205 — ogni giorno che contrafarà dopo che li sarà stato denontiato d’ordine de’ Signori Viceduci a instanza de’ consoli di detta arte », diciamo e refferiamo che il detto capitolo si deve concedere e confermare come in quello si contiene, salvo che in quella parte del detto capitolo dove si dice « se alcuno contrafarà sii punito e condennato per li consoli della detta arte in lire cinque di Genova ogni volta che contrafarà », doversi dire e reflormare « che sii punito e condennato sino in lire cinque ogni volta che contrafarà, in arbitrio di detti consoli rispetto alla detta pena ». Sopra un altro capitolo1 posto sotto la rubrica « che alcuna persona di qual si vogli qualità sii, non ardisca nè presuma lavorare fuori delle boteghe della detta arte » et il cui tenore è tale: « Item è stato statuito et ordenato che niuna persona di qual si vogli qualità o conditione sii, ardischa o presuma tingere o far tingere alcuna cosa appartenente alia dett’arte in casa di alcuna persona di qualùnque qualità sia, eccetto nelle boteghe publiche delli mastri di dette arti, e questo sotto pena de lire venticinque di Genova per ogni volta che contrafarà, e se alcuno mastro o lavorante o discepolo contrafarà al sopradetto capitolo, sia tenuto il mastro per il garzone pagare la detta pena, la mettà delia quale sia dell’Opra del porto e mole e l’altra mettà della dett’arte, e la qual pena si possa scodere per li consoli della dett’arte etiamdio senza licenza del magistrato, dichiarato però che il mastro sia tenuto per il garzone pagare la detta pena e questo sia in arbitrio de’ consoli e consiglieri della detta arte », diciamo e refferiamo che il detto capitulo si deve concedere e confermare come in quello si contiene. Sopra un altro capitulo posto sotto la rubrica « della bailia de’ consoli in decidere le questioni » et il cui tenore è tale: « Item che li consoli della dett’arte pos-sino conoscere, definire e sententiare in le questioni e sopra le questioni che vertono fra gl’huomini de detta arte tanto che siino da lire dieci tanto a basso, et astringere chi si vogli di detta arte a dare a cui si vogl’altro a cui devono dare, purché la cosa domandata non ecceda libre dieci, e se alcuno di dett’arte non stesse al giuditio de’ consoli di dett’arte o fusse disubidiente ad essi consoli in le predette cose o alcuna d’esse, sia condennato e punito e s’intenda essere ipso iure condennato in soldi quaranta di Genova ogni volta che fusse disubidiente aili consoli predetti, nelle quali cause, cioè da lire dieci a basso, per detti consoli si proceda e procedere debba e tal caosa definire in scritti e senza scritti et a bocca e senza libello o sii richiesta, sommariamente e di piano, senza strepito e figura di giuditio, conosciuta la sola verità del fatto, secondo le loro pure conscienze, solo havendo mira a Dio et alla mera verità, osservati li capitoli e non osservati, come a detti consoli meglio parerà e piacerà, e contro le loro sentenze e deffinitioni non si possa appellare, querellare, supplicare o esser detto di nullità, ma ipso iure s’intendano essere passate in giudicato e le loro sentenze si debbano essequire come a loro meglio parerà e piacerà. Item che se ad alcuno di dett’arte fusse dato o sii commesso qualche la-vore a fare e la questione si ritrovasse tra quello di dett’arte e quello che havesse commesso il detto lavore, dicendo che il detto lavore non fusse ben fatto e guasto, possino li consoli di dett’arte la detta tale questione conoscere e definire, e quello di dett’arte debba stare al giuditio di detti consoli in la predetta questione, e li 1 depennato : della dett’arte - 206 - Signori Viceduci et ogni magistrato siano tenuti e debbano il detto tale della dett’arte fare stare al giuditio di detti consoli e non altamente, purché la cognitione predetta proceda di volontà di quello che havesse commesso il detto lavore. Item che li consoli e consiglieri di dett’arte possino la loro sentenza dare e giudicare sopra qualonque lavori partenenti alla dett’arte che si dicessero essere stati mal fatti o sii lavorati, e secondo giudicheranno o sii sententieranno si faci et osservi per gl’homini di dett’arte e questo fra gl’huomini di dett’arte tanto », diciamo e refferiamo che il detto capitulo che contiene tre articuli si deve concedere e confermare come in essi tre articuli si contiene, salvo che in quella parte del primo articulo dove si dice « che li consoli di dett’arte possino conoscere e sententiare sopra le questioni vertenti fra gl’huomini di dett’arte tanto che sono da lire dieci a basso » si debba dire e refferire « da lire cinque a basso tanto », item salvo che in quella parte del secondo articulo dove si dice « purché la cognitione del lavore proceda di volontà di quello che havesse commesso detti lavori » si debba refformare che « se non procedesse di volontà di quello quale havesse commesso detti lavori se ne stii e debba stare delle predette cose alla cognitione del magistrato competente ». Sopra un altro capitolo posto sotto la rubrica « di ubidire alli consoli di dett’arte » et il tenor del quale segue come in appresso: « Item che ogn’uno di dett’arte sii ubligato e debba ubidire alli comandamenti de’ consoli della dett’arte in quelle cose e sopra quelle cose che appartengono al loro ufficio per conto di dett’arte licite et honeste, cioè che ogni persona ch’ha beneficio di dett’arte sii tenuta andare alla Messa et alli corpi de’ deffonti, et ubidire alli consoli in le predette cose et in tutte l’altre licite et honeste come sopra, e questo sotto pena de soldi cinque sino in dieci, e che li mastri siano tenuti pagare la detta pena per li lavoranti, da sco-dersi per detti consoli da ogni contrafaciente tante volte quante sarà stato contrafatto », diciamo e refferiamo il detto capitolo doversi concedere come in quello si contiene. Sopra un altro capitolo posto sotto la rubrica « di non lavorare a quelli che recusano di pagare », et il cui tenore segue come in appresso « Item che niuno di dett’arte debba lavorare o far lavorare per sè o per interposta persona per lui ad alcuna persona o persone che debba o debbino dare ad alcuno di dett’arte, eccetto se prima si sarà accordato con quello che haverà dovuto o doverà havere, dopoché li sarà stato denontiato per il messo della dett’arte, sotto pena del debito », diciamo e refferiamo il detto capitolo non doversi concedere nè confermare perchè è stato fatto in pregiuditio de tutti li cittadini di Genova. ■ Sopra l’altro capitolo « di non incantare o sia prendere a pigione case o bote-ghe » et il cui tenore segue come in appresso: « Item che alcuna persona della dett’arte o la quale essercitava dett’arte in modo alcuno o ingiegno per sè o qualchi altra persona, non possa nè debba incantare o fare incantare alcuna casa, volta, banco, botega o starna la quale o il quale alcuno di dett’arte tenesse o terrà a pigione, al detto che la tiene incantarla o farla incantare, sotto pena de lire venticinque di Genova per ogn’uno e per ogni volta che contrafarà, e di più in l’istessa casa o botega, banco, volta o stanza stare non possa d’un a cinqu’anni all’hora prossimi da venire, sotto la detta pena », diciamo e refferiamo che il detto capitolo non si deve concedere nè confermare. — 207 - Sopra un altro capitolo posto sotto la rubrica « di non amettere schiavi alla dett’arte eccetto come in appresso » et il cui tenore segue come in appresso: « Item che ogn’uno della dett’arte possa e vaglia instruire et insegnare la dett arte a qual si vogli servo e schiavo suo o d’altri, quali però servi o schiavi o fatti liberi in alcun tempo non possino esser consoli o sia botegari o regere o governare alcuna botega, nè essere consoli o ufficiali o sia dare alcune voci o haverne in ellegere li consoli o ufficiali della dett’arte, o fare alcuno ufficio o benefìcio di dett arte o essercitarlo, sotto pena de lire cento di Genova; possino però li detti servi lavorare come lavoranti a giornate », diciamo e refferiamo che il detto capitulo si deve concedere e confermare come in esso si contiene. Sopra un altro capitolo posto sotto la rubrica « di cellebrare le feste », et il cui tenore segue come in appresso: « Item che alcuno di dett’arte non debba la vorare o fare lavorare in giorni di Dominica o in le feste infrascritte, o alcuna d’esse, sotto pena di fiorini quatto per ogn’uno et ogni volta: la festa della Beata 1 Vergine Madre Maria la festa delli Apostoli et Evangelista la festa di santo Lorenzo la festa di santo Honorato, protettore nostro la festa di santo Antonio la festa di santi Fabiano e Sebastiano la festa di santo Michele la festa di santo Nicolò la festa di santa Maria Madalena la festa di santo Georgio2 la festa di tutti li Santi », diciamo e refferiamo il detto capitolo doversi concedere e confermare come in quello si contiene. Sopra un altro capitulo posto sotto la rubrica « che li consoli siano ubligati accordare li rissanti », et il cui tenore segue come in appresso: « Item che li con soli di dett’arte siano tenuti accordare li rissanti di dett’arte fra sei giorni, sotto pena de soldi venti di Genova per ogni console se sarà negligente in alcuna e e predette cose, et ogn’uno delli rissanti debbano ubidire aili consoli e mandati loro liciti et honesti, sotto pena di soldi quaranta di Genova per ogni disubidiente », diciamo e refferiamo il detto capitolo doversi concedere e confermare come in quello si contiene. Sopra un altro capitolo « di scoder le condanne et applicarle », et il cui tenore segue come a basso: « Item che li consoli di dett’arte siino tenuti e debbano scodere tutte le condanne fatte in tempo del loro consolato, e la parte toccante al- 1 Opera del porto e mole siano tenuti consignarla alPUfficio della detta Opra, sotto pena di pagare del loro proprio. Item che di tutte le pene e di tutto quello che si scuodera in vigore e per occasione de’ presenti capitoli, la mettà sia dell’Opera del 1 depennato: Maria 2 depennato-, Nicolò — 208 — porto e mole e l’altra metta della detta arte, salvo che si facesse mentione dell’accusatore: all hora la terza parte sii dell’accusatore, un’altra terza parte del porto e mole e 1 altra terza della detta arte », diciamo e refferiamo il detto capitolo doversi concedere e confermare come in quello si contiene. Sopra un altro capitulo posto sotto la rubrica « del giuramento de’ consoli et ufficiali homini di dett’arte », et il cui tenore segue come in appresso: « Item che tutti li consoli, consiglieri et ufficiali della dett’arte et ogn’uno d’essi, dopo l’ellet-tione d essi ufficiali e prima deH’incominciamento del loro ufficio, e qualùnque altri di dett arte, una volta in vita, tanto giurar debbano e siino tenuti alli santi Evan-gelii di Dio, tocate corporalmente le scritture, che da quel giorno in l’anno, sino all ultimo giorno, saranno fedeli all’illustre Signor nostro Duce di Genova et al presente stato suo pacifico, contro ogn’homo di qual si vogli conditione, grado e preminenza sia, nè saranno in consiglio, aiuto o favore che il medemo Duce o il suo Stato habbi, riceva o assuma in persona o beni alcuna lesione, ingiuria o offesa, o che perda la giuridditione e dominio sopradetto, ma più presto se saperanno o sentiranno che alcuno trattasse o machinasse alcuna machina contro le predette cose o alcuna d’esse, o dell’infrascritte, in pregiuditio del Dominio prelibato o del suo Stato, li daranno ogn’impedimento che potranno acciò non si faci, e se non potranno impedirla, la reveleranno quanto presto potranno al detto Signore o alli suoi ufficiali e daranno il suo aiuto e favore contro quelli che contrafaranno contro di loro o alcuno d’essi, e se a loro o alcuno di loro sarà manifestato in secreto per il Signore antedetto o qualche suo officiale qualche cosa, non la propalleranno o manifesteranno ad alcuno, nè faranno o commetteranno alcuna cosa per la quale quel secreto in maniera alcuna si pallezzi, e se da quelli o alcuno di loro sopra qualche cosa o negotio alcuno sarà domandato consiglio, per quello o alcuno di loro li daranno quel consiglio quale essi danti crederanno essere più utile a quelli che rissercano il consiglio, nè mai scientemente faranno o commetteranno cosa alcuna a sua ingiuria o offesa, et il loro officio et arte esserciteranno et opereranno secondo la forma de’ suoi capituli, come stanno ad literam », diciamo e refferiamo il detto capitalo doversi concedere come in quello si contiene, doversi però rifformare in quella parte dove si dice e si fa mentione « dell’illustre Signor Duce di Genova », doversi dire « dell’illustrissimo Signor Duce di Milano, patrone di Genova ». Sopra un altro capitalo posto sotto la rubrica « di pagare le spese fatte e da farsi per il bene di dett’arte » et il cui tenore segue come in appresso: « Item che gl’homini di dett’arte siano tenuti e debbano pagare ogni quantità de denari delle spese che si faranno per il bene et utile di dett’arte, secondo che per li consoli e consiglieri i quali all’hora saranno o per tempo saranno, sarà tassato, sotto pena de lire cinque, la mettà della quale si debba applicare all’Opra del porto e mole, l’altra parte alla detta arte, e se li consoli saranno negligenti in scuodere la detta pena, siano obligati pagare del loro proprio », diciamo e refferiamo il detto capitalo doversi concedere e confirmare come in quello si contiene. Sopra un altro capitulo posto sotto la rubrica « di non fare, o sii tingere o fare tingere colori falsi », et il tenore del quale capitolo segue come in appresso: « Item che niuno di dett’arte ardischi o presuma tingere o fare o fare tingere o fare fare colori morelli di cremexi il quale non habbd due terze parti del colore, e similmente colori morelli di grana, il quale ancora non habbi due terze parti del — 209 - 14 colore, che prima et avanti li detti colori non si mostrino aili consoli di detta arte, sotto pena di fi[o]rini venticinque da prendersi a tale contrafaciente per li detti signori consoli tante volte quante sarà contrafatto, la cui mettà sii applicata a pera del porto e mole, e l’altra mettà alla dett’arte. Item che niuno etiamdio di dett’arte debba rendere o restituire ad alcuna persona, mercadante, artefice o sii seatero o a qual si vogli altra persona ch’avesse dato a tingere seta di cremexi o sii grana di cremexi che prima et avanti tutte l’altre cose la detta seta non sia stata revista per li consoli della ■ dett’arte, sotto la pena di sopra enontiata, d app icarsi e scodersi come sopra1 », diciamo e refferiamo il detto capitolo doversi conce ere e confirmare come in quello si contiene. Sopra un altro capitolo posto sotto la rubrica « che niuno possa tingere panni di grana, eccetto come in appresso », et il cui tenore segue come in appresso. « Item che niuna persona cittadina o sii forestiera di qualonque grado o con itione sia, vaglia o presuma tingere panni di lana o sia berrete di grana2 in 8ra^ja c prima non habbino imparata l’arte de’ tintori di seta o de’ tintori de panni i ana in la città di Genova, sotto pena de lire dieci di Genova tante volte a SCG quante sarà stato contrafatto da ogni contrafaciente e d’ivi sopra sino in ire ven cinque, in arbitrio de’ prefati consoli, d’applicarsi per la mettà come sopra a pra del porto e mole e per l’altra mettà alla detta arte », diciamo e refferiamo capitolo doversi concedere e confermare come in quello si contiene. Sopra l’altro capitolo ultimo che comincia: « Item si è statuito et or ma che alcuno cittadino di Genova, distrittuale o sii forastiero, il quale non ^ aver imparata dett’arte in Genova, stando accordato con alcuno di dett arte per instru mento per anni cinque in sei, in arbitrio del console di dett’arte e del mastro co quale sarà stato, non possa nè debba havere, fare o tenere o sia fare tenere o are fare botega in Genova, nei borghi o sottoborghi per lavorare di dett arte », diciamo e refferiamo il detto capitolo doversi concedere e confermare come in quello si con tiene. Copia. Io detto Branca di Bagnara dico e reffero come sopra, e di mano mia propria mi sono sottoscritto. Copia. Io Anfrano Centurione affermo come sopra. Copia. Io Giovanni Gentile affermo come sopra. Copia. Io Tomaso Scaglia dico, reffero come sopra, e di mia man propria mi sono sottoscritto. Copia. Giovanni Calvo, notaro. A dì tredici febraro 1465. Il Molto Illustre Signor Conrado di Foliano, Ducale in Genova Locotenente e Governatore et il Magnifico Consiglio de’ Signori An-tiani in sufficiente e legitimo numero congregati, havuto fra di loro maturo essame sopra le predette cose, e considerata la conditione del negotio e di quelli quatro a’ quali tal cura è stata commessa, la prudenza e qualità delli capitoli e tutto il contenuto in essi hanno approvato e ratificato in tutto come in quelli si contiene. 1 depennato-, abbiamo detto 2 grana: così il manoscritto per lana — 210 — 1486, 13 dicembre Matricola . . ., cit., cc. 50 r. - 52 v. Guhelmo da Nove e Giovanni Antonio dall’isola, consoli dell’arte de’ tintori di seta, e gl homini della dett’arte richiedono essere confirmati l’infrascritti loro capitoli e che s aggionghino alli capitoli della dett’arte per il Reverendissimo in Cristo Padre e Signor Duce di Genova e Magnifico Consiglio de’ Signori Antiani del Commune di Genova, il tenore de’ quali capitoli che si risserca che siino agionti di parola in parolla segue et è tale: « E prima li detti consoli et homini della dett’arte hanno statuito e deliberato che alcuna persona della dett’arte non possa nè debba nè li sia lecito in modo alcuno, dirrettamente o indirrettamente, per sè o per interposta persona per lui, tingere colori negri cioè seta eccetto di galla, vitriola, goma, limagia rausìa, roza et acceto e sapone e non ponerai alcun’altra mistura. E di più anche hanno statuito e delibetato che qualùnque persona quale commetterà fraude in la dett’arte sii privata e s’intenda essere privata e sia del tutto amossa dalla dett’arte. Item chi prenderà giuramento falso etiamdio sii privato e s’intenda esser privato e sii del tutto amosso dalla dett’arte. Item chi porterà la dett’arte fuori della città di Genova senza licenza de’ pre-fati Signori consoli et università degl’huomini della dett’arte, similmente sia privato e s intenda essere privato della dett’arte, e mai in tempo alcuno possa la dett’arte essercitare in la città nè in lo distretto di Genova. Di più hanno statuito e deliberato che alcuno di dett’arte non possa nè debba nè li sia lecito fare nè fare fare colore o sia colori ***** i eccetto di grana e rozia, e non d alcun altra cosa, e che non debba restituire il detto lavorerò che prima non habbi quello mostrato alli detti consoli della dett’arte. Statuendo di più e deliberando che qualonque loquale contrafarà in le predette cose o alcuna di quelle, cada e s’intenda essere cascato in pena di privatione della dett arte o di pagare libre venticinque sino in cinquanta di Genova, in arbitrio de prefati Signori consoli, d’applicarsi per una mettà alla dett’arte e per l’altra metta all Opera del porto e mole, eccetto se v’interverrà l’accusatore, perchè all’hora s applichi per una terza parte al detto accusatore e per l’altra terza parte all’Opera del porto e mole e per l’altra terza parte alla detta arte e queste cose non ostante le predette ». mcccclxxxvi, a dì xiii di decembre. Il Reverendissimo et Illustre etc., et il Magnifico Consiglio etc., udita la richiesta fatta da Gulielmo di Nove e Giovanni Antonio dall’isola, consoli dell’arte de’ tintori di seta, nominati nella soprascritta scrittura, et anche Paolo di Nove, della dett’arte, comparente per interesse suo e della dett’arte, richiedente anche che si concedino quelli capitoli ad essa arte perchè servono a beneficio d’ogn’uno, sì come da quelli chiaramente si può intendere, conoscendo che quelle cose le quali sono state richieste non solamente sono honeste ma 1 lacuna nel manoscritto. - 211 - anche utili, e volendo aderire e compiacere ad essi homini, per ogni modo, via, ra gione e forma con quali meglio hanno potuto, hanno concesso e concedono 1 ordì nationi e quelli capitoli descritti nella soprascritta scrittura agl huomini stessi 1 dett’arte, et a quella et a tutte le cose contenute in essa interpongono la oro auto rità, commettendo a qualonque Magistrati et ufficiali nostri, tanto nella città 1 e nova quanto nel distretto, che diino il loro braccio et agiuto ad essi conso 1 et homini talmente che le predette cose si mandino ad essecutione e si osservino. 1492, 14 agosto Matricola ..cit., cc. 52 v. - 57 r. MCCCCLXXXXII, die mercurii xi aprilis, in vesperis, in claustro inferioii Beate Marie de Vineis. Li egregii Francesco de Semino e Benedetto di Caste etto, conso dell’arte de’ tintori d’endegho della città di Genova, capitolarmente, o sia co gialmente congregati nel luoco soprascritto, insieme con gl infrascritti oro co glieri et altri homini della dett’arte per l’infrascritte cose specialmente are per^ nore et utilità della dett’arte, li nomi de’ quali consiglieri et homini e a ett a^ quali vi sono intervenuti sono questi: Antonio di Capriata, Battista ero ero, spare di Capriata e Giacomo Drago, consiglieri della dett arte, e li etti ign consoli e consiglieri in presenza, con autorità, volontà e consenso eg in rascri homini di dett’arte: e prima Battista di Monteacuto, Steffano di Cazero, ,®0S_. d’Agreto, Steffano di Casteletto, Francesco de Richino *, Giacomo da assl°’ mente di Preirolo, Georgio d’Orexio, Pasqualino di Castiglione, Giovanni 1 ronato, Giulio da Nove, Battista di Novio, Agostino da Nove, Bartolomeo i Oberto di Valdetaro, Melchio di Carrezana, Antonio de Guano, Gulielmo a ov , Agostino di Capriata, Oberto da Nove, Giacomo di Garibaldo, Cristofforo a ov Battista di Settoala, Paolo dall’isola, Gulielmo d’Isolabona, Ambrosio i a 13 Luciano di Montobio, Antonio di Montobio, Francesco Tozo, Francesco a so a, Giovanni dall’isola, Nicolò di Castelletto, Bernardo da Nove, Ambrosio i gio, Dominico Gozo, Oberto Tagliafico, Paolo da Nove, Benedetto di Framura, Paolo di Nervio, Dominico da Nove, Battista Muzzo d’Arquata, Andrea i estri, Mario di Casteletto, Nicolò Penco di Nervi, Pietro da Nove e tutti li soprascrit della dett’arte, in presenza, con autorità, volontà e consenso delli detti Signori con soli e consiglieri, avertendo e considerando che per gl’homini della dett arte si fanno alcune cose le quali cadono e si fanno in grave danno, disonore e pregiu 1 , anzi et in villipendio della dett’arte, volendo per bene et utilità della dett arte a tale morbo oviare, per questo tutti gl’homini soprascritti della dett arte unanimi in presenza con autorità, volontà e consenso di detti Signori consoli e consiglieri, e li detti Signori consoli e consiglieri in presenza col consenso delli detti huomini, hanno ordinato e deliberato in tutto come in appresso: e prima che niuno mastro della dett’arte possa, ardiscili o presuma in qualonque modo, dirrettamente o in dirrettamente, e per qual si vogli exquisito colore, prendere nè tenere eccetto un 1 depennato: di Ottaggio — 212 — garzone per botega, ancorché più maestri fussero nella detta botega, salvo che quando sarà finito il tempo del detto tale garzone a servire, che non vi resterà più d’un anno a servire, che all’hora sia in ellettione del detto mastro prendere un altro garzone, uno tanto. Item che dopo che li detti garzoni haranno servito alla dett’arte, che non possino in modo alcuno ponere botega eccetto passati quatro anni. Item che se per sorte alcuno garzone o sia discepolo uscirà e si partirà da suo mastro fuori e contro la volontà di suo mastro, all’hora et in tal caso niuno altro mastro di dett’arte possa quel tale garzone o sia discepolo che deliquisce e si parte dal detto suo mastro contro la sua volontà, prendere nè di volontà delli consoli nè in qual si vogli altro modo, dirrettamente o indirrettamente, e questo sotto pena de libre venticinque ipso facto et ipso iure irremissibilmente da prendersi a tale contrafaciente, e d’applicarsi per una terza parte all’Opera del porto e mole e per un’altra terza parte all’accusatore, il quale sia tenuto segreto, e per l’altra terza parte alla dett’arte. Item che niun mastro della dett’arte possa in qual si vogli modo dirrettamente o indirrettamente o in qual si vogli esquisito colore dare ad alcuno garzone o sia discepolo l’haver servito alla dett’arte eccetto se giuri per suo giuramento in presenza delli consoli e consiglieri bene et intieramente haver servito in tutto il tempo che deve stare a servire alla dett’arte, cioè per anni sette intieri, e di più che appaia instrumento publico dell’accordatione di detto tale garzone o sia putto, et il quale instrumento sia fatto per il scrivano della dett’arte e non altrimente, cioè in tempo ch’haverà cominciato a servire. Item che se alcuno di dett’arte esporterà l’arte predetta fuori della città di Genova in luochi cioè proibiti e dei quali si fa mentione nei capitoli della dett’arte, mai in tempo alcuno possa più fare o sia essercitare o fare essercitare la dett’arte nella città di Genova. E’ stato estratto come di sopra. Copia. Leonardo Parrisola, notaro e della dett’arte scrivano. MCCCCLXXXXII, a dì xini agosto. La risposta dell’illustre et Excelso Signore Agostino Adorno, Ducale di Genova Governatore e Luocotenente, e del Magnifico Consiglio d’Antiani del Commune di Genova in legitimo numero congregati e di Pietro Francesco da Semino e Benedetto di Castelletto, consoli dell’arte de’ tintori d’endego richiedenti che siano comprovati li soprascritti capitoli fatti fra gl’homini della detta arte, al primo capitolo che fa mentione che niuno di dett’arte possa tenere che uno garzone, è che il detto capitolo habbi luoco per li garzoni delle tre podestarie e riviere tanto, ma per quelli cittadini, cioè quelli che habbitano in la città non habbi luoco, ma ess’arte ne possa prendere e tenere quanti vorrà di quelli. Il secondo che fa mentione che dopo che li garzoni haveranno servito non possano tenere botega eccetto passato quatro anni, sia e s’intenda del tutto approvato. Il terzo capitolo che contiene che se alcuno garzone o sia discepolo si partirà da suo maestro, niuno di detta arte possa quello recettare, habbi luoco in quanto procederà per colpa del detto garzone e non del mastro, in cognitione delli Spettabili Signori Sindicatori. - 213 - Il quarto capitolo che contiene che niuno mastro di dett’arte possa liberare il garzone eccetto se haverà servito per anni sette, sotto giuramento del mastro, etiamdio habbi luoco per sei anni tanto e non più. Il quinto capitolo e l’ultimo anche habbi luoco in tutto come sta. E perchè da essi consoli è stato suplicato che si statuisca se li garzoni liquali staranno ad imparare dett’arte e li lavoranti della medem’arte si trovassero, o alcun di loro si trovasse, havere fatto alcuna fraude o furto alla detta arte in tempo che sarà stato con suo mastro, non possa più fare la dett’arte nè in quella intromettersi, hanno statuito e decretato in tutto e per tutto come di sopra è stato supplicato, purché si cognoschi tal delitto per li Signori Prottetori di Genova. Multe comminate dai consoli dei setaioli e dei tessitori AD ALCUNI ARTIGIANI COLPEVOLI DI FALSIFICAZIONI 1465, 4 settembre A.S.C.G., Padri del Comune, Atti, fl. n. 1, doc. n. 157. mcccclxv, die un septembris. Gabriel Bicius et Phylippus de Palatio, consules artis textorum pannorum sete et Costantinus Ricius, alter consulum artis seateriorum, simul cum Luca de Sexino et Nicolao Garigio, sindicis dicte artis seapterio-rum, constituti in presentia spectati OfBcii Dominorum Patrum Communis Ianue, in pleno numero congregati in Camera Officii Sui, denunciaverunt et dixerunt fuisse ab se et aliis seateriis secum deputatis, condemnatos infrasciiptos, quemque videlicet in quantitatem inferius declaratam ', quod qui fabricaverunt pannos sericos prout inferius legitur. Quorum condemnatorum hec sunt nomina: Blasius de Loreto condemnatus fuit pro peciis tri rini 40 pro peda, sive Petrus Iohannes de Riparolio pro pedis duabus in pro peda, sive Iohannes de Fado pro peciis duabus sive Frandscus De Vitali pro peciis sex in Tvus de Galiano pro pecia una in Antoniotus Spinula de Luculo pro pecia una in Honoratus de Papia pro pecia una in Tomas et fratres de Domoculta pro peciis duabus in Christoforus de Cabella, pro brocato in Quilicus Garbeginus pro brocato in Marcus Verrina pro brocato in Paulus Carpeninus pro una pecia in Georgius Carpeninus pro peciis duabus in Moruel Cigala pro peciis quinque in fiorini 120 35 fiorini 40 » 80 60 » 80 » 240 150 » 25 20 » 25 + » 90 25 » 50 + » 25 + » 25 + » 25 + » 25 » 50 » 200 100 in summa fiorini MLX 1 depennato-, quorum — 214 — Die vi eiusdem septembris. Suprannominati Gabriel Bicius et Philippus de Palatio declaraverunt quod suprascriptus Blasius de Loreto accusatus fuit pro tribus peciis et tamen non fuit presentatum nisi p(e)anum unum. Qui signati sunt in capite moderati fuerunt et redacti a Domino Ducali Vicario ad summas et quantitates in capite annotatas; qui vero crucem habent suspensi remanserunt; qui autem nullo sunt signati signo remanent in quantitate qua scripti sunt. y VI Norme tecniche per la fabbricazione dei tessuti 1466, gennaio - novembre Cod. A, cc. 69 r. - 76 v. e cc. 85 r. - 88 v. In nomine Domini, Amen. Nos Benedictus de Nigro, Baptista Garronus, Io-hannes Iustinianus de Banca et Marcus de Auria, commissarii dellegati a Magnifico et Illustri Domino Ducali in Ianua Locuntenente et Gubernatore, ac Magnifico Consilio Dominorum Antianorum Communis Ianue, in et super reformacione et cor-recione capitulorum artium infrascriptarum, ac super aliis contentis in supplicationibus coram Dominacionibus antedictis porre[c]tis per consules et alios officiales artium seapteriorum ac textorum pannorum septe, iuxta tenorem cuiusdam publici et autentici rescripti, publicati per Nicolaum de Credentia, cancellarium, anno proxime preterito, die sexta augusti et quarum quidem supplicationum et rescripti tenor inferius describetur; visis dictis supplicationibus ac rescripto et contentis in eis, vissis-que et dilligenter examinatis capitulis artium predictarum, auditisque coram nobis semel et pluries tam consulibus dicte artis seapteriorum quam consulibus artis dictorum textorum pannorum septe, et nonnullis aliis de ipsis artibus in et super refor-macionibus, correctionibus et addicionibus quas coram nobis memorare voluerunt, ac super contentis in dictis supplicationibus et rescripto; auditisque etiam coram nobis consulibus artis tintorum septe, pro maiore declaratione presentis nostre relationis; vissisque et diligenter examinatis ac consideratis omnibus que in tota re ipsa videnda, examinanda et consideranda fuerunt; intellecto etiam ac nobis plene constito, relatione personarum fide dignarum, fuisse in pannis sericis, superioribus annis, commissas nonnullas frudes et falsitates, contra omnem iusticiam ac ordina-menta dictarum artium, ac ad dedecus et ignominiam ipsarum artium, propter quod refferimus Magnificis Prelibatis Dominationibus, pro utilitate publica ac artium predictarum et cuiuslibet earum, corrigendum, reformandum, emendandum, providendum, statuendum, decernendum et ordinandum fore ut infra. De laca nemo tingat. Primo quod decetero nulla persona dictarum artium seapteriorum, textorum ac tintorum septe, vel alia quevis persona, cuiuscumque status, graddus, condicionis vel preheminencie existât, possit, audeat, vel quovis modo présumât, per rectum vel indirrectum, aut sub aliquo velamine vel exquisito colore, tingere, seu tingi facere - 215 - in civitate Ianue vel districtu aliquam quantitatem septe, parvam aut magnam, in lacha et seu de lacha pro aliqua parte, quantumcunque minima fuerit, et seu in qua posita sit vel reperiatur aliqua pars eiusdem lache, nec similiter aportare seu conducere et seu aportari et conduci facere Ianuam vel ad eius districtum, aut alium quemvis locum Communis Ianue, palam aut oculte, aliquam septam, magne aut parve quantitatis, et seu aliquem pannum septe, que septa aut pannus tinta et seu tintus sit in lacha vel in quibus sit mixta aliqua lacha. Et si quis in predictis vel aliquo predictorum contrafecerit, incidat et ipso iure incidisse intelligatur in penam florenorum centum usque in ducentos pro qualibet pecia panni, et seu pro qualibet vice, ac totiens quotiens fuerit contrafactum; que pena applicetur et applicari debeat ut infra, videlicet pro quarta parte acusatori, qui teneatur secretus, pro alia quarta parte Officio Dominorum Patrum Communis, pro alia quarta parte dicte arti seapterio-rum, et pro reliqua quarta parte dicte arti tintorum septe. Et ultra, tallis pannus sive septa sic repertus seu reperta, ut supra tintus seu tinta in lacha, vel pro aliqua eius parte, quomodocumque vel mixtum, ita quod in huiusmodi septa et seu pannis constet aliquam partem lache mixtam fuisse, quantumcunque parva aut magna quantitas fuerit, ipso iure absque aliquo remedio reclamacionis aut appellacionis, amissus et amissa sit, et absque dillacione comburetur et comburi debeat in loco publico, per consules dictarum artium seapteriorum et tintorum, et tallis tintor contrafaciens intelligatur et sit perpetuis temporibus privatus dicta arte, nec beneficio eius possit uti. Quod si dicti consules facere recusarent aut negligerent, quoquo modo possint et debeant sindicari et puniri per Officium Dominorum Patrum Communis a libris quinquaginta usque in ducentis, pro quolibet ipsorum consulum, secundum que fuerit delicti quantitas, et tamen talles contrafacientes in predictis vel aliquo predictorum puniantur in penas superius declaratas prout supra. Quiquidem consules dictarum artium seapteriorum ac tintorum septe, teneantur huiusmodi contrafactiones omni studio et dilligentia inquirere et investigare, et contrafacientes severe punire modo et forma predictis, sub eadem pena superius declarata, ab ipsis consulibus et quolibet eorum irremissibiliter aufferenda, et que quidem pene dictorum consulum, ut supra expresse in cassibus predictis et quolibet eorum applicentur et applicari debeant Officio Patrum Communis, pro tribus quartis partibus, et pro reliqua quarta parte acusatori, qui teneatur secretus. Cremexili - Seta cruda. Item quod nulla persona dictarum artium seapteriorum, textorum et tintorum, vel alicuius earum, seu alia quevis persona, cuiusvis status, graddus, condicionis vel preheminencie existât, possit, audeat, vel présumât, quoquomodo, in tingendo vel tlno1 aciendo aliquam quantitatem septe, quantumcumque minima fuerit, in cre-mexi i vel de cremexili, apponere et seu apponi facere aliquam aliam mixturam, cuiusvis speciei, nature aut qualitatis fuerit, ita ut dicta septa, sic tingenda de cre-mexi , non possit tingi nisi de puro, mero ac nitido cremexili, excepto dumtaxat oppopo, prout in capitulo dicte artis seapteriorum « De pannis sericis recte construendis », continetur; et hoc sub pena et penis contentis et declaratis in prece-enti capitulo, in quas incurrat quilibet contrafaciens huic capitulo, et applicanda modo et forma prout in primo precedenti capitulo ordinatum et declaratum est. — 216 — irremissibiliter aufferenda applicandaque, tam quo ad contrafactiones predictas quam quo ad dictos consules, si cura executionum et investigationum predictorum fuerint négligentes, in omnibus et per omnia prout in precedenti capitulo continetur, et ultra talhs tintor perpetuis temporibus privatus sit dicta arte tintorie, nec eam quoquomodo facere aut exercere possit, vel eius beneficio uti in civitate Ianue et toto eius districtu, nec in locis subditis Communis Ianue. Item quod nulla persona dictarum artium vel alicuius earum, vel alia quevis persona, cuiusvis status, graddus, condicionis vel preheminencie existât, possit, audeat vel présumât, quoquomodo, clam aut palam, texere vel ponere et seu poni facere in aliquo panno septe deinceps construendo et laborando, aliquam septam crudam, cuiusvis generis aut qualitatis fuerit, et que quomodocumque tinta fuerit, nec aliquis tintor possit, audeat vel présumât dictam septam crudam tingere vel tingi facere in aliquo colore, excepto dumtaxat pro pannis sericis baldachinis, in quibus pannis sericis baldachinis possit dicta septa cruda poni et laborari, et non in aliis quibusvis pannis sericis, cuiusvis speciei, nature aut qualitatis fuerint. Ita etiam et cum hoc, quod tam dicti tintores quam illi ad quos dicta septa cruda sic tingenda spectaverit, priusquam dicta septa tinta fuerit, teneantur et debeant dictam septam sic tingendam notificare consulibus et consilio dicte artis seapteriorum et eam scribi et annotari facere per notarium dicte artis, et similiter postquam laborati fuerint dicti panni baldachini, noticiam facere dictis consulibus et consilio, et eos pari modo annotari facere per notarium dicte artis. Filoxela - Filum. Nec similiter possint, audeant vel présumant dicti textores vel quevis alia persona artium predictarum, texere àut texi vel laborari facere aliquos pannos septe, sub aliquo exquisito colore, de firixela, nec etiam de filo aliquo lini vel cotoni aut alterius qualitatis aut nature. Et si quis in predictis vel aliquo predictorum contrafecerit, incurrat et incurrisse penitus intelligatur in penam ducatorum vigintiquinque usque in quinquaginta, pro qualibet pecia et qualibet vice, ac totiens quotiens fuerit contrafactum, singula singulis congrue refferendo. Que pena applicari debeat ut supra, videlicet pro quarta- parte acusatori, pro alia vero quarta parte Officio Patrum Communis, pro alia quarta parte dicte arti tintorum, et pro reliqua quarta parte dicte arti textorum pannorum septe. Et ultra, talles panni sic construcd et laborati ex dicta septa cruda aut filo vel cotono vel firixela, pro aliqua parte, quantumcunque minima fuerit, sint et intelligantur amissi, et comburentur, ac comburi debeant in loco publico; et dictus tintor ac textor pannorum, si contrafecerint in predictis, vel aliquo predictorum, vel alter ipsorum contrafecerit, sint et intelligantur privati dictis artibus nec deinceps earum beneficio possint uti ut supra. De non laborando costam. (Fuit revocatum) Item non possit, audeat vel présumât aliqua persona artium predictarum, vel alicuius earum, aut alia quevis persona, texere et laborare, seu texi et laborari facere aliquos pannos sericos in quibus mixta sit aliqua pars septe vulgariter — 217 — nuncupata costa, quantumcumque ipsa pars minima fuerit, sed si quos pannos sericos ex ipsa septa de costa decetero fieri contingat aut laborari debeant panni ipsi in totum et dumtaxat fieri, texi et laborari ex ipsa septa de costa, sine mixtura alicuius alterius septe, et si quis contrafecerit, incurrat et incurrisse penitus intelligatur in penam florenorum quinquaginta usque in centum, pro qualibet petia et seu qualibet vice, ac tociens quotiens fuerit contrafactum, applicanda pro quarta parte1 acusatori, pro alia quarta parte Officio Patrum Communis, pro alia quarta parte dicte arti seapteriorum, et pro reliqua quarta parte dicte arti textorum. Et ultra talles panni, in quibus fuerit mixta dicta septa de costa, comburentur et comburi debeant in loco publico, et ultra tallis textor pannorum privatus sit dicta arte. Et possint tamen panni serici, iam constructi et fabricati tantum, in quibus intermixta sit aliqua pars dicte septe de costa, non