ATTI DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA VOLUME XLVI Fascicolo II GENOVA NELLA SEDE DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA PALAZZO ROSSO MCMXV ATTI DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA ATTI DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA VOLUME XLVI Fascicolo 11° GENOVA NELLA SEDE DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA PALAZZO ROSSO MCMXV Proprietà Letteraria della Società Ligure di Storia Patria in Genova Genova - Tipografia Nazionale, 1915 Avv. EMILIO MARENGO ALFONSO II0 DEL CARRETTO Marchese di Finale E LA REPUBBLICA DI GENOVA MONOGRAFIA STORICA SEGUITA DA NOTE F, DA ALCUNI INTERESSANTI DOCUMENTI CON VEDUTA ED ANTICA PIANTA DEL CASTELLO GAVONE RUDERI DEL CASTELLO GAVONE, PRESSO FINAL-BORGO - Fot. Alinari). no dei più importanti periodi della storia finalese è senza dubbio quello che precedette la vendita del marchesato di Finale fatta alla Spagna, nel 1598, da Sforza Andrea, ultimo della linea mascolina d’uno dei rami della nobile e cospicua famiglia ale-ramica Del Carretto, la quale per più secoli aveva tenuto la signoria di quel marchesato. Ma sopratutto sono degne di considerazione le vicende ch’ebbero luogo sotto il governo tirannico di Alfonso II, predecessore e fratello di Sforza Andrea Del Carretto, per le conseguenze che poterono determinare e ch’ebbero il loro epilogo nella detta vendita del Finale alla Spagna. Il marchesato di Finale (detto allora Finciro) abbracciava quel tratto della riviera di ponente, dal-l’Appennino al mare, compreso fra i due limiti estremi del Capo Noli e del luogo della Pietra, ol- 8 ALFONSO DEL CARRETTO tre ad alcune terre situate fuori di questi confini nel cuore dello stesso Appennino; e, frapponendosi così al territorio della Repubblica in quella riviera, lo dimezzava in due parti. Non è a dire quanti disagi e molestie ciò dovesse arrecare ai sudditi genovesi che abitavano di qua e di là del Marchesato; i quali nelle diuturne relazioni di commercio fra di loro non potevano trovare attraverso al territorio fìna-lese quei mezzi di comunicazione così agevoli e sicuri, come sarebbero stati, quando il tratto di territorio che li teneva disgiunti fosse venuto in possesso della Repubblica. Le comunicazioni marittime e terrestri erano più che mai difficili nei periodi d’inimicizie e di contese fra i marchesi di Finale e la Repubblica, come accadde, per esempio, negli anni 1341, 1378, 143b, ma specialmente poi durante la lunga e atroce guerra mossa dai Genovesi nel 1447 a Galeotto Del Carretto e terminata nel 1451 contro il fratello di lui, Giovanni (1). Il marchesato di Finale, chiuso nel cuore della riviera occidentale, costituiva un pericolo continuo e non indifferente per la sicurezza e la difesa del territorio della vicina Repubblica dai suoi nemici interni ed esterni, in quanto che gli uni, come non ne difettavano esempi nel passato, avevano spesso ricevuto asilo e protezione presso quei marchesi in odio alle convenzioni esistenti fra essi e la Repubblica, e gli altri potevano colà trovare una buona e sicura base per la esecuzione dei loro disegni con- * tro la Repubblica stessa. La quale, inoltre, aveva ragione di ravvisare nella esistenza di quel marchesato una minaccia permanente ed assai grave alle MARCHESE DI FINALE 9 proprie finanze, causa il contrabbando delle mercanzie che, nonostante tutte le convenzioni da essa stipulate con i Marchesi, avevano agio i Finalesi di esercitare, come di fatto esercitavano, a suo danno ed a vantaggio proprio e degli stati finitimi entro terra, quali erano il Piemonte ed il ducato di Milano. Il contrabbando del sale, specialmente, aveva sempre fin da antico dato motivo a reiterate proteste e litigi con quegli stati e con gli stessi Marchesi, nè si era trovato modo di eliminare ogni conflitto. Questo attentato continuo alle entrate della repubblica genovese appariva anzi, al tempo da noi preso in esame, tanto più grave, in quanto che per la lunga guerra di Corsica, in cui essa trovavasi allora impegnata, le sue finanze erano tutt’altro che in buon assetto. D’altra parte ritenendo la Repubblica di aver l’alto dominio sul marchesato di Finale in virtù di antichi privilegi e diritti da essa vantati, di convenzioni coi signori Del Carretto e, specialmente, della sentenza di compromesso data dal duce Anto-niotto Adorno il 21 marzo 1385 (2), pretendeva esercitare sul Finale atti di protezione e di sovranità. Ma questa sua autorità le era stata di fatto contestata in varie circostanze dall’imperatore, il quale aveva diritti più saldi, più riconosciuti e più reali, giacche il Finale fu sempre, fin da principio, feudo dell’impero, come ne fanno prova le numerose investiture che, dopo quella di Ottone I del 967, di Federico I del 1162 e di Federico II del 1226, gl’imperatori concedettero successivamente ai marchesi carrettensi. Nondimeno la repubblica genovese, mal rasse- 10 ALFONSO DEL CARRETTO gnandosi a tollerare nella esistenza di quel marchesato una sì grave cagion di pericolo per la sua libertà e indipendenza, di danno per le sue finanze e di noie e molestie per i suoi sudditi di riviera, non aveva mancato in ogni tempo di spiare l’occasione propizia per affermare la propria autorità di fronte ai marchesi di Finale. Così, nei rapporti continui, che aveva con quei signori, non si era lasciato sfuggire pretesto alcuno, onde poter giustificare ogni suo atto contro gli stessi agli occhi degli altri principi e segnatamente dell’imperatore, intervenire negli altari del Finale, spodestarne e scacciarne i marchesi, e conseguirne essa stessa l’annessione ai propri domini. Ma la politica malferma, la guerra di Corsica, le intestine discordie, causa precipua di ogni sua debolezza, non permisero alla Repubblica di raggiungere tanto presto i suoi intenti. Anzi l’azione diplomatica del governo genovese, nei ripetuti tentativi per venire in possesso del Finale, non era il più delle volte riuscita che ad afforzare viemag-giormente la condizione degli stessi marchesi, ovvero ad acuire gli appetiti dei vari principi aspiranti al possesso di quel territorio, quali il duca di Savoia, quello di Milano, di Monferrato, il re di Francia e l’imperatore, che i signori del Finale non s’indugiarono in tempi diversi di chiamare in aiuto contro le minacce della loro vicina (3). Il che principalmente ebbe a verificarsi al tempo del marchese Alfonso II Del Carretto, il quale, per le difficili condizioni politiche d’allora, si trovò fra le ambizioni della Repubblica e di Spagna come tra l’incudine e il martello. MARCHESE DI FINALE 11 Il contegno tirannico di Alfonso verso i propri sudditi, che perciò, come vedremo, gli si ribellarono, non poteva manifestarsi più adatto ad affrettare i disegni dell’una parte e dell’altra da tanto tempo maturi, che naturalmente dovevano risolversi col trionfo del più audace e del più forte. Infatti la Spagna, dopo una serie di avvenimenti, che esporrò più innanzi, venne ad acquistare nel 1598 il marchesato di Finale, troncando per allora ogni speranza della Repubblica; speranza, che soltanto nel 1713 questa potè finalmente realizzare mediante la compera che ne fece dall’imperatore Carlo VI. * ★ ★ Alfonso II Del Carretto, vicario imperiale perpetuo, marchese e signore di Finale e Stellanello, conte di Casteggio (4), era il primogenito dei quattro tìgli maschi nati dal matrimonio di Giovanni II Del Carretto (figlio di Alfonso I e di Peretta U-sodimare Cibo) con Ginevra Bentivoglio. Gli altri suoi fratelli furono: Alessandro, primo abate di Buonacomba e poi vicario imperiale perpetuo e marchese di Finale; Fabrizio, cavaliere di Rodi, e, Sforza Andrea, pure vicario imperiale e marchese di Finale: sua unica sorella fu Ippolita, moglie di Francesco di Sangro, duca di Torre Maggiore (5). · Giovanni II, suo padre, morì a 33 anni per una ferita, riportata nell’impresa condotta dall’imperatore Carlo V contro Tunisi l’anno 1535, con dispiacere dell’imperatore stesso, che nutriva per lui un 12 ALFONSO DEL CARRETTO vivo affetto (6). Alfonso II, rimasto così orfano all’età di circa 11 anni (7), venne condotto dal principe Andrea D’Oria, suo avo e tutore (8), alla presenza di Carlo V (disceso nel marchesato di Finale), da cui benignamente accolto per la memoria del padre, ottenne con atto d’investitura del 5 novembre 1536 (9) la conferma degli antichi privilegi dati a’ suoi antenati (10) e già stati raffermati per ultimo, il 6 agosto 1529, a Giovanni II, suo padre (11). La qualità di tutore di Alfonso ch’ebbe Andrea D’Oria venne poi di fatto esercitata da Marco Antonio Del Carretto, fratello di Giovanni, quale attore dello stesso principe D’Oria o, per meglio dire, della moglie di lui Peretta, in virtù di cesarea autorità (12), e, a Marc’Antonio prestarono perciò i Finalesi giuramento di fedeltà (13). Governò con soddisfazione di tutto il popolo (14) finché, essendo giunto Alfonso all’età di 21 anno, questi prese, nel 1546, le redini del Marchesato (15). L’opera di Alfonso quale signore di Finale, non ancora del tutto dimenticata dal popolo fmalese, ci fu tramandata come un insieme di atti arbitrari e tirannici, di soprusi d’ogni specie. Non è agevole poter stabilire fino a qual punto fossero veri i fatti crudeli e malvagi a lui addebitati, ove si considerino le difficili condizioni politiche, nelle quali dovette quel marchese dibattersi, fra il cozzo delle varie ambizioni, delle pretese che ostentavano sul Finale il Piemonte, la Francia e, specialmente, l’impero e la repubblica di Genova. Se si può ammettere che, per fini più o meno reconditi, da parte degli accusatori e denigratori di Alfonso vi sia stata qualche esagerazione nel denunciare le tirannie da MARCHESE DI FINALE 13 lui commesse, non si può tuttavia disconoscere che del vero debba esservi stato nei fatti specifici esposti nell’atto di accusa contro di lui presentato dai Finalesi al governo della Repubblica e convalidati con deposizioni testimoniali (16). E ciò sia detto con buona pace di chi, come il Sansovino, accusa i Genovesi di avere sollevato espressamente le popolazioni finalesi contro Alfonso, per potere a lui togliere il dominio di Finale, chiamandolo savio uomo, d’animo innocente e dotato di forte e grande cuore (17), e di chi, come il Bricheri, dichiara quel principe infelice e cerca di scolparlo, adducendo l’odiosità fra loro di principi rivali e l’ingordigia dei suoi ministri. Ma troppo sospetto è il giudizio del Sansovino, il quale scriveva di Alfonso per l’appunto quando questi trovavasi in servizio dell’imperatore, cui il Sansovino stesso con grandi adulazioni consacrava da Venezia il suo libro (18). Nè in maggior conto si può tenere l’apprezzamento del Bricheri, sebbene vissuto circa un secolo e mezzo più tardi, sapendosi quanto egli fosse amico dei Del Carretto e particolarmente del Gerolamo, signore di Bale-trino, il quale lo aveva incaricato di scrivere le genealogie di quella famiglia (19). Del resto, pure ammettendo col Sansovino che i Genovesi avessero avuto una certa influenza sulla ribellione dei Finalesi contro Alfonso, non possiamo però convenire negli altri suoi troppo benevoli apprezzamenti circa le qualità di quel principe. Se egli fosse stato accorto, savio ed onesto, governando con giustizia e con amore, non avrebbe certamente dato motivo a malcontento e ad atti di ribellione da parte dei propri sudditi, i quali, come 14 ALFONSO DEL CARRETTO ai suoi antecessori, a lui pure si sarebbero mantenuti affezionati e fedeli. E’ notevole in proposito il fatto che, quando Alfonso nel 1546 prese le redini del governo, i Finalesi, memori del valore e della bontà del marchese Giovanni, suo piadre, dimostrando la loro compiacenza per l’avvenimento con segni di congratulazione e di amorevolezza, gli fecero presente di 3.000 scudi (20). Ma qual preveggenza potevasi pretendere da lui, venuto al marchesato non appena maggiorenne, senza essersi mai partito di casa e privo di ogni esperienza? E quali savi concetti avrebbe potuto ispirargli l’indole sua, allevata con ogni delicatezza dall’ava materna ed ammaestrata da uomini suoi sudditi, di rozzo intelletto e di vile condizione? Se dunque l’attesa dei Finalesi rimase delusa, è da credere che Alfonso nella esplicazione della opera sua di governante seguisse non già i propositi di prudenza e di saggia amministrazione che la convenienza politica avrebbe dovuto suggerirgli, ma piuttosto i sentimenti dell’animo, guasto da una falsa educazione, ed i consigli di ministri senza scrupoli, egoisti ed interessati. Appigliandosi, così^ inconsciamente a questo secondo partito, egli veniva ad alimentare i progetti dei suoi stessi nemici. ★ ★ ★ Sorvolando sulle particolari tirannie delle il marchese Alfonso venne incolpato (vedi Doc. I e II), si può affermare che, in progresso di tempo sempre più peggiorando,· egli fosse in ultimo rotto MARCHESE DI FINALE 15 a commettere con la maggiore indifferenza gli atti più ingiusti e riprovevoli. Principale movente del suo triste governo era l’avarizia e la sete di danaro, cosicché ogni provvedimento si risolveva in un utile per le proprie finanze; perciò ai poveri sudditi, per sottrarsi alle continue persecuzioni e alla crescente miseria, non rimaneva altra via di scampo che la ribellióne. Ma chi sarebbe stato così ardimentoso da lanciare per primo il grido di allarme e sfoderare la spada? Ben ricordavasi dai Finalesi a quali castighi fossero andati incontro alcuni che, degli altri più audaci, avevano osato soltanto di esprimere il loro malcontento per cattivi trattamenti ricevuti. Pure lo stato degli animi e la miseria loro eran tali che, ove l’occasione si fosse presentata, non poteva mancare lo scoppio di una generale sollevazione. E la fortuna non tardò a venir loro in aiuto, quando forse meno se l’aspettavano. Aveva il marchese Alfonso escogitato un nuovo mezzo per accrescere la propria ricchezza. Sotto il vano pretesto di una certa eredità pervenuta ai suoi maggiori 200 anni addietro, egli, fatti spiantare i termini di alcuni terreni, allargavasi man mano senza ritegno sui beni dei suoi sudditi: a questo modo era venuto ad abbracciare una gran parte del territorio del paese, senza distinzione di beni secolari od ecclesiastici. Procedeva quindi a far stimare dai suoi agenti quei terreni, obbligando i rispettivi proprietari, cui li aveva tolti, a corrispondere loro per la mercede dell’estimo il cinque per cento del pezzo di stima e a prenderli in affitto a ragione del cinque per cento del prezzo medesimo. 16 ALFONSO DEL CARRETTO Queste imposizioni /furono così arbitrarie ed ingiuste, che dettero il tracollo alla pazienza dei Finalesi. Volendo Alfonso fare eseguire in ogni modo le nuove esazioni in una delle ville del Marchesato, ove più che altrove forse erano esacerbati gli animi contro di lui, quei sudditi, istigati da certo Antonio Capellino, ch’era forse l’uomo più mendico di tutto lo Stato, in men che non si dica prendono l’armi, ed uccidendo parte degli agenti del Marchese (poiché alcuni riescono a fuggire) da lui inviati per la esazione, si ribellano apertamente. Ciò accadeva nel mese di luglio dell’anno 1558. Propagatosi il tumulto fra gli abitatori delle altre ville, in pochi giorni essi ripresero tutte quelle cose che poterono di quante erano state loro tolte ed occupate dal Marchese, minacciando nella vita lui stesso, il quale per salvarsi trovossi poi costretto, come vedremo, a rinchiudersi con i suoi più fidi entro le forti mura del castello Gavone (21). Il Senato genovese, non sì tosto ebbe contezza di quei tumulti, pensò di approfittarne per accampare le antiche ragioni della Repubblica, la quale, come fu detto, pretendeva di avere in parte il o-minio diretto sulla giurisdizione del Marchesato e, quindi, anche il diritto di conoscere delle controversie nascenti fra quel feudatario ed i suoi salii. Deliberava, perciò, d’intervenire prontamen e negli affari del Finale, nominando un commissario che dovesse recarsi colà con larghi poteri per ascoltare separatamente il marchese Alfonso e i suoi sudditi circa le cause della differenza insor a, far del suo meglio per pacificarli, e, quando ciò g fosse riuscito, intimare alle due parti di comparire MARCHESE DI FINALE 17 in Genova entro un dato termine, per esporre le loro ragioni dinanzi al Senato, che avrebbe reso giustizia (22). La scelta cadde sulla persona del magnifico Pietro Ravaschiero, dottore in leggi, che, avute le istruzioni nel senso ora detto, il 4 agosto (1558) partiva su di una nave per Finale, accompagnato dal notaio Giovanni Francesco Morinello, nella qualità di cancelliere, da un pubblico banditore, da un servo e da quattro marinari. Colà giunto e sbarcato, subito mossero a lui incontro alcuni militi in armi al comando di certo capitano Lazzaro di Alessandria, che gli domandò chi fosse e per quale ragione venisse. Udito ch’era inviato dal Senato della Serenissima per conferire col marchese Alfonso, quel capitano mandò subito a darne avviso in castel Gavone al Marchese, presso cui, sotto specie di onorarlo, lo fece accompagnare. Ma, perchè durante il tragitto dal mare al castello l’inviato genovese non avesse occasione di ascoltare i lamenti e le querele dei Finalesi contro il loro signore, fu provveduto in modo che nessuno potesse a lui accostarsi. Giunto il Ravaschiero al castello e condotto alla presenza del Marchese, questi, com’ebbe inteso lo scopo della sua venuta, osservò che autori della sommossa erano stati alcuni sediziosi finalesi non per altro motivo, se non perchè egli aveva fatto stimare alcuni terreni, di cui essendo aumentato il valore, riteneva giusto pretendere dai rispettivi proprietari un tributo maggiore. Si dimostrò con parole alquanto risentite disposto a volerne fare giustizia e castigarli conforme ai loro demeriti, senza che fosse mestieri che il Senato genovese interponesse la propria autorità, la quale 18 ALFONSO DEL CARRETTO egli per nulla avrebbe riconosciuto, non rilevando il feudo da altri che dall’imperatore, suo signore e sovrano. C’informano i documenti che, terminata l’udienza, volendo il Ravaschiero parlare con i Finalesi, non potè in alcun modo riuscirvi, poiché Alfonso, con mille pretesti e una infinità di cortesie, riuscì a trattenerlo in castello fino a sera, facendolo sempre accompagnare da alcuni armati; cosicché il Ravaschiero, disperando di potere per allora venire a colloquio con qualcuno dei sudditi del Marchese, si risolvette a partire (23). Tornato a Genova, immediatamente presentava relazione al Senato della propria missione a Finale, il cui esito negativo non poteva per altro arrecare gran meraviglia o turbamento fra i membri di quel Consesso, che ben conoscevano le disposizioni di Alfonso verso la Repubblica. Fermo però il Senato d’intromettersi nelle vicende finalesi, che, dal modo con cui si presentavano, lasciavano ben auspicare per la riuscita de suoi disegni, pensò d’inviare per una seconda volta il Ravaschiero a Finale, assegnandogli all uopo una scorta di cento soldati tedeschi. Recatosi per mare a Noli il commissario genovese, ed ivi sbarcato anziché a Finale, sentito dai procuratori del e comunità iìnalesi a lui convenuti ciò che del resto già gli era noto, che quelle popolazioni non potevano, nè volevano più oltre tollerare il mal governo di Alfonso, immediatamente egli il 9 agosto i quell’anno fece bandire per il Finale; che chiunque si sentisse aggravato dal Marchese e volesse farne querela o richiamo, dovesse entro il termine di gior ni otto rivolgersi ad esso commissario; che il mar- MARCHESE DI FINALE 19 chese sarebbe citato a rispondere e a difendersi di tutti gli addebiti dinanzi airillustrissimo Senato di Genova, il quale ad ognuno avrebbe reso giustizia (24). Frattanto Alfonso, non potendosi opporre alla generale insurrezione dei Finalesi, con i suoi più fidi erasi rinchiuso in castello; ma giudicando che non sarebbe bastato a mantenervisi troppo a lungo colle poche forze di cui disponeva e tanto meno a provvedere ai suoi bisogni, pensava ricorrere all’ambasciatore di Sua Maestà Cesarea in Genova, Diego Suarez de Figiieroa, con una lettera, colla quale, rilevando le sue qualità di feudatario dell’impero, lo supplicava a volergli dare pronto aiuto e ad invocare in suo favore l’intervento di essa Maestà (25). Il Figueroa, sì tosto avuta conoscenza da Alfonso dei fatti che avvenivano nel Marchesato, temendo che dal carattere violento assunto dai medesimi potesse in qualche modo scaturire una soluzione dannosa agl’interessi dell’impero, i quali e-rano in opposizione a quelli della repubblica genovese, scriveva all’imperatore consigliandolo di soccorrere Alfonso e d’impedire, così, che il marchesato di Finale potesse cadere sotto il dominio di Genova. Contemporaneamente lo stesso Figueroa, a nome dell’imperatore, mandava a Finale una persona di fiducia, perchè invitasse quel Marchese ed i suoi sudditi, con minaccia di gravi pene, a deporre le armi e a riconciliarsi, chè, qual delegato dell’imperatore, avrebbe p-otuto in breve tempo comporre ogni controversia (26). Ma il provvedimento preso da Alfonso non sortì alcun utile effetto, giacché i Finalesi, pur persistendo nella ribellione, 20 ALFONSO DEL CARRETTO avevano accolto favorevolmente l’invito loro rivolto dal Senato di Genova collo accennato proclama del 9 agosto. Quindi il Senato, pigliando motivo dalle disposizioni, che in seguito a quel proclama i Finalesi avevano fatto contro Alfonso, lo citava per mezzo di editti, affissi nei luoghi pubblici del Marchesato, a comparire in Genova al suo cospetto, e, in pari tempo citava pure i sindaci di quelle ville. Alfonso pensò bene di non comparire, nè di costituirsi alcun procuratore, adducendo di non esser tenuto a dar conto delle proprie azioni a chi non riconosceva per suo superiore. Era in ciò consigliato nello stesso tempo dai ministri dell’imperatore e del re di Spagna, particolarmente dall’ambasciatore Figueroa, da Ferdinando di Cordova, duca di Sessa, luogotenente generale di esso re e comandante delle armi nello stato di Milano, ed anche — si noti bene — dal principe Andrea D’Oria, avo e già tutore di Alfonso (27). ★ ★ ★ Prima di proseguire oltre nella narrazione, ci si conceda un po’ di sosta per rispondere con alcune considerazioni alla domanda seguente, che al colto lettore vien naturale di rivolgerci: Per quale motivo Andrea DOria, il Padre della Patria genovese, di questa patria che lo copriva di gloria e lo circondava di affetti, si trova schierato insieme coi ministri di Sua Maestà Cesarea e Cattolica, i cui MARCHESE DI FINALE 21 fini erano così contrari agli interessi della Repubblica? Chi si limitasse a trarre giudizio della condotta del DOria dalla semplice apparenza degli avvenimenti potrebbe dubitare ch’egli avesse più a cuore l’utile proprio e il bene dello straniero, che quello del suo paese, e convenire quindi collo storico francese Edoardo Petit nei troppo severi o ingiusti apprezzamenti ch’ebbe a fare sull’opera di quel grande (28). Infatti, se le mire del Senato, citando Alfonso a comparire al suo cospetto erano di fargli implicitamente riconoscere, quand’egli avesse ubbidito, l’alta sovranità della Repubblica sul marchesato di Finale, può sembrare strano che il D’Oria non avesse consigliato Alfonso ad obbedire. Ma, ove si esamini più profondamente la questione, non rimane dubbio che il contegno del D’Oria debba esser stato ben diverso da quel che a tutta prima si potrebbe sospettare. Giova riflettere che, se il marchese di Finale fosse stato sottomesso ai voleri del Senato di Genova (caso d’altronde del tutto improbabile, per gli stessi sentimenti di Alfonso, ligi all’impero), non se ne sarebbe mostrato però acquiescente l’imperatore, per quanto si può giudicare dai fatti che poi seguirono; il quale avrebbe immediatamente avocato a sè il giudizio di ogni controversia. Di fronte ad un tale pericolo, che avrebbe potuto mettere subito fuori causa la Repubblica, togliendole, per allora almeno, ogni probabilità di successo, questa doveva ravvisare nell’inaspri-mento delle proprie relazioni col marchese Alfonso il mezzo più conveniente e idoneo a giustificare un suo intervento negli affari finalesi, col pretesto, 22 ALFONSO DEL CARRETTO cioè, di far cessare uno stato di cose sotto tanti aspetti nocivo ai suoi interessi. Orbene, daH’insieme dei fatti e documenti esaminati si ha l’impressione che Andrea D’Oria, pure uniformando le proprie vedute a questo concetto, non giudicasse allora vantaggioso per la sua patria, che gli avvenimenti prendessero un andamento certo e deciso, e si proponesse perciò di assecondare, in apparenza, la politica dei ministri cesarei e del Figueroa; ma con un disegno suo proprio, ben determinato e consistente nel trarre, a tempo opportuno, occasione dagli avvenimenti per farli devolvere poi a favore della Repubblica. Forse egli era sospinto su questa via dalla speranza di rivalità e disaccordi, che potessero sorgere tra la Spagna e l’impero in seguito alla separazione dei due Stati allora avvenuta per l’abdicazione di Carlo V; disaccordi, che avrebbero potuto anche accrescersi col tempo e dare buon giuoco alla politica genovese. Doveva esservi, d altra parte, pure indotto dalla parentela con Alfonso, che lo tratteneva dallo schierarglisi contro apertamente; dall’amicizia personale coll’imperatore e suoi ministri e, segnatamente, con il Figueroa (amicizia che non avrebbe potuto all improvviso rinnegare); e lilialmente dal pericolo assai probabi le di una occupazione del Marchesato da parte dei Francesi, già padroni di alcune terre oltre 1 Appennino, l’aiuto dei quali i Finalesi minacciavano d’implorare, ove la Repubblica non si fosse decisa i soccorrerli colle armi contro Alfonso. Il naturalmente, non potendo, senza pregiudizio della sua politica, lasciar comprendere le proprie in en zioni, trovavasi in contrasto col partito avvers MARCHESE DI FINALE 23 agli Spagnoli, favorito dal Papa e rappresentato da Scipione Fieschi (allora esule in Francia), che aveva in Genova non pochi seguaci fra gli stessi uomini del governo, come risulta, fra l’altro, anche da una lettera dell’ambasciatore genovese a Roma, Leonardo Sauli, colla quale questi, mentre si meravigliava dell’ingerenza del Figueroa nelle cose del Finale e dell’autorità dallo stesso acquistata in Genova, esortava il governo della Repubblica a diffidare di lui e di tutti coloro che erano mossi da particolari interessi con il re di Spagna (29). In conclusione, adunque, non si può disconoscere che le intenzioni del D’Oria fossero buone e la sua condotta politica fosse l’unica che, data la sua autorità e le sue buone relazioni con Spagna e l’impero, egli avesse a seguire nelle condizioni difficili, tra le quali la Repubblica si dibatteva. Infatti, vedremo, come più tardi, quando la definizione della controversia fmalese venne avocata a sè dall’imperatore, il castello di Finale fosse deposto in mano di Andrea D’Oria. L’unico appunto che gli si può muovere, è, a nostro giudizio, di aver fatto un po’ troppo a fidanza colla sua età, poiché era già troppo vecchio per potere sperare di assistere allo scioglimento della questione, la quale, dopo sua morte, veniva a prendere una piega ben diversa da quella che egli doveva essersi immaginata. Ma non precorriamo gli avvenimenti e torniamo all’ordine della nostra narrazione. 