— ATTI SOCIETÀ LIGURE STORIA PATRIA ATTI DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA VOLUME XXIV GENOVA TIPOGRAFIA DEL R. ISTITUTO SORDO MUTI MDCCCXCII UN NUOVO CONTRIBUTO ALLA STORIA DELL’UMANESIMO LIGURE DI FERDINANDO GABOTTO I oichè la storia del Rinascimento italiano de’ secoli XIV e XV é così ampia che non basta un sol uomo, per quanto valente, un sol libro, per quanto egregio, ad esplorarne compiutamente il campo anche in una sola regione, mi si permetta che, pur dopo lo studio del prof. Carlo Braggio intorno a Giacomo Bracelli e l’Umanesimo dei Liguri al suo tempo, io ritorni a parlare di tale argomento, e, movendo anzi dallo studio medesimo del Braggio, vi aggiunga e coordini quelle notizie eh’ egli, per qualsiasi ragione, non conobbe o trascurò. Io discorrerò nuovamente di mecenati e di studiosi già ricordati in parte dal Braggio, di uomini che insegnarono a Genova ed a Savona, di letterati infine che il nome ligure illustrarono fuor della patria. Campeggeranno sovratutto, fra molte figure minori, Bartolomeo Fazio di Spezia, vissuto lungamente ed in — 8 - grande onore alla corte di Alfonso il magnanimo re di Aragona, Sicilia, Sardegna e Napoli, e Giovan Mario Filetto, professore a Savona, amico di tanti Liguri e nato, se non propriamente nella Liguria, là tuttavia dove Pera, sulle rive liete del Bosforo, in faccia a Stamboul superba, ricorda ancora agli ammiranti figliuoli d Italia una 1’ antica gloria e potenza di Genova repubblicana. Molte indubbie notizie, sparse in vecchi libri, ciedo aver rintracciate, molte erronee, ripetute in recenti, corrette , molte più aggiunte su inediti documenti. Ad ogni modo, valga a dispor me a coraggio, gli altri a benevolenza, 1’ amore con cui ho cercato di portare ancor io un contributo, quale esso sia, alla ricostiu-zione della storia dell’ Umanesimo anche nella Liguria e ne’ Liguri. CAPO PRIMO. Mecenati e Studiosi, A voler essere precisi, la storia dell’ Umanesimo ligure dovrebbe venire incominciata verso la metà del secolo XIV. Nell’agosto del 1365 passava per Genova messer Giovanni Boccaccio con incarico ufficiale di peraror presso il doge Gabriele Adorno la causa di Richerio Grimaldi e figli, « i quali si diceva fossero multati da quella Signoria per aver servita la repubblica fiorentina nella guerra di Pisa (1) ». E lettere ben note al doge ed al Consiglio di Genova indirizzava Francesco Petrarca (2), che rallegravasi pure con Galeotto Spinola dell’ incarico affidatogli di riordinar la repubblica (3), e intratteneva vera e propria corrispondenza (4) con altri Genovesi. Ma 1’ arguto novellatore nella sua missione nulla trattava che avesse a far colle lettere ; e, fra gli amici del Petrarca, Marco Portinari non mostrava invero tendenze umanistiche molto spiccate se inclinava a farsi monaco, sì che il grande Fiorentino doveva continuamente incoraggiarlo perché perseverasse nello studio delle leggi (5). E neanche vero (1) Corazzimi, Le lettere edite ed inedite di Giovanni Boccaccio, pp. lvii, 400 e 419, Firenze , Sansoni, 1877. (2) Epistolae familiares, lib. xiv, 5 e 6, ed. Fracassati, Firenze, Le Monnier, 1859-62-63. (3) Famil., xx, 3. (4) Crebras ex te litterulas habeo, scrive a Marco Portinari in Famil., XX , 4* (5) Famil., in. 12; xvii, 9; xx, 4. — IO — /■) umanista, sebbene gli dia tal nome il Novati (i), pare a me, da ciò che il Novati stesso ne scrive, un altro amico genovese del Petrarca, Bartolomeo di Jacopo (2), giureconsulto e statista morto già nel 1390, che si scorge in relazione anche col Salutati (3). Ma degli umanisti — o pseudoumanisti — liguri del secolo XIV sembra voglia continuare a scrivere il Novati (4); ep-però non insisto su di essi, Una cosa però importa qui rilevare, che fra tutti i corrispondenti genovesi del Petrarca quegli che presenta tendenze e caratteri più spiccatamente e più veracemente umanistici é l’arcidiacono, poi arcivescovo di Genova, Guidone Settimo (5). Quel ritrarsi di Guidone alla campagna, e, propriamente, presso quel torrente Sorga così celebrato dal Petrarca medesimo, é un primo accenno che non vuol essere trascurato (6). Ma v’ ha di più : un’ intera lettera del Petrarca all’ arcidiacono ha per titolo, nell’ edizione latina del Fracassetti: Qjiod magni is (Guido) aestimet nomen suum his epistolis inseri (7). Il Petrarca con quella sua modestia che non era finzione, ma pur in lui trovava posto accanto a smodata ambizione ed a vanità non minore, si schermisce dicendo che il desiderio dell'amico muove da affetto, epperò molto se ne compiace: vorrebbe essere Cicerone per porne il nome nelle lettere (1) Bartolomeo di Jacopo, in Giornale Ligustico, anno XVII, 1890, p. 23. (2) Famil., xxi, 4. (3) Novati, art. cit., pp. 27-29. (4) Egli intitola infatti I articolo sul Di Jacopo Umanisti Genovesi del secolo XIV: I: B. di Jacopo. (5) Famil., v, 16, 17, 18; xvii, 3, 4, 5; xix, 8, 9, 10, 16, 17; xxm, 12; Sen., x, 2. (6) Famil, xvii, 5, ('7) Famil., xix, 8. — II — ciceroniane : nunc vos in meis loco.... et scio vos non hospitis claritatem, sed amicitiam aestimare. Ma mentre Francesco, così delicato, si compiaceva di essere ricercato per semplice amicizia, non era però restio a pensare che ben ne veniva all’amico dalla propria fama, cui fermamente credeva. Del resto, a parte il Petrarca, il desiderio di assicurare immortalità al proprio nome accanto a quello del gran poeta in Guidone non poteva mancare, ed in un chierico é gran segno dell’ età nuova del Rinascimento. Così l’Umanesimo comincia in Genova nella curia arcivescovile, e ciò appare tanto più evidentemente se si considera che uno de’ primissimi mecenati liguri é appunto un altro arcivescovo di Genova, Pileo De’ Marini. Costui, al quale studi recentissimi vanno attribuendo singolare importanza nella storia ecclesiastica e civile dell’ età sua (i), é ricordato dal Braggio quale corrispondente coi dotti fiorentini (2) ; e Giorgio Stella ne fa menzione , sotto 1’ anno 1401 , come di uomo scientiarum amantem sacrisque eruditum litteris. Della corrispondenza cogli umanisti fiorentini é documento importantissimo una lettera scrittagli da Leonardo Bruni aretino in data Firenze, 12 febbraio, non si dice di qual anno, ma quasi certamente del 1418 (3), lettera (1) Alludo alla pubblicazione fatta recentemente nel Giornale Ligustico, anno XVIII, 1891 , fase. 5-6 e segg., da V. Poggi, col titolo Contributi alla storia genovese del secolo XV. (2) Op. cit., p. 26. (3) Siccome si parla della recente traduzione dell’ Etica fatta dal Bruni, che si sa essere stata pubblicata nel 1417 (cfr. Sabbadini, Centotrenta lettere inedite di Fr. Barbaro, p. 11, Salerno, Tip. Nazionale, 1884), così non può essere riferita che a quest’ anno od al seguente, secondochè si usa lo stile fiorentino 0 lo stile comune. che, sebbene non inedita (i), merita tuttavia di esser qui riportata per intero : Facile recognovi litteras tuas, doctissime simul optimeque antistes. Erant quippe ea facundia sapientiaque perscriptae, ut exo tuo potissimum iudicio manasse potissimum viderentur. Atque ut natura sit, cum alterum dicentem audias, quod tu maxime probas, ut valde assentiamur, sic ego tuae illi de lectione studioque sententiae vehementer assensi. Sic enim michi quoque perspicere visus sum, aut nichil humanarum rerum adversus animi aegritudinem valere posse, aut unicum in litteris studiisque esse refugium, quas qui fastidiunt et contemnunt, verae puraeque ventatis gustum non habent. Tu igitur iis incumbe, ut facis, praesertim cum nulla res dignior homine sapienti et in ea, qua tu es, dignitate constituto. Ouod autem de libris scribundis rogas, non deerit tibi diligentia mea. Verum admirabilis est apud nos eius rei penuria. Nam et studiosi permulti sunt, et qui mercede scribant admodum pauci. Ego tamen, quo tibi morem geram scrutatus omnia, cum tandem nichil repe-rirem, exoravi quemdam ex familiaribus meis ut libros quosdam, sui ipsius gratia quos ille scripserat, venundaret. Sunt autem « Ethicorum » libri, quos nuper traduxi, et a Commentaria primi belli Punici » cum quibusdam orationibus Demosthenis et « Oeconomicorum » libro, sat, ut michi primo aspectu visum est, emendare perscripti. Haec emere licebit. Tu igitur cuivis Ianuensium tuorum qui hic negociantur committere poteris, ut libros excipiat, ac precium decens pro illis persolvat. Vale. Florentiae, u idus februarii. (i) É stampata in Leonardi Bruni aretini, Epistole, iv, 19, ed. Mehus, Firenze, Paperini, 1791. Da questa lettera, di cui non è tanto significativo 1’ ejogio troppo generico della prima parte quanto sono le notizie particolari della seconda, si scorge la cura del De’ Marini per formarsi una biblioteca, tatto di tal rilievo che parla di per sé senza che io mi vi indugi molto. E non erano libri sacri che l’arcivescovo desiderava acquistare, ma versioni dal greco, se non testi greci a dirittura, che il prelato umanista voleva. Niuna meraviglia pertanto se era in relazione anche con Pier Candido Decembrio (i) e con altri (2). La sfilata degli arcivescovi mecenati e studiosi continua con Bartolomeo Capra, non propriamente di Genova, ma di Milano, sebbene di Genova fosse più anni governatore per Filippo Maria Visconti. Parecchie notizie ha raccolto intorno a lui il Braggio (3) ; più altre si potrebbero aggiungere, se non appartenessero piuttosto all umanesimo milanese che al ligure. Tuttavia, poiché il Braggio haspo-gliato a proposito del Capra le pubblicazioni del prof. Sab-badini, rileverò da una di queste, a lui sfuggita, come quegli scoprisse nel 1409 le lettere di Cicerone a Bruto, a Quinto ed i primi sette libri ad Attico, e fosse cosi gran cultore di Plinio che il Decembrio, dovendo nominar-glielo in una lettera, lo diceva Plinium tuum, ed in ogni occasione i dotti si affrettavano ad informarlo, quasi un di loro, di qualsiasi ritrovamento di codici antichi (4). (1) Sabbadini, Vita di Guarino Veronese, § 181 , in Giorn. Ligust., a. X\ III, 1891 , p. 196. (2) Mehus, Vita Ambrosii Camaldulensis, p. cccxcii , da cui appare anciie come il De’ Marini leggesse Diogene Laerzio, seppur non v’ha confusione. (3) PP. 140-142. (4)'Sabbadini , Storia e critica di alcuni testi latini, pp. 326, 351-2. 362, estratto dal Museo del Comparetti. — r4 - Anche nel resto della Liguria i primi studiosi e mecenati che incontriamo sono ecclesiastici. Matteo Del Carretto, vescovo di Albenga, era in corrispondenza con Poggio e con altri dotti fiorentini, e si mostrava desideroso di aver l’epistolario che quell’ iroso umanista in sua smodata superbia e vanità andava raccogliendo e divulgando. E correndo voce eh’ egli dovesse recarsi oltr’Alpi per qualche missione avuta, lo stesso Bracciolini, che gli si protestava tutto cosa sua, soggiungeva: « Te solo per la nostra reciproca benevolenza io esorto a provvedere al nome ed alla gloria d’Italia, e a non lasciarti spingere da avversione o da amore in tal luogo donde, volendo, non possa ritornare fra noi. Troppo siamo invidiati da certi barbari che non possono tollerare lo splendore del nome latino » (i). Sembra dunque che presso i Liguri 1’ Umanesimo si introduca per mezzo della curia. Però non tardano ad apparire uomini estranei affatto alle cose ecclesiastiche fra i più ragguardevoli promotori della nuova coltura. Il 6 ottobre 1451 Francesco Barbaro, che nella storia dell Umanesino italiano ha un posto cosi cospicuo, scriveva a parecchi amici genovesi, Gottardo Stella, Giacomo Bracelli, Matteo Lomellino e Nicolò Giustiniani (2). Chi siano i due primi non occorre dire ; e sebbene 1’ oggetto delle lettere scritte loro dal Barbaro sia puramente la raccomandazione del nuovo legato veneziano a Genova, Girolamo Barbarigo, tuttavia 1’ onorevole compagnia con essi, e la relazione medesima con (1) Poggio, Epist., vm, 11, ed. Tonelli, t. II, p. 207, Firenze, Tip. delle Murate, 1859. (2) Quirini, Epist. Fr. Barbaro, p. 193, e App., pp. 106-108, Brescia. 1743. — I5 — tant uomo , rende il Lomellino ed il Giustiniani degni di esser qui ricordati (i). Ed a Matteo Lomellino difatto vediamo indirizzate anche poesie latine da Niccolò Astesano (2). Già il Braggio (3) ha fatto menzione di parecchi Genovési che accolsero onorevolmente Ciriaco d’Ancona e sono da lui menzionati con lode nell’ Itinerarium : tra essi é un Paolo Imperiale (4). Al medesimo casato si può credere appartenesse quell’Andrea Bartolomeo che fu più volte ambasciatore della repubblica (5), consigliere del (1) Il 6 dicembre Matteo Lomellino risponde al Barbaro che fu a visitare il Barbarigo (in Quirini, p. 192). Col Giustiniani poi il Barbaro era in istretta relazione fin dall’8 agosto 1440, quando gli scriveva ch’egli ed il senato veneziano si occupavano deile condizioni di Genova loro alleata e lo pregava di persuadere Andrea Donà, ambasciatore veneziano a Genova, a protrarre il suo ritorno. Cfr. Sabbadini, Centotrenta lettere inedite, p. 104. Riguardo all’importanza politica di questi due patrizi genovesi, il Giscardi, Origine e fasti delle famiglie nobili di Genova, ms. nella Biblioteca Civica di Genova, scrive del Giustiniani che « fu capitano di dodeci galere contro i Veneziani nel 1431 » (t. Ili, p. 1002), e del Lomellino: « Matteo Lomellino quondam Leonello fu mandato dalla republica ambasciatore al duca di Milano negli anni 1420-1425 e 1433; ambasciatore a’ Fiorentini 1’ anno 1436, al Concilio ed a’ Veneziani 1’ anno 1438. Comprò il Marro l’anno 1447; fu uno de presidenti di Genova e difensore della Libertà l’anno 1435 » (t. Ili, p. 1217). Debbo le notizie del Giscardi all’ inesauribile cortesia del prof. Belgrano. (2) In Vayra, Epist. di Ant. Astesano a Genovesi, in Giorn. Ligust.)., a. XVII, 1890, pp. 234, 293. (3) P. 26. (4) Nel Giscardi, op. cit., t. Ili, p. 1109, si legge: « Paolo Imperiale, governatore di Caflfa l’anno 1438 », e poco oltre: « Paolo Imperiale, ambasciatore al papa, dal quale fu fatto suo scudiere, conte palatino e seuatore di Roma (??), l’anno 1440; ambasciatore al conte Francesco Sforza l’anno 1460; console dei Lombardi. Fu uno di quelli ai quali fu appoggiata la cura della fabbrica delle muraglie di Portovenere ». (5) L’ordine delle cariche di Andrea Bartolomeo Imperiale si ricava dal Giscardi, t. Ili, p. 1105, che scrive « Andrea Bartolomeo Imperiale, quondam Andalone, ambasciatore al duca di Milano negli anni 1422, 1423, 1426, 1433, — i6 — duca di Milano e conservatore di pace per il re Alfonso nel 1448, amico ancor egli del Barbaro, che gli scriveva il i.° marzo, forse del 1409 (1), una lettera dov' è un passo di capitale importanza. Dopo essersi lagnato del suo ostinato silenzio e chiestogli se sia dovuto al recente matrimonio, il patrizio e letterato veneziano soggiunge : Scnbas velini si Genuae reperiri posset M. T. Varro qui inscribitur « De origine linguae latìnae ». Audio quemdam concivem tuum literatissimum, apud quem esse mtelligo omnes peregrinitates, quas nobis docta vetustas reliquit; in primis gratum haberem ut me certiorem faceres singulahm de his peregrinis atque non pervulgatis libris, quos Genuae fore cognosces. Cura diligenter scire si Nonius Marcellus « De verborum significatione » compararet. Chi era costui? Forse Tommaso Fregoso? od Eliano Spinola? o quale altra persona? Se la lettera del Barbaro è realmente del 1409, come pensa il Sabbadini che l’ha pubblicata (2), va escluso lo Spinola; quanto al Fregoso, vuol essere notato che nell’ inventario de’ suoi libri — del 1425 , é vero — non appaiono né Varrone, né Nonio (3). Il candidato, a mio avviso, più probabile, sarebbe Pileo De’ Marini, 1’ arcivescovo bibliofilo ; ad ogni modo, se 1460 e 1466; anziano di Genova negli anni 1419, 1420, 1437, I443> I^° e 1466; ambasciatore a’ Fiorentini l’anno 1443, al papa l’anno 1447; conservatore di pace in Genova pel re Alfonso 1’ anno 1448 ». (1) Così il Sabbadini. Ma dal Giscardi (ved. nota precedente) appare che solo nel 1419 cominciò l’Imperiale ad aver nffid e viveva ancora nel 1466. lNon è troppo presto il 1409? (2) Storia e critica di alcuni testi latini, pp. 346 348. Altrove lo stesso Sabbadini, Biogr. docum. di Giov. Aurispa, pp. 35 e 138, Noto, Zammit, 1891, si domanda se un Bartolomeo cui l’Aurispa incarica il Guasco di salutare a Genova, sia 0 no l’Imperiale. (3) L’inventario è ristampato dal Braggio, pp. 281 e 282. — 17 — non è possibile determinare con sicurezza il personaggio in questione, se si trattasse pur anche solamente di una diceria, il documento ha sempre importanza in quanto mostra che l’Imperiale doveva essere almeno uomo intelligente di classsici se il Barbaro a lui appunto si rivolgeva per farne ricerca. Parecchie epistole metriche di Antonio Astesano sono indirizzate a Genovesi. Dice il Braggio che su di esse non importa fermarsi, poiché « c è un po’ di tutto, omni genere musicorum, medici, cavalieri, giovani baliosi e gravi uomini di Stato » (i), non soltanto mecenati e dotti ; nel qual giudizio v’ ha senza dubbio una parte di vero, poiché, oltre Matteo Lomellino già ricordato e Battista e Caccianimico Spinola, Battista Goano, Giacomo Bracelli, Nicolò e Tommaso Fregoso ed altri ancora di cui sarà cenno più innanzi, troviamo elogiati ne’ carmi dell’Astesano un Antonio Marengo « filosofo e medico », Giovanni Odone, Battista Cicala ed Emanuele Scarampo giureconsulti, e precisamente quelFAn-toniastro Grillo che io credo aver al Braggio ispirata 1’ espressione « giovani baliosi » e che consta altronde esser stato scolaro del Curio, amico del Panormita e del Fazio e uomo veramente di studio (2). Anche tra le lettere di messer Francesco Filelfo molte sono indirizzate a Liguri. Senza parlare di quelle già accennate da me stesso in altro lavoro '(3), oppure (1) P. 69. Le epistole edite dal Vayra, /. c. (2) Di lui si ha appunto una lettera al Panormita nella Miscellanea Tioli (Tioli, Vita di A. P.), t. XXIX, p. 101, nella Biblioteca Universitaria di Bologna. (3) Alcune relaxioni di Fr. e G. M. Filelfo colla Liguria, in questi medesimi Atti, voi. XIX, ed una del Panormita a lui tra le Campane, 18, p. 341, in cui lo Atti Soc. Lig. St. Patria. Voi. XXIV, fase. i.° 2 — i8 — ultimamente dal Braggio, ve n’ ha una del 20 agosto 145 5 a certo « Lucino genovese giureconsulto », in cui lo ringrazia delle cortesie usate al figlio Mario e della benevolenza dimostrata verso lo stesso (1). A questo Luchino indirizza una lettera, il i.° maggio (di qual anno non è detto), anche Guarino Veronese (2); ma poiché, come si vedrà a suo tempo, non si trovano traccie della presenza di Giovan Mario Filelfo in Liguria nel 1455, viene naturale il dubbio che quegli vivesse fuor di patria, probabilmente a Torino, dove allora si trovava il figlio dell’ umanista tolentinate (3). Luchino adunque, oltreché non ci appare vero studioso, ma solo amico di letterati, sarebbe a porsi piuttosto fra i Liguri fuor di patria, come pure vi si dovrebbero collocare di preferenza, se non cadesse più in acconcio toccarne qui di volo, Carlo ed Antonio da Ventimiglia, dato che fosse provato, ciò che é almeno incerto, trattarsi veramente della grar ziosa città della riviera occidentale. Carlo « Ventirni-liano » è noto solo per la dedica fattagli dal Fazio di un suo opuscolo storico: De origine belli inter Gallos et invita scherzosamente ad amare. Una lettera poi del Fazio al Grillo stesso è in Fazio , Epist., pp. 83 e segg. (1) Epist., 1. xii, f. 90, Venezia, mdii. (2) Cfr. Sabbadini , Guarino Veronese ed iì suo epistolario edito ed inedito, p. 21, num. 166, Salerno, Tip. Nazionale, 1885. (3) Correggendo le bozze, il dubbio espresso nel testo è per me diventato certezza. Un documento dell’Archivio di Stato di Torino (Prot. due., n. lxxxiv, f. 37) ce lo mostra professore nell’ Università torinese il 2 maggio 1456. E vi era già da un pezzo, poiché in data novembre 1452 troviamo nel medesimo Archivio (Prot. due., n. ci, f. 82) la patente del duca Lodovico di Savoia con cui il medesimo, rimosso dalla cattedra ordinaria e quotidiana di diritto civile Giovanni di Mombaruzzo per aver riconosciuto falsi i rapporti da lui fatti sul conto di Luchino da Genova, che occupava prima la cattedra stessa, vi ristabilisce detto Luchino coll’annuo stipendio di fiorini 300 di Savoia. — i9 — Britannos (i); dov’egli solesse vivere, non consta. Certo però dimorava a Napoli nel 1467 Antonio « da Venti-miglia », forse parente di Carlo o di quell’altro Venti-miglia capitano del re Alfonso: il 17 gennaio di quel-l’anno egli era studente dell’ Università napolitana e riceveva dalla corte aragonese una provvigione di ducati 12, tari 2 e grana 10, e di nuovo nel giugno un dono di (( cinque palmi di parge nero largo due dita con frangia », del valore di 3 tari e 15 grani, appositamente comprati per « l’illustre d. » (2). Ma non sono soltanto nomi che s’incontrano appena una volta o due in qualche libro o documento, nomi spigolati a gran fatica da minuzioso ricercatore, quelli de’ mecenati e studiosi liguri del secolo XV : i più insigni personaggi del patriziato genovese del Quattrocento appaiono nell’onorevole schiera. Di Biagio Assereto, il vincitore di Ponza, ha discorso a lungo il Braggio (3): il feudatario di Serravalle non isdegnava però fin di trafficare ne’ manoscritti, ed una lettera di Bartolomeo Fazio ad Antonio Beccadelli ce lo mostra venditore (1) È pubblicato dal Camusat nelle aggiunte alla Biblioteca del Ciacconio, pp. 883 e segg. L’Amaduzze , Anecdota litteraria ex mss. codicibus eruta, t. Ili, pp. 477 e segg., ricorda un’altra opera del Fazio dedicata ad un « cardinale di Ventimiglia » ; ma Io Spotorno, St. lett. della Lig., t. II, p. 44, Genova, Ponthènier, 1824 e segg., parlando di certe Elegantiae seti differentiae verborum del Facio che sarebbero nel codice vaticano 2906 e riferendosi all’Amaduzzi stesso (che in questo luogo è però molto oscuro), lo confuta asserendo non essere dedicate ad un « cardinale di Ventimiglia » che non si trova nelle liste dei cardinali, ma al medesimo Carlo « Ventimiliano », cui è dedicato il De origine belli inter Gallos et Britannos. (2) Barone, Le cedole della tesoreria dell’ archivio di Stato di Napoli dall’anno 1460 al 1504, in Arch. Stor. per le prov. napol., t. IX, pp. 205 e 215, 1884. Il d. è doctore o domino? (3) PP. 51 e segg. — 20 — per ioo ducati d’ oro (aurei) di un prezioso codice di Virgilio che si voleva acquistare pel re di Napoli (i). Non meno illustre di lui, ma più generoso, Andreolo Giustiniani, de’ Maonesi di Scio (2), donava liberamente a Poggio cimelii antichi, marmi e sigilli, che però non giungevano al Bracciolini per la mala tede di un Francesco da Pistoia incaricato della remissione (3). Importantissima per ogni rispetto è la lettera in cui 1 umanista fiorentino si duole col Giustiniani de perduti suoi doni ed inveisce contro il malfido latore (4). Da un passo di questa lettera in cui, dichiarando di non credere alla storiella spacciatagli da Francesco, che tre teste marmoree fossero state depredate da Catalani, soggiunge: « I Catalani non sono cupidi di marmi scolpiti, ma di oro e di schiavi da porre al remo », ebbe poi principio diletto la famosa polemica con Lorenzo Valla. Imperocché uno scolaro di quest’ultimo, di nazione catalano, si offese più tardi, leggendo 1’ epistolario Poggiano, del giudizio troppo leggermente pronunciato sul conto de suoi concittadini, e cominciò ad annotare severamente 1 epistolario medesimo. Ma, com’è noto, venuta la copia in mano al Bracciolini, si mise in capo fosse autore delle note il Valla stesso, epperò scrisse contro di lui la prima invettiva ed apri la fiera campagna (5). Da (x) Appendice IV, Documento III. (2) A proposito del Giustiniani e di Scio può essere ricordato un poemetto italiano sincrono edito da G. Porro Lambertenghi, Relazione dell attacco c difesa di Scio nel 1431 di Andreolo Giustiniani, in Miscellanea di stona italiana, t. VI, pp. 541 e segg. (3) Cfr. Braggio, pp. 39 e segg. (4) Epist., VI, 14, ed. cit., t. II, pp. 174-177. (5) Cfr. su questa polemica Nisard, Les gladiateurs de la republique des lettres, t. I, pp. 223 e segg., Parigi, Lev}', 1860. — 21 — quella stessa lettera poi appare come anche la moglie e la figlia del patrizio genovese fossero in amichevole rapporto colla giovine sposa di Poggio, e si salutassero scambievolmente per mezzo di questo con singolare famigliarità. E fin presso a morte, pensava Andreolo al dotto corrispondente, legandogli un codice di Dionigi di Alicarnasso. Rimane la lettera di ringraziamento al di lui figlio Angelo: il Bracciolini la grandi elogi al defunto, affermando di averlo amato come un padre, propter eius virtutes et doctrinam che era tanta da farlo amare ed onorare anche da coloro che, al par di lui, non lo conoscevano di persona, ma soltanto di fama. Non mancano — si capisce — le lo dianche ad Angelo; e la conclusione é una calda preghiera di pronta trasmissione del libro lasciatogli dal vecchio Giustiniani (i). Non un solo, ma parecchi studiosi di lettere e protettori di letterati contava la famiglia Spinola. A quel medesimo Battista, probabilmente, che nel 1442 fu uno (1) xiv, 20, ed. cit., t. IV, pp. 279-280, Firenze, 1861. Poiché a proposito appunto delle relazioni fra Andreolo Giustiniani ed il Bracelli, il Braggio, pp. 120 e segg., accenna ad una pubblica disputa avvenuta in Genova nel 1446 e di cui principale campione era un certo Ferdinando di Cordova, ricorderò come 1’ anno scolastico 1447-48 si trovi costui a Bologna ad lecturam medicine Universitatis. (Cfr. Dallari, Rotuli, t. I, p. 24). Che sia una persona sola coll’ astrologo Ferdinando di Villalobos finora non si hanno prove. Ulteriori notizie ha dato recentemente il Sabbadini, Note umanistiche, in Giorn. Ligust. , anno XVIII, 1891, pp. 302-305, rilevando trattarsi di quel medesimo Ferdinando di cui parla con entusiasmo il Valla in una sua lettera (Epist. principimi, p. 362, Venezia, 1574), e sostenendo doversi pure identificare col barbasculus di una lettera del Cassarino al Curio. Il Sabbadini non sa spiegarsi la differenza di giudizio fra il Valla da una parte , ed il Cassarino dall’ altra. Rileviamo la data (1446), e la cosa si spiega molto bene notando il dissidio iniziantesi tra il Valla stesso da una parte, e il Fazio, il Curio ed il Panormita dall’ altra, sul quale vedi più innanzi in questo stesso lavoro. degli otto capitani di libertà (i), ed a Caccianimico indirizzava suoi carmi l’Astesano (2); e da essi appare che il secondo si occupava dell’ educazione de’ suoi figli e cercava per loro un maestro di grammatica di qualche nome. Un Francesco è tra i lodati da Ciriaco (3), forse da identificarsi col Giovan Francesco che raggravasi colFAmmannati della di lui elevazione al cardinalato e gli raccomandava un certo Bonvicino : però dalla risposta del Cardinal pavese (4) non si scorge in questo Spinola alcun carattere veramente umanistico. Per contro Eliano é cospicua figura di ricercatore di cose antiche (5); e tendenze non meno spiccate della nostra cultura del Rinascimento mostrano Gian Giacomo, dal Braggio appena ricordato (6), e suo fratello Manfredo, di cui non fa neppur cenno. Abbiamo disgraziatamente pochi documenti illustranti questi due Spinola, ma tuttavia bastano a metterne in rilievo le notevoli qualità. Nel 1450 (7) Bartolomeo Fazio, di cui sarà più innanzi particolare (1) Giustiniani, Annali di Genova, t. II, p. 373, Genova, Canepa, 1854. (2) In Vayra, pp. 8 e 9. (3) Cfr. Braggio, pp. 26-27. (4) Epist., f. 58 verso, Mediolani, In aedibus Minutiani, mdxxi. (5) Su di lui Belgrano, Anticaglie, in Giorn. Ligust., a. XIII, 1886, p, 213 segg., e Braggio, pp. 28, 37, 65 e segg. (6) P. 24. Cfr. p. 225 , dove discorre del De differentiis verborum