autem deinceps quoquomodo laborandi prout supra, vendi et finiri tam Ianue quam alibi, dummodo quod prius, ad hoc ut intelligatur quantitas ipsorum pannorum, et ne deinceps aliqua fraus committi possit, de pannis ipsis fabricatis hactenus, noticia fiat per eos ad quos dicti panni sic constructi spectant, Officio Patrum Communis ac infrascriptis duobus dicte artis seapteriorum, videlicet Iohanni de Triadano et Antonioto de Cabella, una cum dicto Officio, et per dictos Officium et duos suprascriptos annotentur et seu per notarios dicti Officii ac artis predicte seapteriorum; quam quidem noti-ciam illi ad quos spectant dicti panni, facere teneantur, dicto Officio et duobus, intra dies octo proxime secuturos a die publicationis presentium reformationum, eosque pannos presentare et annotari fecisse prout supra; elapso vero dicto termino, si qui panni reperti fuerint, in quibus sit mixta aliqua pars dicte septe coste, et qui non fuerint annotati prout supra, intelligantur et sint amissi, et comburentur in loco publico, prout supra, et tallis contrafaciens, ultra penam predictam, incurrat in penam florenorum vigintiquinque pro qualibet pecia dictorum pannorum, applicanda dicto Officio Patrum Comunis. De bullando pannos. (Fuit revocatum) Item teneantur et debeant consules dicte artis seapteriorum, quosvis pannos sericos, tam constructos et fabricatos, quam decetero conficiendos et fabricandos, in quibus non sit mixta aliqua septa de costa, imo qui sunt constructi de bona septa, absque alia mixtura, secundum formam presentium ordinamentorum, bullare in capite ipsorum pannorum ac marginibus bulla plombea, in qua sculta sit imago ienuini aurei, nec aliter dicti panni vendi, finiri aut extrahi possint, nisi prius fuerint bullati prout supra per dictos consules, et cognoscantur a dictis pannis sericis laboratis de dicta septa de costa ut supra. Et si quis in predictis vel aliquo predictorum contrafecerit, incurrat et incurrisse intelligatur in penam a florenis vigintiquinque usque in quinquaginta, pro qualibet pecia dictorum pannorum, ac qualibet vice, et totiens quotiens fuerit contrafactum, que pena aplican debeat pro tercia parte acusatori, pro alia tercia parte Officio Patrum Communis, et pro reliqua tercia parte dicte arti seapteriorum. Et ultra talles panni serici 1 ripetuto due volte. — 218 — non bullati ut supra, qui venderentur, alienarentur, transferentur aut extraherentur, quoquomodo, sint et intelligantur amissi, ac comburentur in loco publico tan-quam falsificati. Quiquidem consules artis seapteriorum, possint, valeant ac eis liceat, pro investigandis et inquirendis contrafactionibus de quibus in presentibus reformationibus fit mentio, acedere ad domos et habitationes textorum pannorum septe et alias quasvis, in eisque inquirere dictas contrafaciones et compellere dictos textores ad iurandum de veritate dicenda de dictis contrafactionibus, nec possint dicti textores, nec alia quevis persona, cuiusvis status, graddus aut preheminentie existât, prohibere dictis consulibus quin dictas domos intrent et predicta exe-quantur, et si quis contrafecerit, incurrat et incurisse intelligatur in penam flore-norum vigintiquinque, usque in quinquaginta, totiens quotiens fuerit contrafactum; aplicandam pro dimidia Officio Patrum Communis, et pro reliqua dimida dicte arti seapteriorum. Non dando aquam. Item quod nulla persona dictarum artium vel alicuius earum, seu aliqua quevis persona, cuiusvis status, graddus aut preheminentie fuerit, possit, audeat vel présumât, per rectum vel indirrectum, dare seu dari facere aliquam aquam vulgariter nuncupatam celandriam, et seu gomam, ex qua fit huiusmodi aqua, aliquibus pannis sericis, tam factis quam decetero fiendis et laborandis, tam Ianue quam alibi, ubivis, et tam positis quam ponendis in tellariis quam extra, nec similiter texumiis de quibus panni serici texendi aut laborandi fuerint, sub pena et penis in primo capitulo presentis reformacionis et additionis contentis, auferendis et aplicandis in omnibus et per omnia prout in eo capitulo declaratum est. Et casu quo extra civitatem Ianue, ubivis dicti panni serici cum huiusmodi aqua repe-rirentur, quoquomodo, incurrant contrafacientes, et incurrisse penitus intelligantur in duplicem penam superius expressam, auferendam et aplicandam modo et forma predictis. Morelli - Cimocie. Item quod nulla persona dictarum artium vel alicuius earum, seu alia quevis persona, cuiuscunque status, graddus, condicionis aut preheminentie existât, possit, audeat vel présumât, sub quovis velamine aut exquisito colore, tingere seu tingi facere aliquam quantitatem septe, quantumcunque fuerit parva aut minima dicta quantitas, in morelo vel de morelo, nec ex ea construere et laborare seu laborari facere aliquem pannum de morelo, nisi prius dicta septa, ex qua fieri debeant dicti panni moreli serici, tinta fuerit in puro et vero crèmexili, saltem pro tribus quartis partibus, et dicte septe, in tingendo, fuerint dacte tres quarte partes cremexilis puri et veri, pro fabricando dictum pannum sericum morelum. In quibus quidem pannis in morelo laborandis et construendis ut supra, poni et laborari debeant eorum cimocie crosee, prout habent ceteri panni serici fabricati de vero et puro creme-xili in colore rubeo. Et si quis in predictis vel aliquo predictorum extrafecerit, cadat et cecidisse penitus intelligatur in penam et penas, superius, in primo articulo — 219 - huius declarationis contentas et declaratas, aufferendas et aplicandas videlicet pro quarta parte acusatori, pro alia quarta parte Officio Patrum Communis, pro alia vero quarta parte dicte arti seapteriorum, et pro reliqua quarta parte dicte arti textorum sive tintorum, si vel prout visum fuerit huiusmodi contrafacio ab altera dictarum artium procedi, et ultra tallis tintor ipso iure privatus sit dicta arte tintorie, nec ullo tempore eam facere aut exercere possit, nec beneficio ipsius uti, tam Ianue quam in toto eius districtu, et aliis locis subditis Communis Ianue. Grana. Et similiter non possit, audeat vel présumât aliqua persona artium predictarum vel alicuius earum, aut quevis alia persona, cuiusvis status, graddus aut prehemi-nentie fuerit, tingere seu tingi facere aliquam quantitatem septe quantumcunque magna aut parva fuerit, in grana vel de grana, ex qua construi vel laborari debuerit aliquis pannus sericus in morelo, nec ex ea laborare seu laborari facere aliquem pannum in morelo vel de morelo de grana, nisi primo dicta septa, ex qua fieri debuerint dicti panni serici de grana in morelo, pro duabus terciis partibus grane pure, vere et nitide [tingatur], et eidem septe sic tingende, occasione premissa, dacte fuerint in tingendo dicte due tercie partes grane, modo et forma predictis, et habeant et habere debeant, dicti moreli de grana ut supra, eorum cimocias closéas, in quarum tamen medio apponi debeat animelus viridis. In morelis vero decetero fabricandis et laborandis in braxilli, nullo modo liceat quibusvis eos fabricari facientibus, tam in braxilli morelo, quam rubeo, apponere seu apponi facere cimoseas closeas cum animelo viridi in medio, prout fiunt in morelis cremexilis et de grana, cum cimoceis cloceis cum animelo viridi in medio, prout superius declaratum est. Si quis autem in predictis vel aliquo predictorum contrafecerit, incurrat et incurrisse penitus intelligatur in penam et penas superius in primo articulo et seu capitulo huius corre-cionis et emendacionis declaratas; aufferendas et applicandas modo et forma in dicto capitulo contentis, singula singulis congrue refferendo. Et ut dicta septa tingenda in cremexili pro tribus quartis partibus, ex qua fieri debuerint panni serici in morelo, et similiter, dicta septa tingenda in grana pro duabus terciis partibus, ex qua construi et fieri debuerint panni serici moreli de grana, melius cognoscatur, non possit, audeat vel présumât aliquis tintor nec aliqua alia persona, dictam septam tingere in colore morelo sive violeto, vel huiusmodi colorem dicte septe dare, nisi primo dicta septa sit tinta in puro et vero cremexili pro dictis tribus quartis partibus, et pari modo in grana pro dictis duabus terciis partibus, prout supra, bene et dilligenter revisa fuerit per consules dictarum artium seapteriorum ac tintorum. Qui consules, si invenerint in ea septa seu dictis tinturis, tam cremexilis quam grane, non fuisse datas dictas tres quartas partes cremexilis et duas tercias partes grane, teneantur contrafacientes punire et condemnare in penam et penas in primo articulo presentis reformacionis contentas, sub pena dictis consulibus imposita in dicto primo articulo et seu capitulo, nec non et tallis tintor sit ipso iure privatus dicta arte tintorie, nec beneficio ipsius uti possit, tam Ianue quam alibi, ut supra dictum est. Et ut predicta omnia et singula inviolabiliter observentur ac effectum sortiantur, teneantur et debeant consules dictarum artium seapteriorum et textorum pannorum septe ac tinctorum, in his que pertinent ad eorum artes, secundum naturam contrafationis, prout superius declaratum est etc., et in his que pertinent — 220 - ad artem tintorum, consules dicte artis tintorum una cum consulibus dicte artis seapteriorum, et in his que pertinent ad artem textorum, consules dicte artis cum consulibus dicte artis seapteriorum, singula singulis semper congrue refierendo, postquam eis noticia facta fuerit, vel aliqualiter intellexerint aliquem contrafecisse in predictis vel aliquo predictorum, infra dies decem, omni excusatione postposita, cognoscere, declarare ac terminare huiusmodi contrafationes, et intra alios decem dies imediate secuturos post dictos primos decem dies, eorum sententias et con-dennaciones exequi et executioni mandare, absque alia dillacione, sub pena aureorum vigintiquinque usque in quinquaginta pro quolibet dictorum consulum et ab eis qualibet vice exigenda, et applicanda Officio Patrum Communis, pro tribus quartis partibus, et pro reliqua quarta parte acusatori, prout supra, firmis semper manentibus aliis penis in precedentibus capitulis, articulis, contentis et declaratis. Qui quidem consules possint et debeant in fine eorum anni vel ante, semper et quandocunque expediens fuerit, si in predictis dicti consules négligentes aut con-trafacientes fuerint, tam in exeguendo quam cognoscendo ut supra, vel aliqualiter in premissis deli(n)querint, sindacari, puniri ac condennari per Officium Patrum Communis, in eam summam de qua et prout dicto Officio videbitur convenire huius-modi contrafacionibus, ultra penas superius declaratas et impositas dictis consulibus, et ut ab ips;s consulibus tollatur omnis excusacio investigandi ac puniendi et con-dennandi prout supra, intelligatur et sit eis attributa omnimoda potestas et balia in predictis, ultra eam potestatem de qua in precedentibus capitulis aut aliis capitulis dictarum artium continetur, compellendi, pro declarandis premissis contrafacionibus et qualibet erarum, quamcunque personam dictarum artium et cuiuslibet earum, et quamcunque aliam, cuiuscunque graddus aut condicionis fuerit, ad manifestandum cum iuramento dictis consulibus veritatem de huiusmodi contrafacionibus, aut quicquid senserint ex eis, vel ad earum personarum noticiam devenerit vel intellexerint; sub eis penis de quibus dictis consulibus videbitur, ac eorum arbitrio applicandis. Et si forte conti(n)gerit dictos consules dictarum artium seapteriorum, textorum et tintorum, in terminando contrafaciones de quibus supra facta est mencio, fore discordes, videlicet consules artis seapteriorum cum consulibus artis textorum, sive tintorum, secundum quod iudicium venerit cognoscendum, eo casu eis intelligatur et sit additum, in huiusmodi cognitionibus in terdum et pro tercio, Officium Patrum Communis, cum hoc quod ea pars penarum suprascriptarum que aplicanda veniret arti illorum consulum qui indebite in ea cognitone se opponebant, iuxta iudicium dicti Officii, aplicetur et applicari debeat ipsi Officio Patrum Communis. De iuramento. Item teneantur et debeant dicti consules dictarum artium et cuiuslibet earum, et ceteri officiales ipsarum artium, tam qui nunc sunt quam qui pro tempore fuerint, in principio eorum officii, iurare ad sancta Dei Evangelia, corporaliter tactis scripturis, quod ipsi observabunt omnia et singula capitula suprascripta ac reformaciones et correciones de quibus supra, et per alios facient observari. De non recusando consulatum. Item quia quandocumque dicitur contigisse aliquem de dicta arte seapteriorum constitutum et electum fuisse consulem dicte artis, qui ex magis idoneis et suffi- — 221 - cientibus in ipsa arte ad dictum officium videbatur, qui, spretis ordinibus et capitulis dicte artis, recusavit talle officium acceptare, in preiudicium dicte artis, ideo non possit deinceps aliquis de dicta arte qui ellectus vel constitutus fuerit consul dicte artis, iuxta formam capitulorum et ordinamentorum dicte artis, dictum officium recusare; qui imo teneatur et debeat id officium aceptare, omni excusacione postposita, sub pena ducatorum vigintiquinque usque in quinquaginta, arbitro preces-sorum consulum et consiliariorum dicte artis. Que pena ipsi arti assignata sit. De sequestrando res pertinentes ad artem. Item quia quondocumque contigit commissas fuisse contra homines dicte artis seapteriorum, vel aliquem ex eis, fraudes aut furta, tam in septa quam in pannis sericis, que res postmodum, variis subterfugiis ac machinationibus, vendi solent per civitatem, ut talibus fraudibus obvietur, possint consules dicte artis seapteriorum et quicumque alii de dicta arte, impedire quascumque vendiciones que fiere[n]t per aliquas personas, de aliquibus rebus pertinentibus ad dictam artem, easque res sive septam aut pannum sericum vel aliam rem dicte arti pertinentem interdicere, et seu capere propria auctoritate, et eas res sic interdictas et captas ponere penes terciam personam idoneam, donec per consules dicte artis intellecta fuerit veritas dictarum rerum. Qui tamen consules, infra dies tres a die dicti impedimenti secuturos investigare debeant et cognoscere quomodo et qualiter res se habeat, alio-quin talles res sic interdicte et capte relaxentur illis in quorum potestate antea fuerant et seu quibus capte fuerint; ita tamen quod per huiusmodi relaxacionem non intelligatur quin deinde possit cognosci de dictis fraudibus aut furtis per dictos consules seapteriorum, et si tallis persona, sic delinquens, fuerit de dictis artibus seapteriorum, vel textorum aut tintorum, sit ipso iure privata dicta arte, nec beneficio eius possit ullo tempore uti. Item possint et valeant dicti consules dicte artis textorum pannorum septe, imponere ac mandare cuicumque de dicta arte, sub pena videlicet a florenis vigintiquinque usque in centum, arbitrio dictorum consulum, ut penes se quilibet de ipsa arte teneat, tam in tellariis quam extra, quoscunque pannos sericos quos falsificatos invenerint, aut de quibus aliqua suspicio fuerit; quibus mandatis dictorum consulum teneatur quilibet de dicta arte, sub dicta pena, obedire, et eos pannos penes se interdictos et arrestatos tenere donec fuerit, per dictos consules ac consules artis seapteriorum, de huiusmodi contrafacione cognitum et declaratum; quequidem pena dicte arti textorum pro dimidia applicetur, et pro reliqua dimidia Officio Patrum Communis. Quiquidem consules artium predictarum, teneantur infra dies tres secuturos a die dicti impedimenti et arrestationis, declarare dictam contrafa-cionem, si que fuerit, alioquin relaxentur dicti panni serici illis quorum fuerint, sub tamen promissione et cauptione de eis presentandis aut de stando iuri et iudicatum solvendo, si dictis consulibus videbitur huiusmodi cauptionem prestandam fore, ita ut per dictam relaxacionem non intelligantur dicti panni, sive illi quorum fuerint, liberati aut absoluti, si constiterit eos pannos falsificatos esse modo et forma predictis. Et si forte dicti consules textorum pannorum septe, detectis aut repertis dictis contrafacionibus, tacuerint, sub quovis colore, aut negaverint eos pannos interdicere et impedire ut supra, incidant in penam a libris vigintiquinque usque in - 222 - centum, arbitrio Officii predicti Patrum Communis, que dicto Officio debeant applicari pro tribus quartis partibus, et pro reliqua quarta parte acusatori. Et similiter teneatur et debeat quilibet de dicta arte textorum parere mandatis dictorum consulum in quibuscunque spectantibus dicte arti, et seu que viderentur spectare et pertinere ad bonum regimen, ad honorem dicte artis etiamque et ad observantiam ordinamentorum et capitulorum dicte artis, sub pena a florenis duobus usque in decem, arbitrio dictorum consulum, dicte arti aplicanda, dumtamen huiusmodi mandata et imposiciones non veniant contra reformaciones suprascriptas, et quiquidem consules etiam possint et valeant condennare quosvis de dicta arte quos invenerint contrafacere capitulis dicte artis, tam in construendis pannis sericis contra formam dictorum capitulorum, quam aliter, sub pena a libris decem usque in vigintiquinque, arbitrio dictorum consulum, ipsi arti aplicanda, firmis tamen semper manentibus omnibus et singulis aliis penis ac capitulis, reformacionibus et corre-cionibus suprascriptis, quibus nullo modo de ipsis intelligatur in aliquo derrogatum, qui imo ea omnia inviolabiliter observare debeant, sub penis in eis declaratis. De cintis sericis recte construendis. Item quia fama est in cintis sericis quandoque commissas fuisse fraudes contra formam ordinamentorum dicte artis, vigore quorum satis abunde provisum est huiusmodi fraudibus, tamen, volentes etiam vigore presentium reformacionum ictis fraudibus obviare, non possit, audeat vel présumât aliqua persona dicte artis, cuiusvis status aut qualitatis fuerit, vel aliqua alia persona, texere aut laborare aut texi vel laborari facere aliquos cintos sericos, nisi de bona septa, in vero et niti o colore tinta, videlicet de cremexili puro et nitido et de morelo cremexili pro tribus quartis partibus, et de grana pro duabus terciis partibus, in omnibus et per omnia prout in precedentibus capitulis provisum et ordinatum est in re pannorum sericorum, nec possint ipsi textores cintorum in eis cintis sic construendis ponere aliquam septam firixele nec coste, et multominus filum lini vel alterius qualitatis, prout supra ordinatum est de pannis sericis; et si quis in predictis vel aliquo predictorum contrafecerit, incurrat et incurrisse intelligatur in penam flo-eno.rum decem usque in quinquaginta, secundum que fuerit delicti quantitas, aplicandam pro tercia parte acusatori, pro alia tercia parte Officio Patrum Com-murns, et pro reliqua tercia dicte arti textorum cintorum; et ultra dicti cinti, sic falsificati, comburentur et comburi debeant in loco publico. Et demum fiat et observetur in omnibus et per omnia prout superius fuit declaratum de pannis sericis, singula singulis congrue referendo, firmis semper manentibus penis et aliis contentis in capitulis dicte artis cintorum. De auro et argento filato. Item quia etiam fama est nobisque constitit, relacione personarum fide dignarum, in auro filato quod Ianue fabricatum et laboratum fuit, superioribus annis commissas fuisse nonnullas fraudes et seu falsitates, contra constituciones et ordinamento artis bat.foliorum, auditis quibusdam de dicta arte sic affirmantibus, ideo ut talibus fraudibus obvietur, non possit, audeat, vel présumât aliqua persona dicte - 223 - artis batifoliorum aut quevis alia, aliquod argentum laborare seu laborari facere de dicta arte, nisi prius talle argentum, quod vulgariter nominant roelum, dellatum fuerit ad cecham Communis Ianue, et ibi positum fuerit ad asagium dicti Communis, et per asagiatores Communis dictum argentum fuerit approbatum esse illius lige et seu qualitatis que requiritur ex forma capitulorum dicte artis, videlicet unciarum undecim et tercie partis deflarii unius, vel circa. Et si quis in predictis vel aliquo predictorum contrafecerit, incurrat et incurrisse penitus intelligatur in penam florenorum vigintiquinque usque in quinquaginta, secundum que fuerit delicti quantitas, pro qualibet batitura et seu roelo, et totiens quotiens fuerit contrafactum, aplicandam pro tercia parte Officio Patrum Communis, pro una alia tercia parte acusatori, et pro reliqua tercia parte dicte arti, et ultra talle argentum, quod non fuerit asagiatum prout supra, sit et intelligatur amissum, et effectum sit dicti Officii Patrum Communis, firmis tamen semper manentibus aliis penis et declarationibus contentis in capitulis dicte artis. De daurando batituram argenti. Item non possit, audeat vel présumât aliquis de dicta arte, vel aliqua quevis persona, cuiusvis status, graddus aut preheminentie existât, daurare seu daurari facere aliquam batituram argenti, ex quo fieri et construi debeat aurum filatum, nisi in presentia asagiatoris seche Communis; quod quidem aurum per ipsum asagiatorem in dicta batitura ponatur et poni debeat illius lige et qualitatis ut supra, et quantitatis prout requiritur ex forma capitulorum dicte artis batifoliorum, nec aliter aut alio modo dari possit dictum aurum dicte batiture nisi prout supra. Et si quis in predictis vel aliquo predictorum contrafecerit, incurrat et incurrere penitus intelligatur in penam florenorum vigintiquinque usque in quinquaginta, secundum que fuerit delicti quantitas, aplicandam pro tercia parte Officio Patrum Communis, pro alia tercia parte acusatori, qui teneatur secretus, et pro reliqua tercia parte dicte arti batifoliorum. Qui quidem asagiator Communis semper et quotiens fuerit requisitus per homines dicte artis vel aliquem ex eis, pro dicto auro dando et ponendis dictis batituris, teneatur et debeat accedere, absque dilacione, ad apothecas et seu voltas batifoliorum requirentium, et dictum aurum huiusmodi batituris dare et ponere illius lige, qualitatis et quantitatis prout requiritur ex forma capitulorum dicte artis, sub pena florenorum decem usque in vigintiquinque, qualibet vice aplicanda ut supra. Item quod nulla persona dicte artis, vel alia quevis, possit, audeat vel présumât laborare de dicta arte, quoquomodo, clam aut palam, aut sub quovis velamine exquesito colore, tempore noturno, nec in diebus feriatis contentis et declaratis in capitulis dicte artis, et si quis contrafecerit, ultra penas contentas in dictis capitulis, incurrat et incurrisse penitus intelligatur in penam florenorum decem pro qualibet vice et tociens quotiens fuerit contrafactum, applicandam prout supra. Possit tamen dictis diebus feriatis, exclusis festivitatibus que celebrantur ex pre-cepto Ecclesie, ac etiam excluso tempore noturno, laborari per homines dicte artis de auro ex quo fabricanda erit peccunia aurea in cecha Communis, et non de aliquo argento. — 224 - Item non possit, audeat vel présumât aliqua persona dicte artis, vel alia quevis persona, maris seu femina, huiusmodi aurum filatum ponere in capsietis vel in canonis nisi dictum aurum, filatum in omni sui parte dictarum aciarum et seu «nonorum, tam a principio huiusmodi involucionis dicti auri quam in medio et in fine (f)acie, sit de unomet auro et filo seu septa, et unius eiusdem qualitatis et bonitatis, sub pena florenorum quatuor usque in decem, pro qualibet vice et totiens quotiens fuerit contrafactum, applicanda prout supra; et ultra, dicte magistre vel ahe persone ^ contrafacientes predictis, sint et intelligantur private dicta arte, nec beneficio ipsius uti possint, tam in civitate Ianue quam toto eius districtu. Et ad observantiam huiusmodi ordinationis compellantur, per consules seapteriorum, dicte magistre et alie persone exercentes vel laborantes in dictis capsietis vel canonis de dicto auro filato prout supra, ad iurandum singulis sex mensibus de bene et fideliter operando ac observando predicta omnia et singula. Et ne artiste artium suprascriptarum et cuiuslibet earum de premissis additionibus, reformacionibus ac omnibus et singulis suprascriptis ignorantiam pretendere possint, teneantur et debeant consules dictarum artium et cuiuslibet earum, suprascriptas additiones et reformationes scribi et annotari fecisse intra dies sex' a die habite notitie de presentibus reformationibus et additionibus secuturos, in volumine capitulorum ipsarum artium, in autenticam formam, quibus habitis,’ teneantur et debeant consules dictarum artium et cuiuslibet earum convocari et congregari facere quoscumque homines dictarum artium, tam magistros quam laborantes in dictis artibus et qualibet earum, et eis congregatis notitiam facere de predictis reformacionibus et omnibus et singulis suprascriptis, eisque defferre iuramentum ad sancta Dei Evangelia, corporaliter tactis scripturis, de observando et adimplendo omnia et singula in suprascriptis (ad) reformationibus et additionibus contenta et declarata, singula singulis semper congrue referendo, ad quod iuramentum subeundum possint dicti consules comppellere homines dictarum artium, sub penis et aliis coher-cionibus de quibus dictis consulibus videbitur. Quod si dicti consules hoc facere recusaverint et seu neglexerint, incidant in penam florenorum viginti pro quolibet dictorum consulum, applicandam Officio Patrum Communis, cui Officio etiam copiam presentium ordinationum et reformationum dari debeat in scriptis. MCCCClxvi, die xxvi ianuarii. Magnificus ac Illustris Dominus Conradus de Follano, Ducali s Locun tenens et Gubernator in Ianua, et Magnificum Consilium Dominorum Antianorum Communis Ianue, in legitimo numero congregatum, auditis prenominatis Benedicto, Baptista, Iohanne et Marco, referentibus, in executione sibi commissorum, correxisse, reformasse et declarasse que illis corrigenda, reformanda et declaranda visa fuerunt, tam pro honore ac utilitate publica quam commodo artistarum huius civitatis, fuisseque in omnibus concordes preter in unico tantum articulo in quo videtur illis adhuc fore cogitandum, quod est quo modo sit de serico, quod costa nominant, disponendum; easque correctiones et reformationes in scriptis redegisse, nec aliud superesse quam quod ipsi Magnificus ac Illustris Dominus Gubernator et Consilium illas comprobent, si Eis ita faciendum videatur, et inde executio fiat; considerantes condictionem huius magistratus - 225 - 15 qui iam diu maxima cura et solicitudine componendis iis que superius icta sunt vacavit, precedente examine ac discussione, omni via, iure et forma qui us me us potuerunt ac possunt, comprobaverunt corectiones, reformationes et dee arationes ab eisdem officialibus factas, de quibus supra fit mentio in omnibus et per omnia prout superius continetur. Mandantes eas servari plene et inconcusse, prout in ipsis legitur; dantes denuo potestatem et arbitrium dictis officialibus examinan , sta tuendi et ordinandi quicquid eis statuendum et ordinandum fore vide itur circa dictum sericum costa, et ratificantes ex nunc quicquid circa illud statutum et ordinatum fuerit, ac servari iubentes, prout de aliis corectionibus superius ctum est, ac si modo iam statutum et ordinatum esset. Eo anno, die xii maii. Magnificus ac Illustris Dominus Conradus de Foliano, Ducalis Locuntenens et Gubernator in Ianua, et Magnificum Consilium Dominorum Antianorum Communis Ianue, in legitimo numero congregatum, et quorum qui interfuerunt hec sunt nomina: Iacobus de Francis de Viali, prior, Ur anus e Nigro, Iacobus de Guiso, Alaunus de Auria, Edoardus Grillus, Philippus auroia, Iulianus Salvaigus, Iohannes Blanchetus, lanerius, Hyeronimus de Grima is et Nicolaus de Regio, Semotis Donayno de Marinis et Franciscus de Nazario, re îquis duobus, auditis iterum predictis Benedicto et collegis, referentibus multum cogi tasse super facto serici costa, et fuisse persuasum eis fere ab omnibus ne costa immisteri permittant cum alio serico in pannis, videlicet, si quis eo velit uti, sepa ratum ab alio serico illo utatur; fuisseque comprobatum ab eorum precessori us quicquid superinde per ipsos Benedictum et socios estitit ordinatum, nec a lu superesse, quam quod fiat exeeutio, ordinatorum, dando edicta et preconia neces saria ac patentes litteras ad nundinas, ut que facta sunt cun[c]tis patefiant, au l tisque Donayno de Marinis et Francisco de Nazario, multa in ea re allegantibus et precipue dicto Donaino dicente non posse servari ea que de costa dicta sunt, m is rationibus ab eo memoratis, nisi saltem aliquod congruum tempus statuatur intra quod possint mercatores qui pannos in tellariis et sericum habent, rebus suis consulere; precedente examine ac disceptacione, statuerunt et decreverunt quod, elapso die veneris sexto decimo mensis presentis, fiant edicta, dentur littere, et omnis exeeutio eorum que ab ipsis Benedicto et sociis ordinata fuere, penitus fiat, non obstantibus allegatis per dictos Donainum et Franciscum, sempercunque dicti officiales id fieri petant. Eo anno, die mi iunii. Prenominati Benedictus et college, in pleno numero congregati in aula magna Palatii Communis, auditis iterum predicto Donayno et quibusdam aliis seateriis, et re multo discussa et examinata, tandem decreverunt et mandaverunt fieri per urbem ac publicari preconium tenoris infrascripti: « mcccclxVI, die mi iunii. Proclamate vos, preco Communis, per civitatem Ianue, in locis consuetis, parte Magnifici Domini Balthasaris de Curte, Ducalis generalis Vicarii etc., ac Vice-gerentis Magnifici ac Illustris Domini Ducalis Locuntenentis et Gubernatoris in Ianua, et Magnifici Consilii Dominorum Antianorum Communis Ianue, ac prestan-tium virorum Benedicti de Nigro, Baptiste Garroni, Iohannis Iustiniani de Banca et Marci de Auria, quondam Iacobi, ad infrascripta deputatorum cum amplissima — 226 - f h 1 omnibus notum et manifestum quemadmodum ab ipsis quatuor •i • 1 re orrnatI°nes infrascripte pro utilitate publica et augumento artium bernatorem^’ (^1^°^ P“ Magnificum et IIlustrem Dominum Gu' ■ ex monentur omnes ad quos spectet, ut decetero eas omnino servent cnk « • . -i _ . . ’ penis in eis contentis et prout latius in dictis reforma- tionibus, repositis in 11 ■ r' ■ tinetur cancellarla communis, penes cancellarium infrascriptum, con- ullum sericum nfn<^.Ue rc^ormatum et ordinatum est quod decetero non tingatur districtum sub ^ ' aC^a’ nec*ue sericum tinctum de lacha afferatur Ianuam vel in Et si consules £>emS ^ec^arat*s capitulis et applicatis prout in capitulis fit mentio. Item qu ,Uerint ne8Ügentes, puniantur prout in capitulis declaratum est. ex puro et nitido'11^611^0 ^ cremex^'’ non possit alius color misceri, sed tingatur capitulis cremexili, excepto dumtaxat oppopo, sub penis declaratis in etiam si fuerit^ ^ ^arLn's texendis et fabricandis non ponatur sericum crudum, excepto pro c*uorrloclocunque tinctum, nec aliquis tinctor possit illud tingere, antequam tin ^anmS kaldachinis, notificando consulibus de dicta arte tinctorum cotoni aut alt nCC Poss*nt dicti textore's texere de firoxella, nec de filo lini vel Item quodUS C'Ua^'tat:^s’ sub penis contentis in capitulis, nisi pannum ’ n°n pOSS*t fricari vel texi aliquis pannus in quo sit mixta costa, Item quodt0tUrrl‘ ^ eX COSta’ su^ Penis contentis in capitulo, nec aliter vendi *5ann*. ser'c* ^oni bullentur in capite et in marginibus ex piombo, amplissimum k- ?°sslnt> sub penis contentis in capitulis, et consules habent Item ar m investigandi, sub nenie C*uo<^ non Possit dari cerandria neque guma aliquibus pannis nec textoriis, ItemCOntentlS ^ Capitulis- tribus quart^s*0^ n°D poss“lt ^er' panni de morello nisi sericum sit tinctum pro ad similitudi ^ ^Ur° crernox'l' et extremitates sive cimocie sint ex serico croceo, jtem Pur' cremoxilis, sub penis contentis in capitulis, terciis sit U n°n poss*nt ®er* panni morelli de grana, nisi sericum pro duobus in medio tlnCtUm ex pura 8rana> et habeat cimoceas celestrias, cum animello viride penis em C*U0^ 'n rnorel,*° de braxilli non liceat ponere cimoceas croceas, sub sericu ntent*S *n opitulis, nec possint tinctores tingere nisi revideatur primo Per consules, ut in capitulo continetur, em quod consules artium predictarum teneantur iurare observantiam presen-m ^rmationum et capitulorum. em quod qui eligetur consul non possit recusare, sub pena ducatorum xxv. em quod consules possint impedire res pertinentes ad dictas artes, si Pldo ^oret quod non deberent vendi. ^tem possint consules textorum interdicere pannos penes textorem et com-nare deliquentes, sub condictionibus et penis contentis in capitulis. Item quod non possint texi vel fieri cincti serici nisi de bono serico, tincto ln^vero et nitido colore, videlicet de cremoxili puro et nitido et de morello cremo-puro et nitido pro tribus quartis et de grana pro duobus terciis, nec possit — 227 — in dictis cinctis poni sericum firoxellum nec costa, nec filum lini vel alterius qualitatis, sub penis contentis in capitulis. Item quod batifolium non possi(n)t laborare argentum de sua arte nisi primo fieri facia(n)t in cecha Ianue sazium de suo roello, et sit dictum argentum per sazatorem Communis approbatum in liga et qualitate convenienti, sub penis contentis in capitulis. Item non possit daurari aliqua batitura nisi in presentia sazatoris Communis qui ponat aurum in qualitate et quantitate declarata per capitula dicte artis, sub penis contentis in capitulis, et teneatur sazator ire ad apothecam batifoliorum sempercumque fuerit requisitus, pro dando dicto auro, sub pena contenta m capitulis. Item quod non possit laborari de dicta arte de nocte vel diebus feriatis declaratis in capitulis, sub pena contenta in capitulis. Possit tamen de die incidi et per cuti aurum pro fabricando ducatos. Item non possit levari aurum filatum in adis vel canonis nisi aurum sit totum, in principio, medio et fine de unomet auro, filo et seu serico et unius eius dem qualitatis et bonitatis, sub pena contenta in capitulo, et teneantur magistre iurare de sex in sex mensibus observantiam presentis reformationis. Item quod consules dictarum artium teneantur scribi facere in volumine suorum capitulorum présentes reformationes intra dies sex, et, illis habitis, noti dam dare de eis hominibus dictarum artium, et iuramentum deferre de observando, sub penis contentis in capitulis ». Die x iunii. Petrus de Valletaris, preco publicus, rettulit hodie se externa die proclamasse in omnibus et per omnia prout superius continetur. Eodem anno, die xii iunii. Prefati Magnifici Domini Vicegerens et Consilium Antianorum, in quo undedm ex eis affuerunt, absente solo Leonardo Saulo, duodecimo, denuo attribuerunt et attribuunt prenominatis Benedicto et sociis arbitrium audiendi, corrigendi et declarandi prout eis videbitur in costa et firoxella. Eodem anno, die primo septembris. Magnificus ac Illustris Dominus Sagramo-nus, Vicecomes Ducalis, Vicegubernator in Ianua, et Magnificum Consilium Dominorum Antianorum Communis Ianue, in quo decem ex eis affuerunt, absentibus Marco Calvo et Baptista de Cassina, auditis Thoma de Domoculta, Donayno de Marinis et pluribus aliis pro arte seateriorum Ianue, Iohanne de Regio et plerisque aliis pro arte dnctorum, Andrea de Varcio, Iohanne de Sancto Salvatore et quibusdam aliis pro arte batifoliorum, super querelis quas afferebant quisque pro sua arte, occasione reformationum capitulorum ipsarum artium, factarum per Benedictum de Nigro, ■ Baptistam Garronum et socios, in ea causa delegatos per ipsos Illustrem Dominum Vicegubernatorem et Consilium; et auditis ipsis Benedicto et Baptista, qui una cum aliis sociis eorum, vocati propterea fuerant ad conspectum ipsorum Illustris Domini Vicegubernatoris et Consilii, et illi non comparuerunt; cupientes tandem ut modus aliquis statuatur unde postea discedere vel reclamare non liceat, qui servetur ab artistis predictarum artium, denuo attribuerunt et attribuunt potestatem et arbitrium, predictis Benedicto et collegis, audiendi arti- fices predictarum artium et cuiuslibet earum, revidendi corectiones ab eis factas in capitulis earum, corrigendi, declarandi, emendandi, providendi et ordinandi in eis et quolibet eorum, prout eis videbitur et placuerit, ita quidem ut omnino et omm amota contradictione, intra totum presentem mensem vel comprobent quicqui ab eis factum fuit vel corrigant, declarent et emendent, ut certus modus et nis rebus illis esse impositus intelligatur. f11110’ die xx septembris. Magnificus ac Illustris Dominus Ducalis Vicegu- • erpai°r ln ^anua et prenominati Benedictus et socii, in pleno numero congregati Don atI° <^°mrnun^s> videlicet in studio dicti Palatii, auditis Thoma de Domoculta, nayno de Marinis et plerisque aliis ex arte seateriorum, et ipsorum querelis, mu um examinata ac discussa, tandem, omni via, iure et forma quibus melius potuerunt ac possunt, correxerunt et reformaverunt ac permiserunt quod in pannis cis possit [poni] costa fina pro tercia parte telle et seu orditure, non obstante ^ IttCr SUpfaSCriPtis -Pitulis sit statutum et ordinatum. em ea die, auditis textoribus cinctorum, correxerunt, reformaverunt ac per-non C*UO(^ *n c^c*^s cinctis possit poni costa et firoxella ut hactenus consuevit, s ante quod aliter in suprascriptis capitulis sit statutum et ordinatum. r Xxl111 septembris. Prenominati Benedictus et socii, in pleno numero con- culfa tXDln 3U^a ma®na Pa'at'' Communis, auditis denuo predictis Iohanne de Domo-qUea’i! °nayn0 Marinis, Iohanne Pansano et Iohanne Bartholomei super eorum e s, omni via, iure et forma quibus melius potuerunt ac possunt, correxerunt reformaverunt prout infra dicetur: vi e icet quia correxerunt et reformaverunt, ad hoc ut panni serici boni co-cantur, quod in omnibus pannis sericis nitidis et puris de costa, in quibus nihil X ea costa> fiat cordonum seu textura ex colore viridi in extremitate cimocie a d 6 ^Xter*or*’ saltem quantum capiat tercia pars latitudinis dicte cimocie, vel circa, hoc^' ° 'n ^°n®um totius telle talis panni boni dictam texturam viridem, et quum c signum sufficere videtur, revocaverunt et annullaverunt bulla illa que in prece-n i us capitulis nominantur et ponenda erant in pannis sericis, volentes ac con-rmantes quod in omnibus pannis alia signa fiant et ponantur preter hec bulla, prout poni consueverunt, et cimocie fiant ad solitum in omnibus pannis, nec aliud innovatum sit, quam hec tercia pars viridis in pannis bonis. Item statuerunt et ordinaverunt, ad hoc ut fraudantes facilius inveniantur, quod semper et quando constiterit per scripturam annotatam in libro textoris aut manu ipsius textoris aliter confectam, seaterium dedisse textori tellam suam cum cordono predicto, puram et nitidam, absque costa, et contingat in talli tella et seu panno ex ea fiendo, fraudem aliquam inveniri, eo casu, textor sit in culpa et non seaterius, et talis textor puniatur secundum quod in precedentibus capitulis declaratum est. Item correxerunt et reformaverunt quod seaterii possint accedere ad apothecas tinctorum et seu ad ea loca in quibus tingunt, et ibi astare et videre tingi suum sericum quod tinctoribus ad tingendum dedissent, et tinctores ipsi teneantur permittere illos sic stare et videre suum sericum continuo. Imponentes ex nunc consulibus artis seateriorum, qui sunt et pro tempore fuerint, in onus animarum suarum, ut se- — 229 — pissime accedant ad hos tinctores, et oculis videant tingere sericum quod tingendum erit, et insuper singulo mense convocari faciant consules dictorum tinctorum et eis iuramentum deferant si iuramentum detulerunt omnibus tinctoribus quod tinxerint toto eo mense iuste, secundum normam presentium capitulorum, et si que[m] habent delinquentem. Et ipsi consules tinctorum teneantur singulo mense omnes tinctores iurare facere si quilibet ipsorum iuste tinxit, secundum normam et legem presentium capitulorum. Que quidem omnia ita fiant, sub pena etc. Item statuerunt et ordinaverunt quod decetero non possit dari nec recipi pannus aliquis nisi secundum leges suprascriptas, et si aliter daretur vel reciperetur, intelligatur et sit ammissus. Qui vero nunc in tellariis sunt, perficiantur. Item correxerunt et reformaverunt, auditis querellis batifoliorum, quod bati-tura integra non possit fieri pluris quam librarum decemseptem argenti in pondere, in qua ponantur et poni debeant, pro dauratura, ducati quatordecim et quinta pars alterius boni auri ad pondus ceche Ianue, et si quis velit laborare pro medietate, id facere liceat, sed dicta medietas non possit excedere libras octo et uncias sex argenti in pondere, et in ea, pro dauratura, non possit poni minus quam ducati septem, et decima pars alterius ducati boni auri ad pondus ceche predicte, ita ut laborando pro dimidia, ponatur dimidia pars argenti et dimidia pars auri batiture integre, ut superius dictum est; et si quis contrafecerit, cadat in penam declaratam in precedenti capitulo « De roello saziando ». Item correxerunt et reformaverunt quod, ubi in precedentibus capitulis ap posita est pena amittendi roellum, si inveniretur minus de liga, quia difficilissimum est posse adequare dictam ligam, intelligatur huiusmodi pena fore florenorum decem pro singulo denario quo deficeret dictum roellum a liga sua, non obstante quod in precedentibus capitulis fuisse ordinatum. mcccclxvi, die x novembris. Transcriptum est ut superius legitur ex actis publicis Cancellarie Communis Ianue. Franciscus de Vernacia, cancellarius. VII Il governatore ducale e il senato rifiutano ai filatori capitoli autonomi in base al parere dei giureconsulti Matteo della Corte e Francesco Sofia. 