24 ALFONSO DEL CARRETTO ★ ★ ★ Citato adunque — come dissi — il Marchese con i suoi sudditi a comparire in cospetto del Senato genovese, egli non si presentò; ma comparvero i sindaci delle ville del Marchesato, i quali porsero contro Alfonso le loro querele, promettendo di giurare fedeltà alla Repubblica, se questa li avesse tolti sotto la sua protezione, e lasciando comprendere che, in caso contrario, sarebbero stati costretti ad implorare l’aiuto dei Francesi, come già avevano fatto gli abitanti delle ville finalesi poste oltre giogo (30). Il Senato, o perchè il rifiuto di Alfonso alle sue intimazioni gli paresse un giusto motivo per intervenire energicamente contro di lui, o perche temesse in realtà la venuta dei Francesi nel Marchesato, assai pericolosa per la Repubblica (chè anche i luoghi della stessa al di qua e al di là del Marchesato in breve tempo sarebbero stati da loro sottomessi e la città di Savona esposta a un danno certo), previa discussione del Consiglio dei 100, deliberava di venire in aiuto dei Finalesi e di far rispettare colle armi le sue decisioni (31): e ciò, nonostante e gravi strettezze in cui trovavasi alloia lEiaiio esausto, come dissi, per la guerra di Corsica. Escogitati i mezzi per fronteggiare la spesa occorrente, il governo della Repubblica manda a o li, in rinforzo dei cento soldati tedeschi con ot ι se co dal Ravaschiero, altri duecento coll or me star ivi, onde impedire che possa nascere maggio MARCHESE DI FINALE 25 re tumulto di popolo e provvedere anche alla tutela dei Finalesi contro quelle forze militari, che per avventura fossero mandate in aiuto del Marchese dai suoi protettori e aderenti d’oltre giogo. In pari tempo dà ordini per la coscrizione di altri 1500 fanti e per l’allestimento di alcune grosse artiglierie e munizioni occorrenti alla espugnazione del castello Gavone, ove trovavasi Alfonso (32). Contro questi provvedimenti l’ambasciatore Figueroa sollevò proteste, sostenendo con tutta la sua autorità che il marchese di Finale era un antico feudatario e vassallo dell’impero, e che quindi nessun altro, fuori dell’imperatore, aveva il diritto d’ingerirsi nelle vicende di quel feudo (33). Anche il duca di Sessa, come intese le deliberazioni della Repub-plica, a mezzo di un suo nuncio, certo Luigi Barao-na, espressamente inviato a Genova, fece riferire al Senato « che non era lecito in quel tempo muovere armi, perchè ciò causava grave impedimento alla spedizione di S. Maestà Cattolica (contro i Francesi) », pregandolo di volersi astenere da ogni violenza ed operare invece per via di diritto, rimettendosi al giudizio dell’imperatore (34). A queste rimostranze il Senato genovese rispose limitandosi a mandare al duca di Sessa, che trovavasi allora in campo contro i Francesi nei pressi di Cuneo, il nobile Andrea Imperiale con istruzioni di scusare la necessità che aveva effettivamente la Repubblica di armare contro Alfonso (35); ma l’imperiale, come fu giunto in Asti, e per timore dei Francesi e perchè indisposto, non potè proseguire più oltre il suo viaggio e tornò a Genova, dove il Senato gli sostituì immediatamente Nicolò Grimal- 26 ALFONSO DEL CARRETTO di Cebà, dando a costui, l’il settembre, eguali istruzioni (36). Mentre seguivano queste cose, il capo della popolazione delle ville iìnalesi, Antonio Capellino, avendo inteso per mezzo de’ suoi esploratori che si avvicinava in quelle parti di verso Pallare un gran numero di soldati per discendere in soccorso di Alfonso, chiese al commissario genovese in Noli, Pietro Ravaschiero, gli volesse concedere una certa quantità di quei tedeschi di stanza colà per inviarli ad ostacolare la minacciata invasione del nemico. Ciò ottenne facilmente, tantopiù ch’erasi sparsa, ad arte o no, la voce, che quei soldati, che minacciavano discendere nel Marchesato, fossero provenienti dai presidi dei 24 castelli occupati allora dai Francesi nelle vicine Langhe (37). Ed in vero non pareva facile che Alfonso in quel momento potesse ricevere aiuti da altri, avendo il duca di Sessa l’esercito impedito in diverse e più importanti imprese. In realtà, però, quelle truppe erano costituite da sudditi delle terre del Marchese· poste oltre giogo, da suoi partigiani e aderenti e, per a maggior parte, da gente assoldata dallo stesso uca di Sessa (38). _ , , , . Antonio Capellino, adunque, con loO tedescm avuti dal Ravaschiero, ai quali si unirono alcuni sudditi iìnalesi, si muove coraggiosamente ineon ro ai nemici in numero di 2.000, li trova ed affronta vicino ai passi dell’Appennino e, ingaggiata con essi una accanita battaglia, nonostante il numero feriore dei suoi, riesce a sbaragliarli e a me er 1 fuga, uccidendone molti e disarmandone la mag-gior parte (39). MARCHESE DI FINALE 27 Tale avvenimento dovette sollevare non poca inquietudine nell’animo di Alfonso, che si vide mancare, per il momento almeno, ogni possibilità di aiuto dalle vie dei monti. Rimaneva però a lui aperta la via del mare, il cui approdo era ben difeso dalla fortezza di Castelfranco, posta per l’appunto sul lido, tra Final Pia ed il Borgo. Ma il governo della Repubblica, considerando che con lo intercettare ad Alfonso anche la comunicazione col mare avrebbe a lui tolto l’unico mezzo di rifornimento rimastogli e che la fortezza di Castelfranco poteva essere una ottima base stategica e di approvvigionamento per l’esercito genovese nelle operazioni future contro il Marchese, la faceva occupare dalle milizie che già aveva nel Finalese; e, poiché essa trovavasi in parte distrutta, ne deliberava la riedificazione, destinando alla sovraintendenza dei lavori uno speciale commissario nella persona di Domenico Spinola di Canneto, mantenendo salva nel resto l’autorità dei due commissari generali per le cose di Finale, ch’eran: l’uno, il già detto Pietro Ravaschiero e l’altro, Niccolò D’Oria (40). Dopo ciò, essendo pronti i 1.500 fanti, coscritti, con le artiglierie e le altre munizioni ordinate, il Senato, secondo le deliberazioni prese, apertamente muove guerra ad Alfonso e manda quelle forze a Finale. Fatti colà gli apparecchiamenti opportuni, nel mentre si ultimavano i lavori della fortezza di Castelfranco, i Genovesi procedevano dapprima alla occupazione delle ville, poi del Borgo (41). Ebbe sopra tutti a distinguersi in queste imprese il capitano Fiorenzo da Piacenza, per cui venne dal commissario generale Ravaschiero raccomandato al Se- 28 ALFONSO DEL CARRETTO nato per quell’onorato grado si fosse degnato conferirgli (42). Il Ravaschiero, poco dopo, ricevette da parte degli abitatori delle ville il giuramento di fedeltà alla repubblica geno\rese (43) e, successivamente, essendo stato col suo collega Nicolò D’Oria surrogato da due altri nuovi commissari, Tomaso D’Oria e Baliano Fieschi, fece ritorno a Genova (44). Nel mese di novembre egli però venne di nuovo destinato nel marchesato di Finale, ma con poteri, questa volta, alquanto diversi da prima, vale a dire come giusdicente in civile e criminale nel luogo di Castelfranco e sue pertinenze (45). Tostochè i due nuovi commissari furono giunti nel Marchesato ed ebbero assunto il comando delle milizie, si accinsero a prendere tutte le disposizioni occorrenti all’assedio del castello Gavone, dove il marchese Alfonso, dopo aver tentato invano la difesa del Borgo contro i Genovesi, erasi rifugiato coi suoi fratelli e con alcuni fidi soldati (46). Ergeasi il castel Gavone (ora in gran parte dii occato) superba mole solitaria, alla distanza di ciica un miglio dal Borgo, sopra un alto colle situato in capo alla maggiore delle valli finalesi. La sua forma era quella di un quadrilungo, munito ai rispettivi angoli di quattro altissimi torrioni che comunicavano fra loro per mezzo di cortine e proteggevano il palazzo del marchese Alfonso collocato nel centro. Un fosso difendeva il recinto, da due lati soltanto, cioè da fronte e da tergo, dove perciò era tagliata ad arte la cresta del monte; laddove i fianchi, perchè fondati a scarpa sul masso e abbastanza or ι di lor natura, non avevano alcune di simiglianti di- PIANTA DEL CASTELLO GAVONE VERSO IL 1715 (Da un tipo geometrico deU’ing. Gio. Gherardo de Lauglade. presso l’Archivio di Stato di Genova) B y ■ — — MARCHESE DI FINALE 31 fese. Veduto a distanza, così solo in mezzo alle balze digradanti — scriveva un nostro compianto letterato — il nobile edifìzio comanda l’ammirazione e la riverenza. Lo direste un avvoltoio, posato alteramente sulla sua rupe, in atto di spiare intorno e meditare da qual parte abbia a calarsi veloce, per afferrare la sua preda (47). Il marchese Alfonso, nei primi tempi del suo dominio, mettendo a profitto le braccia degli stessi suoi sudditi, lo aveva previdentemente fatto munire di tutte quelle opere di fortificazione, che gli erano parse più utili contro un eventuale attacco dei suoi nemici (48). La occupazione, adunque, di quel castello, non poteva essere per i Genovesi una impresa molto a-gevole. I commissari della Repubblica mostrarono di ciò comprendere e, consci del grave compito loro affidato, avevano, prima di ogni altra cosa, chiesto al loro governo uomini e artiglierie potenti, osservando che, senza sparare migliaia di cannonate, non sarebbe stato loro possibile riuscire nell’intento (49). Si affrettò il governo della Repubblica a mandare i chiesti rinforzi. Le munizioni e le artiglierie, colà inviate col mezzo di una grossa galea, non appena furono sbarcate, vennero prontamente tratte nel Borgo e poste nelle rispettive batterie, già in precedenza preparate in quattro parti contro il castello Gavone: si ebbe speciale cura di porne il più gran numero a Bechignolo, d’onde più facilmente i tiri potevano riuscire efficaci (50). A circa 4.000 saliva il numero degli armati della Repubblica destinati all’impresa di Finale (51). Due 32 ALFONSO DEL CARRETTO compagnie di tedeschi di circa 600 uomini costituivano il nucleo e la forza di quell’esercito: robur nostri exercitus, come dice il documento (52); un’altra, composta della guarnigione di Finale, trova-vasi al comando di quel Castellino, ora col titolo di colonnello di piazza, che vedemmo per primo incitare il popolo iìnalese contro Alfonso. Inoltre 186 fanti erano comandati dal capitano Paolo Emilio Angeleri, 143 da Gregorio Centurione da Lerici, 155 da Michele Camaggine, 200 da Vincenzo da Brescia, 164 da Pompeo da Viadana, 165 da Zaccaria da Brescia, 134 da Antonio Rossino, 150 da Gio. Battista Canata, 132 da Gio Battista Paganello, 119 da Alessandro da Viadana, 153 da Vincenzo Bianco, 152 da Gio. Battista Moruello e 162 da Ettore Rava-schiero. La cura dell’artiglieria, costituita da 18 bocche da fuoco, era affidata a Bernardo Garibal-do (53). Tutte queste truppe posero regolare assedio al castello Gavone mediante la costruzione di ripari e lo scavo di fossati e di trincee, ed arrecarono danni assai gravi con i loro frequenti assalti al corpo degli assediati. Le artiglierie, coadiuvando efficacemente gli assalti dei fanti, avevano fin dai primi giorni ucciso parecchi uomini al Marchese, il quale fu sollecito a difendersi ed a combattere (54). Il Senato di Genova, nondimeno, ad infondere maggiore animo in quella gente e ad affrettare le operazioni, credette utile inviare per alcuni giorni a Finale il cancelliere della Repubblica, Ambrogio Gentile Senarega (55). A questa determinazione ι Senato era indotto dal timore che gli avvenimen i potessero prendere una mala piega in seguito a e MARCHESE DI FINALE 33 rimostranze incalzanti, presentate dal duca di Sessa, prima a mezzo di Stefano D’Oria, governatore di S. M. di Spagna a Nizza, e poi di Giacomo Valgra-na, suo segretario: rimostranze, ch’erano aggravate dalle minacce di recarsi egli stesso a Finale coll’esercito di Milano. L’opera del duca di Sessa era ad un tempo coadiuvata dal Figueroa, che adopera vasi con tutta la sua autorità di ambasciatore di S. Maestà Cesarea per indurre il governo di Genova a trattare con Alfonso un amichevole componimento, al quale del resto il governo stesso non mostra-vasi, apparentemente, disdegnoso di addivenire, pur che il Marchese accettasse alcune condizioni o capitoli, di cui dovrò dire più avanti (56). Tra le altre condizioni vi era quella di deporre il castello Gavone in mano del principe Andrea D’Oria, finché l’imperatore non si fosse pronunciato sulla controversia tra la Repubblica ed Alfonso, il quale vedendosi ridotto a mal partito, mostravasi disposto ad acconsentirvi. Ma parve al Senato di non doversi per allora contentare solamente di tale risultato, sperando di poter ottenere di meglio a momento più opportuno; e, assecondato abilmente dal principe DOria, si destreggiò per modo che lo svolgersi degli avvenimenti riuscisse a protrarre per quel tempo ancora la conclusione di ogni accordo con Alfonso. Infatti, il principe Andrea D’Oria, che, secondo la condizione sovraccennata, a-vrebbe dovuto recarsi a Finale, per ricevervi in deposito il castello, rifiutò di partire, adducendo a scusa l’età ed una sua indisposizione, e nominò in sua vece il nobile Tomaso D’Oria, dottore in leggi, che pure declinò l’invito (57); indi il nobile Stefano 34 ALFONSO DEL CARRETTO D’Oria, che il Senato non accettò. Per tali motivi le insistenze del duca di Sessa e del Figueroa sino alla venuta del Senarega a Finale non avevano conseguito alcun pratico risultato (58). Devesi notare che colla venuta del Senarega a Finale coincideva l’eco di certe voci provenienti da Toirano, secondo le quali in Calizzano, Bagna-sco e Garessio, paesi oltre l’Appennino sui confini del Marchesato, erano capitani che facevano gente per i Francesi: dicevasi anzi che parte di quelli a-vessero già spedito le loro compagnie in aiuto di Alfonso e parte fossero in procinto d’inviarle (59). Pertanto il Senato della Repubblica, temendo che i Francesi potessero venire in soccorso di Alfonso prima che il castello fosse preso dall’esercito genovese assediente, e d’altra pjarte desiderando opporre alle ulteriori lagnanze e minacce dell’imperatore e del re di Spagna il fatto compiuto, cercava quanto più poteva di affrettare il conseguimento del proprio fine, dando ordini perchè l’esercito genovese raddoppiasse di energia e attività nella espugnazione del castello. Fattisi nuovi ripari e trincee verso Perti, borgata sovrastante al castello di Gavone, furono ivi piantate due nuove batterie di tre pezzi ciascuna, portandosi così a 24 il totale delle bocche d’assedio. Con tanta artiglieria l’esercito genovese procedette ad un bombardamento vivo ed intenso del castello riducendone i muri assai malconci e minacciando seriamente la loro completa rovina (60). Da quattordici giorni consecutivi, dì e notte, durava il fuoco (nel qual tempo si erano sparati non meno di 2600 colpi di cannone), quando il già detto MARCHESE DI FINALE 35 governatore di Milano, duca di Sessa, onde impedire che le cose andassero troppo oltre e i Genovesi potessero accampare maggiori diritti contro quel marchesato, ritenne opportuno inviare un nuovo messo a Genova nella persona del capitano d’armi Don Giorgio Manriquez per indurre una buona volta il Senato a sospendere le ostilità. Il re stesso di Spagna, nel frattempo, mostrandosi abbastanza inquieto per il contegno della Repubblica, aveva scritto al Figueroa esortandolo ad adoprarsi quanto più poteva per la conclusione di un amichevole componimento fra le parti contendenti. Venuto il Manriquez a Genova, questi riusciva a fare in modo che il Senato della Repubblica si decidesse a sospendere le ostilità contro Alfonso ed a conchiudere, finalmente, con lui quei capitoli di pace, che già da tempo erano stati dal Senato stesso formulati d’accordo col Figueroa. In conseguenza fu deciso che il Manriquez si recasse immediatamente a Finale per trattare con Alfonso (61). Nell’assoluta impossibilità di continuare più oltre la resistenza, il marchese di Finale, facendo buon viso alle esortazioni e minacce del Manriquez, del re di Spagna (che in quella occasione gli aveva scritto), del Figueroa ed ai consigli del principe Andrea D’Oria, accettò la capitolazione proposta dalla Repubblica (62), i cui patti, contenuti in otto articoli, furono rogati dal notaio Gio Giacomo Peirano, in Genova, nel palazzo di Fassolo di proprietà del principe D’Oria, il 28 ottobre 1558 e sotto-scritti dai nobili Nicolò Negrone e Paolo Giustiniano di Moneglia, due dei magnifici procuratori della Repubblica, da una parte, e da Don Giorgio 36 ALFONSO DEL CARRETTO Manriquez e Don Gio. Tomaso de Maggiori di Asti, quali procuratori di Alfonso, dall’altra, alla presenza dei richiesti testimoni e con l’intervento del principe D’Oria e del Figueroa. Fu accordata fra le parti una scambievole cessazione delle ostilità, una abolizione ed indulto delle ingiurie e danni fatti; che restassero cancellate le nuove imposizioni e ridotte allo stato, in cui si trovavano prima della morte del defunto marchese Giovanni, padre di Alfonso; le controversie e pretensioni, che avevano insieme la Repubblica e il Marchese, dovessero terminarsi per via giudiziale; fosse lecito al Marchese d’uscire dal castello di Gavone senza ricevere alcuna offesa, con obbligo però di assentarsi, fino alla intiera cognizione della causa, da tutto il Marchesato; il quale, intanto, resterebbe in deposito e sequestro presso il principe Andrea D’Oria, eccetto Castelfranco, che la Repubblica continuerebbe a possedere, come prima (63). — Tale fu la capitolazione, che venne ratificata dal marchese Alfonso, con atto del nominato notaio Peirano, il 2 novembre di quell’anno (64). Le ostilità furono quindi sospese e i due già detti commissari di guerra genovesi in Finale surrogati da Gio Paolo Pinello e Cristoforo Calvo d’Al-baro, ma con la restrizione della loro autorità ai soli poteri civili e specialmente in riguardo alle modalità da adempiersi per la consegna del castello Gavone: l’autorità militare venne invece conferita in quei giorni al colonnello Andrea Lomelli-no (65). La mattina del giorno 3 novembre usciva la guarnigione del Marchese dal castello Gavone e i MARCHESE DI FINALE 37 due menzionati commissari ne facevano consegna lo stesso giorno, alle ore 16, al magnifico Tomaso D’Oria, che ne prendeva possesso col suo presidio, quale depositario in nome di Andrea D’Oria, portando seco un vicario per l’amministrazione della giustizia (66). ★ ★ ★ Al conchiuso accordo il marchese Alfonso però non volle poi stare, affermando di averlo stipulato contro sua volontà per esservi stato costretto dalla violenza. La suddetta affermazione del Marchese appare da vari documenti (67), ma particolarmente da un atto di protesta del dottore in leggi Tomaso de Maggiori, uno dei firmatari dell’accordo nella qualità — come vedremo — di procuratore di Alfonso. Secondo quel documento, il Marchese fu invitato dal Manriquez ad accettare i capitoli dell’accordo con minacce ed aspre parole e con l’assicurazione che così voleva il re di Spagna e il duca di Sessa, dai quali non avrebbe ricevuto soccorso alcuno. Siccome il Marchese non voleva cedere, il Manriquez con promesse e danari gli corruppe uno dei servitori ed agenti e i più valorosi de’ suoi soldati; indi gli fece presentare, costringendolo a firmarla, una procura, colla quale costituiva esso Manriquez e il dottor Tomaso de Maggiori a rappresentarlo nella stipulazione e accettazione dei detti capitoli. Ciò ottenuto, il Manriquez tornava a 38 ALFONSO DEL CARRETTO Genova, conducendo seco il segretario del Marchese, certo messer Damiano, il quale non indugiava ad avvertire dell’accaduto il Tomaso de Maggiori, affinchè questi fosse in grado di meglio regolarsi per quelli ulteriori atti, ai quali nell’interesse del suo rappresentato avesse dovuto intervenire. Infatti, il giorno della vigilia di S. Simone (28 ott.), congregarsi in Genova nel palazzo del principe D’Oria gli agenti, avvocati e segretari della Repubblica, il Figueroa ed il Manriquez, e fatto chiamare il dottore Tomaso de Maggiori, gli osservavano che, essendo egli stato costituito col Manriquez a procuratore del Marchese, doveva egli stesso redigere l’atto di convenzione e accomodamento, che il notaio poi avrebbe rogato in forma autentica. Ma, letti i capitoli che gli erano stati presentati, perchè li scrivesse, e trovatili — come dice il documento — inonesti, ingiusti e mortali per il Marchese, il de Maggiori si levò da sedere e, protestando che non voleva accettare la procura, se ne andò con grande collera del Figueroa e degli altri. Invitato a tornare il dì seguente, ebbe promessa che i capitoli sarebbero stati riformati a modo suo. Il che non fu; ma anzi, gravemente minacciato an che nella vita dal principe Andrea D’Oria e dal i gueroa, si vide costretto, suo malgrado, a 10^je l’istrumento secondochè il governo della Repu 1 ca voleva. Fu allora ch’egli protestò che ciò ^ace'a non di sua volontà, ma perchè costrettovi a a violenza, e siccome non gli era riuscito di trovare in Genova notaio che si fosse prestato a ricevere a sua protesta, recatosi a Cairo presso la eS^ Isabella Scarampi, la faceva rogare colà a n MARCHESE DI FINALE 39 taio Gio. Guglielmo De Testis di Caliano il 31 ottobre di quell’anno (68). Dall’atto di protesta, contenente il fatto sopra riassunto, appare in modo abbastanza chiaro la doppia politica messa in opera dal Figueroa e dal duca di Sessa, i quali, mentre tentavano con arte di trattenere la Repubblica nel proseguimento delle ostilità contro Alfonso, d’altra parte invece inducevano con minacce quel marchese a rappacificarsi con essa, accettandone i capitoli proposti. Scopo di questa politica era evidentemente d’impedire che la Repubblica, proseguendo nelle operazioni militari contro Finale, potesse poi conseguire successi tali da farle realizzare le pretese ch’essa vantava su quel marchesato giustificandole coi maggiori sacrifici d’uomini e di moneta che, per colpa di Alfonso, avrebbe dovuto, suo malgrado, sostenere.· Conveniva perciò alla Spagna che la questione fi-nalese tra la Repubblica e Alfonso venisse trasferita sopra un campo di pacifica discussione, durante la quale non le sarebbe mancata l’occasione di provocare a proprio vantaggio degli avvenimenti tali che potessero metterla in possesso del Marchesato. Siffatta politica - giova ripeterlo - sembra che fosse in apparenza assecondata dallo stesso principe Andrea D’Oria, non già per rendersi utile alla Spagna, ma per poter trarre, secondo le particolari sue mire, dagli avvenimenti futuri, una soluzione più favorevole agli interessi della sua patria; la quale per contro non avrebbe avuto nulla da guadagnare, quando si fosse messa in aperta opposizione ai voleri di Spagna. 