del Fazio, dedicato appunto allo Spinola, anzi, dice l’autore, scritto a richiesta di lui. (7) La data 1450 vale per tutto il gruppo di lettere pubblicato dal Mitta-. relli, Bibliotheca codicum manuscriptorum monasterii S. Michaelis Venetiorum prope Muranum, pp. 372 e segg., Venezia, 1779, e dirette dal Facio agli Spinola e da G. G. Spinola al Facio. La lettera di Bartolomeo a Gian Giacomo, che si trova in Facio, De viris illustribus et epistolae, pp. 79-80, ed. Mehus, Colonia, s. a. 1. et tip. (ma Firenze, Giovanelli, 1745), è anteriore. (Su questa lettera cfr. Braggio, p. 220, e più innanzi in questo mio stesso lavoro). Già il Sabbadini, Biogr. docum. di Giov. Aur., p. 109, n. 2, aveva stabilita la data 1450 — 23 — discorso, inviava lettere a Gian Giacomo, scusandosi di non avergli più scritto da molto tempo: il che prova esser stato fra loro precedentemente vivo commercio epistolare (i). Bisogna leggere le espressioni di affetto che adopera il Fazio verso lo Spinola : « Quando ricevo tue lettere, è per me giorno di festa; nè un sol giorno, ma più. E non mi basta leggerle una volta, ma mi piace indugiarmivi e tornarvi sopra la seconda e la terza. Invero io mi diletto immensamente leggendo cose tue, nè v' ha alcuno fra i miei amici con cui mi trattenga più volentieri che con te... Io ti amo sopra ogni altro... Non desidero che il tuo ritorno a Roma per intrattenermi teco più a lungo ». E gli manda i suoi nuovi lavori e gli parla minutamente di quelli che ha disegnati od incominciati, de’ suoi propositi, delle per la considerazione che in una risposta dello Spinola si parla di un tumulto britannico, in cui egli crede doversi riconoscere quello di Cade, eh’ ebbe luogo appunto in detto anno. Per contro il Braggio, p. 24, pone 1’ anno 1455, salvo a dir altrove (p. 220) che una delle lettere del gruppo accennato è del 1448. Non vale in favore della data 1455, sostenuta già prima anche dal Voigt, II risorg. dell’antich. class., t, I, p. 489, trad. Valbusa, la ragione addotta da quest’ultimo che il Facio scriva in una di quelle lettere: Nam cum properarem absolvere opus regium.... quare eo nunc perfecto, intendendo per opus regium il De rebus gestis Alphonsi, che si sa d’altronde, come vedremo, non finito ancora nel 145$, perchè qui si tratta solo dei primi libri (I-VII) dell’opera, che sape-vansi pur già certamente finiti nel settembre del 1451 ed ora consta pertanto esser stati terminati prima del 1450. Non varrebbe neppur dire che il tumulto britannico, a cui allude lo Spinola, non sia quello di Cade, ma la mossa del duca di York contro il re Enrico VI e la conseguente battaglia di Sant’Albano, perchè questi fatti non finirono col perdono concesso a’ ribelli per la loro sottomissione (come dice lo Spinola), ma colla prigionia di Enrico VI. E 'tronca poi ogni questione la dichiarazione del Fazio di volersi recare a Roma indulgentiae causa, ossia pel Giubileo del 1450. (1) Veniam dabis... si longiore usus sum intermissione mearum ad te litterarum quam vel solebam, vel tu optasses... vel necessitudo nostra postularet. — 24 — sue speranze; ed avendo trovato fra le sue note certi appunti sulle guerre tra Veneziani e Genovesi, riordinatili alla meglio, ancorché non compiuti, ne forma quell’ opuscoletto De bello clodiano, che è appunto dedicato a Gian Giacomo (i). Si scorge insomma un’amicizia personale e letteraria, tanto più notevole per ciò che riguarda lo Spinola in quanto Bartolomeo spiega apertamente le ragioni molto soggettive della medesima, scrivendo in un posto che « lo mette a parte di tutte le cose sue, perchè lo sa non solo suo amatore, ma encomiatore », ed in un altro, anche più chiaramente: Tum propter tuam in me caritatem... tum propter tuam de me opinionem maiorem etiam fortasse. Se dunque rispetto al Fazio aveva gran parte in quest’ amicizia la vanità, nello Spinola valeva sopratutto 1’ amor degli studi e la considerazione verso Y uomo dotto. Gian Giacomo Spinola era allora a Londra, dove il fratello Manfredo doveva recarsi a raggiungerlo. Il Fazio gli raccomanda nelle sue lettere di cercarvi codici di scrittori antichi, e Lamico risponde che molti cercarono invano il libro di Cicerone De republica in quella Gallia dove troppo pochi si dilettano o si curano di studi: Ego quidem semper dedi operam, ut aliquid novum invenirem, sed nihil reperi in eloquentia. In aliis autem facultatibus aliqua inveni, quorum eris particeps (2). E si duole che Manfredo abbia lasciato a Genova i libri mandatigli dal Fazio, probabilmente a mezzo di certo (1) Stampato « Lugduni, apud Gasparem a Portinariis, mdlxviii ». (2) Il Braggio accenna alla ricerca del De republica, che attribuisce anzi allo allo Spinola, ma non alle espressioni consecutive, da me qui riferite, e che mi paiono anche più notevoli. — 25 — Salvagio o di un Battista — forse quel Battista Spinola lodato dall’Astesano —, e si adopera perché gli vengano trasmessi, ancorché sia sulle mosse per ritornare, e scrive e riscrive che gode già soltanto al pensiero di cosi cara lettura e che i libri di lui gli sono sopra ogni cosa graditi. Manfredo era a Roma quando Bartolomeo scrisse anche a lui una lettera tutta elogi, in cui diceva avei avuto già da gran tempo in animo di far tal cosa, ma esserne stato fin allora impedito dalla cura del libro che aveva per le mani, finalmente quasi finito. « Imperocché », soggiunge il documento che ancor ci rimane, « mi giungono voci frequenti, pressoché giornaliere, de’ meriti tuoi, le quali tutte mirabilmente concordano in esaltarti. Nessuno vien di costì che non dica e ripeta esser tu destinato’ ad illustrare il nome tuo e di tua gente. Epperò io non ho voluto indugiar di più a rallegrarmi teco di questa tua gloria nascente e mostrarti quanto io sia lieto che tu, crescendo negli anni, non ismentisca quelle speranze che di te fanciullo io aveva concepito ». E continuando un pezzo su questo tono, esorta il giovane a proseguire per quel cammino che lo condurrà alla gloria paterna. A Carlo Fieschi accenna come ad uomo studioso il Sabbadini (i), che lo mostra in relazione con Pier Candido Decembrio, e delle tendenze al mecenatismo del famoso Obbietto ebbi altre volte io stesso a toccare (2). (1) Vita di Guarino Veronese, in Giorn. Ligust., anno XVIII, 1891, p. 196. (2) Vedi i miei scritti La storia genovese nelle poesie del Pistoia, p. 16 e segg., e Un nuovo documento intorno a Loren\o Maggiolo, p. 3, entrambi estratti dal Giorn. Ligust. Cfr. Braggio, p. 137 n. — 2 6 — Anche dagli Adorno si concedeva favore alle lettere : Raffaele , che fu doge dal 1443 al 1447, é considerato dallo Spotorno (1) come letterato; e certo egli non solo aveva gran cura dell’ educazione de’ figli ed affidavala al Fazio, ma a questo dava ancora pubblici uffici, e cosi mandava ambasciatori Battista Goano, degli ammiratori di Ciriaco (2), e Battista Lomellino, parente, si può credere, di quel Matteo eh’ era amico del Barbaro, e da Bartolomeo stesso ritenuto nella sua storia di re Alfonso « gentiluomo per integrità di vita e per prudenza degno di somma laude » (3). Però i più insigni mecenati genovesi del secolo XV appartengono alla famiglia Fregoso (4). Nel 1424 l’Au-rispa mandava a salutare Spinetta e, forse, Nicolò Fre-gosi per mezzo di Bartolomeo Guasco (5), e più tardi il duca di Milano raccomandava al doge Battista Giorgio Valla con lettera che sarà prodotta più innanzi. Ma so-vratutto importanti sono i rapporti che con umanisti ebbero Giano, Nicolò e i due Tommasi. Con Tommaso il vecchio, più ancora che cogli altri di sua famiglia, era in relazione stretta l’Aurispa, e nel settembre del 1426 (1) St. lett. della Lig., t. II, p. 34, Genova, Ponthènier, 1824. (2) Cfr. Braggio, p. 26-27. Al Goano sono rivolte due poesie dell’Astesano (Vayra, pp. 222-23 e 230-31). (3) Facio, Fatti di Alfonso d’Aragona, trad. da Giacomo Mauro, p. 337, Venezia, Giolito, 1571). Il testo latino « Lugduni, apud haeredes Sebastiani Griphii, 1560». (4) Cfr. in questi Atti medesimi, voi. XIX, il mio studio già cit. A proposito di una poesia di Giovan Mario Filelfo a Tommaso Campofregoso, ossia Alcune relazioni di Fr. e G. M. Filelfo colla Liguria, pp. 501 e segg., e Braggio, pp. 23, 25-26, 75-76, 97, 101, 127, 143-145, 264, 274-275, 281-282. (5) Sabbadini, Biogr. cloc. di Giov. Aurispa, p. 36. Che un Nicolò ivi pur ricordato sia il Fregoso, cfr. p. 188. — 27 — o del 1427 voleva venirlo a trovare a Sarzana, forse per ottenervi da lui un posto migliore di quel che aveva allora a Firenze (1). Dalla cronologia della vita dell’ umanista siciliano non sembra eh’ egli raggiungesse il suo intento; ad ogni modo, le sue speranze non erano infondate, poiché se 1’ uno aveva le casse piene di libri, l’altro era bibliofilo appassionato. E celebre infatti la biblioteca di Tommaso il vecchio, e tra gli altri cimelii, vi si trovava il Tito Livio appartenuto al Petrarca. Di questo prezioso libro, ora conservato nel fondo latino della Nazionale di Parigi col n.° 5690, sono incerte per parecchi secoli le vicende, poiché da una parte il Belgrano (2) ed il Braggio (3) dicono che rimase (1) Sabbadini, Op. cit., p. 187-188. Poiché il Braggio ha stampato una lettera di Tommaso Fregoso all’Aurispa (Giovanni, non Francesco, com’egli lo chiama), mi si permetta di produr qui quest’altra lettera dell’Aurispa al Fregoso: Aurispa Siculus s. d. d. Thotnae Ianuensi. Magnifice et potentissime domine mi unice. Faule esse aiunt avaro homini avaritiam persuadere , « iustitiam insto, mortem contemnere forti » , sed omninm facillimum est gratum hominem monere ut accepti beneficii reminiscatur et, cum fortuna locum aut tempus aut facultatem praebet, beneficia summa cum voluptate reddat. Verum tot tantaque beneficia fuerunt in me, magnifice, ab illustri domo tua collata, ut eorum sine mea magna ignominia oblivisci nequirem. Quam quidem ob rem constitutum habeo in mense septembris ad dominationem tuam venire atque omnia agere pro sententia tua. Ceterum iampridem cum Bononiae essem, comparationem quamdam famosissimorum ducum de graeco in latinum transtuli ; eam nunc ad te mitto: putavi quidem rem magnificentiae tuae placituram, nec adeo longam ut a curis bellicis animum tuum dimoveat. Dii tua vota impleant. Vale. Ex Florentia Vili hai. sept. (1426 0 1427). Erra il Sabbadini però quando crede che l’Aurispa dovesse andare a Genova, mentre il Fregoso viveva allora ritirato nel suo principato di Sarzana. (2) Pp. 131-132. (3) Annali genovesi di Caffaro, t. J, p. xxxiv, Roma, 1890. Mi avverte corte-semente il prof. Belgrano che delle annotazioni egli ebbe notizia dal prof. No-vati tornato allora da Parigi. — 28 — nella famiglia Fregosa fino al secolo XVI almeno, il Sabbadini (i), invece, racconta che l'arcivescovo di Milano Francesco Pizolpasso e 1’ umanista Pier Candido Decembrio speravano nel 1438 di venirne in possesso, ma non riuscirono, ed il Livio « migrò a Napoli, dove lo vide e lo adoperò Lorenzo Valla ». È però a notare che mentre il Sabbadini si fida di un’attestazione del Valla stesso (2), che potrebbe anche essere errata, il Belgrano ed il Braggio seguono « certe annotazioni » marginali del manoscritto medesimo; e non accenna neppure alla provenienza aragonese il Mazzatinti nel suo lavoro sui Manoscritti italiani della Biblioteca Nazionale di Parigi, in cui dà pure notizia di codici latini passativi da Napoli (3). Io inclinerei perciò maggiormente all’opinione dei dotti liguri : la questione del resto sarà credo risolta definitivamente dal De Nolhac nel suo prossimo libro sulla biblioteca del Petrarca (4). Col Decembrio era specialmente in rapporto Tommaso il giovane. Ecco un’ importante lettera inedita del governatore di Savona all’ umanista vigevanasco, allora segretario apostolico a Roma presso il pontefice Niccolò V: (1) Storia e critica, p. 420. (2) Opera, p. 602, Basileae, apud Henricum Petrum, mdliii. (3) Il lavoro è premesso al primo volume dei Manoscritti italiani delle biblioteche di Francia, Roma, 1886. (4) Per debito bibliografico noto ancora come il Sabbadini, Note umanistiche, in Giorn. Lig., anno XVIII, 1891, p. 305, rimproveri cortesemente il Braggio di non aver tenuto conto dei documenti da lui medesimo prodotti in St.e critica, p. 420. Quanto a me, anche dopo la conferma sabbadiniana, e sotto la riserva espressa nel testo, continuo ad inclinare piuttosto ad accettare le conclusioni del Belgrano e del Braggio. — 29 - Thomas Fregosus Petro Candido secretario apostolico salutem. Reddite sunt nobis littere tue, vir integerrime, ex quibus percepimus devotionem in nos tuam non defecisse. Quod, tametsi nobis persuaderemus, res tam iocundissima ex ipsis litteris nobis allata est; tum quia intelleximus optime te valere, tum etiam quia dignitatem virtutum tuarum prope dignam apud beatissimum patrem obtinere te novimus. Cuius pedibus non gravet nos recomissos reddere. Gratissimum nobis erit huic etati nostre amenissimum, si curam onusque susceperis transmittendi nobis, et quidem cito, descriptionem tercii belli Punici, nec nimus Sylle vitam, que scribis e grecis latinam fecisse et quam dudum magno cum studio videre ac legere affectavimus. Opportune enim de hac re scripsisti. Et [«'] libros ipsos miseris, scito eos tibi, cum perlegerimus, fideliter remissuros esse, offerentes nos omni tempore ad quelibet animo tuo grata. Saone, die prima iunii (i). (i) Cod. Ambrosiano I, 235 inf., 1. 107. Poiché mi si offre l’occasione, do qui un’ altra lettera inedita del Decembrio al duca di Milano di molto interesse perla storia politica del tempo. È tolta dall’Archivio di Stato di Milano: « Potenze Estere — Napoli ». ~L « Illustrissimo Signore. Benché a la Signoria Vostra non sia de mestere del consiglio d’alchuno, perchè essa per se assai intende ciò che gli è necessario a fare, pur come vostro subdito e servo dirò quanto a me con sincera fede apertene ad avisare el Signor suo. Io, Illustrissimo Signore, non praticai mai la Maiestate del Signore Re per lo tempo passato, salvo da dece mese in qua che sono a li suoi servicii con bona licentia de la Signoria Vostra, e per quello che comprenda, oltre la doctrina de le letre che vedo in la Maiestate sua e la singulare virtute quanta e’ comprehendesse giamay in alchuno principo, acconosco etiandio eh’ é Immanissimo et benigno e non si cura se non di vivere in quiete et in pace con securecia del Stato suo, e, dica che si voglia, questo Signore ve ama e ha la virtute vostra in admiratione, et a mio parere è fucile a conservarlo non solo in amore con la Signoria Vostra, ma ad accrescere l’amore più che non è, sapendolo tractare humanamente et honorario l — io — Anche Tommaso Fregoso il giovane, adunque, amava leggere le novità letterarie e le chiedeva con istanza agli autori. Chiuderò questo capitolo toccando ancora di un uomo del quale già altra volta tanto io stesso (i), quanto il Braggio (2), abbiamo dovuto discorrere, e che segna appunto il passaggio dai semplici mecenati e studiosi agli umanisti veri e propri. In mezzo ai viaggi per ragion di commercio, a cui sembra continuasse ad attendere anche dopo il suo rimpatrio daH’Oriente nel 1443 (3), come merita, la quale chosa sera cagione de levare ogni scandalo che desiderasse alchuno emulo del Stato suo e del vostro e confirmare una tale amicicia, che tuta Italia viverà in pace, e la Signoria Vostra sera havuta apresso a tuti in reverentia. Senza dubio, Signore, la Maiestate del Re ha molto havuto a desdigno ciò che per lo Signore Sigismondo gli è facto et essene dogliuto assay, e cossi prima fronte a me non pare sia maraviglia se le chose sono passate in la forma che intendo, de che non ho ad intrometerme, essendo uno picolo verme, a parlare de li Signori, se non in tanto che io fusse utile a ben fare. Credo che la Signoria Vostra intenda li scandali che per tale respecto potreveno nascere e quanto de bene seria a levarli; in che non è Signore al mondo cheli fusse più apto de la persona vostra, sì per 1’ onore de la Maiestate del Signor Re, con lo quale la Signoria Vostra ha affinità, e per la quale se dovria adoprare semper in le cose iuste, si etiandio per 1’ autoritate de la Signoria Vostra, eh’ è tenuta assay. Pertanto, brevemente concludendo, non dubito, 111."0 Signore, se la prudentia vostra li appona mane e faccia che quello Signore acontente la Maiestate sua, come si convene, che ne reportereti e grande honore et accrescerete grandissimamente la caritate e 1’ amore verso la Maiestate sua, la quale cosa da me proprio m’ aparve de scrivere, non dubitando che la prefata Signoria Vostra intenderà che parlo fidelmente e veramente, e che niente mi move, se non l’amore de 1’una e dell’altra parte, precipue de la Signoria Vostra. A la quale humelmente mi recomando. Data Neapoli, die in.* septembris 1457. « Eiusdem Dominationis servus et subditus « P. Candidus ». (1) A proposito di poesia ecc., pp. 493-98. (2) Pp. 28, 37-39, 62, 123. (3) A proposito di una poesia ecc., p. ^95. Cfr. le mie Curiosità giudiziarie del tempo di Amedeo Vili, p. 2, Torino, La Letteratura, 1891, dove si parla di un salvacondotto per transito concesso dal duca Lodovico di Savoia a Nicolò e fratelli Grimaldi (Cebà). — 31 — Nicolò Cebà trovava tempo di attendere agli studi e mantenere corrispondenza coi dotti. Oltreché col Filelfo, col Bracelli, con Biagio Assereto, con Prospero da Ca-mogli ed altri parecchi, fu già ricordata dal Braggio la sua relazione con Leonardo Bruni, di cui ci resta documento in una lettera, per molti rispetti notevole, del dotto fiorentino al letterato e mercante genovese (i), già utilizzata e tradotta altra volta dal prof. Belgrano (2). Comincia il Bruni scrivendo: « Io non credeva che in tutta la Grecia vi fosse tanta valentia di lettere latine, quanta ho trovata in te solo. Imperocché da te ho ricevuto due epistole scritte con tanta eleganza e tanto nitore, che davvero sono rimasto meravigliato come tu abbia conservato, pur vivendo fra stranieri, cosi incorrotta la patria eloquenza ». Quanta parte vada fatta all adulazione in quel periodo storico del Rinascimento, in cui il sorgente concetto dell’ individualità s’imponeva a tutti • in tutte le sue forme, manifestazioni, conseguenze, é ben noto; tuttavia le parole d’ un uomo colto ed onesto come il Bruni, ridotte anche a semplice complimento, debbono esser tenute in conto dallo studioso moderno. Continua poi Leonardo dicendo che il Cebà nelle sue lettere lodava le traduzioni fatte dal Bruni stesso del Fedone di Platone, dell’ Etica nicomachea di Aristotile e di alcune vite di Plutarco: « Oh fossero davvero quali tu di’ », esclama, e soggiunge tosto: « Sappi però invero, che io molte più cose tradussi che tu non abbia ricordate ». L'attenzione vuol sovratutto essere richiamata sull’invito che Nicolò faceva all’aretino di tradurre la (1) Epist. IX, 4. (2) Nel giornale genovese Caffaro, 27 febbraio 1886. — 32 - Republica di Platone, di cui diceva aver veduto soltanto una versione pessima. A questo tra consiglio e preghiera risponde il Bruni, che da tempo si sarebbe già accinto a quel lavoro, se quei libri gli piacessero; ma « in essi », spiega, « vi sono troppe cose ripugnanti a’ nostri costumi, tantoché per onor di Platone è meglio tacerle, anziché ridirle ». Finalmente la lettera Leonardiana si chiude con un cenno ed un ringraziamento della profferta fatta dal Cebà di cercar al Bruni codici greci, e qui panni dover riferire le testuali parole della risposta del secondo al primo: Ouod autem offers operam tuam in gr aecis voluminibus comparandis, pergratissimum est. Obsecro des operam ut michi emantur volumina, quae tibi nominatim in schedula his litteris interclusa exprimo. Studebis tamen potius vetustos eligere, quam novos, si modo haberi possunt. Tu igitur hunc laborem michi gratissimum assumes. Ego autem ut aliqua hic tibi comparentur curabo. Vale. La proposta era dunque accettata e ricambiata; e di una cosa sola é a dolersi, che sia andata perduta la noticina trasmessa da Leonardo a Nicolò. Sarebbe pur stato curioso vedere quali libri sovratutto desiderasse il Bruni, e se mai il Cebà gliene procurasse davvero ! — 33 — CAPO SECONDO Cancellieri e Grammatici a Genova. Intorno a Giacomo Bracelli non ho trovato nulla di nuovo. Bensì é da notare una lettera di Poggio a Gottardo Stella, sepolta in quell’ edizione dell’ epistolario Poggiano, fatta in Firenze dal Tonelli (i), di cui scrive il Voigt (2) che « il primo volume é abbastanza diffuso, del secondo non si ebbero che notizie incerte e del terzo, che porta la data del 1861, ma non tu mai pubblicato (sic), pochissimi sembrano aver avuto contezza ». Il Bracciolini • ringrazia Gottardo delle lettere di lui, che lesse con molto • piacere, apponendovi, s’intende, il suggello di sua ordinaria vanità : tum quia iucundissime sunt ac suavissime, tum quia nonnihil in mea commendatione commorantur. Lo Stella gli aveva parlato del suo desiderio vivissimo di avere la collezione delle lettere dell’amico, da questo allora messa insieme; il Bracciolini risponde che potrà procurargli copia di quelle che più lo dilettino. Ma non ugual cortesia mostra Poggio rispetto ad Amedeo di Savoia, riconosciuto in allora dai Genovesi come pontefice legittimo e chiamato perciò da Gottardo Felice V: l’iroso e superbo fiorentino, segretario di Eugenio IV, inveisce contro di lui nella lettera al corrispondente cancelliere di Genova con parole che ricordano la troppo famosa Invettiva. (1) Lib. vili, 14, t. II, pp, 213-215. Il Tonelli assegna la lettera al 1439. (2) Il Risorgimento dell’ antichità classica, t. I, p. 338, n. 4, traci Valbusa, Firenze, Sansoni, 1888. Atti Soc. Lig. St. Patria. Voi. XXIV, fase. t.° ? — 34 — Con Gottardo Stella troviamo in relazione anche un altro insigne umanista, men riputato, ma non inferiore forse al Bracciolini : Pier Candido Decembrio. Ecco una lettera di Gottardo al Decembrio stesso, che, mentre da una parte prova questi cordiali rapporti, é dall altra di per sé notevole documento per la vita del sarzanese: Gotardus sere^anensis Petro Candido salutem. Nunquam sero reddi possunt littere tue, spectabilis ac clarissime vir, propterea quod grati mihi semper est memoria tui, sed admirari tamen nequeo quod his qui curam habuit vel mittendi vel reddendi illas, cum date sint ad septimum diem elapsi mensis, tanta vel tarditate vel ignavia usus sit, ut vix ad hunc diem ad me pervenire potuerint. Intellexi que de re mea gessisse scribis, in quo nihil dubito nec prudentiam nec diligentiam tuam defuisse, ex quo non ago solum, sed habeo gratias tibi singulares. Fecisti quippe quid de te ex humanitate tua diu sperare licuit. Verum nihil postea quid subsecutum sit cognovi, nisi quantum m negocio publico ad multos pertinente actum esse et agi continenter videmus, que, iudicio meo, talia sunt, ut constare modo ratio possit quem et quibus tandem fructum sint allatura diversis locis plura fieri nisi certis ducibus, nisi eodem tempore, nisi stabili ratione fiant, ut exitu inter se differant necesse est; sed plura tecum liberius (i). Ego autem marcesco ocio , sed expectatione plurimarum rerum suspensus, dum fuero ad honestum aliquod et salubre negotium invitatus. Interea do operam litteris, ne quid temporis nostri frustra labi videntur. Tu modo, qui in puppi sedes, da (i) Periodo oscurissimo, — 35 — cura ut recte, navigemus, et ego qui in sentinam quasi co-niectus sum, qui nos ventus agitet non ignorem. Commenda me domino Iacobo et illum ora ne me, cum possit, sinat prosperis non gaudere. (Ouod) cancellarius lucensis salutes tuas benigne multum et liberaliter excepit et excusationem de libello; sed ita librorum suorum tenax est, ut quem tu miseris, nos nobis, ut rem nostram, vendicabimus. Vale et me, ut facis, ama; nam id recte fit. Ex Luca, xvii kal. iulii 1450 (1). Appare da questa lettera come allora, probabilmente, fosse lo Stella senza ufficio e quasi in esilio a Lucca, dove si consolava tra gli studi, che diventavano per quegli uomini in essi tuttodi versati come una condizione necessaria di esistenza. Fatte le debite differenze tra le due personalità, a chi osservi la melanconia che spira dalla lettera di Gottardo al Decembrio, viene presto e naturale il ricordo della corrispondenza del Machiavelli col Guicciardini e col Vettori dopo la restaurazione de’ Medici in Firenze nel 1512! Gottardo Stella era devoto a’ Fregosi; donde le sue disgrazie, i suoi travagli, e l’inimicizia del Fazio, gran fautore degli Spinola e degli Adorni (2). Ador-niano per contro, almeno fin quasi al termine di sua vita, era un altro ligure che sembra pur egli aver avuto in Genova qualche carico publico, e fu lungamente cancelliere dei duchi di Milano. Di Prospero Schiaffino di Camogli hanno discorso a lungo (1) Codice Ambrosiano I, 235 inf., lett. 145. La credo inedita. (2) Cfr. Braggio, pp. 93-96. il Desimoni (i) ed il Braggio (2), come il Neri dello Stella (3) : tuttavia molte cose possono venir qui aggiunte alle notizie date da quegli egregi studiosi. Fin dall’agosto del 14.51 egli era già al servizio di Francesco Sforza (4), dal quale poi dieci anni dopo era inviato in importantissima ambasciata oltre Alpi. Da documenti esistenti ancora nell’ Archivio di Stato di Milano si deduce che quest’ ambasciata durò almeno dal 24 dicembre del 1460 (5) al settembre del seguente anno 1461: 1’ 8 di ottobre era già di ritorno in Lombardia, dove preparava la minuta di una letteta ducale al re di Francia per ringraziarlo delle cortesie usategli e delle buone disposizioni mostrate in cose politiche di momento (6). Fu a Nevers, Bruxelles, Bruges; vide il duca di Savoia, segui quello di Borgogna a Saint-Omer, passò per Reims, scorse insomma mezza Francia, trattando coi principi della medesima e specialmente col Delfino — poco dipoi Luigi XI, ed allora in discordia aperta col padre. — Prospero osservava diligentemente ogni cosa paressegli di qualche importanza, assumeva informazioni svariate di ciò che non poteva vedere egli (1) In Giorn. Ligust., anno III, 1876, pp. 87 e seg. (2) Pp. 82 e segg. (3) In Giorn. Ligust., anno III, 1876, pp. 125 e seg. (4) Appendice I, docum. I. (5) Arch. di St. di Mi!. « Potenze Estere — Francia ». Instructio Prosperi de Camulio ituri ad serenissimum principem et excellentissimum dominum Delphinum Viennensem serenissimi domini regis Francorum primogenitum. Mediolani, die XX1III decembris 1460. Altra minuta di quest’istruzione porta però la data 27 agosto dello stesso anno, donde l’almeno. Da un’ espressione poi del documento publicato in Append. I, docum. VII, si deduce che Prospero era già stato in Francia altra volta. (6) Append. I, docum. XII. — 37 — stesso personalmente, di tutto infine dava pronta ed accurata notizia alla corte Sforzesca. Era quello un tempo avventuroso molto : in Francia regnava ancora il vecchio Carlo VII, ma il figlio suo viveva ritirato presso l’ultimo campione del feudalesimo — ché tal era infatti il duca di Borgogna — in attesa di schiacciar lui e tutti i rimanenti vassalli con quella politica accortamente borghese che doveva renderlo famoso; in Inghilterra poi era l’epoca in cui volgeva a termine la guerra delle Due Rose, ed Edoardo, duca di York, sul punto di affermarsi stabilmente sul trono colla morte di Enrico VI. Di questi avvenimenti è un’eco viva nelle lettere che il Camogli dirigeva frequentemente a Cicco Simonetta e di cui alcune più notevoli sono da me publicate in appendice a questo lavoro (i). Ma il Governo milanese troppo spesso lasciava il suo zelante ambasciatore senza istruzioni, non rispondeva alle sue lettere (2), non gli mandava neppure il denaro necessario per vivere (3), tantoché una volta Prospero