1469, 11 settembre Cod. A, cc. 49 r. -51v. Illustri ac Magnificis Dominis, Ducali Gubernatori et Antianis excelsi Communis Ianue, reverenter exponitur ac supplicatur pro parte Dominationis eiusdem fidelissimorum servitorum consulum ac hominum et universitatis seateriorum ct texeranorum pannorum sete, quemadmodum ad noticiam eorum pervenit filatores sete requisivisse, sicut alias sepe fecerunt, capitula separata a capitulis formatis iam sunt anni trigintaseptem, quo tempore vixerunt sub dictis capitulis omnes homines facientes exercicium pertinens ad artem seaterie, et que capitula fuerunt ordinata, cum maxima animadversione et matura cause cognitione, per notabilissimos — 230 - ^ere ^d' US" Ut matrur'us P°ssent circa eorum confectionem et consultius proce-ere, atus est terminus anni unius, infra quem audiverunt, intellexerunt et ^^sent^6111^ 0rnn^a *^ue tenderent ad utilitatem et augumentum diete artis, ut possent intro ucere omnem dispositionem que tenderet ad eius augumentum et ea que inutilia cognoscentur, et adeo mature omnia disposuerunt ut ab eo ribus re Cltta 63 atS’ c*ue Ianua nulla erat et parvi momenti, facta sit ex nobilio-magis fructiferis artibus que in presenti urbe exerceantur, et sub qua maior ve<^1CrL|S, Personarum nutriantur, et que maiorem afferat commoditatem Reipublice, us et ne8ociationi, et qui inter precipua studuerunt non introducere divisio-eam Et" mater*am litigiorum inter eos qui exercent dictam artem et pertinentia ad licet Pr°Pterea intercetera capitulum inseruerunt tenoris infrascripti, « Quod sci-dicte SU CS artls seateriorum sint et esse debeant iudices competentes inter homines eam 1S et lnter quascumque personas laborantes, conducentes, operantes aliqua ad citium ’ ^>ettInent*a’ cluov's modo, vel aliquid agentes de pertinentibus ad exer-int ire,3"15 eiust^ern> iu quod omnes et singule tales persone supradicte sint et esse ^ &antur subiecte, sive suposite, supradictis consulibus, ac de iurisdictione ipso-con ‘d SU Um etC’ >>' ^ta ac* litteram in dictis capitulis sancitum est, et matura permittat 10ne’ c'u*n’ ubicumque inter caput et membra sit contentio et divisio, ac maje a ur quod familia contra patrem familias et suum principalem possit rebelare, omnem^ltUr ^ <^°rno ^a> nec a^ud esset nisi dare materiam ipsis filatoribus quod quod h Letam’ omnern laborerium sibi commendatum possent defraudare, confisi artis a.^ant capitula et possint inter se ipsos cervicem errigere contra principales conf US CSt °mn^no obviandum quin nihil aliud esset nisi dictam artem totaliter enim erC" 6t a<^ nichilum reducere, quoniam compellerentur artem deponere. Non P°ssent eo casu in filatoribus confidere: sunt enim in eo numero mulieres persone de quibus nulla haberi posset confidentia, si ab ipsorum iurisditione ngerentur, neque sunt sine capitulis, ut aiunt, quoniam ymo capitula dicte ln omnibus necessariis provident tam quo ad magistros quam quo ad labo-atores, et quoscunque exercentes pertinentia ad artem predictam. Propterea, dum as et. sePe facta fuerit per eos huiusmodi requisitio, repulsam habuerunt, et a novissime deliberaverunt Dominationes et Magnificentie Prelibate: verum quoniam sub quodam ficto collore quod non agatur de preiudicio seateriorum et quod poterunt ordinari capitula que non preiudicabunt, eisdem supplicantibus deventum €*t ad quandam commissionem. Diligentius habent animadvertere Dominationes preli-ate, quia non possunt fieri capitula ab ipso corpore segregata que non preiudicent et non detrahant iurisditioni ipsorum: nam multiplicatio capitulorum et multitudo diversorum voluminum sine dubio confusionem inducit et materiam iurgiorum, et sub clipio talium capitulorum semper resisterent iurisditioni superiorum, et si aliquid est de quo digne conquerantur, id exprimant coram Dominationibus Prelibatis, et si quid erit emendacione vel supletione dignum, pocius addendum esset capitulis artis quam quod quodlibet membrum velit esse a suo capite divisum. Et proinde pro parte de qua supra, humiliter supplicatur quatenus dignentur, Prelibata Illustrissima Dominatio ac Magnificentie, non dare materiam ut supra discensionibus et iurgiis, neque ut capita cum membris habeant litigare, et omnino decernere quod sub eisdem capitulis et legibus vivant, quemadmodum hactenus — 231 — facere consueverunt, et minime sunt mutanda que diu certam interpetrationem habuerunt, offerentes se paratos stare correctioni Dominationis Prelibate, tantum si quid est quod correctione dignum videatur. mcccclx nono, die vii septembris. Magnificus ac Illustris Dominus Ducalis Ianuensium Gubernator et Locuntenens, et Magnificum Consilium Dominorum An-tianorum Communis Ianue, in sufficienti et legitimo numero congregatum, intellecta supplicatione suprascripta et ipsis supplicantibus oretenus auditis; ex adverso auditis filatoribus serici; re ipsa iterum discussa et examinata; volentes omnia cum lusticia fieri, omni iure, via, modo et forma quibus melius potuerunt et possunt, denuo commiserunt et virtute presentis rescripti committunt Spectabilibus Dominis Vicario’ gubernatorio et Francisco Sofie ut, vel cum nobili Marco Cataneo, prout in prima commissione ipsis tribus facta continetur, vel sine ipso, referant ipsis Illustri Domino Locuntenenti et Consilio, intra diem lune, mane, que erit dies undecima mensis presentis, an et cuiusmodi capitula concedenda sunt dictis filatoribus vel non. Quod si intra dictum tempus non fecerint, cassa et inrita sit ac esse intelligatur omnis commissio ipsis Dominis Vicario et Collegis in predictis facta, et preter hoc nequaquam concedi possint capitula filatoribus ipsis, aliquibus in contrarium Consilium spectabilium et utriusque iuris doctorum dominorum Mathei de Curte, Ducalis Vicarii, et Francisci Sofie, commissariorum et delegatorum ut supra, presentandum Illustri Domino Ducali in Ianua Gubernatori et Magnifico Consilio Dominorum Antianorum, inter partes introclusas. In nomine Domini, Amen. Nos, Matheus de Curte, utriusque iuris doctor et Ducalis Vicarius, et Franciscus Sofia, utriusque iuris doctor, duo ex tribus commissa riis et delegatis ab Illustri Domino Ducali in Ianua Locuntenente et Gubernatore, et Magnifico Consilio Dominorum Antianorum civitatis Ianue, super contentis in supplicatione filatorum sete, per quam petunt concedi sibi certa capitula, de quibus fit mentio in volumine ipsorum capitulorum, corar» nobis presentato, et cuius quidem supplicationis et commissionis tenor infra sequitur et tallis est: « Illustri Domino Gubernatori et Magnifico Consilio Dominorum Antianorum supplicant et exponunt homines artis filatorum sete, quod, cum ars filatorum sete maxime in civitate Ianue aucta sit et in dies magis atque magis crescat, ipsaque solum ars hactenus in ipsa civitate sine consulibus et nullo ordine atque lege in dies exerceatur, in maximum incommodum, damnum, et ipsius artis et hominum eam exercentium, dictique homines dicte artis consilium susceperint huic rei salubre aliquid remedium et ordinem adhibere, quod erit et ipsius artis augumentum et honor omnium ipsam artem exercentium, nec non huius civitatis et artificum commodum atque decus. Et ideo infrascripta capitula ac ordines sibi concedi humiliter ab Illustri et Magnifico Domino Ducali in Ianua Locuntenente Magnificoque Consilio Dominorum Antianorum supplicant et requirunt ». « mcccclxviiii, die xxni augusti. Magnificus et Illustris Dominus Ducalis in Ianua Locuntenens et Gubernator, et Magnificum Consilium Dominorum Antianorum, in sufficienti et legitimo numero' congregatorum, intellecta supplicatione filatorum sete, per quam petunt sibi certa capitula de quibus in presenti volumine fit mentio, volentes uberius informari, - 232 - maxime propter contradictionem seateriorum, commiserunt et virtute presentium committunt, spectato Domino Vicario Gubernatorio, una cum claro legundoctore omino Francisco Sofia, et nobili viro Marcho Cataneo, duobus ex ipso Collegio ominorum Antianorum, quatenus audiant dictos supplicantes et videant ac examinent capitula que petunt sibi concedi, ex adversoque audiant seaterios contradicentes eo quod concessio capitulorum ipsorum ipsi arti serice preiudicium faceret, et emum, omnibus auditis et discussis, referant ipsis Magnifico et Illustri Domino uca i in Ianua Locuntenenti et Consilio quid in premissis invenerint»; visis igitur ictis supplicatione et commissione et contentis in eis; visisque suprascriptis capitu is ictorum supplicantium que concedi petunt, et ipsis diligenter examinatis; citationi us factis consulibus artis seateriorum et pariter artis textorum sete, in servatione alterius decreti conditi per prefatam Excelsam Dominacionem; comparinone acta per dictos consules artis seateriorum die xxxi augusti preteriti, et osi ioni us in ea contentis; visisque et perlectis statutis dicte artis seateriorum, rubric ^Cr. ^'ctos consules presentatis, et specialiter statuto illo posito sub « e iurisditione et balia consulum dicte artis seateriorum »; auditisque Dart Umer° c^ct*s partibus et dominis advocatis ipsarum, omnibus his que dicte voluerun°ram n°^S dicere, producere, monstrare, probare, exhibere et allegare beration ’ °retenus cluam inscriptis; et super premissis omnibus matura deli- ultimo T Pensatoque examine prehabitis, in observatione commissionis et decreti ten 0C° COnc^t:* Per prefatum Illustrem Dominum Ducalem in Ianua Locun-omni em et- ^u^ernatorern> et Magnificum Consilium Dominorum Antianorum; Matri V"' Vla' m0c^0 et ^orma quibus melius possumus et debemus, Christi eiusque pre o r lf“lniS Gloriose nominibus invocatis, eorumque nomina semper habentes dicirnu11 ^ ^ ^ mente> Prefate Excelse Dominationi auditis et discussis omnibus, filator^ ” re^er*mus invenisse ut infra: videlicet dicta capitula requisita per dictos sent°reS Sete non esse concedenda dictis filatoribus, ex eo maxime quia non pos-concedi sine preiudicio iurisditionis et capitulorum concessorum dicte arti seateriorum. docto Ut SUpra c^co et re^ero ego, antedictus Matheus de Curte, iuris utriusque or> ucalis Vicarius et in hac parte delegatus ut supra, et in fidem premis-me propria manu subscripsi et meo solito sigilo sigilavi. t ita ut supra dico et refero invenisse in predictis ego, Franciscus Soffia, *yns utriusque doctor, alter ex commissariis et delegatis antedictis, in quorum em manu propria me subscripsi et sigilo solito sigilare mandavi. Mcccclxviiii, die xi septembris. Magnificus ac Illustris Dominus Ducalis Ia-nuensium Gubernator et Locuntenens, et Magnificum Consilium Dominorum Antianorum Communis Ianue, in sufficienti et legitimo numero congregatum, visa, aPerta et plene intellecta relatione suprascripta et omnibus in ea contentis, secuti ormam et tenorem eius, omni iure, via, modo et forma quibus melius potuerunt et possunt, approbaverunt et ratificaverunt illam, pronuntiantes et decernentes in omnibus et per omnia prout in ipsa relatione continetur. Transcriptum est ut supra de actis publicis Cancellarie Communis Ianue. Ambrosius de Senarega, cancellarius. — 233 — Vili Controversia fra tintori di seta e setaioli: riconoscimento a questi ultimi DEL DIRITTO DI TINGERE IN PROPRI LOCALI LA MATERIA PRIMA DI LORO PROPRIETÀ, MA CON IMPORTANTI LIMITAZIONI luglio 1471 - maggio 1472 Cod. A, cc. 83 r. - 84 v. Iesus, mcccclxxii, die lune xi maii. Spectati ac prestantes viri domini Babila-nus de Grimaldis, Paulus Iudex, Simon de Nigrono et Baptista de Vineli, notarius, Patres Communis Ianue, commissarii et delegati Magnifici Domini Ducalis in Ianua Vicegubernatoris et Magnifici Consilii Dominorum Antianorum Communis Ianue, super controversia vertenti inter seaterios una parte et tinctores sete parte altera, prout de ipsa commissione constat publico rescripto manu egregii Ambrosii de Sena-rega, cancellarii, cuius tenor hic est: « Magnificis ac Prestantissimis Dominis Ducali Vicegubernatori et Antianis excelsi Communis Ianue, reverenter exponitur ac supplicatur pro parte Dominationis eiusdem fidelissimorum servitorum Iohannis de Rossetis et Iohannis de Sancto Salvatore, consulum artis seateriorum, ac nomine et vice dicte artis et universitatis, quemadmodum, sicut est manifestum, ars predicta, que est magnum membrum in hac urbe et prebet alimenta multis personis et pauperibus, continebat in se et continet membrum tinctorum sete, qui ad verum sunt de dicta arte et pars dicte artis, et qui ad veritatem sub eorum consulatu sunt, ut patet in multis capitulis dicte artis et maxime in capitulo sub rubrica “Que pertineant ad dictam artem rie”, item in capitulo sub rubrica “Quod filatores serici vel tinctores etc. , et in tis aliis capitulis dicte artis et in capitulis “De pannis sericis recte construendis , et quemadmodum filatores, qui etiam sunt de dicta arte, nunquam habuerunt capitula separata, sed sunt sub capitulis artis ipsorum seateriorum, ipsi etiam tinctores eodem modo vivere debent, sicut etiam vixerunt temporibus retroactis et a tempore quo dicta ars fuit instituta et conducta in civitatem Ianue, sumptibus et expensis ipsorum seateriorum. Anno vero de mcccclxv videntur obtinuisse certa capitula condita a certis civibus, que sunt in magnum preiudicium totius artis ipsorum supplicantium, quod si fieri debuit, necessarium erat quod citarentur pro suo interesse, quia nihil potuit statui in preiudicium tercii, parte inaudita. Quo fit ut présumant prohibere ipsis supplicantibus quominus setam suam propriam tingant et tingi faciant more consueto, et prout fecerunt ab arte condita seu instituta citra, pacifice et sine contradictione alicuius persone. Ipsi tinctores presumentes non habere correctorem nisi suos consules, et confidentes de impunitate male gestorum, infinitas fraudes, damna, iniurias committunt et, ut vera loquantur, furta contra ipsos supplicantes: nam et in subtractione sete que datur eisdem, et in commutatione de bona in malam et in ponderibus, et in qualitate tincture, committunt contra ipsos supplicantes fraudes infinitas, sicut efferunt se paratos incontinenti fidem facere in beneplacito Dominationis Prelibate. Que omnia presumunt ex sperata impunitate et propter audaciam quam conceperunt ex dictis capitulis, ut supra concessis, parte non citata et inaudita, et in maximum damnum et preiudicium totius artis ipsorum. Quapropter, pro parte de qua supra, humiliter supplicatur quatenus dignentur Ma-gnificientie Prelibate circa premissa de opportuno remedio providere ac decernere, — 234 — seate- mul- et mandare quod de iuribus ipsorum capitulorum intelligatur utrum fuerint legitime et iuste concessa vel non, ipsis non citatis nec auditis ut supra, et in quantum reperiantur illegitime concessa nec iuste, irritentur et revocentur, et interea non possint eis uti, donec fuerit cognitum de iuribus partium, maxime quia non debent fieri novi usus et nova capitula in preiudicium tercii, ipsis non citatis ut supra, ac statuere quod ipsi possint tingere et tingi facere, ad solitum, setam ipsam, et pro usu suo et suarum apothecarum, in omnibus et per omnia prout facere consueverunt, non obstantibus dictis capitulis fraudulenter ut supra impetratis, et quod non inducantur novi usus et nove prohibitiones, in preiudicium dicte artis, cuius sunt membrum ut supra ». « mcccclxx primo, die xxim iulii. Magnificus et Prestantissi-mus Dominus Ducalis Ianuensium Vicegubernator et Magnificum Consilium Dominorum Antianorum Communis Ianue, in sufficienti et legitimo numero congregatorum, intellecta supplicatione suprascripta et ipsis supplicantibus oretenus auditis; ex adverso intellecta contradictione tinctorum sete; re ipsa examinata, omni iure, via, modo et forma quibus melius potuerunt et possunt, commiserunt et, virtute presentis rescripti, Spectatis Dominis Patribus Communis committunt, ut, auditis partibus suprascrip-tis ac visis videndis et consyderatis debite consyderandis, statuant, diiudicent et declarent a quibusnam tingi debeat seta ipsa, et in quibus locis ac quo tempore, finem imponendo controversie inter ipsas partes vertenti, respectu tincture dicte sete, illis mo is, formis et condicionibus prout ipsis Dominis Patribus Communis melius visum fuerit iusticie et utilitati publice convenire, non obstantibus capitulis ipsorum seateriorum et tinctorum, quantum duntaxat in re suprascripta. Manu Ambrosii de Se-narega, cancellarii »; cum fuisset per multos dies ea controversia coram dictis dominis e egatis citro ultroque inter dictas partes agitata, tam hinc per ipsos seaterios, asserentes, et circa illud maxime insistentes, quod cum ars sua sit potissima ac suprema pars et membrum universe artis serice, ex qua ars ipsa tingendi velut exigua admo-um pars ex integro corpore dependet, dissanum admodum esset quod capita membris in aliquo subiacerent, eo presertim quod antiquissimis temporibus ipsi tinctores suppositi erant ipsis seateriis in tingendo setam illorum, ubi, quando et quomodo ipsis seateriis placebat, itemque quia palam est artem ipsam tingendi penitus originem in urbe Ianue sumpsisse ab ipsismet seateriis, quod prout sibi libebat manibus propriis sericum tingebant, et aliquotiens adhuc ex se ipsis extare, quia tingunt ut e ent et possunt, absque contradictione alicuius persone, et pleraque alia pro causa sua in medium adducentes, ac propterea supplicantes ut, sicut semper illis licuit absque aliquo obstaculo tingere, ita nunc et deinceps semper permittatur eis, ac declaretur, ut tingere libere possint sericum et artem ipsam tinctorie libere exercere ac exerceri facere, non obstantibus pretensis et allegatis capitulis ipsorum tinctorum, que, in preiudicium et nocumentum ipsorum seateriorum, neque impetrari potuerunt, neque credendum est sibi ipsis tinctoribus, in preiudicium seateriorum, fuisse concessa; et ex adverso Gregorius de Silvaricia et Paulus de Novis, consules artis tinctorum sete anni proxime preteriti, et idem Gregorius ac Francisais de Semino, consules eiusdem artis anni presentis, simul cum plerisque aliis tinctoribus, asseruissent artem ipsam tingendi esse unam ac per se ipsam divisam et disparti-tam ab ipsa arte seateriorum, idque vel maxime constare ex particularibus et specialibus capitulis induitis ipsi arti tinctorum ab excelso Communi Ianue, quod, in-telligens quantum ars ipsa in civitate Ianue sit momenti, voluit illam sub legibus — 235 - et capitulis specialibus administrari et regi, in quibus illud precipue statui voluit, quod aliquis civis Ianue, districtualis seu forensis, qui non didicerit dictam artem in Ianua, stando concordatus cum aliquo de dicta arte, per instrumentum, annis quinque in sex, arbitrio consulis dicte artis et magistri cum quo steterit, non possit habere vel tenere seu teneri vel fieri facere apothecam in Ianua pro laborando de arte predicta, ex quo manifeste constat neque ipsis seateriis neque aliquibus aliis qui eam artem iuxta formam dicti capituli non didicerint, licere illam exercere seu exerceri facere, quod, si omnibus liceret indifferenter artem ipsam tingendi exercere, necesse foret tinctoribus ipsis qui eam suxerunt et in ea suos annos consumpserunt, quique ex ea vix familiis suis victum parare queunt, urbem deserere et alio migrare, ad querendum sibi victum, quod quantum posset civitati abesse, si ars ipsa ad exteras gentes exportaretur, facile intelligi potest; et ob hec omnia supplicantes, et pro iusticia postulantes, ab ipsis dominis delegatis observari capitula sibi magna premeditatione concessa, neque velint pati ut arte sua, que archa panis illis est, tam indigne priventur, immo prohibeant ipsis seateriis artem suam facere, sed sua contenti sint; re, ut dictum est, multum ac diu versata et discussa; auditis sepe ac sepius partibus suprascriptis cum causidicis et procuratoribus suis; visis et intellectis capitulis utriusque partis; auditisque demum iuribus ac rationibus quas tam verbo quam scripto producere et monstrare voulerunt; consyderatis omnibus que super ipsam materiam consyderanda fuenmt; longo ac plurium dierum examine procedente, omni iure ac via quibus melius et validius potuere, decreverunt, declaraverunt, pronunciaverunt ac sententiaverunt ut infra: videlicet quia, decreverunt, declaraverunt, pronunciaverunt et sententiaverunt quod omnes et singuli seaterii, e>- qui artem seaterie exercent, possint deinceps habere et tenere ac teneri et fieri facere unam tantummodo tinctonam pro singulo eorum et non ultra, que sit patens et publica, in qua possit tingi facere solummodo setam suam propriam et ad se solum spectantem ac pertinentem, in quovis genere coloris sibi placuerit, iuxta formam semper capitulorum artis tinctorum, exceptis coloribus de cramoxili et de grana et de morello de cramoxili et de morello de grana, qui colores ipsis seateriis omnino prohibiti sint et esse intelligantur, neque in ipsis apothecis seu tinctoriis eorum propriis ullo modo liceat tingi facere aliquam quantitatem, magnam vel parvam, ex ipsis coloribus de cramoxili et de grana, que seta, ut supra tingi con-, ab aliquo tingi non possit nisi a tinctore docto et magistro ipsius artis tinctorum, et cui liceat artem ipsam exercere. Item quod in ipsas tinctorias consules dicte Ii k t*^ctorurn Possint, sempercunque ad eorum liberam voluntatem, et a seateriis a enti us tinctorias permittantur, accedere et tincturas revidere ac percensere, iuxta ormam capitulorum suorum, prout possunt in tictorias aliorum tinctorum. Que omnia et singula suprascripta, ut debitam atque omnimodam habeant o servantiam, dicti domini delegati constituerunt et imposuerunt, et, virtute presentami constitutionum, imponunt penam librarum vigintiquinque unicuique in predictis aut aliquo predictorum contrafacienti, et totiens ab eo statim exigendam quotiens fuerit contrafactum; cuius pene dimidiam assignatam esse voluerunt Operi portus ac molis, et reliquam dimidiam dicte arti tinctorum. Iohannes de Guirardis, notarius. — 236 - IX Convenzione fra setaioli e tessitori sulle modalità della retribuzione Elenco dei 124 setaioli che sottoscrissero l’accordo 1479, 22 aprile. A.S.G., Artium, fl. n. 161. In nomine Domini, Amen. Iohannes Delfinus, Hieronimus de Andoria, Iacobus de Vegetis et Theramus de Baliano, seapterii deputati ad infrascripta et habentes amplam potestatem et baliam ad omnia infrascripta ab hominibus eorum artis seapteriorum, ut constat publica scriptura scripta manu Pauli Ragii, notarii, die xviii presentis mensis aprilis, et infrascripti homines eiusdem artis seapteriorum, illi scilicet ex dicta arte qui inferius se suscribent, ex una parte, et Matheus de Palacio, Petrus de Anrico et Franciscus de Ferro, consules artis textorum pannorum septe, suis nominibus et nomine et vice hominum et universitatis eorum artis textorum, habentes ab eisdem amplam potestatem et baliam ad omnia infrascripta, ut constat publicis scripturis manu mei notarii infrascripti, diebus prima et xxi presentis mensis aprilis, pervenerunt et pervenisse confessi fuerunt ad infrascriptam compositionem et pacta super salariis seu mercede solvenda ut infra et aliis de quibus infra dicetur. Videlicet quia in primis convenerunt quod non obstantibus presentibus conventionibus pactis et non obstantibus aliquibus aliis conventionibus firmatis vel firmandis inter dictas partes, nihilominus firma maneant iura, statuta, ordinamenta ac decreta dictarum artium, et specialiter ubi de salariis et mercede solvenda tractatum, et etiam sententie Spectabilium Dominorum Sindicatorum, commissariorum et delegatorum, et ita et taliter propter presentem conventionem et pacta nullum intelligatur generatum preiudicium in predictis et circa predicta, sed omnia remaneant in suo robore et prout...1 sunt seu erant ante presentem conventionem, firmis tamen manentibus conventionibus infrascriptis, quantum scilicet pro annis octo proxime venturis, de quibus infra dicetur. Videlicet quia dicti infrascripti seapterii promiserunt et convenerunt dare et solvere dictis textoribus ab hodie in antea usque ad perfectum seu completum tempus dictorum annorum octo, soldos decem et septem ianuinorum de numerato pro singula libra eius quod eis debetur pro mercede laboris ipsorum texaranorum vigore conventionum suarum, salvo tamen quod de ipsis velutis duplis teneantur solvere dicti seapterii soldos viginti pro libra de numerato, et pro zentuninis solvatur ad rationem soldorum octo de numerato si fuerunt de portatis octuaginta quatuor et ab inde infra, si vero fuerint a portatis 84 supra usque in centum quinque solvatur ad rationem soldorum decem, et si fuerint ab inde supra solvatur ad rationem soldorum duodecim de numerato ut supra, declarato tamen quod de ipsis zentoninis iam inceptis et nondum completis solvatur more solito, et pro camocatis ad rationem soldorum quatuordecim pro brachio de numerato, et pro avelutatis ad rationem soldorum vigintiquinque pro brachio, ad rationem soldorum decem et septem pro libra, et pro velutis cremexi finis et de retalio ad rationem soldorum viginti pro 1 lacuna dovuta ad una lacerazione nel documento. — 237 — brachio de numerato, et pro velutis cremexi non finis et de sorta ad rationem soldorum decem et septem de numerato, et de ipsis solucionibus ut supra fiendis in modum suprascriptum, singula singulis referendo, ipsi texerani teneantur et debeant esse taciti et contenti ita quod amplius petere non possint pro dictis suis laboreriis dicto tempore durante, et pro qua quidem solutione vel in solutionem dictorum suorum laboreriorum dicti seapterii non possint nec aliquis ipsorum possit aliquo modo dirrecto vel indirrecto dare ipsis textoribus vel alicui ipsorum aliquam aliam rem preter pecuniam numeratam, adeo quod non possint dare pagas Sancti Georgii alicuius generis, etiam pro eo quod valebunt tempore solutionis fiende vel aliter, immo omnis solutio aliter facta sit ipso iure nulla et pro non facta penitus habeatur; salvo et specialiter reservato, non obstantibus supradictis, quod possint ipsi seapterii dare ipsis textoribus, infra solutionem dictorum suorum laboreriorum, granum et vinum hoc modo, videlicet in et super qualibet tella de braciis triginta usque in quadraginta minas duas grani et metretam unam vini et sic pro rata mensure cuiuslibet telle, salvo quod pro dictis zentoninis non liceat nec possit granum neque vinum dari, sed teneantur solvere de numerato prout supra, et quod granum et vinum ut supra dandum de et pro tellis velutorum de quibus supra, teneantur dare pro eo vero pretio quo valebit eiusdem qualitatis granum in raiba et vinum in darsina, et si quod aliud ultra reperire tur...1 per aliquem per rectum aut per indir-rectum preter pecuniam numeratam, granum et vinum modo et forma quibus superius dictum est, nisi processerit de expressa inscripta licentia dictorum consulum artis textorum qui nunc sunt et pro tempore fuerint, intelligatur et sit deperditum et applicatum dicte arti textorum pro una tertia parte et pro alia tertia parte accusatori, qui teneatur secretus, et pro reliqua tertia parte dicte arti seapteriorum; et liceat dictis consulibus dicte artis textorum ubique si fuerit res non adhuc consumpta eam eorum propria auctoritate capere et si fuerit res consumpta exigere precium a textore qui rem ipsam acceperit, sed teneatur seapterius reficere et solvere precium ipsius rei dicto textori et ultra cadat in penam de qua infra dicetur. Acto^ etiam quod omnis conventio vel compositio iam capta vel que de novo caperetur inter seapterium et texeranum per quam aliquo modo solveretur minus quam ut superius dictum et declaratum est, aliter quam in pecunia numerata ac grano et vino ut superius dictum est, quod texeranus habeat minus pro dicta sua so rnione quam ut superius dictum et expressum est, ab hodie in antea sit ipso iure nu a et non valeat nec teneat nec per eam excusari possint ipsi seapterius vel seap-tem quominus integram solutionem dictarum manifaturarum facere teneantur et e eant ictis textoribus vel textori modis et formis quibus supra; et ut partes ipse causam habeant predicta omnia servare saltem metu alicuius pene, ideo fuit actum er conventum inter ipsas partes quod si decetero reperiretur aliquis predictorum rascriptorum predictis vel alicui predictorum contrafaciens seu non observans predicta, ipso iure cadat tam seapterius quam texaranus recipiens solutionem aliter quam ut supra, in penam infrascriptam, videlicet seapterius florenorum duodecim pro singula pecia in qua fuerit repertus seapterius alicui predictomm contrafecisse vel predicta non servasse, aplicandorum arti texaranorum pro una quarta parte et 1 lacuna dovuta ad una lacerazione nel documento. — 238 — pro una alia quarta parte diete arti seapteriorum et pro alia quarta parte Patribus Communis et pro reliqua parte accusatori, qui teneatur secretus; et ultra dictam pedam dictus seapterius teneatur solvere dicto texarano usque ad concurrentem summam de qua et prout supra dictum est, singula singulis refferendo, et dictus texa-ranus recipiens et contrafaciens cadat in penam florenorum sex aplicandorum modo et forma quibus supra dictum est; quequidem pene exigantur et exigi debeant ab ipsis contrafacientibus sine aliqua dilactione vel processu aliquo, statim constito de contrafactione, nullo alio exquisito et nulla excusatione vel exceptione admissa, hoc tamen acto et declarato quod si textor qui fraudem aliquam commiserit contra predicta et prius quam fraus ipsa ab aliqua alia persona detecta aut manifestata fuerit, eam fraudem detegerit et manifestaverit ipse textor dictis consulibus artis textorum, nominando tamen illum cum quo ipsam fraudem commiserit, sine aliqua fictione, quod eo casu ipse talis textor sit absolutus a dimidia dicte pene florenorum sex nec ab eo exigi possit quam reliqua dimidia. Acto etiam quod quocienscumque dicti consules artis textorum vel aliquis textor conveniret aliquem ex dictis seapteriis, ex eo quod ipse seapterius minus dedisset aut solvisset textori quam ad rationem de qua supra, vel aliquam rem dedisset textori contra formam presentis conventionis, et ipse seapterius hoc negaret, possit ipse seapterius compelli ad iuramentum super hoc, et si iurare recusaret habeatur pro contrafaciente sine aliqua probacione et condemnetur ipse seapterius tanquam contrafaciens, iuxta requisicionem convenientis eum, et ab eo exigatur dicta pena in omnibus ut superius dictum est, et similiter condenetur et exigatur dicta pena si talis seapterius fuerit repertus culpabilis vel contrafecisse alicui predictorum per iuramentum eius, modis et formis quibus supra. Acto etiam quod dicti seapterii infrascripti et quilibet ipsorum teneantur et debeat semper solidare cum suis texaranis in libro ipsorum taxaranorum de qualibet tella, saltem in menses duos secuturos a die consignationis ipsi seapterio facte per dictum texaranum, et hoc sub pena florenorum duorum a singulo ipsorum contrafaciente, irremissibiliter aufferenda pro singula petia pro qua fuerit contrafactum, salvo si steterit pro textore, qui textor eo casu incurrat in dictam penam, que penam exigatur et exigi debeat et aplicetur ut supra; et ut clarius intelligi possit culpa cuius processerit quin fuerit solidatum, teneatur texeranus sub pena suprascripta, in mensem unum secuturum a die consignationis facte de dicta tella, querellam facere dictis consulibus dictarum artium de seapterio recusante seu negligente solidare ut supra, et tunc non possit in aliquo imputari textor nec in aliqua pena de predictis incurrat; et quia per dictos consules artis textorum asseritur aliquos seapterios retroactis temporibus non fecisse eorum textoribus solutionem prout facere tenebantur, tam vigore sententiarum et capitulorum dictarum artium quam vigore conventionum et pactorum conventorum inter ipsas artes, et contra quos ipsi consules artis textorum intendebant uti iure suo, attamen volentes amicabiliter et amorose vivere cum infrascriptis seapteriis qui se subscribent, ut equum et honestum est, ideo fuit perpactum inter dictos contrahentes quod tam occasione predicta quam aliter, quomodocumque, nihil ab ipsis infrascriptis seapteriis vel aliquo ipsorum peti posset per dictos textores et seu per eorum consules vel aliquam aliam personam pro eorum arte, imo omnis pena intelligatur ipsis infrascriptis seapteriis remissa et quitata, et — 239 — sic ad cautellam ipsi consules artis textorum eosdem infrascriptos seapterios et seu me notarium infrascriptum eorum nomine stipulantem per presentem quitant, liberant et absolvunt, et sic etiam ab omni solutione facta ad minorem rationem de qua supra dictum est, ita quod non possit neque liceat alicui textori nihil ultra petere, requirere vel habere ab aliquo infrascriptorum seapteriorum quam illud de quo se convenit cum dicto seapterio, ita et taliter quod si aliquis textor se convenit pro tempore preterito pro laborerio iam facto, ut puta, cum aliquo dictorum seapteriorum ad rationem soldorum duodecim, quod talis conventio locum habeat et nihil ultra dictus textor habere vel requirere possit pro dicto laborerio facto, sed pro dicto laborerio fiendo solvatur ad rationem de qua supra dictum est. Et ut predicta omnia inviolabiliter observentur et ad debitum finem perducantur, fuit etiam et est per pactum expressum quod dicti consules dicte artis textorum qui nunc sunt vel pro tempore fuerint, durante dicto tempore dictorum annorum octo, teneantur et debeant adhibere omnem curam et diligentiam eis possibilem ac omnem custodiam in faciendo predicta omnia observare, et teneantur quemcumque quem invenerint predictis vel alicui predictorum contrafacere, conveniri et condemnari facere in omnibus et per omnia prout supra dictum est, toto eorum posse, nec audeant vel présumant capere aliquam mangiariam seu exenium vel aliquod aliud per rectum vel per indirrectum ab aliquo contrafaciente seu ab aliqua alia persona pro eo, et si dicti consules vel aliquis ipsorum repertus fuerit predictis vel alicui predictorum contrafecisse vel contrafacere, cadat quilibet ipsorum et ipso facto cecidisse intelligatur in penam florenorum vigintiquinque a quolibet ipsorum contrafaciente, irremissibiliter auferenda et aplicanda dicte arti seapteriorum pro una quarta parte et pro una alia quarta parte dominis Patribus Communis et pro una alia quarta parte opere capelle dicte artis textorum, et ultra dicti tales consules priventur ipso facto et privati esse intelligantur ab officio dicti eorum consulatus, et que pene exigantur et exigi possint et debeant a dictis talibus contrafacientibus per dictos dominos Patres Communis et quod domini Patres Communis etiam, si opus erit, casu predicto, privare possint dictos consules. Et quia necesse est habere magistratum quod predicta pacta inviolabiliter observari faciat, ideo fuit et est per pactum expressum inter dictas partes quod dicti consules artis textorum et quilibet de dicta arte possint et valeant et quilibet ipsorum possit et valeat ac sibi liceat pro premissis et observacione omnium et singu-orum premissorum, habere regressum ad Spectabiles Dominos Sindicatores Communis Ianue et ad Spectabiles Dominos Patres Communis ac Egregios Dominos ensores et ad illum ipsorum magistratu[u]m ad quem ipsi consules artis textorum et quilibet eorum elegerit pro predictis vel occasione premissorum habere regressum eu recursum, et coram eo magistratu ex predictis quem elegerint vel aliquis ipso-ra e egerit possint convenire quemcumque quem pretenderent seu pretenderet tra ecisse predictis vel alicui predictorum, declarato quod liceat semper pro quaque causa, quam movere voluerint seu aliquis ipsorum voluerit, eligere illum ex P ctis magistratibus quem ipsi vel aliquis ipsorum voluerint seu voluerit et co-o talem causam movere, prosequi et terminari facere pro premissis et occa-premissorum observacionis, et ille magistratus ex predictis coram quem talis ca isa mota et incoata fuerit sit et esse intelligatur magistratus ac iudex competens — 240 — ac merus executor in et de predictis et pro observacione premissorum, et possit in premissis et circa premissa procedere, sententiare et de plano ac simpliciter, sine strepitu et figura iudicii ac secundum meram et puram consientiam ipsorum, sola facti veritate inspecta, et a sententiis, gravamine et executione eius vel aliqua earum parte, nullo quovis modo appellari vel reclamari possit aut dici vel allegari nulla vel iniqua. Acto etiam quod semper et quandocumque contigerit aliquem seapterium contrafacere predictis pactis, vel alicui ex eis, vel aliqua suspicio oriri de aliquo contrafaciente, et de hoc seu occasione predicta dicti consules artis textorum convenire seu conveniri voluerint talem contrafacientem vel suspectum coram aliquo 'wX magistratibus predictis ad faciendum querellam de tali contrafactione vel suspecto, teneantur consules dicte artis seapteriorum qui nunc sunt vel pro tempore fuerint, semper et quandocumque ad requisicionem dictorum consulum artis textorum vel agentium pro dicta arte, comparere cum eis coram eo magistratu ex predictis coram quo dictus talis contrafaciens vel suspectus fuerit conventus, et eisdem consulibus artis textorum esse favorabilles eisque prebere auxilium, consilium et favorem in observando et observari faciendo suprascriptam compositionem et pacta et condemnari faciendo talem conventum in omnibus et per omnia prout in infrascripta compositione et pactis continetur; et semper et quandocumque dictus magistratus cognoverit et declaraverit talem conventum contrafecisse dictis compositioni et