40 ALFONSO DEL CARRETTO ★ ★ * Alfonso, mal sapendosi rassegnare agli accordi stipulati col governo della Repubblica e alla privazione del Marchesato, ch’era per lui fonte sicura di ricchezza, nei primi di dicembre del 1558, vale a dire un mese dopo che il castello di Gavone era stato deposto in mano del principe D’Oria, recavasi in Germania presso l’imperatore Ferdinando, per presentargli le proprie querele e ragioni e chiedergli giustizia contro i Genovesi (69). Le querele e ragioni di Alfonso costituiscono l’oggetto di una supplica all’imperatore stesso, nella quale si osserva con meraviglia com’egli non insistesse menomamente a discolparsi dalle tante accuse di tirannia mossegli dai Genovesi; il che pioverebbe come queste in gran parte almeno fossei o fondate. . . , Sorvolando egli sulla propria responsabilita, si dilungava, per contro, nella questione dei dii itti dell’imperatore sul marchesato di Finale, e faceva rilevare come l’azione spiegata colà dai Genovesi potesse in ultimo risolversi a danno dell ^Per°’ Dimostrava, cioè, che i Genovesi avevano i a 1 interesse che si protraesse il più possibile il giu 1 zio dell’imperatore, stipulato nei patti della resa summenzionata, in attesa che Andrea D Oria, epo sitario del castello Gavone e già decrepito, \enisse a morire, perchè dalla morte di lui essi avre ero potuto trarre nuova occasione per impadronirsi del Finale, mentre che, d’altra parte, 1 Impera oie MARCHESE DI FINALE 41 sarebbesi potuto impegnare in più grandi imprese, che lo avrebbero distolto dal giudizio della contro-Λ eisia finalese. Essi nel frattempo avrebbero avuto agio di fortificare di soppiatto il castello e specialmente Castelfranco, d’onde ardua impresa poi sarebbe stata scacciameli. Negava che i diritti vantati dai Genovesi avessero fondamento nei capitoli seco lui conchiusi, perchè imposti colla violenza, soggiungendo che tali capitoli erano stati suggeriti ai Genovesi da quello stesso spirito di voracità, per il quale, ad esempio, essi avevano privato i marchesi Malaspina del possesso di Bolano, Godano, Bru-gnate e di tante altre terre e castelli. E, conchiudeva con pregare l’imperatore di volergli rendere tosto giustizia, annullando i patti stipulati coi Genovesi e reintegrandolo nel possesso del Marchesato (70). Il governo della Repubblica, da parte sua, Γ11 dicembre di quello stesso anno rimetteva al Figueroa una lettera per l’imperatore, nella quale procurava di giustificare il proprio operato contro Alfonso con addurre principalmente le tirannie di ogni specie da lui compiute contro i Finalesi, suoi sudditi, e le conseguenti loro minacce di mettersi sotto la protezione di Francia, ove la Repubblica non fosse intervenuta in loro difesa. Aggiungeva che, per rimuovere ogni sospetto di volersi essa impa-dronire del Finale, aveva divisato, d’accordo col principe Andrea D’Oria, col Figueroa e col duca di Sessa, di deporre il castello di Gavone in custodia di Andrea D’Oria fino a che non fossero state risolte in giudizio le relative questioni di diritto: che anzi, per meglio spiegare ad esso Imperatore le ra- 42 ALFONSO DEL CARRETTO gioni della Repubblica, aveva deliberato inviargli da Genova due ambasciatori (71). Avuta questa lettera, il Figueroa la spediva all’imperatore dandogli contezza della partenza di Alfonso da Genova per venire al di lui cospetto e, così pure, del prossimo arrivo degli ambasciatori genovesi: in pari tempo lo esortava a voler provvedere per la dignità dell’impero con dare tal legge che i Genovesi, nè altri per l’avvenire, avessero più da immischiarsi negli affari del Finale (72). L’Imperatore riceveva la lettera della Repubblica quasi contemporaneamente alla supplica di Alfonso, cui rispondeva che prima di decidere in merito eragli necessario attendere la venuta degli ambasciatori Genovesi, volendo la legge che le parti fossero presenti (73). Il governo di Genova, infatti, mandava in Augusta Ottaviano Di-Negro e Antonio Maria Grimaldi (74). Il loro mandato non si riferiva unicamente alla questione fmalese, ma estendevasi altresì alle trattative di pace, che dovevano allora por fine a a guerra tra Filippo II di Spagna ed Enrico II di Francia e che ebbero la loro conclusione il aPri 1559 a Castel Cambresis (75). Essi avevano is ru zione segreta di non acconsentire ad alcun atto, p il quale potesse parere che la Repubblica, ce professava assoluta ed indipendente, ^COn°SCenp. l’imperatore come suo sovrano e giudice com tente (76). . A^rWa Giunti gli ambasciatori genovesi ad August , in una lungi relazione del 1 aprile 1559 esponevano all’imperatore le già narrate vicende occorseci Finale per la ribellione di quei terrazzan MARCHESE DI FINALE 43 il marchese Alfonso e sostenevano essere stato l’intervento della Repubblica negli affari fìnalesi del tutto legittimo, perchè essa aveva e il dominio diretto sulla metà del borgo di Finale, ville e castello, e il dominio pieno su Castelfranco e sulla Marina per virtù di antichi diritti: quindi non doversi dire che Alfonso fosse stato spogliato del castello di Finale; ma che i Genovesi lo avevano occupato per volontà del Senato, rappresentante della Repubblica, la quale aveva investito gli antenati di Alfonso della parte da lui posseduta, ricevendone da quei sudditi giuramento di fedeltà. Sostenevano anche i detti ambasciatori che l’intervento della Repubblica fosse stato opportuno; giacché essa nutriva fondato timore che i Francesi, i quali tenevano presidi assai vicini al Marchesato, profittando dei disordini che vi regnavano in seguito alla ribellione scoppiata contro Alfonso, potessero essi stessi impadronirsene. Affermavano essere lecito in tempo di guerra ad un superiore occupare per suo comodo il castello di un suo vassal- lo contro la stessa volontà di lui, adducendo l’esempio di Firenze, la quale, dieci anni addietro, per timore non l’occupassero i Francesi, erasi impossessata di Porto-Ferraio sotto la giurisdizione del signor di Piombino, che pure era feudo imperiale; ed osservavano come lo stesso caso si fosse del resto avverato anche per altri luoghi in occasione delle recenti guerre in Lombardia. Finalmente, dopo aver confutato alcune affermazioni di fatto e di diritto contenute nella supplica di Alfonso, invocavano dall’imperatore il riconoscimento delle buone ragioni della Repubblica (77). In sostanza adunque 44 ALFONSO DEL CARRETTO essa studiavasi di mostrare come il proprio operato contro il marchese Alfonso avesse giusto fondamento nei diritti di alta sovranità da essa vantati sul Marchesato: diritti, ch’erano contestati da Alfonso, il quale sosteneva per contro spettassero aH’imperatore. Ricevuti dalle due parti contendenti i rispettivi memoriali, l’imperatore Ferdinando ne passava l’esame ai suoi consiglieri Scipione Conte, arciprimario camerario, Andrea Pogl, libero barone in Reif-fenstein e Arberg, Gio. Battista Weber, Gerardo Ach e Filippo Gundel, dottori in leggi (78). Ma dopo essersi praticato assai per le ragioni che l’una e l’altra parte pretendevano, l’imperatore lasciava intendere che voleva deliberare una buona volta quello che gli sarebbe parso giusto sulle domande di Alfonso, in favore del quale i consiglieri imperiali manifestamente sembravano inclinare (79). Di ciò accortosi il rappresentante di Genova, Ottaviano Di-Negro, secondo le secrete istruzioni surriferite, allegò l’incompetenza del giudice in siffatta questione e pretese quindi che Alfonso dovesse proporre le sue istanze non più dinanzi al Consiglio dell’impero, ma al Senato della Repubblica. L’Imperatore, non avendo però \roluto acconsentire alla pretesa del legato genovese, questi interpose allora appello al Sommo Pontefice contro l’imperatore stesso, e, lasciando in tal modo la questione alquanto inasprita, con poca soddisfazione sua e del suo Governo fece ritorno a Genova, do\e una grave sciagura sopravveniva proprio allora a funestare gli animi di quei cittadini. Il principe Andrea D’Oria, presso a compiere i 94 anni e a, MARCHESE DI FINALE 45 esalava 1 ultimo spirito di una vita di alte soddisfazioni e di emozionanti avventure. Con lui veniva a mancare l’uomo che più di ogni altro avrebbe potuto portare nelle relazioni di Genova coll’impero una influenza moderatrice e benefica, e le conseguenze della sua morte ebbero subito a farsi sentire. infatti l’imperatore, per nulla curandosi dell’atteggiamento preso dal Governo della Repubblica, il 19 marzo 1561 pronunziava in contumacia sentenza contro l’ambasciatore genovese assente, con la quale, rigettando l’appello interposto al Papa ed annullando il concordato surriferito, fatto da Alfonso colla Repubblica nella remissione del castello Gavone, condannava questa a reintegrare il Marchese nel possesso del Finale, compreso Castelfranco, a risarcirgli i frutti e i danni ed a pagare le spese della lite, riservando le ragioni della Repubblica in petitorio in altro giudizio, qualora i Genovesi alcunché avessero a pretendere su quel marchesato (80). Successivamente il 29 di marzo, in esecuzione di tale sentenza, ordinava alla Repubblica e a Filippino D’Oria, depositario del castello Gavone, succeduto al defunto Andrea D’Oria, di reintegrare Alfonso nel possesso del Marchesato (81). I Genovesi contro quella sentenza si appellarono al Papa; ma non poterono indurlo ad avocare a sè la causa, nonostante si sforzassero di persuaderlo, che, avendo ricevuto l’impero tutta la sua autorità dalla Chiesa, poteva ben essa pretendere degli obblighi da quello. D’altronde, non sapendosi rassegnare ai voleri dell’imperatore, i Genovesi, indi- 46 ALFONSO DEL CARRETTO gnatì, impedirono al messo imperiale, inviato a Genova espressamente, di denunziare la sentenza e lo maltrattarono. L’Imperatore mandò allora un secondo araldo con l’ordine d’intimare al Senato un bando, per il quale si minacciavano devastazioni e saccheggi ai beni dei Genovesi, ove si fossero ostinati nella loro disubbidienza; ma prevedendo egli, che anche a questo secondo araldo, come al primo, sarebbe stato impedito l’accesso al Senato, gli ordinò si presentasse sotto l’abito simulato di mercante francese (82). A questo nunzio non toccò sorte migliore del primo, poiché, minacciato di morte, dovette subito partire da Genova e cambiare anche l’itinerario del suo viaggio di ritorno in Germania, essendo stato prevenuto da una spia che, nelfattraversare i monti della Liguria, gli sarebbero state fatte ingiurie e tese insidie dai Genovesi per ammazzarlo (83). Questi gravi fatti contro l’imperatore, non meno imprudenti che temerari, e il disprezzo che pubblicamente i Genovesi ostentavano per lui (84), lo costrinsero a risentirsi dell’affronto con quei mo i che gli parvero più convenevoli alla dignità sua ed alla maestà dell’impero. Così Rodolfo ed Ernesto d’Austria, figli di Massimiliano e nipoti dell’imperatore Ferdinando, es sendo venuti in Italia per recarsi in Ispagna a a corte di Filippo, loro zio, dal quale erano stati in vitati, da Milano discesero a Nizza, passando per gli Stati del duca Emanuele Filiberto, anziché per ι territorio della Repubblica. Accompagnati a cardinale di Augusta e da alcuni baroni te esc ì, passarono per Asti, Alba ed altre terre del uca MARCHESE DI FINALE 47 Savoia, a Pinale e di là a Nizza, spesati dappertutto ed ovunque splendidamente accolti a nome dello stesso Duca; il quale, dopo averli munifìcentemen-te trattenuti a Nizza per più giorni, li fece condurre in Ispagna sopra le sue galee, comandate dall’am-miraglio Andrea Provana di Leinì (85). A questa manifestazione dell’imperiale malcontento altri atti più gravi ed efficaci sarebbero certamente seguiti contro la Repubblica, ove i Genovesi, non si fossero affrettati a mutare il loro atteggiamento ostile verso l’imperatore; tantopiù che l’orizzonte politico in Italia mostravasi allora assai oscuro e gravido di tempesta. Pensarono anzi di rientrare nelle grazie dell’imperatore e di porre termine in qualche modo alla questione fmalese. A tal intento ebbero cura di rivolgersi al re di Spagna, pregandolo di voler interporre i suoi buoni uffici presso Ferdinando per distoglierlo dai propositi concepiti contro di loro « condonare omnem offensionem conceptam contra eos » (86). il re di Spagna accettò la proposta intercessione e mandò a Genova colla galea del nobile Marco Centurione, nel febbraio del 1563, Don Martino della Nuzza a fine di trattare con la Repubblica una qualche formola di accomodamento, che valesse a mitigare lo sdegno dell’imperatore; formola, che lo stesso inviato di Spagna sarebbe stato poi destinato a presentargli (87). Ed infatti il Della Nuzza, accordatosi colla Repubblica, venne dal re di Spagna nominato a suo rappresentante presso l’imperatore per sottoporgli alcune condizioni, che solamente dopo non pochi mesi di laboriose trattative l’imperatore accettava di prendere in considerazione. 48 ALFONSO DEL CARRETTO Una parte assai importante in queste trattative la ebbe pure il magnifico Giovanni Saivago, che, subito dopo il Della Nuzza, era stato mandato presso l’imperatore a presentargli i rallegramenti della Repubblica per la di lui assunzione all’impero, e, come dice il documento, « per purgare il fatto successo dei nunci » sopra riferito (88). Le condizioni proposte furono accettate daì-l’Imj>eratore nei seguenti termini: « La Repubblica avrebbe consentito a rilasciare al marchese Alfonso il possesso del Finale, compreso il Castelfranco (che obbligavasi a ridurre nella forma in cui era quando le pervenne), in virtù della sentenza pronunziata dall’imperatore, qual signore diretto di quel feudo, con la dichiarazione che l’avvenuto invio di messi da parte di esso Imperatore e la non accettazione (non admissio) degli stessi da parte del Senato genovese, il presente rilascio del marchesato di Finale e qualunque cosa detta e fatta in giudizio in quella causa, non dovessero aggiungere o togliere alcun diritto all Impero o alia Repubblica; ma che ogni cosa dovesse rimanere impregiudicata nello stato di prima, vale a dire, com’era al tempo dell’imperatore Carlo V. Rispetto alla proprietà dei luoghi pretesi, alla liquidazione dei frutti, danni, spese e interessi, dovesse la causa delegarsi dall’imperatore, come signore diretto del feudo, alla cognizione del re di Spagna Filippo II, come duca di Milano, perchè la definisse conforme a giustizia (89) ». L’Imperatore, accolte con favore tali proposte, subito le mise in esecuzione, trasferendo al re di Spagna il giudizio e la decisione della controversia MARCHESE DI FINALE 49 con rescritto dell’8 novembre 1563, dato dal suo castello di Presburgo (90). E Don Martino della Nuzza, poco dopo tornato a Genova, d’ordine dell’imperatore si accordava con quel governo, perchè facesse demolire il Castelfranco, dopo avere tolto tutte le artiglierie e munizioni guerresche in esso contenute, ed eseguire quindi la restituzione del medesimo, del borgo e degli altri luoghi del Finale, al marchese Alfonso, che frattanto l’imperatore Ferdinando, in riconoscenza della sua fedele e continua servitù, aveva creato principe d’imperio, confermandolo suo vicario perpetuo (91). Per la demolizione del Castelfranco (che la Repubblica aveva, come vedemmo, pochi anni prima riedificato) venivano quindi nominati a commissari dal Senato di Genova i nobili Pietro Calvo e Andrea Ligalupi con lettere patenti del 22 gennaio 1564 (92). ★ ★ ★ Il marchese Alfonso trovavasi a quel tempo con buon numero di cavalli impegnato per conto dell’imperatore nella guerra di Ungheria contro i Turchi (93). Per conseguenza, avendo egli delegato a suo rappresentante nelle cose finalesi il proprio cugino Giovanni Alberto del Carretto, signore di Gorzegno, a questi effettivamente in sua vece doveva essere fatta la restituzione del Marchesato. Venne dunque Giovanni Alberto a Finale, accompagnato da una scorta di 2000 soldati, e fu ricevuto con molta festa da quelli abitanti per le 50 ALFONSO DEL CARRETTO assicurazioni, che con alcune sue lettere (94) aveva loro saputo dare, di ben governarli, e per il giuramento ch’egli prestò in Chiesa, appena fu nel territorio tinalese, di ben trattarli, dimenticando le passate offese (95). Indi con atto rogato a Finale il 17 febbraio 1564 nel palazzo del nobile Bartolomeo Durazzo dai notari Francesco de Tecto di Mon-dovì, per Alfonso, e Andrea Basadonne di Pietra, per Filippino D’Oria, fu stipulata la consegna del castello Gavone e del Marchesato a Giovanni Alberto; consegna che gli venne fatta da Silvestio de Megliori nella qualità di mandatario del conte Filippino DOria, il quale, come sappiamo, era stato nominato depositario di quel castello e mai che sato (96). Venuto a morte in quello stesso anno l’imperatore Ferdinando e succedutogli Massimiliano, suo figlio, questi con rescritto 11 agosto 1060 riconfermò la definizione della controversia fina e se al re di Spagna, come duca di Milano, il e poi a sua volta, con decreto 31 luglio 1566, sub e ea il giudizio della causa al Senato di Milano (97). Ma, mentre pendeva il giudizio per la con ro versia ora accennata, il vicario di Alfonso, Gion ni Alberto del Carretto, non ostante le promess di buon governo, fatte con solenne giura^\tj eseguiva tutto il contrario: addossa\a agli a 1 del Borgo e delle ville di Finale il mantenimei dei suoi soldati; richiamava in ufficio i per i nistri che già avevano governato al tempo cu fonso; istituiva nuove gabelle ed aumentava ^ tiche; faceva distruggere i frantoi da olive, °° ai Finalesi la comodità del sale, che a miglio1 1 MARCHESE DI FINALE 51 zo essi avevano clai Genovesi; permetteva ai suoi soldati di commettere abusi, insulti e prepotenze così contro l’onore delle donne come contro gli averi e la vita degli uomini; e, prendendo sempre più baldanza, poco a poco si abbandonava ad ogni sorta di iniquità, facendo condannare a morte, sotto fìnti o falsi processi, alcuni dei Finalesi più ragguardevoli per capacità e per censo, altri alla galera, più di centocinquanta alla confisca dei beni ed all’esilio, moltissimi a pene pecuniarie, e commettendo, inoltre, mille altri soprusi e tirannie (98). Stanchi di tanta oppressione i sudditi finalesi e quelli della valle di Stellanello, sobillati dai loro capi Lazzaro Savizano e Bernardo Burlo, che recatisi, d’incarico dei loro compaesani finalesi, presso l’imperatore per conferire con lui circa le tristi condizioni del Marchesato, erano da poco tornati, ed istigati pure da certo Battista Raimondo, si ribellarono contro il vicario di Alfonso e, tolte le armi contro di lui, lo obbligarono a rifugiarsi con i suoi fedeli ed a fortificarsi nel castello di Gavone, dove presero ad assediarlo strettamente, dandosi in pari tempo ad atti di rapina contro i suoi beni (99). Intanto i Finalesi, come pure il loro Signore, ricorrevano all’imperatore, implorando ognuna delle due parti in proprio favore il di lui intervento. In seguito a questi fatti e richiami l’imperatore Massimiliano inviò a Finale un suo messo fedele, Alfonso Marques (100), a mezzo del quale fece intimare con bando ai Finalesi di deporre immediatamente le armi, di astenersi da ogni ulteriore atto contro il Marchese e suoi beni, e di rimetterlo in pos- 52 ALFONSO DEL CARRETTO sesso di quanto gli avevan tolto, invitandoli nel tempo stesso a produrre le ragioni loro contro il Marchese davanti ai commissari imperiali Luca Romer e Melchiorre Partino (101), pure colà inviati per amministrare frattanto quel marchesato (102). D’altra parte ordinava al Marchese che, quando i Finalesi avessero deposto le armi, egli desistesse da qualunque provvedimento contro di loro. Pochi mesi dopo, avendo l’imperatore appreso che non ancora si era prestato obbedienza alle sue ingiunzioni, a mezzo degli stessi commissari, rinnovava ai Finalesi e agli abitanti di Stellanello, con nuovo bando, gli ordini già dati; ingiungeva loio i consegnare le armi al luogotenente del Maichese, di prestare a lui e suoi magistrati obbedienza pei l’avvenire, di lasciar liberamente tornare alle case loro i fedeli del Marchese rifugiatisi nel castello i Gavone e di non arrecar loro molestia nè in perso na. nè in danaro, attendendo con pazienza le ns0 l] zioni ch’esso Imperatore avrebbe preso; sotto m naccia di gravi pene ai contravventori. Inoltie inv tava a comparire in giudizio dinanzi alla sua per addurre le loro ragioni in contraddittorio ^ Marchese, i finalesi Lazzaro Savizano, ^ell^fan. Burlo, Battistino Raimondo, già menzionatile r ^ co Gandolfo, Nicolò Barusso, Antonio ^ινιζ^ρ· Giorgio Cavallo, rappresentanti dei Finalesi dell’insurrezione, notificando loro che, se non ro comparsi, avrebbe giudicato in loro con urn (103). Il giudizio della Curia imperiale fu c ie^ nalesi dovessero riconoscere per loro sl^n° s0t-marchese Alfonso; ma non volendo essi t0l^aj|. e< to il duro giogo di lui, persistevano nella ri e MARCHESE DI FINALE 53 L’imperatore Massimiliano a mezzo dei suoi commissari faceva frattanto dichiarare esecutoria la % sentenza della Curia e preparavasi a costringere con la forza i Finalesi all’ubbidienza della sua ve-lontà (104). A tal fine, e per le buone disposizioni che il granduca di Firenze, Cosimo De Medici, gli aveva reiteratamente dimostrato, e perchè sarebbe stato dssai agevole l’invio di navi e di forze nel Finale dalle coste della Toscana per ridurre quel popolo all’ubbidienza, l’imperatore mandava suoi ambasciatori a Firenze per cercare d’intendersi col Granduca prima di agire in esecuzione della sentenza contro il Finale (105). Ma la ostinazione dei Finalesi e l’odio da essi concepito contro Alfonso mostra vansi tali da far credere che, piuttosto di riconoscerlo nuovamente come loro signore e ritornare sotto il suo giogo, avrebbero tentato di appigliarsi a qualunque altro partito; onde, alcuni principi italiani, temendo che ad invito dei Finalesi esasperati potessero i Francesi, specialmente gli Ugonotti, dei quali era capo il Colignì, accorrere a quell’incendio, si interposero presso l’imperatore per indurlo a sospendere la esecuzione della sentenza (106). I Genovesi, per contro, in questo affare mostra- vansi ora assai indifferenti. Quantunque essi, pendente la prima lite per la restituzione del Finale ad Alfonso, avessero fatto ogni possibile per dare ad intendere di aver ragione su quel marchesato e intanto trattenerselo, dopo che, per la detta sentenza del 1561, furono costretti a lasciarlo, e specialmente dopo che la causa del merito, nel 1563, fu commessa a S. Maestà Cattolica e da questa, più tardi, 54 ALFONSO DEL CARRETTO al Senato di Milano, non comparvero molto, nè fecero istanze di gran rilievo in così grande affare, ma lasciaron la causa quasi deserta (107). Essi avevano quel tribunale come sospetto, atteso i fini interessati che assai presto scopersero nei Milanesi, di volersi, cioè, impadronire del Finale, ed anche perchè temevano che, muovendo la Repubblica le sue ragioni, potesse dal Marchese essere riconvenuta sulla liquidazione dei danni e interessi da essa dovutigli, i quali sarebbero certamente ascesi a una grossa somma (108). Mentre che però i Geno vesi restavano in apparenza indifferenti, non tra lasciavano in realtà di ricorrere ad artifizi pei Pr° lurigare la decisione del Senato di Milano, aspe tando tempo migliore per farla cadere in lo10 a vore (109). . D’altra parte l’imperatore, pigliando a pre e sto l’odio che i Finalesi avevano contro Al 011 ^ mostra vasi più freddo che prima nell’assentiie a ^ importune istanze di lui, che anelava di eSS^r tegrato nel possesso del Marchesato. Ma più 1 „U^e_ vi contribuivano gli uffici che contro Alfonso a vano i ministri di Sua Maestà Cattolica; i cl^ia \°ese dicavano che ai loro fini stesse bene che il M alC^isQ non riacquistasse lo stato, ma che ne fosse esc Essi speravano che, restando quello stato ^ senza padrone, potesse riuscir loro più faci e 1 darvi acquistando poco’a poco autorità, sino a se ne fossero impadroniti del tutto, come p1L1 infatti, avvenne (110). MARCHESE DI FINALE 55 * -¥■ * Alfonso, vedendo che le istanze rivolte alla Corte imperiale non gli giovavano, si appigliò ad altri partiti, ed a mezzo di Scipione Fieschi, suo affine, che allora trovavasi presso la Corte di Francia a servizio di quel re, pare facesse nuove pratiche con i Francesi, offrendo loro in dono il castello di Finale, purché lo aiutassero a riacquistare il Marchesato (111). Di ciò avvertito Don Gabriel della Queva, duca di Albuquerque, allora governatore di Milano per il re di Spagna, pensò di prevenire i disegni di Alfonso e, senza frapporre indugio, adirato che questi non a; vesse voluto prestare orecchio a certe proposte di pemuta del Finale col Re Cattolico, spedì a quella volta con 5000 Italiani e 1000 Spagnuoli Bertrando della Queva, suo nipote, coadiuvato da Sigismondo Gonzaga. Bertrando s’impadronì prima del luogo di Car-care e, postovi presidio di quaranta soldati, marciò su Finale. Avendo ivi trovato viva resistenza per la difesa apprestatavi da Giovanni Alberto del Carretto, da Bernardino Galluccio e da altri, che a nome del marchese Alfonso guardavano il castello di Gavone, vi pose attorno l’assedio e, dopo averlo battuto col cannone, lo costrinse alla resa sotto certe condizioni, tra le quali era quella, che avrebbe tenuto il castello a nome deH’Imperatore con la guardia di soldati spagnuoli. Così, resosene padrone alla fine di maggio del 1571, dopo esservisi trattenuto al- 56 ALFONSO DEL CARRETTO cuni giorni, Don Bertrando della Queva se ne partì lasciandovi al governo, con la guardia di Spagnoli, Antonio d’Olivera, mentre le cose di giustizia restavano amministrate dai commissari imperiali Luca Romer, dal fratello di lui Cristoforo Sigismondo e da Giacomo Rominguen, i quali esigevano anche tutte le entrate spettanti al Marchese (112). Di tale occupazione questi porgeva lagnanze all’imperatore e risentivasi pure la Repubblica, facendo vive istanze per la reintegrazione del Marchese. Essa nutriva seri timori a vedere nel cuore dei suoi stati le armi spagnole: inoltre veniva pregiudicata gravemente nelle proprie finanze per la diminuzione nel rendimento delle gabelle marittime e specialmente di quella del sale. Il Banco di S. Giorgio, che aveva infatti a Finale una stapola, ossia un magazzino di deposito per la vendita del sale, di cui era stapoliere allora certo Vincenzo Accame, aveva dovuto chiuderla in seguito all occupazione spagnola e ritirarsi dal Marchesato (1^)· Anche gli altri principi italiani vedevano di ma occhio la occupazione spagnola, temendo potesse esservi segreto accordo con i ministri delllmpeia tore a danno di qualcuno di loro (114). Tra questi, principalmente, il duca di Savoia Emanuele 11 berto, che agognava alla conquista di Finale pei poterne fare un porto di approvvigionamento ei suoi stati, come volevano pur farlo gli Spagno j per rispetto ai loro domini di Lombardia. In a j il 21 settembre 1573 il duca di Savoia scriveva al suo luogotenente in Nizza, Luchino Bagnolo,, (( 1 vigilare alla custodia di quel luogo (Nizza), P01C e le mutazioni che oggidì occorrono e li mouim^n 1 MARCHESE DI FINALE 57 di alcuni vicini, li cui disegni non s’intendono, necessariamente ricercano che ognuno abbia l’occhio al fatto suo ». (115). Frattanto l’imperatore Massimiliano, allo scopo di conseguire dal re di Spagna il ricupero del Finale e dare, in pari tempo, un’apparente soddisfazione agli uni e agli altri principi, mandava a lui, particolare ambasciatore, Giovanni Kevenhuler da Hichelberg, il quale doveva fargli la proposta di consentire, fra l’altro, che per sicurezza dello stato di Milano e conservazione della pubblica pace in Italia si mantenesse a Finale un presidio di soldati tedeschi in luogo degli spagnoli. TI re di Spagna a questa ed alle altre proposte di Massimiliano faceva buon viso; solo aggiungeva la condizione che il presidio dovesse avere per comandante un capitano di sua fiducia, a spese però dell'imperatore. Incaricava della sua risposta Don Pietro Faiardo insieme con Don Francesco Hur-tado di Mendoza, conte di Montagudo, allora ambasciatore ordinario presso lo stesso Massimiliano. In pari tempo ordinava al suo governatore di Milano, Antonio di Gusman, marchese di Aiamonte, di non frapporre ostacoli alla consegna del Finale e delle sue pertinenze (116) all’imperatore, ed all’esecuzione delle altre condizioni pattuite (117). Di questo accordo passavasi privata scrittura il 27 ottobre 1573 fra l’anzidetto governatore di Milano e i commissari imperiali (118). Assegnata ad Alfonso una certa parte dei frutti, ogni anno, per suo sostentamento, il resto si provvide che fosse speso pel governo e conservazione dello Stato e del Castello. 