disperatamente scriveva: « Se io ho debilito far un mantel de drapo, ho dato una geme et libri ». L’animo gentile del colto italiano si meravigliava dolorosamente della « inumanità e crudeltà se usa in quelle controversie » di barbari (4); lo Schiaffino sognava un posto tranquillo, in cui avesse potuto scrivere senza angustie, fra i diletti studi (5), accanto alla madre ed ai suoi cari che invano (1) Append. I, doc. IV-XI. Nel docum. XIII, ad es., è interessante ciò che si dice del Toson d’oro. (2) Append. I, doc. XI. (3) Append. I, docc. VII, Vili e XI. (4) Append. I, doc. X. (5) Append. I, doc. VIII. Cfr. doc, X cit., e più innanzi il testo medesimo. — 38 — da lungi raccomandava al suo signore (i). A questo proposito riesce notevole ed interessante principalmente una sua lettera del 14 aprile, scritta appena giuntagli notizia de’ nuovi tumulti genovesi e della proclamazione di Prospero Adorno a doge. Il segretario umanista dichiara bensì di essere « de diretto de la linea » del duca di Milano, ma confessa pure che in quella corte egli non ha cc altro patrone, né procuratore, salvo domino Cicho quale egli conosce temperato et modesto »; testimonianza preziosa, che mostra come allora non fossero ancora tesi i rapporti dello Schiaffino col Simonetta. Il Camogli si raccomanda al suo signore affinché gli procuri un quieto posto in patria, e fa notare — ciò che vuol pur essere rilevato — che gli era stato promesso cc lo consulato de Tunese aut de Alexandria de Egipto , corno sa lo dicto domino Cico, li quali consueti possono essere de altra condicione, per la varietà de li comercii de Zenoa per lo mondo ». Prova che invero poco gl'importa cc sia Adorno vel Fregoso »; ma aggiunge tosto che ha buone ragioni per isperar piuttosto qualche utile da quelli che da questi, specialmente tenendo conto che cc con li padri de questi Adorni » egli cc era più alto che per tale cose » (2). Però, com’ é noto, brevissimo fu il nuovo dogado di Prospero Adorno, ed i Fregosi non tardarono con Paolo, Spinetta e Lodovico a ripigliare il predominio di Genova, rivenduta indi allo Sforza medesimo. Delle tendenze umanistiche del Camogli abbondano le prove. Senza ripetere cose note, senza insistere neppure (1) Append. I, doc. IV. (2) Append. I. doc. VIII. — 39 — sul fatto ch’egli portava seco libri fin nelle missioni diplomatiche e, dovendosene privare per urgenti bisogni, dolevasene molto (i), quella stessa cura minuziosa di aver notizie é un carattere spiccato degli uomini del Rinascimento e si collega coll’irrequietezza del loro animo, col continuo bisogno che sentivano di cose nuove. E segno notevole del suo spirito é pure l’attenzione eh’ egli rivolge anche all’arte, il pensiero, ad esempio, di far eseguire disegni di certe porte attribuite a Cesare e mandarli al suo signore affinchè li comunichi all’ industrio Bartholomeo architecto, « non perché cambii phantasia, né la crescili, sed solamente adeiò eh’ el veda li designi de altre natione » (2). Ma sovratutto importa considerare la corrispondenza dello Schiaffino col Decembrio. Da cinque lettere che rimangono del secondo al primo, la figura di entrambi gli umanisti é largamente illustrata (3). Prospero appare non solo più studioso, ma anche scrittore di libretti storici (libelli), di cui Pier Candido loda la dottrina e l’eleganza e dice approvare la concisione e la temperanza (brevitatem et modestiam), ma non l’esiguità del lavoro (exilitatem operis) che fa considerare tutti gli scritti che ha veduto finora di lui come irritamenta famis potius, quam oblectamenta convivarum (4). II Decembrio sembra dunque incoraggiare il Camogli ad accingersi a qualche opera di maggior mole ; intanto i due amici si prestano libri, e Prospero manda a Pier Candido un libretto De remedio novissimi diei et bore fatalis, il cui (1) Append. I, docum. X. (2) Append. I, docum. V. (3) Append. I, docc. XIII-XVII. (4) Append. I, docc. XIII e XV. — 40 — scrittore 1’ umanista lombardo giudica satis bonum fuisse virum, sed non satis eruditum, sebbene siano in esso molte cose utili (i), e gli promette Tacito, del quale era così studioso che il Decembrio stesso in una lettera, glielo chiama Cornelium tuum (2), come Plinio all’arcivescovo Bartolomeo Capra (3), Un affetto vivissimo ed una dolce famigliarità spirano da quelle lettere : Pier Candido si apre coll’ amico intorno alle cose sue (4), sfoga il suo dolore per la morte della moglie e racconta coni’ ella apparvegli nottetempo in visione (5); altrove narra tra il serio e lo scherzoso la ghiottoneria e l’irresolutezza di un certo loro (noster) Simone (6). Ma convien notare che quest’ espansione, che doveva certo esser reciproca, si spiega naturalmente colla parentela intercedente fra i due uomini insigni: consta infatti da irrefragabili documenti che il Decembrio aveva sposata la sorella dello Schiaffino (7). (1) Append. I, docum. XIV. (2) Append. I, docum. XV. (3) Cfr. sopra, p. 13. (4) Append. I, docum. XVI. (5) Append. I, docum. XIV. (6) Append. I, docum. XVII. (7) Se la notizia non dovesse dedursi che da Append. I, docum. XVIII, potrebbe esser men sicura, poiché qui si legge solo che Battistina, sorella di Prospero da Camogli, era « consorte de domino Candido de Vigevane n, che potrebbe anche non essere il Decembrio, tanto più se si osserva che in Append. I, docum. XIV, si parla della morte della moglie del Decembrio sotto la data 1464, ed il docum. XX è certo del 1477. Ma in questo stesso documento XII il Decembrio chiama lo Schiaffino « cognato suo ». Che dunque 1’ umanista vigevanasco sposasse una sorella del ligure è certo, ma resta una contradizione insolubile tra le due date dei documenti XIV e XX. Tranneché Pier Candido sposasse l’una dopo 1’ altra due sorelle del Camogli ! — 4i — La vita di Prospero ci si presenta avventurosa molto e quindi non poco interessante: disgraziatamente mancano a me i documenti per rifarla qui tutta(i). Nondimeno una cosa vuol essere notata, cioè come dopo il 1466 (2) il Camogli abbandonasse la corte milanese, passando successivamente, e forse contemporaneamente (3), al servizio di vari principi. Già era noto, per un accenno di una lettera di Antonio Ivani, che questa sua dipartita dalla corte Sforzesca fu cagionata da gelosia ed inimicizia verso Cicco Simonetta (4), 0, piuttosto, come par naturale, di quest’ultimo verso di lui. Veramente nel 1461, come si è veduto, i rapporti fra i due segretari del duca di (1) Correggendo le bozze, posso ancora valermi di due nuovi documenti trovati soltanto in questi giorni nell’Archivio di Stato di Milano e pubblicati in Append. I, docc. II e III. Adunque fin dal 1451, sembra (la data manca nel documento II, ma si deduce dal posto che il documento stesso occupa nell’Archivio milanese), lo Schiaffino era stato accusato da Giovan -Manfredo Pallavicino di aver alterato certi « quaternetti e registri ». Il duca ordinò informazioni, ma pare risultasse da queste che l’accusa era infondata. Certo Prospero da Camogli continuò ancora per un pezzo ad occupare un posto cospicuo al servizio dello Sforza, dal quale nel maggio del 1457 era inviato, con Nicodemo Tranchedino, ambasciatore a Siena (doc. Ili; anche qui manca l’anno, ma risulta da lettera del duca Francesco allo Schiaffino ed al Tranchedino, che non credo necessario pubblicare). (2) Che il Camogli non sia partito dalla corte lombarda se non nel 1466, al più presto, si deduce dall’Append. I, docum. XVI, in cui si legge: « Sapete molto bene che al tempo della felice memoria dello 111.'"° S. Duca Francesco , essendo vuy a li servitij soi, sempre ve ho voluto bene.... E1 simile ho sempre facto presso questo Signore; ma la Ex.u> Sua, sapendo la natura et costumi vostri, delle quali, dum esset in minoribus, era informato.... così ve licentiò ». « Questo Signore » non può essere che Galeazzo Maria. La lettera pertanto, di cui queste parole fanno parte, 0 fu scritta sotto il ducato di Galeazzo Maria stesso o ne’ primissimi tempi della reggenza di Bona di Savoia, come par anche più probabile per certe altre frasi. (3) Append. I, docc. XX e XXI. (4) Braggio, p. 86. - 42 - Milano non erano ancor tesi; essi procedevano anzi d’accordo, tantoché il Simonetta poteva più tardi, se non con verità, con apparenza di verità, scrivere allo Schiaffino: « Io ve ho sempre voluto bene et laudatove in ogni loco, et presa vostra difesa quando de vuy sen-teva spesso dire male » (i). Ma quest’ ultima espressione medesima di Cicco, ed alcune espressioni di Prospero dolentesi col duca che le sue lettere non fossero forse a lui trasmesse (2), mostrano come fin dal 1461 avesse il ligure possenti nemici a fianco del suo signore ; e da un passo della citata lettera del Simonetta è possibile dedurre che allora fosse già mal disposto verso di lui il principe ereditario Galeazzo Maria. Certo, successo questi al padre, il Camogli dovette mutar soggiorno, concependone grande odio contro Cicco e fin contro gli Sforza. Ne’ rivolgimenti di Genova egli aveva lungamente sostenuto gli Adorni contro i Fregosi ; or perchè Genova, tornata sotto la protezione milanese, era osteggiata dall’ arcivescovo Paolo Fregoso, Prospero Schiaffino sebbene nimicissimo già di lui, sembra annodasse col medesimo segreti intrighi per fargli riavere il dogado. A sentire il prediletto cancelliere di Galeazzo Maria Sforza e di Bona di Savoia, il Camogli sarebbe andato a Padova per abboccarsi coll’ arcivescovo ; altre voci dicevano aspirare egli stesso a farsi signore di Genova, il che Cicco non crede, per la pochezza, dice, di Prospero. Fu allora tra i due uomini scambio vivace d’ingiurie: indirettamente il Camogli scriveva contro il Simonetta indirizzan- (1) Append. I, docum. XVIII. (2) Append. I, docuin. XI. — 43 — dosi a « S. M.a » Pietro da Pusterla; direttamente rispondeva il secondo, accettando l’istituzione del parallelo fra le lor patrie, ma ritorcendolo contro l’avversario, e conchiudendo : Si de cetero scripseris, quere qui respondeat tibi (i). In quella moriva assassinato il Duca Galeazzo Maria, e Genova tumultuava contro la reggenza di Bona di Savoia, governata, meglio che consigliata, dal Simonetta. Ecco pertanto lo Schiaffino continuare vieppiù le trame, e, fiero delle qualità di « prelato in sacris, constituito ambassatore del papa, officiale de camera, ambassatore de re de Scocia, fratello iurato de re de Francia e suo secretario, etc. », come scriveva poi sua sorella Battistina, non esitava a transitare per la Liguria, quando nel giugno del 1477 era preso a Chiavari d’ordine del Governo milanese. Veduta la mala parata, Prospero volgevasi, sembra, umilmente all’antico rivale, e supplicava il Simonetta a fine di ottenere la sua liberazione. Riscrivevagli Cicco urbanamente, dichiarando rincrescergli e dolergli grandemente « la prigionia di lui », ma non potervi far nulla : consigliavalo a « dire la verità de tutte le cose » intorno a cui fosse interrogato e che potessero giovare o nuocere allo Stato di Milano, quelle affinché si potessero fare, queste impedire. Dal canto suo affermava avergli rimesso « et rimettergli ogni cosa, et per 1’ avvenire essere pronto a comportarsi con lui, per quanto poteva e sapeva, corno per bono patre » (2). Ma veniva intanto il Camogli condotto a Milano, sotto colore che la duchessa gli voleva (1) Append. I, docum. XVIII. (2) Append. I, docum. XIX. — 44 “ parlare, nè veniva punto messo in libertà. Per il che la sorella Battistina supplicava la reggente, non senza una certa alterezza, affermando che la prigionia di Prospero « descunciava la Christianità interrumpendo le cosse che luy haveva in mano », chiedendo tosse sciolto « sia per la iustitia et religione, sia per reverentia de tanti prìncipi », e da ultimo « advisandola che qualuncha persona impedisse quelli che vano a Roma, et maxime per facende de Sancto Patre, pubicamente secundo lo ordine de la Ecclesia sono excomunicati e dannati » (i). Bona scrisse a tergo della supplica di Battistina : Considerationes ad iusticiam et honestatem ; qualche potente dovette intromettersi (2), e l’umanista avventuriero corse ancora altre sorti (3). È singolare che, tranne Giacomo Bracelli e Gottardo Stella, tutti gli uomini che furono in Liguria qualcosa più che mecenati, ovvero semplici amatori di studi, trascorsero la miglior parte di lor vita, se non la maggiore, fuori della patria. Tale fu pure la sorte di Giacomo Curio, intorno al quale le notizie date dal Braggio (4) vanno ora integrate con quelle messe in luce più recentemente dal Sabbadini (5). Fin dall’ottobre del 1423 un lacobus Antonii Curii ianuensis, che non saprei se si debba proprio identificare col cancelliere letterato, ma che probabilmente non è diverso da quest’ultimo, poiché (1) Append. I, docum. XX. (2) Una supplica in questo senso di Liberio da Camogli e suoi propinqui al governatore ducale ed agli anziani di Genova fu ultimamente trovata nell’Archivio di Milano, ed io la pubblico in Append. I, docum. XXL (3) Braggio, pp. 86 e segg. (4) Pp. ioo e segg. (5) Biogr. doc. di Giov Aur., pp. 27, 104, 108, 168 e segg. — 45 — sappiamo che faceva anch’egli il copista, terminava la copia di un apografo dell’ Orator e del Brnlus ciceroniani per Cosimo de’ Medici : era in quell’ epoca a Firenze. Di ritorno a Genova, vi fu raccomandato dal Capra al re di Cipro; e dovette pure insegnare alcun tempo privata-mente nella capitale della Liguria, se fu suo scolaro Antoniotto Grillo (i). Impiegato nella cancelleria genovese (2), ebbe onorevoli missioni, a Firenze nel 1446, presso Francesco Sforza nel 1448, e di nuovo nel 1450, finalmente a Napoli nel 1451, quando per mezzo suo re Alfonso mandava un cavallo in dono a Nicolò Fregoso, capitano della repubblica: il documento che di questo fatto ci ha lasciata notizia lo dice allora « segretario del doge » (Pietro Fregoso). A Genova il Curio contrasse relazione di amicizia col Cassarino e col Fazio; ed era già precedentemente in rapporto col Panormita e col-1’Aurispa. Nel 1455 lo troviamo già passato al servizio del Magnanimo, che « prese parte al lutto per la morte di suo padre e lo aiutò a collocargli la figliuola ». Aveva dunque contratto matrimonio ed avutone prole; donde forse le strettezze finanziarie, di cui si doleva coll’amico Beccadelli e per le quali dovette tornare più di una volta all’antico umile ufficio di copista (3), sebbene (1) Cfr. sopra, p. 17. (2) Se è esatta l’indicazione che il Braggio dà poche righe dopo, dell’ ambasciata, cioè, del Curio a Firenze nel 1446, non isti la sua osservazione eh’ egli fosse piuttosto a’servizt particolari de’Fregoso che nella publica cancelleria, poiché fino al 4 gennaio 1447 fu doge Prospero Adorno. (}) Lettera del Curio al Panormita nella Bibl. Univ. di Bologna, Miscellanea Tioli, t. XXIX, p. 230. Il Sabbadini fissa la data di questa lettera al 15 giugno 1455: non può esser certo, per la ragione da lui addotta, anteriore a quest’anno; ma perchè non potrebbe essere posteriore? — 46 - avesse un buon posto a corte e godesse il favore di re Alfonso (i). Sopravvissuto a quest’ultimo, continuò a servirne il figliuolo Ferdinando, interessandosi pur sempre, sebben lontano, alle cose della sua patria, in onor della quale scrisse dopo il 1461 il poemetto ricordato dal Braggio (2). Alla corte di Napoli era passato, come si vedrà più innanzi, prima ancora del Curio, un altro insigne ligure, Bartolomeo Fazio; il quale se non era stato cancelliere ancor egli, aveva però avuto in patria pubblici uffizi ragguardevoli. Ma l’importanza di questo umanista è tanta e cosi singolare, che sarà meglio dirne diffusamente in apposito capitolo. Occorre invece parlar qui di un altro Bartolomeo, il Guasco, che fu a Genova un tempo più considerevole di sua vita, e del quale ha bensì toccato qua e là il Braggio (3), ma senza metterne abbastanza in rilievo la figura più notevole che a primo aspetto non paia (4). 11 prof. Braggio, accennando ad una lettera direttagli da Francesco Barbaro, scrive quasi con ironia: «Figuratevi se il buon grammatico non avrà fiuto la ruota per tanta degnazione! » No, di certo; ché il Guasco era avvezzo a ricever lettere di uomini illustri, ed a qualcosa di meglio ancora, come avrò or ora a mostrare. Egli del resto, il (1) Lettera del Curio a re Ferdinando, in Mittarelli, op. cit., p. 295. Cfr. Sabbadini, 1. c. (2) Altre notizie del Curio, troppo strettamente congiunte colla vita del Fazio per separamele, saranno date più innanzi. (3) Pp. 22, 97, 113-114, 143, (4) Dell’importanza del Guasco si è invece accorto il Sabbadini, clic gli lu consacrata una delle sue Briciole umanistiche, in Giorn. stor. kit. il., t. XVIII, pp. 216-224, a parte. - 47 — Braggio, non sospetta nemmeno che a Bartolomeo si contenda la patria genovese, mentre 1’ A-Valle (i) vuol far di lui un alessandrino. Invero la famiglia Guasco era una delle più insigni di Alessandria (2), e d’altra parte un « Bartholomaeus de Pedemontium, artium doctor et medicinae licentiatus » appare realmente professore straordinario all’ università di Bologna negli anni 1447-48 e 1448-49 (3). Ma che questo « Bartolomeo di Piemonte » non abbia che fare col Guasco, e quest’ ultimo sia genovese, non lascia luogo a dubitare una lettera di Poggio (4). Fra gli uomini insigni coi quali fu in relazione Bartolomeo Guasco, uno di coloro di cui ci sono meglio noti i rapporti con lui è Giovanni Aurispa. Quando incominciasse quest’amicizia non è noto; del 1424 però abbiamo una lettera dell’umanista siciliano al ligure, da cui si scorge come questi fosse allora a Genova e volesse recarsi a Bologna a trovarvi l’amico. Giovanni si rallegra in questa lettera che Bartolomeo sia a Genova in grande onore presso un Nicolò, che si vuole sia il Fregoso (5), ed altri fra i più insigni mecenati e studiosi liguri di quel tempo, e gli offre, se mai farà il viaggio disegnato, « una stanzetta in casa sua convenientissima a’ lor studi », (1) Storia di Alessandria, t. IV, p. 385. (2) A-Valle, op. cit. ; Ghilini, Annali di Alessandria; Schiavina, Annales Alexandriae, etc. (3) Dallari, I rotuli dei lettori legisti ed artisti dello Studio Bolognese dal 1384 al 1799, pp. 24 e 26, Bologna, Merlani, 1888. (4) In Mai, Spicilegium Romanum, t. X, p. 366, Roma, 1844, e in Poggio, Epistolae, ed. Tonelli, t. II, p. 206-207. Il Braggio non ha conosciuto quest’edizione, dov'è pure un’altra lettera (Vili, 12, pp. 209-211) che sarà citata più innanzi. (5) Vedi sopra, p. 26. - 4S - sollecitandolo vivamente ad attuar di certo e presto l’ottimo proposito (i). Ma più importante è un’altra lettera dell’Aurispa medesimo al Guasco, probabilmente del 1431 (2), in cui si legge questo passo degno di ogni attenzione: Ego quidem cum multis coniecturis et rebus iamdiu animadverterem sapientiam tuam, mine presens vita tua eam opinionem maxime confirmat. Nam dum apud Siciliam, id enim fortuna suadebat, negotiator fuisti, et quidem non obscurus, postea te ex secretis apud quosdam principes vidi et quidem clarum doctum; nunc vero te rhetorem et grammatice preceptorem audio magna cum tua utilitate et summo honore. Quare, vir optime, persevera, nam pro tua natura et disciplina istas extremitates Italie oratoria eloqueti-tie (sic) complebis ». Questo passo, che termina con un singolarissimo Vale, mei hominum, dà luogo ad una grave quistione. Se — almeno in questa parte — la cronologia della vita dell'Aurispa stabilita dal Sabbadini non é errata, l’umanista siciliano fu in Liguria fino al 1419 al più tardi; però sembra vi volesse tornare nel 1426 o 1427, e, ancorché senza frutto, può aver compiuto quel viaggio (3). Poiché nella lettera al Guasco egli contrappone spiccatamente il fuisti al vidi, e l’uno e l’altro (1) In Sabbadini, Biogr. doc. di Giov. Aur., p. 55-36, n. (2) Ibidem, pp. 56-57. «La lettera», dice, «è della metà del 1431, perchè in essa si allude chiaramente alla guerra civile scoppiata in Roma per opera dei Colonna, che nell’aprile di quell’anno si rivoltarono contro il papa Eugenio IV». In verità io aveva pensato dapprima alla rivoluzione romana del 29 maggio 1,(56 (cfr. il mio Tommaso [Moretti] da Rieti, letterato umbro del secolo XV, p. 7» ligno, Salvati, 1889, estr. dall 'Ardì. Stor. per le Marche 1 l’Umbria), ma par che allora l’Aurispa fosse a Basilea. E del resto da ciò che sappiamo altronde del Guasco, e che sarà or ora esposto, convien piuttosto anticipare die ritardare la data di questa lettera. (3) Cfr. sopra, p. 26-27 — 49 — a\V audio, bisogna conchiudcrc che Bartolomeo era segretario di qualche personaggio cospicuo in un’ epoca in cui Giovanni era in Liguria, e quindi prima del 1419 ovvero del 1426 o 27, ed in Sicilia era stato prima di un tempo o dell’altro. Nel [425 il Guasco era realmente bibliotecario di Tommaso Fregoso il vecchio (1); è ragionevole pertanto ritenere che il vidi dell’ Aurispa si riferisca di preferenza alla gita eh’ egli avrebbe fatto nel 1426 o 27 a Sarzana, dove Bartolomeo appunto era bibliotecario del Fregoso. Il viaggio adunque di quest’ ultimo in Sicilia resta fissato di certo prima del 1425 , quantunque non si possa con egual sicurezza stabilire il termine a quo. « Negli anni 1426-1428 », scrive altrove il Sabbadini (2), « con la società del Panormita a Bologna c era, oltre il Lamola, anche Bartolomeo Guasco, altro scolaro e maestro girovago, che fece il mercante in Sicilia, poi il diplomatico, indi il professore e finalmente di nuovo il diplomatico, e che conosceva gli umanisti bolognesi e fiorentini ». Il professore dell’ università catanese non reca qui le prove di quanto dice, ma per affermar tutto ciò egli deve avere le sue brave ragioni e tenere in mano i documenti. Difatto le une e gli altri adduce nel suo particolare studio sul Guasco, in cui però anticipa al 1425-26 il principio del soggiorno dell’umanista ligure a Bologna. Per il che, volendo conciliare i suoi risultamenti colle cose poc’ anzi conchiuse, resta a ritenere di preferenza scritta nel 1426 (anziché nel 1427) la lettera di dubbia data (1) Cfr. Braggio, pp. 143 e 281. (2) Vila di Guarino Veronese, in Giorn. Ligust., anno XVIII, pp. 201-202. Atti Soc. Lig. St. Pàtria. Voi. XXIV, fase. i.° 4 — so - dell’Aurispa a Tommaso Fregoso il vecchio, e da porre subito dopo la gita del primo presso il secondo la partenza di Bartolomeo per Bologna. Del rimanente, co- , « 1 1 mechè sia a stabilirsi la cronologia della prima età ce Guasco, trapassando sopra un terreno alquanto più sicuro, è certo che fu a Bologna che Bartolomeo, come dice egli stesso (i), entrò in rapporto col Panormita, con Tommaso Pontano, con Giovanni Toscanella e con altri dotti uomini; a quest’ epoca anzi vuole il Sabbadini che gli abbia diretto una lettera Guarino Veronese (2). « Nel 1427 il Guasco ed il Panormita fecero pratiche per ottenere un’occupazione a Genova (3) »; ma mentre nel settembre di quell’ anno stesso il Beccadelli abbandonava Bologna, il Guasco vi si tratteneva ancora fino all’ aprile del 1428, nel qual mese passò a Firenze con una commendatizia del Filelfo per Ambrogio Iraver-sari (4). Ma neanche a Firenze dimorò lungamente: randagio come, in genere, tutti gli umanisti del Quattrocento, nell’anno scolastico 1428-29 egli insegnava a Chieri (5), donde Mercurio Rancio, allora « rector (1) Sabbadini. Bric. um., p. 217. (2) Ibidem, pp. 218-219. La lettera, scorrettissima, risulta da una contaminazione tra la vera lettera Guariniana ed un passo del Panormita diretto a tutt’ altri. (3) Sabbadini, Cronologia documentala della vita del Panormita e del Falla, pp. 28-32. Firenze, Successori Le Monnier, 1891, cit., prima della pubblicazione , nell’ altro lavoro Briciole umanistiche. (4) Sabbadini, Bric. um., p. 218. (5) Ìbidem. Il Vallauri, Storia delle università degli studi in Piemonte, t. I, p. 65, n. 1, Torino, Stamperia Reale, 1845, sembra ritardare la data del soggiorno del Guasco a Chieri. Ma la sua notizia é confusa. Bisogna notare inoltre che talvolta i registri comunali non sono punto ben ordinati cronologicamente, cosichè il documento da lui citato e da me riscontrato può essere fuor di luogo. S1 scholarum » di questa città, davane affettuosa notizia a Catone Sacco, il celebre giureconsulto dell’ università di Pavia. La lettera del Rancio al Sacco non é giunta fino a noi, ma ne abbiamo conoscenza per un’altra del Panormita al Guasco stesso. Il Beccadelli, avuta comunicazione. della lettera suaccennata, si affrettava a scrivere all’ amico per rallegrarsi aneli’ egli della nuova condizione di lui: Qua de re, egli dice, non tibi admodum quidem, sed auditoribus tuis, quippe qui eruditissimum atque eloquen-tissimum praeceptorem sortiti sunt, immortaliter sum gratulatus, mihi etiam qui virum amicissimum ct me fere alterum pene deperditum recupererim. Le parole dei Panormita sono affettuosissime ; afferma « aver anteposto sempre ad ogni cosa l’amicizia del Guasco e non aver mai avuto in vita persona più cara e gradita di lui (i) ». La data é (i) La lettera è in Antonii Beccatelli Siculi, Epistolarum gallicarum libri quatuor, I, 6, pp. 35-36, Napoli, 1746, e fu citata anche dal Colangelo, Vita di A. B. detto il P., p. 21. Sul soggiorno pavese del Panormita cfr. Ramorino, Contributo alla storia biografica e critica di A. B. detto il P., p. 88-89, Palermo, Virzì, 1883, e Sabbadini, Cronologia documentata della vita del P. e del Valla, Firenze, Successori Le Monnier, 1891, publicata mentre licenzio questo volume alla stampa. — Mi si permetta però di sollevar qui un’obbiezione, non tanto sulla data della lettera (chè a me pure, dopo molti dubbi, il soggiorno saviglia-nese del Guasco, cosi ben documentato anche rispetto alla cronologia , fa credere ed assegnare di preferenza al 1429 anziché a tempi posteriori), quanto sovra un’espressione della medesima che potrebbe indur altri a ritardare la data stessa. Vedemmo che il Panormita dice il Guasco iamdudum pene deperditum; anche l’Au-rispa, nella già accennata lettera a Bartolomeo, che sembra del 1431, scrive: Si scivissem ubinam ti litlere invenire debuissent, non has quidim primo legisses, imo, quod amicum decet, quoniam una propter locorum distantiam esse non poteramus, multitudine litterarum omnem intercapedinem superavissem. Sed, quod ante hoc factum 11011 est, eiciarn preteritum silentium et frequentatissimas epistolas mittemus, que fortunas spesque meas doceant. Se la lettera dell’Aurispa è realmente del 1431, come pensa, non senza addurre buone ragioni, il Sabbadini, come mai l’umanista siciliano ignorava da tanto tempo dove fosse il Guasco? É certo che verso la — 52 - di Pavia, e vi si trovano espressioni che sembrano accennare alla venuta del Beccadelli a questa università come a cosa recente; epperò il Sabbadini assegna il documento a’ primi mesi del 1429. Malcontento del Piemonte e de’ suoi governanti, come dimostrano i nuovi documenti publicati dal Sabbadini (1), Bartolomeo da Chieri cercava ottenere un posto presso Filippo Maria Visconti, valendosi in ciò dell opera del l'amico Panormita ; ma era grave difficoltà la sua antica devozione a Tommaso Fregoso. Per il che doveva limi tarsi a mutar la sede di Chieri nell’altra, torse ancor meno splendida, di Pinerolo, dove sembra essere stato 1 anno scolastico 1429-30. E neanche a Pinerolo rimase pm di un anno; nel 1430-31 insegnò tuor di dubbio a Savigliano, nella qual terra sembra stentasse fin a riscuotere lo stipendio, fissato, pare, in 77 fiorini e mezzo, poiché un ordinato del Comune Saviglianese del 9 ottobre 1431 risponde a certe proteste fatte contro di esso per magistrum Bartholomeum de Guaschis ohm reclonm scolarum prò resto sui salarii (2). Rimossa intanto la metà del 1429 il Beccadelli e l’Aurispa