pactis vel alicui ex eis vel predicta non observasse, tunc et eo casu liceat et licitum sit dictis consulibus textorum pannos talis contrafacientis quos invenerint super tellariis interdicere et arestare ac bullare, et facere ita et taliter quod ipsi panni non texentur nec laborentur donec et quousque talis contrafaciens solverit penam in quam incurserit ac integraliter solverit et satisfecerit textori et seu textori us suis, prout superius declaratum est. Et ut omnis cavilatio et materia litigandi tollatur et extirpetur a quocumque contrafaciente et seu predicta omnia observare recusante, fuit et est per pactum expressum inter dictas partes quod consules ambarum artium teneantur et debeant comparere coram Illustre Domino Duce ac Magnificis Dominis Antianis Communis anue et facere toto eorum posse quod ipsi approbent, ratificent et confirment presentem compositionem et pacta et quod decernant quod predicta observentur et observari debeant per utranque partem et demum quod dicti officiales superius nominati sint et esse intelligantur magistratus de predictis et quilibet ipsorum inter dic-partes ac ipsarum meri executores de predictis, cum potestate et balia de qua et prout superius expressum est. Insuper dicti Iohannes Delfinus, Hieronimus de Andora, Iacobus de Vegetis et eramus de Baliano, concordes, habentes plenam et amplam potestatem et baliam presentem compositionem ac pacta faciendi, firmandi et concludendi cum dictis textoribus, ut lacius constat dicta scriptura scripta manu Pauli Ragii, notarii, hoc anno, dicta die xvm presentis mensis aprilis, et cupientes ad confirmationem et conclusionem pro evidenti utili et commodo ambarum artium ac tocius Reipublice pervenire, maxime cum illud idem cupiant dicti textores, ideo dicti Iohannes, Hieronimus, Iacobus et Theramus superius nominati, eorum propriis et privatis nominibus, ac nomine et vice totius dicte eorum artis ex una parte, nec non et dicti Matheus, Petrus, Franciscus, concordes, habentes baliam a dicta eorum arte ad pre- — 241 - 16 dicta omnia, ut constat dictis scripturis scriptis manu mei notarii infrascripti, diebus prima et xxi presentis mensis aprilis, et quarum scripturarum balie ambarum partium copie sunt penes me notarium infrascriptum, ex parte altera ibidem petentes, predictam compositionem cum omnibus et singulis in ea contentis fecerunt et concluderunt et affirmaverunt ac vigore et virtute presentis faciunt, concludunt et affirmant in omnibus et per omnia prout in ipsa compositione et qualibet ipsius parte continetur, eamque compositionem, -omniaque et singula in ea contenta durare debere per et usque ad annos octo proxime venturos, hodie incoandos, quibus finitis partes ipse remaneant, non obstantibus predictis, in illo statu et gradu ac condicione in quibus ad presens sunt et seu erant ante presentem compositionem, adeo quod non intelligatur derrogatum aliquibus iuribus competentibus dictis textoribus contra dictos seapterios et e converso, et intelligantur predicta locum habere cum illis seapteriis tantum et respectu ipsorum qui manibus eorum propriis presentibus pactis et compositioni se subscribent infra dies octo proxime secuturos a die requi-sicionis super hoc fiende per dictos consules; pro aliis autem non, sed remaneant in illi statu et gradu ac forma quibus sunt vigore dicte sententie dictorum Dominorum Sindicatorum commissariorum, presentibus pactis et compositione in aliquo non obstantibus, et ultra peti et exigi possit a dictis seapteriis et quolibet ipsorum se non subscribente infra dictum terminum, per quemcumque textorem pro mani-facturis ipsorum et cuiuslibet ipsorum factis temporibus preteritis, videlicet a tempore ultimi covenii finiti citra, ad eam rationem de qua et prout constat in sententia prefatorum Dominorum Sindicatorum commissariorum ut supra, predictis etiam non obstantibus. Item ut predicta omnia fine debito terminentur, fuit per pactum expressum inter dictas partes quod, elapsis dictis annis octo de quibus supra, consules dicte artis textorum qui nunc sunt et pro tempore fuerint, sive agentes pro dicta arte, habeant terminum anni unius ad petendum et conveniendum omnes et singulos eos quos pretenderint contrafecisse seu non servasse suprascritam compositionem et pacta; quo anno elapso post dictum octavum annum, nullactenus liceat dictis consulibus vel agentibus pro dicta arte petere vel requirere aut convenire aliquem quem deinde pretenderint predictis contrafecisse aut predicta non servasse, sed intelligatur deinde perpetuum silentium esse impositum omnibus qui contrafecissent aut ea non observassent. Item fuit et est perpactum inter dictas partes quod decetero non liceat quo-vismodo alicui seapterio seu iuvenibus ipsius per rectum aut per indirrectum retinere vel percipere aut recipere, nec retineri, percipi aut recipi facere vel permittere in eorum voltis, tempore festivitatis Domini aut alio tempore, aliquam pecuniam pro denariis nucum vel ut vulgo dicitur « dine da noxe »; et pari modo non liceat alicui textori dare et seu dimittere alicui seapterio aut in aliqua volta ipsorum sive eorum iuvenibus, aliquam pecuniam occasione predicta, per rectum aut per indirrectum, sub pena florenorum quatuor a singulo contrafaciente tam seapterio quam textore, tocius auferenda per dictos consules dicte artis textorum qui nunc sunt vel pro tempore fuerint quociens fuerit contrafactum. Acto etiam quod non liceat decetero dicte arti seapteriorum et seu agentibus pro ea, ponere in deveto dictos. Matheum, Petrum et Franciscum neque aliquem - 242 - ipsorum neque aliquam aliam personam dicte artis que decetero defenderet dictam artem seu defensioni ipsius artis intervenerit, sub pena dücatorum centum in tantum ex nunc taxata per dictas partes, in quam incurrat quilibet qui dicto deveto intervenerit, tociens quociens fuerit contrafactum; que pena applicetur et applicari debeat illi textori seu textoribus qui positus fuerit aut fuerint in deveto pro suo danno et interesse, dummodo prius de tali deveto constet per scripturam aut per testes. Promittentes dicte partes, videlicet una alteri et altera uni, predicta omnia pro tempore suprascripto habere et tenere rata, grata et firma et contra in aliquo non facere, dicere vel venire aliqua ratione, occasione vel causa que modo aliquo vel ingenio dici vel excogitari possit, nec allegare aliquod capitulum, decretum vel ius aliquod propter quod possint predicta vel pars aliqua eorum infringi vel violari, imo renuntiantes omni beneficio iuris quo possint aliqualiter se iuvari, volue-runtque quod predicta pacta et compositiones inviolabiliter observentur sub pena et penis de quibus supra, in quam seu quas incidat ipso iure contrafaciens totiens quotiens contrafactum fuerit, allegando aliquod statutum, decretum vel ius contra predicta vel opponendo de iuribus eius, salvis semper manentibus omnibus et singulis suprascriptis, et pro inde et ad sic prout supra effectualiter observandum, dicte partes dictis nominibus sibi ad invicem et vicisim pignori obligaverunt et ipotecha-verunt omnia bona sua dictis nominibus, presentia et futura. De quibus etc.. Actum Ianue, in platea nobilium de Cigalis, videlicet in logia dicte artis seateriorum, posita sub domo heredum quondam Ambrosii de Fumariis, anno a nativitate Domini milesimo quadringentesimo septuagesimo nono, indicione undecima secundum Ianue cursum, die Iovis xxn aprilis, in tertiis, presentibus testibus Paulo Ragio, notario, Bartholomeo Cafferena, berreterio, Leonardo et Urbano Cavaturta, mersariis, quondam Baptiste, civibus Ianue ad hec vocatis. Elenco dei 124 setaioli che sottoscrissero l’accordo Galeotus Centurionus Iacobus de Placentia Iohannes Delfinus Iulianus Frascara Hieronimus de Andora Iohannes de Mari Iacobus de Vegetis Bartholomeus de Vineli Teramus Barianus Leonardus Basignana Benedictus Iordanus Bartholomeus de Turri Iacobus Canella Ieronimus de Oliva, quondam Iacobi Iacobus Cafarotus Ieronimus Chicherus Baptista de Pasagio Simon de Porta de Mediolano Francisais Sanctominato Raphael Ragius Iacobus Paxerius Francisais Caneva Pantaleo de Moro Iohannes de Sancto Salvatore Nicolaus Ragius Franciscus Salucius Blaxius de Mortario Baptista de Varcio Benedictus Chicherus Iohannes Antonius de Costa Iohannes Baptista Grolerius Baptista de Clavaro Iohannes Baptista Adurnus Laurentius Cataneus Gaspar Cantalupus Bartholomeus de Antico Iohannes Augustinus Corsus Iohannes de Bassignana Raphael de Facio Iohannes Baptista de Cabella Bartholomeus de Plano Andreas Bicius Bartholomeus de Cucurno Petrus Marengus Iacobus Tachonus Iacobus de Domoculta Iulianus de Balestrino Ivus de Galiano Leonardus de Pometo Leonel de Bracelis Bartholomeus de Ligieriis Ieronimus de Invrea Lodisius de Riparolio Baptista de Panigatio Elianus Centurionus Iacobus de Canali Hieronimus Marengus Leonardus Calisanus Petrus Calisanus Raphael de Recho Hieronimus de Recho Guliermus de Mulasano Petrus de Rotariis Bernardus de Novis Iohannes Mangiavacha Augustinus de Mortalio Peregrus de Arquata Obertus de Magnasco Franchus de Goano Laurentius de Oliva Bartholomeus de Oliva Ceprianus de Cazanova Acelmus de Terrilli Petrus de Cabella Petrus Iohannes de Ceva Baptista de Platono, Antonii Hieronimus Paxerius Bartholomeus Verrina et filius Augustinus de Coronato Baptista Ruvo Iacobus de Levanto Vicentius de Levanto Dominicus Spinula, quondam domini Odoni Antonius Bonfilius Iohannes de Rocha Barnabas de Illice Petrus Paulus de Marinis Nicolaus de Sesarego Guirardus de Recho Ambrosius de Zerbis Ieronimus Bestagnus Iacobus de Zerbis Iohannes de Monleone Nicolaus de Bariano Iohannes Antonius de *’•*** 1 Lazarus Calvus Bartholomeus Sachus Augustinus Cafarotus Dominicus Bochaso Augustinus Carus Iohannes de Monelia, Sisti Iohannes de Facio Antonius Paganelo Andreas de Monteverde Gaspar Borro Bernardus Bonventus Baptista de Rappallo Petrus de Monsia, quondam Iacobi Raphael Carbonus Augustinus de Marineto Franciscus Iustinianus Nicolaus de Cazareto Andreas Bigna Iacobus Bigna Gregorius de Surli Bartholomeus Pluma Baptista Ramponus Bernardus Mantegna Baptista de Costa Bernardus Peleranus Christianus de Prementorio Georgius de Luca Iohannes de Rossetis Iohannes de Sercundo 1 lacuna nel documento. 244 - X Sentenza in favore di un setaiolo accusato di aver barattato una pezza di velluto con grano distribuito poi fra vari tessitori, in quanto LA CONSUETUDINE NE GIUSTIFICA L'OPERATO 1481, 19 dicembre Cod. A, c. 58 r. e v. mcccclxxx primo, die xvim decembris. Illustris ac Excelsus Dominus Dux Ianuensium etcetera, ac Magnificum Consilium Dominorum Antianorum Communis Ianue, in legitimo numero congregatum, auditis, una parte Iohanne de Mari et pluribus seateriis, exponentibus Iohannem ipsum permutationem fecisse de pannis sericis in granum, quemadmodum fieri consuetum est ab omnibus seateriis et lanariis, dictumque granum distribuisse inter operarios suos ac testores pannorum sericorum, ita ut ex eo penes se tantummodo restaret parva quantitas ex qua vendidit minas viginti; et propterea dominos Censores, re cognita, condemnasse illum, et predicta condemnatione illum molestare, quod facere non debent, attento quod similes permutationes permisse sunt dictis seateriis et lanariis, et eas semper facere consueverunt, et ex illis potius commodum Reipublice sequitur quam incommodum, quia contingendo revendere, minori precio venduntur quam ab illis grana emantur; item quia eiusmodi condemnatio, quando exigi deberet, spectat Communi Ianue et non dictis Censoribus, et exigenda veniret per Officium Victualium, et propterea requirentibus dictum Iohannem liberari a dicta molestia et dictam condemnationem revocari, ut equum est; et, ex adverso, auditis Nicolao de Bandino, Balthasare de Auria et collegis Censoribus, affirmantibus prohibitum fuisse, decreto publico, quen-piam emere posse granum in civitate Ianue, pro revendendo, et non licere neque seateriis neque aliis quibusvis granum emptum vel permutatum revendere, dictumque Iohannem condemnasse non eo quia permutationem fecerit vel granum suis textoribus et operariis dederit, sed quia revendent: quod recte fecisse arbitrantur, et tamen, si aliter faciendum censeant ipsi Illustris Dominus Dux et Consilium, decernant quid velint; lecto decreto supranominato, ex quo clare liquet eiusmodi condemnationes assignatas esse Communi; informati preterea quod solitum est dictos seaterios et lanarios permutare pannos eorum in triticum et illud suis textoribus dare, et considerantes quod eiusmodi permutationes fieri vix possunt nisi tempore abundantie aut de vilibus triticis, que res inducit mercatores ad efferendum granum Ianuam; replicationibusque ambarum partium intellectis et accepto prius annello a dicto Iohanne, qui nomine depositi datus fuit Magnifico Domino Dominico de Promen-torio, Priori ipsorum Dominorum Antianorum; omni via, iure et forma quibus melius potuerunt et possunt, revocaverunt ac revocant dictam condemnationem factam ob hanc causam dicto Iohanni, ita ut pro illa ab eis Censoribus nequaquam molestari vel gravari possit, non preiudicando tamen in reliquis predicto decreto vel aliquibus legibus aliis vel decretis in favorem dicti Officii Dominorum Censorum quandovis conditis. _ Francisais de Vemacia, cancellarius. - 245 - * XI Norme per una corretta fabbricazione dei camocati 1487 , 20 novembre Cod. A, cc. 113 r. -115 r. Vobis Reverendissimo et Illustri Domino Gubernatori et Magnifico Consilio Dominorum Antianorum Communis Ianue, humiliter et devote supplicatur parte Ioannis de Sancto Salvatore et Nicolai Machaveli, consulum seateriorum, et Iero-nimi de Migono, Ioannis de Canevali et Stephani Castagnole, consulum artis textorum pannorum sete, quod ab aliquot annis citra fabricantur Ianue camocata modo externo, ad venetum modum presertim, eo quod sint illustriora, solidiora et magis venalia quam illa que more ianuensi fiunt, sed quoniam crevit adeo hominum avaritia, ut nihil apud eos sanctum sit, ubi de eorum commodo agi posse videatur, quidam sunt qui fabricant dicta camocata strictiora, quidam ampliora quam non conveniat, quod faciunt pro eorum commodo et arbitrio, quia in ipsis fabricandis nulla sit lex, nullum capitulum, eo quod nova sit inventio fabricationis, quod cedit in magnum preiudicium artium predictarum, et dedecus nominis Ianuensium, quia, licet, ampliora prima fronte, videantur utilia emptoribus propter latitudinem, tamen hoc non sequitur, quia tanto sunt molliora, ita etiam strictiora, quia, ultra quod in illis est minus sete, non sunt venalia; unde fit quod si in quocunque orbis loco sint camocata in externis regionibus fabricata, et in eodem loco sint de nostris, Ianue fabricatis, illa externa libentius emuntur. Nostra non possunt vendi, tum quia firmiora et solidiora videntur illa externa camocata, tum quia sint lucidiora, quamvis in camocatis predictis externis non ponatur plus sete quam in nostris: sed accidit quod quanto fili sete, qui in camocatis ponuntur, magis stringuntur, tanto opus videtur speciosius. Ex quo, videntes consules predicti, hoc maxime cedere suo detrimento, ultra publicam iacturam, nam Reipublice nihil potest incommodi evenire quod non sit ipsis commune, qui pars Reipublice sunt, cogitaverunt tanto eorum incommodo et iacture publice providere, et ideo ut obvietur etiam malicie huiusmodi fabricantium, et ars ipsa sete modum aliquem et legem habeat in fabricatione dictorum camocatorum, supplicant Dominationibus Vestris dignentur super hoc publico decreto decernere et deliberare, quod quicunque decetero voluerit camocata ad modum venetum fabricare, debeat fabricare modo infrascripto: primo et ante omnia teneantur ea fabricare latitudinis parmorum duorum cum dimidio tantum, computata cimocia; que etiam fabricentur de seta filata et torta alorganihinna de portatis octuaginta quatuor et de filis octuaginta pro singula portata tantum, et pectines dictorum camocatorum sint de ligaturis viginti una et de dentibus quadraginta pro singula ligatura tantum. Que camocata, si alio modo quam supra dictum est, fabricata fuisse reperirentur, intelligantur et habeantur falsa, de-oue dictis camocatis, sic ut supra dictum est repertis, disponatur tunc iuxta formam capitulorum que faciunt mentionem de pannis falsis, salvis semper manentibus, in omnibus, capitulis dictarum artium. Non intelligatur tum ex iis que supra dicta sunt prohiberi cuique quin possit fabricare camocata ad modum Ianue, eo modo quo fabricantur, sed libera sit uni- - 246 - cuique facultas de utroque genere fabricare. Que omnia, cum non tantum ipsis, verum etiam toti Reipublice Ianuensi, si in multis reformabuntur, maximo comodo cedere debeant, humilimis quibus possunt precibus, Dominationes Vestras orant dignentur et velint eorum publico et solempni decreto decernere et deliberare in omnibus et per omnia iuxta formam presentis supplicationis: quod licet iustum et Reipublice utile futurum sit, habebunt tamen ipsi homines dictarum artium ad •gratiam singularem. mcccclxxxvii, die xx novembris. Reverendissimus in Christo, Pater et Dominus, Dominus Cardinalis, Ducalis Ianuensium Gubernator Illustris, et Magnificum Consilium Dominorum Antianorum Communis Ianue, in legitimo numero congregatum, intellecta supplicatione suprascripta et contentis in ea; auditis insuper Ioanne de Sancto Salvatore, Nicolao Maclavello et aliis supranominatis, eadem petentibus que supra pettita sunt; examinata re, considerantes petitionem eorum honestam esse, eamque cedere publice utilitati, cui annuendum facile sit, decreverunt et deliberaverunt, decernunt et deliberant in omnibus et per omnia prout supra pet-titum fuit. At quoniam ars serica illius est et dignitatis et commodi patrie nostre, cuius quisque novit, et propterea conveniens sit in omnibus honestis illi favere, man averunt et mandant, virtute presentium, quibuscumque officialibus et magistrati us mmunis Ianue, quatenus de iis que supra dicta sunt nullo modo recte \ e in rrecte, se impediant, sed liberam eorum omnium administrationem et exe-cutionem re inquant consulibus, et iis quibus, virtute capitulorum eorum et ordinationum re inquendum est; quin imo si fuerint a dictis consulibus requisiti, bra-c ìum eorum prestent favorabilem ad ea omnia que facere voluerint, spectantia exe-cutiom eorum e quibus supra facta est mentio, sub pena sindicamenti aliaque graviori, ar ltrio ipsorum Reverendissimi et Illustris Domini Gubernatoris et Consilii. mcccclxxxviii, die^ xim aprilis. Preconate vos preco etc., de mandato egre-m onunorum Ioannis de Sancto Salvatore et Nicolai Maclavelli, consulum artis seateriorum anue, notificetur omnibus et singulis, quenadmodum ipsi domini con- o tinuerunt a ominatione Ianue, decretum tenoris suprascripti, subscriptum u art oomei e enarega, cancellarii, anno presenti, die xxim marcii, et in fipr' ' ^reC0m° lct^rn decretum extensum fuit ad litteram, ut iacet. Et predicta man averunt pre icti domini consules, et ex officio ipsorum dominorum con-^ u servatl°ne *ct* decreti, ne aliquis de predictis ignorantiam pretendere • 00 Ut. lctum decretum observetur in omnibus ut supra, sub pena et penis in eo contentis, et sic notificant dictum decretum observari debere. preco n M^CLXXrVIII C^e *XVIIn aPr'^s' Bartholomeus de Turrilia, cintracus et P J pubhcus Communis Ianue, retulit se hodie, mandato, dictomm dominorum con- W e t u? Pr0cl“, exposuisse et alta voce cridasse per civitatem et l0Ca Pubhca Ct œnsueta» omnibus ut in suprascripto preconio continetur. - 247 - XII Norme sulla tintura in rosso di « cremex » 1500, 7 ottobre Cod. A, cc. 156 r. -158 r. md, die vii octobris. Illustris et Excelsus Dominus Philippus de Cleves, Vicarius Regius Admiratus et Genuensium Gubernator, et Magnificum Consilium Dominorum Antianorum Communis Genue, in pieno numero congregatum, cum audis-sent egregios viros Quilicum de Insula et Pelegrum de Salvo, consules artis serice civitatis Genue, nec non Hyeronimum de Invrea, Gregorium de Marineto, Ioan-nem de Basignanam, Raflaelem Ragium, Benedictum de Monelia et Silvestrum de Passano, seaterios et eiusdem artis consiliarios, comparentes suis nominibus et nò-minibus totius artis serice, exponentes ab quodam tempore citra reperta fuisse, ac singulis fere diebus reperiri, cremexilia admaistrata aliter quam per capitula artis ipsorum ordinatum fuerit, nuperque intelexisse quosdam pannos sericos, hic Genue tintos collore qui cremexilis videbatur, qui, ad nondinas delati, explorati cognitique fuere colloris esse misti et falsificati, ibique propterea reprobati fuerunt, que res quantum dedecoris et iacture Reipublice afferre potest, presertim si hec lues largius et crebrius serpat, omnes satis considerare possunt, non crescente huiusmodi labore, ea haud levis quidem nota et infamia nomine Genuensium inuretur, insuper panni serici Genuenses, qui ubique locorum inter ceteros exterarum nationum excellentes et famosi habentur, velut adulterati et ficti falsique colloris, omnes eque negligentur et absque emptore residebunt: ideoque se laudare ut Dominationes ipsorum mature huic pestifero morbo obviam eant, qui, nisi ocitius amputetur, verendum profecto esse ne Rempublicam Genuensesque multo afficiat incommodo pariter et ignominia; re circunspecta et examinata, laudantes studium diligentiamque ipsorum seateriorum, decreverunt, ordinaverunt statueruntque et mandaverunt, decernunt, ordinant, statuunt et mandant quod decetero aliqua persona, cuiuscunque gradus, status et conditionis existât, non possit nec eis liceat administrare seu administrari facere aliquam quantitatem serici sive sete, parvam seu magnam, que sit tincta in cremexili, sive de cremexili, nisi cum alumine roche puro et nitido, et non cum aliqua alia mixtura. Et si contigerit aliquam personam predictis contrafe-cisse, aut contrafacere vel contrafieri fecisse aut facere, per rectum vel indirectum, aliquovis modo aut forma, ipsa persona tunc intelligatur ipso iure cecidisse in penam florenorum centum ianuinorum, totiens incurrendafm] quotiens inveniretur per aliquem vel aliquos fuisse in predictis contrafactum, applicandorum pro dimidia dicte arti seateriorum, arbitrio consulum et consiliariorum dicte artis, et pro reliqua dimidia Camere prestantium dominorum Patrum Communis et, ultra, dicta seta, contra formam predictam admaistrata, comburatur et comburi debeat, omni exceptione et contradictione remota. Et ut predicta omni studio et diligentia executioni mandentur, et delinquentes puniantur, antedicti consules et consiliarii, tam présentes quam futuri, sint et esse debeant magistratus et iudices competentes in predictis et circa predicta ac in dependentibus, emergentibus et connexis ab eis; liceat tamen ab eorum sententiis et condempnationibus ferendis et faciendis in predictis, contra aliquem quem cognoverint seu declaraverint contrafecisse, reclamari et ha- — 248 - beri recursus ad spectabiles dominos Sindicatores Communis Genue. Mandantes insuper predictis consulibus et consiliariis presentibus, et qui prò tempore fuerint, ut predicta observent inviolabiliterque observari faciant. Item quod debeant investigare summa diligentia et studio contrafacientes, ita ut ab ipsis et a quacunque persona penes quam reperti fuerint panni et seu cremexilia aut aliqua quantitas sete, que tinta sit seu esset in cremexili, aliter admaistrata quam ut supra dictum est, possint et eis liceat ipsos pannos seu cremexilia aut setam capere et capi facere propria auctoritate, et Magnificus Dominus Potestas civitatis Genue, qui nunc est et pro tempore fuerit, teneatur et obligatus sit dictis consulibus et consiliariis semper et quandocunque ad eorum vel alterius ipsorum semplicem voluntatem et requisitionem, prestare omnem operam, consilium, auxilium et favorem, quantum vires sue patientur, et ad ipsorum petitionem procedere contra omnes et singulos delinquentes eis suspectos ac in quacunque domo et apotheca et in quolibet alio loco, in quibus suspitionem haberent pannos seu aliquam quantitatem sete tintos seu tintam in cremexili esse reposita. Mandantes preterea quibuscumque officialibus et magistratibus Communis Genue, quacunque dignitate predicti sint, ut predicta omnia et singula observent, neque predictis contravenire volenti audientiam pre-stent, sub pena sindicamenti et alia graviori, arbitrio Magnificus Senatus. XIII Rigetto di richiesta d’autonomia da pakte dei filatori di seta 1508, 4 dicembre Cod. A, cc. 100 r.-103 v. Vobis Illustri Domino Regio in Ianua Logtenenti, ac Magnifico Consilio Dominorum Antianorum civitatis Ianue, humiliter exponitur Dominationibus Vestris, pro parte fidelissimorum servitorum prefatarum Dominationum Vestrarum, hominum artis filatorum sete civitatis Ianue, quemadmodum alias homines dicte artis comparuerunt coram precessoribus Dominationum Vestrarum, et narraverunt quemadmodum dicta ars filatorum est numerosa et habet infinitos, ut ita dicatur, homines qui dictam artem exercent, et quod utilis est admodum et necessaria in hac civitate, et quod tamen non habet aliquos consules quibus regatur, prout habent relique artes huius civitatis que non sunt cum dicta arte, numero, utilitate et necessitate, comparande. Fuitque etiam narratum et expositum quod fuisset et esset admodum utile tocius civitatis quod dicta ars haberet consules, propter multas fraudes que contra dictam artem et in dicta arte singulis diebus committuntur, et quibus providere nemo melius posset quam homines qui dictam artem exercent, et propterea fuit requisitum sibi concedi facultatem eligendi suos consules, prout relique artes solent ex permissione huius Senatus eligere. Contra quam quidem supplicationem licet fuisset oppositum per homines artis seateriorum, inique tamen et iniuste, quia ars ipsorum filatorum separata est ab artibus dictorum seateriorum et textorum pannorum sete, et nihil habet commune cum dictis artibus, quamvis sit necessaria ad dictas artes, propterea tunc Magnificus Senatus, dicta contradictione non obstante, commisit spectabili domino Ioanw Antonio Anfosio, tunc Vicario — 249 — Ducali, et dominis Benedicto Spinule et Lamentio de Vila, notario, duobus tunc ex Magnificis Antianis, et ipsis fuit data cura audiendi homines dictarum trium artium et faciendi capitula dicte artis dictorum filatorum, que viderentur iuri et equitati consona et minime ledentia excelsum Commune Ianue, in cuius quidem commissionis executione, prefati domini Ioannes Antonius et socii, habuerunt homines dictarum artium coram se cum eorum dominis advocatis. Et tandem, longo precedente examine, fecerunt aliqua capitula hominibus dicte artis filatorum sete, admondum utilia et necessaria dicte arti et minime damnosa dictis seateriis et textoribus, que manibus cuiuslibet eorum fuerunt subscripta, et de quibus quidem capitulis quelibet dictarum artium habuit copiam et exemplum dicto tempore; cumque haberent referre et presentare dicta capitula in Senatu, supervenit quedam belli suspitio, propter quam Magnificus Dominus quondam Augustinus Adurnus, tunc Gubernator huius civitatis, noluit ut dicta capitula pre-sentarentur, sed illa deposita fuerunt apud quondam Ioannem Baptistam Adurnum. Deinde per ipsos supplicantes fuit de anno MD sexto iterato habitus recursus ad precessores Dominationum Vestrarum, et per illos fuisset provisum ipsis supplicantibus nisi fuisset subsequutus tumultus civitatis. Quapropter humiliter supplicant pre-fatas Dominationes Vestras, quibus dicta capitula sive eorum copiam présentant, ut dignentur dicta capitula revideri facere, et si cognoverint ipsa esse honesta et lusta, ipsa approbent et confirment; sive autem illa cognoverint non equa, ipsa ad equita-tem reduci faciant, nec permittant homines dicte artis tantum utilis et necessarie in hac civitate, esse sine consule et capitulis, et sic esse deterioris condictionis quam sit quelibet alia ars, quantumcumque vilis, in hac civitate, que habet suos consules et capitula, aliter impossibile est amplius hominibus dicte artis illam exercere et se ex ea posse alere, propter varias extorsiones que singulis diebus fiunt ipsis et damna innumerabilia que patiuntur propter defectum consulum in dicta arte, quod Dominationes Vestre pati non debent quod homines dicte artis ferant illud onus quod amplius ferre non possunt. Valeant Dominationes Vestre et ipsos supplicantes iusta et necessaria petentes, commendatos habeant. Coram Vobis Illustrissimo Regio Gubernatore et Magnificis Antianis comparent Baptista de Clavaro et Ioannes Antonius Ragius, consules seateriorum, occasione asserte supplicationis oblate per nonnullos filatores sete, adversus quam contradicendo dicunt quod dicti filatores deberent tandem acquiescere decretis conditis per Magnificos Dominos precessores Vestros, et non molestare totiens ipsos seaterios; nam ut Dominationes Vestre habeant notitiam de his que sequuta sunt, dicti filatores sepe-numero requisiverunt capitula separata a capitulis formatis sub quibus dicti filatores vixerunt continuo per annos sexaginta et ultra, immo per tantum temporis cuius initii non extat memoria in contrarium, et que capitula, sub quibus continuo vixerunt et vivunt dicti filatores, fuerunt ordinata cum maxima et matura cognitione, et per notabilissimos cives, et cum presuntione termini anni unius, intra quem audiverunt et intellexerunt et consideraverunt omnia que tenderent ad utilitatem et augumentum Reipublice Vestre et etiam artis seateriorum. Que ars seateriorum erat, dicto tempore, parvi momenti in presenti civitate, sed postquam ars ipsa seateriorum obtinuit capitula antedicta, sub quibus vixerunt et vivunt dicti filatores, ars ipsa attulit utilitates innumerabiles in presenti civitate, et presertim vectigalibus et nego- - 250 - tiationibus, et alia plura beneficia que superfluum est commemorare, quandoquidem omnibus sunt notoria et manifesta. Que omnia predicta sequuta sunt quia non fuit introducta divisio capitulorum nec occasio litigiorum inter eos qui exercent dictam artem et pertinentia ad dictam artem: nam ubicumque inter caput et membra restat divisio capitulorum, malle ageretur de dicta arte, nec aliud esset concedere capitula dictis filatoribus nisi dare ipsis filatoribus materiam et occasionem quod omnem setam, omne laborerium ipsis commendatum defraudarent, confisi quod haberent capitula. Et propterea obviandum est eorum prave intentioni, que tendit ad malum finem: nil enim aliud esset Concedere dicta capitula nisi dictam artem seateriorum totaliter confondere, anichilare et dismenbrare et, per consequens, compelerentur artem ipsam deponere, quia nullo pacto possent de filatoribus confidere si ab ipsorum iurisdictione disiungerentur; nec dicti filatores sunt sine capitulis, ut dicunt, quoniam capitula artis seateriorum provident in omnibus necessariis dictis filatoribus et laborantibus cum ipsis; et ad veritatem dicti filatores semper habuerunt repulsam a Magnificis Dominis Precessoribus Vestris. Nam multiplicatio capitulorum inducit confusionem et materiam iurgiorum, et hoc aperte demonstratur quia nihil exprimunt de quo conqueri possint coram Dominationibus Vestris: et si dicta ars est numerosa, ut dicunt, id processit propter capitula antedicta, sub quibus vixerunt et vivunt, et si alie artes habent eorum capitula, hoc provenit quia nulla adest ars in presenti civitate que sit cum alia tantum connexa, nec unquam fuit laudatum quod dicti filatores haberent capitula, non obstante quod infinitis viribus ac temporibus, et tempore cuiuscumque regiminis, semper requisiverint capitula que unquam obtinere non potuerunt. Immo, propter reiteratam importunitatem dictorum filatorum requirentium capitula, in anno de mcccclxviiii, Domini Precessores Vestri commiserunt tunc domino Vicario Ducali et domino Francisco Sophie ut iterato cognoscerent requisitionem dictorum filatorum, et post longum examen retulerunt non esse concedenda capitula dictis filatoribus, quia non possent concedi sine preiudicio jurisdictionis et capitulorum artis seateriorum, et prefati Magnifici Domini Precessores Vestri, per publicum decretum approbaverunt dictam relationem, quod exhibent, signatum manu Ambrosii de Senarega, cancellarii. Magna est ergo audacia dictorum filatorum requirentium annullali dicta decreta, et tot et tantas deliberationes, condita cum tam maturo examine, et in totalem ruinam et detrimentum dicte artis seateriorum, et per consequens, tocius Reipublice Vestre, cum ipsa ars sit potius omnium nobilium et aliorum civium Vestrorum, quia quicumque volens potest dictam artem exercere, ut notorium est. Nam ars ipsa omnibus est communis, et per consequens spectat sindico Communis, et pro interese publico, impugnare requisitionem dictorum filatorum, tamquam factam in evidentissimum detrimentum Reipublice Vestre, nec relevat quod dicatur in asserta supplicatione quod domini Ioannes Antonius Anfosius, tunc Vicarius Ducalis, et Laurentius de Villa, tamquam deputati a Dominis Precessoribus Vestris, fecerint aliqua capitula dictis filatoribus, quia in primis hoc negatur, nec est presu-mendum quod aliqua capitula fecerint, et quando aliqua capitula ordinassent dicti domini Ioannes Antonius et Laurentius, quod non conceditur, fuissent in eadem damnatione, salva eorum auctoritate et reverentia, in qua sunt dicti filatores, et sic est presumendum, quia talia asserta capitula, tamquam erronea et damnosa, unquam fuerunt confirmata. Et in omnem eventum deneganda est audientia dictis filato- - 251 - ribus, quia in anno de md dicti filatores requisiverunt denuo capitula et confirmationem dictorum capitulorum de quibus in asserta supplicatione, et Domini Preces-sores Vestri, intellecta supplicatione dictorum filatorum ac auditis ipsis seateriis, precedente maturo examine, decretaverunt per publicum decretum nequaquam esse concedenda dicta capitula dictis filatoribus, et, quod magis est, reprobaverunt supplicationem dictorum filatorum tamquam erroneam et pestiferam, et mandaverunt quibuscumque officialibus ut predicta observent, et prout latius constat publico decreto, signato manu Bartholomei de Fransono, quod exhibent. Igitur dicti filatores nedum sunt aborrendi sed puniendi, et graviter, de tanta eorum audacia et presumptione, contraveniendo tot et tantis decretis, et ipsa violare tentando. Negantes narrata in asserta supplicatione fore vera in facto et requisita per filatores de iure procedere, et etiam Dominationes Vestras debere se intromittere super supplicatis: immo debent prefate Dominationes Vestre mandare dictis filatoribus, sub penis gravissimis, quod non audeant decetero molestare ipsos sea-terios, occaxione predicta, et ita decretare, et sic fieri requirunt pro beneficio tocius Reipublice Vestre de cuius evidentissimo interesse tractatur. MDviii, die mi decembris. Illustris et Excelsus Dominus Regius in Ianua Gubernator, et Magnificum Consilium Dominorum Antianorum Communis Ianue, in pleno numero congregatum, quorum nomina sunt hec: Franciscus de Camulio prior Benedictus Pinellus Paris de Flisco Baptista Spinula, quondam A. Petrus de Prementorio Augustinus Pallavicinus Anfreonus Ususmaris Obertus de Nazario Franciscus Musca Ioannes Baptista de Davania et Franciscus de Arquata Iacobus Lomelinus lecta suprascripta supplicatione, presentata per quam plures homines filatores sete, quorum numero erant Genesius Aicardus, Matheus de Gozio, Rafael de Bazalucio, Lazarus de Arena et nonnulli alii, et audito Bartholomeo Pipo, causidico, comparente una cum dictis filatoribus; lectaque responsione suprascripta presentata per egregios Baptistam de Clavaro et Ioannem Antonium Ragium, consules artis seateriorum; visa quadam scriptura presentata per Bartholomeum Tassorelum, Bartholo-meum de Semorrili et Ioannem Baptistam de Rochataliata, consules artis textorum pannorum sete, que est apud acta infrascripti cancellarii, cum quibus consulibus aderant etiam de utraque parte quam plures; auditisque disceptationibus factis tam per dictos filatores quam per dictos seaterios; lecta primum particula capitulorum seateriorum cuius inscriptio est « De iurisdictione et balia consulum seateriorum », que est in presenti libello in folio sexto; commissione facta anno mcccclviiii, die vii septembris per Illustrem tunc Ducalem in Ianua Gubernatorem et Magnificum Consilium Dominorum Antianorum, que est in folio L; relatione facta per spectabilem dominum Matheum de Curte, tunc Vicarium Ducalem, et dominum Franciscum Sophiam, que confirmata et approbata tunc fuit per Illustrem Dominum Gubernatorem et Senatum, que est in folio li et lii, que omnia scripta fuerunt manu egregii quondam Ambrosii de Senarega, cancellarii; postremo visa delibe- — 252 - ratione facta anno millesimo quingentesimo, die XV decembris, manu Bartholomei de Fransono, cancellarii, que omnes contrarie sunt et ex omni parte repugnant petitioni dictorum filatorum; propterea examinata inter eos re, non modo dictorum filatorum petitionem [non] dignam esse iudicaverunt que admitteretur, sed omnino reiciendam reprobandamque esse iudicaverunt, et sic, virtute presentis, reiciunt et reprobant; approbantes omnia que in hunc usque diem facta sunt in favorem dictorum seateriorum; volentes et decernentes perpetuum silentium impositum esse requisitioni dictorum filatorum, ita ut amplius proponi non possit; cognoscentes materiam suprascriptam diverso tempore et longa examinatione satis fuisse ventilatam. Bartholomeus de Senarega, cancellarius. XIV Proibizione ai tessitori di svolgere la loro attività nelle riviere e condanna dei colpevoli come se avessero portato I SEGRETI dell'arte IN PAESI STRANIERI 1514, 17 maggio Cod. A, cc. 185 v. - 187 r. Vobis Illustri Duci et Magnificis Antianis exponunt egregii Petrus Baptista de Vignolo, quondam Ioannis, Franciscus de Placentia, subrogatus loco Thome de Invrea, consules artis seateriorum, quod prò manutenenda dieta arte in presenti d-vitate, ex qua Rexpublica Vestra et cabelle infinita susdpiunt emolumenta, Magnifici Domini Predecessores Vestri, pro puniendis deferrentes artem ipsam et artes con-nexas arti predicte et dependentia quovis modo ab eis, extra Ianuam et districtum, concesserunt consulibus dicte artis amplam baliam, ut apparet per diversa decreta emanata a Vestro Magnifico Senatu. Verum quia, crescente etate, crescit hominum malitia, quia posset contingere quod non nulli deferre tentarent exercitium dictarum artium, seu dependentia aut connexa quovis modo ab eis, ad aliquem locum districtus Ianue, et prout iam fuit tentatum, sub eo pretextu quod non possit puniri vigore dictorum decretorum, cum non se extendere videantur nisi extra districtum, et istud concerneret nedum maximum preiudicium imo ruinam Reipublice Vestre, pluribus de causis, et presertim quia pro evitandis oneribus dvitatis, que dves Vestri et habitantes suportant, unusquisque se transferret in districtum, cum suis instrumentis necessariis ad exercitium dictarum artium, comitterenturque preterea maxima damna in setis et plures fraudes in pannis sette, et tam respectu collorum qui falsificarentur, quam in aliis exerdtiis dicte artis, et propterea pro conservanda dicta arte et connexis ut supra et pro utilitate Reipublice, supplicatur prefatis Dominationibus Vestris parte qua supra, quatenus dignentur decretare quod decreta et deliberationes antedicta emanata a Vestro Magnifico Senatu ut supra, pro puniendis et compes[ciendis transportantes et seu deferentes dictas artes ac