58 ALFONSO DEL CARRETTO Ciò non valse però ad impedire lo scoppio di alcune piccole divergenze, dopo l’anno 1573, fra Sua Maestà Cattolica e l’imperatore circa gli stipendi e il giuramento degli ufficiali e dei soldati; divergenze che poterono essere appianate soltanto dopo alcuni anni e non poche trattative per merito dell’ambasciatore di Spagna presso l’imperatore. Frattanto, prima ancora che venissero poste in esecuzione le condizioni pattuite, passava all altra vita l’imperatore Massimiliano e succedevagli il tìglio Rodolfo il 1. marzo 1577. Il nuovo imperatore, pregato dal re di Spagna e dai suoi ministii, riconfermava in massima le condizioni già approvate dal defunto suo padre e con lettera del 28 agosto obbliga vasi di osservarle. — Tutti i soldati ed ufficiali dovevano essere tedeschi; il Re ed il governatore di Milano o altri per lui non potè vano intromettersi nella giurisdizione, nelle entrate ed altre cose del Marchesato, ad eccezione del sale e della semplice custodia della fortezza di Gavone. il cui presidio restava a suo carico. Il presidio era obbligato partirsi in ogni tempo ad ogni richiesta dell’imperatore e suoi successori, senz’alcuna eccezione o scusa, e senza pretendere pagamento stipendio o di spese. I soldati e gli ufficiali dovev ano prestare il giuramento solito prima all’Imperator e poi al Re, rispetto alla pretesa sicurezza dello Mato di Milano, e giurare, inoltre, di osservare gio 1 ghi loro imposti. Tanto il Re ed i suoi successo nello stato milanese, quanto i governatori prò em por e ed i soldati e ufficiali del presidio, quando occorreva darsi il cambio, erano obbligati a rinnova il giuramento (119). MARCHESE DI FINALE 59 Tali le condizioni contenute nei capitoli approvati dall’imperatore Rodolfo. Fanno 1579, entrando i soldati destinati al presidio dello stato di Finale nel castello di Gavone, venne dato loro il giuramento alla presenza di Vito Doremberg, commissario cesareo; furono approvati i surriferiti capitoli dal marchese di Aiamonte, go-'ematore di Milano, e, nell’anno successivo, dal re dl Spagna (120). Tutti questi avvenimenti non garbavano per nulla, al governo genovese, perchè lasciavano intravedere non solo un certo accordo tra il re di pagna e l’imperatore (accordo che poteva riuscire pericoloso per la Repubblica), ma pure un acquisto di autorità da parte dei ministri di Spagna nel male, la quale, ove si fosse maggiormente accresciuta, avrebbe ridotto quel marchesato sotto il de-miti\o dominio spagnolo. Il governo genovese a-unque, considerando bene i maneggi che si pra-ica\ano nel Finale, erasi convinto della necessità 1 mantenere le proprie pretese, cercando d’im- nu 1Γ0, C0^ Una P°litica Più accoi'ta, che si conti-a^SeAad innovare cosa alcuna in quel marchesato Va , ’ " fine, nel modo stesso che in passato ave-so ostacolato la reintegrazione di Alfon- cred6 ,))0ssesso ^ Marchesato, così ora per contro oo'n e^f °PPOrtUn° ^ assecondarlo e^ aiutarlo con QUe’|S 01Zo. ne^e sue aspirazioni, stimando che in avV.3 maniera sarebbe levato il disegno che altri la R9110 ^ impadronirsi del Finale. Il governo del-CTen e^U^^^ca dava pertanto istruzioni all’agente chè°NeSe ^.lesso imperatore, Giorgio Giorgi, per-ne iagionasse con lui, ricordandogli « di agire 60 ALFONSO DEL CARRETTO in quell'affare con molta discrezione e procedere con molta destrezza, poiché si trattava di pratica mal gustata dalla Corona di Spagna, la quale in o-gni caso che ne avesse notizia si terrebbe offesa, onde agevolmente potrebbe seguirne qualche ma- lo effetto » (122Ì. E successivamente, nel luglio del 1582, mandava ambasciatore straordinario il magnifico Giorgio Centurione alla Dieta dei principi di Germania, radunatasi allora, acciò sostenesse la causa e il desiderio di Alfonso, che dinanzi alla Dieta stessa voleva dolersi dell’aggravio che 1 Imperatore fili faceva a non restituirgli il Marchesato. o i · Favoriva la causa genovese e di Alfonso la circostanza che proprio allora il governatore spagno lo di Milano aveva inviato a Finale il capitano Francesco di Perez, uomo destro e intelligente, sotto pretesto di accomodare tumulti popolari che ìea mente non esistevano, ma in effetto per suscitare contro i Genovesi, accusati di averli fomentati, il governo dell’imperatore, e dar così motivo a o Stato di Milano di mandarvi gente di guerra, late strattagemma, avvenendo mentre stava la ques io ne del Finale sotto il giudizio della Dieta, non pò teva che male impressionare l’imperatore e la ie ta, e, in conseguenza, doveva dare moth o a a s sa di provvedere con sollecitudine, per non ^asclf, più oltre sospese le cure del Finale e non pei me re che vi si potesse così introdurre il governo sp gnuolo, che tanto lo desiderava. A ciò doveva co tribuire non poco l’opera dell’ambasciatoie e rione, il quale, mettendo in rilievo con buona a diplomatica presso la Dieta gli intrighi di pao ; diretti ad impadronirsi del Finale per cos rui MARCHESE DI FINALE 61 un porto di mare da servire al traffico delle merci fra la Spagna e il dominio spagnolo di Milano ed alla introduzione del sale, dimostrava la convenienza che, per la conservazione della imperiale dignità, la Dieta sollecitamente provvedesse per la reintegrazione di Alfonso nel dominio del Marchesato (123). E che l’ambasciatore Centurione qualche merito dovesse avere nella esecuzione del suo mandato, lo si desume dal tenore stesso di una lettera che il 21 luglio 1582 il suo governo gli scriveva (124). Fatto si è che la causa e il desiderio di Alfonso, ch’era pur quello della Repubblica, sorti prospero successo, poiché la Dieta dei principi in Augusta decretava doversi reintegrare il Marchese nel suo Stato. L’ambasciatore Centurione, avendo esaurito l’incarico affidatogli, partivasi da Augusta il 1. ottobre di quelfanno (1582) per tornare a Genova, pur continuando a rimanere colà, come ministro della Repubblica, il magnifico Giorgio Giorgi. Ed il governo genovese, da parte sua, lieto del successo conseguito, mandava poco dopo a Roma monsignor Antonio Sauli « per ottenere da Sua Santità <( lettera per Sua Maestà Cattolica, perchè si conten-« tasse ormai di non impedire la restituzione del <( marchese, essendo stato riconosciuto ciò doversi <( fare di giustizia non solo dall’imperatore Massi-« miliano, ma dai principi elettori del concilio elet-« forale ed aulico celebrato in quest’ultima Dieta » e scriveva contemporaneamente, per lo stesso scopo, ai cardinali Como e Madrucci (125). Ma, mentre che la questione finalese pareva do- 62 ALFONSO DEL CARRETTO vesse per quel decreto della Dieta finalmente essere sopita, un avvenimento tanto impreveduto quanto repentino veniva ad intralciare sul più bello tutti i progetti ed a spezzare le speranze da fanto tempo concepite dal governo di Genova: il marchese Alfonso moriva in Vienna (1583) e il decreto della Dieta restava, perciò, lettera morta. ★ ★ ★ Alfonso morì senza lasciare figli, ma solo tre fratelli: Alessandro, abate di Buonacomba in Francia: Fabrizio, cavaliere gerosolimitano, che abitava alle Carcare, e, Sforza Andrea, che trovavasi in Germania alla corte dell’imperatore Rodolfo, come vicario del sacro romano impero. Succedette nei diritti su quel marchesato il fratello ed erede di Alfonso, Alessandro, che aveva e-spressamente rinunciato alla vita ecclesiastica e a l’abazia; ma, essendo stato molto in Francia e per ciò cresciuto ed educato sotto l’influenza francese, fu avversato assai per questo motivo dai ministri i Spagna nel possesso del Finale, di guisa che, ve en dosi egli impedita l’ammissioné a quel possesso, non trovò di meglio che ricorrere all’imperatore con una lettera, nella quale gli prometteva che, nel ca so avesse voluto rimettergli il Finale e castigare 1 ribelli, gli avrebbe liberamente ceduto in dono que marchesato dopo morte. Tale offerta non sortì però migliore effetto·,, poiché, dopo di avere lungamente aspettato e e MARCHESE DI FINALE 63 siderato indarno la restituzione invocata, passò aì- 1 altra vita, lasciando così la donazione inefficace. Le ragioni sul Marchesato passarono allora a Fabrizio terzogenito, commendatore di Malta, benché mentecatto, con dei lucidi intervalli; e questi nel 1596 rinunciò a favore di Sforza Andrea, ultimo dei fratelli, il quale il 18 maggio 1598 vendette il Finale alla Spagna (126). Lo vendette, sia perchè stanco di proseguire quella lite che durava da circa trent’anni con probabilità di poco buon esito, per la potenza ed autorità di quelli ch’erano interessati in contrario, sia perchè persuaso dall’arciprete Guazone, cremonese: uomo, che si era introdotto ai suoi servigi non senza artifizio, nè senza intrighi dei ministri di Spagna e, segnatamente, del governatore di Milano, Don Giovanni di Velasco, conestabile di Castiglia. Con questa alienazione Sforza Andrea arrecava un grave disgusto ed una gran disillusione ai Genovesi; i quali non poterono più realizzare le loro aspirazioni fino al 1713, quando finalmente, stanca la Repubblica delle furfanterie di ogni specie che commettevano contro i suoi sudditi i ribaldi rifugiati nel marchesato di Finale, per toglierli di mezzo, comperava dall’imperatore Carlo VI quel marchesato per la somma di un milione e 20.000 pezze genovesi da lire cinque (127). . ■ • ■- ? ' . I NOTE (1) Di questa guerra mi riprometto trattare ampiamente in altro lavoro con la scorta di numerosi documenti raccolti nell’Archivio di Stato di Genova. (2) Antoniotto Adorno, nella qualità di arbitro eletto fra la Rep. di Genova e i marchesi del Carretto e di Clavesana, sentenziava il diretto dominio della Repubblica sulla metà del Finale (ossia del castello Gavone, del luògo e ville di Finale) e il dominio pieno e assoluto su Castelfranco (fabbricato dai Genovesi nel 1365) e il borgo della Marina. In virtù di questa sentenza il Comune di Genova, con atto 20 aprile 1385, investiva Lazzarino e Carlo del Carretto della metà del Finale, salvo Castelfranco, che restò alla Repubblica, come da essa fabbricato. Fino al 1482 la Repubblica fu al possesso di tale dominio così nel borgo e castello di esso, come in Castelfranco, salvo che nel 1451 il marchese Giovanni del Carretto, in seguito alla guerra di suo fratello Galeotto contro la Repubblica, riconobbe a questa solo la terza parte del borgo e di tutto Castelfranco. Venuto a morte Giovanni, fu dal Comune di Genova invitato Alfonso I, suo figlio ed erede, a voler riconoscere l’autorità della Repubblica su quel feudo, come avevano fatto i suoi antecessori. Al che egli non solo si rifiutò, ma l’anno 1496 procurò ed ottenne investitura dall’imperatore Massimiliano di tutto il marchesato di Finale; e, da quel tempo in poi egli ed i suoi successori continuarono a riconoscere l’imperatore come supremo principe e signore di detto feudo. (3) Così, ad esempio, fece il marchese di Finale, Galeotto del Carretto, nella guerra contro la Repubblica di Genova (a. 1447-51). 68 ALFONSO DEL CARRETTO (4) Egli conservava, come i suoi predecessori, anche il titolo di marchese di Savona. (5) Bricherius Columbus, Tabulae Genealogicae gentis Carret-tensis etc., Vindobonae, tvp. Kaliwodiana, a. 1741, tav. XIV. (6) Sansovino M. Francesco, Della origine e dei fatti delle famiglie illustri d’Italia, Venezia, Altobello Salicato, 1609, P· 20^· (7) Nel primo paragrafo dell’atto d’accusa, che pubblichiamo in appendice, è detto che nel 1536 Alfonso aveva circa 11 anni. Nell’atto di giuramento di fedeltà prestato a Marco Antonio D’Oria, tutore di Alfonso, dagli uomini di Calizzano il 9 aprile 1536» è detto minore di anni 14. (Vedi quest’atto nell’Archivio di Stato di Genova, Finate, reg. 72, « Notae ex armario rerum finariensium », e filza 2. (8) Andrea D’Oria, morto Alfonso I del Carretto, aveva sposato la vedova di lui, Peretta Usodimare Cibo, nipote di papa Innocenzo Vili, la quale gli portò quattro figli maschi, nati dalle sue prime nozze con Alfonso, che furono: Marco Antonio; Paolo, vescovo di Cahors, abate di Bonacomba; Giovanni II, padre del nostro Alfonso, e Rolando, vescovo di Galizia e arcivescovo di Avignone. (Bricheri Colombo, Op. cit., tav. XIV). Marc’Antonio, primogenito, fu adottato come figlio da Andrea D Oria e prese perciò il titolo di principe di Melfi. Fu capo dell armata di re Filippo di Spagna. Tolse per moglie Vittoria, figlia di Antonio de Le\a, dalla quale ebbe una femmina, di nome Zenobia, che sposò Gìoa anni An drea D’Oria I, figlio di Giannettino, e, premorta al marito, fu sepolta in Genova nella chiesa di S. Matteo (Cfr. Sansovino, Op. cit., p· 2°8> Bricheri, Op. cit. tav. XIV, e, Testamento di G. Andrea I in busta 3., Famiglie, fam. D’Oria, della Raccolta di mss. e libri rari presso 1A chivio di Stato di Genova). (9) Archivio di Stato in Genova, Finium, reg. 238, pp. 101 e se&&- (10) Questi privilegi furono: l'investitura di Federico I del 1162, di Federico II del 1226; di Carlo IV del 1355; di Massimiliano I del 1496.. 8 dicembre. (11) Bricheri Colombo, Op. cit., tav. XIV. Erroneamente il sovino pone questa investitura all’a. 1528. (12) Questa sua qualità di tutore in nome di Andrea D Oria da molti atti. Vedi, ad es., l’atto 9 aprile 1536 cit. in nota 7.a; il i-o parag. dell’atto d’accusa pubblicato in Appendice ; il Bricheri, l. c. (13) \^edi 1.0 parag. dell-atto d’accusa cit. NOTE 69 (14) Archivio di Stato in Genova, Finale, reg. 54, Interrog. testimoniali, p. 86. (15) Difesa dei Finalesi, stampa rara del 1579, presso la Biblioteca Civica di Genova, pp. 9 e segg. (16) Arch. di Stato in Genova, Finale, reg. 54, deposiz. testimoniali a pp. 71 e segg. (17) Sansovino, Op. cit., p. 209 e seg. (18) Cfr. Sansovino, Op. cit., p. 209 v., e Dedica in principio di detta opera. — Il Sansovino dedicava il suo lavoro aH’Imperatore Rodolfo II da Venezia il 10 novembre 1582. (19) Bricheri Colombo, Op. cit., p. 5. (20) Difesa dei Finalesi cit., p. 9 v. (21) Op. cit., p. 10 v. (22) Archivio di Stato in Genova, Finale, filza 2.a, Istruzioni a P. Ravaschiero, 4 agosto 1558. (23) Archivio di Stato in Genova, Finale, filza 2.a, Relazione di P. Ravaschiero, 4 agosto 1558; Finale, reg. 54, pp. 44 e segg., Relazione degli amabasciatori genovesi a Sita Maestà Cesarea, 1 aprile 1559. — Monumenta Hist. Patriae, Scriptorum, II, Gioffredo, Storia delle Alpi Marittime, col. 1491 e segg. (24) Arch. di Stato in Genova, Finale, filza 2.a, Istruzioni a Ravaschiero, 7 agosto 1558 (unite a quelle del 4 ag.); Grida 9 agosto 1558; Finale, reg. 54, pp. 44 v. e segg., Relaziona degli ambasciatori genovesi a S. Maestà Cesarea, 1 aprile 1559. - Gioffredo, Op. cit. col. 1491 e segg. (25) Finale, reg. 54 cit., pp. 15 v. e segg., Lettera del Figueroa a S. Maestà Cesarea, 26 agosto 1558 e p. 22 v. e seg., Copia interpellationis marchionis Finarii. (26) Lettera del Figueroa 26 agosto i558, cit. (27) Archivio di Stato in Genova, Finale, reg. cit., pp. 44 e segg., Rei-azione degli ambasciatori genovesi a S. Maestà Cesarea, 1 aprile 1559. — Litterarum, filza 1963, Lettera di Leonardo Sauli, da Roma 19 agosto 1558, che bene tratteggia l’opera del Figueroa. - Gioffredo, Op. cit. (28) Petit E., André Doria. Un amirai condottière au XVI siècle Paris, Quantin, 1887. (29) Vedi Lettera di Leonardo Sardi cit. (30) Relazione degli ambasciatori genovesi a S. Maestà Cesarea, 1 aprile 1559, cit. 70 ALFONSO DEL CARRETTO (31) Relazione cit. (32) Relazione cit. (33) Archivio di Stato in Genova, Finale, reg. 54 cit. pp. 15 e segg., Lettera del Figueroa alfImperatore 26 agosto 1558. (34) Archivio di Stato in Genova, Finale, reg 54, p. 17 e seg., Lettera del Figueroa all’imperatore, 5 ott. 1558. Vedi pure Lettera 17 settembre 1558 dejU’amb. Nicolò Grimaldi Cebà al governo di Genova in filza 1963 Litterarum ; e Lettera 27 agosto 1558 del Senato al duca di Sessa in Istruzioni a detto Grimaldi 11 sett. 1558, Istruzioni, filza 2707 C. (35) Archivio di Stato in Genova, Istruzioni, filza 2707 C., Istruzioni ad A. Imperiale, 27 agosto 1558. (36) Archivio di Stato in Genova, Istruzioni, filza 2707 C., Istruzioni a M. Grimaldi Cebà, 11 sett. 1558. (37) Finale, reg. cit., p. 101, Supplica di Alfonso a S. Maestà Cesarea. (38) Finale, reg. cit., doc. a p. 106 ed altri passim. (39) Cfr. Relazione 1 aprile 1559 cit. con Istruzioni a N. Grimaldi Cebà, 11 sett. 1558, cit. (40) Archivio di Stato in Genova, Istruzioni, filza 2707 C., Istruzioni a Domenico Spinola di Canneto, 25 agosto x558- (41) Archivio di Stato in Genova, Lettere al Senato, filza 60, Lettera 20 ottobre 1558: e, Finale, reg. 54* PP· 27 e se&?- Deposizioni testimoniali. (42) Lettere al Senato cit.; Lettera di P. Ravaschiero, 19 sett. 1558· (43) Lettere al Senato; Lettera dei Commissari in Finale al Senato. 3 ott. 1558; e, Finale, reg. 72, intitolato « Notae ex armario rerum fina-riensium » sotto la data 22 sett. 1558· Inoltre vedi Finale, filza 2, Fidelitates facte comuni lamie per homines villarum. I giuramenti di fedeltà alla Repubblica, ch’erano stati prestati dai sindaci e procuratori delle ville di Finale, furono successu amente rinnovati al Ravaschiero dai singoli abitanti delle stesse. Li pubblichiamo nei Documenti. (44) Lettere al Senato; Lettera di Tomaso D’Oria e Ballano Fiesclu, 29 sett. e 3 ott. 1558. e Lettera del capitano Angelero, 22 sett. 1558· (45) Archivio di Stato in Genova, Atti Senato, filza 73, scritt. 72, Patenti di nomina 4 novembre 1558 e istruzioni a P. Ravaschiero. (46) Finale, reg. 54 cit., p. 42 e seg., Lettera di Alfonso a S. Maesta Cesarea, 2 gennaio 1559- NOTE 71 (47) Barili A. G., Castel Gavone, ediz. Treves, Milano. Sul castello di Gavone esiste una descrizione dell’anno 1558 ali’Ar-chivio di Stato di Genova, Senato, filza 73> ed altra in Relazione di Filippo Cattaneo sul Finale, dell’anno 1713, Finale, n. 257, p. 34, Pubblichiamo entrambe in appendice (Doc. Ili e IV). (48) Difesa dei Finalesi, cit., Sommario delle tirannie, n. 11, pubbl. in appendice al presente lavoro. (49) Archivio di Stato in Genova; Senato, filza 60, Lettera dei Commissari, 29 sett. 1558. (50) Ivi, Lettera dei Commissari, 3 ottobre 1558. (51) Finale, reg. 54 cit., Deposizioni testimoniali, pp. 27 e segg. (52) Archivio di Stato in Genova, Senato, filza 60, Lettera di Ambrogio Gentile Senarega alla Signoria, 13 ott. 1558, e Lettera dei Commissari genovesi, 3 ott. 1558. (53) Archivio di Stato in Genova, Senato Atti, filza 73 (a. 1551-60), doc. 70 e 71. (54) Archivio di Stato in Genova, Senato, filza 60, Lettera dei Commissari genovesi, 3 ott. 1558. (55) Ivi, Lettera di Ambrogio Gentile Senarega cit. a nota 52. (56) Archivio di Stato in Genova, Finale, reg. 54, p. 17 e seg., Lettera del Figueroa a S. Maestà Cesarea, 5 ott. 1558. — Gioffredo, Storia delie Alpi Marittime, col. 1515. (57) Lettera del Figueroa 5 ott. 1558, cit. a nota precedente. Tomaso D’Oria fu più tardi, come si vedrà, depositario del castello. (58) L. c. (59) Lettera di Ambrogio Gentile Senarega, di cui a nota 52. (60) Finale, reg. 54 cit., p. 101 e seg., Supplica di Alfonso a S. Maestà Cesarea; pp. 27 e segg., Deposizioni testimoniali; e, p. 117 v., Doc. 4 ott. 1558. (61) Finale, reg. 54 cit., p. 20 v. e 21, Lettera del Figueroa a S. Maestà Cesarea, 20 nov. 1558· (62) Lettera 20 nov. 1558, di cui a nota precedente. (63) Finale, reg. 54 cit., p. 37. (64) Finale, reg. cit. pp. 38 e segg. (65) Archivio di Stato in Genova, Senato, filza 60, Lettera dei Commissari Tomaso D’Oria e Baliano Fiesco, 20 ott. 1558; Lettera dei Commissari G. B. Pinello e C. Calvo, 26 ott. 1558; Lettere del colonnello A. Lomellino, 22, 23 e 27 ottobre 1558. 72 ALFONSO DEL CARRETTO (66) Senato, filza 60 (a. 1558), Lettera di Tomaso D’Oria 3 nov. 1558 ; Lettera dei Commissari G. B. Pinello e C. Calvo 3 nov. 1558. (67) Finale, reg. 54 cit., p. 42 e seg., Lettera di Alfonso a S. Maestà Cesarea, 2 genti. 1559; Atti a pp. 1 e segg., 101 e segg. - Finale, filza 2.a, Scripturae factae per Alphonsum ante petitionem ultimam, a. 1558. (68) Finale, reg. 54 cit., pag. 121, Protesta. (69) Finale, reg. cit., p. 38 v„ Lettera del Figueroa a S. Maestà Cesarea, 15 die. 1558. (70) Finale, reg. cit., pp. 101 e segg., Supplica di Alfonso. — Veg-gasi pure, a p. 42 e seg., Lettera di Alfonso all’imperatore 2 gemi. 1559. (71) Finale, reg. cit., p. 40 v. e seg.. Lettera del Governo di Genova a S. Maestà Cesarea, 11 die. 1558. (72) Finale, reg. cit., p. 39 v., Lettera del Figueroa all’imperatore, 15 die. 1558. (73) Finale, reg. cit., p. 43, Doe. 3 febbraio 1559. (74) Non già Anton Maria Bracelli, come erroneamente scrisse I’Accinelli nel suo Compendio delle storie di Genova, I, p. 90, e il Gioffredo, Storia delle Alpi Marittime, col. 1515. Vedi in Archivio di Stato di Genova, reg. 72 Finale « Notae ex armario rerum finarien-sium », p. 9. (75) E’ noto come la Repubblica per quella pace ottenesse la restituzione di.tutte le piazze e provincie della Corsica occupate dai Francesi, nonostante il mal volere dei Corsi. (76) Gioffredo, Op. cit. (77) Finale, reg. 54 cit., p. 44 e seg., Relazione degli ambasciatori genovesi a S. Maestà Cesarea, 1 aprile 1559. Cfr. « Ristretto delle ozio ni della Repubblica » in filza 12, Finale. (78) Finale, l. c., p. 3. (79) Gioffredo, Op. cit. (80) Finale, l. c., p. 426 v. e seg.; Sentenza 10 marzo 1561. — Acci-nelli, Compendio della storia di Genova, I, p. 90; Gioffredo, Op. cit., col. 1515. (81) Archivio di Stato in Genova, reg. 238, Liber secundus scripturarum finariensium, p. 87, Primo comandamento per la restituzione del Finale ad Alfonso, del 13 marzo 1561 ; e, p. 95, Ordine dell’imperatore alla Repubblica e a Filippo D’Oria di reintegrare Alfonso nel possesso di Finale, del 29 marzo 1561. (82) Archivio di Stato in Genova, Finale, filza 2. a. 1563, Nar- NOTE 73 razione di quanto si trattò con Martino della Nuzza, ecc. ; e, Gioffredo, Op. cit. (83) Archivio di Stato in Genova, Finale, reg. 72, p. 20 v. (84) Cosi nel reg. di cui sopra, 1. c., si legge che « l’araldo tornato « in Germania aveva riferito di aver inteso dire in Genova che quel-« l’imperatore non era se non di carta, ecc. ». (85) Gioffredo, Op. cit. (86) Archivio di Stato in Genova, Finale, busta 252, voi. I, p. 259 v., Deliberazione di Ferdinando, 4 nov. 1563. (87) Finale, filza 2. cit., doc. 154, a. 1563, Narrazione di quello che si trattò con D. Martino della Nuzza. (88) Ibidv l. c. (89) Archivio di Stato in Genova, busta 252, I, p. 258 v. e segg. ; Gioffredo, Op. cit. (90) Ibidem, p. 262. (91) Ibidem, p. 269. — Sansovino, Op. cit., p. 208 e seg. (92) Queste lettere patenti con le istruzioni, stessa data, ai detti Commissari, si conservano nell’Archivio di Stato di Genova, Finale, filza 2. (93) Sansovino, Op. cit., p. 208 e seg. (94) L’una, del 29 gennaio 1564, data dal castello di Saliceto e diretta al Magnifico Francesco Gandolfo, uno dei procuratori di Finale; l’altra, dell’11 febbraio stesso anno, diretta agli uomini del Borgo di Finale, pure da Saliceto; e una terza, del 16 febbraio agli stessi, da Carcare (Difesa dei Finalesi, stampa cit., pp. 9 e segg.). (95) Difesa dei Finalesi, pp. 9 e segg. (96) Finale, filza 2., doc. 104, Relatio status Finarii. (97) Archivio di Stato in Genova, busta 252, Finale, I, pp. 272 v. e 276. (98) Difesa dei Finalesi, pp. 9 e segg. (99) Archivio di Stato in Genova, Finium, n. g. 237, doc. 10 febbraio 1567, pp. 367 e segg. (100) Ibidem, pp. 367 e segg., doc. 10 febbraio 1567, e pp. 331 e segg., doc. 6 ottobre 1567· (101) Questo secondo commissario, poco accetto ai Finalesi, fu poi sostituito da altri. (102) Archivio di Stato in Genova, sala 54, Finale, filza 1., Lettera di Massimiliano 2 aprile 1566, che annuncia l’invio di detti Commissari. 74 ALFONSO DEL CARRETTO (103) Archivio di Stato in Genova, Finium, n. g. 237 cit., documenti a pp. 367 e segg., e 331 e segg. (104) Ibidem, doc. a pp. 331, 343 e segg. (105) Ibidem, pp. 331 e segg. (106) Campana, Vita di Filippo II. par. 3, doc. 5, 1. 3, f. 48 e 1. 5, f. 100. (107) Archivio di Stato in Genova, Finale, reg. 73; Opuscolo a stampa intitolato : « Affari del Finale con Genova ». (108) Archivio di Stato in Genova, Finale, filza 12, Li progressi del Finale, ecc.; Finium, n. g. 237, Finale, I, p. 387, Istruzioni all’ambasciatore spedito in Germania, ecc. (109) Gioffredo, Op. cit. (no) Archivio di Stato in Genova, Finale, filza 12, Li progressi del Finale, ecc. — Ruiz de Laguna, in resp. causae Fin., n. 101. (in) Raffaele Della Torre, Cirologia, 1, p. 16. — Vedi pure Difesa dei Finalesi cit. pp. 9-15. (112) Gioffredo, Op. cit. e Difesa dei Finalesi cit., pp. 9‘15· (113) Archivio di Stato in Genova, Finale, reg. 73, PP· 3 e 4r « Nota sopra le opposizioni fatte dal Fisco di Milano contro la Casa di San Giorgio ». Le turbazioni causate all’Ufficio di S. Giorgio per la vendita del sale durarono parecchi anni. La Repubblica dopo d’allora fece ricorso continuamente ai re di Spagna per la reintegrazione deH’Ufficio di San Giorgio nella vendita del sale in Finale ; reintegrazione che ottenne finalmente nel 1646 in virtù di dispaccio 16 Agosto di quell anno, dato da Filippo IV. (114) Laguna, in caus. Fin., c. 2, n. 102 ecc. (115) Gioffredo, Op. cit. col. 1574. (116) Cioè: i castelli e luoghi di Stellanello, Carcare, Calizzano, Monchieri, Monforte, Novello, Sineo, Castelletto e la valle di Turoria. C117) Archivio di Stato in Genova, Finale, reg. 237, pp· 3°5 e segg., doc. 8 agosto 1573· — Vedi pure Finale, filza 2., « Sommario delle informazioni data dagli agenti dell’imperatore al Re Cattolico intorno al' Finaro ecc., 1617, 26 agosto ». (118) Difesa dei Finalesi cit., pp. 82 e segg., « Capitolazioni fatte in Milano ecc. li 27 ott. 1573 ». — Gioffredo, Op. cit. (119) Archivio di Stato in Genova, Finale, filza 2., doc. 26 agosto 1617, Sommario cit. NOTE 75 (120) Sommario 26 agosto 1617, sopra citato. (121) Archivio di Stato in Genova, Finale, filza 12, Li progressi del Finale, ecc., cit. (122) Archivio di Stato in Genova, Lettere Ministri, Vienna, busta 2531! Lettera 18 novembre 1581 del Governo genovese a G. Giorgi. (123) Ibid., Minuta della lettera del Governo genovese all’ambasciatore Centurione e, specialmente, lettera del 21 luglio 1582. (124) Ibid., Doc. cit. (125) Ibid., Lettera 22 nov. 1582 del Governo genovese a G. Giorgi. (126) Filippo III, a nome proprio e dei successori, ne prese nel-1 anno 1602 il possesso formale, stato corroborato e confermato in appresso, nel 1619, dall’imperatore Mattia. (127) Archivio di Stato in Genova, Finale, filza 2., Sommario cit. — Gioffredo, Op. cit. — Accinelli, Op. cit., e gli altri storici genovesi. . . _ DOCUMENTI DOCUMENTO I. (Difesa del Finalesi; stampa dell’a, 157Θ presso la Bibl. Civ. di Genova, pp. 46 e segg.) (1) (( Sommario delle tirannie usate dal Marchese Alfonso Carretto secondo inanzi alla prima e alla seconda sollevazione dei Finaresi, estratte dal Sommario presentato alla Maesta' Dell'Imperatore, con una aggiunta di parte in parte del modo col quale elle furono e contro cui furono particolarmente eseguite )). -*- I. — Senz’haver autorità et saputa della Sede Apostolica di fatto si appropriò le dignità Ecclesiastiche, li benefici di molte chiese, della confraternita di S. Spirito, et li legati annuali in opere pie fatti da’ suoi Maggiori negli ultimi loro testamenti, consueti pagarsi tanto anticamente che non restava memoria del prin- (i) Tale stampa è divenuta rarissima, essendone state ritirate le poche copie dagli aderenti della famiglia Del Carretto. Perciò credo utile pubblicare qui nuovamente il « Sommario delle tirannie usate dal marchese Alfonso ecc. » (Doc. I) insieme con i Capi d’accusa formulati contro di lui dai Finalesi dinanzi al Senato di Genova (Doc. II), presentando questi documenti un certo interesse per la storia finalese. i ^ 1^ - 80 ALFONSO DEL CARRETTO cipio. Et acciò tal usurpata licenza non gli fosse contesa scacciò dallo Stato il Rev. Prete Paolo Raimondo Vicario foraneo di Monsignor di Savona, alla cui diocesi maggior parte dello Stato è soggetta, et vi sostituì un altro, il quale, quantonque poi da detto Monsignor fusse perciò stato scomunicato, col favor del Marchese ritenne la male acquistata dignità. Apresso fece editto publico che niuno ardisse ricorrer per cose pertinenti alla giurisdic-tione Ecclesiastica da’ Superiori senza suo volere. In esecuzione del qual ampio editto tra gli altri condennò il Rettor d Orco (per che egli mandò un suo parrocchiano per la dispensa di un caso riservato a detto Monsignor) in scuti cento et esilio perpetuo, poi di haverlo nove mesi strettamente ritenuto carcerato, et il povero parrocchiano in scuti venticinque. Et come assoluto Signore di ogni conditione di persone, mandò anco in esilio molti monaci del convento della Madonna di Pia e dell’ordine di Santo Dominico, in dispregio de’ quali un lor converso incontratosegli per strada fece nudo spogliare, battere, et palesare a gl’occhi di esso lui, e de circostanti quelle parti del corpo che la natura nostra pare s inge gni per honestà tenerci coperte : et lhabito fatto portare ne ca stello servì per più dì ad un suo buffone a darle solazzo. et a con fessar molti soldati. Entrò molte volte senza segno alcuno di riverenza a cavallo nelle chiese, dov’è consueto conservarsi il Santissimo Sacramento dell’Eucarestia, et permesse che in vani modi si turbasse il culto divino. Et in dispregio della rehgion Cattolica fece anco venir a Finale (non si curando delle riprensioni i g di ciò da que’ venerandi Padri) un predicatore Francescano, da^ qual era insegnata dottrina men sana, nè d n i si parti sei sarvene il seme, qual forse si sarebbe ampliato, quando non us stata presta l’inquistione (dopo la sua partita) ad estinguere Pubblico inoltre due relazioni inedite, descrittive del castello G ne, degli anni ,558 e .7.3 (Doc. Ili e IV), important, per 1. 