avevano fra loro commercio epistolare (Sabbadini, Biogr. docum. di Giov. Aur., p. 48); e d’altra parte come mai il I a normita , che, appena avute notizie di Bartolomeo, si affrettava a comunicarle altrui (Beccatelli, Epist. gali., IV, 17), ne avrebbe proprio taciuto con lIiì '> poteva avere maggior interesse? Forse che la mancanza di notizie del Guasto non fu contemporanea pel Beccadelli e per l’Aurispa? E, in questo caso, 'a posticipata la lettera del primo od anticipata quella del secondo? Ed ancora. sia la posticipazione dell’una, sia l’anticipazione dell'altra darebbe luogo ad altre e maggiori difficoltà cronologiche. Pongo le questioni, ma non mi sento di risolverle. (1) Bric.'limati., pp. 221 e segg. (2) Arch. com. di Savigliano, Ordinati, 1431. Cfr. Turletti, Storia di Savigliano, t. II, p. 663, Savigliano, Bressa, 1885, rimasto affatto sconosciuto al Sabbadini. — 53 — cagione di sdegno da parte del duca di Milano per le relazioni migliorate fra questo principe ed il Fregoso, tornava il Guasco alle speranze e ne teneva corrispondenza col Beccadelli. Se è vero che ancora nel 1431 lo trovò a Genova professore di retorica Antonio Astesano, fuggente da Pavia dinanzi alla peste (1), nell’ottobre di detto anno sarebbe dunque da Savigliano tornato in patria, ma non per fermarvisi a lungo, giacché, ad ogniv modo, tra il 1431 ed il 1436 fu anche a Marsiglia. Finalmente in patria tornava davvero in quest’ ultimo anno, passando per Milano, donde scriveva al Barbaro per ripigliare, dice quest’ultimo nella sua risposta, un carteggio cc smesso solo per colpa dei tempi ». Nella lettera a Bartolomeo, il dottissimo patrizio veneziano si rallegra non solo dell’ cc eleganza » dell’ amico, ma ben più che la loro relazione sia restituita in pristinum locum. Il tòno della lettera del Barbaro é quello stesso affettuosissimo dell’ Aurispa e del Panormita. cc Io ti. ringrazio », egli soggiunge, cc che tu costantemente coltivi l’amicizia nostra e c’ inviti a scriverti colla tua gentilezza. Ed in ciò io voglio così soddisfarti che, sebbene io sia un Barbaro, tuttavia non soffrirò di essere vinto nella medesima » (2). (1) Astesano, Canneti de varietate fortune et gestis civium astensium ac vitae suae, in Muratori, R. I. S., t. XIV, pp. 1015 e segg. Accettano la data della fuga dell’Astesano da Pavia nel 1431, fra i più recenti, il Gorrini, Il Comune astigiano e la sua storiografia, p. 203-204, Firenze, Ademollo, 1884; il Vayra, Eptst. di A. A. a' Genovesi, p. 220, ed il Braggio, p. 115. Il Mancini, Vita di Loren\o Valla, p. 23-24, Firenze, Sansoni, 1891, publicato meutre licenzio il presente volume, non sembra dissentire. Tuttavia qualche dubbio si può sollevare. Vedi più innanzi p. 57. (2) In Sabbadini, Centotrenta lettere inedite di Fr. Barbaro, p. 81. - 54 ~ Il 15 gennaio 1436 Genova era insorta contro il Visconti , e, dopo un brevissimo dogado d’Isnardo Guarco, Tommaso Fregoso il vecchio, accorso prontamente da Sarzana, era proclamato doge egli stesso. Questo tatto, che forse determinava, più che ogni altra cosa, il ritorno dì Bartolomeo Guasco in Genova, é l’argomento principale della lettera scrittagli il 19 agosto dal Barbaro. Questi si rallegra coll’ amico dell’ elezione di tal uomo che solo può restituir la pace alla travagliata città e concorrei e a quella generale d’Italia, ovvero, all’occorrenza, fortemente osteggiare il potente ed accorto nemico. E di nuovo tornava sull’ argomento delle cose pubbliche genovesi in altra lettera a Bartolomeo del 31 maggio 1437 (1), dalla quale sembra si possa anche dedurre che nel frattempo i due studiosi si erano incontrati, affermando il veneziano di avergli raccomandato a voce (coram) certi Buselli suoi concittadini, cui di nuovo raccomandavagli d incarico dell’ altro dotto uomo e poeta Leonardo Giustiniani. Le ultime notizie che finora si abbiano del Guasco sono date da due lettere di Poggio, dalle quali si apprende eh’ egli fu podestà in Corsica, e, mentre si trovava colà, in Genova fu combinato, lui insciente, il suo matrimonio (2). Il Bracciolini si meraviglia che un uomo « dato agli studi umanistici fin dalla prima età » consenta a dimorar così lungamente fra gente barbara, di cui egli, il fiorentino, « stimerebbe miserabile servitù essere, nonché governatore, signore ». « Ma io penso », soggiunge, « che tu faccia come le api, che dovunque raccolgono miele. (1) Ibidem, p. 89. (2) Poggio, Epist. Vili, 10 e 12, ed. Tonelli. Cfr. sopra, p. 47, n. 4. — 55 - i H se é cosi, lodo il tuo proposito ». Che la prima lettera non sia giunta a Bartolomeo, mostra la seconda concili il vanitoso segretario apostolico, tutto in sembianza di modestia, invia di nuovo l’altra, soggiungendo: « Sebbene sia picciolissima cosa, potrà darti alcun piacere ». Ed a proposito del matrimonio, avendogli il Guasco chiesto il suo parere, gli consiglia la lettura di un opuscolo da lui scritto poco prima ('paulo ante) al riguardo col titolo An seni sit uxor ducenda, e loda in genere la vita coniugale come utile non solo, ma necessaria; tuttavia in particolare le mogli sono molto spesso, troppo spesso, difficili, fastidiose, litigiose e talvolta anche impudiche: rassomigliassero tutte alla sua, di cui é ogni giorno più contento ! L’ accenno allo scritto publicato paulo ante dal Bracciolini, An seni sit uxor ducenda, dà mezzo di fissar in di grosso 1’ epoca di queste due epistole Poggiane all’umanista ligure. 11 Braggio scrive ; « Allorquando nel 1449 il doge Lodovico Fregoso mandò il cugino Gian Galeazzo a governare la Corsica, tra coloro che accompagnarono il giovine nella barbara isola troviamo il nostro O O Bartolomeo », ed in nota soggiunge: a Gian Galeazzo stette nell’isola dal 1449 al 53; nel qual anno i Corsi vennero ceduti dalla Republica di Genova al Banco di san Giorgio ». Ma poiché l’egregio studioso non reca in prova di ciò nessuna testimonianza, anzi dice esplicitamente di attingere la notizia della presenza del Guasco in Corsica dalla prima lettera del Bracciolini, eh’egli riferisce nella nota medesima, conchiudendo: « La lettera cade adunque in questo spazio di tempo (1449-53) », e per contro il Tonelli aveva già assegnate entrambe le — 56 - lettere al 1439, mi si permetterà che io inclini piuttosto ad accettare questa data che quella, anzi la creda di preferenza tarda che presta troppo. Intatti è noto come Y An seni sit uxor ducenda sia stato scritto dall umanista fiorentino per giustificare il suo matrimonio avvenuto nel 1435 : se dunque egli dice quell’opuscolo publicato paulo ante, tale designazione parrà già facilmente poco propria nel 1439: figuriamoci dieci anni dopo; quattordici dopo lo scritto medesimo! Per me, a partire dal 1439, al più tardi, non credo si abbiano per ora altre notizie di Bartolomeo Guasco (1). Che in Liguria non tosse mai publico professore credo fermamente ancor io: cosi parimenti Antonio Astesano fu soltanto condotto privatamente ad insegnare in molte famiglie genovesi, non ebbe mai publico ufficio. Io non rifarò qui la vita dell’Astesano, tanto più che troppo poco avrei da aggiungere alle cose precedentemente note, mentre del rimanente so dalla gentilezza del valente cav. Pietro Vayra eh’ egli ha in pronto un ampio lavoro , ricchissimo di notizie nuove ricavate da biblioteche ed archivi. Mi si permetta soltanto che, in vista appunto di tal lavoro, io sottoponga al Vayra un mio dubbio fondato su documenti, che tocca appunto da vicino il soggiorno in Liguria del poeta ed umanista astigiano. (1) Il Sabbadini, Bric. umanist., pag. 9, si è accorto clic il Braggio attinge la notizia dell’andata del Guasco in Corsica dall’epistola Poggiana Vili, 10; nondimeno, mentre in nota avverte eh’ essa « non è del 1449, com’egli (Braggio) crede, ma del 1439 », nel testo scrive poi che Bartolomeo « nel 1439 andò, cerio per incarico dei Fregoso, podestà in Corsica; e nel 1449 tornò in Corsica con G. Galeazzo Fregoso, cugino del doge Lodovico ». Che questo sdoppiamento del governo del Guasco sia un errore, è patente per le cose da me dette nel testo. -si — Gli autori da me precedentemente citati (i) pongono concordemente il suo passaggio da Pavia a Genova (e quindi a Savona) nel 1431. Non ho prove per negare affatto quest’ affermazione ed anticipare o ritardare di parecchi anni il trapasso di Antonio dall’ università pavese in Liguria: è certo però che negli anni 1433, 14346 1435 egli era — se ancora o di nuovo, non posso dire — professore in quello Studio collo stipendio di fiorini 50 (2). Finora nessuno aveva saputo mostrare con precisione che nel 1434 insegnò in Genova anche Lorenzo Valla. 11 fatto ora é accertato per parecchi documenti editi dal Sabbadini (3), ma non si può ancor dire se condotto a publiche spese , ovvero soltanto privato insegnante come il Guasco e l’Astesano. « Prima del 1443 invece » era publico professore iu Genova Antonio Cassarino. Cosi il Braggio, che ha raccolto di lui parecchie importanti notizie (4). Ma tale epoca si può anticipare di parecchio, quando si consideri che la presenza dell’umanista siciliano in Genova è presupposta dalla lettera scrittagli da Francesco Filelfo il 28 settembre 1440 (5). Per contro se ne deve ritardare di (1) p. 53, n. 1. (2) Archivio Municipale di Pavia. Reg. 1433, 1434, 1435. Cfr. Carte Gianu-rixi nella Bibl. Univ. di Pavia e Schede Bossi, nella medesima. (3) Cronologia della vita del Panormita e del Valla, pp. 71-74- Mi viene il dubbio che le lettere del Sabbadini riferite come adespote ed anepigrafe siano di Francesco Filelfo parente, per via della madre di sua moglie, colla famiglia D’Oria ed a Firenze nel 1434. È vero che il Sabbadini riferisce le lettere stesse al 1435^considerando la data come posta secondo lo stile fiorentino, ma io riterrei potesse quella essere stata posta anche secondo lo stile comune, e ciò tanto più se ne fosse autore il Filelfo stesso. (4) Cfr. Braggio, pp. 22-23, e 116 e segg. ($) I11 Klette, Beitràge ^tir Gcschichte und Litteratur der italienischen Gelehrten-Renaissance, t. Ili, p. 107, Greifswald, 1890. - 58- non poco la morte, avvenuta in Genova non già del 1443 in occasione de’ tumulti che accompagnarono la deposizione di Tommaso Fregoso, come inclinerebbe a credere rr il prof. Braggio, e neanche nel 1444, come affermano il Cicala ed il Mongitore (1), ma invece certo dopo il 1445, probabilmente nel 1447, nel tumulto avvenuto quando i Fregosi ripigliarono il governo della città (2). In quest’ ultimo caso la lettera del Cassarino al Cui lo, citata dal Braggio, sarebbe realmente dell’ 11 giugno 1446. Fu amico, oltreché del Curio, di Bartolomeo Fazio, e forse per mezzo loro era stato chiamato a Napoli dal re Alfonso quando fu ucciso; per contro il Decembrio, irritato che avesse ritradotta la Republica di Platone, quasi in concorrenza di lui, scrissegli contro una « velenosa invettiva » (3). Non ho osato porre risolutamente nel 1447 la morte del Cassarino, poiché fin dal maggio dell’anno precedente era in Genova un altro umanista che si ritiene comunemente successore di lui, vo’ dire Pietro Per-leone (4). È possibile per altro che il grammatico siciliano, già chiamato a Napoli dall’Aragonese, rimanesse (1) Apud Braggio, p. 22, 11. 3. (2) Sabbadini, Biogr. doc. dell'Aur., pp. 170-173. Siccome in una lettera inedita del Cassarino al Panormita, da lui riferita, si accenna al Fazio come dimorante a Napoli, mentre è noto — e si vedrà meglio più innanzi — che a Napoli quel letterato andò soltanto dopo il 1444, giustamente il Sabbadini pone tal lettera come al più presto del 1445. (3) Notizie e bibliografia copiosa in Sabbadini, l. c. (4) Cfr. le mie Ale. rela\. di Fr. e G. M. FU. colla Lig., p. 499. Che però, contrariamente a ciò che io allora pensava, vi fosse talvolta in Genova più di un professore di grammatica condotto a publiche spese, ha dimostrato il Braccio, p. 121-122, notando come fu chiamato ad insegnare in Genova stessa pubicamente il Vigevio l’anno 1450, cioè quando vi era ancora il Perleone medesimo. — 59 — ancora qualche mese nella capitale della Liguria a compiervi la traduzione della Republica di Platone; é ancora più probabile che il Perleone fosse qualche tempo in Genova come privato insegnante, prima di essere assunto alla cattedra publica in luogo del Cassarino. Comechessia di ciò, il Perleoni, già scolaro di Francesco Filelfo a Firenze, poi a Siena, nell’aprile del 1436 era a Venezia e nel 1441 a Costantinopoli (1). Che insegnasse a Milano prima che a Genova lasciò scritto Flavio Biondo nell’ Italia Illustrata (2), e sembra infatti vi avesse a scolaro Matteo Bosso, uomo poi ancor esso celebre nelle lettere latine (3); certo vi aveva interessi, se, più tardi, il 26 marzo 1454, il Filelfo gli scriveva che Giovanni Caimo non se ne curava, tantoché s’egli, Perleone, non venisse presto a Milano, non avrebbe fatto nulla, edcsque ncgligmtia quadam amiserit (4). Del suo soggiorno in Genova ebbi già a dire altra volta di proposito (5), e nuove notizie aggiunsevi il Braggio (6), fra cui vuol sovratutto essere notato che la moglie di lui era genovese ed a Genova sposata, cosiccché è erronea 1’ affermazione del Battaglini che si fosse ammogliato in Milano e per dote della sposa avesse avuta quella certa casa cui si è or ora accennato (7). Nel marzo (1) Non chenel 1441 vi andasse solamente, come erroneamente interpreta il Battaglini, Della corte letteraria di Sigismondo Pandolfo Malatesta, in Basinii Parmensis Opera praestantiora, t. II, parte I, p. 198. (2) Apud Battaglini, pp. 119 e 246. (j) Tiraboschi, St. kit. it., t. II, parte II, p. 580. (4) Filelfo, Epist., I. XI, f. 282.'-28j.r. (5) Ale. rei. cit., pp. 499-501. (6) Pp. 37 e 121 e segg. (7) Op. cit., p. 199. — 6o — del 1453 era già di ritorno in patria, e messer Francesco raccomandava a suo tìglio Senofonte, clic si recava da Roma a Milano per la Romagna, di salutarlo passando per Rimini (1). 11 Filelfo stesso, rallegrandosi con lui del suo felice viaggio e dell’accoglienza fattagli OO / da Sigismondo Pandolfo Malatesta, lo consigliava a far qualche opera di polso che ne tramandasse il nome alla posterità '(2); ma egli perdevasi in brevi componimenti, poesiuccie, orazioni epitalamiche, lettere consolatone, c, sebbene creato storiografo ufficiale del signore di Rinnni, non scrisse mai nulla d’importante (3). L’amicizia del Perleone col Filelfo fu costante; e se il tolentinate rac-comandavalo spesso a’ Malatesta, se ne valeva pure a sua volta nelle proprie bisogna presso di loro, mandandogli frequenti istruzioni in proposito in lettere greche. Nel 1456, in una lettera latina del 16 giugno (4), S1 vede ricomparire l’Arriano che già Francesco chiedeva a Pietro nell’estate del 1451 (5): sembra che il primo 1’ avesse dato in prestito al secondo fin dal tempo che questi era ancora a Milano od a Genova, e dipoi istantemente lo richiedesse. Un tanto ritardo da parte di altri umanisti produsse violenta rottura tra essi ed il Filelfo (6); ma invece non bastò punto a guastarlo col (1) L. X, f. 72. (2) L. X, f. 72 verso. (3) Battaglini, /. c., dà una lunga bibliografia. Per quali ragioni attribuisca al Perleone un’ anonima relazione latina della caduta di Costantinopoli, a nie non è chiaro. (4) L. XIII, f. 95 verso. (5) Vedi Ale. relai., p. 500. (6) Tale origine, ad. es., ebbe la polemica tra il Filelfo ed il Porcellio. Cfr.il mio lavoro Un episodio di storia letteraria del Quattrocento: Il Porcellio a Milano, Verona, Tedeschi, 1890. — 6i — Perleone, che rispondevagli infine avrebbe rimandato il libro dopo averlo tatto copiare. L’iroso dittatore letterario in questo caso si acquetava a sifatta risposta; anzi é appunto nella medesima circostanza che promet-tevagli di assicurare il nome dell’ amico, mettendolo in una sua opera che avrebbe publicato appena fosse di ritorno dalla Francia, dove sembra volesse allora recarsi. E la reciproca benevolenza dei due umanisti resisteva da ultimo ad una prova anche più grave. Nel 1457 circa il Perleone era passato ad insegnare a Venezia (1): qualche anno dopo, nel 1460, come avrò occasione di dire in seguito, era chiamato professore in quella città anche il primogenito di Francesco Filelfo, Giovan Mario, e vi si trovava pure un iroso ed astuto greco, Giorgio Trapezunzio. Si trattava allora ne’ consigli della Republica di Venezia di nominare uno storico ufficiale che ne raccontasse le gesta gloriose, e Lodovico Foscarini vi si adoperava coll’ intento di far eleggere a quell’ ut-ficio il romagnuolo Flavio Biondo (2), che invero più di ogni altro vi sarebbe stato acconcio (3). Senonchè, corsa appena voce di quei propositi nella città, si presentavano concorrenti del Biondo lontano i più vicini professori Trapezunzio, Filelfo e Perleone, sostenuti ciascuno da ragguardevoli patrizi. Com’ era naturale, la concorrenza degenerò presto in polemica, ed in questa Giovan Mario e Giorgio portavano una natura oltremodo violenta ed una lingua temprata alle ingiurie più (1) Filelfo, Eput., 1. XIV, f. 99. Cfr. Battaglini, p. 200-201. (2) Foscarini, Della letteratura veneziana, p. 248, Venezia, Gattei, 1854. (3) Cfr. il mio lavoro Alcune idee di Flavio Biondo sulla storiografia, Verona, Tedeschi, 1891. — 62 — fiere ed oscene. La salute di Pietro, già debole (i), fu scossa vieppiù; ond’egli cadde ammalato piuttosto gravemente. Rimesso un poco, egli scriveva tosto a Francesco Filelfo per dolersi dell’ indegna condotta del figlio Mario, di cui forse era stato maestro, come il padre di lui (2). 11 19 aprile del 1461 l’umanista tolentinate rispondeva al riminese rallegrandosi con lui della ricuperata salute, lamentando il contegno del figliuolo, offrendosi di ammonirlo per lettera e mettendo innanzi l’ipotesi che fosse opera di malevoli, nemici di entrambi: invitava l’amico a Milano, e l’avvertiva intanto di aver trovato il Donato da lui desiderato e dato l’incarico di copiarlo ad un Gabriele che dice nostrum, e che forse era il Paveri-Fontana, una curiosa figura di cui avrò a discorrere lungamente in altro mio lavoro (3). Che cosa succedesse dipoi non é ben chiaro: sembra che per le loro intemperanze il minor Filelfo ed il 1 ra-pezunzio dovessero abbandonare Venezia, ed il Perleone, di ciò abbastanza soddisfatto, sollecitasse più rimessamente 1’ ufficio di storiografo (4). Probabilmente la vita sregolata di Giovan Mario, di cui sarà parola più innanzi, ed i suoi amori con un’ « Angela meretrice » sovratutto, concorsero ad affrettarne la partenza: certo egli fu il primo ad allontanarsi dalla città (5). Ma non senza (1) Cfr. una lunga lettera latina del Perleone a Nicolò Sagundiuo, in Miscellanea di varie operette, t. II, pp. 43 e segg., Venezia, Lazzaroni, 1740. (2) Foscarini, l. c. (3) Epist,, 1. XVII, f. ii5t’>s, recto e verso. (4) Foscarini, /. c., che cita altra lettera dell’altro Foscarini, Lodovico, quattrocentista. (5) Secondo Append. II, doc. XVII, pare che sia G. M. clic abbia per un colpo di testa abbandonato improvvisamente Venezia. - 6 3 — speranza di ritornarvi, e coll’ ufficio desiderato ; poiché vi lasciava protettori influenti. Sovratutto Antonio Vinciguerra, storico egli stesso e poeta volgare di qualche valore, cui il Foscarini chiama a dirittura « famoso (i) », manteneva con lui carteggio al riguardo. Or rispondendo ad una lettera del patrizio veneziano, il primogenito di Francesco Filelto pigliava propizia occasione a feroce invettiva in forma di epistola contro i due più fortunati rivali. Al povero Perleone egli rinfacciava, tra le altre cose, la tisi da cui era straziato e l’origine giudaica ed accusavaio di turpissima sodomia (2). Ma come quest’ accusa era forse gratuita, così della famiglia e del male il disgraziato non aveva colpa alcuna, anzi questo doveva di lì a men di due anni trascinarlo alla tomba. Pietro Perleone infatti morì a Venezia prima del 22 aprile 1463, e fu sepolto nella chiesa de’ ss. Giovanni e Paolo in quella città (3). Dopo aver parlato del Perleone, il Braggio non dà più notizia diffusa di grammatici che insegnassero in Genova nel secolo XV: ben ne presenta una serie desunta dagli archivi della città (4). Compare terzo in questa serie un « Giovanni da Viterbo », designato come professore nella capitale della Liguria in atti del 13 gennaio 1472. 18 gennaio 1475 e 16 maggio 1476. (1) Loco citato. Cfr. Tiraboschi, St. lett. it., t. VI, parte IV, p. 1167. Del Vinciguerra si occupa il prof. Carlo Magno. (2) Append. II, Docum. XVII. (3) Battaglini, pp. 202 e 210. Per un lapsus calami scrissi altrove (Ale. rcla\. p. 8, n. 4) che il Perleone era morto a Rimini, donde la nota del Braggio, p. 125. Ma sulla morte del P. a Venezia non credo possa esser questione. (4) Pp. 280-281. — 64 — Non è desso tuttavia una figura affatto ignota nella storia letteraria del Quattrocento: negli anni mentovati Genova era sotto la dipendenza di Galeazzo Maria Stoiza, e nell’ archivio di Stato milanese si conserva un pi Gnostico pel 1473 di Giovanni Nanni da Viterbo domenicano (4). Che se mai si potesse dubitare dell identità delle due persone, 1’accerta definitivamente una lettera di Cicco Simonetta da me altrove stampata ed in cui a nome del duca viene ordinato a Guido Visconti, governatore di Genova, che, appena « recevuto questa », parli « con magistro frate Johanne da Viterbio de 1 or-dene di predicatori, in quella nostra inclyta città » ($)• Ora, benché troppo poco sappiamo della vita del famoso Giovanni Nanni da Viterbo, che col nome di Annio divulgò le note falsificazioni di storia antica (6), è owio identificare ancora il professore di grammatica a Geno\ a dal 1472 al 1476, il « doctissimo astronomo » della lettera del Simonetta, col letterato viterbese che ha dato luogo a tante questioni, tanto più che si sa essere stato quest’ ultimo domenicano ancor esso. La conclusione non é senza importanza, poiché ci mostra in relazione diretta coll’ Umanesimo ligure un altro uomo insigne del secolo XV, e ci fa conoscere questo sotto 1 nuovi e diversi aspetti di publico insegnante e di cultore rinomato di astrologia. (4) Cfr. il mio lavoro Nuove ricerchi e documenti sull’astrologia alla corte degli Estensi e degli Sforma, p. 19, Torino, La Letteratura, 1891. (5) Vedi il mio lavoro L'Astrologia nel Quattrocento in rapporto colla civiltà, p. 27, Milano, Dumolard, 1889. (6) Sull’Annio vedi Zeno, Dissertai. Vossiane, t. II, pp. 186 e segg., Venezia, Albrizzi, 1753, e Tiraboschi, St. Un. it., t. IV, parte 111, pp. 874 e segg. - 6j — Notizie dei codici Diversorum communis dell’archivio di Genova sotto le date 16 luglio 1476, 17 settembre 1478 e 22 aprile 1479 (1), mostrano successore del Nanni od Annio Giorgio Valla piacentino, la cui vita ebbi occasione di rifare sommariamente con nuovi documenti or non é molto, ricostruendo il processo formato contro di lui nel 1496 a Venezia, dove passò poi da Genova, sotto 1' accusa di alto tradimento (2). 11 Valla insegnò indubbiamente a Pavia dall’anno scolastico 1466-67 al 1476. Condotto, risulta da’ documenti dell’ università pavese, ancora per l’anno scolastico seguente 1476-77, amò meglio accettare 1’ ufficio offertogli a Genova (3). Alle notizie che di lui diedi altrove questa si può ora aggiungere, che nel marzo del 1475 disegnava recarsi a Roma pel giubileo e, non volendo attendere le vacanze autunnali, si scusava presso il duca di Milano, cui in-stantemente chiedeva il permesso di partir subito, con dire che micidiale era in estate il clima di Roma (4): se poi vi si recasse davvero non sono in grado di stabilire. (1) Braggio, p. 280. (2) Vedi il mio 1 avoro Giorgio Vaila e il suo processo a Venezia nel 1496, Venezia, Visentini, 1891 (estr. dal Nuovo Archivio Veneto). (3) Così solamente credo poter conciliare i documenti pavesi coi genovesi. (4) Ecco il testo della lettera del Valla al duca Galeazzo Maria Sforza, secondo l’originale recentemente trovato nell’Archivio di Stato di Milano. Ili '”' et ex,m* princeps. latnpridem hunc iuliilei annum, dux invictissime, avidissimus e vpecto, ut Romam, indulgenlù causa suscipiende, mihi proficisci liceat. F.t cum hactenus in mensem septembris, propter vacationes, ne quid legendi tempus amitterem, cogitatum meum semper conieceritn, intra vie hoc melius deinde reputavi, multa me illis temporibus circumvenire posse incommoda, primum quod mihi relatum est, et re ipsa verum esse intueor, per id tempus qui Romnm habitant urbem egredi consuescere, quod febres et alias huiusmodi corporibus humanis adversas formident pestes, cum autumpnis ipse preter celera tempora, et presertim illic, illis egritudinibus maxime obnoxias sil. Quod timendum multo maxime est, cum hoc Atti Soc. Lio. St. Patma. Voi. XXIV, fase. i.° " 5 11 Valla, come appare dal documento che saia 01 oia riferito, fu condotto a Genova per un quinquennio scadente appunto coiranno scolastico 1480-81. Ma era la solita storia del ritardo nel pagamento degli stipendi, tantoché il povero Giorgio doveva ricorrere all intei cessione del Governo di Milano, il quale in persona di Bartolomeo Calco scriveva al doge Battista di Campofregoso, all’ ufficio di Balìa ed agli anziani della citta di Genova la lettera seguente: Conductus fuit olim ab illustrissimo quondam genitori, nostro Georgius Valla placentinus ad lecturam tum grecam, tum latinam, Papie, ad decem anuos, ubi laudem non mediocrem est consecutus, adeo ut fame celebritate nos quoque nunc conduxerimus, effectumque est sui omnis commodi tt ornamenti valide studiosi simus. Is quinquennium tti tsta anno undique confluere variis ex locis gentes debeant, ut peste maxima nullo modo bis temporibus carere posse Roma videatur. Aliud preterea, si eo tempore Romam concessero, tue subeat incommodum necesse est, quod cum me ad Studii principia pa rare debeam, et que domi sunt parati necessaria, non potero nisi imparatissimus ad Studii esse principia. E contrario, si hoc marlii mense Romam pelo, suave tempus prosperam mihi corporis polliceri videtur valetudinem, et nihil preterca patiar in.om modi. Pro me autem ad legendum meis auditoribus quempiam quoad rediro initii"'"1. Idque per breve tempus. Nam mihi intra mensem redire omnino in animo est, »! 