dependentia et connexa a dictis artibus extra Ianuam et districtum, se extendant et locum habeant contra deferentes dictam artem et artes connexas et dependentia ab eis et quovis modo spectantia dictis artibus, ad aliquem locum districtus Ianue extra Ianuam et - 253 - suburbia, ita ut, se intromittentes de contentis in dictis decretis et quovis modo spectantibus dictis artibus, quomodocunque et qualitercunque extra Ianuam et suburbia, puniantur et puniri debeant vigore dictorum decretorum perinde ac si transferrent et seu tentassent predicta deferre extra Ianuam et districtum, firmis tamen ac in suo robore semper permanentibus decretis et deliberationibus antedictis, excepto exercitio extrahendi settas in testois, quod fieri et exerceri possit in quocunque loco trium potestatiarum, ut consuetum est. MDxmi, die xvii maii. Illustris et Excelsus Dominus Octavianus de Campo-fregoso, Dei gratia Ianuensium Dux et Populi Defensor, et Magnificum Consilium Dominorum Antianorum Communis Ianue, in legitimo numero congregatum, lecta coram eis supplicatione suprascripta et audito oretenus super supplicatis spectabili iuris utriusque doctore domino Antonio de Illice, advocato artis seateriorum, suadente ea decerni que per consules superius petita sunt atque ea in melius ampliari, re examinata, cognoscentes eam ipsam artem esse veluti alimentum civitatis et animam Reipublice, et cupientes, quantum in se est, intercidere omnes causas que possint quomodolibet artem ipsam delibilitare, et omni conatu tendentes ut magis ac magis in dies amplificetur, omni iure ac via quibus melius ac validius potuerunt, sequentes sententiam supplicationis suprascripte, statuerunt ac decreverunt quod decreta quecunque, et quocunque tempore condita et concessa predicte arti, prohibentia ne artificium eius et quecunque alia artificia cum ipsa seateriorum arte con-nexa, seu ab ea quomodolibet dependentia, transferri extra Iafiuam non possint, intelligantur, atque ita nunc declaraverunt et decreverunt, ut transferri quoque non possint ad aliquem locum districtus Ianuensis, situm ubicunque extra civitatem et suburbia, sub pena et penis in ipsis decretis et eorum quolibet expressis, excepto quod in tribus potestatiis extrahi sericum in testois possit et in quocunque loco ipsarum trium potestatiarum tantum sicut hactenus consuetum est, volentes ac mandantes ut severe procedatur contra delinquentes et seu contrafacientes predictis et presenti decreto, ac mandantes quibuscumque magistratibus excelsi Communis Ianue, ubicunque constitutis, et tam in urbe quam extra urbem, ut ad instantiam consulum predicte artis seateriorum qui pro tempore fuerint et ministrorum suorum, exequantur presens et predicta decreta adversus quoscunque contrafacientes, sine ulla remissione et reiectis excusationibus quibuscunque. Eodem anno, die xvi maii. Proclamate vos, preco Communis etc., parte Illustris et Excelsi Domini Octaviani de Campofregoso, Dei gratia Ianuensium Ducis etc., et Magnifici Consilii Dominorum Antianorum Communis Ianue: « Essendo notissimo de quanta importantia, utilità e aiuamento sia a la cita lo artificio de li drapi de setta de ogni altra sorta e quanto emolumento ne resente la mercantia, cabelle e private persone così dentro como fori de la terra, in modo che se porria dire ch’el detto artificio sia el spirito e anima de la nostra Republica, e volendo li nostri passati favorire detto artificio e reverirlo in la cita per lo extremo beneficio chi ne segue, como è detto, è stato fatto per decreti solemni grandissime prohibitione che lo detto artificio non si possia transportare in alchuno altro paese sotto gravissime pene, corno in detti decreti se contene, quale prohibi- - 254 - rione per la presente crida tute se ratificano e confermano. Al presente desiderando el prefato Signor Duce e Magnifici Antiani ampliare detto artificio quanto sia in loro, per solemne decreto condito questo giorno hanno facto speciale declaratione che così come in li passati decreti s’è fatto prohibitione, como di sopra se dice, ch’el detto artificio in altri paesi fora de la cita non si possia transportare, che se intenda del (de) medesmo artificio e tuti li altri a quello connexi o in che modo se sia da quello dependenti, non si possia trahere nè exercere fori de la cita e borgi, in alcuno loco de le tre potestarie, nè de l’una nè de l’altra rivera, nè in alcuno loco de la iurisdictione genuese, fori de la dieta cita e borgi, corno è detto, excepto che in diete tre potestarie tantum se possia trahere le sette in testoi al solito, e fare detto exercitio, trare in testoi, in ogni loco de diete tre potestarie, iuxta el consueto corno è detto; e la predicta prohibitione se intenda essere facta sotto le pene in dicti decreti contente e ogni altra gravissima pena in arbitrio del prefato Signor Duce e Magnifici Antiani, quale- pene se executerano severissimamenti contra ogni contrafaciente, senza remissione alcuna, facto expresso comandamento a tutti li magistrati, così dentro corno fori de la cita, che a simplice richiesta de li consoli de la dieta arte e loro ministri, contra de detti contrafacienti e delinquenti debbano fare ogni executione e se(r)vera punitione, e tale che passe in exemplo ad ogniuno. Nicolaus de Brignali, cancellarius. XV Convenzione fra l’arte e la città di Lucca per l’estradizione dei colpevoli di furto di seta o di tessuti 1516, 28 gennaio Cod. A, cc. 224 v. - 225 v. Nos Antiani et Vexilifer iusticic Populli et Communis Lucensis, in numero sufficienti congregati, una cum Magnifico et Maiori Generali Consilio, in Palatio Nostro Nostre solite residentie, visa suplicatione porrecta per spectabiles consules artis serice excelse civitatis Genue, coram Illustrissimo Domino Regio Gubernatori Domino Octaviano de Campofregoso et Illustrissimis Dominis Antianis excelse civitatis Genue, tenoris infrascripti, videlicet: « Vobis Illustrissimo Regio Gubernatori et Magnificis Dominis Antianis, exponunt consules artis seapteriorum quod singulis diebus commictuntur plura furta in arte sericea per manifacturerios, et presertim per non nullos textores qui aufugiunt cum telis et septis ipsis datis ad manifacturan-dum, et prout novissime aufugit Vincentius de Vadato, textor pannorum septe, qui se transtulit cum magna quantitate septe et veluti fabricati in civitate Lucana, et damnificati habuerunt modum faciendi arrestate dictum Vincentium in dicta civitate et, quod magis est, obtinuerunt [al Dominatione Lucana quod mitteretur ligatus et detemptus ad hanc civitatem, dummodo [idem] observetur erga ipsos per Dominationes Vestras, quando contingit aliquem textorem sive manifacturerium septe aufugere(t) et se reducere(t) ad hanc civitatem, et propterea, cum multum intersit Reipublice Vestre ut obvietur, quantum sit possibile, talibus delictis, supli- - 255 - catur pro parte qua supra prefatis Dominationibus Vestris, quatenus dignentur decretare, publico decreto, quod si decetero continget quòd aliquis textor vel quivis alius manifacturerius septe aufugiat de civitate Lucana, et se transferat ad hanc civitatem, quod Dominationes Vestre ad omnem requisitionem Dominationis civitatis Lucane, capi et arrestari faciatnlt quemcumque aufugientium et resedentem ut supra, ligatum et detemptum consignandum cuicumque voluerit et ordinaverit prefata Dominatio civitatis Lucane, dummodo idem observetur per dictam Dominationem ad omnem requisitionem Dominationum Vestrarum, versus quencumque manufacture-rium septe qui aufugiat de presenti civitate et veniat in parte Lucensi »; insuper vissa infrascripta deliberatione et decreto, tenoris videlicet: « mdxvi, die xxvm la-nuarii. Illustris et Excellentissimus Dominus Octavianus de Campofregoso, Regius Ianuensium Gubernator et Magnificum Consilium Dominorum Antianorum excelsi Communis Ianue, in sufficienti et legiptimo numero congregatum, visa suplicatione suprascripta, intellectaque inde requisitione coram eis verbo facta parte prefatorum consulum dicte artis seapteriorum de qua supra, qua supplicatur et cum instantia id omne decerni petitum est, prout in ea ipsa supplicatione sermo habetur, et propterea examinata diligenter re, cupientes, quantum fieri potest, furtis ipsis suprascriptis obviare, utilitatique dicte artis et successive tocius Reipublice Ianuensis ut decet consulere, omni modo, via, iure et forma quibus melius potuerunt et possunt, in sententiam supplicationis suprascripte et in omnibus et per omnia prout in ea continetur et legitur, decreverunt et decernimus, mandantes et iubentes enixe quibuslibet officialibus et magistratibus Communis Ianue ut, ad simplicem requisitionem agentium seu Dominorum civitatis Lucensis, quemcumque ex prenominatis manu-factureriis decetero aufugientem et seu recedentem ex ipsa Lucensi civitate, capiant et arestent, seu capi et arrestari faciant, et inde ligatum consignent cuicumque domini ipsi Lucenses mandaverint et ordinaverint, obstantiis quibusvis in contrarium non obstantibus, etiam si de eis mentionem magis et expresse fieri deberet. Quod quidem presens ipsum decretum perpetuo durare voluerunt si similiter ab ipsis dominis Lucensibus decretum ordinatumque fuerit, et prout asseritur ipsos Dominos Lucenses obtulisse velle facere prout in supplicatione ipsa suprascripta legitur, in quorum fidem et testimonium iussimus presens Nostrum decretum sigilli Nostri ìm-presione muniri »; Nos, Antiani Lucenses prefati, una cum prefato Maiori Generali Consilio Nostro, approbamus et confirmamus omnia et singula ut supra contenta, in omnibus et singulis suis partibus et particulis et sic ex parte Nostra promittimus observare et observari facere in omnem casum et eventum ut supra, sub fide et legali-tate Nostra et Reipublice Nostre. Date in Nostro Palatio, die1 xviii iulii mdxvi, impressione Nostri maioris sigilli divi Martini. Copia. Ioannes Nobilis, cancellarius, in fidem subscripsi. 1 ripetuto due volte. — 256 - XVI Appalto della gabella sui tessuti serici da parte di Lazzaro Domenico Debenedetti, notaio della corporazione. Nuove modalità di riscossione 1517, 5 giugno Cod. A, cc. 197 v. - 199 r. In nomine Domini, Amen. Egregii viri Bartholomeus de Ceva, Pelegrus de Salvo et Andreas de Petrasancta, seapterii, habentes baliam ab arte et universitate seapteriorum ad omnia et singula infrascripta, et presertim ad providendum quod decetero seapterii non compellantur solvere cabellam pannorum sericorum que annuatim solet solvi Magnifico Officio Sancti Georgii, et prout de eorum balia constare asseritur in actis Lazari Dominici de Benedicto, notarii, olim scribe curie consulum seapteriorum, et que balia fuit confirmata per dictos consules et consiliarios, ut dicitur apparere in actis antedictis, cognoscentesque preterea fore utile, et magni honoris, quod dicti seapterii exiriantur 1 a dicto onere dicte cabelle, ideo, adhibita magna diligentia in predictis, cognoverunt et cognoscunt nullum remedium magis utile et honorificum posse in predictis adhiberi quam conferre annuatim scribaniam dicte artis notario elligendo per ipsos sive decetero per consules et consiliarios dicte artis, et propterea ut predicta effectum sortiantur, ex nunc ellegerunt et elligunt in notarium et scribam curie dicte artis dictum Lazarum Dominicum de Benedicto, notarium presentem et acceptantem, eidemque ex nunc dictam scribaniam contulerunt et conferunt cum muneribus, honoribus et emolumentis solitis, per annum unum, incohandum in kalendis februarii proxime venturi anni de mdxvii, ita ut possit dictam scribaniam exercere et emolumenta solita ex dicta scribania percipere, et prout hactenus solitum est percipi ex dicta scribania, sub tamen oneribus et aliis infrascriptis, videlicet quod dictus Lazarus Dominicus teneatur solvere consulibus artis seapteriorum, qui nunc et pro tempore fuerint, libras tri-centas pagarum annuatim dicti anni pro cabella pannorum sericorum, quas quidem libras tercentas pagarum antedictas, dictus Lazarus Dominicus presens, acceptans omnia et -singula suprascripta, promissit dictis Bartholomeo et sociis presentibus et acceptantibus nomine et vice dicte artis, ipsis Bartholomeo et sociis sive dictis consulibus qui nunc sunt et pro tempore fuerint, nomine dicte artis, dictas libras tercentas pagarum annuatim et de anno in annum et pagas eiusdem anni dare et solvere, omni exceptione et contradicione remotis. Et versa vice, dicti Bartholomeus et socii présentes et acceptantes predicta, dederunt et dant auctoritatem et baliam dicto Lazaro Dominico presenti et acceptanti, quod possit decetero exigere ab omni seapterio intrame in dicta arte et seu ab omni persona que intrabit in dicta arte, et sic teneantur dicti intrantes solvere libras tres ultra solitam solutionem quam faciunt intrantes in dicta arte, exclusi filii seapteriorum qui nunc habent voltam, et soldos triginta a quolibet textore qui intraverit in dicta arte pro duobus tellariis, et quod dictus scriba et seu notarius habeat et habere debeat annuatim terciam partem condemnacionum fiendarum 1 exiriantur: così il manoscritto per eximantur - 257 - 17 per consules et consiliarios dicte artis simpliciter, que omnia cedant dicto Lazaro Dominico per contra onus dictarum librarum tercentarum. Preterea dicti Bartholomeus et socii dederunt et dant baliam et auctoritatem dicto Lazaro Dominico presenti et acceptanti exigendi dictam cabellam a dictis textoribus entrantibus decetero in dictam artem, videlicet soldos duos pro quolibet centanario librarum pro dicta cabella pannorum sette cui remaneant obligati prout sunt in casu quo non solverint dictos soldos triginta et similiter a dictis seapteriis casu quo recusarint ut supra. Preterea fuit et est per pactum expressum inter dictas partes, quod dictus Lazarus Dominicus annuatim faciat se confirmari ad dictam scribaniam per consules et consiliarios novos et veteros1 anni precedentis et qui pro tempore fuerint, et quod habere debeat ad dictam confirmationem duas tercias partes calculorum alborum, aliter non inteligatur confirmatus, imo in tali casu dicta scribania inteligatur vacare, non secuta tali confirmatione, et eo casu, non secuta dicta confirmatione, possit conferri alteri notario per dictos consules et consiliarios novos et veteros qui inteligantur habere potestatem confirmandi dictum Lazarum Dominicum ad dictam scribaniam cum dictamet obligatione et solutione in omnibus ut supra. Responden tes etc., que omnia et singula suprascripta etc., sub pena dupli etc., ratis etc., et proinde etc., et possit presens instrumentum extendi ad dictamen sapientis, su stantia tamen non mutata. Actum Ianue, in Bancis, videlicet ad banchum mei notarii infrascripti, anno dominice nativitatis millesimo quingentesimo decimosexto, indicione quarta secun dum Ianue cursum, die lune prima decembris, in vesperis, presentibus Petro de Novaria et Dominico de Novaria eius filio, civibus Ianue, testibus vocatis et rogatis. Iesus, mdxvii, die veneris quinta iunii, in vesperis, ad banchum mei notarii infrascripti. Suprascripti Bartholomeus de Ceva, Pelegrus de Salvo et Andreas de Pe-trasancta, dictis nominibus, et habentes baliam, ut supra, ex una parte, et dictus Lazarus Dominicus ex parte altera, habentes noticiam et certam scientiam de supra-scripto instrumento et omnibus et singulis in dicto instrumento contentis, in quo continetur inter cetera quod dictus Lazarus Dominicus possit exigere a quolibet textore qui intraverit in dicta arte, soldos triginta pro duobus tellariis, et prout in dicto instrumento continetur, dicte partes, sponte ex certa scientia etc., approbant in primis in reliquis contenta in dicto instrumento et prout in eo continetur; dictam partem contentam in dicto instrumento, quod possit exigere a quolibet textore pro dictis duobus tellariis, dictos soldos triginta, ac actionem et baliam datam dicto Lazaro exigendi dictos soldos triginta a dictis textoribus ut supra, cassaverunt et annullaverunt, perinde ac si in eo apposita non fuisset, et sic ipsi Bartholomeus et socii habentes baliam ut supra, dederunt et dant auctoritatem, potestatem et baliam dicto Lazaro Dominico presenti et acceptanti, posse exigere soldum unum Ianue annuatim et singulo anno pro quolibet centanario librarum omnium et singulorum pannorum septe construendorum per textores artis textorum pannorum septe, incipiendo die secunda februarii proxime venturi, pro cabella dictorum pannorum seri- 1 veteros: così il manoscritto per veteres — 258 - eorum, mm anno usque quo exercebat dictam scribaniam, transferentes in dictum L Dominicum, tamquam cabellotum, omnes vices quas habent pro dicta ca e a amquam cabeUoti ipsius ut supra. Respondentes etc., promittentes etc., sub îpotheca etc., presentibus Stephano de Marinis et Augustino de Ricobono. Extractum est ut supra etc.. Ciprianus Folieta, notarius. XVII Appalto della gabella sui tessuti serici da parte di Melchione Bracelli E ICOLA AFFAROTO, SEATERI. ULTERIORE MODIFICA DELLE MODALITÀ DI RISCOSSIONE 1518, 18 giugno Cod. A, cc. 199 r.-200 v. In nomine Domini, Amen. Egregii domini Antonius de Ponte et Dominicus de Passagio, consules artis seateriorum, Pantaleo Cramagnola, Lucas de Vernacia, Lodisius de Magnasco et Bonifacius Gambarupta, consiliarii dictorum dominorum consulum, ac Gaspar Rebrochus, Francisais de Ceva et Baptista de Petra, tres ex quatuor protectoribus dicte artis, habentes amplam et largam potestatem et baliam ab universitate dicte artis, vigore publici instrumenti scripti manu Thome de Solario, notarii, anno 1 congregati in logia dicte artis pro infrascriptis peragendis, pro bono, utile et beneficio dicte artis, sponte et ex certa scientia, nulloque iuris vel facti errore ducti, seu modo aliquo circonventi, et omni meliori modo, iure, via et forma quibus melius potuerunt et possunt, vendiderunt et vendunt Mel-chioni de Bracellis et Nicolao Caffaroto, seapteriis, presentibus et ementibus suis nominibus seu nomine illius aut illorum quem seu quos ipsi Melchion et Nicolaus exlarabunt, dummodo semper ipsi Melchion et Nicolaus restent obligati, cabellam pannorum septe, secundum formam et condicionem, et sub illis modis et formis ac reformatione et iurisdicione, facultate et prerogativis, quibus ipsi seapterii habent dictam cabellam a Magnifico Offico Sancti Georgii, et in omnibus et per omnia iuxta formam venditionis et seu assignationis ipsis seapteriis facte de âicta cabella, et hoc pro annis quinque inceptis dic secunda februarii anni presentis et t dicta die proxime venturis, pro precio librarum tercentarum pagarum locorum compe-rarum Sancti Georgii, pro quolibet dictorum annorum quinque', videlicet illarum pagarum cuiuslibet dictorum annorum quinque dandarum et solfvlendarum, et quas lioras tricentas dictarum pagarum cuiuslibet anni dictorum annorum quinque, dare et solvere promisserunt ipsi Melchion et Nicolaus Magnifico Officio Sancti Georgii, omni anno dictorum annorum quinque, et seu mihi notario infrascripto, tamquam persone publice officio publico, stipulanti et recipienti nomine prefati Officii pro dictis seapteriis, omni exceptione et contradictione remotis. Quiquidem Melchion et Nicolaus emptores predicti, et seu alius aut alii, declarandus seu declarandi, possint et valeant ac eis liceat et licitum sit, et ita ipsi 1 lacuna nel manoscritto. - 259 - domini consules, consiliarii et protectores, dederunt et dant amplam potestatem et baliam dictis Melchioni et Nicolao presentibus et acceptantibus, aut alios » seu aliis exclarando seu exclarandis ab eis, posse exigere ab omnibus intrantibus dictam artem seapterie, libras tres pro singulo infrante dictam artem, et ultra habeant et habere debeant ipsi emptores, seu declarandus aut declarandi ab eis ut supra, terciam parte condemnationum factarum per dominos consules seapte-riorum, a dicta die secunda februarii usque in presentem diem, et flendarum ab inde in antea usque et per totum dictum tempus dictorum annorum quinque per dictos consules qui sunt vel qui pro tempore fuerint, qui2 spectaret et pertineret dicte arti pro ipsa tercia parte et prout exigere potuisset Lazarus Dominicus de Benedicto, notarius, vigore cuiusdam publici instrumenti facti inter dictum Lazarum Domi nicum ex una parte et Bartholomeum de Ceva et socios seapterios et habentes baliam ex parte altera, scripti manu mei notarii infrascripti anno de mdxvi, die prima decembris, quod quidem instrumentum dictus Lazarus Dominicus presens ex una parte et dicti domini consules, consiliarii et protectores ex altera, sponte etc., dictum instrumentum celebratum inter ipsum Lazarum Dominicum et dictos Bartholomeum et socios dictis nominibus ut supra, et omnia et singula in eo contenta cassaverunt, revocaverunt et annullaverunt, ac cassant, revocant et annullant, ut si factum non esset inter ipsas partes, salvis infrascriptis. Et denuo ipsi domini consules, consiliarii et protectores, sponte et ex certa scientia ut supra, et omni meliori modo etc., denuo ipsum Lazarum Dominicum de Benedicto, notarium presentem et acceptantem, elligerunt et elligunt in scribam et pro scriba dicte artis seapteriorum, cum illis emolumentis, preheminentus et prerogativis et aliis obventionibus specialibus et pertinentibus dicte scribanie, et que dictus scriba solitus est habere et percipere; quiquidem Lazarus Dominicus teneatur et obligatus sit, non obstante dicta annullatione dicti instrumenti, solvere et satisfacere, et sic promissit dictis dominis consulibus, consiliariis et protectoribus presentibus, libras tercentas pagarum anni de mdxvii pro dicto anno de mdxvii prout in dicto infrascripto continetur, omni exceptione et contradicione remotis. In reliquis dictum instrumentum sit et remaneat cassum et nullum ut supra, et ultra dictus Lazarus Dominicus promissit solvere dictis emptoribus dicte ca-belle dictorum pannorum septe, quolibet anno dictorum annorum quinque, libras septuagintaquinque Ianue de monetis currentibus inter artifices, omni exceptione et contradicione remotis, et sic dederunt et dant ipsi domini consules, consiliarii et protectores, potestatem et baliam dictis emptoribus presentibus etc., exigendi ab ipso Lazaro Dominico omni anno dictorum annorum quinque, dictas libras septuagintaquinque; promissitque dictus Lazarus Dominicus facere dictis emptoribus dicte cabelle presentibus, quascunque scripturas quas continget fieri per ipsos emptores pro dicta cabella absque aliqua solutione ipsi fienda pro dictis scripturis, et etiam promissit ipsis dominis consulibus et sociis presentibus etc., bene solvere ac diligenter se habere in exercendo dictam scribaniam dictorum seapteriorum. Quiquidem domini consides, consiliarii et protectores promisserunt ipsis emptoribus presentibus in 1 alios: così il manoscritto per alii 2 qui: così il manoscritto per que - 260 - predicta cabella prestare omne auxilium et favorem ac consilium que ipsi poterunt et quantum erunt vires eorum. Respondentes etc., que omnia et singula suprascripta dicte partes sibi ad invicem et vicissim uni alteri presentibus, stipulantibus etc., sub piena dupli etc., ratis etc., et proinde etc. Actum Ianue, in platea nobilium de Cigalis, in logia ipsorum seapteriorum, anno dominice nativitatis millesimo quingentesimo decimo octavo, indicione quinta secundum Ianue cursum, die veneris decimaoctava iunii, hora vigesimasecunda vel circa, presentibus Petro de Plazia seapterio, quondam Galeacii, et Bartholomeo de Terrili, quondam AcceLmi, civibus Ianue, testibus vocatis et rogatis. Extractum est ut supra etc.. Ciprianus Folieta, notarius. XVIII Obbligo ai tintori di tingere col « cremex » solo in presenza di un rappresentante dell'arte della seta 1519, 27 maggio Cod. A, cc. 201 r. - 203 r. Vobis Illustri et Excelso Domino Regio Gubernatori et Magnifico Consilio Dominorum Antianorum civitatis Ianue, reverenter exponitur, per consules et consiliarios et quatuor protectores artis seapteriorum Ianue, quod, cum reperis-sent a multis, in presenti civitate, veluta coloris rubei cremexilis et morelli cremexilis non fabricari nec tingi sub modis et formis debitis, sed potius in dies deteriorantur, et alia falsa reperta, que res profecto infert magnum detrimentum dicte arti et, per consequens, toti Reipublice Ianuensi, cum circa dictam artem plurimi et maxime paup>eres capiunt alimenta ultra quantum fiat circa aliam artem in presenti civitate, et dicta veluta cremexilis et morelli sint precipue membra dicte artis et ornamentum Reipublice Ianuensis; ideo omnes seapterii insimul convenerunt pro adhibendo remedio tali malo, et concorditer omnibus visum est, si tamen Ma-gnificentie Vestre comprobabunt, quod super huiusmodi cremexilibus deputentur consules et consiliarii et quatuor protectores de dicta arte qui nunc sunt et pro tempore erunt, quibus omnibus imbusulatis per dominos consules in societate eorum notarii, unus secundum sortem datam semper interveniret in talibus coloribus conficiendis, et, datis coloribus, bagnum ipsum disperdatur, ne ex eo fraus committi possit, et quod bullo dicte artis bullari debeant talia veluta debito modo confecta, et si que veluta dictorum colorum ultra parmos decem reperirentur non bullata, tanquam falso fabricata ipso facto sint deperdita et amissa; applicanda pro tercia parte Dominis Patribus Communis et pro alia tercia parte acusatori, et pro reliqua tercia parte, pro dimidia ipsis artibus seapteriorum et tinctorum, aut illi quem el-ligent Vestre Magnifice Dominationes, et sic, vocatis consulibus et consiliariis artis tinctorum septe, deputarunt sazium dictorum collorum secundum cuius qualitatem et bonitatem veluta talium collorum tingi debeant. Ideo humillime rogant et deprecantur per ipsos seapterios Tdeliberationem 1 factam in vim publici decreti confirmare, constituere et decernere quod uterque ille facere debent, ex quo, ultra - 261 — bonum evidens quod habebit tota Respublica Ianuensis, si dicti collores velutorum debito modo conficiantur, obvietur etiam malitiis hominum, que in dies crescunt et quos non pudet parvum eorum commodum, etiam cum discrimine, honore et fama, publice utilitati anteponere, et facere quod veluta dictorum collorum in Ianua fabricata decetero ubique respuantur, sicut evenit in auro fillato et frexetis, que erant magna membra dicte artis et ex quibus Rexpublica Ianuensis magnum commodum percipiebat. Nam, quia illa non fabricantur debito modo, evenit quod in omni parte mondi et aurum fillatum et frexetum Ianue fabricatum ab omnibus respuitur, et contemnitur, et fuit necesse ipsis de dicta arte desistere a tali fabrica: et ita pro certo eveniret in ipsis velutis cremexilibus, nisi per Vestras Magnificas Dominationes remedium predictum adhiberetur; et ne decetero fraus aliqua committi possit, quod fiat proclama ut qui habet similes pannos debeat intra dies octo bullari fecisse, sub pena amissionis eorum, sine tamen aliqua innovatione vel der-rogatione privilegiorum ipsius artis. Et qui prefati supplicantes refferunt ea que visa fuerunt opportuna pro remedio tanti mali et damni et pro certo futuri, sub tamen suppletione et correctione Vestrarum Magnificarum Dominationum, que tan-quam prudentes in omnibus suis poterunt in plus et minus supplere, prout ipsis visum fuerit et prout illa facturas sperant quibus se humillime commendant. MDxynn, die XXVII maii. Illustris et Excelsus Dominus Octavianus de Campo-fregoso, Regius Ianuensium Gubernator, et Magnificum Consilium Dominorum Antianorum excelsi Communis Ianue, in pleno numero congregatum, quorum nomina sutn hec: Augustinus Spinula prior Ioannes Baptista de Ferrariis, notarius Franciscus de Flisco Hieronimus Gentilis, quondam Filippi Bartholomeus de Nigro David Iordanus Augustinus Lomellinus, Baptiste Petrus Centurionus, quondam Luce Andreas de Petrasancta Ioannes de Odono Simon de Bozolo et Gabriel Iudex, lecta coram eis supplicatione suprascripta et inde verbo auditis egregio Georgio de Mortario, altero consule, ac viribus prestantibus Ambrosio de Zerbis, Peregro de Salvo et Nicolao Spinula, quondam Philippi, tribus ex hominibus dicte artis, eadem omnia fieri ac decerni petentibus que in supplicatione suprascripta continetur, re diligenti examine discussa, videntes deliberationem per dictos seapterios ut supra factam publicam utilitatem concernere et ob id merito approbari debere, omni ideo meliori modo, via, iure et forma quibus melius ac validius fieri et esse potest, deliberationem ut supra factam et de qua in dicta supplicatione sermo habetur, approbaverunt et confirmaverunt auctoritateque presentis decreti approbant et con- — 262 - firmant, illique et in ea contentis suam et Communis Ianue auctoritatem pariter, et decretum interposuerunt et interponunt, statuentes ac decernentes in omnibus et per omnia prout in ea continetur, excepta dumtaxat ea parte dicte deliberationis qua videtur tercia pars penarum applicata dictis artibus, quam terciam partem applicandam esse voluerunt, et ita applicant, pro una tercia parte operi et reparationi ecclesie maioris Ianuensis, massariis eiusdem solvenda, pro alia tercia parte dicte arti seapteriorum, et pro reliqua tercia dicte arti tinctorum; mandantes de omnibus predictis, ut supra decretis, fieri et publicari publicum proclama tenoris infrascripti, ne de eis possit quispiam ignorantiam pretendere aut modo aliquo se excusare, et sic ut supra decretum deliberatumque fuit, obstantiis in contrarium quibuscunque non obstantibus. Ioannes Baptista de Zino, cancellarius. mdxviiii, die xxx maii. Cum ciò sia cosa che li consuli, conseglieri e quatro protectori de l’arte de la septa de la presente città de Genua, vogliando obviare a qualche fraude hanno trovato si commettevano in li veluti di colori cremexi rubeo et cremexi morello, in li quali se sono trovate diverse fraude, et specialmenti non essere stati tincti sotto li debiti modi e forme come si dovia, et a ciò che in lo advenire non habiano a deteriorare, convocato prima tutti li seapteri, o la maior parte, hanno deliberato che sopra tali colori siano deputati detti consuli, conseglieri e protectori, chi al presente sono e per lo advenire seranno, nel modo e forma che di sotto se dirà: in primis li nomi de dicti consuli, conseglieri et protectori, chi sono et chi prò tempore seranno ogni anno, presente el notario de detta arte, si debano insachetare per li consuli, de li quali supra insachetati, semper che si doverà tingere de alcuno de detti colori, in presentia del detto notario, per mano de epsi consuli si habi a cavare fori ad sortem uno il quale poi debia intervenire in tali colori conficiendi. Il bagno del quale colore, in quello instante, compito l’opera, si habi a disperdere e butar via, a ciò che di quello non si possi commettere alcuna fraude; e poi che seranno di dette septe fabricato sino a parmi dexe di veluto, che quello si debi bullare del bullo de la detta arte, adeo che, se alcuni veluti di questi duo colori seranno decetero trovati in pecie aut in scaparroni, ultra detti parmi dexe, et non siano ut supra bullati, se intendano essere falsi et perduti, e quelli applicati per la terza parte a li Patri del Commune, e per l’altra terza parte a lo accusatore e per la ultima terza parte, per chè così ha ordinato el Magnifico Senato da cui è stato confirmata la predetta deliberacione, per una terza parte a la fabrica e reparatione de la chiexia de San Lorenzo, per l’altra terza parte a detta arte de’ seapterii, e per l’altra terza parte a la arte de li tinctori, impero per parte de lo Illustre et Excelso Signor Magnifico Octaviano de Campofregoso, Regio de li Ge-nuesi Gubernatore, e del Magnifico Conseglio de li Signori Antiani de lo excelso Commune di Genua, da liquali per publico decreto scripto per mano del cancellerò infrascripto sono state confirmate e decretate tutte le supradicte cose, se commanda e notificasi ad ogni et singulo seaptero, textore, tinctore aut altro, sia chi se voglia, che decetero non osseno nè presumano contravenire in alcuna de le predicte cose sopra statuite, imo quelle observare como di sopra se contiene, sotto la dieta pena. Et perchè sono molti chi poteriano haveire di tal sorta veluti non bullati, aut in pecia aut in scaparroni, chi excedcria el numero de detti parmi X, impero se li - 263 - comanda parte qua supra, che debiano quelli o quelle, seando tincte cum li debiti modi, havere fatto bullare del bullo de la detta arte dentro da iorni octo proximi da venire, sotto la pena antedicta e nel modo supradetto applicata, notificando a ciascaduno che, se passato el termino serano trovato non bullati, che se intenderano e sino al presente se intendano, essere perdutti et applicati corno di sopra si è detto, e si procederà diligentementi, e cum rigorosità, contra de ogni delinquente, nè si haverà rispecto ad alcuno, per chè così è la mente de li prefati Illustri Signor Gubernatore et Magnifici Antiani, e anchora de dicti consuli, conseglieri e protectori ad instantiam de li quali se publica la presente crida, facta in observatione de quello si è superius decretato, a ciò che de le predicte cose alcuno non possi pretendere ignorantia o vero in modo alcuno excusarsi. Die prima iunii. Antonius de Panexio, preco publicus Communis Ianue, rettulit se hodie mandato etc., proclamasse et publicasse suprascriptum proclama per pia-team Banchorum et per alia loca publica et consueta civitatis Ianue, alta et intelligibili voce, cum tubicinibus, sermone vulgari, in omnibus prout in eo continetur. Idem Ioannes Baptista de Zino, cancellarius. XIX Lettere del doge Antoniotto Adorno e del senato genovese alla Maona di Chio per chiedere l’arresto e l’estradizione di alcuni artigiani CHE si sono trasferiti nell’isola con I loro strumenti per esercitarvi l’arte della seta 1523, 31 luglio 1524, 17 mareo Cod. A, cc. 215 r.