5 ^ costruzione; le quali si conservano aU'Archmo di Stato 1 in ultimo, gli atti di fedeltà che rinnovarono alla Repuhbhca e per essa a, Commissario P. Ravaschiero, i singoh uomnu de = vdle finalesi del territorio e distretto di Castelfranco, guins mone ^ pubblica, nel 1558 (Doc. V): atti che pure si trovano m de o DOCUMENTI 81 rore eh andava serpendo, con processare et far abiurare pubblicamente coloro, ch'erano caduti in grandissima heresia. AGGIUNTA. Pcr più chiara intelligenza delle cose sopradette, si aggiunge che dopo d’haver scacciato il predetto Rev. Vicario fece il Marchese all istesso Prete da lui sostituito esercir i divini ufficij, et contrattar il Santissimo Sacramento pubicamente, cosa fra i Cattolici tenuta per scandalosissima et horribile. Spogliò la Chiesa di S. Nicolao della Villa di Calice, et la Chiesa di S. Lorenzo della villa di V arigotti dei loro molini da grano, i quali poi al tempo delle sollevazioni furono dai Rettori re pigliati. Ai padri del convento della Madonna di Pia, et a quelli del Convento di Santa Caterina fece roinar i gombi da oglio, che an-tichissimamente havevano posseduti et usati. All’istesso convento di Santa Caterina tolse un’entrata o sia elemosina di quattro mine di grano annuali, di una decima d’una rete da pesci et di cinquanta pani la settimana, la quale era stcu-ta lasciata al Convento da gl’antichi d’esso Marchese con obbli-gatione di certi anniversarii. Tolse alla Confraternita di S. Spirito Ventrate che si distribuivano annualmente nelle tre feste della Pentecoste per elemosina ai poveri. Prete Pietro Mazza, rettor della villa d'Orco, fu da lui tenuto nove mesi in prigione, et poi lasciato con haver pagati prima cento scudi, et restar bandito in vita; et a Bernardo Leone che andò dal vescovo fece pagar venticinque scuti. Soleva entrare con i cavalli nella chiesa della Madonna di Pia et di S. Biagio, andando fin inanzi al luogo del Santissimo Sacramento senza riverenza alcuna, dove dai cavalli ancora era sporcato. Battista Bertone fu quello che spogliò frate Antonio, et con quell’habito faceva il buffone inanzi al Marchese. Fece predicar molte heresie nella parrocchia di S. Biagio da un frate Franciscano chiamato Monocolo, alle prediche del quale faceva egli imitar i borghesi di casa in casa, onde essendosi spar- 82 ALFONSO DEL CARRETTO se Vopinioni lierctiche, ne seguì poi che ne furono inquisiti et abiurati dall Inquisizione il Prevosto di detta chiesa parrocchiale, Damiano Scandolìno et Nicoloa Bruncngo pubblicamente, et altri secretavi ente; et altri se nc fuggirono a Genevra. SEGUE IL SOMMARIO. 2. — Appresso il dispregio delle cose divine seguiva il contempto della superiorità de' suoi Signori, perciò che pubicamente usava dire ch’egli era Papa, et Imperatore, et Re. et acciò che i fatti si confacessero con queste parole, interdisse per grida che niuno ardisse di ricorrer da altri superiori che da sè; la qual volontà fu crudelmente eseguita contro Ambrogio Divitia di Stellanello. che rilegò perpetuamente in Sicilia con sicurtà di mille scuti, per haver ragionato di ricorrere dall’imperatore Carlo Quinto di gloriosissima ricordatione ; contra Bartholomeo Riche-ro che feoe uccidere ; Georgio della Chiesa che fu letalmente ferito. et questi di Finale; et ancora contra Bernardino Trembiano, Giovan Pier Berthone et Georgio Gorressio di Bagnasco uccisi in strada, ricorrendo dal Signor Duca di Savoia diretto Signore di detto luogo, et il simile ad Antonio Barbiere et Gio. Antonio Rosso di Osiglia; per il che gli huomini di Bagnasco, et di molti suoi luoghi di oltre il giogo si dettero a’ Francesi, che allora guerreggiavano in Piemonte, con danno assai del Romano Imperio. AGGIUNTA. Bartolomeo Richero fu ammazzato nella villa di C arbuta da un certo chiamato Rebizzo, Commissario di esso Marchese, il era accompagnato da Agostino Marchiano, Gio. Richero, Gia~ conio Malanno e altri satelliti. Georgio della Chiesa fu assaltato e ferito in mezzo la strada che và dal Borgo alla Marina, da mezzo giorno, dal Barigello e altri Ministri d'esso Marchese. Bernardino Trembiano fu fatto di notte strangolar da esso Marchese per mano di Damiano Castiglia, suo segretario, e di DOCUMENTI 83 Giovan Beiosa, cameriere ; i quali, fingendo burlar con esso lui, lo ammazzarono. Giovan Pier Berthone e Geórgio Gorressio fumo ammazzati da Pietro Durazzo, figliuolo del Castellano di Bagnasco, e da altri che erano in sua compagnia, i quali di ordine del Marchese si assentarono ; poi, essendo a querela dei parenti esso Durazzo processato, si costituì in Castello dove fintamente pareva che fusse tenuto prigione in una torre, dove fingendosi venir all’atto della tortura, introdusse alcuni che per testimonij stessero a sen-tire il Durazzo, che gridava ad alta voce e negava l’homicidio fingendo d’esser alla corda; non essendo però da questi che l’iidi- ' vano veduto, ma si ben conosciuta la voce non esser di tormentato, e con questo colore fu il Durazzo assoluto. Antonio Barbiere e Giovanni Antonio Rosso di Osiglia furono assaliti dal sopradetto Rebizzo e da Bernardo Balestrerò di Gorra e altri, da i quali il Barbiere restò ucciso ; e il Rosso, ferito mortalmente, fu gettato da loro in un lago d’acqua, credendo essi che fusse morto ; ma pur egli scampò e scoperse il tutto. SEGUE IL SOMMARIO. 3· — Dopo l’ingiurie che principalmente offendevano Dio, et li principi del mondo, intollerabile era, per esacerbare gli animi de’ suoi sudditi, quello che commetteva contro l’honore loro. Perchè al poco riguardo che vi haveva, pareva con esso nata insieme Finfamia et l’obbrobrio delle case loro; essendo che molte giovane donzelle di honesti parenti furono da lui sforzatamele vergognate, facendole condurre nel castello, sotto specie d’impetrar gracia alli loro padri, fatti malitiosamente a questo fine carcerare,-et con altre arti ricordategli dalli ministri del suo libidinoso furore, con li quali (dopo che s’era satiato) compartiva la pudicicia delle povere e infelici donzelle, massime di quelle che Contrastandogli lo haveano sdegnato; et molte volte convertì la lussuria in odio et crudeltà contro quelli massime, che talvolta, per conservazione dell’honestà delle sue donne, gli impedirono alcune di queste stratagemma ; come fece contra Bertone Bel-lenda, et a sua moglie nella villa di Rialto, che fece uccidere di S4 ALFONSO DEL CARRETTO notte nelle proprie case: et contro Bernardo Camosso, et Pietro Casanova, dai quali poi d'averli violate le figliuole, et fatti star molti dì prigioni in Castello, ancora si fece pagar molti denari, et anche a detti perv ersi Ministri. AGGIUNTA. Bertone Bellenda era oste della zilla di Rialto: però conducendo Giacopo Mail ari no con altri ruffiani una notte una nepote di quest’hoste alla z'olta del Castello al Marchese, come la figliuola gionse zicino alla casa di questo suo do. cominciò a gridare e domandare aiuto, al cui grido conosciuta la voce il Bellenda e sua mgolie la z'olsero aiutare et fecero ogni possibile, ma non poterono: et riferto questo ardire del Bellenda dai ruffiani al Marchese, esso fece ambi dite con disonesti modi ammazzar la notte seguente, et per disprezzo havendo sforzata la figliuola la diede poi in preda ai suoi serzitori et si usurpò dopo questo li beni d'esso Bellenda. Bernardo Camosso haveva una bellissima figliuola, nè la volendo consentire al Marchese che gliela ricercaz'a. dorarne di esso Marchese, il sopradetto Giacobo Malanno nascose quattro reste da donna in una casa di fieno di esso Camosso, e fingendo che fussero state rubate, le fece cercar dai satelliti, et ritroiar nel luogo doz esso Ihaz'ea poste: et con questa occasioni fu il Catnossio imputato di furto, condotto prigione in Castillo, do>. t fin end osi di volerlo tormentare con grossi ferri ai piedi, si Ridiede z'ista alla moglie, la qual era venuta a veder il marito, clu vedendo il pericolo di lui. fu astretta per V acerbo dolore (cosi -consigliata dai ruffiani del Marchese) a condurle la figi'noia ì <■ r chieder oracia de! padre, et hazuta che 1 hebbe il Manli est. -, *r che eìla n era restata sempre dogliosa, la consentì a tutta la sua corte. Pietro Casanoz a per simil causa incarcerato, ancor che sapesse il modo di ottener la grado, che ebbe il Camosso, pur noti z’olse mai consentire, et sopportò il martirio della corda, onde ne restò stroppiato, et pagò buona somma di denari. Stuprò con siimi arte una figliuola di Λ icolac Romeo di a DOCUMENTI 85 lice; et molte altre parimente così if ergini come maritate da lui furono sotto diverse stratagemme et inusitati modi stuprate et adulterate, le quali se non sono del tutto secrete, si sono taciute e si tacciono ancora per non infamar i parentati; ma che si scopriranno quando ci sia giudice di S. M. Cesarea che secreta-mentc ne vogli prendere informatione. SEGUE IL SOMMARIO. 4- — Prossima a quest’ingiuria era il togliere ai padri, et a chi apparteneva, il maritar et la eletione de’ sposi per le loro figliuole, et massime ai ricchi ; non volendo che le maritassero senza il voler suo. il qual era a chi più denari li dava concesso, et spesse volte a indegni et vitiosi o tali, che erano vergognosi per la bassezza delle loro conditioni : come fu quello di Gio-vannina Lafranca, sorella di Bernardo, in Bemaba Riccobono. Et chi contrafaceva era severamente multato in notabili somme di denari, come furono tra molti gli heredi di Nicolo Badelino et Antonio Mazzaferro. Commutò anco legittimi matrimoni, come fu quello, tra gli altri, di Giovannma Lafranca, già moglie di Bernardo Lafranco, in Uberto Bonorino, et di Bianchineta Raimonda nel fratello di Lorenzo Aycardo. AGGIUNTA. l'olez'a il Marchese dar Giovannina Lafranca al predetto Bernaba Riccobono, ma fu liberata do. questo matrimonio con duecento scudi, che Bernardo, fratello di essa Giovannina, pagò al Marchese: et perchè all’istesso Bernardo esso Marchese ha-vea tolta la moglie, domandata pur ancor lei Giovannina, et datala al Bonorino suddetto, se volse il Bernardo recuperarla, le convenne pagar al Bonorino trenta scuti, chè così volse il Marchese. Catetta, figlia di Nicolao Badelino della Marina, si maritò per mezzo de’ suoi parenti al Sig. Honorato Drago, hora Senatore del sig. Duca di Savoja; et perchè fu questo matrimonio 86 ALFONSO DEL CARRETTO fatto senza licenza del Marchese, che l’havea designata per il sig. Gio. Alberto Carretto, suo famigliare, loro fece pagar trecento sciiti per pena. Havea il Marchese proibito ad Antonio Mazzaferro della villa di Perti il maritar di sua figliuola; e, volendosene egli liberar, bisognò d’ordine di esso Marchese che pagasse buona somme di denari a Rebizzo Commissario. Simii prohibitione fece ad Antonio Scarella di Rialto et a molti altri, ai quali bisognò, se volsero disponere delle sue figliuole, che passassero per la strada del Mazzaferro. Comandò il Marchese a Bianchinetta Raimonda della Villa di Bardino che prendesse per marito Bernardo Aycardo, suo stretto parente, et essendo così stati un tempo in questo matrimonio, f urono dal Vescovo di Albenga divisi, et da lui riceverono aspra penitenza; dopo la quale Bianchinetta si maritò ad un Lorenzo Aycardo. Il sopradetto Barnaba Riccobono s’ebbe per moglie Gioan-nolla J'igliola della villa di Feglino, et, questo non ostante, il Marchese costrinse Biancolla Vigliola·, cugina germana della detta Gioannolla, a pigliar ancor lei per marito lo stesso Riccobono; di maniera che si trovò haver havute due cugine per moglie per esser favorito dal Marchese, che lo haveva fatto Commissario sopra i molini da oglio. SEGUE IL SOMMARIO. 5. — Convertendo dunque l’honore delle famiglie soggettele, a proprio benefìcio, non è da meravigliare, se ancora nelle altre cose illecitamente s’ingegnava di estraerne, come fu costituendo monopolio nell’arte della chirurgia, onde seguivano infiniti danni alle vite di essi miseri sudditi, come avvenne a Nicolao Casatroia, a Pietro Brunengo et ad altri ; non usando remissione a cui contraffatto avesse, come non fece a Damiano Scosseria et altri. DOCUMENTI 87 AGGIUNTA. Questa inumanità era ancor maggiore che non vien scritta, perche quello che propose per solo cirogico egli era cameriere et habitava in Castello lontano dal Borgo, dove non si entrava nè si usciva se non con molta difficoltà; di maniera che molti infermi, bisognando di pronto rimedio, nè lo potendo havere in tempo, si morirono, et altri restorno stroppiati, come avvenne a Pietro Brunengo fra gli altri; nè vi era rimedio di poter hcl·-ver altra cura per le pene imposte dal Marchese, si che si poteva dire che chi s’infermava haveva a pagar la pena del suo male. Avz’ertendo che questo monopolio non fu solo, ma ancora ne fece in altre arti, et fra le altre nelle osterie delle ville et botteghe dei rivenderoli d’ogni vittuaglia. SEGUE IL SOMMARIO. 6. — Et per aprirsi meglio la strada alle ingiustizie che egli designava privò il popolo di tutti i suoi statuti, privilegi e scritture antiche, con le quali potevano opporsi con ragione al progresso di tanta tirannia. AGGIUNTA. Il Marchese si fece portare in Castello tutti gli statuti e franchezze dello Stato, per le quali si conosceva che i Finaresi erano sudditi conventionali et non ligii, nè assolutamente soggetti; e poi che lì ebbe il Marchese a suo modo accomodati, parte ne rilasciò e parte se ne ritenne. SEGUE IL SOMMARIO. 7. — Conseguente cosa era poi a così cieca avaritia, che ogni cosa appresso di lui fusse vendibile : decreti, sentenze, rescritti, testamenti e contratti ad ogni suo beneplacito rompeva, conver- 88 ALFONSO DEL CARRETTO tendoli a util suo. de’ ministri e amici suoi ; come fu il testamento di Giov. Galiano, gli istromenti o testamenti di Bernardo Galea et la donazione di Vincenzo Lafranco in due suoi generi ; facendo star tanto prigionati essi donatarii che l’havessero ri-vocata in uno delli ufficiali suoi, facendosi poi a sè pagare duecento scuti : il simile fece a Biagio Romeo et altri. Permetteva ancora impunità di delitti, pene indebite o almeno eccessive, cbnnumerandole più presto alla facoltà dei delinquenti, che alla qualità dei delitti. Nè ammetteva in dette cause criminali il più delle volte difesa, nè appellatione alcuna. Et alla amministra-tione della giustitia, in iscambio del Vicario legista, vi pose Francesco Berruto. simplice notaro, et per Commissario Pietro di Facio detto Rebizzo, et altri simili, i quali l’amministravano a modo et volere loro. AGGIUNTA. Il testamento di Giovanni Galiano fu da lui annullato et prohibiti molti legati lasciati alli Padri dell’ordine di S. Dominico, et ad altre opere pie; perchè Vincenzo Brunengo, che aspettava questa hcredità intera, pagò ducento scuti al Marchese, perchè in tal maniera lo annidlasse. Bernardo Galea di Monticello, avendo fatto testamento e lasciato una sua casa a loghi pii, fu dal Marchese chiamato in castello e ivi sforzato a farne donatione a un certo Gio. Battista Moratorio, suo mastro di casa et cancelliere, il quale ancora al presente abita in essa. Vincenzo Lafranco della villa di Magliolo donò una parte de’ suoi beni ad Antonio e Georgio fratelli delli Ambrosii suoi generi, i quali perciò fece il Marchese condurre in Castello, e prima che lasciarli volse egli in dono duecento scuti da loro, e anco che facessero parte di questi beni a Bermba Riccobono et a Pietro Ferrari, suoi Commissarii. Mariola della Chiesa essendo vedova si prese in casa Pier Vincenzo Galuzzo, suo nepote, a suoi servizi, et dopo molti anni lo lasciò suo herede; ma come fu morta, il Marchese fece cacciare dai Ministri di giustizia questo herede fuori di casa; nè voi- DOCUMENTI 89 se che havessc quella heredità, se prima non donò cinquanta scudi ad un suo cameriere, che aspirava a quella heredità. Il medesimo usò con Biagio Romeo di Calice et con molti altri, che a suo tempo si diranno. Giacopo Malanno di Rialto, Pietro di Facio borghese, detto Rebizzo, Bernardo Bastardo di Gorra et Agostino Macchiano di Stellanello (fra gli altri molti che teneva il Marchese per suoi familiari) havevano nome di ufficiali, ma in fatto erano suoi scavezzacolli et bravi, i quali potevano fare ogni assassinamento senza dubbio di castigo; perchè anzi molte volte attaccavano delle questioni per far punire quelli in denaro che da loro restavano offesi, siccome avvenne a Gio. Francesco Savizano, che dal Malanno fu ferito e stroppiato et ad altri. Et questi ufficiali furono gli esecutori degli huomicidii et assassinamenti fatti fare dal Marchese; perchè da questi fu assassinato il prenominato Georgio della Chiesa, fu ucciso Bartolomeo Riche-ro, Bertone Beltenda e Gio. Aycardo di Gorra, ai quali tutti poi furono confiscati i beni. Commutò il giudice ordinario molte volte di Dottore in Notari0, perchè non volendo quelli admini-strar la giustitia se non conforme alle leggi et alli Statuti, et non secondo gl’ordini ch’egli per secrete polizze loro mandava; col mezzo dei notari faceva poi proferir gli ordini et le sentenze, secondo che le veniva più commodo a favorir i suoi satelliti 0 secondo che più le veniva offerto. SEGUE IL SOMMARIO. 8. — Quivi anche per tender più lacci a suoi sudditi usava prohibitioni insolite et mal publicate; d’onde estrasse poi una infinità di denari così da quelli che ignorantemente contrafacevano. come da quelli che per false accuse fingeva ch’havesse-ro contrafatto; in modo che, se (per esempio) un arbore fosse stato spezzato dal vento, o qualche nemico lo havesse inciso (forse sottomesso da esso Marchese), era però punito il padrone, come se egli stesso contro la forma del bando lo havesse tagliato; et pochi del paese restarono senza esser per queste cause condannati in grandi somme di denari, che pur pagarono. 90 ALFONSO DEL CARRETTO AGGIUNTA. Quasi tutto il vìvere delle ville fìnaresi si cava dalla legna che si manda fuori a vendere ; et volendo di qui il Marchese irar inestimabile somma di denari, proliibì, sotto aspre pene, che alcuno potesse tagliar alberi di roveri, di Castagni et di ulive; per il che non potendo la maggior parte dei paesani viver senza l’uso di esse, delle quali ancora era loro necessario tagliarne per rista tirar le case che si rovinavano, et bisognando ancora ogni anno nettare e potare gl’istcssi alberi per farli più fruttiferi, ed occorrendo di più che spesso (massimamente gli ulivi) erano spezzati dai venti, restorno condennati per questi accidenti qual in diece, qual in venti et chi sino alla somma di cento scuti, et sotto questa causa molti restorno multati ancor che mai non ha-vessero tagliato albero. SEGUE IL SOMMARIO. 9· Usò poi circa le vittoaglie di tutti i suoi raccolti tale iniquità, che al tempo che si raccoglievano mandava suoi ministri in volta a segnare il vino, oglio, et altre vettovaglie di questo, et di quel suddito ; et compratigli a nome del Signore per vilissimo prezzo qual però a tutti non era sborsato, li lassava poi la maggior parte a rischio di essi, infino alla stazione che più cari si vendono ; et allora constituitigli a suo modo il prezzo, ad essi medesimi li rivendeva, esigendolo poi con tutti i modi di severità; et a molti si fece pagar due volte senza poi cancellargli gli istrumenti degli obblighi ; et così, fatto lui solo negociatore, privò li Fìnaresi del negotio molto necessario. AGGIUNTA. PerChè di queste mercantie se ne veggano tuttora contrasti tra Fìnaresi, cioè tra adherenti del Marchese et popolani, non si estenderà a dire alcun particolare, ma si dirà il modo. Donque DOCUMENTI 91 sotto colore di munitionar il Castello, et cambiar le vitto aglie vecchie, faceva il Marchese ogn’anno pigliar in generale dai sudditi da quattromila scandagli di vino e più (è lo scandaglio una misura di vino di duecento libbre l’una), et lo apprezzava venti soldi di Genova lo scandaglio, che ad alcuni pagava et ad alcuni no. Pigliava poi tutti li pesci che si salavano in queste manne (che altrove si chiamano anchiove salate) pur a venti soldi il barile. Prendeva ancora la maggior parte delle fave et altri legumi che nascevano al paese pur per venti soldi lo staro {è lo staro la quarta parta d un sacco, il qual sacco è di peso di trecento libbre in circa); poi questi pesci e legumi con altri che faceva venire di f uori dello stato con duamila mine di grano, che comprava· a vilissimo prezzo, tutt’insieme compartiva a questi popoli finaresi sotto colore di smaltir la monitione del Castello, et loro faceva pagar tutto al più eccessivo prezzo che in quel-l anno si fussero potuto vendere. Ma qui non era tutto il male, perchè peggio era che le vittuaglie condotte per mare si corrompevano, et i pesci salati per esser mal tenuti si marcivano, et con tutto ciò se le faceva pagar come se fussero state buone, nè voleva che alcuno ricusasse di pigliarle, anzi puniva chi per essere corrotte le gettava via, come avvenne. Il vino poi, parte lo faceva condurre in Castello, et parte lasciava appresso di cui era fino a tanto che cresceva nel maggior prezzo, e, talora per la maggior parte lo faceva ripigliar ai medesimi patroni, et pagarsi il prezzo cresciuto; non avendo riguardo alle disgrafìe, se si fusse sparso o guasto, nè alia necessità, se l'avessero bevuto, nè meno voleva clic si avesse consideratione ai mancamenti che sogliono fare i vini nuovi. Gli oli che li restavano ai suoi molini nelle rotture delle olive, che si chiamano risanzi, compartiva- in questa maniera al popolo : che quando ve n’era raccolto abbondante forcava i popoli a pigliarne buone somme per li anni seguenti, che non ve nera et che valeva caro, mando molte arti per far crescer al più che poteva i prezzi, et cresciuti eh’erano, faceva egli apprezzar quello che havea compartito ai popoli et pagarselo. Di più usava questo, che cercando con diversi lacci di gride et prohibitioni di far molte condanne fiscali, di queste poi et dei resti degli accrescimenti delle vìttovaglie se ne faceva far obblighi dai popoli per instrumenti di debiti di oglio; in maniera che 92 ALFONSO DEL CARRETTO ogni anno senza denari aveva fatte site da quattromila barile d'oglio, per le quali, facendosi Pagar le usure et li accrescimenti del prezzo, restaz’a sempre con augumento incredibile : col quale havendo così perseverato più anni, sera· fatto tutfil popolo debitore senza speranza di potersene mai più sbrigare; per che i raccolti che seguivano, con quanto sudore potesser fare i poveri, non potevano supplire per il multiplico delle usure et, se pur alcuno pagava queste mercantie, bene spesso le convelleva farlo due c più volte ; per che se ben haveano le polizze dei pagamenti degli esattori deputati et le portavano al Marchese, esso le gettava nel fuoco, volendo che pagassero, allegando che non erano buone. Nè z'i era modo di trovar il fine di tanti intricati mali negotii; per li quali voleva ancora che tutti i suoi crediti fussci o anteriori a quali si volessero anteriori istrumenti, ancor che di doti di vedove et di pupilli, che di molti anni inanti fusser fatti, et il medesimo concedeva a quelli che sforzava pagar, o per esser sigurtà, o per altro li medesimi crediti, che egli con soi decreti faceva anteriori, ancor che fossero di gran tempo posteriori, come avvenne in Antonio Boiga fatto anteriore della moglie di Antonio Borragio, che per questo è restata priva della dote. SEGUE IL SOMMARIO. io. — Non contentassi neanche goder le gabelle della carne et vino sotto quel modo, che li sudditi suoi (dei e n’accomodarono li suoi antepassati. Accrebbe la a carne da tre sino in venticinque denari per ogni ru e , fu peggio, volle che ogni villa, dove non si macellano sa vo po che e vili carni, in comune gli pagasse una quantità di scu · All’altra, che per ogni scandaglio o sia mensura 1 vino, fusse portata fuori dello Stato, si pagasse un soldo di Genov di quel dhe vi era condotto tre. Et di più nelle dette ville deputo rivenditori di pane, oglio, sale et di simil cose a minuto, a gu no dei quali si faceva pagare da quindici sino in trenta som, prohibendo che altri vendessero. Fece ancora obbligare ogni go a doverle dare ogni anno quattro some di legna, ^ e qu ridusse in mezzo scudo per fuogo, et fece giurare ai detti DOCUMENTI 93 mini, ch’era il suo meglio et ohe così erano consueti pagare; cose tutte alienissime dal vero, et che furono di stratio et danno molto ai detti miseri. AGGIUNTA. Che le gabelle fussero dei sudditi, et per che causa le imponessero, ne fanno chiara et manifesta fede li statuti. Dalli nvendaruoli nominati, ordinati a guisa di monopolio, quanti inganni ne uscissero a danno dei poveri, lo può considerare chi fa l’arte di questi bottegai che sono soli, nè altro che essi può esercir quel mestiere. Quando introdusse la gravezza ossia gabella della legna, che converse in mezzo scuto, ne fece far i bandi et pubblicarli nelle case dei disciplinanti, quando erano quivi ragùnati per le loro orationi. V " SEGUE IL SOMMARIO. il. — Faceva poi fare nel Castello et sue possessioni fa-briche da non mai finirsi ; alle quali haveva compartiti tutti gli huomini et bestie del Stato, facendoveli lavorare anco li giorni festivi, et portarvi gli strumenti bisognevoli, senza darle poi premio, nè vivere; anzi alcuni erano severamente battuti, et mancando (quantonque alcun’altro vi havesse in suo cambio mandato), puniti, non perdonando nè a vidue, nè a pupilli. Il feno delle sue terre lo assignava a cui voleva a mezzo scuto il cantaro, prezzo eccessivo; et mancando alcuno di toglierlo, era punito chi in quindeci et chi in venti scuti, come tra molti fu Antonio Lafranco et Bernardo Burlo. « AGGIUNTA. Oltre la grandezza delle fabriche, era poi impossibile il condurle a fine, perchè voleva egli abbassar la montagna di 94 ALFONSO DEL CARRETTO Bitinguolo, la quale nasconde il Borgo del Castello, et è tutta di scoglio naturale, in maniera che non l’havrebbe abbassata in mille anni la potenza di quanti principi sieno in Italici- Impossibile era ancora il fare i terrapieni smisurati, che egli haveva designato verso giogo, sì perchè stando in pendente il sito, con quante muraglie et tenaglie sapeva trovare, non si potezra ritener il terreno, il quale era poi portato di molto lontano. ■Nella fabrica del suo prato oltre ai carichi che ne fece portare ai popoli, volse poi che quelli, che havevano alberi fruttiferi nelle loro possessioni, li trapiantassero nel suo prato, non pagando però nè anco in questo gli alberi, nè la fatica. SEGUE IL SOMMARIO. 