10 plus quod amisero resarciam, quod quia (sic) pro me, qui greca opera interpretatur, que iatn incepi, non habeo totum septembrem, quo mense ceteri non legunt tam quam latina interpretabor (sic). Superest igitur, clementissime princeps, invidissime domine et populorum pai:’ ree torque iustissime, ut vestra mihi excellentia hanc impertiatur licentiam, ut, vestra excellentia annuente, hanc Rome hoc martio consequar indulgentiam. U enim pn>’"i clemens et omnipotenti Deo pergratum fore putatote. Ex.mc dominationis vestre obsequentissiinus servulus Georgius Valla. Non v’è data, ma la lettera, dal contenuto, appare certamente del marzo ij,£5’ - 67 — urbe conductus liberalia studia publice professus est magna, ut videtur, commendatione. Verum cum ex residuo mercedis laborum suorum ab ista communitate sibi aliquantum pecunie deberi contendat, pro ea qua viros et eruditos beni-volentia complecti solemus, libenti animo causam suam omni spe invalidimi suscepimus, presertim cum honestissima sit et admodum insta. Quare hortamur vos quanto possimus studio ut, quod reliquum ipsi pecunie debetur ex mercede laborum et vigiliarum suarum, operam dare velitis, ut quam primum dissolvatur. Facietis enim rem vobis dignam et quam ius jaique postulant. Nos vero loco ingentis muneris ascriberemus. Mediolani, vi septembris 1481 (1). Da una frase di questa lettera parrebbe che il Valla fosse stato nel 1481 condotto nuovamente a Milano, cosichè a Venezia non sarebbe passato direttamente da Genova nel 1482 (2). Altre prove però mancano finora. (1) Ardi, di Stato di Milano, Registri missive, n. cxlviii, f. 366. (2) Cfr. il mio lavoro su Giorgio Falla, p. 6. - 68 - CAPO TERZO. Umanisti a Savona. Anche a Savona insegnarono riputati umanisti: prima l’Aurispa, intorno a cui, dopo il Braggio, ha scritto il più volte citato libro il prof. Remigio Sabbadini (i), parecchi anni dopo, Giovan Mario Filelfo. Figliuolo di quel Francesco Filelto che si arrogava la dittatura letteraria del suo tempo, Giovan Mario era uomo anche più intemperante e violento del padre, non di scarso ingegno certo nè di poca cultura, sebbene per varie ragioni che si verranno via via esplicando, di riputazione, allora e poi, molto minore. Giorgio Voigt (2) dice che « le arti, nelle quali ancora splendeva Francesco, nella successiva generazione erano già invecchiate e non davano più grande fama, donde avvenne che Mario Filelto non fu molto considerato e ben presto venne dimenticato ». Ma vedremo fra poco come il figlio premorisse al padre; epperó altrove debbonsi ricercare le cause della minor fortuna del primo, ed è piuttosto a credere al Cortese (3) che afferma aver nociuto alla sua riputazione quella straordinaria disuo padre. Il qual giudizio di un ìn- (1) Oltre nn articolo del Cesareo su un giornale romano, che non ho potu.o vedere, rettifica pure parecchi dati del Sabbadini il Salvo Cozzo. A proposito di una nuovapublicaiione su Giovanni Aurispa, in Giorn. Stor. Itti, il., t. XVIII, pp. 303 e segg. (2) Il risorgimento dell' antichità classica, t. I, p. 530, Firenze, Sansoni, 1887. (3) De hominibus doctis, p. 230 e segg., ed. Galletti, Firenze. Mazzoni, 1846, unito a Filippo Villani, De civitatis Florentie famosis civibus. — 69 — signe critico quasi contemporaneo si compie mirabilmente con le considerazioni di altri letterati della medesima età, uno dei quali, il Sabellico (i), scrive che Giovan Mario a aveva ingegno assai e vivace memoria, ma era troppo affrettato ed inelegante nello stile e non compose mai cosa che fosse veramente degna di un dotto, ma tutto buttava giù precipitosamente e senza lima da quell’improvvisatore, e nient’altro, ch’egli era»; ed un altro, il Giraldi (2), dopo aver raccontato come in un circolo di cento e più persone, propostogli da ciascuno un argomento di poesia, rispondesse nell’ ordine stesso a tutte le domande, conchiude ancor egli che, nonostante il suo ingegno e la sua prodigiosa memoria, era scorretto e senz’alcuna eleganza. Non é tuttavia a credere che a’ suoi di Giovan Mario non fosse molto onorato: lo si vede fatto cittadino di Savona (3), elevato ad un’alta magistratura in Marsiglia (4) e creato suo segretario da Renato d’Angiò (5); insignito della laurea poetica, del grado di consigliere e, forse, anche del titolo di cavaliere, dal duca Lodovico di Savoia (6) ; invitato a’ suoi (1) De latine lingue reparatione, f. 113, in Opera, t. I, Venetiis, per Alberti-num de Lisona, MDII. (2) De poetis suorum temporum, Dial. 1. (3) Mario Filelfo, De communis vitae continentia, apud Rosmini, Della vita di Francesco Filelfo da Tolentino, t. Ili, p. 87. (4) Francesco Filelfo, Epist., 1. VII, f. 49: Mario filio. Cfr. Vili, 1, f. 52: Renato regi. Ed. Venezia, 1502. (5) Vedi Appendice I, documento I. Cfr. il mio scritto Documenti intorno a Francesco e Giovan Mario Filelfo, p. 6, Torino, La Letteratura, 1890, (6) Append. II, doc. Ili, e Doc. int. a Fr. e G. M. FU., I. c. Cfr. Fr. Filelfo, Odae, V, 6. Il De Rosmini, Filelfo, t. Ili, p. 91, rilevò già 1’ errore del Sassi, Hist. typ. liti, medio!., p. cclxiii, e del Tiraboschi, St. lett. it., t. VI, parte V, p. 1385, di aver attribuito a Renato d’Angiò 1’ incoronazione di Giovan Mario. Quanto al titolo di cavaliere non è certo se gli sia stato conferito dal duca di Savoia — 70 - servizi dal pontefice Pio II che gli avrebbe oiìerto 1 ufficio, ricusato, vuoisi dall’ umanista, di avvocato conci-storiale (i), e finalmente mandato — ciò che ^embia non fosse accaduto neanche a suo padre — ambasciatore dal duca di Urbino al marchese di Mantova (2) e, prima ancora, dal principe sabaudo al re di hanua Carlo VII (3). Non v’ha dubbio ch’egli, per cui il o da altro principe; dal duca di Savoia però Giovai) Mario ebbi, .iliri^ onor, oltre i ricordati. Clr. Fr. Filelfo, Epist, xi, 61, t. 89: Mario jiho, e * ^slr“ gioite del ben vìvere, dedicata poi a Filiberto di Savoia, nipote di Lodo\i».o. fine, per la laurea poetica vuol essere confrontata anche l’invettiva del lrelumo contro Mario, di cui dirò più innanzi. Non so se meriti pur di essere til<-\ato lo spropositaccio del Lancetti, Meni. ini. ai poeti laureali, p. 191» Milano, Man zoni, 1839, che scrive, sollevando dubbi sull’affermazione del Sassi e dii Iiu boschi senza conoscere il De Rosmini: « Di ciò per altro nessuna sicura pro\a ci somministra, ed io confesso che ad Alfonso, il quale codesto onore !.uil mente accordava, an\ichh al di lui padri Renalo, credo aversene ad assegnare la concessione ». (1) Fr. Filelfo, Epist., xxvi, f. 180: Leodrysio Cribello. Poiché mi si presenta l’occasione, avverto che in altro mio lavoro (Ricerche intorno allo storioni alo quattrocentista Lodrisio Crivelli, p. 9, Firenze," Cellini, 1891, estr. daWArihnio «Il Stcr. lt.) io aveva a torto dubitato che non avesse fondamento il rimprovero 1 e Filelfo (Francesco) al Crivelli, di esser stato a mercenarius librarius » di Francesco Marliano. Risulta dal Sabbadini, Storia e critica di alcuni lesti latini, p. 4° 7 (estr. dal Museo del Camparetti) che fu tale, se non del Marliano, del Pizolpasso. (2) Davari, Not. stor. int. allo St. Pubbl. ed ai maestri del sec. XI' e M I che tenn. scuola in Mantova, p. 10, Mantova, Segni, 1876. (3) Append. Ili, doc. I. Venturino De’ Priori scrive: Qnod sis Carole as orator missus ad aures vidimus, et placuit Carolus ipse mihi. (Si parla di Carlo VII di Francia). I due versi furono già citati dal ÌÌANDISI, Cai. codd. latt. bibi. Laur., t. Ili, p. 806, e dal Favre, Vie de lean Marius Phi• lelfe, in Melange! d’histoire littèraire, t. I, p. 67, Ginevra, Ramboz et Schuehardt, 1856, ma nessuno ne rilevò l’importanza da questo lato. Rispetto al lavoro del Favre, debbo notare come ornai esso sia affatto insufficiente, del resto troppo farraginoso. Migliore, ma pure insufficiente, l’articolo del Monzahi, Di Gugl. Favre e della vita di G. M. Filelfo scritta ila lui, in Ardi. Stor. 11., S. 11, t. parte I, pp. 104 e segg. - 7i doge di Venezia Pasquale Malipiero scriveva una lettera autografa al duca di Milano (i), sarebbe stato tenuto in conto anche maggiore se non si fossero opposte quelle ragioni medesime che ne resero la vita men lunga e piena di avventure e travagli, Nacque in Costantinopoli il 24 luglio del 1426 (2): sua madre Teodora era figlia del dotto Giovanni Crisolora e di Manfredina D’Oria, tantoché per sangue ancora Giovan Mario Filelfo appartiene veramente alla Liguria (3). Giovinetto, segui il padre nelle peregrinazioni a Venezia, a Firenze, a Siena, a Bologna, dalla qual città fuggendo nel 1439 a Piacenza, diede occasione o pretesto a messer Francesco di rompere i suoi impegni e passare in Lombardia (4). Richiesto già da qualche tempo dall’ imperatore Giovanni Paleologo, nel 1440 fu rimandato a Costantinopoli affinchè vi si perfezionasse nel greco alla scuola di Giovanni Argiropulo (5), e ritornò in Italia soltanto verso il 15 maggio del 1442 (6). Che cosa tacesse non è noto: continuò forse gli studi, forse cominciò la vita randagia e (1) Append. II, doc. IV. Cfr. la mia memoria 11 trionfo dell' Umanesimo nella Venezia del Quattrocento, p. 15-16, Venezia, Fontana, 1890 (estr. dall 'Ateneo Fatelo). (2) Fk. Filelfo, Epist., I. I, f. 1 recto: Leonardo Iustiniano. La lettera è in data 11 ottobre 1427 e vi si dice che Francesco aveva un figlio (Mario, il primogenito) di un anno, due mesi e sette giorni. (3) Luzio e Kenier, I Filelfo e l’ Umanesimo alla corte dei Gonzaga, in Giornale stor. ìctt. it., t. XVI, p. 193, n. 3. (4) Fr. Filelfo, Epist., 1. Ili, f. 18 recto: Alberto Zancario, 2 maggio 1439. (5) Idem, 1, IV, f. 26 verso: Kyriaco Anconitano, in data 9 giugno 1440. Il Favre, l. c., suppone che si accompagnasse coi Greci ripartiti dal concilio di Firenze. (6) Sotto questa data il padre (Epist., 1. V, f. 32) scrive a Catone Sacco che Mario deve già essersi imbarcato a Costantinopoli e probabilmente risale il Po verso Pavia. le scappate. Nel 1444, secondo alcuni, nel i44^> se~ condo altri, era già professore di grammatica a Savona collo stipendio annuo di lire 100, oltre 2b per la pigione (1). Verso quest’epoca (2) ammogliatasi con Marietta Carretta (3), ossia Del Carretto, di antica ed illustre famiglia ligure (4), da cui nel gennaio del 1451 (5) Cfr. il mio scritto in questi stessi Atti intitolato Aìcuntrelazioni >h Iran cesco e Giovan Mario Filelfo colla Liguria, p. 17, e Braggio, p. i-9- (6) Ch’ egli avesse figli non risulta fino al 1451, ma in un documento manto vano citato dai signori Luzio e Renier, Art cit., p. 199, n.,in data n ottobre 1478, Mario dice che Marietta eragli moglie fedele da 35 anni compiuti, il «-he c' n porterebbe a prima dell’11 ottobre 1445, quando Mario non aveva che 17 anni. Ch’ egli facesse la scappata di ammogliarsi in cosi giovane età è cosa natura lissima, dato il suo carattere; ma è pure naturalissimo che, per impietosire il marchese Federico Gonzaga e far la cifra tonda, mentisse il numero degli anni di matrimonio. (7) G. M. Filelfo, Epitomata ad illustrem Sigismundum Malatestam Arimini principem, p. 55, Wolferbyti, typis Sterniis, 1662. (8) Cosi affermai io già in Ale. rela^., 1. c.. Ma i signori Luzio e Renier mi obbiettano in primo luogo che « sarebbe un po' strano che il giovane e sp..lutato umanista trovasse subito in Liguria il mezzo di impalmare una fanciulla di così illustre famiglia, sia pure che si trattasse di un ramo lateralissimo », in secondo luogo aggiungono la data 1443 del matrimonio, che risulterebbe dal documento mantovano precedentemente citato, mentre, secondo il Tiraboschi, Mario andò a Savona solo nel 1444; finalmente fanno valere il silenzio Jie « un vantatore della forza del Filelfo > pur mantiene su questa parentela nelle opere dedicate ai Del Carretto, ed il silenzio pure del genealogista della famiglia (Bricherius , Tabulae genealogicae gentis Carrettensis, Vienna, 1741)- All’ultima obbiezione rispondo subito che il silenzio delle genealogie non significa nulla, perchè fin nelle più diligenti, come in quelle del Litta per la Casa di Savoia, mancano nomi di figliuoli legittimi di principi, nonché di femmine, forse illeg-gittime, di rami « lateralissimi ». Nè maggior peso può avere il silenzio di Mario stesso, mentre la sua condotta mostra vincoli stretti coi Del Carretto (Cfr. il mio scritto Ale, relap. 21): non avrà trovato opportuno per qualsiasi ragione di ricordare tale parentela 0 l’avrà ritenuto inutile in scritti indirizzati a persone che la conoscevano, mentre non erano destinati a troppa publicità. Quanto alla seconda obbiezione, che avrebbe valore di prova definitiva se si potesse provare che il minor Filelfo non fu in Liguria prima del 1444 - 73 — aveva già una figlia, Giovanna (1), e nel giugno dello stesso anno un maschio (2), che alcuni ritengono Cesare (3). Nell’estate del 1450 tornava a Milano (4), e poco dopo si recava a Marsiglia presso il pretendente Renato d’Angiò, dal quale riceveva onorevoli uffici, fra e che non mentiva scrivendo al marchese di Mantova, è refutata dall’osservazione della possibilità di questa menzogna, ovvero può indurre soltanto a con-cliiudere che in Liguria Giovan Mario fu prima del 1444, ciò che è possibilissimo, non sapendone nulla dopo il 15 maggio 1442. Finalmente non vedo la « stranezza » nel matrimonio del figlio di messer Francesco con una Del Carretto, quando considero come in fin dei conti egli fosse nipote per madre di una D’Oria, e come suo padre allora avesse nome celeberrimo in Italia, tanto più poi se Marietta non fosse stata legittima. Parmi per contro che la parentela coi D’Oria e la reputazione del padie fossero sufficienti a procurare a Giovan Mario tali nozze, e se queste avvennero realmente nel 1443, fossero anzi ragione od esplicazione almeno del prolungato soggiorno di lui a Savona. Notisi ancora che un nuovo argomento si avrebbe nelle due lettere adespote ed anepigrafe edite dal Sabbadini (cfr. sopra, p. 57, n. 3) se fosse accertato essere, com’ io penso, di Francesco Filelfo: in una di esse infatti si manda a salutare un Enricnm Carrcttum nobilem virum mibique amicissimum. (1) Fr. Filelfo, Epist., 1. Vili, f. 55 recto: Mario filio. (2) Idem, 1. IX, f. 64 verso: Nicolao Cebae. Cfr. 1. XVII, f. 117: Mario filio. (3) Opinione del Favre. (4) Filelfo, Epist., I. VI, f. 47: Mario filio, in data 1 ottobre 1450. Il Braccio, p. 129, scrive: « Rimase egli a lungo in Savona? Il Gabotto crede fino all’ estate del 1450» ni a la lettera del vecchio Filelfo eh’ egli cita non è, parmi, prova sufficiente, potendo benissimo essere accaduto che Gian Mario non se ne partisse e vi ritornasse una volta sola, con quella volubilità ed incostanza che, del resto, era la norma quasi unica della sua vita randagia. Difatti, se il Voigt non isbaglia, nel '49 egli fu per alcun tempo presso il duca Borso in Ferrara, ma non si trattenne neppure colà ecc. ». Io non negherò punto al valente prof. Braggio che il minor Filelfo più volte partisse di Savona e vi ritornasse: è probabilissimo, sebbene non cousti da documenti. Ma poiché egli ricorre al Voigt e scrive: « Se il V. non isbaglia », noterò solo come già più volte abbia avuto a rilevare l’errore commesso qui dallo storico tedesco (cfr. ad es. il mio scritto Di una storia dell' Umanesimo, p. 10-11, Torino, Bocca, 1891), che parla di un duca di Ferrara prima che questo titolo fossegli conferito e fa già signore Borso quando viveva ancora Lionello. A Ferrara Giovan Mario fu presso Borso, ma, come or ora si vedrà, soltanto nel 1451. — 74 “ cui, non ultimo, quello di riordinare e compiere la biblioteca del convento di san Massimo in quella città (i). Ma spaventato dalla pestilenza che allora infieriva in Provenza e da cui il padre lo scongiurava si guardasse (2), faceva nel novembre 1111 altro breve viaggio a Milano, donde con una commendatizia del padre per Fommaso Fregoso, governatore di Savona (3), ed una lettera per l'Angioino (4), pigliava le mosse per tornare a Marsiglia. Senoncliè, passando pel Finale, terra de’ suoi congiunti Del Carretto, vi si fermava a lungo, invano sollecitandolo messer Francesco a recarsi al suo posto presso Renato che lo amava assai (5). Sulla fine di aprile del 1451 accennava anzi a tornare a Milano passando per Genova o per Savona; e Cicco Simonetta, il cancelliere di Francesco Sforza, scriveva a nome del duca suo signore a Sentino di Riva per raccomandarlo e fargli avere una scorta, affermando che sarebbe stata cosa « cara et molto grata » allo Sforza (6). Di nuovo nel giugno dava indizio di muoversi alla volta della capitale lombarda, sicché il padre gli mandava incontro a Genova l’altro figlio Senotonte (7) e scriveva a’ suoi amici liguri, il (1) Alciati, Epist. ad Franciscum Calvum, in Favre, p. 51. Clr. sopra p. (2) Fr. Filelfo, Epist., 1. VII, f. 49: Mario jilio, in data 27 ottobre 14S°* (3) Idem, 1.Vili, f. girato, \a data 26novembre ìtfo.Ch. Ale.rela{.,\'. S°7'S0®' (4) Idem, ibidem, medesima data. (5) Idem, 1. Vili, f. 55 recto. La cronologia di questo periodo dilla vita Hi G. M. Filelfo, del tutto congetturale in Tiraboschi, 1. c., oscura ed incerta in De Rosmini, t. Ili, pp. 87-89, ed affatto erronea in Favre, pp. 52 e segg-, nii pare fissata per la prima volta da me in Ale. rcla{., I. c.; alla quale nuovamente qui mi attengo. (6) App. II, doc. I. (7) Fr. Filelfo, Epist,, 1. IX, f. 64 verso: Nicolio Cebae; f. 66 recto; tiitm; Incoio Bracello; Petro Perleoni. — 75 — Cebà, il Bracelli, lo Stella, per ottenergli passaporti (i); ma sembra — non è per altro accertato — che rimanesse in Liguria fino al settembre almeno, quando finalmente pare si decidesse a tornare in Lombardia (2). Sul finire del 1451 Mario Filelfo si trattiene alcun tempo a Ferrara, accoltovi con grande cortesia da Lodovico Casella, primo ministro di Borso d’Este (3); ma già nel gennaio del seguente anno 1452 era di ritorno a Milano, donde anzi si apparecchiava a ripartire per Genova (4). Quivi nel settembre rende vasi vacante la cattedra di grammatica e retorica per la partenza del Perleone (5), ed il 27 di quel mese il padre gli scriveva proponendogli di adoperarsi per farla conseguire a lui (6). Generalmente si stima che Giovan Mario, grande scapestrato, non ne volesse sapere; ma parrà poco probabile a chi consideri com’ egli cercasse appunto a quel tempo un impiego. Piuttosto è a ritenere che le sue intime relazioni coi Del Carretto, allora in guerra colla repubblica, rendessero inutili le pratiche sue e quelle del padre, sebbene non fosse ancor trapelato il carattere di un libro ch’egli stava scrivendo in quei giorni, come a torto io aveva altra volta lasciato in dubbio (6). Intanto (1) Cfr. Ale. rela{., pp. 20-21. (2) I'R. Filelfo, Epist., 1. IX, f. 66: Mario filio, due lettere in data 9613 settembre 1451. (3) Idem, 1. X, f. 70 verso: Ludovico Casellae, in data 18 gennaio 1452. (4) Idem, I. X, f. 70 redo: Nicolao Fregosio, in data 13 gennaio 1452. Cfr. Ale. rei, p. 509. La cronologia che do qui, documentata, è diversa da quella dd signor.Braggio, p. 130-131. (5) Gir. sopra, p. 59-60. (6) Fr. Filelfo, Epist., I. X, f. 7: rec:o. Erra il De Rosmini, t, III, p. 90, quando traduce v. kal. od. con « 28 ottobre », anziché con « 27 settembre ». (7) Ale. tel., p. 509. Cfr. Braggio, p. 134 e segg. — 76 -- egli era sempre in quelle parti di Liguria, perché il i. gennaio o, piuttosto, il i.° luglio del 1453, presentava al marchese di Savona Spinetta Del Carretto, che aveva potentemente cooperato a ristabilire i suoi parenti del Finale nella guerra contro Genova, gli Annales m historiam Finarietisis belli ab anno 1447, che espongono appunto i fatti di quei signori in modo ostilissimo a Genovesi ed a’ Fregosi che allora in Genova tenevano il potere (1). Dopo un periodo, del resto breve, in cui ci mancano più particolari notizie di lui, il minor Filelto si ritrova a Torino al servizio del duca Lodovico di Savoia. Il Tiraboschi (2) vuole si fissasse in Piemonte ancora entro 1’ anno 1453, ed é cosa probabile, sebbene sia solo del del 21 febbraio 1454 la lettera di messer Francesco al figlio (3), in cui, pur rallegrandosi con lui del nuovo impiego, deplora che si faccia torza alla sua natura, dicendo che amerebbe assai più vederlo poeta, oratore e fìlosolo che giureconsulto ed avvocatastro (rabula mcr-cenarius), ma spera che possa finire per riconciliare 1 Torinesi colle Muse (4). Da questa lettera parrebbe che (1) La data i.° gennaio è del Favre; nell’esemplare da me veduto nella biblioteca di S. M. in Torino (ed. Muratoriana, non inserita per la scorrettezza nei Rerum) v’ è solo i.° luglio senz’ anno. Ma perchè vi si parla di Costantinopoli come stretta d’assedio, ma non ancor presa dai Turchi, l'anno è certo il 1453. Quanto al mese, notisi che il 1.° luglio G. M. Filelfo poteva ancora ignorare la caduta della città. (2) L. c. (3) Epist., 1. XI, f. 82 recto. (4) Il Tiraboschi parla infatti dell’ amicizia contratta da Giovan Mario Filelfo in Torino con un Michele Lucerna, e di poesie da lui indirizzate al medesimo e conservate in un codice della biblioteca del convento di sant’Agostino in deita città. Questa biblioteca è ora dispersa, e del codice Filelfiano furono fatte diligenti ricerche, ma inutilmente, prima dal Favre, poi da me. — 77 - la condizione di Giovan Mario Filelfo fosse da principio assai mediocre, ma si ha da credere ch’egli facesse avverare l’augurio paterno, giacché nel marzo del 1455 il Bracelli gli scriveva rallegrandosi che fosse lettor di eloquenza nello Studio (1), e tra questa data ed il maggio del 1457 otteneva forse nel medesimo la laurea in ambe leggi (2). Nell’agosto del 1455 aveva certamente già ottenuto il grado di consiglier ducale e la laurea poetica, come appare da lettera del 28 di quel mese in nome dello Sforza al tesoriere generale di Savoia Gabriele di Cardona (3), nella quale il principe milanese raccoman-davalo vieppiù, e nel gennaio seguente egli doveva dichiararsi interamente soddisfatto (4). Sulla fine del dicembre e sul principio appunto del gennaio egli aveva tatto una breve gita a Milano: ci resta una lettera ducale al podestà di Trecate, del giorno 8 di quest’ultimo mese (1456), da cui risulta eh’ egli era passato poco prima per quel luogo, subendovi alcune molestie da parte de’ portinai, per il che il duca Francesco sgrida il podestà (5). Di ritorno poscia a Torino, era tosto mandato da Lodovico di Savoia suo ambasciatore in Francia, dove regnava Carlo VII, in quegli ultimi anni della sua vita divenuto ancor esso protettore di lettere (1) La lettera in Braggio, p. 277. (2; Nella lettera del Bracelli del 1455 è chiamato artium doclor, in quella del 1477 artium et ulriusque iuris doclor. (3) App. II, doc. II. Cfr. Doc. di Fr. e G. M. FU., 1. c. (4) Lettera del Bracelli al Filelfo in Braggio, p. 277-278. (5) Doc. di Fr. e G. M. FU., 1. c. È probabilmente in occasione di questa gita che il Porcellio gli indirizzava una poesia encomiastica, da me publicata interamente nel saggio Un episodio di storia letteraria del Quattrocento: Il Porcellio a Milano, p. to-tl. — 78 - e letterati (i). Giovan Mario tu accolto da lui con grande benevolenza e n'ebbe doni ed onori; epperò scri-vevane entusiasticamente agli amici d’Italia, un de quali, Venturino de’ Priori, rispondevagli pet contro una poesia fieramente ostile a’ Francesi, di cui avrò in seguito a dire, mentre il Bracelli esaltava, rallegrandosene loI minor Filelto, il valor morale grandissimo clic hanno sempre i doni dei re (2). Anche Giovanni Giovenale Ursini (des Ursins'), che occupava ragguardevol posto alla corte di Francia e teneva amichevole carteggio col padre di Giovan Mario, ebbe per questo cortesie senza line e gli diè lettere per messer Francesco, e torse tu quegli appunto che lo rese caro al re (3). Cosìché 1 umanista riportava grato ricordo di questo suo soggiorno presso Carlo VII; e, come di quello in Piemonte, se ne trovano reminiscenze di qualche importanza per la storia nel suo carme inedito In Fortunam (4). (1) Fr. Filf.lfo, Epist., 1. XIII, f. 94: Thomat medico. Cfr. il mio studio .-Incora un letterato dei Quattrocento: Publio Gregorio di Città di Castello, p. 1617, Città di Castello, Lapi, 1890. (2) App. Ili, doc. I, e lettera del Bracelli a G. M. Filelfo in Braccio , p. 278-9. (3) Fr. Filelfo, Epist.,‘1. c. (4) Append. II, doc. VII. È importante sovratutto l’allusione al bandito Ar-cimboido, che da Centallo infestava tutto il Piemonte. Sulla condizione del Pie monte nel secolo XV e sul principio del XVI vedi per ora i miei scritti Una « Jacquerie » in Piemonte sotto Carlo 111, Torino, Baglione, 1884; La poesia macaronica e la storia in Piemonte sulla fine del secolo XV (in collaborazione con D. Barella), Torino, La Letteratura, 1888; e Curiosità giuridiche del tempo di Amedeo Vili, Iorino, La Letteratura, 1891. Un ampio lavoro sulla vita in Piemonte nel secolo XV ho in preparazione, e s’intitolerà: Storia del decadimento della monarchia di Savoia da Amedeo Vili ad Emanuel Filiberto. 1- in corso di stampa il Primo ventennio (1451-1471). — 79 — Nel 1457 Giovan Mario Filelto era ancora a Torino (1); dipoi ci mancano per due anni circa le notizie, sebbene possa forse riferirsi a questo tempo una sua lettera latina ad un messer Fazino, della corte Sforzesca, per richiedere la conferma dell’immunità di passo (2). Nell’ottobre del 1459 finalmente si ritrova di nuovo il nostro umanista a Milano in qualità, sembra, di maestro dei figli del duca Francesco (3); ma eccolo già nel dicembre passare a Mantova, sede allora del celebre concilio raccolto da Pio li contro i Turchi (4). Raccomandato dal padre al Cardinal Bessarione, a Gregorio Lollio, a Pietro Ar-rivabene, e protetto da questi e da altri uomini influenti della corte pontificia, ebbe dal papa onori ed offerte, ch’egli, già si è veduto, declinò, per isperanza, dice il Favre (5), di un miglior posto a Venezia. Né queste (1) Una lettera del Bracelli a Giovati Mario colla data 2$ maggio 1457 è indirizzata apud Taurinum. Anche una poesia del Lucerna, citata dal Tiraboschi, dovrebbe riferirsi a quest’anno. (2) App. II, docum. III. Cfr. Doc. di Fr. e G. M. FU., 1. c. (3) Cfr. il mio lavoro cit. Ancora un letterato del Quattrocento, doc. Ili, p. 35-36. (4) Fr. Filelfo, Epist., L XV, f. 109 verso: Bessarioni cardinali; Gregorio Lollio; Pttro Eutycbio, in data tutte VI hai. ian. 14/9, che dovrebbe essere 27 dicembre 1458, ma che e dal loro posto nell’epistolario Filelfiano e da ciò che si sa del concilio mantovano (cfr. Cipolla, Storia delle signorie, p. 526 e segg., Milano, Vallardi, s. a., ma circa 1880; Vast, Le Cardinal Bessarion, pp. 234 e segg., Parigi, Hachette, 1878,6, sovratutio, Pastor, Storia dei papi dal Rinascimento, t. Il, pp. 39 e segg., trad. Benetti, Trento, Artigianelli, 1891) va interpretato 27 dicembre 1459. *'rra dunque il Favre, pp. 81-82, quando pone l’andata di G. M. a Mantova nel 1458 sull’autorità di quelle lettere. (5) P. 82. Il medesimo autore dice che nel gennaio del 1460 Mario e Senofonte Filelfo si trovavano a Ferrara. Egli non cita, ma interpreta, credo, una lettera di Francesco in data 30 di quel mese (Epist., 1. XV, f. no, Xenophonti filio). A me la cosa par dubbia, sebbene probabilissima, data la breve distanza da Mantova a Ferrara. Ad ogni modo il 25 gennaio G. M. Filelfo era sempre a Mantova (Fr. Filelfo, Epist., I. XVII, f. 11 verso: Mario filio). — 8o — speranze andarono deluse, ché difatto poco dopo, nel marzo del 1460, egli era condotto lettor pubblico in quella città dove il padre suo aveva molti ragguardevoli amici, e, dato saggio del suo sapere rispondendo improvvisamente, in presenza del doge Pasquale Malipiero, del Senato e di molti nobili veneziani, a ben trentadue quesiti propostigli, s’ acquistava la benevolenza e la protezione di tutta quella dotta aristocrazia (1) ed otteneva dal doge onorevolissima commendatizia per recarsi a Milano a pigliar la famiglia e la roba (2). In Venezia, come ebbi già a dire, aspira in concorrenza col Perleone e col Trapezunzio all’incarico di scrivere la storia della republica, donde nasce fiera polemica, tantoché da ultimo è costretto a partirsi anche di là. Ve lo troviamo ancora il 19 aprile del 1461 (3); ma già il 25 luglio di quell’ anno medesimo è in Bologna (4), dove 1’8 settembre, dinanzi al cancelliere Alberto Parisi (5), a tutti gli ufficiali, al Senato ed a gran folla di studenti e di popolo, legge un discorso sulle qualità clic devono avere i magistrati, sciatto, al solito, e rimpinzito di erudizione stantia, e nondimeno, per i tempi, ammirato (1) Fr. Filelfo, Epist., 1. XV, f. ni verso : Marchesi*) Variiino ; f. 112 recto: Mario filio ; f. 113 recto: Petro Eutycbio; I. XVI, f. 115 recto', Bernardo histiniano e Paschali Malipperio, in data rispettivamente 3 marzo, t2 marzo, 27 marzo, i.° maggio e 10 maggio 1460. (2) Append. II, doc, IV. Cfr. sopra, p. (5) Fr. Filelfo, 1. XVII, f. 115 recto e verso: Petro Perisciti, (4) Idem, I. XVII, f. 117: Xenophonti filio. 