-218 r. Vobis, Illustrissimo Domino Antonioto Adurno, Ianuensium Duci, et Magnificis Antianis, exponitur1 egregii Ioannes Antonius Ragius et Ioannes Balianus, consules artis seateriorum, ad eorum noticiam devenisse quod in civitate Chii prepara-tum est exercicium artis serice, quod cedit in maximam ruinam et preiudicium artis ipsorum, et per consequens tocius civitatis Vestre, quandoquidem, ut notorium est, ars ipsa afïert plurima ac plurima emolumenta et beneficia Reipublice Vestre, quia ex arte ipsa magna pars, imo maior, omnium civium Vestrorum nutritur, et civitas Vestra hominibus repletur et exercitium mercature multiplicatur et ampliatur et similiter cabelle, quo fit ut in extirpando dicto exercitio in dicto loco, Dominationes Vestre pro conservanda Republica Vestra habent se paratas reddere, et prout Magnifici Precessores Vestri continuo fecerunt, quia ad obvianda similia ordinaverunt plura decreta contra exportantes artem sericam sive tintorum sive filatorum aut instrumenta alicuius dictarum artium, ita ut maximis penis afficiantur vigore dictorum decretorum, et in quam penam incidit etiam quilibet civis districtualis aut extra- 1 exponitur: così il manoscritto per exponunt - 264 - neus qui in predictis alicui contrafacienti prestiterit auxilium, consilium vel favorem et similiter quilibet patronus navis qui levaret portantes instrumenta necessaria ad dictas partes. Quapropter, pro beneficio et evidentissima utilitate Reipublice Vestre et pro ipsa conservanda, supplicatur prefatis Dominationibus Vestris parte qua supra, quatenus dignentur extirpare et radicare seu extirpari facere dictum exercitium artis serice in dicto loco Chii et ordinare quod omnia preparata ad exercitium dictarum artium in dicto loco comburentur, et taliter ordinare, sub illis modis et formis sub quibus melius videbitur Dominationibus Vestris, quod decetero cesset exercitium dictarum artium in dicto loco, et compelere contrafacientes ne decetero sub fideiussionibus idoneis et preceptis penalibus se intromittant de tali arte in dicto looo, et prout facere tenentur Dominationes Vestre in observatione decretorum emanatorum super predictis a Magnificis Precessoribus Vestris, que decreta exhibent, si placet, legenda prefatis Dominationibus Vestris; et Dominationes Vestre, estirpando dictum exercitium in dicto loco, facient id quod etiam quandocunque fecerunt Magnifici Precessores Vestri, quia similis casus iam evenit in dicto loco, et mandato Magnificorum Precessorum Vestrorum remissi fuerunt tales contrafacientes ligati ad presentem civitatem per tunc dominum Potestatem et Mahonenses Chii, quibus exinde fuit iniuncta condigna pena, et optima ratione et iustissima id factum fuit, quia nihil deterius in exercitio mercature contingere posset in presenti civitate quam tollerare tale exercicium in dicto loco, ut omnibus est notorium. MDXXin, die xxxi iulii. Responsio Magnifici Senatus est quod fiat in omnibus et per omnia prout supra continetur et requisitum est per dictos Ioannem Antonium Ragium et Ioannem de Baliano, consules seapteriorum, presentibus et id quoque laudantibus et approbantibus consulibus artis textorum pannorum septe, et compluribus aliis de dicta arte; motti ad ita decernendum pluribus de causis et rationibus animum Magnifici Senatus moventibus, que maiore exclaratione non indigent, cum per se satis note omnibus sint, pro exeeutione vero superius contentorum et ordinatorum voluntatisque et sententie ipsius mandavit scribendas esse litteras Potestati et Gubernatoribus Mahone Chii in sententiam supplicadonis predicte: Antoniotus Adumus, Dux Ianuensium etc., et Consilium Antianorum Communis Ianue Spectato et Prestantibus Viris Potestati et Gubernatoribus Mahone Chii, carissimifsl, Spectati Viri Nobis carissimi, non aecadeno cose di maior importantia a la cita nostra, como quando si tratta de’ nogotii spectanti a Parte de la septa e tutte sue pendentie, sia quando si ragiona de accumularla cum benefidi, sia quando si agita de obviare a le fraude che si soleno commettere in epsa, ma molto più importa quando si è necessitato venire a pensare che l’arte non sii exportata fuora de la cità per qualunchc nostro subdito et altri, sian quali si voglian, considerato che ex portarla fuori non è altro se non rui riarse del tutto, per esser quella che mantiene in genere la dtà e per mezo de la quale quel poco di vivo che si resta si acresce et si fa mantenere et stare in reputatione. Per unde non saria cosa tanto ardua che - 265 - si obmettese il tentarla per fare che detta arte non si exportassi fuora, et per chè s’è inteso come in quel loco e insula alcuni nostri Genuesi o vero subditi si son transferti et seco portato li instrumenti apti a tal fabrica, sia di textore sia de altra arte pertinente a la fabrica di septa, non habiamo quietato che prima non se sia inteso distincte il vero, e di subito chiamato da Noi li consuli de li seapterii et tex tori se siamo confirmati in lo primo intendere Nostro, del che n habiamo sentito admiratione non poca, sia per il danno che ne seguiteria quando tal cosa pren esse campo, sia che citadini e subditi nostri habieno sì poco havuto timore de le pene che son imposte a simili contrafadenti, a quali sensa hesitatione alcuna si farà cognoscere quanto importi il fallo comesso. Per tanto, mossi prima da lo gran e interesse de la cità et de la observantia de le formidabile lege sopra tal materia sta mite, vi si ordina e comanda che havuta la presente statim vi acautellate de le per sone de quelli citadini e subditi nostri che havessino chostì transportato dieta arte et parimente de tutti Ii artificii loro et instrumenti apti a tal fabrica, e che tali de linquenti poi col primo modo cauto ne mandiate ben custoditi da Noi, e così li instrumenti predetti necessarii a tal fabrica, a fine che loro ne portino la pena, e resti in exemplo a li posteri che pensassino contrafare, e in questo fareti da diportarvi da Genuesi e cari dtadini exequendo quanto s’è detto cum tuta quella diligentia et amore che possibil fia. E perchè s’è inteso che forasteri hanno fatto il medemo in trasportare dieta arte in quello loco, contra de’ quali non pare conveniente procedere per le vie di sopra expresse, a l’havuta di queste, sotto quelli modi che vi parirano, obviarete tal fabrica in quel loco bruxando tutti li instrumenti et artificii a tal fabrica necessarii et quali operassino, perchè in effecto non si pò tractare negocio di maior importantia et quale ricerchi più rigida executione e più celere, considerato che si tracta de la ruina de tutta la cità quando non si facesse quanto s’è dicto, circa il che di novo vi instiamo e comandiamo che vi rendiate non che prompti e facili, ma che caldamenti exequiate quanto se dice, trac-tandose non mancho de beneficio vestro, et de tuti vestri, quanto de la cità quale include li particulari citadini tra ’1 numero de’ quali vi reputiamo, et de li affectio-nati; che vi siano facte adonche di sorte che ve possiamo comendare et atribuirvi laude solite, non essendo questo il primo caxo, per quanto s’è inteso et lecto per essersi un’altra fiata per vostri antecessori facto una simile executione, e mandato qui tali delinquenti ligati, e poi qui se ne fece la punitione che meritava subditi delinquenti a la cità et Republica sua, et restringendo si dice che la cosa de laquai si parla è tale e di tanta importantia che mai non cesaressimo ragionarne, et si re-duremo a uno condusione, che vogliamo ad ogni modo che la executione seghili, et cum le prime aspecteremo la executione insieme cum la riposta. Date Ianue, die xxxi iulii MDxxiii. Ambrosius de Senarega, cancellarius. Antoniotus Adurnus, Dei gratia Ianuensium Dux etc., et Consilium Antianorum Communis Ianue Spectatis Viris Potestati et Gubernatoribus Mahone Chii, carissimis nostris, resim car‘ss'm^ se havessino li effecti coresposo a le parole mancha- 10 che 'T C 3 *3reSente ^at*c^a e voi di far iudicio di haveirne poco satisfacto, Commune3 n°n COnveniva a citan effecto quando la si spargese in quelle bande, che seria rujnaCOSa cluando 1 havessi principio chostì, poteressimo far certo iudicio de la quale n°S.tra’ esser*do non che l’ochio dextro ma l’anima de la cita nostra, sensa la s Poteressimo non che ristorarsi de le iacture havute, ma prometersi bene cuno sì che pò ciaschaduno considerare quanto habian a core la extirpatione de ^psa, non solum in quel loco, ma per tuto il mondo. E quando fossi in facultà nostra ^ eviarla a Vincenza e altri loci commemorati in la vestra, e maxime circa l’arti-ntatorio saria stata sì presta la extirpatione in epsi loci come el principio, ma ove le forze manchano in le iurisdictione d’altri, maxime non vi vale le voluntà prompte, cosa che accade il contrario in quella isula. E veramenti haressimo voluto c e voi, che sete citadini, havessi havuto più consideratione in lo allegar li inconvenienti che altrove si filano le septe che in Genoa e per consequens dover essere pa-cienti che in quella isula usar si possia il filatorio artificio, e quando altra ragione non vi havessi movuto, dovevate ritrare questa sola, che quanto più il mal era sparso, tanto più diffìcile era il riparo. E veramenti havendo riletto le Nostre che questo luglio passato vise fuisserono di tal materia, se siam tanto più condolsi quanto mancho son state fructuose, considerato maxime che dove expectavemo per molte e molte ragione dovessi essere non mancho obedienti e prompti a la executione de le Nostre, ché vestri antecessori in simil caxi quali intesa la mala contentesa de la cita nostra che in quella isula si fabricasse in niguna manera de lo artificio spettante a — 267 — l’arte de la septa, subito mandorno chostì li maestri e fabricanti de epsa de ogni sorta, Voi non solum non haveti exequito il medemo e del che vi habiamo per nostre instato, comandato et admonito, ma vi sete aposti in lo argumentare al manco che l’arte del filatorio non è preiudicativa a la cità nostra per filarsene altrove, e che vi faciamo intendere haverlo sentito per male, e tanto più quanto che questa nostra malacontentesa nascie da voi che sette citadini. Ma perchè il perseverare più a noi aduce augumento di doglia, e la causa del nostro dolore cum assai mane o parole vi haressimo poduto far nota, obmetteremo il più querelarsi e si restringe remo a notificarve la nostra pura voluntà esser che in tal manera 1 arte de a septa e di tutti soa dependentie sia extincta in quel loco, che vi reste radice che possi per alcun tempo pululare, e specialmenti del filatorio artificio, iudicato da noi e a li periti in l’arte de li più importanti che possi esser a damno de 1 arte, quan o in epsa isula si permettesse farla. Per tanto vogliando non che persuadere ma promet tendose ogni cosa in voi a l’havuta di questa, obviate primo a ciaschaduno avorar de l’arte de la septa, corno di cosa prohibita, mandandone, e questo vi sia a mente, tutti quelli chi de epsa lavorano chi siano subditi nostri, qui bem custoditi cum tuti loro artificii, a ciò che da noi habieno quel castigo che merita il fallo, e polissi me circa l’artificio del filatorio qual penitus vogliamo si extingua in quella isu a per degni e poi degni respecti, e in questo vi diportare in manera che non ne a la e più da dar causa a reiterare e così voi in specie Magnifico lo Podestà, sia il regente sia il successore, havete da diportarve in modo che quel che fareti habi da essere comendato. E perchè di questa materia che non ne possiamo tanto che sia in sati sfaction del desiderio nostro, e ogni rimedio recordato iudichiamo essere sa uti ero, havute le presente, ultra di quanto s’è detto di sopra, ordinarete publice cride e bandi che non sia alcun Genoese nè subdito nostro che osi nè presuma transferirse fori de l’isula e portare l’arte fora di ogni soa specie, sotto pene gravissime, e in casu de desobedientia, che non crediamo, se vi deportarete corno si spera, vogliano che ne li rimandiate qui ben custoditi, a ciò che poi si proveda per Noi in quanto haveseron demeritato per la inobedientia loro. Date Ianue, die xvri martii mdxxiiii. Idem Ambrosius. XX Concessione all’arte di un proprio carcere dove rinchiudere le donne COLPEVOLI DI FRODE 0 FURTO NELLA MATERIA PRIMA DEGLI IMPRENDITORI 1527, 27 marzo Cod. A, c. 221 r. e v. mdxxvii, die xxvn marcii. Illustris et Excelsus Dominus Antoniotus Adurnus, Dei gratia Genuensium Dux etc., et Magnificum Consilium Dominorum Antianorum excelsi Communis Ianue, in sufficienti et legiptimo numero congregatum, auditis verbo spectatis viris Ambrosio Caffaroto et Luca de Clavaro, consulibus in presentia-rum artis seapteriorum Ianue, exponentibus, attenta licentia alias ab eis vel eorum precessoribus, opera seu medio egregii viri Antonii de Ponte, digna ratione inferius — 268 — expressa, precedente, a felice memoria Illustris quondam Domini Octaviani de Cam-pofregoso, regii in Ianua tunc Gubernatoris, impetrata, et ab eodem Illustri Domino Duce ea ratione pariter confirmata, proprio eiusdem artis carcere, subtus cameras Palacii Communis vocati Serravalis, solitarum residentiarum Egregiorum Dominorum Vicariorum, aularum prime et superioris Magnifici Domini Potestatis Ianue, instaurari et seu fabricari et perfici nuper fecisse quosdam carceres hostiis et clavibus duabus munitos; et quia in prioribus carceribus, ubi hactenus detineri et mcarcerari consueverunt he mulieres circa artem ipsam septe delinquentes et in ea fraudes committentes, que merito carcerande erant, compertum quandoque fuit aliqua inhonesta et minus condecentia cum iisdem incarceratis mulieribus, culpa et deffectu custodis clavium eorum et aliorum prefati Magnifici Domini Potestatis carcerum, sequuta et perpetrata fuisse, tam intus in dictis carceribus quam extra eos, in extrahendo nocte ipsas mulieres et quo volebat cubili collocando, in non parum dedecus publicum, et non sine Divine Maiestatis offensione, ea propter, sicuti principaliter ea de causa, ad predicta obvianda, eorum carcerum instructio petita, concessa ac perfecta est, petitum quoque ab eis est ut Dominationes Sue vellent et dignentur publico earum decreto, statuere, decernere et ordinare in omnibus prout m ra, re ideo diligenter examinata, peticioni huic inclinantes, quam, attentis predictis et aliis dignis de causis mentes Dominationum Suarum moventibus, equam et honestam ac petito remedio dignam esse censerunt, omni meliori modo etc., hoc -olemni publico decreto perpetuo valituro et inviolabiliter observaturo, sanxerunt ac decreverunt, sanciuntque ac decernunt carceres ipsos, respectu dictarum mulierum ut supra delinquentium, fore ac esse publicos, et pro publicis carceribus decetero haberi et reputari debere, in quibus predictis carceribus et non in aliquibus aliis si in futurum, ab hodie inchoando, aliqua seu alique ea de causa culpabiles mulieres incarcerate venerint seu incarcerati merito debuerint, voluerunt ac mandaverunt ut ibidem incarcerentur et detineantur ac incarcerari et detineri debeant, sub dictis duabus clavibus claudende. Altera quarum clavium custodiatur et seu illam teneat et custodiat solitus custos clavium aliorum prefati Magnifici Domini Potestatis carcerum, cui custodi etiam cura sit ipsis incarceratis providere pro victu et aliis earum indigentiis, victui earum pertinentibus ac necessariis, ut prius ab eo fiebat et seu hactenus factum fuisse constat. Altera vero clavis huiusmodi carcerum custodiatur atque illam teneant penes se consules ipsi artis predicte, qui nunc sunt et Pro tempore eligi conti(n)gerint, ad hoc ut mulier aliqua decetero in eos intrare, exire vel extrahi ex eis non possit sine scientia et noticia prefatorum consulum vel custodis clavis huius, ab eisdem consulibus deputandi. Qui tamen custos ab ipsis consulibus ut supra deputandus, nichil exigere vel habere possit seu debeat pro ipsa clavis huius custodia, sed id omne quod pro ipsa custodia solvi consuetum est in exitu dictorum carcerum, solvatur et spectet eidem custodi prefati Magnifici Domini Potestatis, et ab eo exigatur exigique possit quantum preantea exigi ab eo consuevit; mandando prefato Magnifico Domino Potestati ac aliis quibuscumque officialibus ad quos spectat, ut presens decretum et omnia et singula in eo contenta observent, faciantque ab aliis inconcusse observari, in omnibus prout in eo legitur, sub pena sindicamenti, non obstantibus aliis obstantiis in contrarium quibuscumque. Ioannes Baptista de Zino, cancellarius. — 269 — XXI Provvedimenti adottati dai xii riformatori su gravi ed urgenti problemi dell’arte 1529, 13 febbraio Cod. A., cc. 223 r. - 224 v. mdxxviiii, die xm februarii. Magnifici ac Prestantissimi Viri Domini Duodecim Reformatores excelse Reipublice Genuensis, in sufficienti et legiptimo numero congregati, considerantes quod utilimum sit tocius huius Reipublice Genuensis artem septe in presenti civitate nostra manutenere et conservare, attentis precipue beneficiis et facultatum cumulis que ex ea tam in publico quam in privato sequuta sunt et in dies ex ea sequi debere putant, et pro manutentione, augumento et conservatione eiusdem artis neccessario leges et ordines ac statuta, prohibitiones et alia de quibus infra, condere et reformare debere; hinc est quod, rationibus ipsis aliisque dignis motti respectibus, matura super infrascriptis consideratione et pensata animi deliberatione perhabitis, omni meliori modo etc., ex potestate, auctoritate et balia eisdem quomodolibet attributis, hoc solemni decreto, inviolabiliter observando, statuerunt, ordinaverunt, prohibuerunt et decreverunt in omnibus et per omnia prout infra: et in primis quod quivis textor pannorum septe, qui voluerit esse et restare textor et artem ipsam texendi exercere, non possit neque debeat contexi neque contexi facere de suo proprio, neque exercere seu exerceri facere artem septe, sub pena amissionis septe et seu illius telle septe que tali textori seu persone reperiretur, et sub alia quavis pena possit occurrere ad arbitrium consulum et consilii dicte artis septe. Item quod testores ipsi pannorum septe non teneantur neque obligati sint, minusque cogi possint a seateriis vel ab eorum aliquo, ad capiendum granum vel vinum in solutum seu infra solutionem eorum mercedis, que ex causa texendi eidem textori tali eveniret, minusque possint vel debeant ipsi seapterii vel eorum aliquis, mercedes ipsas texendi eisdem textoribus vel alicui eorum satisfacere, seu solvere, in grano seu vino et prout per antea fieri consueverat, vel in aliquo quovis modo, sed penitus ac omnino teneantur et debeant ac obligati sint solvere de numerato et in peccunia numerata, quocumque ordine, statuto seu decreto in contrarium disponente non obstante, cui intelligatur in hac parte specialiter derrogatum. Item quod non sit persona aliqua, cuiusvis gradus, status, conditionis et qualitatis fuerit, que in presenti civitate Ianue et in toto eius districtu, possit emere septam manifacturatam que non sit bullata solito bullo artis septe, sub pena, respectu venditoris, amissionis septe vendite, respectu enim emptoris, solvendi valu-tam eiusdem septe vendite. Item quod quelibet persona que furaretur septam, scilicet ex illa septa que fuerit data ad manifacturandum aut illi tali credita ac traddita causa manifactu-randi, et venderet illam, quamvis in pluribus vicibus, et reperiretur illam ascendere ad valutam librarum quindecim monete Ianue, tali in casu cadat talis venditor et cecidisse intelligatur in penam corporalem et ultimum suplicium incluxive. — 270 — Item quod quevis persona que emeret de huiusmodi septa vel eredita vel depredata, vel per pignus et nomine pignoris eam acceperit vel receptaverit, cadat tali in casu vel eorum aliquo, in penam amittendi ipsam septam et ultra solvendi valutaci eiusdem illis scilicet cuius esset, et magis solvendi omne id et totum quod et quantum talis venditor vel tradditor ipsius septe, nomine pignoris, esset, vel repe-riretur debitor, seu quod deberet illi domino seu patrono dicte septe. Liceat tamen cuique emere et recipere nomine pignoris omnem et quamcumque summam similis septe si ea fuerit bullo artis septe bullata, et non aliter nec alio modo. Item quod non sit aliquis forensis qui possit exercere seu exerceri facere artem septe in Genua, nisi venerit ad habitandum in ea et effectus fuerit civis Ianue. Contra portantes artem extra Item si reperiretur aliqua persona que defferret artem ipsam septe extra presentem civitatem Ianue, causa fabricandi illam, cadat et cecidisse intelligatur in pe nam confiscationis omnium bonorum suorum, et ulterius quod impune occidi possit, et qui illum talem occideret lucretur et lucratum fuisse intelligatur ducatos a quinquaginta usque in ducentum, arbitio consulum et consilii dicte artis septe, qui tali interfectori solvi debeant ex peccuniis arti huic spectantibus et pertinentibus. Item ordinatur et precipitur, et sic ordinatum ac statutum est, quod omnes et singuli textores pannorum septe, qui portaverunt et seu transtulerunt artem ipsam extra civitatem Ianue, et pari modo quilibet alius textor qui reperiretur fuisse egressum extra civitatem hanc, et profectum in quamvis mondi partem, debeant infra annum unum venturum, a die publicationis presentium proxime venturum, venire et reverti in eam et ibidem habitare; quibus venientibus et seu reddeuntibus intra dictum terminum, ad hoc ut tute venire ac accedere possint, eisdem et cuilibet ex ipsis redde[uIntibus intra dictum tempus de quo supra, conceditur gratia et salvusconductus, ut non possint seu debeant molestari, nec realiter vel personaliter detineri, pro eo quod tenerentur seu deberent seapteriis, vel alicui eorum, tantum usque ad annos decem, inchoandos a die illa qua in Ianuam reversi fuerint, prout supra dicitur, excludentes et exclusos esse declarantes, a presenti gratia et salvoconductu, eos omnes testores sunt in districtu et dominio Ianuensi et quemcumque alium ex ipsis textoribus qui a mensibus sex citra a presenti civitate Ianue recesserunt et se absentaverunt. Notificando cuique textori quod qui in civitate non revertetur, et intra dictum tempus, eo elapso, imponetur talia super vita eorum et cuiuslibet eorum. Confirmantes ac comprobantes in reliquis omnia et singula capitula dicte artis septe, tam respectu regiminis consulum et aliorum officialium eiusdem artis, quam pro conservatione et manutentione aliorum quorumcumque in ipsis capitulis et unoquoque eorum continentur, dummodo sint in usu et non contraveniant reformationibus conditis, de quibus presentibus ordinationibus et prohibitionibus mandaverunt publicum fieri proclama in presenti civitate, per loca solita et consueta, ad hoc ut ab omnibus observentur et quod de his aliquis non possit ignorantiam pretendere vel modo aliquo se excusare. Ioannes Baptista Grimaldus de Zino, cancellarius. — 271 — XXII Controversia fra seateri e tessitori e nuove norme sul diritto AL LAVORO AUTONOMO, SULLA RETRIBUZIONE IN NATURA E SULL’AMMONTARE DEI COMPENSI luglio 1531 - marzo 1534 (contiene anche un decreto del 1500, 4 dicembre) Cod. A, cc. 230 r. - 240 v. mdxxxi, die v iulii. Illustrissimus Dux Magnificique Gubernatores et Procuratores excelse Reipublice Genuensis, cum sepissime antea et rursus hodie examinassent decretum conditum anno de mdxxviiii, die xv februarii, per Magnificos tunc Dominorum 1 Duodecim excelse Reipublice Genuensis Reformatores conditum, cuius virtute statutum est quod aliquis textor pannorum septe, qui voluerit esse textorem, non possit nec valeat texere nec texi facere de suo proprio nec fabricari facere artem septe{m), sub pena in dicto decreto contenta, cui habeatur relatio, con-siderassentque decretum ipsum maximas rixas, contentiones et iurgia peperisse inter seapterios et textores, pro quibus cedandis cum Illustrissimus Dominus Andreas D Auria et reliqui college magistratus Supremorum Sindicatorum, multociens audis-sent consules et seu deputatos ab arte seapteriorum quam textorum predictorum, pridieque audisset relationem ipsorum Supremorum Sindicatorum qui retulerunt, non sine magno labore, tandem ipsos composuisse et concordasse sub reformationibus et conditionibus infrascriptis, quapropter, attentis predictis et dignis aliis rationibus moti, modo infrascripto, sanciendum esse duxerunt: et in primis revocaverunt et revocant prohibitionem, ne quis textor pannorum septe qui voluerit esse textorem, non possit nec valeat texere neque texi facere de suo proprio, factam per su-pradictos Dominos Reformatores, virtute decreti de quo supra tantum, volentes tamen quod circa hoc observentur ea que statuta fuerunt anno de MD, die IUI decembris per tunc Illustrissimum Dominum Regium Gubernatorem et Magnificos Dominos Antianos Ianue, vigore decreti publici manu Raphaelis Ponsoni cancellarii, que observari deb[e]ant inviolabiliter, in omnibus et per omnia prout in dicto decreto continetur, cui pro veritate, brevitatis causa, habeatur relatio et cuius tenor talis est. « Vobis Illustri et Excelso Domino Regio Genuensium Gubernatori et Magnificis Dominis Antianis, reverenter exponitur parte devotissimorum concivium Dominationum Vestrarum Quilici de Insula et Pelegri de Salvo, consulum artis seateriorum, nomine et vice totius dicte artis, quod, cum ars ipsa pre ceteris artibus sit preciosior, civitatemque et cives undique exornet, et decoret publica vectigalia et reddita manuteneat, innumerabilibusque utilitatibus totam Rempublicam et cives afficiat, et propterea maxima et solicita indigeat cura et diligentia, ut in dies augu-mentetur et ne cadat, manuteneatur et omni penitus mondetur morbo quo affici posset aut ad nihilum reduci, cum nil deterius nilque detestabilib)us in hac pre-sertim urbe, in qua ex industria vivitur, contingere possit, quam quod ars ipsa tante existimationis et precii in aliquo deficiat, eapropter, Magnifici Domini, cum in 1 Dominorum: così il manoscritto per Dominos — 272 — presentiarum ipsi Quilicus et Pelegrus consulatum dicte artis gerant et animum mentemque ipsorum sepe immo magna solertia et diligentia pro bono et utilitate dicte artis, et consequenter totius Reipublice, excitaverint, participata re cum quam pluribus quos ars ipsa non parum tangit, tandem revolutis et diligenter consideratis his que a pluribus annis citra et in presentiarum occurrunt, manifestissime compertum est artem ipsam necessariis et opportunis indigere reformationibus, et preser-tim ut alius detur ordo ipsam artem exercendi, tam circa personas que de ea se intromitunt quam reliqua, et demum multa reformentur que omnino pro bono et utilitate ipsius artis reformanda veniunt; mutatis enim temporibus et crescente omni malicia, expedit novas adhibere provisiones prout ars ipsa dietim desiderat, et per precessores Dominationum Vestrarum observatum fuisse docet volumen capitulorum et privilegiorum dicte artis. Habuerunt enim ipsi consules et reliqui participes pro firmo et absoluto talia, a non nullis annis citra et in presentiarum, occurrere, quibus si salubre, ut sperant, non adhibeatur remedium, actum est de arte ipsa et brevi quidem tempore destruetur et ad nihilum reducetur: verum, quia Magnifici Domini, longum esset et forte nimis tediosum sigillatim omnia necessaria ■et opportuna in predictis, Dominationibus Vestris variis occupationibus occupatis, exprimere, ideo, si placeat, humiliter parte qua supra suplicatur quatenus, in tam necessaria et utili re, dignemini aliquos ex Dominationibus Vestris eligere qui possint ipsos consules et alios, si expediet, quetiori animo audire, et remedia opportuna et necessaria dicte arti providere, requirendumque per ipsos consules, concedere artem ipsam, ubi expediens erit, ac pertinentia et dependentia et connexa ad ipsam, reformare corrigereque, mutare, addere et augere, sic et prout eidem Magnificis auditoribus pro bono tocius Reipublice melius videbitur et placuerit. Res enim tocius civitatis et Vestra agitur, curanda et non negligenda, ac predicta omnia requiruntur tam ad instantiam dictorum consulum dictis nominibus quam etiam Therami de Ballano, Hieronimi de Invrea, Raphaelis Ragii et Leonardi Calisani, habentium specialem curam a tota dicta arte de predictis ». « Coram Illustri et Excelso Domino Regio Genuensium Gubernatore et Magnificis Dominis Antianis, comparent egregii consules et consiliarii artis textorum pannorum septe, dicentes quod requisitioni prestantium consulum seateriorum modo aliquo non est annuendum, rationibus iam oretenus allegatis, que inscriptis sub brevitate, ut semper pateant, rediguntur: nam primo nulli auditores erant illis dandi, nisi prius ipsis comparentibus vocatis, quia, secundum regulas cancellariarum, semper pars citatur antequam quicquid innovetur; si autem fuissent vocati et auditi ipsi textores, nulli auditores fuissent dati et ipsi seaterii fuissent expulsi, nec ad ulteriora processum fuisset. Ex hoc ergo primo capite detegitur ipsorum seateriorum malicia, sub qua non licet illis patrocinare, nec verba ficta eorum sunt attendenda, quia quicquid per eos dicitur est ad fraudem ipsorum textorum, que fraus non debet per Dominationes Vestras substineri; quod autem sic sit, hac unica ratione probatur: in preterito talia qualia nunc promittunt sepe promisserunt et postea non fuerunt observata, sed artibus eorum fracta et reiecta, quibus artibus effecti sunt divites sudore ipsorum textorum, quorum in veritate ars serica fuit et nunc est, nam ipsi textores completam ipsam sciunt, incompletam autem dicti seaterii qui continue student ipsos textores gravare et eorum sumptibus divites effici. Quid clarius, cum a mensibus septem citra super competentia eorum magistratus adhuc non fuerit — 273 — 18 pronunciatum super dicti magistratus competentia, eorum operibus, ad finem dilatandi ipsos mercenarios, qui coram ipso magistratu in ius vocaverunt aliquos ex dictis seateriis, pro eorum mercede ab eis habenda, quam adhuc non habuerunt nec habebunt, nisi similibus cavilacionibus per Dominationes Vestras providebitur: ergo hic demonstratur eorum verba esse ficta, quamvis videantur sub pietate producta, sub qua pietate latent hamus et esca ac venenum eorum. Studendum est ut deponantur dicta duo telaria que secundum eos sunt damnosa: contrarium hoc est, nam panni qui textuntur ad dicta duo tellaria' sunt modici, et ad substentattonem vitarum ipsorum, et postea venduntur panni, qui per eos textuntur, in civitate, civibus, et si minori pretio, commodum remanet inter cives et hoc est ad beneficium commune, quod non cadit in pannis ipsorum seateriorum, qui, si possent, vellent eorum pannos vendere ad magnum precium, ut, si sunt divites, ditiores efficerentur. Dicta duo tellaria fuerunt confirmata per delegatos non sub brevi examine, sed in spatio annorum quattuor vel circa, prius visis videndis et examinatis capitulis veteribus ac conventionibus, decretis et sententiis utriusque artis; que vero sententia, ultimo loco lata, fuit composita tempore Magnificorum Dominorum Fregosorum, et postea conclusa tempore Magnificorum Dominorum Adurnorum, quibus stantibus erant favorabiliores ipsi seaterii, propter eorum dividas. Nam tiranni amant divitias et non paupertatem: exultantur ergo, similibus temporibus, divites, et pauperes declinantur et expelluntur, sed iusticia, que similes superat, suas dedit vires et suam ostendit potentiam, mediante qua per solemnem legem fuit statutum ipsos posse laborare de eorum proprio ad duo tellaria et de eorum differentiis fuit constitutus magistratus. Ita mandat sententia domini Lodisii et sociorum, quam petunt observari, ita mandante regula de prohibita intromissione iusticie, que per Dominationes Vestras est observanda, vinculo iuramenti per Dominationes Vestras assumpto, dum in illo spectato principatu Ille fuerunt assumpte, in quo non debent respici persone hominum sed solummodo iusticia et veritas. Magnificus Dominus Simon de Bracellis ex Senatoribus est ex ipsa arte seateriorum, qui, quamvis sit rectus et integerrimus, tamen est ab hac causa removendus, dignis respectibus, et sic fieri petunt, et loco sui requirunt alium idoneum, rectum et iustum subrogari, a quo etiam subrogando petunt audiri ipsi comparen-tes, qui tandem Dominationibus Vestris pie et flexis genibus se et eorum leges comendant, quas Altissimus ipsas Dominationes Vestras diu et feliciter conservet. Adhuc Dei gratia vivunt ipsi domini Lodisius et socii qui, si a Dominationibus Vestris vocabuntur, sententias eorumque iiira ac mirabilia ab eis audient, per que cognoscent prefate Dominationes Vestre omnia per eorum sententiam declarata fuisse recte et recto modo ordinata, nec plura nec prolixe videantur ». « md, die nn decembris. Illustris et Excelsus Dominus Philipus de Cleves, Regius, Admiratus et Genuensium Gubernator, et Magnificum Consilium Dominorum Antianorum Communis Ianue, in pleno numero congregatum, subrogato loco egregii Simonis de Bracellis, quondam I., seaterii, egregio Benedicto de Portu, cancellario, cum superioribus diebus lecta fuisset supplicatio suprascripta, audissentque egregium Theramum de Baliano et Benedictum de Monelia, consules, ac Raphaelem Ragium, Hieronimum Bestagnum et plerosque alios seaterios comparentes, tam suo quam totius eiusdem artis seateriorum nomine, afirmantes que in supplicatione descripta sunt, et audissent postea ipsos Theramum et collegas, ut supra exponentes — 274 — P seaterios, qui, salva conscientia, in eo exercitio perseverare nequiverunt, a paucis annis citra ipsum artificium dimississe, seque existimare ipsam artem, que est tiu CIVlt3te lnter a^as nobilissima et ex qua magnus, immo maximus fere, habitan-vTl'nUmCrU® v‘vit> Potissimum ad extremam quasi ruinam redactam esse, ex danno dìsium'^G'b'10 Procedit ex quadam sententia sive sententiis latis per egregium Lo-viderT * .er!Um et coUeêas; addentes incongruum indignumque et inconveniens sibi e uTfUt' lf>S^ textores duo artificia sive exercitia exercere et utriusque commodis fl i possint, hoc est quod eisdem liceat, uno eodemque tempore suos alienos-bus ^>an?C^ cer>Ços texere, unde procedit ut, ipsis textoribus suos pannos texenti-etiam ^ ncantibus eosque minori et viliori precio venditionibus ’, ipsi seaterii, magna cum sua iactura, eodem precio suos quoque vendere compellantur; • cons'c^erandum esse fraudes a textoribus in re aliena posse facilius com-cientès^ SU° ^ a^eno quoque serico texendi facultatem habeant; post hec ady-ipsos textores, nullo modo, observasse dictam sententiam sive sententias, ma- niuntut^ n'j,merurn textorum non tantum duobus tellariis, que ipsis concessa inve-a(j ■ .f’ SC multo pluribus de proprio continue fere laborasse, itaque non solum unjv^S1U.S artls sustentationem et regimen, verum etiam ad communem, publicam et j Sa em ut^*tatem et commodum civitatis, se precari ut ipse Magnificus Senam» tis ea adM-)1**3111 S'VC sentent*as revocare velit et deinde, predictis mature considera-blica 3 ' * efe remeC^a dignentur que et Reipublice et ipsi arti, que cum utilitate putatos C°nlUncta’ viderit convenire et conducere putaverit; affirmantes se seaterios pa-neste ^ S°^ut’ones 'Ps*s textoribus facere que et honeste dici et quantum ho-num r" ^>°SS'nt’ audissentque contra Lodisium Pentemam, causidicum, et Stepha-agnoam> sindicum artis textorum, comparentes nomine ipsorum textorum, consulib US et'am ■^om'n'co Prato, Antonio de Podio et Nicolao de Canevali, et J15’ et Puisque aliis textoribus, nomine totius artis respondentes, longoque asserente° .Serrn0ne co,1tradicentes petitioni ipsorum seateriorum, et, intercetera, sime !^SOS deleSatos. Au‘ egregii et integri ac famosi cives sunt, quam sepis- nium aU arn^>as Partes, materiamque ipsam non cursim, sed circiter quadrien-iuste I ' ^ exarninasse, et tandem, omnibus mature consideratis, sententiam suam rantià ■e°ltIrne ,et circunspecte protulisse, in qua proferenda nullus error aut igno-j^ej '^ter\ enisse dici potest, nec propter ipsam sententiam ulla unquam iactura tentia 'mo> s' fluis tenorem eius sententie inspiciat, omnia in ea sen- escripta eaque facta fuisse cognoscet, et si quis conqueri debet, ipsi textores o e ent, seque textores gravatos fuisse testari possunt; si vero ipsa ars sea-nunc detrimento afficitur, non ipsis quidem textoribus imputandum est, a tempora referendum, quibus huiusmodi merces difficile apud plerosque externos populos venduntur, et ideo, cessantibus emptionibus, nec merces fabricari artes exercere querunt, quam quidem calamitatem ipsi quoque textores graviter paciuntur, adeo ut multi ipsorum propterea destructi remaneant, egenique et absque exercitio; preterea addentes ipsos textores ab ipsis seateriis diu non satis humaniter tractatos fuisse, quin imo in dies magis opprimi, item ab eis nullo modo observatam uisse dictam sententiam postremo latam, presertim circa solutiones per sententiam 1 venditionibus: così il manoscritto per vendentibus — 275 - statutas faciendas per eos, adeo ut cum multifariam ipsi textores indigne et inhuma niter ab eisdem seateriis tractarentur, coacti fuerunt Spectabiles Dominos icarium Ducalem et Sindicatores adire, qui inter utramque artem magistratus ordinarius constitutus est, cuius magistratus iudicium super pronunciationem competente per spacium mensium septem circiter et hactenus, immensis favori us riorum, protractum et dilatum est, timentesque ipsi seaterii ne tan em ‘u tum sortiretur, et compellerentur ad observandum dictam sententiam, a gnificum Senatum diverterunt etiam cavilose allegantes et requirentes, nime annuendum est: in summa, se textores allegare regulam pro l e . nis iusticie, qua prohibetur Magnifico Senatui posse de pre ictis se ’ cum nullus dolus, frausve ac suffocatio in dicta sententia -ntervener“’ '^ ‘P textores observari instant, ne a dictis seateriis suffocentur et oppr ’ aliquis textor plus duobus tellariis laborare dicitur, equum esse et itern;s jte. requirere ut puniatur; auditisque longis disputacionibus, argumen is , rationibus utriusque partis, lectaque supra scripta responsione, item quibusdam ca^ pitulis, sententiis et decretis in libris capitulorum utriusque artis descript , tand ^ hac ipsa re variis et longis argumentis mature examinata omni mo , ’ forma quibus melius et validius potuerunt et possunt, deliberaverunt decrevem t, sanxerunt et statuerunt quod liceat ipsis textoribus serici laborare seU^fctaan ta cere duo tellaria de suo proprio et non ultra, sub modi, tamen et vinculis et obligationibus contentis in quibusdam tri us antiquis Dominum anno de Mccccxxxn, die vi mardi, per Magnificum et Prestantissimum Domm^ Oldradum de Lampugnano, Ducalem in Ianua Locumtenentem e P ^ silium Dominorum Antianorum civitatis Ianue, descriptis in 1 ro tr;um textorum, subscriptis per egregium quondam Nicolaum e amu io, ^ capitulorum exemplum et tenor sequitur. In quibus casibus possi rare pannos sericos pro se ipsis: “ Nullus texeranus possit laborare seuM taari ja cere de suo proprio neque de alieno, ad mercedem, aliquem pannum sencu pro seateriis, sub pena florenorum quatuor et abinde supra, usque ... ^tramo consulum seateriorum, aufferenda per consules seateriorum a ^ faciente et qualibet vice, et applicanda arti seaterie, sa vo quo , si autem verit artem seaterie, possit laborare seu laborari facere de suo propno .ion »1tem de alieno, cum duobus tellariis, dumtaxat per se, uxorem et ium sv ^ potem seu nepotes suos, et per famulos necessarios pro ictis uo us ^ cum ad cartam commorantes tantummodo, et non per alias personas qu ’ sub pena florenorum quatuor et abinde supra, usque in ecem, ar i rio « seateriorum, exigenda per eos a quolibet contrafaciente et qua et vie , canda arti setarie. Insuper, si texeranus intraverit artem seateriorum e tenuerit, prout alii seaterii tenere solent, possit predicta duo te aria tel^er > eis laborare, ut dictum est supra, et ultra possit ea. omnia facere que alii / cere possent ”. Quantum solvere debeat texeranus pro ingressu artis setane. cumque texeranus, volens intrare artem setarie, debeat per consules artis recipi et tari In matricula dicte artis et pro ingressu solvere teneatur,^ si uerit C1^1S’ nos septem ianuinorum, si vero fuerit extraneus, sive forensis, florenos ecem. autem voluerit non solum intrare artem predictam, sed etiam apotecam elu® a tenere, teneatur pro ingressu solvere prout tenentur solvere alii volentes ict — 276 - artem intrare, secundum dispositionem et formam capituli sub rubrica Quis possit dictam artem ingredi et quantum solvi debeat pro ingressu. Ita tamen quod, in tali solutione pro ingressu facienda, computari debeant illi floreni septem seu decem quos iam solvisset pro ingressu artis tantum Quod si texeranus intraverit artem seaterie, teneatur manifestare consulibus pretium quod habere potuerit de qualibet pecia panni serici quem laboraverit-. “ Quilibet texeranus qui intraverit artem seateriorum dumtaxat sive qui etiam apotecam eius artis tenuerit, debeat et teneatur etiam cum iuramento notificare et manifestare consulibus seateriorum verum pretium quod invenerit seu habere potuerit de quolibet panno serico, quem laboraverit seu laborari fecerit cum predictis duobus tellariis ut supra, ipsumque pannum eisdem consulibus ostendere, sive ad numeratum, sive ad tempus seu ad baratum illum pannum vendere aut permutare voluerit, et ea notificatione ac manifestatione facta, teneantur ipsi consules in eorum electione, per totam illam diem qua fuerit facta notificatio ut supra, aut talem pannum accipere et retinere, illis precio, forma et modo quibus texeranus invenerat ad vendendum, seu permutandum, aut dare licentiam illi texerano quod libere possit vendere seu permutare, cuicumque sive cum quocumque voluerit, illis pretio, forma et modo de quibus notificaverit eisdem consulibus. Verum, si acciderit illum texeranum vendidisse seu postea vendere minori pretio quam notificaverit supradictis consulibus, seu contra formam supra-scriptam, tunc texeranus ille sit et intelligatur ipso iure privatus potestate et facultate laborandi ac laborari faciendi cum predictis duobus tellariis et privatus pronuntiari debeat per consules artis setarie. Non tamen possit aliquis texeranus, qui apotecam artis setarie, seu bancum in publico, non tenuerit, quovis casu, vendere aut aliter alienare de aliquo panno serico ad minutum, nisi a palmis viginti supra Qui quidem Illustris Dominus Gubernator et Magnificum Consilium, declarantes, statuerunt quod liceat et licitum sit consulibus artis seateriorum, pro observatione capitulorum predictorum, accedere ad domum quorumcumque textorum, et contrafaciones ipsas perquirere ac perquisitas et inventas condemnare in pena[ m] seu penas de quibus in dictis capitulis fit mentio, illis melioribus viis, modis et formis quibus ipsis consulibus videbitur et placuerit, tam in perquirendo quam in condemnando, a quorum tamen sententiis condemnationum, liceat appe-lare ad Spectabiles Dominos Patres Communis, pro quibus quidem appellationibus nihil solvi debeat pro cabella; et si reperiretur aliquis textor contrafecisse capitulis predictis in modo laborandi restet condemnatus et exclusus ita quod nullo unquam tempore possit per se vel per alios de suo proprio laborare dicta duo tellaria ut supra. Item teneantur et obligati sint consules artis textorum singulis annis, ad requisitionem consulum artis seateriorum, dare in scriptis dictis consulibus nomina quorumcumque textorum texentium de suo proprio cum suo iuramento et sub pena librarum vigintiquinque, exigenda a quolibet consule qui non dedisset inscriptis nomina ut supra, applicanda pro dimidia dicte arti seateriorum, et pro reliqua dimidia Dominis Patribus Communis. Item non possit aliquis textor qui ingressus fuisset artem seateriorum, dare ad laborandum patri ipsius, quam diu vixerit, vel fratri, si cum ipso fuerit in communione et frescha, ultra telaria duo superius memorata, ad penam florenorum decem pro qualibet vice et qualibet pecia, applicatam ut supra. — 277 - Item declarantes et decernentes quod in electione et creatione consulum et consiliariorum textorum non possint elligi et creari consules neque consiliarii laborantes de suo proprio neque durante tempore ipsius officii possint laborare de suo proprio. Statuentes preterea et decernentes quod seaterii teneantur et debeant textoribus pannorum septe solvere pro eorum mercede laborerii de textura pannorum septe ut infra: et primo pro velutis duplis, pro singulo brachio de parmis tribus ipsorum velutorum, soldos viginti ianuinorum; pro velutis simplicibus, pro singulo brachio de parmis tribus ipsorum velutorum, soldos decem et septem ianuinorum; pro velutatis, pro singulo brachio ipsorum avelutatorum de parmis tribus, libram unam, soldum unum et denarios tres ianuinorum; pro velutis altis et basis, pro singulo brachio ipsorum de parmis tribus, libras duas et soldos duos ianuinorum; pro camocatis largis pro singulo brachio de parmis tribus soldos duodecim cum dimidio ianuinorum; pro camocatis strictis, pro singulo brachio de parmis tribus, soldos duodecim cum dimidio ianuinorum; pro zentoninis ad rationem preciorum ultime conventionis inter