12. — Et perchè li condannati per dausa di alberi tagliati, mensure et pesi, che diceva (il che non era) essere scarsi, et molti altri simili colorati pretesti calunniosamente apposti ai detti sudditi, non potessero per alcun tempo redarguire 1 int>^ àtitia delle condennazioni, faceva obligarli per instrumento diceva ex causa mutui, numerando li denari in presenza ei ^ stimoni et del nodaro, i quali poi, publicato il contratto, se b i ce va incontinente ritornare : et condennò, per pesi, Scosseria in scuti quaranta; et, per mensure. Battista a scuti mille, Giovan Cerruto in mille ducento, Bernardo u^gto in ducento; condennò anco Nicolao Scarella, sotto Pr.e ch’havesse per troppo vii prezzo compre certe terre, in scuti ^ ^ cento; et Giacobo Ferrino, che vendè i suoi beni per ha itare trove, in scuti centoquindici. AGGIUNTA. · Del modo di convertir per istrumenti le condanne et le u ^ et gli altri ingiusti guadagni in forma di imprestiti et ^ ^ _ piegamenti di vettovaglie, già di sopra ne havemo ragio si a joiongt però che molti pagarono questi tali colorati t stiti, ma non vi fu ordine che mai gli {strumenti si canee a DOCUMENTI 95 In questo Marchesato era consueto (siccome è negli altri luoghi) di eleggersi alcuni particolari per giudici delle vettovaglie, che quivi chiamano stanzieri, et a questi toccava il dar la metà dei prezzi delle vettovaglie, et riveder i pesi et le mesure; ma non ne estraendo il Marchese quello che haveria voluto, deputò egli commissario un certo Manfrino Castellano, il quale a bel diletto raccoglieva■ insieme una infinità di pesi, misure, statere et bilanzelli, le quali mettendo tutte a mucchio insieme, trasferendole da un luogo a un altro, faceva con tale astutia restar tutti i pesi, col resto che havea raccolto, disordinati in maniera che non si trovavano nè giusti nè ingiusti; et con questa occasione faceva far una infinità di condanne, delle quali molte erano fuor di modo eccessive, come che però non saria stato dai popoli biasimato questo ufficio et diligenza pur che non vi fussi stato inganno. SEGUE IL SOMMARIO. 13· — Di fatto rovinò tutti gli edifizi da oglio dei particolari per antichissima ragione et possesso ritenuti sin allora, fabbricandone poi in luogo di questi altri novi a proprie spese di detti uomini, i quali poi erano sforzati a macinarvi le sue olive, con danno di più della metà degli oli che se ne doveano estrahere. AGGIUNTA. Perchè questo capo è assai manifesto per gli istrumenti e testimoni clic ne fanno fede, non occorre farvi sopra maggiore dechiaratione di quello che si è detto nel discorso : ben si ag-gionge che il Marchese delle mine di questi gombi fece altri molini, ai quali sforzò a andar i popoli, dove faceva loro usar dalli molinari et soprastanti questo inganno, che prima non macinavano le ulive secondo che era necessario, nè le premevano tanto che ne potesse uscir Voglio, secondo che seria stato conveniente; et questo perchè dai risanzi, havendoli fatto meglio macinar 96 ALFONSO DEL CARRETTO et usandovi l’acqua calda (cosa che non permetteva far i padroni), nc traheva con quest’astutia poco inen d'altro tanto oglio di quello che n'havevano i padroni; i quali talora ne haveva-no ancor meno, perchè, affine che non fosse scoperta et veduta questa malizia, non fece il Marchese far finestre nelli molini se non piccolissime, nè voleva che se zi tenesse lume. I legnami che mancarono alla fabbrica di questi molini li prese anco nelli boschi istessi dei Finaresi senza pagarli, siccome egli era usato di fare in tutti quelli alberi ancora che le parevano a proposito di fabriche, che esso faceva marcare con un segno di croce: et ancor che non li pagasse, non voleva che i padroni se nc sentissero ; et di questi alberi se ne veggono ancora oggi di molti cosi marcati. SEGUE IL SOMMARIO. 14. — Finalmente la troppa pacienza de’ suoi sudditi gli diede animo di pervenire tanto inanzi. che sotto certi vani pretesti di una heredità pervenuta già ducent’anni erano a suoi antichi, prorogando i termini delle terre hereditarie senza ri tegno. abbracciava tutto il paese ; et prima si poneva al possesso di fatto delle terre et case di tutti i sudditi suoi, et tanto o tali come di chiese, hospitali, et altri pii luoghi : facevali poi e stimare molto più del vero prezzo, et sforzava li medesimi pa droni a prenderle ad affitto a ragioni di cinque per cento di que lo erano estimate, il che veniva ad eccedere assai il reddito 1 esse terre ; et cumulando nova iniquità, erano astretti li me esi mi padroni di esse a giurar ch’erano soliti tanto pagare (il c e non fu giammai), et ancora a sborsare subito cinque scuti per ogni cento, per la mercede di quei ministri et estimatori, come se li fussero adoperati in loro benefìtio, quali per più guadagno molto più restimavano. AGGIUNTA. Quest'atto tirannico fu l’ultimo inanti alla prima sollevatici nc, perchè essendo li huomini già pregni d’ira et di sdegno per DOCUMENTI 97 le tirannie sopra narrate, alle quali non trovavano rimedio, et che oltra a queste designava il Marchese di impadronirsi delle pi opnetà dì tutto lo Stato, e farli tuiii tributari; et veggendo che era pur troppo manifesto l’inganno delli termini che egli fece dispiantare} et crudele il modo col quale i suoi estimatori estimavano il paese; che per guadagnar più prezzo facevano maggiori gli estimi, per li quali inumanamente volendosi pagar delli cinque per cento da molti poverelli che non havevano il modo, li spogliavano sin delle coperte et lenzuoli dei letti, et queste cose vendevano poi secondo la loro poca discretione ; et aggiungendosi a questo che il Marchese voleva cinque per cento di fitto, noti secondo I’entrata, ma secondo l’estimo, non fu mercl·-viglia se, inanimati dal Capellino, al fine disciolsero tanti lacci et modi tirannici con la spada, et si sollevorno. SEGUE IL SOMMARIO DOPO LA PRIMA SOLLEVAZIONE. ]5· — Ih questo mezzo che essi procuratori in Corte dimoravano, li Ministri del Marchese reintegrati di novo l’a. 1564 li 21 di febbraio al possesso di Finale con una grande moltitudine di soldati, dei quali era capo il sig. Gio. Alberto Carretto, che tutti furono da detti huomini amorevolmente et con grandi feste ricevuti, et fatte ancore le provisioni necessarie per il vivere et alloggiamenti di Sua Signoria, non si tosto furono in stato che rinnovorno le medesime tirannie; et vi aggionsero di peggio, affliggendoli con l’infinito numero di soldati compartiti a spese dei sudditi nelle proprie loro case, contro la promessa /n voce et in scritto data dal detto Signor Gio. Alberto, in casa cioè di quelli che havevano constituiti li procuratori per mandare a S. Maestà ; dove i miseri padroni tolleravano tutte quelle ingiurie sì nella persona, come nell’honore, et nelli beni, che simili sogliono usar, massime instigati da nemici, lassando esenti, et liberi da tali et altri carichi (come per suo decreto appare) li aderenti suoi : et gli levò di più il siale mantenuto in quel luogo per antichissima consuetudine dai signori genovesi, non 98 ALFONSO DEL CARRETTO ve ne facendo però condur da altrove. Di queste novità donque venuta a essi procuratori nova con littere, supplicomo Sua Maestà le provedesse di Commissarii o d’altro rimedio bastante, presentando insieme la medesima littera, sopra che fu fatto il seguente decreto: AGGIUNTA. {Segue ivi copia del decreto, che omettiamo per brevità). SEGUE IL SOMMARIO. 16. — Il che visto, più volte esposero a V. M. et Ministri il pericolo in che per questo si ritrovavano quei huomini, massime che di continuo a Finale s’impiccavano, mandavano in galera et condennavano a torto molte innocenti persone, ma non però ottennero altro rimedio; il che causò di poi che detto Mar^ chese et Minstri liberi del dubbio di esser gastigati, estinta ogni consideratione di pietà et di giusticia, senza ritegno, nè mo o, con inganni parte, et parte con forza commessero le maggiori ingiusticie che si sentissero giammai : condennatine infiniti a mor te. dei quali ne fece impiccar nove, che ebbe in suo potere, an diti in perpetuo molt’altri, tra’ quali erano li costituiti procura^ tori istessi, mentre erano qua in Corte Cesarea, solo per ave havuto ricorso dalla Maestà V. in nome di quel comune. Ρ^1^1 che non si assicurorno comparere dinanzi a lui, nè dei suoi 11 ciali nel Finale; molti rilegati alle galee; et tutti con confisqattio dei beni. In pecuniaria pena infiniti, et quattro effettua nien fustigati ; uno dei quali fu poi ritenuto in picciola gabbia n10^. mesi, non admettendo per il più appellatione, nè difesa a cuna sua innocenza. , Et per ovviar ogni difesa, cosi di ragione, come i 3-fu una parte per forza indotta a rivocar il mandato fatto in e ti procuratori ; et*che tali rivocationi fussero per forza et con in gannì, la poca quantità dei rivocanti (che non sono una de e se parti degli uomini di quello Stato) et essi istrumenti lo imo DOCUMENTI 99 strano; et a chiamarsi ribelli, et che s’erano sollevati a suggestione dei Signori genovesi, et non per suo mal trattamento; et a rinunciar tuttociò che dal Tribunale Cesareo si fusse per essi impetrato; et molti che non volsero rivocare detto mandato fece imprigionare. Volse anche che consignassero tutte le loro armi nelle mani del suo Governatore, che non ne restituì salvo ad alcuni dei suoi aderenti. Nè vale che il d.o Marchese si scusi, et che dica che la inhibitione ultimamente per lui fatta, che quei huomini non potessero ricorrere ai superiori suoi, haverla fatta perchè non ricorressero ai Signori genovesi, perchè non si troverà mai che poi la restitutione habbiano detti huomini trattato di cosa alcuna concernente allo stato con detti signori, et che dice tutti questi mali trattamenti essersi fatti non con voler, et saputa sua, poi che molti et molti di quelli ch’havevano li suoi prigionati andorno alle Charchere, et a Casteggio dove stava, a supplicarle per gracia, o almeno per concessione delle difese et appellationi per detti suoi, come per molti scritti appare; quali supplicanti ivi con buone parole tratteneva fin che havesse fatti morire li prigioni, et poi rimandandoli al Governatore nei Finale gli diceva ch’erano espediti ; levò anco dall’ufficio del Vicariato il sig. dott. Gio. Pevere perchè non secondo l’appetito suo voleva amministrar la giusticia; et in suo luogo vi pose Bernardo Boiga dottor Finarese, il quale per ingratiarsi con detto signore (essendo egli stato principal autore et consigliere a mandar li detti procuratori alla Cesarea Corte) cominciò di fare qualonque ingiusticie; liberò anco dal sindacato il sig. Gio. Antonio Appiano ivi stato Vicario senz’haver conosciute le querele delli torti che aveva fatti, che furono più di 500, et questo fece per coprir le sue ingiusticie. Et molti degli inquisiti per La sollevation prima, che nei loro processi confessarono di esser stati ribelli, gli furono indotti dal detto Boiga, et altri ufficiali suoi con promesse di premii ; et che per tali confessioni non sariano offesi, dicendogli che facevano favor al signor Marchese contro de' Genovesi per conto delle spese della lite seguita. Oltre ciò, in molti prooessi dei giusticiati che mandò a giuristi milanesi ne cambiò et tolse di molte carte a danno di detti miseri. 100 ALFONSO DEL CARRETTO AGGIUNTA. Non fa bisogno alle sopra dette cose altra dichiaratione, se non palesar il modo col quale erano i processi degli uccisi falsificati et poi mandati a vedere. Usavano donque questo : scucivano prima i processi, et riservando le prime et seconde carte, dov erano le querele et richieste del Finale, et le ultime carte dov'èrano le sottoscr itioni del notaio attuario, mutavano poi quelle di mezzo, et riscambiavano in quella maniera che li mandavano fuori, bevendovi aggionto et accomodato quello che loro parea atto a far condennare alla morte quelli, che furono fatti morire sotto così falsi modi, i quali uccisi anco (se si fussero considerati il capo sottoscritto alla sentenza della restituzione del Marchese con i tre primi decreti della gloriosa memoria di Ferdinando Imperatore con la promessa che le fece il Marchese a bocca et in scritto di sua propria mano), havrìa ben conosciuto il Marchese, che dissimulava di non saperne, che non poteva farli morire, ne processarli per causa della sol-levatione; sì come per tal causa non poteva per le ragion dette proceder contra alcuno, per haver egli con le sue tirannie fatto a viva forza riuscir la sollevatione. Nè neghi questo il marchese, per che la promessa sua è manifesta a quei Signori del tempo della Maestà di Ferdinando, et la falsificazione dei processi si farà vedere ogni volta che sia dato Giudice in queste parti, al quale si possino presentar molti atti, copie et fedi che sono venute alle mani dei popoli, /er nator ibus Reipublice Januensis utique dominis Castri franchi eius districtus et pertinen/tiarum, de cuius jurisdictione et pertinentiis atque districtu fuit et est dicta villa prout dicti homines fatentur. Et volentes dictum juramentum prestitum per singulos homines approbare, rattificare, et ad cautellam de novo prestare. Ideo supradicti homines, constituti in presentia mei notarii et testium infrascriptorum, in manibus magnifici domini Petri Misci Ravascherii Commissarii dicti loci Castri franchi jurium et pertinentiarum meique notarii infrascripti stipulantium et recipientium nomine predicte Reipublice. Sponte etc. per se et eorum heredes et sucoessores approbaverunt, rattificaverunt, approbant et rattificant dictum juramentum prestitum dicto Ill.mo Domino Duci et Magnificis Dominis Gubernatoribus. Iterumque de novo in inanibus predicti Magnifici Domini Commissarii meique notiairii infrascripti stipulantium et recipientium nomine eiusdem Reipublice juraverunt per se et eorum heredes et successores perpetuo fore fideles dicto Ill.mo Domino Duci et Maeni-_ ficis Dominis Gubernatoribus didte Reipublice. Et erga dictam, Rempublicam omnia prestare ad que tenentur ex fprma iuris novarum constitutionum et consuetudinum. Que omnia etc. Rat. etc Et proinde etc. Exceptioni renun-ciantes etc. De quibus etc. Ad dictamen Sapientis etc. Actum in dicta villa Feglini in quaddam capella Crucifixi coro Ecclesie affixa, presentibus testibus egregiis Io. Georgio de Ecdesia et Francho Gandulfo notariis, Capitaneo Tulio de Montebello q. Jo. de Vincentia partis Longobardie ad hec etc. Extractum sic ut supra etc. Salvo jure etc. (S. T.) Nicolaus Pasturinus, .notarius. 126 ALFONSO DEL CARRETTO 9 ] 558, Dicembre 4. f Instrumentum fidelitatis renovate per homines Monticellir ville jurisdictionis Castri franchi. In nomine Domini Amen. .Anno Nativitatis eiusdem millesimo quingentesimo quinquagesimo octavo, indictione prima, die quarta mensis Deciembris. Congregati et convocati in imam homines ville Monticelli in lodo infrascripto, in quo soliti sunt omnes alii actus sui faciendj, quorum nomina sunt hec : Et primo Bernardus Gallea q. Antonii. Laurentius Plagia q. Bernardi. Bernardus Ventura q. Vincentii. Vincentius de Sanguinerò q. Francisci, Toannes Rogenus q. Antonii. Joannes Bo-norrrus q. Bart.. Joannes Olliverius q. Guliermi, Joannes Gal lexius Benedicti. Benedictus Gallexius q. Jo., Stephanus Plagia q. Finarini, Dominicus Bonomus q. Laurentii, V incentius Ma ria q. Laurentii. Pantaleo Cassissus Dalmatii, Jo, Baptista M laria q. Laurentii, Baptista Berthonus q. \ incentii, Petrus \ as salus Antonii. Bernardus de Sanguineto q. Joannis, V incentius Raymondus q. Luce, Jacobus Chiapa q. Petri, Thomas Rocha q. Leonardi. Joannes Olliverius q. Bernardi, Benedictus Chiapa q. Petri. Jo. Laurentius Bonomus Laurentii, Guliermus ^ve rius Toannis, Antonius Valfredus Bernardi, Bernardus rv rius Joannis, Bernardus Olliverius q. Guliermi. Framciscus Bonomus q. Petri, .Antonius Olliverius Bernardi, Nicolaus Plagia Stephani. Laurentius Plagia Stephani. Antonius Bonomus q. Bartolomei, Nicolaus Gallea q. Vincentii, Jacobus Bonomus q. Dominici, Dalmatius Cassissus q. Bernardi. Bartolomeus o-nomus Antonii, Petrus Chiapa Benedicti et Joannes guineto Bernardi. _ . ·, Scientes mensibus preteritis nomine universitatis icte vi le Monticelli et hominum per eorum sindicos et procuratores prestitum fuisse juramentum fidelitatis Ill.mo D. Duci et gnificis Dominis Gubernatoribus Reipublice Januensis tam DOCUMENTI 127 quam Dominis Castri franchi eius districtus et pertinentiarum, de cuius iurisdictione et pertinentiis atque districtu fuit et est dicta villa prout dicti homines fatentur. Et volentes dictum juramentum prestitum per singulos homines approbare et rattificare, et ad cautellani de novo prestare. Ideo supradicti homines constituti in presentia mei notarii et testium infrascriptorum in manibus Magnifici Domini Petri Flisci Ravascherii Commissarii dicti loci Castri franchi jurium et pertinentiarum meique notarii infrascripti stipulantium et recipientium nomine predicte Reipublice. Sponte etc. per se et eorum heredes et successores approbaverunt et rattificaverunt approbant, et rattifioaint dictum juramentum prestitum dicito Ill.mo D. Duci et Magnificis Dominis Gubernatoribus. Iterumque de novo in manibus predicti Magnifici Domini Commissarii meique notarii infrascripti stipulantium et recipientium nomine eiusdem Reipublice juraverunt per se et eorum heredes et successores perpetuo fore fidelles dicto Ill.mo D. Duci et Magnificis Dominis Gubernatoribus dicte Reipublice. Et erga dictam Rempublicam omnia prestare ad que tenentur ex forma juris novarum constitutionum et consuetudinum. Que omnia etc. Rafct. ect. Et proinde ec. Exceptioni renun-ciantes etc. De quibus etc. Ad dictamen salpientis etc. Actum in dicta villa Monticelli in Ecclesia S. Dalmatii, pre-sentibus testibus Capitaneo Jullio de Montebello q. Joannis de Vincentia, Jo. Jacobo de Villa nova Barnabe Januensis, Antonio de Ecclesia q. Andree de Sancto Stephano et Capitaneo Baptista de Bargha q. Antonii Magini ad hec etc. Extractum sic ut supra etc. Salvo jure etc. (S. T.) Nicolaus Pasturinus, notarius. 128 ALFONSO DEL CARRETTO 1558, Dicembre 4. Instrumentum fidelitatis renovate per homines ville Qrchi, jurisdictionis Castri franchi. In nomine Domini Amen. Anno Nativitatis eiusdem millesimo quingentesimo quinquagesimo octavo, indictione prima, die quarta decembris. C ongregati et convocati in unam homines ville Orchi in loco infrascìripto, in quo soliti sunt omnes alii actus sui faciendi, quorum nomina sunt hec : Et primo Joannes Mafeus q. Benedirti consul, Thomas Cheyraschus q. Bernardi. Joannes Mafeus q. Bernardi, Michael Ver-rus q. Damiani, Bernardus Senestrarius q. Constantini. Bemar-dus Bassus q. Jacobi, Baptista Rocha Georgii, Stephanus Bassus cj. Thome, Michael Chevra9chus q. Bernardi, Antonius lis-sonus q. Luce. Antonius Rocha q. Petri. Lazarus Maffeus q. Stephani, Antonius Tissonus q. Laurentii, Antonius Bassus q. Stephani, Bernardus de Leono q. Nicolai, Michael Bassus q. Bernardi, Stephanus Conte q. Toannis, Bernardus de Leono q. Joannis, Georgius Tissonus Petri, Michael Mafeus q· Bernardi, Petrus Boragnus q. Antonii, Petrus Tissonus Antonii, Bernardus Mafeus Joannis, loannes Tissonus q. Bernardi. Berthonus Mafeus Bernardi, Nicolaus Mafeus q. Bernardi, Stephanus Cheyraschus q. Bernardi, Berthonus Bassus q. Guidoti. Joannes Cheynaischus q. Bernardi, Ambroxius Maleus Stephani, Baptista Sambadus q. Bernardi. Bernardus Abbas q. Damiani, Antonius Maleus q. Georgii, Baptista Bassus Antonii, Antonius de Leono q. Bernardi, loannes Verrus q. Damiani. Jacobus Cheyraschus Michaelis, Nicolaus Veglissonus q. Jaoobi, Georgius Rocha q. Cipriani, Joannes Bassus q. Petri, Bernardus Rocha q. Cipriani, Henrichus Carerius q. Joannis, Simon Mafeus q. Bernardi, Joannes Pessanus q. Nicolai, Petrus Bassus Michaelis, Joannes Rocha q. Antonii, Berthonus Boerjus Ritius q. Jo. Baptiste, Lazarus Bassus q. Laurentii, Lazarus Se- DOCUMENTI 129 nestrarius q. Bernardi, Bernardus Bassus q. Antonii, Jacobus Veglissonus Nicolai, Joannes Verrus Michaelis, Joannes Rocha Bernardi, Jacobus Tissonus Antonii, Joannes de Leono Bernardi, Joannes Embronus Nicolai, Andreas Senestrarius Bernardi, Joannes Rocha Antonii, Nicolaus Boragnus q. Bernardi, -Michael Cheyraschus Jacobi, Joannes Maleus q. Petri, Joannes Bassus Petri, Bernardus Senesinairius Lazari, Stephanus Bassus Lazari, Joannes Tissonus Antonii, Bernardus Samba-dus Baptiste, Jacobus Cheyraschus Joiamnis, Antonius Rocha q. Henri ci, Joannes Sottemanus cj. Antonii, Finarius Mafeus Joannis, Bernardus Bassus q. Laurentii, Antonius Mafeus Joannis, Antonius Mafeus Michaelis, Bernardus Boerius Vitius Berthoni, Antonius Carerius Henrici, Petrus Mafeus cj. Bernardi, Joannes Tissonus q. Antonii, Antonius Freixa q. Baptiste. Joannes Freixa Bernardi, Nicolaus Embronus q. Joannis, Blaxius Maleus (j. Georgii, et Ambroxius Bassus q. Antonii. Scientes mensibus preteritis nomine universitatis dicte ville Orchi et hominum per eorum sindicos et procuratores prestitum fuisse juramentum fidelitatis Ill.mo D. Duci et Magnificis Dominis Gubernatoribus Reipublice Januensis utique dominis Castri franchi eius districtu et pertinentiarum, de cuius iurisdi-ctione et pertinenti is atque districtu fuit et est dicta villa prout dicti homines fatentur. Et. volentes dictum juramentum prestitum per singulos homines approbare, rattificare et ad cau-tellam de novo prestare etc etc. (segue come nei giuramenti precedenti). Actum in dicta villa Orchi in Ecclesia S. Laurentii super quendam murum prope pillam aque benedicte, presentibus testibus Capitaneo Tullio de Montebello cj. Joannis de Vincentia et Capitaneo Baptista de Bargha q. Antonii Magini ad hec etc. Extractum sic ut supra etc. Salvo jure etc. (S. T.) Nicolaus Pasturinus, notarius. 9 130 ALFONSO DEL CARRETTO 4. 1558, Dicembre 11. j Instrumentum fidelitatis renavate per lwmines ville Portus\ jurisdictionis Castri franchi. In nomine Domini Amen. Anno Nativitatis eiusdem millesimo quingentesimo quinquagesimo octavo, indictione prima, die XI Decembris. Congregati et convocati in unam homines ville Portus, in loco infrascripto, in quo soliti sunt omnes alii actus sui faciendi. quorum nomina sunt hec: Et primo Georgius Bassus q. Stephani. Petrus λ eglissonus q. Jacobi consules dicte ville. Bernardus \ eglissonus q. I au ’’ Antonius Abbas q. Bernardi. Franciscus Bassus Dalmatii, Lau rentius Abbas q. Joannis. Thomas Brundus q. Joannis. Remar dus Amorosius q. Dominici, Nicolaus Brundus q. Petri, Domini cus Brundus q. Petri, Nicolaus de Porta Baptiste, Joannes . bas q. Bernardi. Bernardus Bassus q. Thome. Berthonus »as sus q. Franchini, Baptista Brundus q. Petri, Petrus Re\el us q Damiani, Stephanus Malleus q. Benedicti, Antonius Bassus q. Benedicti, Bernardus Bassus q. Cristophori, λ incentius run dus q. Bernardi, Joannes Revellus q. Bernardi, Joannes assus q. Franchi, Dominicus Abbas Juliani, Petrus λ eglissoniu l Joannis. Petrus Peratus q. Laurentii, Antonius Peratus q. Bernardi, Laurentius Yeglissonus q. λ alentini. Nicolaus Peratus 1 Joannis, Petrus Bassus q. Thome. Bernardus Bassus q. e > Franciscus Bassus q. Laurentii, Laurentius Bassus q. ,e™a Bernardus Peratus Jeronimi, Petrus Abbas q. Stephani. nus Massaferrus q. Petri. Joannes Bassus q. Finarim, a|ire^ tius Revellus q. Franchi, Bernardus Revellus q. Laurentii, nes Maleus Stephani, Bernardus Bassus Berthoni, Antonius Porta Baptiste, Bernardus Abbas q. Stephani, Joannes dus Thome, Baptista Peratus q. Georgii, Baptista Re\e us q Antonii, Joannes Bassus Berthoni, Damianus Abbas q. DOCUMENTI 131 nardi, Petrus Brundus q. Dominici, Joannes Revellus cj. Franchi, Joannes Bassus q. Lodisii, Georgius Abbas Joannis, Laurentius de Porta q. Antonii, Franchinus Abbas q. Joannis, Joannes Veglissonus q. Bernardi, Nicolaus Bassus Joannis, Bernardus Brundus Vincentii, Joannes de Porta Laurentii, Joannes Bassus Bernardi, Petrus Amorosus Jacobi, Stephanus Bassus Bernardi, Bernardus Peratus q. Joannis, Baptista Bassus Antonii, Stephanus Abbas Bernardi, Franchus Bassus Joannis, Da-mianus Revellus; Petri, Bernardus Abbas Joannis, Andreas Brundus Baptiste, Georgius Bassus q. Joannis, Bernardus Brundus q. Stephani, et Joannes Bassus cj. Stephani. S aientes mensibus preteritis nomine universitatis dicte ville Portus et hominum per eorum sindicos et procuratores prestitum fuisse juramentum fideliatis Ill.mo D. Duci et Magnificis Gubernatoribus Reipublice Januensis tanquam Dominiis Castri franchi eius districtu et pertinentiarum, de cuius iurisdiotione et pertinenitiis atque districtu fuit et est dieta villa prout dicti homines fatentur. Et. volentes dictum juramentum prestitum per singulos homines approbare et rattificare et ad cautellam de novo prestare. Ideo supradicfci homines etc. etc. (segne come negli atti di giuramento precedenti). Actum in dlicta villa Portus in Ecclesia Sancti Salvatoris, presentibus testibus Capitaneo Jullio de Montebello q. Joannis de Vincentia et Capitaneo Baptista de Bargha q. Antonii Magini ad hec etc. Extractum sic ut supra etc. Salvo jure etc. (S. T.) Nicolaus Pasturinus, notarius. 