11 Favre interpreta V1U. hai. e> sovratutto, Favre, pp. 154 e segg. Poesie inedite nell’ Append II. (2) In Ale. rela\., p. 29. (3) Ìbidem. — 89 — facevano trascurare e dimenticare i suoi doveri d’insegnante, e lo costringevano od a partirsi per minor guaio da una terra, od a vedervisi spogliato dell’ ufficio e costretto a recarsi a cercare altrove il suo pane. Un nemico suo fierissimo, Aurelio Trebanio, gli scriveva contro: « E perchè tutti hanno conosciuta la tua incostanza e la tua leggerezza, come colui che ora insegni ed ora invece te la spassi, e da ultimo poi, stretto da necessità, fai l’avvocatuccio pervivere, e del rimanente non operi cosa alcuna che sia degna di animo libero e forte, cosi non trovi più nè qui, nè là, nè altrove chi badi alle tue ciancie » (i). Lo stesso messer Francesco, suo padre, in una lettera per ogni rispetto notevolissima (2), lo ammoniva « pensasse a’ casi suoi, perché se da principio erano molto piaciuti agli Anconitani il suo metodo d’insegnamento ed il suo modo di vivere, era dipoi, secondo il solito, diventato negligente ed abbandonava spesso la scuola e la città per vagare qua e là e divertirsi, la qual cosa non piaceva punto nè agli Anconitani, nè ai forestieri venuti colà per istruirsi, tantoché poteva avvenirgli quello che in altri tempi gli era accaduto e a Bergamo e a Verona e a Venezia e a Bologna. Ed altrove, conturbato e quasi piangente, gli diceva coll’affanno in cuore: « Ricevendo la tua lettera, non saprei dire se fui più commosso di aver dato in luce un figlio quale tu sei, o più dolente di vedere che i miei moniti, l’onore di tutta la vita, le mie esortazioni paterne non servano a nulla con te. Continua pure, poiché non vuoi nè ascoltare le (1) In PbiUìfum Marium, apud Sassi, Hist. typ-lill. Medio!, p. 268. (2) Epist., 1. XXXV, f. 255 recto: Mario filio, in d?u 18 dicembre 1472. - 90 - ammonizioni di tuo padre, né alcun sano consiglio, continua fino all’ ultimo il tuo modo di vita. Dio volga in bene ogni cosa (i) ». Nè Francesco Filelfo era un padre tiranno o poco amorevole verso i fiali, e con Mario anzi in particolare L* era anche più tenero che con tutti gli altri: la vecchia storia del figliol prodigo e della pecorella sniari ita da ricondurre all’ovile. Fin dalla prima età di lui, attende ad educarlo e ad istruirlo: è felice de’suoi primi progressi nelle lingue latina e greca (2); nel figlio suo presagisce un altro se stesso, e gli dice con entusiasmo paterno: Nate Mari, vita mihi carior, una voluptas spesque patris, precepta si nostra, Pbilelpbe, perges, te magnum reddes nobisque tibique ilìustremque virimi (3). dandogli tutti i precetti che gli paiono migliori affinché possa riuscir tale. Poi continuamente ha cura di lui: quando è lontano, a Costantinopoli, ne domanda premurosamente le notizie agli amici di là (4); e quando ritorna in Lombardia, prega Catone Sacco, il giureconsulto (1) Epist. L XXXIII, f. 228, in data 8 ottobre 1470: Nullas in rem tuam et decus lotius vite ncque admonitiones neqiu adhortationes ab te admitti. Quare cimi ne paternis iussis nec ullis sanis consiliis parere institueris, utere tandem, utere tuo vire modo. Deus bene vertat. Dalla data si scorge che Mario era allora a Bergamo. (2) Vedi Lettera greca di Francesco Filelfo, in Raccolta milanese, anno 1756, n. 19. La data della lettera è 7 ottobre 1440. Le lettere greche di Fr. Filelfo sono ora pubblicate dal Klette, Beitràge \ur Geschichte und Litteraliir dir italici• Gelehrtenrenaissance, t. III, Greifswald, 1890. (3) Carmina, VI, 1. (4) Epist. 1. IV, f. 26 verso: Kyriaco Anconitano e Saxolo Pratensi', 1. V, f. jo r.: Petro Perleoni. — 9i — illustre (i), di fornirlo di una cavalcatura o di scrivere a lui perché possa subito mandargliela da Milano (2). Non gli scrive lettera, si può dire, senza che pensi a dargli buoni consigli, e non pedantescamente o in modo da infastidire (3): se infierisce la peste a Marsiglia, se ne guardi bene, che il buon padre ha pauraccia per lui (4); se si mette in viaggio, raccomandazioni a destra ed a sinistra, il fratello Senofonte messo in moto, e per lo più inutilmente, perché vada ad incontrarlo e glielo conduca sicuro (5); se non ha ufficio, premure per fargliene ottener uno *(6); se fa bene, lodi senza fine -, anche in lettere a .terzi (7); insomma il buon padre sembra essere disposto a mettersi in pezzi per Mario suo. Ancorché non ne fosse poi gran fatto compensato dall affetto del figlio ; perocché, se Giovan Mario ricambiava forse le premure del fratello Senofonte coll’ adoprarsi a levarselo dattorno quand’erano insieme a Venezia nel 1460 (8), (1) Sul Sscco cfr. per ora il mio Giason del Maino e gli scandali universitari ini Quattrocento, p. 30-31, Torino, La Letteratura, 1888. Di lui ha pure dato ultimamente importanti notizie Z. Volta, C. S. e la fondazioni del collegio di Pavia, in Arcb. Stor. Loinb., s. II, t. VIII, fase. II. (2) Cfr. per es. Epist., 1. V, f. 32, in data 15 maggio 1442. (3) Cfr. per es. Epist., 1. VII, f. 49; 1. XVII, f. 117 ; 1. XXXV, f. 248 verso, etc. (4) Libro VII, f. 49. (5) Cfr. specialmente Epist., 1. VIII, f. 52: Thome Fregosio; 1. IX, f. 66r\ Ja-cobo Brocello e Nicolao Cebe; 1. X, f. 70 r. : Nicolao Fregosio; 1. XV, f. 1097-, e v.: Bessarioni cardinali, Gregorio Lollio, Agapitbo Romano', f, in v.. Marchisio Varisi 110; f. 113: Petro Eutychio; I. XVI, f. 115: Bernardo Iustiniano e Pascali Malipperio-, 1. XXXIV, f. 223 r.: Antianis Anconitanis, e le lettere al duca di Urbino c ad Ottaviano Ubaldini, in De Rosmini, t. Ili, pp. 170-172. (6) Per es. Epist., 1. X, f. 72 r.: Mario filio. (7) Per es. Epist., 1. XV: f. 113 r.: Petro Eutychio-, I. XVI, f. 115: Bernardo Iustiniano e Pascali Malipperio. (8) Si può dedurre da Fr. Filelfo, Epist, 1. XV. f. 112: Mario filio. - 92 - assai peggio trattava il padre, verso il quale noi lo vediamo scendere ad atti tutt’altro che corretti, come quando risponde insolentemente alle sue lettere ed a suoi consigli (i), o, più ancora, gli scrive di essere ornai stucco e ristucco di quegli avvertimenti e di quelle ammonizioni, e lo consiglia a far testamento per evitar litigi fra lui ed i fratelli dopo la morte (2). Certo non si può negare che più volte l’abbia difeso contro i suoi nemici e sia sceso in campo per lui nelle sue polemiche; ma, come si vedrà meglio or ora, movevalo piuttosto ranimo stizzoso, iracondo, baruffone, che 1 affetto pel genitore. Del rimanente, del modo di vivere e dei costumi di Mario Filelfo abbiamo documenti sicuri e diretti. Nel testamento paterno, fra le ragioni per cui viene escluso dalla successione dei beni mobili, é addotta anche questa, che il figlio aveva venduto spesso libri preziosi di messer Francesco senza saputa e consentimento di lui, ed il luogo è troppo solenne perché si possa pensare ad una pura esagerazione in un momento di sdegno (3). Sappiamo dalla corrispondenza del maggior Filelfo, non solo col figlio, ma anche coll’Argiropulo, col Perleone e con 1 eo-doro Gaza, che a Costantinopoli, giovane quindicenne appena, Giovan Mario abbandonossi cosi ai piaceri ed (1) Vedi Fr. Filelfo, Epist,, I. XXX, f. 228, in data 8 ottobre 147°- (2) Il testamento fu realmente fatto poco dopo da Fr. Filelfo, ed è pubblicalo in Sassi, Hist. lip.-lit. Mediol., pp. ccxxi e segg. La lettera sua .1 G. M., in cui risponde alla richiesta del figlio, è del 18 dicembre 1472, ed il testamento del 23 febbraio 1473, come Prov’ò >1 De Rosmini, Filtlfo, t., Ili p. 100. G. M. non partecipa che alla successione dei beni immobili. ~ (3) In Sassi, /. c. — 93 — alla sregolatezza che, quando il padre lo fece .cercare dal Gaza, fu trovato immerso nei debiti fino alla gola (i); e che la cosa sia vera, lo prova Tesser stato egli prontamente richiamato in Lombardia. Più tardi lo troviamo continuamente in relazione con donne di mala vita, sebbene ammogliato e con figli già adulti: nel 1475, quando già aveva cinquant’anni, mentre Francesco gli scriveva di tener bene in conto la sua Marietta, a donna onestissima » (2), egli confessa all’amico Piatti che si tratteneva volentieri in Ancona per l’amore che portava ad un’Angela, meretrice colà dimorante (3). E non era un caso isolato, un’eccezione, una pazzia senile: quest’Angela di Ancona, che fu confusa con un’altra contro cui scrisse un’ oscenissima invettiva in versi (4), vuol esserne distinta: 1’ Angela della poesia, Angela, quam ignorans centum saturasse Priapos, carminibus toliJem, stultus, ad astra tuli, appartiene ad un’ altr’ epoca della vita di Giovan Mario, (1) Fr. Filelfo, Epist., I, V, f. 30, confrontato con una lettera greca dell’Argi-ropulo esistente in un codice Trivulziano, citata prima dal De Rosmini, Filelfo, t. IH, p. 85, e publicata poi con altre di un codice di Wolfenbuttel ricordato dal Voigt, Il Risorgimento, t. I, p. 530, in Klette, l. c. (2) Lettera al figlio Mario, in De Rosmini, Filelfo, t. Ili, p. 166170 (in data 27 sett. 1474). (3) Putti, Epist., in Favre, l. c. (4) App. II, doc. XIV. Ho esitato lungamente a stampar qui questa poesia latina ed a discorrere cosi minutamente degli osceni amori di G. M. Filelfo. Ma dappoiché mi pare che questa poesia e questa trattazione possano giovare allo studio dell’oscurissimo trapasso dalla meretrice alla cortigiana, ed Arturo Graf ha scritto quel suo lavoro intorno ad Una cortigiana fra mille ( Veronica Franto) inserito nel volume Attraverso il Cinquecento, Torino, Loescher, 1890, ho creduto potere e dover fare come ho fatto. Che Angela segni il trapasso mostra l'aver Mario scritto per lei <1 cento» carmi. - 94 - al tempo del soggiorno a Venezia: bastano a provarlo questi versi: Asl libi nec populus vetulus, patavina nec usquam turba minus paini!: nescit utrosqne vates. Nè gran fatto migliore di costei doveva essere quella Ginevra fiorentina che appare pure nel novero delle amanti del minor Filelfo, sebbene egli non le getti in faccia, come all’ Angela veneziana, ingiurie quali solo poteva esprimere allora e può oggi solo permettere di ridire la lingua latina: Sangnine marcenti piena, sei stpt luiosa vulva libi est quantum nulla latrina, ed altre oscenità che mai non disse ad una Lesbia traditrice alcun poeta dell’ antichità, ma anzi la paragoni a Febo che dirada e mette in tuga le nubi e l’assicuri che nulla gli é grato senza di lei, che non ama nessun altra donna, che essa sola è la sua vita e la sua salute (i), e la chiami più bella assai che Venere e che Dido e cc non alma mortale, ma de cielo (2) ». Quali fossero le donne amate da Giovan Mario ci mostra egli stesso in un sonetto di cui la didascalia, in parte abrasa, sembra darci il nome Giovanna, e del quale é assolutamente impossibile riferir qui anche solo il primo verso (3). Rispetto poi ad una Caterina « già femmina de Francesco da Casano, (1) Append, 11, doc. XII. (2) Append. II, doc. XII. Cfr. doc. X, che è un sonetto ad una «ninfa» anonima, cui è pure dedicata una poesia latina dello stesso codice Laurenziano da cui sono tolte le altre. Pare che questa « ninfa * sia diversa da Ginevra. (3) Il sonetto è nel solito codice Laurenziano; mi riservo di stamparlo in apposito studio sulla oscenità nel Quattrocento. - 95 - figliuola de una Margherita, che fu femmina de Zannono viro circha otto anni », e de’ suoi rapporti col figlio del grande umanista tolentinate, reputo più caratteristica di ogni commento una lettera del duca di Milano a Giovan Mario stesso, in data 29 luglio 1465, in cui è detto, con altro : « Intendiamo che la più parte del tempo ogni zorno vuy consumate in andare visitando multi dishonesti lochi de Milano, et tra le altre cose che vui tenete ad vostra parte una Caterina... et che al continuo gli (le) mangiate et bevete, et senza alcuna intermissione gli dormete ogni nocte et li havete messa ogni cura et ogni pensiero et studio, domenticato al tutto delle vostre cose più necessarie et honorande; ché, corno sapete, non si conviene ad vuy né alla professione vostra; però che, essendo vuy doctissimo homo et famoso poeta, corno ad nuy è stato referto, dovessevo tenere et servare una vita talmente laudabile et honesta, che quelli de vuy hanno ben concepto havessero casone de haverlo megliore, et de prendere bene* et costumato vivere. Per la qual cosa ne é parso scrivervi queste nostre lettere... etiam perchè sappiate che, se non mutate costume et vita in melius, non facendovi nuy bene et honore conio havevamo deliberato farve, che procederà de vostro mancamento et defedo, et non de nuy né d’altri » (1). Di tal natura erano gli amori di Giovan Mario, e fra tali donne egli conduceva la vita che, come gli osservava lo Sforza, gli erano cagione dello scemato favore de’ suoi protettori. Egli s’imbragava, s’avvoltolava nel fango senza ritegno (j) In Mazzatinti, Inventario dell' Archivio Sforiesro nella Nazionale di Parigi, in Ardi. Stor. Lowb., serie II, t. II, pp. 737-738. - 96 - o pudore e di sua vita sconcia pareva quasi menar vanto. Non che la moglie non amasse sinceramente e ne riconoscesse le virtù e la fedele compagnia (i); ma egli era di quelle nature libidinose ed amorose ad un tempo, che sanno avere un affetto gentile per la propria donna, eppure cercano la voluttà in infinite altre. Carattere anche questo che vuol essere notato, perché serve mirabilmente a compiere la curiosa figura del minor Filelfo. È ben vero che si scagliava in un carme latino contro Venere e malediceva: Dira Vtnus Cyterea viris, tremebunda necatrix regnorum, ignavis dea, claris molle venenum ingeniis, quis te veluti non honeat atram elluvitm ? quibus es minus impia ? a quell’ Idra implacabile che non risparmia né vecchi, né giovani, a quell’ impudica meretrice che ora si congiunge ad Anchise ed ora a Marte, e alternis talamis, alterno mnnere complet; P * facendo girar la testa agli uomini più assennati, rendendo sciocchi i saggi, facendo vili i superbi, la quale sarebbe stata grandissima, ni sua sordida pressissent vincula turpes infamesque toros sceleri stuprisque dicatos (2). Ma nella poesia medesima par quasi voglia scusar se stesso, recando innanzi tutta la serie lunga, interminata, de vinti dall’amore, dalla bellezza, dalla voluttà, gli esempi biblici e classici di Davide, Leda, Elena, Clitennestra, (1) Cfr. Luzio e Renier, 1 Filelfo, spec. p. 199, n. (2) App, I, doc. Vili. - 97 — Achille, Ulisse preso da Circe e da Calipso, e Fillide ed Isifile, e 1 isbe, e Giove.stesso e tutti gli altri Dei e Dee e uomini e donne dell’antichità fino alle recenti Beatrice e Laura cui amarono Dante e Petrarca; e se termina con un quadro pauroso delle tristi conseguenze del regno di Veneie, il ritratto che la della corruzione de’suoi tempi é di nuovo come una giustificazione della sua condotta. Del rimanente poco valgono le parole dove i fatti le smentiscono, e troppe prove dimostrano quale fosse la condotta del figlio di messer Francesco. Niuna meraviglia adunque se spesso era costretto — anche suo malgrado, più di una \ulta a mutare soggiorno: quale città voleva conservare a’ suoi stipendi un professore che dava cosi mali esempi, trascurando 1 insegnamento' per attendere a meretrici o cortigiane? Nè poteva bastare a compensare questo difetto gravissimo l’altro vizio dell’adulazione, ancorché Giovan Mario, come il padie, ne tosse assai fine e valente maestro. Si possono forse non attribuire puramente e semplicemente all aite del turibolo le dediche di certi scritti, ora smarriti, al marchese di Monferrato Guglielmo Paleo-•°a° (0> ° della traduzione dell’ufficio della beata Vergine, coi salmi, colle preci, cogli inni e con altre orazioni, a Maddalena figlia di Galeotto marchese Del Carretto e vedova di Pier Guido Torello (2), od ancora (1) Cfr. sopra, p. 87, 11. (2) Bibliotheca Pinci liana, t. V, p. 98-99; Tiraboschi, Op. cit., t. VI, parte V, p. 1587. Il De Rosmini, Filelfo, t. Ili, p. 106, n., cita un altro esemplare ms. di quest’opera, dedicato a Borso d’liste; il qual mutamento artifizioso è per sè stesso segno di animo proclive all’adulazione. Cfr. Luzio e Renier, Art. cit. p. 208, n. Atti Soc. Lio. St. P*t»u. Voi. XXIV, fase. t.° - -98- dello scritto De bcllicis artibus et tirbams, specie di 1 assegna storica dell’antichità, * Borso d’liste duca di Ferrara (i); ma cominciano a riuscire allatto sospetti da questo punto di vista un carme troppo laudativo a Roberto Valturio (2), e le dediche delle Bucoliche a Pietro Riario e del De communis vitae continentia a papa Sisto IV (3). Poi vengono le prove dirette. Quando è in Bologna — il che conferma la data 1 gennaio i4^2 Mario Filelfo scrive un poema intitolato Felsineidos, in lode di quella città, e lo dedica al Cardinal legato della medesima, Angelo Capranica (4); e probabilmente sempre per ingraziarsi i Bolognesi, compone nello stesso tempo la Glyccphyra nitnpha bolognese, e la dedica ad un influente cittadino della terra, Guido Antonio Lambertini (5). N°n altrimenti a Verona scrive un Carmen de laudibus agri Veronensis, poemetto in esametri latini diviso in tre canti, (1) Tiraboschi e De Rosmini, 11. cc;, Favre, p. 174- (2) In Carmina illustrium poetarum, t. VII, p. 168. Il sospetto si accentua con frontando la poesia con una lettera di Mario stesso al Valturio in ScHELORN, Amoenitates litterariae, t. III, p. 127. (3) Favre, pp. 171-172; De Rosmini, 1. c. (4) Favre, p. 154; Luzto e Renier, p. 204, n. 2. Delia Felrineis 0 Ftlsiiieidos di G. M. Filelfo ha recentemente rinvenuto un codice nella Comunale di I ia-cenza e datane notizia il Flamini, Di1 codici Landiani di Francesco e Giovan Mario, in Giornale stor. lett. it., t. XVIII, pp. 328-330. (5) Favre, p. 174-175. All’epoca bolognese appartengono probabilmente anche un sonetto a Giovanni Cossa (App. II, doc. IX), un’elegia a Galeazzo Mare-scotti nel codice più volte citato (Cfr. 13andini, Cai. vis. lati. Bill. Laur., t. IH, p. 800) che termina: Sic, licet abfueris, semper in ore meo es, ed un sonetto e un epigramma latino ad Ercole Malvezzi (Malvisium) che erroneamente il Bandini, l. c., ha creduto indirizzato ad Ercole Malineo (Mali-neinii). — 99 — e lo dedica nel titolo stesso Ad Domitium Georgium V'erone prefectum, a Domenico Giorgi, pretore della città, che ve l’aveva fatto condurre insegnante (i) ; loda al cavaliere aurato Lodovico Nogarola la celebre Isotta (2); per ingraziarsi Pietro Alighieri, tiene lezioni sulla Commedia, cui il patrizio illustre assiste (3), e compone la famosa Vita di Dante (4). E tutto questo é ancor poco : per lodare meglio Ercole I d’Este, butta giù sedici libri di versi — indirizzati a lui, s’intende— nei quali stempera le Fatiche di Ercole (5); per compiacere Sigismondo Pandolfo Malatesta, il noto signore di Rimini (6), gli encomia quell’ Isotta degli Atti che gli fu amante, poi moglie, e s’ebbe i panegirici di tanti altri scrittori (7), (1) Maffei, Ver. ili, t. II, p. 108; Favre, p. 171. Cfr. sopra, p. 82. Sul Giorgi vedi per ora il mio scritto II trionfo dell’ Umaneismo nella Venezia del Quattrocento, p. 10. (2) Cfr. sopra, p. 83. • (3) È però a notare che, veramente, come si è veduto, a queste lezioni era tenuto dalla condotta. (4) Pubblicata dal Morcni, Firenze, 1828. Di questa Vita Dantis discorrono tutti i Dantisti: vedi per ora specialmente Bartoli, St. lett. it. t. V., p. 318, Firenze, Sansoni, 1884, e Scartazzini, Prolegomeni alla Divina Commedia, pp. 9 c 406, Lipsia, Brockaus, 1890. Tuttavia un lavoro che stabilisca veramente se G. M. Filelfo ha inventato di pianta — ne era capacissimo, ma non è ancora una prova definitiva che 1’ abbia fatto — ovvero attinto a qualche fonte anteriore od alla tradizione, manca sempre e sarebbe importantissimo. Qualche cosa di nuovo spero poter io dire altrove. (5) Tiraboschi, /. c.\ Favre, p. 174. (6) L’ultimo lavoro è quello dell’YRiARTE, Un condottiere au XV siicle. Ri-mini, Parigi, Rotschild, 1882. Sul duello mancato con Federico da Montefeltro è in corso di stampa un mio lavoro recante nuove notizie e documenti. (7) L’Yriarte pretende a torto che non sapesse scrivere. Clr. per ciò Villari, Rimini e i Malatesta, in Saggi storici e critici, pp. 281 e segg., Bologna, Zanichelli, 1891. — 100 — gli dedica i suoi EpitomaUi (i) e 8^ rivolge 'eisi così profumati d’incenso e privi di ogni altra cosa, a cominciare dal sentimento poetico, dalla misura e dal buon senso, che un sol esempio basta a disgradarne ogni più coraggioso e paziente leggitore, e meritano davvero di esser detti « assai vili » come li chiama, ma solo per modestia di prammatica, il valente Giovan Mario (2). Per far dimenticare allo Sforza, poniamo, lo scandalo con Caterina da Casano o altro simile, lo innalza alle stelle salutandolo gloria e sole d’Italia, unico autore e protettor della pace in Lombardia e lino a Roma, primo fra i signori dell’età sua, di nuovo — come già il Malatesta — Mario, Annibaie, Marte novello, suo amore, sua speranza, sua unica salute (3). Per assicurarsi, infine, in Venezia il favore del patriziato, loda indifferentemente questo e quello, e scrive epitalami per la figlia di Pan-dolto Contarini (4), poesie varie per Nicolò Volpe e per Marchisio Varisino, ambasciator milanese presso la republica (5), epitaffi per Francesco Foscari, nipote del doge (6), e via discorrendo, fino ad esaltare, per amor (1) Bandini, 7. c.\ Favre, p. 168. (2) Append. II, doc. XI. Nello stesso codice è un epigramma latino al medesimo Malatesta. (3) Append. Il, doc. XVI. Cfr. pure doc. XV, che è un sonetto in onore di Alessandro Sforza, signore di Pesaro. (4) Ho letto l’epitalamio nel solito codice Laurenziano; non parendomi doverlo publicare per intero, eccone il principio: Fama refert, Pandulphe, tuam, clarissime, natam que par est Helene, casta modo Diane nupsisse et iuvcii cui par faciesijue nitorqae, etc. (5) Bandini, 1. c. (6) Sono a ff. 50 wr.ro-51 redo del solito codice Laurenziano-Gaddiano : sfuggirono al Bandini nella descrizione del medesimo. — 101 — de’ parenti vivi, il morto Delfino Venier coll’epigramma reboante : Venerius Venete Delphinus maxime urbis splendor in hoc parvo marmore tectus agit. Hic terra atque mari, belloque , togaque , domique , atque foris miro cultus honore fuit (i). Ma il principal documento dell’adulazione del minor Filelfo si trova ne’ suoi rapporti coi Medici. È nota la fiera inimicizia di messer Francesco con Cosimo, e sono pur noti i lunghi, e per gran tempo infruttuosi, sforzi a fine di riconciliarsi con lui e co suoi discendenti ed essere richiamato, più o meno onorevolmente, in Firenze. Durante quelle pratiche, il primogenito del Tolentinate scrisse una Cosmiade (2), ma non é a credere che sia la sola opera di Giovan Mario in lode dei Medici: la sua vena adulatoria non era così presto esaurita. Oltre parecchie elegie in onore dello stesso Cosimo (3), abbiamo una lunga Lunrcntiudos, per cui sappiamo aver avuto 300 scudi d’oro dal Magnifico Lorenzo (4) con una (1) A f. ss recto di detto codice. Sfuggito anche questo al Bandini. S’aggiungano alla serie delle poesie laudatorie composte da Giovan Mario ne’ vari luoghi in cui soggiornò per ingraziarsi i dominatori di essi : un poema Martiados, scritto però, sembra, fin dal 146.1, e quindi prima del suo passaggio ad Urbino, in onore di Federico da Montefeltro, ed ora nel fondo Urbinate della Vaticana (cfr. su di esso Dennistoun , Mentoires of thè dukes of Urbino, t. II, pp. 126 e seguenti, Londra, 1851); ed una poesia — composta, si può credere, durante il soggiorno ad Ancona od a Milano — in lode di Giacomo Bonarelli anconitano e podestà milanese (Append. II, doc. XVII). Inoltre nello stesso fondo Vaticano-Urbinate ora ricordato esistono molti altri componimenti di G. M. Filelfo, adulatori dei Monteleltro, di cui dirà l'amico dott. Giovanni Zannoni. (2) Vedine un passo in Fabroni, Vita Cosmi, t. I, p. 172. (3) Bandini, Op. cit., t. II, p, 1 >9- (4) Cfr. sopra, p. 84. — 102 — gentilissima lettera di ringraziamento (i): nel qual poi.ma pare che si raggiunga l’estremo limite della servilità nel l’elogio (2). Eppure, con tutto ciò, il tiglio di messer Francesco non riuscì a trovar riposo se non presso il marchese Federico di Mantova, ed ancora a patto di 0 dargli la sorella Cecilia ed il padre Lodovico e di man dargli continuamente sonetti, canzoni, elegie, di prò mettergli la traduzione delle poesie attribuite a Lino, d’incominciare in sua lode un poema Idra in lLrZi1 rima e di mutar persino il titolo di questo, ^ta bilito ed annunziato, nell’ altro più encomiastico di Fredericheide (3). Gli è che la sfrenatezza del suo carattere non solamente lo portava al mal costume, agli amorazzi, alla negligenza de’ suoi doveri d'insegnante; ma per un altro lato lo faceva ancora stizzoso, battagliero, violento ne’ suoi rapporti con quanti lo avvicinavano. Come avviene tante volte negli umanisti del Quattrocento, accanto all’adulazione la più sfacciata si trova in Giovan Mario Filelfo uno spirito di polemista iroso e di maldicente senza fine. L’asprezza del suo ingegno, il suo dispetto di ogni cosa, si manifestano in cento occasioni, se può vibrare avvelenata la lingua contro qualcuno, egli non trascura di farlo, e se ne mostra lieto, quasi felice, così se la piglia con tutto il mondo, anche quando gli ( 1 ) In Inventario delle carte Straniane, t. I, p. 589. (2) Non ne ho veduto che il disegno publicato nei Carmina illustrium portarum italorum, t. VII, ff. 168 e segg. Per intero esiste nell’H.irleiana. ^-,r' A catalog. of thè Harleian collection pf manuscripts, n. 2522. (3) Luzio e Renier, Art. e 1. citi. Cfr. Davari, 1. c. — 103 — sarebbe facilissimo cattivarsi piuttosto la benevolenza che 1’ odio. Non mai contento di nulla, scrive querimoniando: Vita brevis, fallax fortuna et nescius error decipuit hic populos : vita beata polo est. Vivimus, heu miseri! que sit merccsvt laborum aut fati requies nemo tenere potest (i). e per una lode schietta all’Aurispa di cui ammira 1 versi (2), e un’altra, forse men sincera, all’ingegno di un giovane per nome Castiliano (3), si scaglia a destra ed a sinistra con singolare irruenza di linguaggio, scrivendo poesie contro i servi di casa (4), contro la Fortuna (5), contro Venere (6), e, passando dall astratto al concreto, contro un musico dell’ imperatore (7), contro un tale che chiama scioccone e di cui dice: Flete, lupanares : periit sacra virga Priapi (8), contro un altro ancora cui insulta dicendo : Cum Cerere et Baccho comes est Venus alma podagre: si tria sustuleris, quarta sepulta iacet. Vina caprus nescit, carnes non mandit, iners est in Venerem ; cur hunc dira podagra vorat ? (9). (1) Dal solito codice Laurenziano-Gaddiano, f. 47 r- (2) Ibidem, f. 49 r. Cir. Bandini, t. III, p. 801. (5) Ibidem, f. 50 (cfr. Bandini, 1. c.) Non saprei dire se fra le poesie schiette o le adulatorie debba essere collocata una Canion morale ad lionore et laude di maestro Guglielmo hebreo di Giovan Mario, che il Maltinti, Inventari delle biblioUche di Francia, 1.1, p. 172, cita come esistente nel codice it. 973 (7 7 473)- della Nazionale di Parigi. (4) Nel cod. cit., f. 51 verso. (5) App. II, doc. VII. Un passo riguarda particolarmente Genova. (6) App. 11, doc. Vili. (7) In edum imperialem, nel solito codice, f. 47. n0» citat0 dal Bandmu (8) In baionum, ibidem. (9) Ad phisicos, ibidem. — 104 — Si potrebbe aggiungere che poeta laureato egli stesso — e laureato da tal principe che nel resto d’Italia era considerato quasi come straniero e barbaro, sicché un nemico suo ne lo rimproverò poi acerbamente, come vedrassi, insinuando che egli non avrebbe potuto ottener da altri quel-l’onore— Giovan Mario nondimeno, quando sulla fine del 1468 viene Federico 111 imperatore e dispensa con profusione straordinaria la corona poetica ed i titoli di cavaliere aurato e di conte palatino, non può trattenersi dallo scrivere una lunga ed acerba satira In vulgus equitum auro notatorum, doctorumque facultatum omnium, comitumque palatinorum et poetarum laureatorum, quos