partes predictas facte, cuiusvis portate sint dicti zentonini, scripte anno mcccclxxviiii, die xxn aprilis, manu egregii Bartholomei de Senarega, cancellarii, ad quam relatio habeatur, sub declarationibus tamen infrascriptis, videlicet quod possint dicti seaterii et unusquisque ipsorum, et eis liceat, infra solutionem mercedis textorum et cuiuslibet eorum, dare textoribus pro qualibet tella veluti et avelutati et etiam camocati, cuiusmodi sint, modo tella sit usque in brachia triginta, et sic recusare non possint ipsi textores, quin acceptent minas tres grani, de tellis vero que essent ultra brachia triginta infra solutionem eorum mercedis texture, ut supra, usque in minas quattuor grani, arbitrio seateriorum; pro qualibet vero tella zentuninorum, cuiusvis mensure sit, non possit nec debeat per seatenos dari textoribus, pro solutione et seu infra solutionem texture ipsorum, quicquam preter minam unam grani; restum vero de pecunia numerata solvere teneantur dicti seaterii, sub penis in ultima conventione predicta contentis. Et, ut fraudibus et maliciis, quantum fieri potest, occurratur, declarant quod, semper et quandocumque contigerit aliquid per seaterios scribi et annotari in libro vel manualibus textorum vel alicuius eorum, aliquid rerum predictarum dictis textoribus datarum pro solutione vel infra solutionem texture predicte, talis scriptura et partita fieri debeat per seaterios eo tunc cum talis pecunia vel granum dabitur, absque eo quod differatur aliquid temporis, talique scripture et partite annotari et conscribi debeat annus, dies et mensis vere et non ficte, et proprie et vere contineat partita huiusmodi rem per seaterium textori datam, ita si granum fuerit, granum scribatur, si pecunie, ita, ut in omnibus partitis veritas clare constet et appareat et ut nulla fraus vel fictum aliquod commissum inveniatur. Teneanturque seaterii, in receptione cuiuscumque telle per eos faciende a textoribus, cum tali textore reddente rationem facere de eo de quo dicto textori, pro textura talis telle que redditur, seaterius recipiens tellam debitor sit, et de eo de quo fuerit debitor se statim debitorem facere in manuali vel libro textoris. Que omnia predicta si ipsi seaterii non observaverint, cadant, quicumque ipsorum seateriorum contravenientes et in quavis prescriptorum parte contrafacientes, in penam florenorum decem, quotienscumque et quandocumque ab eis contrafactum fuerit, applicatalim] pro dimidia Dominis Patribus Communis, et pro reliqua dimidia - 278 - dicte arti textorum, in quam similiter penam totiens cecidisse intelligantur quicumque textores non acusantes huiusmodi seaterios et predictis contravenientes, aut m quavis prescriptorum parte aut articulo contrafacientes, applicatali m] pro dimidia dictis Dominis Patribus Communis et pro reliqua dimidia dicte arti seateriorum. Item declarant et statuunt quod non liceat, decetero, quovis modo, alicui seaterio seu xuvenibus ipsius, per rectum vel indirrectum, retinere vel percipere aut recipi, retineri et percipi facere vel permittere, in eorum appotecis sive voltis aut extra eas, tempore solemnitatis festorum Nativitatis Domini, aut etiam alio tempore, aliquam pecuniam pro denariis nucum, ut vulgo dici solet “ denarii da noxe ", sub penis antedictis, declaratis et applicatis ut supra. Item ubi superius dicitur in secundo capitulo quod incipit: “ Quicunque texeranus volens intrare artem setarie debeat per consules artis recipi et annotari in matricula dicte artis, et pro ingressu solvere teneatur, si fuerit civis, florenos septem ianuinorum etc. ”, moderantes dictam solutionem decernunt et concedunt et, tantummodo civibus, liceat solvere solummodo florenos quatuor pro ingressu dicte artis et, ubi, in fine dicti capituli scriptum est “ computari debeant illi floreni septem ”, dicatur et intelligatur “ computari debeant illi floreni quatuor ”, et hoc pro civibus tantum. Statuerunt in reliquis, salvo dicto capitulo, statuentes ac vigore presentium mandantes, Prestantibus Dominis Patribus Communis presentibus et iis qui pro tempore fuerint, ut singulis mensibus, intra et per totam primam ebdomadam sive septimanam cuiuscumque mensis, ponant, declarent et taxent precium granorum de quibus superius fit mentio, absque ulla exceptione, videlicet quantum valerent grana ad pecuniam numeratam et plus usque in solidos quinque, iuxta suas conscientias, imponentes consulibus ipsorum seateriorum presentibus et his qui pro tempore fuerint, ut singulis mensibus, intra et per totam primam septimanam cuiuslibet mensis, curent et cum effectu curare teneantur et debeant, quod dictum precium ipsis granis statuatur, ponatur et taxetur per ipsos Dominos Patres Communis, sub pena librarum vigintiquinque, applicata pro dimidia ipsis Dominis Patribus Communis, et ab eis exigenda quotienscumque ipsi consules seateriorum id facere et solicitare neglexissent aut omississent, et pro reliqua dimidia dicte arti textorum applicata. Item sancientes et ordinantes atque decernentes in quibusvis controversiis, litibus et causis sive querellis, que occasione preciorum et solutionum manifatura-rum et granorum ut supra nascerentur, vel nasci quoquo modo contingeret inter utramque artem, sive homines utriusque artis, ipsi Domini Patres Communis sint cognitores et derisores ipsarum controversiarum ac executores, sine remedio appellationis. Copia. Raphael Ponsonus, cancellarius ». Item statuunt et decernunt quod textores pannorum septe, qui de suo proprio laborabunt, seu laborari facient tellaria duo, sub modis et formis et in omnibus et per omnia prout continetur in dicto decreto condito anno de md, die ini decembris, de quo supra, teneantur et obligati sint reddere rationem a quibus et quolibet, quomodo habuerint septas de quibus laborabunt cum dicds tellariis duobus, deputatis seu agentibus pro arte seateriorum Ianue, semper et quandocumque fuerint requisiti, sub pena florenorum quatuor usque in decem, arbitrio dominorum con- — 279 — suium artis seateriorum, irremissibiliter auferenda a quocumque contrafaciente, et totiens quotiens fuerit contrafactum, applicata ex nunc pro dimidia dicte arti seateriorum et pro alia dimidia Dominis Patribus Communis. Et predicta presertim statuunt pro evitandis fraudibus. Quia hactenus videtur observatum quod famuli seu pueri qui stant ad discendum cum aliquo magistro textore pannorum septe ad dictam artem addiscendum, teneantur servire magistris eorum pro famulis in dicta arte usque ad annos novem, et pro laboratoribus pro annis duobus ultra dictos annos novem, et propterea statuunt et decernunt, iustis respectibus motti, quod pueri seu famuli, qui decetero se concordabunt pro dicta arte pannorum septe addiscenda, teneantur servire magistris eorum pro pueris seu famulis pro annis septem tantum, et pro laboratoribus anrns duobus. Item statuunt et decernunt quod consules et consiliarii artis textorum pannorum septe, qui sunt numero decem, videlicet consuli1 tres, consiliarii sex et massarius unus, fieri et creari debeant modo solito, excepto quod ubi antea fieri et creari non poterant consules qui de suo proprio laborarent, seu laborari facerent, decetero fiant et eligantur pro dimidia tam de illis qui fabricant de suo proprio quam non, et quoniam ipsi consules sunt tres numero, primo anno eligantur duo ex i is qui non fabricant de suo proprio et unus ex aliis, et sic successive, de anno in annum„ vicissitudinarie. In reliquis autem circa dictam electionem, servetur in omni us -t per omnia prout antea fieri et solitum est. Et quoniam solitum est ‘ textores laborantes de suo proprio deiïerre panna septe fabricata ad logiam seateriorum, ea revidendi gratia, et ad hoc ut inte igatur unde habuerint septas ex qua fabricaverint dicta panna, et sepissime expeditio ictorum textorum in longum producebatur, et ipsi pauperes textores frust[r]a tempora admittebant, volentes huic inconvenienti providere, statuerunt quod consules arüs seateriorum teneantur et obligati sint expedire statim dicti2 textores deferentes cta panna ad logiam, saltim intra diem unam et non ultra. In reliquis ad cautellam et quatenus expediat, approbant et confirmant omnia et singula decreta, privilegia et ordinamenta respicientia dictam artem seateriorum Ianue, et tam condita vigore dicti decreti conditi dicto anno de MD, die ini decembris, quam condita(s) per prefatos Magnificos Dominos Duodecim Reformatores, quam (per alia quecumque decreta condita in favorem dicte artis quovis tempore, que, salvis semper predictis, remaneant et sint et ponantur in viridi observantia ac observari debeant, nec illis intelligatur innovatum seu derrogatum. mdxxxiiii, die xxim martii. Extractum est prout supra ex actis publicis Cancellarie mei infrascripti cancellarii. Ambrosius Gentillis de Senarega, cancellarius. 1 consuli: così il manoscritto per consules 2 dicti: così il manoscritto per dictos - 280 - XXIII Divieto d’introdurre nella città tessuti serici non prodotti ENTRO I CONFINI TERRITORIALI DELLA REPUBBLICA 1535, 31 luglio Cod. A, cc. 243 r.-244 v. Illustrissimo Duci et Magnificis Viris Gubernatoribus Reipublice Genuensis, reverenter exponitur parte devotissimorum servitorum Vestrorum, in hac papiru quam exhibent descriptorum, quod hi, inter alios testores qui rei testorie incumbunt, operas suas prestant in conficiendis pannis sericis sine pilo, rasis ut aiunt, camocatis et eiusmodi, quorum maxima pars ab annis citra ad extremam inopiam pervenit, ob deffectum fabricationis, a qua omnes abstinent, propter magnam eorum pannorum copiam que ab exteris locis comportatur, presertim e Lucana civitate, qui, licet minus idonei sint et parum usu valeant, mm, quod oculum primo aspectu oblectent, sunt in paulo venustiores quam nostri, venundantur liberius. Accidit ?liud incommodum nostratibus, quod illi subtiliori et rariori filo contexti, minori po-sunt dari pretio quam valeant nostrates, densiori et pingui(n)ori filo compacti, et quamvis legibus precipue sit eorum usus pannorum prohibitus, tamen, nescio quo pacto, non est qui ad hoc ipsum incommodum animadvertat neque respiciat: soli sunt ipsi servitores Vestri, quibus cum maxime noceat eorum pannorum importatio, visum est optimum factu ut pro remedio ad conspectum Dominationum Vestrarum recurrant, proinde suplicant ut eedem Vestre Illustrissime Dominationes dignentur de remedio oportuno providere, pro utilitate et commodo servitorum Vestrorum ne, et huiusmodi pannorum fabricatione penitus civitas nostra privetur, et ipsi pauperes, qui ad id genus exercitii sese a prima etate dediderunt, vel civitatem cogantur deserere vel certe fame perire, et ut facturas Eas confidunt, qui se credunt atque etiam comendant. mdxxxv, die xxx prima iullii. Illustrissima Dominatio excelse Reipublice Ianuensis, lecta coram eis supplicatione suprascripta, ipsisque supplicantibus verbo auditis, multas rationes ultra contentas in supplicatione adducentes, unde per Dominationes Suas eorum supplicationi annueretur, considerata itaque peticione ipsorum, dignis moti respectibus, omni modo etc., sese ad calculos absolventes, sanxerunt et decreverunt fieri proclama infrascriptum illudque per publica civitatis loca solita publicari debere, cuius tenor sequitur et est talis: « Mdxxxv, die xxx prima iullii. Con ciò sia chè già longo tempo fa’ sia statuito per publici decreti et prohibito che non sia persona alcuna, tanto citadina quanto extranea, di qual si voglia grado e conditione, che possi condure o far condure in la presente cità e distreto, nè per mare nè per terra, panni di seta di qual si voglia sorte, forastieri e fabricati altrove che nella presente città, sì come in detti decreti si contiene, li quali considerando esser fati con bone ragione a utile de la città, per molti rispeti, e vedendo da giorni in qua abusorsi questo ordine e licentiosamente per ciascuno condursi o farsi condure de detti panni fabricati in diverse parte del mondo, contra la dispositione de detti decreti, e quelli vendersi senza rispeto alcuno, la qual cosa causa non solamente detrimento in genere a l’artificio de la seta, ma inspecie a li tessitori e manufatureri che - 281 - vivono di sue giornate nel detto exercitio, a le cabelle, e consequentemente a tuta la cita, peronde volendo la Illustrissima Signoria tor via questa abusione, et a questo disordine provedere, acciò li detti decreti restino in la sua debita observantia per beneficio universale, in virtù de la presente grida, si ordina, notifica e comanda che non sia alcuna persona, di qual si voglia grado e conditione, tanto citadina quanto forastie-ra che decetero nè per mare nè per terra osi, presumi, e possi condurre o far condure alcuna sorte di detti panni in alcuna quantità, quantumcumque minima, etiam per proprio uso loro, sotto le pene che in detti decreti si contengono, cioè di perder detti panni et esserli tolti senza alcuna remissione; le qual pene restino aplicate per la terza parte a l’Opera del molo, per l’altra terza a lo accusatore et per 1 ultima terza a 1 arte de la seta, e per coloro che ne havesino al presente in la cita e distreto si dà termine quindecim giorni nel quale ne possino usare e mandarli fora, el qual termine passato, restino nel grado de li altri detti di sopra, che se li serano trovati li possino esser tolti per perduti, senza remissione; de le qual cose la executione spetti a li consoli de la detta arte di seta. E perchè la observantia di detti decreti sia meglio exequita se ordina e statuise parimente che non sia alcuno sarto, nè maistro di veste o altro chi si voglia artefice, che posia o debia in l’avenire tagliare o frastagliare di detti panni come di sopra, tanto per causa di vesti come in qual si voglia altra guisa o modo che si posia dire o pensare, sotto pena di scuti cinque d’oro del sole, da esserli tolti per ogni volta che serano colti in fallo in haver contrafato al presente ordine e decreto, aplicata in tuto e per tuto come si è deto di sopra di quelli che con u cesseno di detti panni, dechiarando che restino exclusi da la presente prohibitione e deveto li infrascritti panni di seta, cioè rasi e damasci cremexi, tabili di ogni sorte e colore, et etiamdio de ogni color sendadi, e tafetà streti di levante, in dette parte di levante o sia oriente fabricati, ita che de le predete cose excluse come di sopra, sia libero et in facultà di ciascuno poterne condure per arbitrio senza pena alcuna ». mdxxxv, die quarta augusti. Andreas de Solario, cintracus et preco publicus, retulit se hodie proclamasse suprascriptum proclama, alta ed inteligibili voce, cum tubicinibus, in Bancis et aliis publicis locis civitatis Ianue, solitis et consuetis, ut moris est. .. _ „ Franciscus de Nigro Pasqua, cancellarius. XXIV Norme relative al cancelliere dell’arte della seta 1537, 21 febbraio Cod. C, cc. 353 v. - 355 v. mdxxxvii, die mercurii xxi februarii, in vesperis, in capella notariorum sita sub Palatio Archiepiscopali. Egregii domini Nicolaus Pinellùs Buzalinus et Nicolaus Pinellus Sepolina, consules artis seateriorum, et Iacobus [Slpinula Fransonus, Antonius Cibo De Octono, Thomas Cattaneus Bava, Stephanus de Franchis de Luciano, Antonius Salvaigus Calisanus, consiliarii ipsius artis, absente tantummodo Iacobo de Auria de Invrea, eorum collega, in presentia et cum consensu universitatis hominum ipsius artis, statuerunt et decreverunt, statuunt et decernunt quod notarius ipsius artis decetero eligatur et eligi debeat pro uno anno, et qui notarius eligendus ut supra intelligatur ellectus ille qui habuerit maiorem numerum calculorum alborum — 282 - quam alii notarii attendentes ad ipsam scribaniam, et in fine dicti anni ipse notarius approbetur et approbari debeat per consules et consiliarios et quattuor dominos protectores dicte artis antecedentes cum approbatio ipsa facienda erit. In approbatione seu confirmatione cuius notarii convenire debeant due tertie partes calculorum alborum ex numero calculorum viginti duorum prefatorum dominorum consulum et consiliariorum et consulum et consiliariorum antecendentium et prefatorum dominorum quatuor protectorum et eorum antecendentium, et casu quo non convenirent due tertie partes dictorum calculorum alborum in ipsa confirmatione, tunc notarius ipse intelligatur remotus ab ipsa scribania et tunc citari debeat ars seateriorum et procedi debeat ad electionem alterius notarii; qui quidem consules et omnes consiliarii antedicti, et dicti domini quatuor et eorum antecessores, finito dicto anno, intra dies quindecim tunc proxime sequentes, debeant ac teneantur deliberare circa dictam confirmationem vel approbationem faciendam aut non faciendam, et si approbatio et confirmatio ipsa, intra dies quindecim facta non fuerit a die finiti dicti anni, tunc dictus notarius intelligatur remotus a dicta scribania et tunc fiat nova electio alterius notarii per homines dicte artis, in omnibus ut supra. Item statuerunt et decreverunt quod quicunque fuerit ellectus ad ipsum officium notariatus, non possit nec valeat, quovis modo, per se vel per alium quemvis pro eo, facere, nec exercere, nec fieri facere, artem seaterie, nec aliquid exercitium pertinens ad ipsam artem, sub pena scutorum quinquaginta auri solis usque in centum. Item statuerunt quod dictus notarius stare debeat assidue dicte scribanie et ad logiam ipsius artis, et non possit alicui alio officio nec scribanie alicuius cuiusvis magistratus vacare nec attendere quovis modo. Item statuerunt ut supra quod dictus notarius teneatur et obligatus sit sine aliqua mercede assistere et comparere coram quovis magistratu Ianue pro quacunque re tangente ad dictam artem, tam requisitus a tunc dominis consulibus quam a quatuor dominis protectoribus dicte artis. Item statuerunt ut supra quod dictus notarius non possit nec valeat accipere nec habere a quavis persona pro . mercede sua omnium actorum fiendorum ad dictam scribaniam ultra quam statutum est per taxam seu metam noviter factam, sub pena privationis ab ipsa scribania et ultra restituendi duplum eius quod ultra taxam vel metam predictam fuisset per eum exactum. Item statuerunt ut. supra quod scripture, instrumenta et acta quecumque spectantia dicte arti seateriorum quandocumque notarius ellectus non fuisset confirmatus et approbatus in dicto officio vel ab eo amotus remaneret, remaneant et remanere debeant penes consules et consiliarios dicte artis, nec possit dictus notarius non confirmatus vel amotus aliqua ex ipsis actis in se retinere, vel recusare aut differre traddi-tionem facere dictis consulibus et consiliariis, in omnibus ut supra, sub pena scutorum vigintiquinque usque in quinquaginta auri solis. Item statuerunt et decreverunt quod si notarius elligendus ut supra non observaret ea omnia de quibus supra, eo casu sit in facultate dominomm consulum et consiliariorum ac dominorum quatuor protectorum et antecendentium dictorum dominorum consulum, consiliariorum et protectorum privandi dictum notarium a dicta scribania et eam conferendi, citata arte, alteri notario. Copia. Extractum est prout supra. Augustinus Lomellinus de Facio, notarius. - 283 - soldi » » » » » 1 1 2 1 2 2 2 10 6 2 2 denari 4 » 4 XXV Elenco dei compensi spettanti al notaio dell’arte per le varie prestazioni 1537, 21 febbraio Cod. C, cc. 352 v,-353 r. Pro qualibet petitione in libro petitionum Pro quolibet alio precepto Pro precepto in quo continetur quod constituat procuratorem Pro qualibet responsione oretenus Pro quolibet sequestro Pro qualibet licentia generali Pro qualibet depositione scripture Pro quocunque interrogatorio Pro quacunque positione Pro quacunque exhibitione Pro quocunque teste summarie examinato Pro quocunque teste examinato super titulis (pro quolibet titulo) Pro quacunque ponunciatione Pro quacunque sententia usque in libris 50 et ab inde infra Pro quacunque sententia usque in libris centum Pro quacunque sententia usque in libris quingentis (a libris ducentis usque in ducentis ad ratam) lire 1 Pro expeditione executionum usque in libris 100 Pro quocunque instrumento disexti-mando Pro quolibet instrumento tele Pro qualibet fideiussione Pro qualibet licentia de suspecto usque in quamvis summam, computata exhibitione libri et iuràmento Pro quolibet relaxo, computata fideiussione et coicione Pro examine cuiuslibet accusati pro setis coram consulibus et consiliariis ad logiam Pro quacumque examinatione in carceribus pro qualibet vice - 284 - ( Pro quacumque examinatione in carceribus ad tormentum pro qualibet vice soldi 8 Pro sententia contra accusatum » 10 (Innocentes nil solvere debeant sed solum satisfacere debeant illi qui fuerint iudicati culpabiles) Pro relaxo accusati cum fideiussione » 5 Pro signando processu quando aliquis se provocat et appellat ad Dominos Patres Communis » 8 Pro quolibet qui intrat in artem » 5 et pro iuvene » 1 Pro scribendo quando tinguntur sete in cremexili vel morello, pro qualibet vice » 2 Pro qualibet tela cremexili vel morelli » 1 Pro quolibet debito confesso » 2 Extractum est ut supra. Augustinus Lomellinus de Facio, notarius. XXVI Ordine del doge e dei governatori alle autorità locali delle riviere AFFINCHÈ AFFIANCHINO L’ARTE DELLA SETA NELLA SUA AZIONE RIVOLTA A CONCENTRARE I TESSITORI ENTRO LE MURA DELLA CITTÀ 1538, 20 gennaio A.S.G., Artium, fl. n. 161, doc. n. 346. Duce e Governatori della Repubblica di Genova, essendosi fatte già diverse ordinationi che tutti i tessitori di setta che sono e fano l'ufficio del tessere fori della città per tutto il dominio nostro, dovessino ridursi dentro fra quei tempi e sotto quelle pene che in dette ordinationi si contengono, nè vedendo riusir la essecutione secondo il desiderio e voler nostro, dove si può non meno colpare de li podestà, rettori e ufficiali che doveano esser più diligenti e prompti in negocio di tanta importansia come della disubedientia di essi tessitori, persiò non vogliando preseverare in questo errore ma si essequisca l’ordine nostro e si procedi contra delinquenti e debite pene in quelli statuite, in virtù di queste nostre di novo vogliamo e ordinemo a qualonche capitano, podestà, rettore, giusdicente e ufficiale come si voglia, che rasonni in la sua giurisditione farsi diligente inquisitione de tutti li tessitori che tesseno seta e a tutti quelli che ritroverà esser stati disubedienti e contra la forma de li ordeni nostri perseverar nel tessere, pigliarli per perduti le sete e i lavori che haverano in casa, delli quali ne verrà la parte ad essi podestà et ufficiali come di sopra che è nelli detti ordeni dechiarata, cioè la tersa parte, e così parimente pigliarli li tellari et altri artifisii da tessere e mandar li nomi loro perchè si possa procedere contra essi in altre pene, e quando alchuno avertito de questo nostro volere nascondeseno le sete, telle et altre cosse e non se li poteseno prendere, non trovandosi, in tal caso quel podestà debia mandare i nomi loro di detti disubedienti a la - 285 - logia e consoli de l’arte di seta, che sono del detto decreto esecutori, acciò si possi provedere al bisogno, ordinando a ciascuno dover fare registrare queste nostre lettere in la corte sua, acciò in virtù di esse si habbi sempre a procedere contra ciascuno che havessi falito o falera come di sopra, e perchè dalla detta logia e consoli per essecutioni di quanto si è deto, si manderano forsi ministri atomo e cavaleri, vogliamo e ordinemo a ciascuno di detti ufficiali che sempre promptissimamente a detti lor ministri et esequutori prestino ogni opera e giusto favore per fare il detto effetto per tutti modi e vie che serano necessarie et contra espedienti, volendo ad ogni modo che ogni tessitore si ridughi dentro dalla città e sia punito chi serà stato disubediente, cometendo a ciascuno delli sopra nominati l’osservantia di quanto si è deto, per quanto tengo cara la gratia vostra e sotto ogni altra grave pena in nostro arbitrio. In sede etc., da Genoa a dì xx di gienaro del mdxxxviii. XXVII Inquadramento nella normativa esistente di un nuovo colorante: la « COCONIGLIA D’INDIA » (o COCCINIGLIA DEL MESSICO) 1550, 15 marzo Cod. B, cc. 1 r. - 3 v. Li Consoli e Consiglieri de l’arte di seta habiando noticia di una ordinatione e deliberatione fatta per li predecessori di essi consoli e consiglieri e per li consoli e consiglieri de l’arte1 de’ tintori di sete l’anno de mdxxxxiii, die XI iunii, per la quale de accordio si deliberò non potersi tingere alcuna quantità di seta de una mistura o vero compositione quale si chiama cremeyze d’india, sotto le pene che si conteneno in la detta ordinatione, e considerando che da quel tempo in qua in Genoa non si è mai tinto alcuna quantità di seta di detta mistura quale al presente si chiama coconiglia, e che a Venetia, Millano, Fiorenza e Lucca, circonvicini nostri, e in tutta Ittalia, e fuora de Ittalia, si è tinto e tingesi di detta mistura, del che nostri circonvicini ne hanno preso e prendono grande utilità e beneficio, fabricando di dette sete tinte di detta coconiglia veluti, panni di razo e tafetali, quali colori hanno buona requesta in Ponente, massime in Anversa, talché li mercadanti fransosi et alemani per haver veluti e panni di seta del detto colore, sapendo che in Genoa non sono de detti colori, perciò hanno ricorso a Lucca et in altri luoghi, dove si tinge del detto colore, e accatando veluti e panni di detto colore comprano ancora panni di seta de altri colori, sì che di ciò ne procede gran danno a detta arte di seta di Genoa, e sussequentemente alla nostra Republica; per onde detti consoli e conseglio per beneficio publico hanno scortinato tra li huomini di detta arte per doi scortini, e. poi ultimamenti fattosi sopra ciò consiglio generale tra tutti li huomini di detta arte se è il bene di detta arte, come in effetto è, e consequen-tementi della nostra Republica, per l’avenire poter tingere di detta coconiglia sete, fattoni e coste, e di quelle poterne far tessere veluti, camocati, zetunili, tafetali 1 ripetuto due volte. - 286 - e dimiti, li quali considerando la grande utilità ne seguiria alla detta arte e successive alla Repubblica, hanno ordinato che di qui inanti si possi tingere di detta coconiglia sete, fattoni e coste per far tessere veluti, zetunili, tafetali, dimiti e peli da merce sotto niente di manco le distintioni e custodie infrascritte, acciò si possi detto colore decernere e cognoscere dallo vero e puro cremexi e morello cremexi, e da lo vermiglio di grana e da lo morello di grana. La prima destintione è che detto colore di qui inanti si debba nominar vermiglio di coconiglia d’india e morello de coconiglia d’india, e non nominarlo in modo alcuno cremexile, sotto pena di perder detti veluti, camocati, zetunili e tafetali e più de scuti diece sino in cento, in arbitrio de’ consoli e consiglieri. Item che li veluti li quali si faranno del detto colore, le cimocie di quelli ■si debiano fare di seta verde con una fila di oro dopia in una magia per ogni cimo-cia, acciò si possino cognoscere dalli vermigli e morelli cremexi, sotto pena de scuti diece sino in cento, in arbitrio de’ detti consoli e conseglio. Item che le cimocie che si tesseranno in li zentunili, camocati e tafetali del detto colore di coconiglia si debbano fare tutti verdi sotto la pena antedetta. Item perchè aili camocati, zentunili e tafetali tinti di vermiglio cremexile si facevano con le cimocie verde, e per ciò hanno ordinato che per lo avenire si debbia fare dette cimocie gialne corno si fanno aili veluti di puro cremexi, sotto la pena antedetta. Item che de qui innanti quelli che venderanno seta o vero fattone di detto colore di coconiglia, la debbano vendere per detto colore di coconiglia, sotto la pena antedetta. Item che se alcuno tintore o seatero tingerà o farà tingere alcuna quantità di seta di vermiglio cremexi o morello cremexi o vermiglio di grana o morello di grana in la quale fussi miscolato alcuna quantità di detta coconiglia, quantonque minima, cada in pena de scuti diece sino in cento in arbitrio de’ detti consoli e conseglio. Item parimenti se alcuna persona mescolasse o vero facessi mescolare in la fabrica di alcuno veluto, zentunile, camocato o vero tafetale tinti de vermiglio cremexile, morello cremexile o vero vermiglio di grana e morello di grana, alcuna quantità di seta tinta de detta coconiglia, cada in pena de scuti diece sino in cento in arbitrio de’ detti consoli e conseglio. Item che de qui inanti quelli che saranno deputati alla custodia di veder tingere dette sete in vermiglio cremexi e morello cremexi gli debbino andar lor proprii in persona o vero lo suo primo giovine quale sii idoneo personalmenti acciò non se li possi commettere alcuna fraude, e parimenti li veluti che si tesseranno de’ detti colori in Genoa si debbiano bollare del bollo della logia sopra lo telaro in principio del veluto, quando ne saranno tessuti parmi diece, e similmente subito che saranno finiti di tessere si debbano far bollare alla fine del veluto, dichiarando che li veluti quali saranno stati tessuti fora di Genova li debbano far bollare infra otto giorni, quali comincieranno dal giorno ch’il seatero havrà riceputo detti veluti, in li quali veluti gli seateri gli debbano far lassare li suoi beriini, sotto la pena quale si contiene in uno decretto fatto l’anno de mdxviiii, die xxvii maii. Item che - quelli che vorranno di qui inanti far tingere alcuna quantità di sete di vermiglio di grana, morello di grana, o vero vermiglio di coconiglia, li debiano - 287 - far scrivere in li atti del notaro di detta arte la quantità di seta quale vorranno far tingere, e questo si fa acciò non possi esser messo in detta tintura o vero tintore alcuna quantità di brazile o altra cosa, li debba intervenire uno di detti o consiglieri o de’ quattro protettori di detta arte a sorte, quali saranno insachetati e quello il quale a sorte intervenirà a detta tintura debba haver un soldo per libra di seta cotta, quali si debbano pagare per lo seatero che farà ungere le sete sotto la detta pena, e li quali colori debiano essere equali al colore de’ sazio che si farà in la logia di detta arte. E tutte le dette pene dette di sopra s’intendino essere applicate per la terza parte alli Signori Padri del Commune, per un’altra terza parte alla detta arte di seta e per l’ultima terza parte all’accusatore, quale sarà tenuto secretto, li quali consoli e conseglio, chi sono o per lo tempo da venire saranno, siano giudici et essecutori di dette condanne, senza remedio d’alcuna appellatione. E queste cose s’intendino esser fatte senza preiudicio de capituli, decretti e privilegii concessi a detta arte di seta, quali restino in tutto e per tutto nella loro osservantia, e di questo sopplicano detti consoli e conseglio con la debita sempre riverentia l’illustrissima Signoria che ne vogliano fare uno publico decretto, perpetuis temporibus duraturo, per evidente utilità publica e di detta arte. mdl, die xv martii. Illustrissimus Dominus Dux et Magnifici Domini Gubernatores excelse Reipublice Genuensis, intellecto tenore supplicationis suprascripte, porrecte per consules et consiliarios artis seateriorum civitatis Ianue, et diu satis superque satis examinata petitione dictorum consulum et consiliariorum, et super requisitione eorundem sumptis informationibus et de articulo in articulum examinata sententia eorundem, sequentes commemorationes et petitiones ipsorum, ad calculos, omni iure, via, forma et modo quibus melius potuerunt et possunt, sub conditionibus, scisis, vinculis, cautionibus, diligentiis et cautellis superius in eadem ipsa supplicatione et capitulis requisitis, concesserunt, decreverunt, concedunt de-cernuntque in sententiam supplicationis suprascripte et omnium articulorum in eadem ipsa supplicatione contentorum et descriptorum, et in omnibus e per omnia prout in ea continetur et petitur, non obstantibus quibuscumque legibus et capitulis, prohibitionibus ac decretis in contrarium facientibus, quibus quattenus in aliquo predictis obstarent, voluerunt esse specialiter abrogatum. XXVIII I CONSOLI DELL’ARTE DEI TINTORI DI SETA VENGONO AFFIANCATI AI CONSOLI E CONSIGLIERI DEI SETAIOLI NEL GIUDIZIO DELLE CONTROVERSIE RELATIVE AI TESSUTI TINTI CON LA COCCINIGLIA DEL MESSICO 1551, 9 settembre Cod. B, cc. 3 v. - 5 r. Illustrissimo Signor Duce e Magnifici Signori Governatori, l’anno passato del mdl, a xv di marzo, per la Signoria Illustrissima è stato ordinato per publico decretto a supplication de i consoli e consiglieri dell’arte di seta, per degni rispetti - 288 - dichiarati in essa supplica, che si possino tingere di coconiglia d’india sete, fattoni C. C°Ste pCr far tesere veluti, zentunili, tafetali, dimiti e pili da merce, soto diverse distintioni descritte in detta supplica, per le quali si prohibisce che in detta tintura di coconiglia non si debba mescolare altre mistura, e parimente di detta coconiglia nel tinger sete in puro cremesi e morello cremesi, vermiglio di grana e morello di grana non si debba mescolare alcuna quantità quantunque minima, sotto pena de scuti diece sino in cento, in arbitrio delli prefati consoli e conseglio, applicata per la terza parte aili signori Padri de’ Commune, per un’altra terza parte alla detta arte, per 1 ultima terza parte all’accusatore, con ordine che li prefati consoli e consiglio sempre siano giudici et essecutori di dette condanne, senza rimedio di appellatione, corno più largamente consta nella detta supplica e decretto. Considerando adonque li prefati consoli e conseglio esser dificultà in cognoscere e decidere le misture e fraudi che si potriano fare in dette tinture, ricorreno dalla prefata Signoria Illustrissima, supplicandola sii contenta ordinare per l’avenire che in compagnia delli prefati consoli della arte della seta e lor consiglio, li consoli di detta arte de tintori, soli, senza intervento de’ lor consiglieri, siino giudici et essecutori contra li delinquenti in quel si contiene di sopra, tanto nel dichiarare le fraudi, quanto nelle condanne et essecutioni peccuniarie, e sì come delle condanne si deveno far tre parte, applicate come di sopra, se ne faccino quattro, applicandone una quarta parte all arte de tintori, le quali sete che si tingeranno de detta coconiglia, debbano essere della qualita e stare a paro con li sazi ordinati alla logia per li consoli dell’arte di seta e consoli de tintori, sotto la pena, in caso di contrafatione, arbitraria a i consoli e consiglieri dell’arte della seta e consoli dell’arte de’ tintori. E perchè ne i decretti et ordini concessi all’arte de’ tintori è ordinato che li tintori delli quattro colori cremesili fini dichiarati di sopra, poi di haverli tinti prima di restituirli, siano ubligati a mostrarli aili consoli de’ tintori sotto pena di lire venticinque, si supplica anche il medesimo si degnino ordinare nel tinger della detta coconiglia, sotto li medesimi modi, forme e pene descritte in li detti ordini e decretti, applicata una mettà aili Signori Padri di Commune e per l’altra mettà alla detta arte de’ tintori, quali siano giudici et essecutori sopra ciò, e quanto di sopra si ricerca senza preiudicio delPaltri ordini e decretti concessi respettivamente a dette arti quali restano in suo vigore e fermezza. mdl primo, die vini septembris. Illustrissimus Dominus Dux et Magnifici Domini Gubernatores excelse Reipublice Genuensis, lecta coram eis supplicatione suprascripta et tenore ipsius bene intelecto et considerato, indeque audito Francisco Centurione de Illice, altero e consulibus dicte artis sete, et consulibus tintorum, eadem petentibus que in supplicatione, ad publicam utilitatem et honorem dictarum artium, cum omnium intersit quod tinture sint pure et fideles non minum ac fabrice, examinata itaque re omni meliori modo etc., considerantes cedere ad omnium utilitatem et publicum honorem ut artes sint legales, pureque ac fideliter conficiantur in quocumque genere et inter cetera fabrica ipsarum setarum, videntes provisionem in suprascripta supplicatione narratam cedere ad obviandas fraudes que committi possunt, presertim in dictis tinturis, se se ad calculos absolvendo, sanxerunt et decreverunt in sententiam dicte supplicationis et in omnibus et per omnia prout in ea petitum fuit, facientibus in contrarium quibusvis non obstantibus. - 289 - 19 XXIX Divieto ai setaioli di pagare in natura la retribuzione ai tessitori 1558, 9 settembre Cod. A, cc. 251 v.