5. 1558, Dicembre 11. j Instrumentum fidelitatis renovate per homines ville Vosa-rum, jurisdictionis Castri franchi. In nomine Domini Amen. Anno nativitatis eiusdem millesimo quingentesimo quinquagesimo octavo, indictione prima, die XI Decembris. 132 ALFONSO DEL CARRETTO Congregati et convocati in unam homines ville Vozarum in loco infrasaripto. in quo soliti sunt omnes alii actus sui faciendi, quorum nomina sunt hec : Et primo Joannes Revellus q. Michaelis, Bernardus Car-chaneus q. Baptiste, Petrus Maleus q. Nicolai, Silvester de Magistro q. Berthoni. Stephanus Cagnolla q. Mattei. Benedictus Fenogius q. Georgii, Franciscus Castellanus q. Dominici, Petrus Magnonus q. Dominici, Bernardus Fenogius q. Georgii, Dominicus Bassus q. Joannis, Yalentinus Bassus q. Joannis, Stephanus Magnonus q. Dominici, Bernardus Magnonus q. Damiani, Stephanus Sterla q. Bernardi, Nicolaus Magnonus q. Antonii, Stephanus Carchaneus q. Petri, Laurentius Cagnolla q. Antonii. Dominicus Magnonus q. Damiani, Philipus Bassus q. Joannis, Antonius Gandulia q. Georgii. Bernardus U-gnora q. Ramondi. Franciscus Carchaneus q. Antonii. Bartolo-meus Magnonus q. Joannis. Dominicus de Magistro q. Petri, Joannes Gatterius q. Antonii, Joannes Gandulia q. Jacobi, Jacobus Gandulia q. Lafranchi. Baptista Magnonus Bernardi, Antonius Morenus de Pamparato ibi habitans. Petrus Carchaneus Stephani. Bernardus Fenogius Bernardi, Michael Magnonus Nicolai, Georgius Magnonus Nicolai, Toannes Maleus q. Anto-nii. Antonius Sterla q. Joannis, Bernardus de Magistro q. r e-tri. Dominicus Gandulia Antonii. Pasquarinus Gandulia Antonii, Baptista Carchaneus Laziarri, et Antonius Cagnora Laurentii. Scientes mensibus preterit.is nomine universitatis dicte v ille et hominum per eorum sindicos et procuratores prestitum tuis-se juramentum fidelitatis 111.mo D. Duci et Magnificis Gubernatoribus Reipublice Januensis tamquam Dominis Castri franchi eius districti et pertinentiarum. de cuius iurisdictione et per tinentiis atque districtu fuit et est dicta villa prout dicti homi nes fatentur. Et volentes dictum juramentum prestitum per singulos homines approbare et rattificare et ad cautellam de novo prestare. Ideo etc. etc. (segue come negli atti di giura mento precedenti). # Actum in dieta villa Vozarum in Ecclesia S.ti Petri diete ville, presentibus testibus Capitaneo Tullio de Montebello q. Joan nis de Vinoenitia et Capitaneo Baptista de Bargha q. Antonii Magini ad hec etc. DOCUMENTI 133 Extractum sic ut supra etc. Salvo jure etc. (S. T.) Nicolaus Pasturinus, notarius. 6. 1558, Dicembre 18. t Instrumentum fideliikitis renovate per homines Varigoti, jurisdictionis Castri franchi. In nomine Domini Amen. Anno Nativitatis eiusdem millesimo quingentesimo quinquagesimo octavo, indictione prima die XYIII Decembris. Congregati et convocati in unam homines ville Varigotti in loco infrascripto, in quo soliti sunt omnes alii actus sui faciendi, quorum nomina sunt hec : Et primo Aoron de Mendario cj. Joannis, Antonius Vassallotus q. Jaoobi consules, Jacobus Bocharandus q. Joannis. Joannes de Pinu q. Francisci, Laurentius Rufinus cj. Pelegri, Bernardus Albertus q. Francisci, Bernardus Maurus q. Georgii, Pellegrus de Pinu q. Damiani, Joannes Maurus q. Pellegri, Antonius Maurus q. Pellegri, Petrus Pontius q. Bernardi, Bartholomeus Rubeus q. Bernardi, Vincentius Bocharandus q. Sebastiani, Vin-centius Viglinus q. Facini, Franciscus Bocharandus q. Georgii, Benedictus Sachonus q. Bernardi, Bartholomeus Spaliardus q. Antonii, Bernardus Sachonus q. Joannis, Baptista Albertus q. Petri, Luchas Sazanus q. Henrici, Frano'iscus Sachonus cj. Joannis, Dominicus Spaliardus q. Guliermi, Joannes Sachonus q. Bernardi, Jo. Antonius Bardinus q. Aaronis, Petrus de Pinu q. Laurentii, Franciscus de Pinu q. Joannis, Dominicus Sachonus q. Bernardi, Antonius Rubeus cj. Bernardi, Lodixius Rufinus q. Jo. Antonii, Georgius Spaliardus Bartholomei, Vincentius Bon-denarius q. Baptiste, Vincentius Pontius q. Bernardi, Baptista Rubeus Bartholomei, Pellegrus Maurus Antonii, Vincentius Maurus Laurentii, Bernardus de Pinu Petri, Dominicus de Mendario q. Georgii, Vincentius Bondenarius q. Antonii, Vincen- 134 ALFONSO DEL CARRETTO tius Pontius q. Antonii, Jo. Antonius Rutinus q. Lodixii, Dominicus de Thomatis q. Nicolai, Augustinus Bocharandus q. Sebastiani, Baptista Maurus Bernardi, Bernardus Bardinus Joannis, Bartolomeus Bondenarius Joannis, Joannes Bardinus q. Stephani, Nicolaus de Thomatis Dominici, Vincentius de Pinu q. Antonii, Jo. Antonius Bochanamdus q. Jeronimi, Finarinus Bocharandus q. Stephani, Georgius de Silva Vincentii, Bernardus Carzomus q. Bernardi, Nicolaus Ferrinus q. Thome, Nicolaus Gallus q. Vincentii. Luchas Fenogius q. Dominici, Jacobus Rutinus q. Antonii. Stephanus Rutinus q. Lodixii, Carolus Maurus q. Georgii. Laurentius Albertus q. Petri. Dominicus Rutinus q. Antonii, Laurentius Rutinus Joannis, Sebastianus Rufi-nus Joannis, Jo. Antonius de Pinu q. Dominici et Michael de Mendario Aaronis. Scientes mensibus preteritis nomine universitatis dicte ville Yarigoti et hominum per eorum sindicos et procuratores prestitum fuisse juramentum fidelitatis Ill.mo D. Duci et Magnificis Dominis Gubernatoribus Reipublice Januensis tanquam Dominis Castri franchi eius districtu et pertinentiarum, de cuius iurisdictione et pertinentiis atque districtu fuit et est dicta villa prout dicti homines fatentur. Et volentes dictum juramentum prestitum per singulos homines approbare et rattiticare et de novo ad cautellam prestare. Ideo etc. etc' (segue come negli atti di giuramento precedenti). Actum in dicta λ illa \ arigoti in Ecclesia Sancti Antonii, presentibus testibus Capitaneo Jullio de Montebello q. Joannis de Vincentia et Capitaneo Baptista de Bargha q. Antonii Magmi ad hec etc. Extractum sic ut supra etc. Salvo jure etc. (S. T.) Nicolaus Pasturinus, notarius. DOCUMENTI 135 7. 1558, Dicembre 21. T Instrumentum fidelitatis renovate per liomincs ville Carvi-xii, jurisdictionis Castri franchi. In nomine Domini Amen. Anno Nativitatis eiusdem millesimo quingentesimo quinquagesimo octavo, indictione prima, die XXI Decembris. Congregati et convocati in unam homines ville Carvixii, in loco infrascripto, in quo soliti sunt onmes alii actus sui faciendi, quorum nomina sut hec: Et primo Emanuel Porrus consul, Michael Porrus q. Bernardi, Antonius Ferrus q. Francisci, Bernardus Porrus q. Jaco-bi, Antonius de Cremata q. Georgii, Antonius Longus q. Tho-me, Laurentius de Locello q. Antonii, Georgius de Cremata q. Baptiste, Bernardus Porrus q. Jo. Antonii, Bartholomeus de Cremata q. Bernardi, Joannes Rogerius q. Stephani, Antonius Carbonus q. Oberti, Marchus Rogerius q. Stephani, Bernardus Piper Baptiste. Joannes de Cremata q. Francisci, Dominicus Gardanus q. Nicolai, Antonius de Cremata q. Petri, Bla-xius Rusticus q. Vincenti i, Vincentius Longus q. Petri, Dominicus de Cremata q. Petri, Baptista Carbonus q. Antonii, Jacobus Porrus Bernardi, Oddonus Xiandus q. Petri, Antonius Porrus q. Vincentii, Petrus de Cremata q. Antonii, Gandulfus de Cremata Joannis, Franciscus Ferrus q. Laurentii, Antonius de Locello Laurentii, Andreas Porrus q. Bartholomei, Bartholomeus Besatia q. Augustini, Gaspar Ferrus q. Bernardi, Nicolaus Scosserria q. Joannis, Georgius de Podio q. Bernardi, Baptista Ferrus q. Vincentii, Vincentius de Turre q. Lazari, Laurentius de Pallatio q. Vincentii, Bernardus de Turre q. Lazari. Alfonsus Porrus q. Sebastiani, Joannes Donzella Sebastiani, Franciscus Scosserria q. Joannis, Dalmatius Scosserria Nicolai, Vincentius Sdosserria Nicolai, Bernardus de Podio q. Joannis, Andreas Longus Bernardi, Dominicus de Locello D. Donati, Jeronimus T'orrus q. Vincentii, Dominicus Ferrus Antonii, Augustinus 136 ALFONSO DEL CARRETTO Gardanus q. Nicolai, Vincentius Ferrus q. Jacobi, Vincentius de Phylipo q. Petri. Bernardus Chiapa q. Petri, Jeronimus Car-bonus Antonii, Donatus de Locello q. Dominici et Baptista Porrus q. Sebastiani. Scintes mensibus preteritis nomine universitatis dicte ville Carvixii et hominum per eorum sindicos et procuratores prestitum fuisse juramentum fidelitatis Ill.mo D. Duci et Magnificis Dominis Gubernatoribus Reipublice Januensis tamquam Dominis Castri Franchi eius districtu et pertinentiarum de cuius jurisdictione et pertineneiis atque districtu fuit et est dicta villa prout dicti homines fatentur. Et volentes dictum juramentum prestitum per singulos homines approbare et rattiticare. et ad cautellam de novo prestare. Ideo etc. etc. (segue come negli atti di giuramento precedenti). Actum in Ecclesia Sancti Cipriani diete ville, presentibus testibus Capitaneo Jullio de Montebello q. Joannis de \ incentia et Capitaneo Baptista de Bargha q. Antonii Magini ad hec etc. Extractum sic ut supra etc. Salvo jure etc. (S. T.) Nicolaus Pasturinus, notarius. 8. 1558, Dicembre 26. t Instrumentum fidelitatis renovate per homines V all is Pie, jurisdictionis Castri franchi. In nomine Domini Amen. Anno Nativitatis eiusdem millesimo quingentesimo quinquagesimo octavo, indictione prima, die XXVI Decembris. Congregati et convocati in unam homines Vallis Pie in loco infrascripto, in quo soliti sunt omnes alii actus sui faciendi, quorum nomina sunt hec: Et primo Damianus Fenogius q. Joannis, Augustinus Ar-naldus q. Benedicti consules dicte Vallis, Laurentius de Pullegio DOCUMENTI 137 q. Bernardi, Gaspar Jordanus Baptiste, Franciscus Marvaixia q. Nicolai, Baptista Jordanus q. Gasparis, Nicolaus Baldrachus q. Dominici, Bernardus Olliverius q. Francisci, Thomas Berenge-rius q. Antonii, Damianus Chionc.hionus q. Benedicti, Joannes Marvaxia q. Nicolai, Vincentius de Phylipo q. Joannis, Nicolaus Marvaxia q. Bemardi, Antonius Gallus Jdamnis, Nicolaus Poma cj. Galleoti, Petrus Gallus q. Lodixii, Bernardus de Silva q. Pe-tri, Joannes Gallus q. Antonii, Jo. Baptista Poma q. Vincentii, Bernardus de Ecclesia q. D. Damiani, Laurentius Spererius bottarius q. Vincentii, Bernardus Draguus q. Luciani, Jeroni-mus Carbonus q. Antonii, Stephanus Ritius q. Joannis, Joannes Barrillarius q. Donati, Laurentius Bascus Michaelis, Bernardus Gallus q. Nicolai, Emanuel Rolandus Jo. Bartholomei, Bernardus Fenogius Damiani, Baptista Barrillarius q. Bernardi, Jero-nimus Gallus Vincentii, Vincentius Gallus q. Frane., Baptista Gallus q. Nicolai, Jo. Baptista de Ecclesia q. D. Damiani, Pa-squarinus Ritius q. Joannis, Joannes Gallus Gavini, Augustinus Finallis q. FranC., Vincentius Fenogius Luce, Petrus Brexanus q. Andree, Georgius de Ecclesia Baptiste, Laurentius Baldrachus q. Augustini, Vincentius de Ecdesia Baptiste, Nicolaus Ventura q. Joannis, Damianus Carsorius q. Bartholomei, Jo. Antonius Scotus Vincentii, Bartholomeus Draguus Marci, Bernardus Judex q. Bartholomei, Damianus Carbonus q. Bernardi, Antonius Baldrachus q. Joannis, Antonius Baldrachus Thome, Jeronimus Vematia Thome, Bernardus Gallus q. Antonii, Joannes Baldrachus Laurentii, Petrus Joannes Buronus q. Baldas-saris, Vincentius Finallis q. Jacobi, Donatus Baldrachus Joannis, Augustinus Baldrachus Nicolai, Baptista Cazatroia Marci, Richobonus Fenogius q. Dominici, Franciscus Arnaldus Joannis, Augustinus Fenogius Damiani, Bartholomeus Berenga-rius Thome, Ambroxius Bozanus q. Bartholomei, Jacobus Baldrachus Bernardi, Joannes Baldrachus Thome, Petrus Buragius q. Baptistini, Franciscus Barrilarius q. Pasquarini, Joannes Albertus q. Vincentii, Jacobus Fenogius Damiani, Joannes Carbonus Jeronimi, Jo. Andreas Buronus q. Benedicti, Nicolaus Gallus Bernardi, Franciscus Gallus Jeronimi, Franciscus Finallis q. Nicblai, Bernardus Cazatroia Marci, Petrus Fenogius Damiani, Franciscus Olliverius Bernardi, Emanuel Capellinus 138 ALFONSO DEL CARRETTO Augustini, Damianus Baldraehus Nicolai. Dominicus Gallu-tius Jo. Antonii. Andreas Draguus Bernardi, Jo. Angelus Jor-danus Baptiste. Bernardus Jordanus Baiptiste, Jacobus l· inallis \’incentii. Bernardus Finallis Vincentii, Vincentius Draguus Bernardi. Augustinus Capellinus Lazari. Thomas Cazatroia q. Baptiste et Franciscus Gallus q. Antonii. Scientes mensibus preteritis nomine universitatis dicte λ aliis Pie et hominum per eorum sindicos et procuratores presti-timi fuisse juramentum fidelitatis Ill.mo Domino Duci et Magnificis Dominis Gubernatoribus Reipublice Januensis tanquam Dominis Castri franci eius districtu et pertinentiarum, de cuius jurisdictione et pertinentiis atque districtu fuit et est dieta. A'allis Pia prout dicti homines fatentur. Et volentes dictum juramentum prestitum per singulos homines approbare et ratificare et ad cautellam de novo prestare. Ideo, etc etc. (segue come nei precedenti atti di fedeltà). Actum in domo disciplinatorum dicte λ allis Pie, presenti-bus testibus Cap.o Tullio de Montebello q. Jo. de Vincentia et Cap.o Baptista de Bargha q. Antonii Magini ad hec etc. Extractum sic ut supra etc. Salvo jure etc. (S. T.) Nicolaus Pasturinus, notarius. 9. 1558, Dicembre 26. 7 Instrumentum fidelitatis renovate per homines z'ille I erzii, jurisdictionis Castri franchi. In nomine Domini Amen. Anno Nativitatis eiusdem millesimo quingentesimo quinquagesimo octavo, indictione prima, die XXVI Decembris. Congregati et convocati in unam hommes ville λ erzii in loco infrascripto. in quo soliti sunt omnes alii actus sui faciendi, quorum nomina sunt hec : Et primo Sebastianus Buragius q. Emanuellis. Dominicus Gallexius q. Antonii consules dicte ville. Petrus Gallexius q. DOCUMENTI 139 Antonii, Vincentius Arzerius q. Jo. Antonii, Dominicus Buragius q. Jiaicobi, Joannes Buragius cj. Jacobi, Guliermus Bura-gius cj. Sebastiani, Lazarus Galkxius cj. Joannis, Jacobus Si-mondus q. Petri, Sebastianus Gallexius q. Jeronimii, Julianus Buragius Baptiste, Michael Jacoza q. Guliermi, Antonius Buragius q. λ incendi, Nicolaus Olliverius q. Vincentii, Antonius de Podio q. Nicolai, Andreas Buragius cj. Vincentii, Antonius Matheus q. Bartholomei, Jacobus Buragius Joannis, Bernardus Buragius Baptiste, Finarinus Matheus q. Bartholomei, Baptista Gallexius Sebastiani, Damianus Gallexius Petri, Baptista Gallexius Petri, Blaxius Buragius Sebastiani, Finarinus Buragius Dominici, Baptista Buragius Nicolai, Petrus Peratus q. Eno-chi, et Jacobus Buragius Dominici. Scientes mensibus preteritis nomine universitatis dicite ville et hominum per eorum sindicos et procuratores prestitum fuisse juramentum fidelitatis Ill.mo D. Duci et Magnificis Dominis Gubernatoribus Reip. Januensis tanquam Dominis Castri Franchi eius districtu et pertinentiarum, de cuius jurisdictione et pertinentiis atque districtu fuit et est dicta villa prout dicti homines fatentur. Et volentes dictum juramentum prestitum per singulos homines approbare et rattificare et ad cautel-lam de novo prestare. Ideo etc. etc. (segue come nei precedenti atti di fedeltà). Actum in dicta villlaj A’erzii in Ecclesia Sancti Januarii, pre-sentibus testibus Capitaneo Jullio de Montebello q. Joannis de Vincentia et Capitaneo Baptista de Bargha q. Antonii Magmi ad hec etc. Estractum sic ut supra etc. Salvo jure etc. (S. T.) Nicolaus Pasturinus, notarius. 140 ALFONSO DEL CARRETTO 10. 1558, Dicembre 27. t Instrumemum fidelitatis renovate per homines burgi Castri franchi. In nomine Domini Amen. Anno Nativitatis eiusdem millesimo quingentesimo quinquagesimo octavo, indictione prima, die XXYII Decembris. Congregati et convocati in unam homines burgi Castri + ranchi in loco infrascripto, in quo soliti sunt omnes alii actus sui faciendi, quorum nomina sunt hec: Et primo Bernardus Bastardus q. Antonii, Finarinus Fa-xius q. Damiani consules. Benedictus Boyardus q. Dominici, Laurentius Fenogius q. Damiani. Jo. Baptista Merellus q. Dominici. Baptista Fenogius q. Jo. Antonii. Emanuel Maurus q. λ incendi, Petrus Buragius q. Bartholomei. Georgius Porrus Mi-ohaellis, Bernardus Sterla q. Georgii. Octavianus Capellus q. Simonis. Georgius Chionchionus q. Damiani, Genexius de Caminata q. Joannis, Baptista Conte λ incentii, Joannes Panel-lus q. Baldassaris, Antonius Todeschus q. Alfonsi, Antonius Sicherius q. Bernardi, λ incentius Bastardus q. Antonii, λ incentius Bochiardus q. Baptiste, Gubernius Canavexius q. Guliermi, Baptista Bergallus q. Ambroxii. Bernardus Luglia q. Jo. Baptiste. Bernardus Aycardus q. Antonii, Baptista Sicardus q. Toannis, Nicolaus Barrillarius Damiani, Jo. Baptista Bergallus q. Ambroxii, Antonius Rufinus q. Gasparis, λ incentius Gallus q. Damiani. Vincentius Grassus q. Bernardi, Bernardus Nolla-schus q. Vincentii, Franciscus Beginus q. Joannis, Lodixius Maleus Toannis, Damianus Porrus Bernardi, λ incentius Rufinus q. Bernardi, Martinus Borraxius q. Antonii, Marchus Accamus Antonii, Donatus Barrillarius q. Vincentii, Nicolaus de Locello Joannis, Henrichus Bussus Bernardi. Franciscus Sterla Bernardi. Augustinus Sterla q. Leonardi, Joannes Sicardus Baptiste, Julius Cazatroia q. Bartholomei, Joannes Piper Petri, Joannes de Locello q. Raphaelis, Stephanus Bergallus q. Ambro- DOCUMENTI 141 xii, Jacobus Piper q. Petri, Petrus Ferrus q. Baptiste, Jo. Antonius Gardanus q. Bernardi, Ambroxius Faya q. Francisci, Antonius Maurus q. Emanuellis, Lazarus Saxius q. Antonii, Joannes Sporetus q. Bartholomei, Antonius Accamus q. Nicolai, Joannes Maleus q. Georgii, Antonius Finallis q. Joannis, Baptista Nollaschus q. Vincentii, Baptista Buragius Petri, Damianus de Orto q. Nicolai, Franciscus Conte Vincentii, Nicp-laus Vacha q. Petri, Bernardus Rufinus q. Francisci, Franci-scìus Embronus q. Joannis, Augustinus Aycardus Guliermi, Baptista Mascaferrus q. Vincentii, Vincentius Buragius Petri, Dominicus Marvaxia Gasparis, Guirardus Pellerius Laurentii, Petrus Bos q. Georgii, Joronimus Rogerius q. Baptiste, Petrus Marvaxia Gasparis, Baptista Roxanus q. Bernardi, Vincentius Conte q. Gasparis, Vincentius Pasturinus q. Raphaelis, Antonius Rufinus λ incentii, Vincentius Stalla q. Thome, Franciscus Ber-gallus q. Ambroxii, Bernardus Bos q. Georgii, Joannes Baschie-ra q. Antonii, Bernardus Beginus q. Joannis, Bartholomeus Boyardus q. Dominici, Joannes Ferrus Stephani, Gaspar Marvaxia q. Dominici, Andreas Piper Joannis, Bernardus Morinel-lus q. Simonis et Jacobus Mantellus cj. Bartholomei. Scientes mensibus preteritis nomine universitatis dicti burgi Castri franchi et hominum per eorum sindicos et procuratores prestitum fuisse juramentum fidelitatis Ill.mo D. Duci et Magnificis Dominis Gubernatoribus Reipublice Januensis tan-quam Dominis Castri franchi eius districtu et pertinentiarum de cuius jurisdictione et pertinenti is laitque districtu fuit et est dictum burgum prout dicti homines fatentur. Et volentes dictum juramentum prestitum per singulos homines approbare et ratti-ficare et ad cautellam de novo prestare. Ideo etc. etc. (segue come nei precedenti atti di fedeltà). Actum in Casatia Disciplinatorum, presentibus testibus Cap.o Jullio de Montebello q. Joannis de Vincentia et Cap.o Baptista de Bargha q. Antonii Magini ad hec etc. Estractum sic ut supra etc. Salvo jure etc. (S. T.) Nicolaus Pasturinus, notarius. La Loge des Génois à — BRUGES — PAR ROGER JANSSENS DE BISTHOVEN CON UNA PREFAZIONE SULLE RELAZIONI FRA GENOVA E BRUGES NEL MEDIO EVO DEL SOCIO SEGRETARIO Francesco Poggi LE RELAZIONI FRA GENOVA E BRUGES NEL MEDIO EVO Quale i Fiamminghi tra Guizzante e Bruggia, Temendo il liolto che in ver lor s’avventa, Fauno lo schermo, perché il mar si (uggia: Dante. Inferno XV, 4-G o scritto sulla Loggia dei Genovesi a Bruges, che la Società Ligure di Storia Patria presenta in questo volume, viene ad essere un giusto complemento ed in pari tempo, sebbene tardo, un buon chiarimento di quanto essa già rese pubblico, or fanno 44 anni, nel voi. V, fascicolo III, dei suoi Atti, per opera di C. Desimoni e L. T. Belgrano, intorno all'attività commerciale e marittima dei Liguri in quella città, e generalmente in tutta la regione compresa sotto i nomi di Brabante, Fiandra e Borgogna. A dimostrare cosiffatta attività i due illustri storici diedero allora, parie in esteso e parte in estratto, 217 documenti tratti quasi tutti dagli Archivi di Stato di Genova e di Bruxelles; cui fecero seguire uno studio sommario che, sulla scorta degli stessi docu- 10 146 LE RELAZIONI FRA GENOVA E BRUGES menti e con illuminata erudizione, traccia a grandi linee le vicende del commercio e dell'operosità genovese m quella regione dalla fine del secolo XII a tutto il secolo XVII. Il centro di tale commercio fu, sino ai primi anni del 1500, la città di Bruges, in fiammingo Brugge, italianamente Bruggia, congiunta colla rada o porlo della Chiusa (Écluse) per mezzo d’un canale naturale, che coll’alta marea poteva essere risalito dalle navi. Più tardi queste, a cagione del progressivo insabbiamento del canale, s arrestavano a Damme, che divenne così e rimase per alcuni secoli, il vero porto di Bruges; ma in seguito, continuando l'opera inesorabile dei sedimenti allindali, dovettero far capo assai più in basso nell'estuario dello Zwyn; e finalmente, colmala in gran parte la rada della Chiusa, vennero a mancare di un approdo sicuro. Sembra però che già dal principio del secolo XV. ed anche prima, i legni genovesi si fermassero ordinariamente alla Chiusa, dove esisteva una cillà dello stesso nome (a). (a) λ edasi in Atti della Soc. Lig. di Stor. Patr., voi. V, PP· 399~4°6· doc. XXXII, il decreto dei privilegi concessi ai Genovesi nel 1414 da Giovanni Senzapaura duca di Borgogna, confermato nel 1421 dal suo successore Filippo III il Buono, e da questo modificato nel 1434; nel quale si fa ripetutamente menzione del porto de l’Escluse, come approdo consueto alle navi di essi Genovesi, e delle operazioni che costoro potevano compiere tanto in detto porto, quanto nella città dello stesso nome. Anche nel trattato d'amicizia e di commercio concluso ne* *395 lra duce Antoniotto Adorno, per il Comune di Genova, e il duca di Borgogna Filippo II di Francia detto ΓArdito, si parla più volte del porto e della città della Schiusa o Slusa, NEL MEDIO EVO 147 Ora pìccole barche sono appena in grado di raggiungere dalla cosla il borgo olandese di Retran-chement; e Bruges comunica col mare mediante canali artificiali, che tengono luogo dell’antica via <1 acqua naturale, principalissimo dei quali quello, profondo m. 4,70, che unisce detta città al porto di Ostenda, e, per mezzo dei suoi rami, alVÉcluse, a Blanckenberghe ed a Nieuporl. Dopo Bruges, il porlo degli antichi Paesi Bassi pili frequentalo dai commercianti Genovesi fu Anversa, che diventò poi dal principio del secolo Χλ I e rimase, fino al totale decadimento dei loro Iraffici in quelle regioni, la sede principale di essi commercianti; ma dove già dal 1315 costoro avevano ottenuto ampi privilegi da Giovanni 111 il Trionfante, duca di Lotaringia, Brabante e Lim-burgo (b). come ricetto di navi e di mercanti genovesi (Ivi, doc. Ili, pp. 385-388). Ciò viene indirettamente a confermare’ che la decadenza e poi la rovina del porto di Damme ebbero luogo nel secolo XV, decadenza e rovina cagionate dall’irreparabile insabbiamento di esso porto, oltre che dalle guerre che infestarono il suo territorio specialmente per opera dei re di Francia Filippo IV, il Bello, e Carlo VI, al primo dei quali accenna Dante nei noti versi messi in bocca di Ugo Capeto : 1’ fui radice della mala pianta. Che la terra cristiana tutta aduggia SI, che buon frutto rado se ne schianta. Ma, se Doagio. Guanto, Lilla e Bruggia Potesser, tosto ne saria vendetta; Ed io la chieggo a lui che tutto giuggia. Chiamato fui di là Ugo Ciapetta; Pio'iiatorlo, XX, 43-49 (b) Atti, sovra citati, voi. V, doc. I, pp. 373-383. 14« LE RELAZIONI FRA GENOVA E BRUGES La decadenza di Bruges nei tempi moderni, che già salta fine del settecento it poeta inglese Word-sworth dipingeva coi versi « In Bruges town is niany a Street W’hence busv lite hath tled, Where, without hurry. noiseless feet The grass-grown paveraent tread ». è in stridente contrasto con l’opulenza di cui godette quella città nei tempi di mezzo, e specialmente nei secoli XIλ’ e XV; durante i quali essa fu, non solamente la comunità più florida e potente delle Fiandre, ma uno degli emporj principali e dei mercati più frequentati dell'Europa. In essa si depositavano tanto le merci trasportate dal Mediterraneo e dall'Oriente per essere distribuite nei paesi nordici, come quelle provenienti datF Alle magna, dall'Inghilterra c dai porti del Baltico per venire quindi avviate nelle regioni meridionali. Senza dire che la stessa città di Bruges, come centro per la fabbricazione delle stoffe e la lavorazione dei gioielli, alimentava direttamente coi suoi prodotti il commercio di esportazione per gli uni e per gli altri paesi. Il trasporlo delle merci originarie delle contrade orientali e meridionali veniva effettuato, oltre che dai Provenzali, Catalani. Portoghesi ecc., in larghissima misura dai Genovesi, Veneziani e l· io-rentini, ognuno dei quali popoli aveva a Bruges la propria loggia con grandi magazzini di deposito; mentre il traffico delle mercanzie di provenienza nordica era principalmente nelle mani dei Tedeschi e degli Inglesi. La potentissima lega anseatica, primamente promossa da Lubecca ed Amburgo, poi facente capo alle metropoli mercantili di Lubecca, Nl'.l. MEDIO EVO 149 Daiìzica, Brunsvick e Colonia, e confederante fino ad ollanla città, Bruges compresa, esercitava il monopolio (li lidio il commercio del nord e del nord est d’Europa, spingendo la sua azione da Londra a Stoccolma, da lìiga a Novgorod. I porli fiamminghi, segnatamente Bruges ed Anversa, erano i luoghi di contatto e di scambio fra la grande Ansa tedesca ed i commercianti del Mediterraneo e del-l’Oriente. Perfino gli Arabi frequentarono un tempo (juei porli, nei quali si riversava inoltre il più del commercio inglese di esportazione. Questo consisteva particolarmente nello smercio della lana prodotta dalle famose greggi delle isole britanniche, che i Fiamminghi acquistavano così per le loro fabbriche di tessuti, come per rivenderla agli esportatori stranieri. Si può dire che lidia la lana deli Inghilterra calava nelle Fiandre e nel Brabante; il solo porlo dAnversa ne introduceva annualmente non meno di cinquantamila balle (packs) di più di trecento libbre ciascuna (c). A quanto afferma uno scril- (t·) Storia del commercio della Gran Brettagna scritta da John Cary, mercatante di Bristol, tradotta in nostra volgar lingua da Pietro Genovesi, Giureconsulto Napolitano, con un ragionamento sul commercio in universale e alcune annotazioni riguardanti l'economia del nostro Regno, di Antonio Genovesi; in Napoli MDCCLVII, per Benedetto Gessari ; tomo I, pag· 73· Al tempo della pubblicazione di quest'opera il pack o balla era computato 240 libbre; ma si avverte in una nota (tomo I, pp. 72-73). che ve ragione per credere che nel seoolo XV esso pesasse molto di più; anzi M. Daniello de Foe, autore del libro A pian of thè english commerce, opina che il pack d'allora valesse 2000 libbre. La libbra inglese (pound avoirdupois) corrisponde a g. 453, 5924. 