paulo ante imperator Federicus insignivit, in cui dileggia l’abuso fatto da quel principe e sferza a sangue coloro che hanno accettato da lui sifatti onori ornai divenuti, per troppa abbondanza, spregevoli e ridicoli, incominciando: Tbura Vitale Iovi, put ri ; spargantur ubique laurea serta domi ; decrescat laurus, et omnis porla coronatur festa sine murmure fronde. Tempus adhuc nulli concessum regibus evo accidit ecce novo ; doctorum turba poetas atque eques sequitur, comitumque, quos aula palatii nominat, bos referunt turmalim lustra catervis, e proseguendo con irruenza ed asprezza crescente sino alla fine (1). Senza dubbio la poesia potrebbe anche essere stata scritta all’ epoca della prima discesa di Federico III in Italia, quando il minor Filelfo non era ancora laureato ; ma non farebbe che dimostrare vieppiù da una (1) Apud Tiraboschi, t. VI, parte IV, p. 1308-9. Egli nota sic alla parola comitumque: a me pare non vi sia errore, potendosi costrurre cosi: Turba doctorum comitumque sequitur poetas atque equites, etc. parte il dispetto suo per non aver ancora ottenuto un onore concesso a tanti altri, dall’altra l’impudenza di accettarlo poscia e vantarsene dopo tanto pubblico disprezzo. Del rimanente, dell’ impudenza di Giovan Mario non sarebbe l’unica prova: il prof. Braggio ha mostrato come scrivesse poesie in lode di Pietro Pregoso, in quegli stessi giorni in cui lo bistrattava nel modo più indegno negli Annales in historiam finariensis belli, tenendo naturalmente nascosti questi a’ Genovesi, quelle a Del Carretto (i). Niuna meraviglia pertanto ch’egli abbia avuto molti nemici, e sia stato invischiato in molte polemiche e baruffe più o meno letterarie (2) ; tanto più che in parecchie, da principio non sue, si gettava volontariamente senza riguardo veruno. Ebbi già ad accennare come intervenisse nelle lotte eh’ ebbe suo padre col Porcellio e col Marzio; partecipò anche a quella contro Poggio Bracciolini scrivendo, o vantandosi di avere scritto (3)» un hbr0 contro quelle Facctie, in cui l’umanista fiorentino aveva trovato modo di tartassar così bene il Tolentinate (4), e formandogli quest’epitaffio nel quale rimesta nuovamente tutto quel fanso in cui s’era già tanto ravvoltolato suo padre: o u Rite forte latet quis sim qui claudor in urna hac humili: hic nomen et mea fata lege. Poggius hircus eram , meretrix mihi Vaggia coniunx ; pedico et scelerum rexque deusqut fui (5). (1) Pp. 133 e segg. (2) Forse alle polemiche 0 agli amorazzi si riconnette il ferimento di cui sopra, p. 81. (3) Mario Filelfo, De voluminum suorum numero, in Favre, pp. 155-157. (4) Cfr. specialmente cxxxii, clxxxvi, clxxxvii e, forse, xlviu. (5) Nel solito codice, f. 47, — io6 — A questa partecipazione alle polemiche paterne non moveva certo Giovan Mario la reverenza e 1 affetto del genitore, ma il bisogno di tutelare una gloria che sten-devasi in certo modo sovra di lui. Perocché se giustamente il Cortese notava aver la fama di messer Francesco nociuto a quella del figlio suo, potevasene avvedere un postero, ancorché fresco, non Mario stesso che ben vedeva dover troppe volte una tolleranza relativa de suoi trascorsi alla riputazione del padre ed essere altre fiate carezzato meno assai in grazia propria, che in grazia di lui. Era in sostanza quel medesimo sentimento d interesse che lo traeva alle lotte col Perleone, cui Trapezunzio e e col Crivelli (i), e lo spingeva anche ad inveire contro la memoria di Pio II, finché, sembra ora accertato, il duca di Milano lo gettò per alcuni giorni in prigione col padre (2). Se, almeno per questo rispetto, valesse il carcere a farlo rinsavire, non posso però affermare, perché mancano i dati per determinar con certezza 1 epoca — anteriore 0 posteriore — di un’ altra polemica ch egli ebbe con Aurelio Trebanio (3). Aurelio Trebanio, di patria napolitano, uno de’ poeti di secondo 0 terz’ ordine del Quattrocento per riputazione, (1) Cfr. sopra pp. 61 e segg., e 81. (2) Cfr. il mio studio Ricerche intorno allo storiograjo quattrocentista Lodnsio Crivelli, pp. 27-28. (3) Tuttavia, parlando il Trebanio della laurea poetica e tacendo della prigionia di Mario, se pur quest’ultimo è un argomento sufficiente, potrebbe collocarsi la polemica nel decennio 1455-1465. Se si confrontano alcune espressioni dell’invettiva del minor Filelfo (Append. II, doc. VI) col ricordo di Bologna, che è nella difesa del Trebanio, si potrebbe riferire a dirittura al tempo in cui G. M. soggiornò in quella città. — 107 — ma forse di primo per merito (i), era fin del 1447 in buona relazione con Francesco Filelfo, il quale scrivevagli il 27 febbraio di quell’ anno che ben volentieri appagava il desiderio di un Antonio, scultore e pittore fiorentino e loro comune amico, che desiderava vedere stretti da affetto anche loro due (2). Con Giovan Mario pare non fosse mai stato in rapporto, e non era certo in urto se credette, come afferma egli stesso (3), di rendergli un servizio da amico avvertendolo di alcuni errori che aveva trovato qua e là nelle poesie di lui. È ben vero che, quantunque egli pretendesse poi di aver usato le forme più cortesi, pare dicesse che il minor Filelfo avrebbe in alcuni luoghi de’ suoi carmi dovuto usar piuttosto la spugna che la lima, espressione invero non fatta per render graditi gli avvertimenti. Ad ogni modo Giovan Mario si ebbe infinitamente a male la critica. Cominciò a lanciare « sulle piste dell’ avversario, a guisa di cane che abbaia », dice il Irebanio, un suo scolaro, tal Cristoforo Dal Pozzo; metodo solito degli umanisti in genere, di suo padre in ispecie. Il Dal Pozzo tolse pretesto ad una lettera, 0, piuttosto, invettiva feroce (1) Vedi tutte le notizie che si possono avere finora di questo poeta raccolte in Battaglini, La corte lelt. di Sigism. Pand. Malat., pp. 103-105. Il Voigt, Il risorgim., t. I, p. $88, scrivendo « Divo Sigismondo Pandtilfo Malateste..... Oratio ad Iovem Trebanio aur. (?) auctore nei Trium poetarum opusc., f. 101 », mostra con quel (?) appiccicato ad aur. di non sapere che il Trebanio si chiamava Aurelio. (2) Epist., 1. VI, f. 39: Antonio Trebanio. Che Antonio stia per Aurelio suppose già il Battaglini, c., e non mi pare si possa mettere in dubbio, tenuto conto di altri simili errori (ad es. continuo scambio Ira Gregorio e Georgio) dell’ epistolario Filelfiano. (3) In Sassi, Eist. typ. Ut. Med., pp. cclxvi-cclxviii. — io8 — contro Aurelio, da certi appunti che costui, maldicente, sembra, ancor esso, aveva poco prima mosso agli scritti di un Filippo da Rimini — probabilmente Filippo di Federighino, poeta di qualche fama della corte Malatestiana (i). Il Trebanio non lo aveva nominato almen così pretende (2) —; epperò il Filelfo ed il Dal Pozzo gli rendevano un ben cattivo servizio mettendolo in piazza, come suol dirsi ; ciò che del rimanente non mancò poi di far osservare Aurelio stesso nella sua replica agli avversari. Ma, 0 perchè il povero Filippo non serviva che di pretesto, 0 perchè forse non é vera 1 affermazione del Trebanio che, appuntandone gli scritti, tacesse il nome dello scrittore e sovratutto poi non l’attaccasse nella vita privata, messer Cristoforo senza un riguardo al mondo lo trasse innanzi e, sotto colore di difender lui, ne disse di cotte e di crude al poeta napolitano. Questi, che lascia sospettare nella sua risposta essersi immaginato come il Dal Pozzo non fosse che un prestanome , si propose allora di stancar la pazienza del vero nemico, che certo non era molta; ed ecco infatti Giovan Mario scendere in campo personalmente, prima con una satira, poscia con una lettera, nelle quali assaliva ad un tempo il Trebanio negli scritti e ne’ costumi. La lettera non sappiamo dove sia andata a finire; ma c é la satira in versi, e basta, e fors’ anche è troppo. Fare age, romane spes una, Trehnuìe, lingue, quid facias? num nostra legens medites quoduspiam accusare queas ? slomachoque effundere bilem ? (1) Battaglini, Op. cit., p. m. (2) In Sassi, 1. c. — io9 — comincia il dabbcn poeta (i), e domanda se la Nemesi non lo lasci dormire, o se cerchi compagni, oppure se, pensando che è tempo di quaresima, voglia far penitenza e chiedergli perdono de’suoi peccati. « Poiché tu », esclama, cc non conosci nè modo nè misura, non sai che sia ragione e, spinto da furore, poni il tuo maggior piacere in mordere e vituperare, oh ! volesse Iddio che tu venissi a resipiscenza e cercassi di moderare la pazza foga della tua lingua ! » E gli dichiara che in tal caso sarebbe pronto a perdonargli, ma voler prima sapere cc quale fatalità lo spinse a tale infamia, quali serpi lo trassero a così sozzo delitto, qual furibonda Megera lo mosse, qual Cerbero a lui cinquantenne fece perdere la testa e quale Stige trasselo a così mal passo ». Ma perchè gli sembra che il Trebanio non sia troppo disposto ad umiliarsi, cc nonostante la sua natura servile » — e si vedrà fra poco quanto ne fosse lontano — passa ad assalirlo con maggior vigore, e comincia con pigliarlo in giro, cc Ecco : egli dice: Mi è caro Socrate, mi è caro Platone, ma mi è più cara la verità, la quale dev’essere anteposta al padre medesimo, ad ogni cosa più santa. Il primo moralista amò meglio morire bevendo il veleno, che sopportare la tirannia di alcuno e mentire ed adulare. Senza parlare dì Solone che volle piuttosto soffrir 1’ esilio ed abbandonare l’ingrata Atene, e di Licurgo che volse le spalle a Sparta, e di Cicerone che preferì morire anziché far cosa alcuna contro la verità... E così Demostene e Giovenale ed Ovidio... ». Senonchè il riso gli muore sulle labbra, e le ingiurie soffocate prorompono come lava bollente da un (i) Append. Il, doc. VI. — no — vulcano in eruzione. « Ma tu », egli urla, « strazii a fuiia colla penna le mie poesie ed ora ti scagli contro 1 uno, or contro l’altro, e non hai pace mai, nè badi che le minaccie tue ti si ritorcono addosso. Che furia ti lacera? Se impazzi, convien legarti le mani, metterti al collo una catena, stringerti freni ai piedi e porti scarpe di ferro affinché non possa più camminare. È vero che quando t incontio per le vie della città, non ti fo’ di cappello fino a teira, e tu ti credi il più grand’uomo del mondo; ma non ci ho colpa davvero: sei così piccolo che quasi non ti vedo: sembri della razza dei pigmei!... Eppoi, prima che ti conoscessi in questa circostanza, guardandoti in viso mi avevi tutta un’ aria di ebreo ». Confessa che seppe poi eh’ egli era un maestro di grammatica, ma tuttavia 1’ impressione fu poco modificata, perché continuò a sembrargli « uno spazzacamino o una scimia o un vuotacessi o un castracani o uno sguattero, o, al più, un mozzo, un pagliaccio, un suonatore ambulante, un montanaro o qualcos’ altro di ben umile condizione ». E ne descrive la figura ridicola, con la zazzera, la fronte alta, le ciglia composte a gravità, il passo cadenzato, le parole ponderate sulle labbra modeste e senza sorriso, in modo da parere un santocchio. Ma che santocchio ! « Se tu avessi », egli dice, « tanta forza quanto mal talento in cuore e mollica di pane per cervello, se tu sapessi legger libri e scrivere con quella diligenza e con quell’ardore con cui sai lisciar la gente, adulatore solenne » — ed é Giovan Mario Filelfo che pone questo capo d’ accusa al Trebanio! — « e dir male di tutti, e vomitar la sozza bile dal petto e ruttare il fetore della tua sentina, chi ti potrebbe superare in ingegno ed in — Ili — virtù su questa terra? » — « Ma poiché », continua, « tu sai darla a bere così bene che la canaglia ti leva il cappello e ti fa grande onore, aneli’ io ti porterò il mio granellino d’incenso con queste satire, per mezzo delle quali potrai salire alle stelle e lasciar di te nome immortale ». Né così presto esauriva il repertorio delle ingiurie oscene, chè passava a dirittura ad accusare il Trebanio di ubbria-chezza e di crapula, donde la sua ignoranza ed instabilità di carattere; eppoi toccava della vecchia Sibilla amata ed invocata a scusa del povero poeta e critico napoletano, cc lo la conosco questa tua Sibilla », diceva; cc ella se ne sta nascosta di giorno in un antro e di notte ti aspetta a casa, dove tu vai guardingo e solo, fuggendo la luce del sole e della luna; ella ti svela i più riposti segreti e ti fa conoscere veracemente il futuro » (i). E continuava ancora sullo stesso tono, insinuando eh’ egli agiva mosso da qualche suo maggior nemico che si valeva di lui, conoscendone la sciocca oltracotanza, e da ultimo conchiudeva ammonendolo: cc Bada a fermarti, chè non dia ne’ sassi, donde non potrai più ritrarre i piedi ». Quale effetto producesse su Aurelio Trebanio questa atroce invettiva poetica del minor Filelfo non istò ad immaginare. L’importante si é eh’ egli non tacque : stavolta era il figlio del gran dittatore letterario che scendeva in persona nella lizza e meritava, non fosse che pel cognome suo, 1’onor di una replica. E questa venne di fatto, ed in essa il Trebanio si mostra abile (i) Allude forse alla Lydia del Trebanio, di cui questi parla nel dialogo De felicitate (Battaglini, Op, cit., p. 106). — 112 — e serrato : v’ ha nel suo scritto altrettanto fiele quanto in quello di Giovali Mario, ma c è maggior vigoria di argomentazione e destrezza di scherma: 1 umanista ligure n’ esce conciato pel di della lesta. Aurelio comincia con rifar la storia della polemica — a modo suo, s intende — e, naturalmente, il torto è tutto dell avversario che gli rese male per bene. « Nella precedente lettera che io ti scrissi », egli dice, conservando anche stavolta la forma epistolare diretta (i), « ti avvertii, mosso da maggior benevolenza ed affetto di che facesse bisogno, di alcuni errori che si riscontrano qua e là ne tuoi scritti, affinchè tu li potessi correggere ; pensava che tu avresti accolte le mie osservazioni tanto più di buon animo in quanto io con esse t’invitava a rapporti di cordiale amicizia. Ma tu più ragionevolmente di me provvedendo al mio onore, ed essendo del rimanente insofferentissimo di ogni avvertimento, poiché non potevi giustificare que’ tuoi errori di cui era questione, uscito fuor di carreggiata, ti sei rivolto ad assalirmi ne’ costumi con rabbia, con ingiurie, con morsi feroci, imitando quel Pedio satirico, cui obiettandosi dall’avversario ch’era un ladro, rispondeva, come racconta Persio, lodando le belle figure da lui fatte. Ma io ho sempre creduto che colui che si fa ad assalire un altro a parole debba esser corazzato contro ogni assalto sifatto; ed ho anche sentito dire che 1’ uomo, la cui vita é lodata dagli onesti, dev’essere non solamente nelle azioni, ma ancora nei detti, onesto e pulito, mentre di chi sono impuri, osceni, sfacciati i discorsi é chiaro dover pur essere sconcia la (i) In Sassi, l. c. - ii3 - vita ». Quanto la fine ironia dovesse battere in viso Giovan Mario é facile immaginare, sebbene non fosse che un’ introduzione ad ingiurie meno fini, per quanto dette sempre con un maggior garbo che quelle dell’ avversario. E il dispetto doveva crescere sempre più quando gli ferivano l’orecchio certe espressioni del valente Trebanio, con cui dicevagli « bonariamente » che « per giusta ragione 1’ avrebbe trattato quasi maestro discepolo, insegnandogli, col mostrargli i molti spropositi, ad arrossire, di che, se riuscisse, non gli mancherebbero le lodi ». Giacché questo é il tono che il letterato napoletano conserva proprio in tutta la lettera, prendendo in esame passo a passo la satira Filelfiana, e mostrandone la mancanza di logica , le inesattezze indegne di un buono storico e poeta laureato, i vari errori di grammatica e via dicendo, il tutto corroborato da testimonianze di antichi classici scrittori. Che se tocca la questione di Filippo da Rimini e del Dal Pozzo, non muta carattere; e così ancora quando deride 1’ esame critico fatto dal minor Filelfo della prima lettera di Aurelio stesso, e fa vedere che si tratta di inezie o, com’egli dice, di « questioncelle da ragazzi e di sogni di lemuri veduti nel silenzio della notte »; o quando, riguardo alP onestà o disonestà de’ costumi suoi paragonati con quelli di Giovan Mario, si appella al publico giudizio; o quando ancora, dopo essersi giustificato del-1’ accusa mossagli in quella certa lettera che ci manca, di aver ottenuto le insegne di dottore corrompendo con denaro i Bolognesi — al che risponde il Trebanio aver sostenuto pubicamente l’esame per la laurea in filosofìa, di cui era insignito — passa a toccare delle circostanze che accompagnarono I’ onorificenza della corona poetica Atti. Soc. Lig. St. Patria. Voi. XXIV, fase. i.° — ii4 - concessa all’ avversario, al qual proposito scrive: « Sappi che io non ho preso mai lo sperone d’oro da un piinci-potto francese, da cui anche gli avvocatastri, i mimi, gl’ istrioni ed i pagliacci 1’ hanno per ischerzo, ma ottenni la laurea dalla città più antica di tutte, da quel collegio che non concede tale onore che agli uomini veiamente egregi e valenti. Tu invece per ottenere lo speron d 010 sei andato presso tal principe, a cui vanno solo gl ign0 ranti che temono di subire il pubblico esame. I er il che hai ottenuto la corona di alloro dai Francesi, ma a patto solo di perdere ogni dignità letteraria presso i Latini » (i). Nè altrimenti si comporta parlando della furia con cui scriveva Giovan Mario, cagione precipua de’ suoi errori, o, a proposito del suo frequente mutar soggiorno, scrivendo quelle parole che già furono npoi tate in addietro (2): solo si discosta da quella calma ed inveisce in certi epigrammi ad Agostino Tiecavallo di Crema, a Pietro Giustiniani, ad Antonio de Cellis, a Nicolò Netalone, a Cristoforo Mona ed allo stesso minor Filelfo, dai quali è accompagnata la lettera ora esaminata (3). Se Giovan Mario replicasse ancora, non consta ; ceito però ad un uomo cui abbisognavano le ingiuriacele più oscene e gl’ insulti più triviali non conveniva quella palestra, in cui il Trebanio scendeva munito di armi più fini, ma ancor meglio temprate delle sue. Ad ogni modo, ciò che di tal polemica sappiamo è sufficiente a (1) Il giudizio del Trebanio sul Piemonte e su Lodovico di Savoia non è molto giusto, come avrò a mostrare in altri lavori. (2) Vedi sopra, p. 89. (3) Sassi, 1, c., cfr. con Battagliai, p. 106. - iis — compiere la figura del maggior figlio di messer Francesco Filelfo; figura che, simpatica o no, ha pur diritto di un posto nella storia dell’ Umanesimo ligure. Per 1’ ava materna, per la moglie, per le molte relazioni, per un soggiorno di parecchi anni, per 1’ opera sua più vitale — gli Annales in historiam Finariensis belli — e a voler sottilizzare, fin per la nascita (i), egli appartiene appunto alla Liguria più che ad ogni altra regione d’ Italia. Amico di Giovan Mario Filelfo fu Venturino de’ Priori, di cui io ebbi a far menzione di sfuggita in un lavoro (2) e publicare un frammento di lunga poesia in un altro (3), ed il Braggio pure ha toccato (4), però, come già rispetto a Bartolomeo Guasco, in modo insufficiente. Del Priori non è ben nota la patria: savonese fu detto da parecchi e da me stesso, ma altri studiosi gli assegnano altri natali. In una redazione manoscritta, più ampia della stampata, della sua Notizia degli scrittori albesani (5), il Vernazza, che di Venturino si é occupato più altre volte (6), scrive : a Priori ovvero de Prioribus Venturino. A me pare che fosse di famiglia nativa della contea di Nizza. Fu maestro di scuola in Alba sul fine del secolo XV, in Alba scrisse prose e poesie che si conservano nella libreria dei Domenicani in Alba. Alcuni (1) Ctr. sopra, pp. 8 e 71. (2) Ale. rela{., p. 506. (3) La patria nei poeti della Rinascenza, p. 25-26, Torino, Derossi, 1889. La poesia per intero in Append. Ili, docum. I. (4) P- 136- (5) Nella Bibl. di S. M. in Torino, Miscellanea Fernaniana, t. XVII. (6) In Nuovo Giornale dei Letterati, t. XXV, pp. 126-141, Modena, Soc. Tipografica; Della tipografia in Alba nel secolo XV, Torino, Bianco, 1815. Documenti di Venturino in altre opere del Vernazza che saranno man mano citate. — 116 — de' suddetti componimenti, cioè quelli che illustiano in qualche modo la storia di Alba, ho copiati nel mio libro che ha il titolo Anecdota Albensia preparato da lungo tempo alla stampa ». Per contro monsignor Aliarla, attuale vicario della diocesi di Alba, in un suo poco noto, ma importante lavoro (i), racconta: Il più antico dei maestri albesi, di cui si abbia qualche notizia, si intorno alla vita che alle opere, è Venturino dei Priori, del quale ci piace comunicare ai nostri lettori, e special-mente agli egregi 'docenti delle nostre scuole, quelle brevi memorie che abbiamo potuto spigolare qua e là negli archivi t nelle biblioteche del Piemonte. A quale citta appartenesse di origine, e in quale anno precisamente sia nato, non ci fu possibile scoprirlo. Ci venne anzi tra le mani un catalogo dei libri posseduti dai frati Domenicani di Alba del secolo XVII, tra i quali é descritto il codice cartaceo delle opere di Venturino, e vi abbiam letta in margine l’annotazione aetate, origine et patria incertus.... Vi ha di più chi pensa essere egli stato figliolo di genitori incogniti, ed aver ricevuto la prima educazione dalla carità pubblica degli Albesi in principio del secolo XV, cioè verso il 1420; e in questa ultima opinione concordiamo noi pure, traendo argomento dalla considerazione del tempo in cui scrisse e divulgò le sue opere principali. È certo che egli apprese fin dalla più tenera età i primi elementi della religione e delle lettere in Alba, per la beneficenza di un ricco (1) Gli uomini grandi di Alba antica, in Gasila d' Alba, anni I e segg. Si parla di Venturino, appositamente, in anno II, n. 5, e di nuovo, incidentalmente, II, 6. Grave difetto di questo las'oro, del resto cosi notevole, è la mancanza d’indicazioni esatte sulle fonti. - n7 — sacerdote di cui fa menzione in un frammento di un suo carme, e che alle angustie della sua condizione si riconobbe in parte debitore di quello zelo attivissimo ed indefesso con cui intraprese e si approfondì nello studio della lingua latina, e convien dire che 1’ applicazione sua sia stata mirabile; imperocché in una lepida epistola Ad amicum Thomam de Regibus, gli racconta che a vent’ anni già insegnava pubicamente e con facilità la lingua del Lazio, e che i suoi allievi Antonio Calderari e Pietro Scoto si prendevano giuoco del loro maestruccio imberbe. Ma l’età giovanile anziché procacciargli il dileggio degli alunni, giovò anzi a meritargli grande aumento di riverenza presso gli Albesi, ecc. » E più innanzi : « Ci consta che egli, giunto a perfetta virilità, prese in moglie una donzella albese di modesto censo e di squisita educazione, la quale ebbe gli onori poetici dell’ Accademia e fu encomiata in versi dal proprio sposo nelle prime e nelle seconde nozze, segno non dubbio della longevità del nostro maestro, che senza mai mutare la propria condizione, e tanto meno valersi dell’ amicizia dei grandi per accrescere il suo patrimonio, visse oltre novant’ anni in ammirabile giocondità di spirito ed inalterata sanità di corpo ». Fra queste dubbiezze gioverebbe assai aver dinanzi il codice della libreria dei Domenicani di Alba, menzionato dal Vernazza e daH’Allaria, e citato già anche dal Tiraboschi (i), ora smarrito. Di questo codice il 12 febbraio 1777 scriveva appunto il Vernazza al Tiraboschi « essergli stato mandato ultimamente » (1) St. Lett. it., t. VI, parte V, pp. 1473-1475. - n8 - a Torino (i), cosicché avendolo nelle mani, potè farne a suo agio una « nuova disamina » e indicar poi come in esso fossero « anche poesie di altri scrittori, alcune di uno dei Filelfi, altre di Antonio Calderari e di Pietro Scoto », in tutto cc varie operette in numeio di poco men di 300 » (2). Se il Vernazza restituisse il manoscritto, non consta; anzi una comunicazione del mio amico dottor Antonio Piccarolo, professore in Alba, mi fa sospettare il contrario (3). Neanche degli Anecdota Albensia vernazziani non é notizia dove siano andati a finire nella dispersione delle carte dell’ erudito albese (4). Finché dunque non si ritrovino il codice antico 0, almeno, gli Anecdota Albensia, assai scarso è il materiale per 11-solvere la questione della patria di Venturino. Certo, se fosse riconosciuta autentica la menzione che fa il Mo-riondo (5) di certe annotazioni manoscritte del Priori ad libros Boetii, che si sarebbero conservate a’ suoi giorni in Acqui, ed in cui l’autore si direbbe esplicitamente savonese, (1) Lettera del Vernala al Tiraboschi, in Claretta, Memorie storiche intorno alla vita ed agli studi di G. T. Terraneo, di A P. Carena, e di G. Vernala, p. 362-3, Torino, Botta, 1862. (2) In N. G. dei Lett., p, 130-131. (3) Gli fu detto che il codice Prioriano è nella Biblioteca della R. Accademia delle Scienze di Torino, dove sono molte carte Vernazziane chiuse al pubblico. (4) Delle carte del Vernazza parte è alla Biblioteca Nazionale di Torino, parte in quella di S. M. (ho veduto i due fondi), parte ancora nell’Archivio di Stato e nella Biblioteca della R. Accademia delle Scienze di Torino (come dissi, qui le carte sono tenute gelosamente segrete fin che non siano riordinate); qualcosa hanno pure l’illustre comm. ab. Adriani a Cberasco, il barone Claretta a Torino, monsignor Allaria in Alba, il conte della Veneria, il prof. Antonio Mathis ed il notaro Chiaffrini a Bra, ecc. Degli Anecdota Albensia è ancora traccia in \ allauri, St. della poesia in Piem., t. I, p. 104, Torino, Chirio e Mina, 1841, che afferma averli avuti tra le mani, posseduti allora dal cav. Promis. (5) Monumenta Acquenùa, t. II, p. XL. — ii9 — la questione sarebbe fin d’ora risolta senz’ altro. Ma sul-1’esplicita — mi si passi la parola barbara, ma chiara almeno — della dichiarazione delle patria di Venturino il Vernazza (i) ha giustamente elevato qualche dubbio, sebbene egli vada forse troppo oltre, mancando le prove, quando pensa trattarsi forse dell originale dell edizione di Boezio stampata a Savona nel 1474 e curata appunto dal Priori, che vi ha premesso certi suoi mediocrissimi versi (2). Sebbene neppur essa decisiva, ha per contro maggiore peso 1’ osservazione del Vernazza medesimo sugli stretti rapporti dell’ umanista con Nizza e colla Provenza, dove, benché vecchio, voleva recarsi poi da Alba almeno per quindici giorni (3). E neanche senza importanza può essere il fatto, che a tempi dell erudito albese viveva ancora in Sospello e Lucerame la famiglia Priori (4). Ad ogni modo, esclusa quasi sicuramente l’origine albese, Venturino de Priori sembra essere sta,to della riviera occidentale : fosse poi veramente savonese o, più probabilmente, di paese più prossimo a Nizza. Secondo il codice dei Domenicani citato dal Vernazza, la moglie di Venturino era figliuola di un tale Alberto, amico ancor egli di Giovan Mario Pilelfo. Di Albeiti, (1) Tipografia, p. 29. (2) Cfr. Braggio, 1. c. (3) Vernazza, Tipografia, p. 26-27. Il Vernazza riporta dal codice dei Domenicani questo documento: Nostro nuper sennini, reverende pater, magister Veutu-rinus de Prioribus, nostre Albensis Academe rector eximius sue in Provinciam profectionis causam expressit. Nos vero, suam miserati senectutem, voto suo primum assentire negabamus. Tandem suis maximis precibus evicti et uxoris ac liberorum onus difficile contemplantes, quindecim dies peregrinationi sue concessimus. (4) In N. G. dei Lelt., p. 134- — 120 — amici di quest’ultimo, conosciamo i bolognesi Parisi e, forse, Zancario, ed il bergamasco Carrara (i); ma si tratta probabilmente di un altro. Si é veduto come 1’ Allaria dica albese la moglie del Priori ; una frase di un documento già riferito in nota per poco non ce la farebbe credere nizzarda, o