-254 v. Illustrissimi Domini Observantissimi, reverenter exponitur, pro parte nobilis Baptiste Cattanei Petre et Stephani Spinule Franzoni, consulum artis seateriorum, sicut ipsi consules scientes et cognoscentes, quod etiam omnibus notum est, quante importantie et uttilitatis ac honoris sit ars sette toti civitati, sepe et diu cogitarunt quonam modo posset, attenta temporum conditione et penuria, textoribus dicte artis ac aliis manifatureriis eiusdem subvenire, et aliquod lenamen et beneficium causare, et tandem ex Dei benignitate et gratia invenerunt, ex solutionibus mercedum, que, ut plurimum, fiunt per seaterios ipsis textoribus et nianifattureriis in frumentis, settis, pannis, tellis, et aliis huiusmodi, causari maximum damnum et interesse ipsis textoribus et manifatureriis, quod, si super hoc de aliquo remedio provideretur, ne solutiones ipse fierent de predictis vel similibus rebus, sed solum in peccunia numerata, sequeretur magnum ipsis textoribus et manifatureriis beneficium, et tale et tantum quod possent se in eorum exercitio manutenere; unde vocari fecerunt consiliarios ac quam plurimos seaterios ex principalibus, quibus de predictis noticiam fecerunt, et fere omnes convocati hoc laudarunt et eiusdem opinionis fuerunt. Iccirco humiliter supplicatur parte qua supra Illustrissimis Dominationibus Vestris quatenus, attentis predictis, et pro bono et uttilitate ipsorum textorum et aliorum manifatureriorum, dignentur providere et decernere per eorum decretum quod aliquis seaterius et dictam artem exercens non possit nec debeat aliquam solutionem facere, alicui textori nec alii manifatturerio dicte artis, pro mercede sua, in frumento, setta, panno, tella, nec in alia re, sed solum debeat talem solutionem facere in peccunia numerata, sub pena scutorum decem ipso facto incurrenda per contrafacientem, tociens quotiens fuerit contrafactum, amplicanda pro tercia parte Dominis Patribus Communis et pro alia tercia parte dicte arti, et pro reliqua tercia sindicis eiusdem, curam habentibus inquirendi contrafactores, prout sperant prefatas Illustrissimas Dominationes Vestras esse facturas, quibus se devote commendant. MDLViii, die vim septembris. Illustrissimus et Excellentissimus Dominus Dux et Magnifici Domini Gubernatores excelse Reipublice Genuensis, lecta coram eis supplicatione de qua supra et eius tenore intelecto, auditisque nobilibus Baptista Cattaneo Petra et Stephano Spinula Franzono, consulibus artis seateriorum, orete-nus requirentibus ea que in dicta supplicatione descripta sunt, examinato negocio, se se ad calculos absolventes, decreverunt et presentis virtute decernunt ac statuunt, quod in futurum non possit aliquis seaterius sive artem seaterii exercens, in solutionibus que fiunt quibusvis manifactureriis dicte artis, solutionem facere sive in so-luptum dare, pro aliqua manifactura, frumentum, sericum, pannum, tellam, nec aliam quamvis rem, sed teneantur et debeant quamcumque solutionem manifacturarum facere in peccunia numerata, sub pena scutorum decem, incurrenda per quemvis con- - 290 — trafacientem toties quoties contrafactum fuerit, aplicanda pro tercia parte Magnificis Dominis Patribus Communis, pro alia tercia parte dicte arti seateriorum, et pro reliqua tercia parte sindicis eiusdem artis, curam habentibus indagandi contra-factores, et in omnibus ut in supplicatione suprascripta requisitum estitit, in cuius sententiam decreverunt et decernunt, nihil obstante in contrarium. Havendo nuovamente proposto alla Illustrissima Signoria li signori consoli de 1 arte de la seta, come, considerando loro e tuttavia invigilando di ritrovare qualche forma di pottere suvenire e far beneficio alli testori e manifaturieri di detta arte, a ciò che si possino in lo loro exercitio mantenere in questi tempi penuriosi, e che la detta arte di tanta importanza per l’honore et utile alla Repubblica nostra non venghi meno, et discorrendo essi consoli insieme con li loro consiglieri il gran danno che viene datto a detti testori e manifaturieri, per la forma de i pagamenti delle loro mercedi, che li son fatti da seateri in grani, seta, panni di lana, tela et altre ro e, con loro gravissimo interesse, per ciò essere bene che per la prefata Signoria Illustrissima sia provisto che detti pagamenti di testori et manifaturieri non si possino fare in alcuna qualità di roba nè altra cosa et solo si faccino tai pagamenti in danari contanti et numerati, in quale oppenione sono concorsi tutti li seateri principali, o la magior parte di essi, domandati, e perciò essi Signori consoli hanno supplicato la prefata Illustrissima Signoria che si degni aprovare et confirmare tale ordine e provisione, e per publico decreto prohibire, che detti pagamenti di mercede a detti testori e manifaturieri non si possino fare, per li seateri o altri che exerciteranno 1 arte della setta, se non in danari contanti, come si dice, et, a ciò che tal prohibitione e divieto sii intieramente osservato, statuire che, i contrafaciente in fare pagamenti contra la forma di sopra, incorrino in pena de scuti dieci subito che haranno contrafatto, et tante volte quante contraveniranno, qual pena resti applicata per una terza parte alli Magnifici Signori Padri del Commune, per l’altra terza parte alla detta arte di setta, et per la restante terza parte alli sindici de la medesma arte, che hanno cura di ricercare e investigare i contrafacienti. Quale tutte cose essendo state dalla prefata Signoria Illustrissima considerate et dilligentemente essaminate come buone, honeste et uttdli, per publico decreto le ha confirmate et aprovate, la onde per parte della prefata Signoria Illustrissima si ordina et espressamente comanda a tutti li seateri, et altri che exercitano hora et in l’avenire detta arte di setta, che debbano intieramente osservare detta prohibitione et divieti, sì et tal-menti che i pagamenti delle mercedi de testori e manifatureri non li faccino nè li possino fare se non in danari numerati et contanti, sotto le pene di sopra di scuti dieci per ogni volta, et tante volte quante contraveniranno, applicate alli Magnifici Signori Padri del Commune, all arte della setta et alli sindaci di detta arte per terzo, come di sopra si narra, alla essecutione di quale vogliano che rigorosamente si proceda per detti consoli, con ampia autorità et balia. Dal nostro Duccal Pallazzo, il dì xxvi di settembre del mdlviii. mdlviii, die xxvm septembris. Publicatum fuit suprascriptum proclama per me Ioannem Baptistam Solarium, cintracum Communis Genue, sono tube, per civitatem in pluribus locis, alta et intelligibili voce, ut moris est. Laurentinus de Vivaldis de Asalto, cancellarius. — 291 - xxx Decreto contro gli artigiani colpevoli di furto di seta col quale ladri e ricettatori sono accomunati nella responsabilità 1558, 20 novembre Cod. A, cc. 255 r. - 256 v. Illustrissimo et Eccellentissimo Signor Duce et Magnifici Signori Governatori, se supplica a Vostre Illustrissime Signorie, humilmente per parte delli conso i de l’arte della seta di Genoa, et essi in nomine de tutta la detta arte, essendo molto in grosso arobati, di maniera che è grandissimo detrimento de tutta la sudetta arte, e molti seateri per le rubarie grandi desmettonno, in grandissimo danno della città, et considerando qualche remedio a questi tanti latrocinii, non se ne li è saputo trovare altro migliore espediente che supplicare alle sudette Illustrissime Vestre vogliano per uttile e comodo di detta arte essere contente che si possa punire di pena cor potale così chi compra sete arubate, come coloro che le vendano, attento che, se non si ritrovassi compratori non se troveria venditori, nella forma che nel nostro e-creto de’ latrocinii se contiene; e più attento il gran bisogno che habbiamo de essecutori, se supplica parimente a Vostre Illustrissime se vogliano contentare possiamo a nostre spese havere un cavaliero con uno o doi sbirri, le quali prendino li malfattori che fanno ogni giorno maggiori danni alla detta arte, e di tutto questo ne resulterà danno a detti ladri e quieta alla città. MDLVIII, die xx decembris. Illustrissimus et Excellentissimus Dominus Dux et Magnifici Domini Gubernatores excelse Reipublice Genuensis, lecta coram Illustrissimis Dominationibus Suis supplicatione suprascripta, et toto ipsius tenore plene intellecto, verboque ex inde auditis nobilibus Ioanne Cigala Vuada et Ioanne Andrea Cibomurro, consulibus dicte artis, ea fieri et decerni instantissime requirentibus que in supplicatione ipsa continentur, et multa adducentibus ad confirmationem rei proposite, examinata igitur re ipsa, et satis perpenso negocio, cognoscentes etiam vera esse ea que per ipsos supplicantes narrantur, et dignum fore ut de opportuno remedio provideatur etiam pro bono publico, contra emptores ipsos qui, cupiditate ducti, vili precio emunt septas predictas; ideo ad calculos se absolventes, omni iure etc., decreverunt et decernunt ut deinceps quilibet emptor septarum furatarum et seu qui septas ipsas furatas traditas alicui ad manifaturandum, aut creditas vel traditas causa manifa-turandi, emet vel emi faciet, etiam in pluribus vicibus, et reperietur septam ipsam, ut supra furatam et venditam ac emptam, ascendere ad valutam librarum quindecim monete Ianue, tali casu emptor ipse cadat et cecidisse intelligatur in penam corporalem, usque ad ultimum supplicium inclusive, in omnibus prout provisum est contra vendentes septas ut supra furatas, iuxta formam regularum et capitulorum dicte artis seateriorum. Insuper annuentes etiam supplicationi predicte, in illa scilicet parte ellectionis cavalerii, consenserunt et consentiunt quod consules et consiliarii, seu habentes curam et regimen artis predicte seateriorum, possint et valeant per se elli-gere unum cavalerium quem maluerint, qui tantummodo valeat exequi et exe-cutiones criminales dicte arti spectantes facere. Non tamen liceat dicto cavalerio - 292 - eligendo aliquas alias executiones facere, nec in eis quovis modo se intromittere, et tamen cavalerius ipse subiaceat et stare teneatur sindicatui Ilustrissimi et Magnificorum Suppremorum Sindicatorum, et sic prout supra decreverunt et decernunt, quibusvis in contrarium facientibus non obstantibus. Considerando l’illustrissimo et Eccellentissimo Signor Duce et molto Magni-fra Signori Governatori dell’excellentissima Repubblica nostra, di quanta importanza sia alla citata Repubblica il mantenimento de lo exercitio et arte di seta, per mezo della quale vive et si mantiene un tanto numero di persone, et vedendosi all’incontro tuttavia crescere gl’inganni et fraude, a preiudicio di detta arte, et fra gl’altri il vendere et alienare le sete rubate e date et credute a manifaturieri, quali, tirati da malicia et ancho da necesità, le vendeno a compratori, quali, tirati dalla cupidità, anchor che possino conoscere che sieno sete fraudate et rubate, non mancano di comprarle, purché le habbino a prezzi vili et bassi, delitto certo importantissimo et degno^ quasi di maiore punitione et castigo di quello in quale incorreno i venditori, poiché luno è tirato da la necessità e l’altro da la pura avaritia, hora, volendo li prefati Illustrissimo et Magnifici, a richiesta de i consoli et agenti de l’arte di seta, a questo inconveniente provedere et estirpare questi tali compratori, quali quando manchino, mancheranno anco i venditori, pertanto per parte de lor Signorie Illustrissime si fà a sapere per publica noticia, come tutti coloro, e sii chi si vogli, quali in 1 avenire comprerano o vero faranno comprare sete rubate, o vero sete date e credute a qual si vogli manifaturiero, così homo come donna, per causa di mani-faturare, anchor che le comprasi in una o più volte, et si ritrovasi detta seta rubata, venduta et comprata come di sopra, essere di valore di quindeci libre moneta di Genoa, in tal caso il compratore caschi et s’intenda essere incorso in la pena et castigo corporale per insino alla morte et ultimo supplicio inclusive in tutto et per tutto come resta provisto contro i venditori di dette sete rubate, credute et date a manifaturare, secondo la forma dei capituli et regule di detta arte de’ seateri, a quale s’habbi relatione, et in tal sentenza hanno Lor Signorie Illustrissime statuito et decretato per bene et uttile publico, come ne consta il decreto hoggi ricevuto per il canceliero infrascritto, nè sia alcuno che ne possi pretendere ignoranza. MDLViiii, die mi ianuarii. Publicatum fuit suprascriptum proclama per me Franciscum Cotium, cintracum publicum Communis Ianue, alta et intelligibili voce, sono tube, in Bancis, ad Magdalenam, ad plateam Carminis, Fosateli, portam Vaca rum, Sancte Brigide; item die v dicti, ad plateam Moduli, ad Colam, ad Marinam Sarzani, portam Sancti Andree, Pùnticeli et Porte Aurie, sive Olivele, in omnibus et per omnia prout in suprascripto proclamate continetur. Laurentinus de Vivaldis de Asalto, cancellarius. — 293 — XXXI Richiesta al Senato da parte dei consoli dell’arte di poter trattare direttamente col re di Francia per ottenere una diminuzione dei dazi DI importazione cui sono sottoposti I velluti genovesi 1560 A.S.G., Senato, Atti, fl. n. 1319. Illustrissimo e molto Magnifici Signori Osservantissimi, I consoli e conseglieri dell’Arte della seta espongono reverentemente a Vostre Signorie Illustrissime sì come le guerre passate hanno, fra gl altri danni, causato alla città e in particolare a detta arte uno grandissimo, perchè il Re di Francia Christianissimo bandì dal suo Regno tutti li veluti genovesi, poi, sotto pretesto di guerra, vi aggionse alle gabelle ordinarie e altre gravezze che erano sopra detti veluti genovesi nel condurli in Lione, un’altra gravezza grossissima di doi scudi d’oro per pezza, la quale in sino a qui è perseverata e persevera, hora che nostro Signor Dio ha mandato questa santa pace universale e che si può sperare buona refformatione delle cose che nei tempi calamitosi estraordinariamente sono state inventate, è parso a consoli e conseglieri e a detta arte non perdere questa occa sione, sperando anche di godere in questa parte del beneficio d essa pace, e cer care d’ottenere la annullatione del detto bando e remissione e liberatione della detta imposta de doi scudi per pezza, come col favore di Vostre Signorie Illustrissime con qualche buon mezzo sperano; ma perchè gnintomo a questo negotio sì cor^e in tutti gli altri accadde, bisognerà spendere in molti modi e di varie qualitati 1 spese, supplicano le Signorie Vostre Illustrissime che si degnino restare servite che i consoli e conseglieri possino procurare detta annullatione e revocatione 1 detto bando e imposta con sue dependentie et remedio sopra dette cose in tutti quei modi e per tutti quei mezzi che li parranno migliori, e concedere loro facoltà e balia di pottere ritrarre ed resinborsarsi sopra essi veluti istessi i quali si man deranno in detto Regno di Francia o qui in Genova o vero nella città di Lione tutto quello che haranno esposto e che haran speso intorno alle cose predette, la qua cosa oltre che serà d’honore alla Repubblica che non habbi simili gravezze, non l’havendo alcuna altra nazione, tornerà anche a grandissimo beneficio universale, sappendo ognuno quanto questa arte sia utile alla città et tutto ’l dominio, oltre che sperano che non si habbi a esporvi tanto che in un anno o puoco più non si ritraghi nel modo suddetto, e alla buona gratia di Vostre Signore Illustrissime humilmente si raccomandono che nostro Signor Iddio etc.. XXXII Concessione di statuti all’arte dei filatori di seta 1598, 23 settembre Cod. C, cc. 207 r.-213 r. Serenissimo et Eccellentissimi Signori, Francesco Borsotto e Battista Carbone e compagni, a loro nome e come procuratori delli maestri filatori di seta in la presente città, come appare dall’instru- — 294 — mento che si presenta, humilmente espongono a Vostre Signorie Serenissime qualmente gl anni passati dellegorno alli Prestantissimi Signori Padri del Commune la loro supplica che Le presentorno, et in tutto e per tutto corno appare dal decreto di ^ Vostre Signorie Serenissime che si produce, e perchè detta caosa non fu mai all hora sollecitata nè espedita, desiderando li supplicanti di terminarla, supplicano humilmente Vostre Signorie Serenissime a voler a caotella rinovar detto decreto e committer di nuovo detta caosa a detti Signori Padri del Commune, in tutto corno in detto decreto si contiene, il che riceveranno per somma gratia da Vostre Signorie Serenissime alle quali humilmente si raccomandano. Copia. Manfredo Ravaschiero. mdlxxxxv, die decima novembris. Serenissimus Dominus Dux et Eccellentissimi Domini Gubernatores Serenissime Reipublice Genuensis, lecta coram Serenissimis Dominationibus Suis prescripta supplicatione per dictos Franciscum et Baptistam dictis nominibus supplicantes presentata, eiusque tenore plene intellecto, ac negotio considerato, et ad calculos deducto, omni modo etc., dicte supplicationi annuentes, decretum in ea memoratum per Serenissimum Senatum conditum anno mdlxxii die xxx octobris renovantes, supplicationem tunc temporis presentatam et sub qua ecretum predictum registratum extitit, commisserunt iterum et committunt Prestan-tissimis Patribus Communis, qui supplicata videant et considerent, et premissis solitis et ebitis diligentiis Serenissimis Dominationibus Suis in scriptis exinde refferant quid super supplicatione predicta providendum censeant, non obstantibus contrariis qui usvis et ad cautellam non obstante etiam quod citati non fuerint si qui forte citari debuissent. mdlxxxxv in, die vim septembris, in vesperis. Multum Magnifici et Prestantissimi Domini Patres Communis, in pleno numero congregati, visa supplicatione suprascripta dictorum Francisci Borsoti et Baptiste Carboni, filatorum sete, ac decreto commissionis ipsorum Dominorum Patrum Communis sub ea obtento coram ipsis restantissimis Dominis Patribus Communis per dictos Franciscum et Baptistam, suis et nominibus aliorum filatorum sete presentato, visis oppositionibus factis per imonem Costam, sindicum Artis Serici, ac decretis et scripturis hinc inde exhibitis et presentatis, et auditis pluries ante nunc dictis filatoribus et pro eis dicente Mi-chaele Castellatio, causidico, in contradictorio cum dicto Simone Costa, sindico, ac omnio Ioanne Augustino Morinello, notario, scriba dicte Artis Serici, etiamque auditis eorum respective dominis advocatis, et quicquid dicere, deducere, opponere et allegare verbo et scriptis voluerunt plene intellecto, visisque et consideratis capitulis per dictos filatores presentatis, eisque ut infra reformatis, in quibus tantummodo datur norma et regula inter ipsos filatores nihilque in eis tractatur quod preiudicet seateriis, qui ab eis remanent exclusi, tendantque ad conservandam quietem inter ipsos filatores, qui in effectu sunt numerosi, etiamque ad beneficium publicum, ut ex eorum tenore videre est, et cognoscentes nullum fore inconveniens dictos filatores habere suas regulas distinctas, quibus vivere possint ad instar tinctorum sete et aliorum tractantium in mercibus sericis, ideo negotio satis superque discusso et examinato et ad calculos, ut mos est, deducto, omnes unanimes fuere sententie — 295 — et oppinionis ut, non obstantibus oppositis per dictos sindicum et scribam dicte Artis Serici, capitula ipsa que in sequentibus decem septem capitulis a Dominationibus Suis reformata fuere, dictis filatoribus concedantur concedique possint, cu® e-claratione tamen quod concessio ipsa sit et facta intelligatur citra preiu ltium iurisdictionis consulum dicte Artis Serici, censentes hoc pacto utrique ictorum filatorum et seateriorum satisfactum iri, sicque tam pro regimine et conservatione dicte artis filatorum quam pro bono publico statuendum fore existimant, et ita his scriptis refferunt Serenissimo Senatui, eius benigna correctione semper sa va. Copia. Ioannes Vincentius Godanus, notarius et cancellarius. Capitoli delPArte de’ filatori di seta Primieramente si doverà fare una matricula di tutti quelli che al presente sono membri di dett’arte, e sempre che occorrerà far qualche deliberatione per co^e con cernenti a dett’arte, e cossi per Pelettione de’ consoli e consiglieri, tutti i maestri di dett’arte debbano essere chiamati e quando saranno congregati li due terzi più s’intenderà esser numero legitimo. Che in principio d’ogn’anno si debba fare ellettione di doi consoli e sei con siglieri dall’università di detta arte congregata nel numero sopradetto, e cossi congre gata sarà lecito ad ogni maestro nominare uno di essi che li parrà, purché i nornl nato al consolato habbi tenuto bottega almeno per sei anni, et per di consig .o a meno per tre anni, e chi sarà eletto console o di consiglio non possa poi essere e etto a detto ufficio salvo passati tre anni dappoi il fine del loro ufficio, dichiaran o c resteranno eletti consoli e successivamente consiglieri quelli che reporteianno ma„ gior numero de voti, e quando alcuni s’incontrassero di numero pari de voti, quei soli siano di nuovo posti sotto balle, e chi haverà maggior numero resterà e etto, dichiarando che da questa prima elettione inanzi li due consoli, finito il loro conso lato, resteranno di consiglio Panno seguente; si farà poi elettione di quattro di con siglio e resterà cura aili consoli di far convocar Parte ogni volta che si dovera ar l’elettione degli nuovi ufficiali et ogn’altra deliberatione nella quale sarà di necessita chiamare Parte. Che li detti due consoli habbiano auttorità di decidere e terminare ogni diffe renza che potesse essere fra huomini di dett’arte, in qual si voglia modo e manera, per cagion però di dett’arte, sino alla somma di lire diece, sommariamente, senza processo e senza rimedio d’appellatione, nullità o eccesso. Che li detti due consoli con li sei di consiglio possino decidere e terminare ogni differenza che venisse fra gl’uomini di dett’arte per caose toccanti e dipendenti da detta arte, sommariamente senza processo nè remedio d’appellatione, nullità o eccesso, sino alla somma di lire venticinque, concorrendoli almeno sei voti favorevoli, ma se fusse di maggior somma si possa dalla lor sentenza appellare aili Signori Sindicatori. Che cossi Pelettione dei consoli e consiglièri e ogn’altra deliberatione che fusse fatta dall’università, come ogn’atto e sentenza che sarà fatta cossi dai consoli soli come da essi giontamente con il consiglio, e tutti li instrumenti e carte de’ garzoni, siano ricevuti e scritti da un notaro publico di colleggio che doveranno i consoli e consiglieri eleggere d’anno in anno. — 296 - Che tutti gl’huomini di detta arte siano obligati ubbidire ai consoli e consiglieri et ai loro comandamenti in tutto quello che occorrerà e che sarà ordinato da essi per cose concernenti all’arte, sotto pena di lire due sino in lire cinque, in arbitrio di essi consoli e consiglieri, applicata per la mettà a Signori Padri del Comune e per l’altra metà a detta arte. Che niun maestro possa havere più di due garzoni, nè possano accartarli per meno di cinque anni per uno, e quando le carte di detti doi garzoni finissero in un medessimo tempo potrà di sei mesi prima accattarne un altro per il medemo tempo, e contrafaciendo caschi in pena di lire cinque tante volte quante contrafarà, applicate come sopra, la qual pena in caso di renitenza possa essere duplicata et accresciuta sino alla somma di lire venticinque, in arbitrio di detti consoli e consiglieri, volendo che in ogni modo ogn’uno osservi quanto si contiene nel presente capitulo. Che niuno possa aprir buttega di filatore che non habbia compito la sua carta di cinque anni con alcuno maestro di dett’arte et habbia servito per doi anni per lavorante, sotto pena di lire dieci applicate come sopra, nella qual pena incorreranno tante volte quante saranno renitenti a ubbidire in ciò li comandamenti di detti consoli, escludendo però i figli dei maestri a i quali sarà lecito ad aprir buttega € far dett’arte senz’altro. Che ogni garzone che haverà imparato l’arte con alcun maestro, finiti li cinque anni della sua carta, debba esser scritto lavorante di essa pagando soldi diece all arte, € compiti li doi armi che ha da essercitare l’arte per lavorante, debba esser scritto maestro in la matricula di dett’arte pagando soldi venti. Che chi vorrà intrar in dett’arte senza haverla imparata e servita nel modo ■suddetto, debba pagare per il suo ingresso se sarà forastiero lire quaranta e se sarà della città o dominio lire venti, applicate per la mettà alla Camera de Signori Padri del Commune e per l’altra mettà all’arte, e questo quando colloro che vorranno intrare in detta arte siano periti a giudicio delli consoli e consiglieri, e restando da loro approvati con il numero di sei voti possano comprarla e non altrimente. Che niuno maestro di dett’arte possa ricevere alcun garzone, lavorante o altro a suo servitio che havesse prima servito a un altro maestro senza licenza di esso primo maestro o delli consoli, sotto pena di lire cinque, applicate come sopra, ne si possa chiamare alcuno lavorante a lavorare che non habbia compito la sua carta di cinque anni e stato scritto per lavorante, sotuo la medema pena. Che morendo alcuno maestro di dett’arte il quale havesse alcun garzone o garzoni a imparar dett’arte seco, debbano essi garzoni continuare e finire il tempo della lor carta con li figli o heredi del maestro morto, se continueranno in essercitar dett’arte, nè potranno esser accettati da alcun altro maestro senza licenza delli consoli, ■sotto pena di lire cinque, nella qual pena incorreranno così li garzoni come colloro ■che li accettassero; sarà però lecito a detti garzoni, quando i figli del maestro morto non essercitassero detta arte, accordarsi con alcun altro maestro per il restante tempo della loro carta. Che niuno maestro possa dare da lavorare ad alcuna persona che havesse commesso fraude in dett’arte senza licenza delli consoli e consiglieri, sotto pena di lire •cinque applicate come sopra. Che tutti i mastri di detta arte siano obligati osservare tutte le feste commandate dalla Santa Madre Chiesa e la festa di San Defiendente, loro avocato, sotto — 297 — pena di soldi venti sino in quaranta per ogn’uno e per ogni volta, applicati come sopra, e di più saranno obligati tutti detti maestri andare ogni prima dominica del mese ad udir la Santa Messa alla loro Capella di San Deffendente alla chiesa della Madalena, sotto pena de soldi doi sino in cinque per ogn’uno e per ogni volta che mancherà, a giuditio di detti consoli. Che li consoli di detta Arte siano obligati ogn’anno, il giorno della solennità del Corpus Domini, andare ad accompagnare la processione portando una torchia per uno in mano, in peso almeno di libre sei l’una, sotto ogni pena arbitraria alli Signori Padri del Commune. Che li detti consoli debbano tenere li dinari di detta arte in una cascietta con due chiavi che doveranno restare in mano di essi consoli, cioè una per uno, e detta cascietta doverà restare appresso del console di maggior età, e doveranno havere un libro nel quale noteranno e terranno scrittura di tutti i denari che perverranno in loro mano per conto di dett’arte, e così di quello si spenderà per uso di dett’arte e di ordine di essi consoli e consiglieri, et in fine del loro ufficio, nel termine di otto giorni, doveranno haver presentato a i consoli e consiglieri successori detto libro e cassetta et haver reso buon e legai conto con satisfattone-intiera del reliquato, consignando le chiavi di detta cascietta ai due consoli nuovi, e- trovandosi che havessero male amministrato e speso male i denari di detta arte, possano esser condannati dai consoli nuovi insieme con quattro de’ consiglieri nuovi a pagar tutto quello che restassero debitori all’arte e più in pena di lire vinticinque applicate come sopra si è detto. In oltre si dichiara che, non ostante le cose predette, non resti prohibito,, anzi sia lecito a seateri e tessitori il poter far dett’arte a loro beneplacito, senza essere in alcun modo levati dai loro consoli, e senza esser sogetti alli presenti ordini e capitoli, i quali solamente habbino luogo e vigore tra li maestri filatori che non siano nè seateri nè tessitori, e nascendo qualche dubietà sopra 1 intelligenza delli presenti capitoli si debba havere ricorso da i Signori Padri del Commune, i quali habbiano facoltà di dichiararla et aggiùngere e sminuire alli presenti or quello che stimeranno esser necessario per beneficio di detta arte. Copia. Idem Ioannes Vincentius Godanus, notarius et cancellarius. mdlxxxxviii, die xxin septembris. Serenissimus Dominus Dux et Excellentis simi Domini Gubernatores Reipublice Genuensium, lecta coram Serenissimis Domi nationibus Suis relatione suprascripta ac auditis verbo ante hoc et modo etiam dictis Baptista Carbono et Francisco Borsotto ac Baptista Bertorotto. Antonio Papia, Michaele de Amico et Baptista de Nuceto, pro dictis filatoribus comparentibus, dicente pro eis Michaele Castellatio, causidico, in contradictorio cum Ioanne Augu stino Morinello, scriba, et Simone Costa, sindico Artis Seateriorum, opponentibus, et quicquid hinc inde dictum et allegatum fuit plene intellecto, ac super omnium continentia matura habita consideratione et diligenti examine, negotioque ad iuditium suffragiorum deducto, omni modo etc., euntes in sententiam predicte relationis decem septem capitula ut supra reformata et in relatione prescripta memorata filatoribus iam dictis concesserunt et concedunt, per quinquennium tamen tantum, cum declaratione et in omnibus ut in eadem relatione legitur et continetur, in cuius — 298 — denique sententiam per tempus predictum decreverunt et decernunt, mandantes omnibus et singulis iusdicentibus, magistratibus, officialibus et aliis ad quos spectat, quod dicto tempore durante capitula predicta ut supra reformata et concessa omnino inviolabiliter observent observarique faciant, sub pena Serenissimis Dominationibus Suis arbitraria, et hec in contrarium quibusvis quomodolibet facientibus non obstantibus. XXXIII Inventario di tutte le scritture e libri dell’arte redatto dal notaio Paolo Battista Ligalupo 1618, 18 aprile A.S.C.G., Arte della seta, fl. n. 604, doc. n. 111. 1618, a 18 di aprile. Inventario di tutte le scritture, fogliazzi e libri della Camera dei molto Magnifici Signori Consoli e Consiglio dell’arte della seta, fatto per me Paolo Battista Ligalupo, notaro, al quale sono stati consignati di ordine de detti Magnifici Signori: Et prima fogliazzi civili numero quarantasette, compreso il fogliazzo civile di quest’anno, comminciato sin l’anno 1616 Item fogliazzi criminali in forma stretta numero tredici Item fogliazzi criminali in forma larga numero sette, compreso quello di quest’anno, cominciato sin l’anno 1617 Item un altro fogliazzo di atti criminali in forma stretta, cominciato l’anno 1606, il quale si va continuando Item un altro fogliazzo piccolo in forma stretta intitulato « fogliatium diversorum ordinum, electionum consulum, elemosine ac aliorum » Item un altro fogliazzo piccolo in forma stretta che comincia l’anno 1561 e finisce 1 anno 1577, dove sono diverse elettioni di Signori Consoli et altro Item un altro fogliazzzo in forma stretta, chiamato « fogliazzo di elemosine », il quale si va continuando Item un altro fogliazzo piccolo di forma stretta, intitulato « scritture dell’arte » Item fogliazzi quatordeci di instrumenti scritti in forma stretta Item una pandetta di tutti li processati che comincia l’anno 1603, che si va continuando Item due libri in forma larga, uno dell’anno 1519 e l’altro dell’anno 1528, in forma di pandetta Item libri nove di condanne, compreso l’ultimo cominciato l’anno 1593, il quale si va continuando Item libri quattro del specchio, nei quali è compreso l’ultimo, cominciato 1 anno 1584, il quale si va continuando Item libri sessantanove de instrumenti di tele, compreso l’ultimo di quest’anno che si va continuando — 299 — Item libri di dimande numero settant’uno, compreso quello di quest anno al quale si va appresso Item un fogliazzo in forma stretta.....1 di tavole intitolato « diversorum » Item libri settanta nove di diversi, compreso quello di quest anno che si va continuando Item libri [di] licenze numero quaranta cinque, compreso quello di quest’anno Item libri tredici del netto, cioè cinque senza manuali et 1 altri con suoi manuali, compreso quello al quale si va appresso Item uno libro di leggi scritto in cartapecora in carte numero duecentoses-santacinque Item un altro libro più piccolo scritto in cartapecora di carte quarantasei Item un altro libro scritto in cartapecora, scritto fino in carte settantatre Item un altro scritto in cartapecora nel quale è registrata una sententia ra seateri e tessitori, sottoscritta da Raphael Ponsonus, cancellarius Item un altro libro scritto in cartapecora, consimile al libro delle leggi primo Item un altro libro scritto in cartapecora, cioè la matricula de seateri Item una pandetta di detta matricula, scritta ad alfabeto, delle provenen2e Item un'altra pandetta della matricula, scritta ad alfabeto, delli nomi Item un altro libro di leggi scritto in carta per mani di tazzino2 Item manuali di decreti et ordini de’ Magistrati di Camera, compreso anco note di cremexili numero ventisei. 1 lacuna dovuta ad una lacerazione nel documento. 2 lettura incerta. — 300 — INDICE - SOMMARIO Introduzione Elenco delle abbreviazioni adottate nelle citazioni pag. 5 » 15 Parte Prima lineamenti DELLA CORPORAZIONE Capitolo I: Origine e graduale affermarsi dell’arte della seta. L arte della seta fino agli Statuti del 1432. Crescente importanza economica nei sec. XV e XVI: la loggia; le speciali prerogative ei consoli; l’aumento degli investimenti. La particolare posizione di preminenza di cui la corporazione godeva nella città. - Il potere giurisdizionale dei consoli e del consiglio dell’Arte, « Magistratus Civilem et Criminalem notionem habens » Capitolo II; I COMPONENTI E L'ORGANIZZAZIONE DELL’ARTE. I rapporti fra i mereiai e i setaioli. Le: varie attività ed i requisiti del setaiolo. - Evoluzione dell’organizzazione interna dell’Arte in funzione dello sviluppo dell’industria serica: l’istituzione dei quattro Protettori per vigilare su frodi e furti e dei subconsoli per dirimere le controversie fra seateri e lavoranti. La riforma del 1567. Osservazioni sul sistema di elezione degli organi direttivi della corporazione. - Le nuove cariche rispetto agli Statuti del 1432: l assistente alla Camera, i sindaci, il notaio. La Camera della seta. -Un esempio di intervento della corporazione per la tutela dei suoi associati: i provvedimenti presi durante la pestilenza del 1579-80. Capitolo III: Le prerogative fiscali dell’industria serica. Breve cenno sul trattamento fiscale preferenziale di cui godevano la materia prima ed i tessuti. La « Gabella pannorum sericorum ». Analisi della « Venditio ». Il divieto di introdurre nella città tessuti forestieri. I “compratori" della gabella. - I numerosi processi fra i setaioli e gli appaltatori dei « carati maris » e dell’« introitus censorie ». Le prerogative fiscali degli imprenditori . pag. 19 pag. 37 pag. 77 — 303 — Parte Seconda LA CORPORAZIONE E GLI ARTIGIANI AD ESSA COLLEGATI Capitolo I: Filatori, tintori e tessitori: organizzazione e rapporti con l’arte della seta. I rapporti fra capitale e lavoro. - La filatura. La posizione dei filatori nell’ambito dell’Arte. Vani tentativi di costituirsi in corporazione autonoma durante il XV ed il XVI secolo. Gli statuti del 1598. - I tintori di seta. I capitoli del 1465 e le aggiunte del 1468 e 1492. Importante controversia fra tintori e setaioli nel 1471-72. La precisa normativa sui coloranti. Le « Reformationes ». La particolare vigilanza esercitata dai setaioli sulla tintura in rosso. - I « textores pannorum sericorum ». La posizione giuridica di questi artigiani secondo gli Statuti del 1432. Il diritto al lavoro autonomo a due telai durante il XV ed il XVI secolo. Il sistema retributivo. I compensi in natura. Staticità della retribuzione durante il XV secolo e la prima metà del XVI. Le controversie salariali dal 1575 ai primi anni del Seicento. - Le arti minori collegate con l’industria serica ........ Pa8- ^9 Capitolo II: Il processso di fabbricazione dei tessuti: aspetti tecnici e giuridici. Le restrizioni normative riguardanti la materia prima e la tecnica di fabbricazione dei tessuti come forma di protezione del prodotto. Le norme concernenti i principali tipi di stoffe: velluti, camocati, e taffettà. Pene e multe contro i responsabili di frodi. Incapacità di rinnovarsi dell’industria serica genovese. - L’oro e l’argento filato. - I severi provvedimenti contro i furti. Il « carcer mulierum ». Ladri e ricettatori accomunati nella responsabilità dei furti. Gli accordi con Lucca e Siena per l’estradizione dei colpevoli . pag- 159 Capitolo III: La crisi e il declino dell’arte: « Nemo PORTET ARTEM EXTRA ». Le principali cause della defezione degli artigiani. La scarsa efficacia degli editti e delle gride. Drastica presa di posizione dei XII Riformatori. - I centri più importanti dove si trasferirono gli artefici genovesi: Chio, la Catalogna, Mantova, Trento. I setaioli genovesi in Francia e loro contributo alTaffermarsi della manifattura di Lione.............. 183 — 304 — APPENDICE I. Primo emendamento agli Statuti del 1432 (18 novembre 1441) . pag. II- Aggiunta ai capitoli dell’Arte dei tessitori di cinture di seta, con riconoscimento di particolari prerogative ai setaioli (9 dicembre 1444)...............» III. Contratto di locazione della prima loggia dell’Arte (11 ottobre 1460) » IV. Capitoli dell’Arte dei tintori di seta (13 febbraio 1465; 13 dicembre 1486; 14 agosto 1492).......... » V. Multe comminate dai consoli dei setaioli e dei tessitori ad alcuni artigiani colpevoli di falsificazioni (4 settembre 1465) ... » VI. Norme tecniche per la fabbricazione dei tessuti (gennaio-novembre 1466)..............» VII. U Governatore Ducale e il Senato rifiutano ai filatori capitoli autonomi in base al parere dei giureconsulti Matteo della Corte e Francesco Sofia (11 settembre 1469)........ » VIII. Controversia fra tintori di seta e setaioli: riconoscimento a questi ultimi del diritto di tingere in propri locali la materia prima di loro proprietà, ma con alcune limitazioni (luglio 1471-maggio 1472) » IX. Convenzione fra setaioli e tessitori sulle modalità della retribuzione. Elenco dei 124 setaioli che sottoscrissero l’accordo (22 aprile 1479)..............» X. Sentenza in favore di un setaiolo accusato di aver barattato una pezza di velluto con grano distribuito poi fra vari tessitori, in quanto la consuetudine ne giustifica l’operato (19 dicembre 1481) XI. Norme per una corretta fabbricazione dei camocati (20 novembre 1487)............... » XII. Norme sulla tintura in rosso di « cremex » (7 ottobre 1500) XIII. Rigetto di richiesta d’autonomia da parte dei filatori di seta (4 dicembre 1508) ............. 201 201 202 205 214 215 230 234 237 245 246 248 249 — 305 — XIV. Proibizione ai tessitori di svolgere la loro attività nelle Riviere f condanna dei colpevoli come se avessero portato i segreti dell’Arte in paesi stranieri (17 maggio 1514)........pag. 253 XV. Convenzione fra l’Arte e la città di Lucca per l’estradizione dei colpevoli di furto di seta o di tessuti (28 gennaio 1516) ... » 255 XVI. Appalto della gabella sui tessuti serici da parte di Lazzaro Domenico Debenedetti, notaio della corporazione. Nuove modalità di riscossione (5 giugno 1517).......... » 257 XVII. Appalto della gabella sui tessuti serici da parte di Melchione Bra-celli e Nicola Caffaroto, seateri. Ulteriore modifica delle modalità di riscossione (18 giugno 1518)......... » 259 XVIII. Obbligo ai tintori di tingere col « cremex » solo in presenza di un rappresentante dell’Arte della seta (27 maggio 1519) .... » 261 XIX. Lettere del Doge Antoniotto Adorno e del Senato genovese alla maona di Chio per chiedere l’arresto e l’estradizione di alcuni artigiani che si sono trasferiti nell’isola con i loro strumenti per esercitarvi l’arte della seta (31 luglio 1523; 17 marzo 1524) . » 264 XX. Concessione all’Arte di un proprio carcere dove rinchiudere le donne colpevoli di frode o furto nella materia prima degli imprenditori (27 marzo 1527).......... » 268 XXI. Provvedimenti adottati dai XII Riformatori su gravi ed urgenti problemi dell’Arte (13 febbraio 1529)....... » 270 XXII. Controversia fra seateri e tessitori e nuove norme sul diritto al lavoro autonomo, sulla retribuzione in natura e sull’ammontare dei compensi (luglio 1531-marzo 1534)........ » 272 XXIII. Divieto d introdurre nella città tessuti serici non prodotti entro i confini territoriali della Repubblica (31 luglio 1535) ... » 281 XXIV. Norme relative al cancelliere delPArte della seta (21 febbraio 1537) » 282 XXV. Elenco dei compensi spettanti al notaio delPArte per le varie prestazioni (21 febbraio 1537).......... » 284 XXVI. Ordine del Doge e dei Governatori alle autorità locali delle Riviere affinché affianchino 1 Arte della seta nella sua azione rivolta a concentrare i tessitori entro le mura della città (20 gennaio 1538) » 285 XXVII. Inquadramento nella normativa esistente di un nuovo colorante: la «coconiglia d’india» (o cocciniglia del Messico) (15 marzo — 306 — XXVIII. I consoli dell’Arte dei tintori di seta vengono affiancati ai consoli e consiglieri dei setaioli nel giudizio delle controversie relative ai tessuti tinti con la cocciniglia del Messico (9 settembre 1551) . pag. 288 XXIX. Divieto ai setaioli di pagare in natura la retribuzione ai tessitori (9 settembre 1558)............ » 290 XXX. Decreto contro gli artigiani colpevoli di furto di seta col quale ladri e ricettatori sono accomunati nella responsabilità (20 novembre 1558)............. » 292 XXXI. Richiesta al Senato da parte dei consoli dell’Arte di poter trattare direttamente col re di Francia per ottenere una diminuzione dei dazi di importazione cui sono sottoposti i velluti genovesi (1560) » 294 XXXII. Concessione di Statuti all’Arte dei filatori di seta (23 settembre 1598)............... » 294 XXXIII. Inventario di tutte le scritture e libri dell’Arte redatto dal notaio Paolo Battista Ligalupo (18 aprile 1618)...... » 299 — 307 — Direi,ore responsabile: D,no P„NC„„, Segretario della Soderà Autorizzazione »bl Tri.unaee di Genova N. 610 m D„A ^ ^ m} Tipografia Ferrar,-Occele» & c. . Alessandria