150 LE RELAZIONI FRA GENOVA E BRUGES tore inglese, « Londra e Suthampton, che ne invia nano la più gran parte, vedevano sovente partire delle flotte di cinquanta, sessanta e cento vascelli per volta carichi unicamente di questa mercanzia » (dì. Anche le navi genovesi partecipavano certamente al trasporto della lana dall Inghilterra alle Fiandre, poiché risulla dai documenti succitati che i nostri mercanti, residenti a Bruges e ad Anversa, mantenevano strette relazioni di commercio coi loro compatriota dimoranti m Londìa. Bruges era forse nel secolo Χλ il più importante mercato cambiario di Europa: ed i suoi ban chieri, legalmente autorizzati dal Governo per e loro operazioni, facevano così larghi affari, iht an che lo Stato partecipava agli utili da essi i0rìSt guiti (e). In quel mercato ebbe principio !IS 1 11 zione delle Borse, che si concretò poi in Anversa con un edifizio ad hoc, che servi d esempio l>( 1 ίοη simili costruzioni. „ . Non meno che per l'abbondanza dei traffici l'importanza dei cambi. Bruges acquistò fama, spe-^ dal mente nel secolo XV, per l'onore in cm lenne per t'incremento che vi assunsero le belle poiché la sua attività commerciale ebbe VP™-· di richiamare fra le sue mura, non pure dag i (d) John CaRY, Op. rii.. tomo I, p. 73 (e) Dott. Prof. Heinrich Sieveking. Studio sum ce genovesi nel medioezv c in particolare sulla C omì < · ^ ^ qio. traduzione dal tedesco di Onorio Soardi. in . Lig. di Stor. Patr., voi. XXXV. parte seconda, p. l48· NEL MEDIO EVO 151 paesi delle Fiandre, ma dal Brabante, dall Olanda, ihdlo Hainaut, dalla Germania, una moltitudine di artisti che di posero stabile residenza e vi fondarono quella scuola di pittura, che chiamasi comunemente dal nome di essa città. Il (/uale è da secoli indissolubilmente congiunto con i nomi e la rinomanza di Giovanni ed l'berlo van Eijck, di Roger van der Weyden, di Giovanni Memling, di Pietro Christus, di Ugo van der Goes, di Thierrij Bouts, di Gerardo David, di Gerolamo Bosch, quantunque nessuno di costoro sia nato a Bruges (f). Ma quivi sera formato anzitutto, come per ogni altra merce, così anche per gli oggetti d’arte, un deposito ed un mercato, donde venne il primo impulso alla produzione artistica della città; inoltre I attraente bellezza di questa, resa varia e pittoresca da un distendersi ed incrociarsi di canali e di ponti, per cui Bruges fu un tempo chiamata la « Venezia del Nord »>, ed ancora la vaghezza delle sue donne, celebrata nel medio evo dal motto « Formosis Brugga puellis gaudet », contribuirono a fare della stessa città, nel quattrocento e nei primordj del cinquecento, il principale centro artistico dei Paesi Bassi ed uno dei principali d’Europa. Fiorì pure colà l’arte del miniare ossia dell’alluminare, come pure quella delle tappezzerie ed in particolare degli arazzi (g). Talché nell’anno 1468 (/) J. Destrée, iti Annales de la Società d'archeologie de Bruxelles, tome seizième, a. 1902, pp. 210-212. (g) Non è arrischiata l’ipotesi che il codice membranaceo contenente la traduzione francese dei Fatti di Alessandro il 152 I-E RELAZIONI FRA GENOVA E BRUGES si contarono a Bruges, residenti in modo stabile, 13(> pittori e 29 scultori sicuramente noli, olire numerosi menestrelli, suonatori di tiido e d'arpa. e musici diversi (hi. 1 prodotti dell'operosità artistica di Bruges fornirono materia di scambi commerciali, ai quali non furono certamente estranei i Genovesi. Anzi è da ritenere che la maggior parte degli oggetti d’arte di provenienza fiamminga raccolti nelle case private, nei musei, gallerie, biblioteche, archivi, così privati come pubblici, e nelle chiese della Superba, o da questa città più tardi trasmigrati di nuovo aiestero. sia stata acquistata direttamente sui luoghi di loro produzione dai commercianti genovesi. Costoro durante il XX secolo erano in Bruges assai numerosi, ed appartenevano alle più cospicue casale di Genova, come rilevasi dai documenti pubblicati nel suddetto volume Γ dei nostri Atti: eccellevano. così per numero come per autorità, ed altresì per ampiezza e potenza di commerci, gli Spinola. i Doria, i Lomellini, i Giustiniani, i De Mari, Grande di Quinto Curzio Ruffo, conservato nella Biblioteca Universitaria di Genova e famoso per le sue splendide miniature, sia stato lavorato a Bruges : dimora prediletta di Carlo il Temerario. cui esso è dedicato ed a cui dicesi abbia appartenuto, e dove questo principe ha sepoltura nella chiesa di Notre Dame, accanto a quella della sua unica figlia ed erede Maria di Borgogna, mo glie di Massimiliano d’Austria. Ctr. Atti della Soc. Lig. di Stor. Patr., voi. V. pp. 54-*5-i3- (U) Annuaire de la Socicté d’Archeologie de Bruxelles, to me XIX. 1908. p. 30. NHL MEDIO EVO 153 i Gentile, i I)i Negro e i De Marini. Gli Spinola vi costituivano una polente compagnia, emula — scrive G. Serra — dei Fugger e dei Welser tedeschi; e vi si erano così assodati, che il loro cognome aveva preso perfino la veste fiamminga di Spinghel (i). (*) Credo non inutile indicare qui sotto, aggruppandoli per cognomi, i Genovesi ricordati nei documenti del più volte citato voi. V dei nostri Atti, come operanti nelle Fiandre durante il secolo XV: esclusi quelli dei tempi posteriori. Spinola. Benedetto Spinola, residente in Bruggia, a. 1423-1435. Luca Spinola, massaro in Bruggia, a. 1433-1434. Francesco Spinola q. Gaspare, capitano di dieci navi dirette in Fiandra, a. 1433. Lionello Spinola, commissario a Bruggia, a. 1434-1435. Girolamo Spinola, condirettore della ditta Grimaldi-Spinola, stabilita in Bruggia, a. 1461. Ambrogio Spinola, mercante in Bruggia, a. 1465-1466. Gioffredo Spinola, padrone di una nave intercettata dai sudditi del duca e della duchessa di Borgogna, a. 147S. Nicola Spinola q. Antonio, mercante in Bruggia, a. 1496. Doria. Giovanni Doria. residente in Bruggia. partecipa al mutuo fatto ivi dai Genovesi per l’armata di Francesco Spinola contro i Catalani, a· 1425. Domenico Bartolomeo Doria. dimorante in Bruggia. a. 1441· Paolo Doria. latore di lettere della Signoria genovese al duca Filippo di Borgogna, a. 1448. Jacopo Doria. mercante a Bruggia importatore d’allume colà. a. 1461-1471. Nicolò Doria, mercante a Bruggia, a. 1465-1466. Giovanni Agostino Doria, custode di merce genovese sbarcata a Medetnburgo, a. 1471. Stefano Doria q. Lazzaro, mercante a Bruggia. a. 1496. - 154 T.E RELAZIONI FRA GENOVA E BRUGES Λ chi sa l'intenso difetto dei Liguri per i domestici lari, e la magnificenza con cui in ogni tempo Lomellini. Giuliano Lomellino, residente a Bruggia, a· 1423-1431. Oberto Lomellino, idem. Ramaba Lomellino, uno dei due massari in Bruggia nel 1431 · Girolamo Lomellino, diretto in Fiandra per interessi con lettera di raccomandazione della Signoria di Genova per il duca di Borgogna, a. 1437. Eliano Lomellino. dimorante in Bruggia. a. 1441. Egidio Lomellino, mercante in Bruggia. a. 1461. Lazzaro Lomellino, banchiere e mercante in Bruggia. a. 14^7· Giustiniani. Lancellotto Giustiniano, residente a Bruggia. a. 1423. Agostino Giustiniano, partecipante in Bruggia al mutuo ]>er Tarmata di Francesco Spinola contro i Catalani, a. 14—5- Domenico Giustiniano, dimorante in Bruggia, a. 1434· Raffaele Giustiniano, idem., a. 1441. De Mari. Bartolomeo De Mari, risulta debitore di Carlo Minna di Bruggia per panni datigli da costui per portare alla Rocella, a. 1430. Questo De Mari trovasi eletto nel 1407 in Genova, durante la sua assenza, tra i procuratores S. Georgii (Sie-veking, Op. cit., pane seconda, p. 15). Andrea De Mari, padrone di nave navigante nei mari di l'landra. a. 1431. Cipriano De Mari, trafficante in Bruggia verso l’anno 145°· Gentile. Gaspare Gentile, altro dei massari in Bruggia negli anni 1431-33- Antonio Gentile, dimorante in Bniggia. a. 1441. Leonardo Gentile, condannato per essersi rifiutato di pagare il diritto di massaria in Bruggia. a. 1496-1501. NEL MEDIO EVO 155 elevarono ed abbellirono le loro case, non occorrono documenti per certificare come i Genovesi traf- Di Negro· Paolo e Domenico fratelli di Negro, presi coi loro beni dalla nave di Pietro Roderico suddito di Guglielmo IV duca di Baviera, Hainaut, Olanda, Zelanda ecc., e da questo poi fatti riporre in libertà, secondo informavano i mercanti genovesi di Bruggia; a. 1412. De Marini. Giovanni De Marini, residente e commissario in Bruggia, a. 1434-35· Donaino De Marini, dimorante in Bruggia. procuratore dei figli del defunto Bartolomeo Gorzezio di San Pier d’Arena, già maestro d’ascia della nave di Pietro Embruno navigante in quei mari ; a. 1448. Sono |k>ì nominati : Barnaba Dentuto, patrone navigante verso la Fiandra, a. 1412; Tommaso Italiano ed Enrico Squar-ciafico. raccomandati al duca di Borgogna dal Governo genovese perchè ottengano pronta giustizia contro Tommaso Grimaldi olim De Castro, d’origine genovese, da cui erano stati depredati, a. 1427; Simone Grillo, patrone di nave navigante nei màri di Fiandra, a. 1431 ; Tomaso Squarciafico e Galeotto Pinelli. consiglieri della flotta capitanata da Francesco Spinola. e diretta in Fiandra, a. 1433; Pietro di Fo genovese, patrone di una nave navigante nei mari d'occidente, assalita e derubata da predoni diretti probabilmente al porto della Chiusa, raccomandato dalla Signoria genovese ai Borgomastri e Sca-bini di Bruggia perchè gli facciano giustizia, a. 1434 5 Bartolomeo Andrea Imperiale, designato per una legazione al duca di Borgogna, a. 1434: Agostino Saivago, ambasciatore al duca di Borgogna, a. 1437: Cosimo Calvo, patrone di navi destinate in Fiandra, a. 1439; Pantaleo d’Ovada e Leonardo Malapenna. operanti in Fiandra contro la buona fede e le promesse, a. 1443; Oliviero Maruffo genovese, antico familiare del duca Filippo 156 LE RELAZIONI FRA GENOVA E BRUGES fìcanli in Bruges non omettessero di recare in patria quadri, mobili, tappezzerie, gioie ed altri oggetti d'ornamento fabbricali nelle fiorenti officine e dovuti ai famosi artefici di quella città. Ma quando si voglia ricorrere alta testimonianza dei documenti basterà ricontare il trittico che conservasi nella chiesa di S. Lorenzo della Costa, fra linfa e S. Margherita, a tergo del quale leggesi: Andreas de Costa fecit tìeri Brugis 1499, attribuito a di Borgogna, a. 1443: Nicolò del Ponte, inviato dalla Signoria di Genova al duca di Borgogna, a. 1447 : Giacomo Maruffo, proprietario di merci sequestrate per ordine dei Borgomastri e Scabini di Bruggia. a. 1450: Battista Dondo di Varazze tiglio di Giovanni, residente in Bruggia. a. 145-; Alessandro Negro-ne. banchiere e commerciante in Bruggia. a. 14^*7: Gi°'anrn Molasana, spedito dalla Rep. genovese ambasciatore al duca di Borgogna, a. 1467; Rainaldo Saivago, importatore d’allume nelle Fiandre, a. 1471 ; Andrea Italiano navigante nei mari di Fiandra, a. 1471 ; Luca Grimaldi, legato e commissario della Signoria e Comunità genovese in Bruggia. a. 1476 ( ·''· Gerolamo Palmario. Francesco e Giannotto Sopranis. Giuliano .tentu rione, mercanti in Bruggia e sottoscrittori di una petizione circa la Masseria di essa città, a. 149^· Cfr. inoltre Girolamo Serra. Storia della antica Liguria t di Genova, tom. IV. Capolago MDCCCXXXV. p. 25; e Michel Giuseppe Canale, Storia del commercio, dei « iaggi, « ‘ le scoperte e carte nautiche degl Italiani. Genova. 1866, pp. -51 258. Circa il commercio delle lane britanniche, sono in quest ultima opera citate certe « lettere patenti del mese di no\ em bre 1470 per Leonardo Cibo, mercante genovese a Bruges, per poter trasportare lane d’Inghilterra da Calais a Bruges o altrove. lane che gli erano dovute dai suoi debitori ingle^i » ( ρ· 258. doc. 34). __NEL MEDIO EVO 157 G. Memling (j); la lavala della chiesa di S. Donato in Genova rappresentante ΓAdorazione dei Magi, lavoro, affermasi, di Joos van Cleef o Cleve manifestamente fatto in Fiandra (1); e parecchi quadri del museo di Palazzo Bianco spettanti a Gerardo David, ait Alberto Bouls, a G. Memling od a loro allievi, e provenienti, a quanto si può arguire, dagli studj di Bruges (m). In Bruggia il Governo genovese faceva acquistare nel 1511, per mezzo di Nicolò Doria e fratelli, tappezzerie ad ornamento della Camera del Senato in). Non è poi da mettere in dubbio l'influenza che le relazioni d'affari, varie e continue, fra Bruges e Genova esercitarono sulla venula e la permanenza in quest’ultima città di parecchi artisti fiamminghi. che (juivi lavorarono e lasciarono ricordi della loro arte, (piati — per restringermi al XV ed alla prima parie del XVI secolo, e tralasciando del lut- (j) Federigo Alizeri, Notizie dei professori del disegno in Liguria dalle origini al secolo XYI; voi. Ili, Genova, Tipografia Luigi Sainbolino. MDCCCLXXX I; pp. 198-200. (/) Ivi, pp. 2Ó0-202. L’Alizeri scrive ed altri ripetono che questa tavola viene attribuita a Quintino Messis, cioè Metsvs; ma ancora nel 1894 Paul Saintenoy in Annales de la Société d'Archeologie de Bruxelles, tome huitième, p. 373, domandava l’origine e la provenienza di essa- Più recentemente Orlando Grosso. Genova nell'arte e nella storia, p. 70, l’assegna a Joos van Cleef. Vedasi in quest'ultima opera il paragrafo sull’influenza della scuola di Bruges, pp. 66-69. (in) Cfr. Orlando Grosso. Catalogo delle gallerie di Palazzo Rosso e Bianco, Editori Alfieri e Lacroix, Milano 1912. (») Alizeri. Op. cit., voi. II. p. 482. 158 LE RELAZIONI FRA GENOVA E BRUGES to i grandi nomi di Rubens e Van Dyck strettamente connessi cotto splendido movimento artistico genovese detta prima metà del seicento — Alessandro da Bruggia pittore, Leone da Bruggia battiloro, Ugo van der Goes, Francesco Floris, figlio dell’altro più celebre Francesco detto il Raffaello fiammingo, ecc. (oì. Le prime fabbriche d’arazzi in Genova furono fondate da artefici fiamminghi verso la metà del cinquecento, secondo prova l’Alizeri con documenti d’archivio, dai quali risulta come Pietro da Bruxelles e Vincenzo Della Valle, egli pure di quei luoghi, movessero suppliche nell’aprile del 1551 al Governo genovese, allo scopo d’impiantare nella nostra città telaj per la confezione di dette tappezzerie; e come poco dopo vi esercitassero la stessa industria Alberto e Dionisio da Bruxelles. Il quale ultimo in particolare eseguiva fra gli anni 1554 e 1563 lavori di arazzi per espressa commissione dei nobili Michele d Andrea Imperiale, Vincenzo Grimaldi Durazzo, Giambattista Lomellini, Antonio Doria del q. Silvestro (pi. In Bruggia i Genovesi avevano costituita, a presiedere ed a rappresentare la loro comunità, una Masseria, diretta da un console e da due consiglieri,' e mediante essa comunicavano ufficialmente (o) Alizeri, Op. cit., voi. I, pp. 225, 408-410; voi. Ili, pp. 202-203. (p) Alizeri, Op. cit., voi. II, pp. 481-501. Cfr. Atti della Società Ligure di Storia Patria, voi. V, PP· 543-544· NEL MEDIO EVO 159 tanlo col Governo locale, quanto con quello della madre pairia. Si discorre di questa Masseria negli appunti che seguono i documenti del surricordato volume \ degli Atti (q); ma poco si conosce della sua opera, la quale doveva essere molto importante sia dal lato commerciale, sia dal lato politico, considerata la larghezza e la continuità dei traffici e delle relazioni fra Genova e Bruges. Disgraziatamente, così di essa come di tante altre consimili instituzioni fondate dai Genovesi all’estero, sono andati perduti i registri della corrispondenza e dei conti; e quel poco ehf se ne sa risulta quasi esclusivamente dalle scritture rivolte alla medesima Masseria od ai suoi commercianti, ovvero che in qualche modo la riguardano, provenienti dalla Signoria genovese o dai Governi e dalle Magistrature delle Fiandre. E’ da credere che i documenti editi dal Desimoni e dal Belgrano nel voi. V comprendano una notevole e fors’anco la maggior parte di tali scritture; ma che molte altre notizie, relative al commercio ed all’attività in genere dei Liguri in quelle contrade, possano trovarsi nei registri notarili di cui è ricco ΓArchivio di Stato in Genova, ed altresì nella corrispondenza col Governo della Repubblica genovese dei suoi rappresentanti residenti colà dopo il 1550, come pure nelle lettere trasmesse al medesimo Governo dai Principi e Governi di esse contrade, corrispondenza e lettere conservale in detto Archivio. Un gruppo importante di cosiffatte corrispon- (q) Atti, voi. V, pp. 521-526. 160 LE RELAZIONI FRA GENOVA E BRUGES (lenze è quello conservato nello stesso Archivio sotto la denominazione di Lettere Consoli, Olanda, mazzi I e II: il (filale gruppo comprende tanto le lettere provenienti dai consoli genovesi nelle sette Provincie Unite. che si distaccarono dai Paesi Bassi lasciati alla Spagna da Ciarlo V, erede dei dominj della casa di Borgogna, e che formarono la potente repubblica degli Stati Generali nota comunemente col nome di Olanda: quanto le lettere procedenti dai consoli in Anversa, e nel tempo in cui questa era « città non ancora reconciliata con S. M. Cattolica ·>, e dopo che v^nne a far parte delle altre dieci promncie rimaste spagnole fino al 1714. Il primo mazzo contiene, oltre poche lettere da Anversa dei consoli Jacopo Cicala, Lazzaro Spinola, Filippo Cattaneo, Gio. Benedetto Invrea e Andrea Pichenotti. comprese con intervalli grandissimi fra il 1563 ed il 1620, più di trecento lettere da Amsterdam ed in minor parte da Anversa del console Stefano , una di Federico Enrico di Nassau in data 7 ottobre 1631, ed un ottantina di lettere degli Stati Generali delle Provincie Unite fra le date 12 giugno 1609 e 24 settembre 1710; oltre alcune lettere, in parte cifrate, di Francesco Maria Doria, con una copia di lettera di M. Gillis, eletto Gran Pensionarlo delle slesse Provincie Unite (s). Prima di dar termine a questa breve notizia, non voglio omettere che lo studio sulla Loggia dei Geno- (r) T mazzi ο buste delle Lettere Consoli. Olanda, sono rispettivamente indicati coi numeri generali 2657 e 2658. Xel primo la lettera più antica, che riguarda l’acquisto d’una campana. è quella del 14 giugno 1563 finnata, oltre che dal console Jacopo Cicala, dai consiglieri Francesco Lomellino e Stefano Gentile. Nelle altre lettere si finnano col console Lazzaro Spinola i consiglieri Gregorio de Franchi e Nicolò Lomellino (30 luglio T572). col console Filippo Cattaneo i consiglieri Gio. Giacomo Morone Fiesco e Battista Spinola (10 marzo 1586), col console Gio. Ben.to Invrea i consiglieri Gieronimo Scorza e Benedetto Moneglia (29 giugno 1589). Il secondo mazzo contiene anche due lettere colle date di Nizza dei 22 ottobre e 27 novembre 1685, del console Guglielmo Castelli. (ì) Il mazzo 12.0 delle Lettere Principi, n· g. 2788. comprende, insieme colle lettere olandesi, anche quelle dei viceré di Napoli per gli anni 1528-96 e 1600-32, dei re di Napoli e Sicilia per gli anni 1737-59 e 1759-93. e della rep. di Norimberga per gli anni 1565-1693. 11 162 LE RELAZIONI FRA GENOVA E BRUGES vesi a Bruges è dovuto alla volenterosa sollecitudine del consocio cav. Paolo Scemi, il quale, per desiderio del nostro Presidente march. Cesare Imperiale di S. Angelo, si adoperò attivamente, coll’interposizione dell’avv. Giuseppe Schramme di Bruges, acciocché fosse dall’autore di esso, sig. Roger Janssens de Bisthoven, scritto espressamente per gli Atti della Società Ligure di Storia Patria. La fotografìa della loggia, nello stato attuale di questa, e gli schizzi qui riprodotti sono anch’essi da ascrivere alla cortese diligenza dello stesso autore. Al quale, come al cav. Scemi, porgo ora pubblicamente, a nome del Consiglio Direttivo, i migliori ringraziamenti per aver reso possibile in queste pagine la conoscenza e l’illustrazione di un monumento, che ricorda così tangibilmente l’antica potenza commerciale dei Genovesi nelle Fiandre. Francesco Poggi Segretario della Soc. Lig. di Storia Patria Genova, nel giugno del 1915. I Roger Janssens de Bisthoven LA LOGE DES GENOIS A BRUGES LA LOGGIA DEI GENOVESI A BRUGES, COME È PRESENTEMENTE (da una fotografia). armi les nombreuses nations, qui étaient en relations commerciales avec Bruges au temps de sa grande prospérité (XIV.e siècle et les trois premiers quarts du XV.® siècle), plusieurs voulurent avoir dans cette ville leur hotel ou maison consulaires. Ces édifices, appelés généralement Logcs} en flamand Lodzen, Loidgen, Logien, servaient de lieu de réunion aux négociants d’une mème nation, qui fréquentaient le marché de Bruges ; c’est là aussi qu’étaient leurs comptoirs, leurs entrepòts, et leurs salles de vente. Au XVe siècle, on en comptait une vingtaine à Bruges. Ces hòtels, les tableaux et gra-vures de l’époque en font foi, étaient souvent des chefs d’ceuvre d’architecture ; malheureusement beau-coup d’entre eux ont disparu, les autres ont été fort abimés. L’hòtel des Génois est celui qui. malgré les modifìcations lamentables qu’on y a faites, a eon-servé le mieux son caractère primitif. On n’a pu jusqu’ici déterminer l'époque de la première installation des Génois à Bruges. Nous savons qu’ils y étaient en 1378 ou 1379, car les comptes communaux de ces années mentionnent un prèt fait par eux à la ville. Mais on peut affirmer 166 LA LOGE DES GÉXOIS avec certitude qu'ils y vinrent bien avant cette date ; qu’on songe en effet que, iusqu'à la moitié du XIYe siècle, les Flamands étaient tributaires des ports Européens de la Méditerranée, principalement de Gènes et de Yenise, pour tous les produits du Levant, dont le commerce était déjà très prospère en Fiandre à cette époque ; peut-ètre les Génois furent-ils parmi les premières nations qui commer-cèrent avec Bruges. La loge des Génois fut bàtie en 1399. Cette date n'est pas contestée. Une pierre de la fagade, sous le blason de Gènes, porte l’inscription suivante: ►J» Hoc hedificium fecerunt hedificave mercJiatores. Ian uenses. Brugis commorantes. M.CCC.XCVIIII Anno. Le terrain leur avait été concèdè par la ville en 1396-97, à la demande de deux riches négociants de Gènes, Moruel Damar et Benoìt Cathain ; ces deux personnages avaient prété des sommes importantes à la ville, et ce fait ne fut pas étranger sans doute à la bienveillance du magistrat de Bruges à leur égard. L'hótel était situé sur la place de la Bourse, en plein centre des affaires, dans le quartier riche qui devait se couvrir rapidement de somptueux édifices. Une gravure de Sanderus nous donne une idée du cadre magnifique, que faisaient à la place de la Bourse la loge des Génois, l’hótel de la famille Van der Buerse (qui fut occupé pendant quelque temps À BRUGES 167 par la nation de Venise) et la loge des Fiorentins, construction grandiose flanquée de quatre tourelles : de ce dernier hotel il ne nous reste rien. Dans la rue des Pelletiers, qui longeait la partie latérale de leur loge, les Génois batirent plus tard une habitation pour leur consul, à coté de leur hotel. On y voit encore, au-dessus de la porte d’entrée, le blason de Gènes surmontant une pierre qui porte la mème inscription que celle de la fa£ade du bati-ment principal, mais avec le millèsime M.CCCC.XLI. Sur la fa$ade postérieure de cette habitation du consul, se trouve la mème inscription, avec la mème date, et le blason de Gènes. & % L’aspect extérieur de l’hótel était très caracté-ristique; construit dans un beau style ogival, sobre d’ornementation, il était d'aspect un peu sévère et un peu froid, mais plein de dignité et de gran-deur. Les lignes principales de la fagade montaient droit jusqu’au fatte du toit, pour se terminer par un couronnement rectiligne à créneaux. Le toit se trouvait ainsi caché de trois cótés par des pans de murs dans lesquels étaient ménagées de grandes baies aveugles. La fa$ade regardant la place de la Bourse pré-sentait au rez de chaussée une porte très élé-gante, dont nous dirons un mot plus bas; à cóté, une petite porte étroite, puis encore une, un peu plus large, encadrée d’une large baie murée. Au 168 LA LOGE DES GÉNOIS premier étage : une grande fenètre gothique, et une autre interrompue à mi hauteur par les sculp-tures de la porte. Au-dessus deux fausses fenètres gothiques; dans l'une, un cadran d’horloge et les armes de Gènes. Au faìte une ligne de créneaux. La fa^ade de la rue des Pelletiers comprenait, au rez de chaussée, quatre baies gothiques aveugles; dans le première était pratiquée une porte basse s’ouvrant sur la cave, et, dans la troisième, une lu-carne à la partie supérieure. A la hauteur du premier étage, quatre fausses baies gothiques; au-dessus une fausse fenètre comme celles de devant, simulée dans un pan de muraille crénelée, s’élevant à la hauteur du toit ; le reste de la fa>29 La Loge des Génois à Bruges par ROGER JANSSENS DE Bl-STHOVEN; con una prefazione, sulle relazioni fra Genova e Bruges nel Medio Evo, del socio segretario FRANCESCO POGGI............... Le relazioni fra Genova e Bruges nel Medio Evo . » 145 La Loge des Génois à Bruges ..... » 16J Illustrazioni : La Loggia dei Genovesi a Bruges, come è presente- mente . ......» 164 Schizzi di alcuni stemmi di famiglie genovesi . . » 169 La Loggia come era originariamente, secondo J. Gailliard............... - - - ' » v '