almeno dimorante in quelle parti coi figli di Venturino, donde il ritrovarsi più tardi la famiglia Priori in quei luoghi (2). Il 27 aprile del 1457 Venturino de’ Priori era a Savona, donde indirizzava una lunga poesia latina a Giovan Mario Filelfo in risposta di un’epistola, forse poetica (3), in cui il figlio di messer Francesco gli parlava delle accoglienze fattegli dal re di Francia. Se ne deduce una relazione anteriore del Priori col Filelfo, e vi si scorge come questi avesse incoraggiato quello allo studio della poesia. Il Priori si rallegra prima coll’ amico, poi, traendo occasione dalle notizie stesse fornitegli da lui sulla rozzezza dei Francesi, che faceva contrasto colla gentilezza del re, inveisce contro quei « barbari » cupidi solo di saccheggiare l’Italia, ed afferma con forte coscienza di patriota che il latin sangue valoroso saprà degnamente riceverli e ributtarli oltr’Alpi. L’ ultima parte della poesia risponde alla domanda di Giovan Mario « sotto quali capi Genova pacificamente e felicemente viva »; Venturino replica vivamente che in Genova é perpetua discordia, deplora il continuo mutar di signoria, specialmente dopo la ribellione al Visconti, lamenta le molestie che per terra (1) Vedi sopra, pp... (2) Uxoris ac liberorum onus difficile contemplantes, cit. pag. 19, n. 3. (3) Il Vernazza, in N. G. dei Leti., ricorda infatti nel codice dei Domenicani poesie di G. M. Filelfo a Venturino de’ Priori. arreca Gian Filippo Fieschi, per mare il corsaro Villamarino, ambi aiutati e sobillati da Alfonso di Aragona, e fa un quadro cosi vivo , nella stessa oscurità del suo verso, che se ne può trarre nuovo argomento per crederlo sempre più ligure davvero (i). Insegnava egli allora in Savona : su ciò non può cader dubbio ragionevole. In questa poesia ed in altre (2) afferma il Priori di essere professore o maestro in « Aquilina urbe ». Il Vernazza, in tutti gli scritti in cui si occupò di tale questione, intende Acqui; ma lo Spotorno (3) ha dimostrato come Aquilina urbs sia Savona, che ha per istemma T aquila, e sostenuto esser egli probabilmente stato successore di Giovan Mario Filelfo. E di vero che Aquilina urbs non possa esser xAcqui prova la stessa grafia, prova il non esservi mai Acquensi, ma sempre Aquilina, prova finalmente il verso: Vade per excelsos ad Petri limina montes e I’ altro : I mine et colles defer mandata per altos dell’elegia a Pietro Re (4). Erano questi Re, Regis, De Regibus, una nobile famiglia di Alba : Arrigo insegnava grammatica in patria nel 1422, e Pietro é probabile facesse altrettanto, sebbene il Vernazza, che dà la prima notizia, non ne sappia dir nulla. Or tra Acqui ed Alba (1) Append. Ili, docum I. (2) Append. Ili, docum. VII. (3) T. II (III), pp. 282-284. (4) Append. Ili, docum. VII. — 122 — non sono eccelsi monti, neppur alti colli, nel senso sempre di montagne, come invece tra Alba e Savona (i). Del resto Venturino insegnò in molti luoghi, viaggi fino a Roma e fu amico di insigni letterati, come Gabriele Paveri Fontana, Gasparino da Verona, Cola Montano (2), Pietro Re ricordato, fors’anche Pietro Perleone (3). Con un Carlo (0 Curio?) ebbe odi fieri (4), ed a battaglia sembra venisse anche con un Paolo Ramoino, oriundo di Val di Oneglia, medico, soldato, vagheggino, dilettante di lettere, che vantavasi di essere il principe dei poeti viventi. Questo vanto provocò le ire del Priori, già suo amico e condiscepolo, che lo prese in giro, fors’ anche perchè fattosi difensore di quel tal Carlo, e lo provocò ripetutamente a poetica gara in distici ed in esametri, senza però, probabilmente, che il Ramoino osasse 0 si degnasse rispondergli (5). L’Aliarla lo vorrebbe stato in relazione anche con Francesco Filelfo; ma si tratta probabilmente di un equivoco. La presenza di Venturino in Alba dal 1482 al 1485 è attestata da tutto un gruppo di notizie e documenti. Anzitutto negli Anecdota Albensia vernazziani erano state copiate le orazioni che Venturino aveva tenuto in Alba, (1) Ben è vero che Tommaso Re, a cui si è veduto, secondo l’Allam, indirizzato un carme di Venturino, fu eletto vescovo di Acqui nel 1450, vi tenne sinodo nel 1455 e morì nel 1483. Ma il carattere stesso dell’epistola metrica del Priori a lui mostra com’essa dovesse essere scritta prima dell’assunzione di Tommaso al vescovato, quando il Re stesso era ancora in Alba (dove fu arcidiacono della cattedrale dal 1438 al 1443 e dove Venturino aveva probabilmente insegnato una prima volta). (2) Vernazza, in N. G. dei Lelt., p. 131, (3) Sono in dubbio se Append. Ili, docum. VI, è diretto al Re 0 al Perleone. (4) Append. III, docum. I, in fine. f>) Append. Ili, docc. II e III. — I23 — in ciascuno di quei quattro anni, in onore dei quattro successivi podestà Antoniotto Malaspina (per la terza volta), Baldassare Roero, Francesco Del Carretto e Filippo Roero; inoltre un discorso pronunziato in occasione del solenne ingresso del vescovo Andrea Novelli, eh’ ebbe luogo in quella città nel 1484 , nel quale, dopo accennata l’esultanza della popolazione ed i meriti del novello pastore, conchiudeva il Priori: In primis autem divi Laurentii matrem ecclesiam pro nimia vetustate ruinae proximam et iam ex parte dirutam innovare summa cura studebis. Sperant enim omnes, cives et canonici, nec eorum est vana fides, illam prudentis simis consiliis tuis, pietate et opere, in veram ecclesie formam et decus redactum iri ut in ea divinus cultus, propter aeris intemperiem a civibus ferme destitutus, per te revocatus, auctus et amplificatus esse videatur. Et sic grande tuum tolletur nomen ad astra , et poteris famam perpetuare luam. Optimus Andreas Albensis episcopus urbis hoc, dicent cives, nobile struxit opus. Diruta nam posuit muris hec templa vetustis in pulchrum et mirum quale videtis opus. Sicque piis factis extendes nomen in evurn ; inde tibi referet premia magna Deus (i). Venturino era allora rettore di una piccola Academia e membro di altri sodalizi, fra cui della Società di san Teobaldo, della quale anzi, come anziano del consiglio, dice 1*Allaria aver redatto gli antichi statuti. (1) Vernazza, Della reparatione della chiesa cattedrale di Alba, p. 14- Torino 1779. È noto come il Novelli adempisse il voto espresso dal Priori. Cfr. Mazzatinti, Appunti per la storia di Alba, t. II, Alba, Sansoldi, 1887. — 124 — Del 20 novembre 1484 é una lettera del Priori, non si sa bene a chi diretta; ma se si tien conto dei versi con cui termina, che sono gli stessi di un carme da lui indirizzato a Giannandrea Incisa, forse a quest’ ultimo (1). « Questa lettera », dice il Vernazza, « é presa da un codice che ho scoperto nella regia pubblica biblioteca di Torino, il cui titolo è Ordines et statuta condita per dominum preceptorem, observanda, ut infra, per omnes et singulos scólares ac discipulos eius, sub penis in eis contentis; torse il codice è interamente autografo di Venturino de Priori » (2). Io ho cercato questo codice nell’Universitaria di Torino, ma inutilmente. La poesia all’ Incisa e la lettera ora ricordata mostrano come anche il Priori fosse cortigiano e adulatore. Del-l’Incisa sembra avesse egli scolari i figli Carlo ed Antonio, e, a meglio ingraziarsi il padre, non tralascia di far loro molti elogi. In Alba egli era il poeta e 1’ oratore di tutte le feste, di tutte le cerimonie; ed é anche notizia di un suo epitalamio nelle nozze di Paolo Giovanni Borgesi con Argentina de’ Baschi, in cui trova modo di encomiare persino il governatore del castel nuovo della citta, Antonio Pomaureo de’ signori di Carpeneto, tortonese, e la moglie di lui Maria Calderari (3). Di Venturino de’ Priori non si hanno notizie precise dopo il 1485. Pare vivesse ancora parecchi anni; tuttavia la data del 1493 assegnata dal Vernazza (4) all’ edizione (1) Append. Ili, docc. IV e V. (2) Tipogr., pp. 32-33. (3) Adriani, Dei nobili Calderari fondatori di due priorati semplici eretti nella chiesa cattedrale di Alba verso la metà del secolo XV, Torino, Ribotta, 1857. (4) Tipogr., p. 33. - I25 — del Dottrinale di Alessandro Villadei, curata dal nostro umanista, é alquanto arbitraria. 11 Vernazza stesso conchiude altrove (i) eh’ ebbe a successore nella cattedra albese Domenico Nano, l’autore della Poliantea; e la sua morte va anticipata innanzi al 1490, se è vero che il Calderari, scolaro del Priori, la piangesse in versi stampati in tal anno (2). (1) N. G. dei Leti., p. 135-136. (2) Allaria, ì. c. — 126 — CAPO QUARTO Liguri fuor di patria. La Liguria, breve pendio de’ monti alla marina, nonostante la grandezza della sua marmorea capitale, sembrava spazio ristretto all’ attività ed all’ ingegno dei suoi cittadini. Non un solo forse degli uomini finora ìicoi-dati condusse in patria intera la vita; anzi parecchi ne trascorsero la maggior parte e la migliore al di fuori. Cosi Prospero Schiaffino di Camogli, Giacomo Curio, Bartolomeo Guasco, Giovan Mario Filelfo, Venturino de’ Priori. Ma tutti costoro troverebbero più o meno un posto nella storia dell’ Umanesimo anche per ciò solo che hanno fatto in Liguria, mentre di altri Liguii il nome non potrebbe essere ricordato per questo titolo solamente. Ne’ rotuli dell’ università di Bologna si trovano menzionati un Giovanni de Genua, professore di medicina e chirurgia dal 1449-50 al 1469-70 (1), un Matteo parimenti di Genova ad lecturam medicine universitatis nell’anno 1451-52 (2), un terzo genovese, Bernardino, insegnante di retorica nel 1474-75 (3) e> finalmente, un m. Thomas Melchionis de Sar^ana anch’egli (1) Dallari, I rotuli dello Studio bolognese, t. I, pp. 26, 34, 37, 43, ecc■ fino a p. 81. (2) Ibidem, p. 32. (3) Ibidem, p. 94. — 127 — ad lecturam rethorice universitatis nel 1471-72 (1). A Pavia nel 1451 dominus Dominicus de Spinulis rinunciava alla lettura de feudis in quello Studio, da lui dunque fin allora tenuta ; e nel 1468 era « bidello dell’ università degli artisti un Felisio de Marchatoribus di Sarzana , specialmente raccomandato a quella carica dalla duchessa Bianca Maria Sforza » (2). Fra i dottori del collegio teologico dello Studio di Chieri si annoverano il savonese Francesco Della Rovere, poi papa Sistro IV, Filippo e Desiderio di Genova e Pietro De Marinis, probabilmente ligure anch’egli (3); e se si avessero a stampa rotuli compiuti delle università di Padova, Ferrara, Pisa, Firenze, Roma, Napoli, si potrebbero moltiplicare le citazioni, scarse nelle opere del Facciolati, del Borsetti, del Fabroni, del Prezziner, del Renazzi, dell’ Origlia (4). Scrive il Braggio (5) che Genova non era certo « il paese dove si potesse trovare un ordine di amanuensi abile e ben costituito quale lo offriva allora Firenze, ed a nessuno sarebbe caduto in mente di cercare qui il libraio che sapesse allestire una biblioteca ». Tuttavia pare essere in queste parole alquanta esagerazione, tanto più se si ricorda la lettera surriferita di Leonardo Bruni all’ arcivescovo Pileo De’ Marini (6), nella quale (1) Ibidem, p. 88. (2) Motta, Curiosità di storia genovese tratte dall’Ardi, dì St. di Milano, in Giorn. Ligust., anno XIV, p. 225. (3) Vallauri, St. delle univ. in Piem., t. I, p. 63. (4) Vedi per la bibliografia universitaria le notizie date da me e da altri in Giornale di erudizione, t. I, pp. 81, 113, 132, 359. (5) P- 145- (6j Vedi sopra, p. 12. — 128 — l’umanista fiorentino scrivendo da Firenze stessa nel 1418 dice che si trovavano in quella città molti studiosi, ma pochi copisti, e si confronta colla notizia che abbiamo di parecchi Liguri che praticarono il mestiere di copista fuori di patria. Infatti, oltre il Curio, eh’era qualcosa più che un semplice librarius si trova a Napoli nell ottobre del 1453, fra i copisti di re Alfonso, un Giovanni di Leone, cappellano genovese (1); e buone copie di manoscritti sapeva pur fare, secondo una lettera di Poggio (2), il cappellano di Matteo Del Carretto vescovo di Albenga. A Roma poi erano scriptori di papa Pio II due altri Genovesi, Francesco e Mario da Fazio (3), ed « alluminatele » prete Nicolò di Genova pur esso (4). Ma fra i Liguri che principalmente fuor di patria si acquistarono meritata riputazione nella storia dell Umanesimo, sebbene anche alle cose di Liguria in qualche modo partecipassero direttamente, uno sovratutto ha diritto ad un posto onorevole e distinto dagli altri. La vita di quest’ uomo insigne, al par di quella di Giovan Mario Filelfo, benché già scritta da altri, come il Giustiniani (5), il Soprani (6), il Fabricio (7), il Niceron (8), (1) Minieri Riccio, Alcuni fatti di Alfonso 1 d! Aragona dal 15 aprile 1437 al 31 maggio 1458, in Archi, stor. per le prov. napol., t. VI, p. 425. (2) Epist., Vili, II, ed. Tonelli. (3) Muntz et Fabre, La bibltothique du Vatican au XV siècle d’aprèsdes docu-menls inédits, p. 124, Parigi, Thorin, 1887. Cfr. Marini, Degli archiatri pontifici, t. II, p. 154. (4) Muntz et Fabre, Op. cit., p. 123-124. (5) Gli scrittori liguri, Parte I, p. 113, Roma, 1667. (6) Gli scrittori liguri, p. 49, Genova, 1667. (7) Bibliotheca mediae et infimae latinitatis, 1. VI, t. Il, pp. 138-140, ed. di Padova, colle corr. Mansi. (8) Mémoires pour servir a 1’ histoire des hommes illustres, t. XXI, pp, 310 e segg.. — 129 — il Zeno (i), il Mehus (2), il Tiraboschi (3), il De Rosmini (4), lo Spotorno (5), il Voigt (6), e nuovamente illustrata dalle indagini del Braggio (7), merita di esser qui più minutamente e criticamente rifatta (8). Bartolomeo Facio, o Fazio, nacque indubbiamente alla Spezia (9), in qual anno non è conosciuto. Era di umili natali: figlio, sembra, di un calzolaio che faceva le scarpe a’ pescatori (10). Pare fosse accolto ed (1) Dissertazioni Vossiane, t. I, pp. 62-74, Venezia, 1752. (2) Vita et scripta B. Facii, premessa al De viris illustribus et Epistolae, ed cit.. (3) St. lett. il., t. VI, parte III, pp. 889-891. (4) Vita e disciplina di Guarino Veronese e de’ suoi discepoli, t. Ili, pp, 167-169, Brescia, Bettoni, 1806. (5) Storia letteraria della Liguria, t. II, pp, 32 e segg.. (6) Il risorgimento dell’ antichità classica, t. I. p. 489, trad. Valbusa, Firenze, Sansoni, 1888. (7) pP- 204 e segg.. (8) Il Sabbadini, nella recensione del libro del Braggio, in Giorn. storico della lett. it., t. XVIII, p. 370, publicata mentre già rivedeva le seconde bozze di questo mio lavoro, scrive appunto che « la biografia del Fazio meriterebbe davvero una revisione »; ed aggiunge: « Ci sono nel codice vaticano 5197 delle lettere che portano il suo nome, le quali se fossero veramente sue (io ne dubito), sconvolgerebbero le notizie che comunemente si sanno ». Naturalmente, appena lette queste righe, sospesi la correzione delle seconde bozze e scrissi all’amico dr. Giovanni Zannoni, che già mi aveva procurata la copia delle lettere del cod. vaticano 3372, per avere anche quelle del 5197. Ma quest'*, non mi possono esser procurate per un pezzo; perciò licenzio le bozze del presente, riservandomi di tornare altrove su quelle, per vedere se siano o no del Fazio e dedurne le necessarie conseguenze. 19) Giovio, Elogia doctorum virorum, p. 197. Cfr. Mehus , Vita, p. xxi-xxii, che riferisce altre testimonianze intorno al luogo natale di Bartolomeo, fra cui una del medesimo (De reb. gest. Alpi), reg., 1. IV). L’appellativo « genovese », datogli frequentemente, proviene dal nome generale di Genovesato alla Liguria. (10) Valla, Invectiva I in Facium, in Opera, p. 460, Basileae, apud Henricum Petrum, mdxliii: Quamquam Ligures hunc non agnoscunt : etsi ex viculo, non ex urbe est, sed ad Scythas ortus ipsius referunt..... Nani pater Scythes esse fertur, necnon (ut greco verbo utar ) Scyreus, idest sutor , piscatoribus , e quorum corpore Atti. Soc. Lig. St. Patria. Voi. XXIV, fase. i.° 9 — 130 — educato da qualchuno di casa Spinola, che ne conobbe l’ingegno e la tendenza naturale allo studio, donde gl’ intimi rapporti già notati fra 1’ umanista ed alcuni personaggi di quella famiglia (i) ed il suo pai tediai e per Adorni e Spinola contro Fieschi e FregosL Dove e quando fosse discepolo di Guarino Veronese precisamente non consta; contro l’opinione del Sabbadini (2), eie vorrebbe Ferrara nel periodo 1431-33, io credeiei^ piut tosto a Verona prima del 1429. Difatto in quest anno egli era già in relazione amichevole col Panoimita, a cui, volendo recarsi a Firenze, a perfezionarsi nel greco, otteneva commendatizie encomiastiche a Carlo Marsup pini d’Arezzo, a Giovanni Toscanella ed a Nicolò Nic coli (3). Or nel 1429 il Beccadelli era a Pavia, do\e, probabilmente, erasi recato anche il Fazio, il quate, dopo aver dimorato alcun tempo a Firenze, verso il x431 ipse est, calceos faciens. La notizia, trascurata dagli altri biografi, come ^ ingiuria del Valla (Mehus, p. xxxix), fu accolta, ma con molte riserve, ^ Tiraboschi. Il Valla però, anziché essere, come dice il Tiraboschi stesso, scr tore di cui si può sospettare che abbia seguita la passione più che la verità, forse 1’ umanista che nelle sue polemiche conserva una calma relativamente ma0 giore, ed è raro che si possa cogliere a mentire scientemente. D altronde una sua espressione dà in questo caso maggior peso all’ affermazione riguardante natali del Fazio: egli soggiunge infatti: Quod dbsit ut exprolande fortune causa dicam. Dico causa notande insolentie, qui noti intelligit quanto deformius sit hutus modi hominem superbum esse atque petulantem. (1) Vedi sopra pp. 22 e segg.. 11 Valla nel passo citato continua a parlare dell in, fanzia di Bartolomeo, in modo da far credere che fosse da principio famiglio degli Spinola (veluti mancipium). (2) Recens. Braggio, in Giorn. stor. lett. it.. 1. c.. (3) Beccadelli, Epist. gali, IV, 16 e 17. La data è certa perchè vi si parla del soggiorno del Guasco a Chieri (vedi sopra, pp. 50-51). Tuttavia lo Spo-torno, ad esempio, colloca l’andata del Fazio a Ferrara presso Guarino, indi a Firenze, nel 1447, dopo la caduta di Raffaele Adorno. L’errore è manifesto. — I3I — sembra tosse già nuovamente in Lombardia (i). Si può credere che fin d’ allora fosse precettore di un figliuolo di Raffaele Adorno, poi doge di Genova (2): é noto infatti come la famiglia degli Adorni, nel durare della grossa guerra che i Genovesi sostennero col re di Napoli vissero pressoché sempre in esilio e tal guerra nel 1431 si combatteva già da più anni (3). Nel 1434 Bartolomeo può aver fatto la gita a Ferrara di cui parla nel De vitae felicitate; certo non saprei in quale altra epoca abbiano potuto trovarsi insieme in quella città il nostro (1) Il Valla, Opera, p. 462, parla di rapporti ch’egli ebbe a Milano col Fazio nel tempo in cui il Panormita aveva scritto un’ orazione esortatoria ai Genovesi, affinchè prendessero le armi contro Venezia. Tale orazione del Beccadelli è comunemente assegnata al tempo in cui egli andò ambasciatore di re Alfonso a Genova (Zeno, Voss., t I, p. 312), cioè nel 1453 (Minieri Riccio, Ale. fatti di Alfonso I d’Aragona, p. 425). Ma se l’invettiva prima del Valla contro il Fazio, in cui è il passo accennato, è indubbiamente, come si vedrà, anteriore a quest’ epoca ! Convien dunque assegnare 1’ orazione del Panormita al tempo in cui egli ed il Valla erano al servizio del duca di Milano, allora appunto signore di Genova e che indusse questa a romper di fatto guerra a Venezia nel 1431. A quest’ epoca infatti appartiene lo scritto di Pier Candido Decembrio (App. V, docum. VI). (2) Ecco il passo del Valla , p. 462 : lllud vero ut se retractaturum promitteret, impetrare non potui, licet ab eo vehementer contenderem (nam citius isti vitam quam maledicentiam dempseris) ne in Venetos tanta verborum petulantia inveheretur ; licet autoritatem Raphaelis Adurni, tunc genuensis ducis, cum filii precepigr hic erat, attulerim.....Is cum privatus Mediolani ageret, quodam die apud me negavit, ullam (sic) se magis insulsam orationem vidisse, quam Antonii Panhormite exhortatoriam ad Genuenses de bello Venetis inferendo. Veramente la frase tunc riferirebbe la condizione di precettore del figlio di Raffaele Adorno al tempo in cui questi era doge, cioè posteriormente al 1443; ma se da una parte la prima metà del passo citato non implica nulla rispetto alla seconda, dall’ altra, poiché questa ci prova la presenza del Fazio in Milano nel 1431 circa, e sappiamo d’altronde dell’esilio degli Adorni, non è improbabile la supposizione che fin d’allora occupasse Bartolomeo quell’ ufficio presso tal personaggio legato così strettamente con quegli Spinola che lui avevano fatto studiare. (3) Cfr. Spotorno, t. II, p. 34. — 132 — umanista ligure, Guarino, il Panormita ed il Lamola (1). iMa questa prima parte della vita del Fazio è involta perora in tante dubbiezze ed oscurità che, si può dire, notizie precise di lui non cominciamo ad avere se non all’ assunzione dell’Adorno al dogato genovese nel 1443' Bartolomeo tornava a Genova, dove ripartiva il tempo fra i quieti studi e l’agitazione dei publici affali. Nel l’ottobre del 1443 era mandato ambasciatore a re Alfonso « per trattar seco la tregua »; e di questa sua missione ci ha lasciato egli stesso compiuta memoria nell opeia che scrisse intorno a’ fatti dell’ Aragonese. « Pervenni il giorno dianzi eh’ ei si dipartisse da Fermo », racconta, « a un castello ivi presso. E dovendo nel seguente giorno andare a lui di buon’ hora, compresi da i fuochi de gli alloggiamenti eh’ei s’era partito. Onde, battuti i cavalli, lo seguitai, non senza pericolo, essendo costume de’ nimici uscir fuori et dar sempre alla coda di quei che diloggiano. Ma perchè egli era sopravenuta la notte, datogli solamente per mezzo di Lupo Urceo, maestro di campo, notitia del mio arrivo, non feci altro in quel giorno... Partito il re di quivi il giorno seguente, io lo salutai, et per camino gli feci riverenza, et diedi le lettere che gli mandavano; et havendole esso lette, et intesa la cagione della mia venuta, disse che, fermati eh’ egli havesse gli alloggiamenti, mi darebbe (i) La possibiltà, se non la probabilità, dell’incontro nel 1434 si può facilmente dimostrare. A Ferrara Guarino era da parecchi anni (Sabbadini, Vita di Guarino, in Giorn. Ligust, anno XVIII, p. 320); il Lamola, nello stesso anno, recandosi da Firenze a Venezia, dovette passare per Ferrara (Sabbadini , Cronologia docili/untata della vita di Giovanni Lamola, pp. 16 e 22, Bologna, Fava e Garagnani, 1891 ); e nulla vieta che vi si recassero di Lombardia il Panormita ed il Fazio. Del rimanente, su tale questione avrò a ritornare un po’ più innanzi — 133 — udienza. Ma in quel di non potè haver luogo, essendo l’essercito alloggiato assai tardi ». Finalmente, dopo un altro giorno di attesa, « la mattina poi — prosegue — havendo io havuto comodità di udienza, essendo soli il re et io, cominciai a parlargli di questa maniera ». Non giova riferire per disteso il discorso tenuto dal Fazio ad Alfonso : basti accennare come 1’ umanista ricordasse l’antica amicizia de’ Genovesi coi re di Napoli, ed affermasse, per giustificarli di aver combattuto contro il Magnanimo, che « essendo il regno in discordia et combattendosi del prencipato, era certo di lor obligo aiutare et difender colui che si trovava al dominio di Napoli, capo del regno, et il quale era stato da’ medesimi Napolitani chiamato al possesso del detto regno »; ma, cessando queste ragioni, doveva cessare anche la guerra. Terminava Bartolomeo promettendo che Genova avrebbe mandato ambasciatori per la conchiusione della pace ; egli intanto esser venuto per istipulare una tregua. Al che avendo il re benevolmente risposto esservi dispostissimo, il Fazio, « partitosi dunque da lui, cominciò a ragionar delle conditioni della tregua con coloro , a’ quali il re haveva dato questo carico, i quali furono Lupo Simene (Ximenes), Battista Platamone e Giovanni Olzina, et con essi hebbe da dire et fare assai, nascendo fra loro molte difficultà intorno a’ coloro che dovevano esservi compresi. Perciochè Alfonso voleva che vi si comprendessero etiandio que’ Genovesi che, cacciati dagli Adorni in tempo che essi reggevano lo stato et la republica di Genova, si erano accostati ali’amicitia et servitù sua. Ond’ egli (il Fillio), vedendo che la tregua non si poteva altrimenti conchiudere, se anco i rebelli — 134 - non vi erano compresi, non havendo questa commissione, chiese licenza al re per tornarsene. Ma fu costretto a restarsi ancora per due giorni in campo, per fuggii e il pericolo di essere offeso da soldati aquilani che da per tutto predavano ». Da ultimo, « passato ch ebbe Alfonso il fiume Tronto », Bartolomeo se ne tornò « pe' 1’ Apennino, che è il camin di Norcia, in Toscana et poi a Genova, havendo prima scritto a Raffaello Adorno quanto haveva trattato con Alfonso » (i). L’ umanista non dice quale impressione personale facesse egli sul re e quale ne ricevesse; i rapporti, nel suo minuto racconto surriferito, paiono essere stati cordiali, ma non v’ha traccia che uscissero dal campo politico per trapassare nel letterario. Nondimeno sulla stessa benevola accoglienza dovette esercitare un influsso la qualità di umanista del Fazio, il quale, sebbene non avesse ancora acquistato gran nome, non poteva tut tuttavia essere affatto ignoto all’ Aragonese. Alla corte di Alfonso era un uomo già precedentemente amico di Bartolomeo, amicissimo dipoi; ed il Panormita fu senza dubbio la persona che procurò a poco a poco F impiego del Fazio presso il re ed il suo stabile soggiorno a Napoli. E che la sua persona fosse gradita ad (i) Bartolomeo Fazio, Fatti di Alfonso d'Aragona, trad. da Giacomo Mauro pp. 327 e segg., Venezia, Giolito, 1579. ^ curioso come il Mehus, Vita Facii, p. xxiv, dopo aver ricordato come il Niceron, Mèm. t. XXI, p. 316, dica essere stato il Fazio mandato ambasciatore da’ Genovesi ad Alfonso, soggiunga: An res ita se habeat, incompertum mihi est, quum presertim Niceronus scriptoris auctoritatem nullam afferat, qua opinionem suam probet. Il Mehus dunque scrisse la vita del Fazio senz’ averne letto il De rebus gestis Alphonsiì Nè il Zeno, nè il Tiraboschi, nè il De Rosmini, nè il Voigt, nè il Braggio hanno fatto cenno di quest’importante ufficio sostenuto dal Fazio, che fu appunto da esso posto in relazione diretta col re di Napoli. - 135 — Alfonso doveva sapersi anco a Genova, poiché di nuovo nel 1444, riprese le pratiche per la pace, egli stesso racconta che « fu conchiuso che Battista Goano, dottor di leggi, e Battista Lomellini gentilhuomo per integrità di vita e per prudenza degno di somma laude, già eletti ambasciatori, andassero a Napoli con quelli del re; i quali partirono sopra alcune barche lunghe, e presero porto a Pozzuoli. A’ quali ambasciatori io Facio fui dato per collega e scrittore di tutte le cose che occorressero pel negozio della pace ». Furono questi ambasciatori che riuscirono difatto a conchiuderla, cc Stava il re alhora alla caccia, et intendendo che gli ambasciatori erano giunti, gli fece fermare a Pozzuolo, fin tanto eh’ egli se ne tornasse a Napoli. Ove proveduto per le cose convenevoli per la loro venuta, vi furono gli ambasciatori chiamati e ricevuti dal re in Castel nuovo con molta amorevolezza, nè in quel dì si fece altro. Si cominciò poi a trattar della pace », la quale, dopo molti dibattiti ed altri consulti a Genova, fu infine conchiusa. E cc fatte queste cose, et confermati da ambe le parti i capitoli con giuramento, et stabilito il tempo, nel quale si aveva a pubblicar la detta pace, i genovesi ambasciatori, prendendo combiato dal re, se ne tornarono a Genova con buona gratia sua, et fecero sì che ciò che essi havevano trattato et concluso con lui fosse approvato et ratificato da quel senato » (1). La presenza di Bartolomeo Fazio in Napoli nel settembre del 1444 sembra indubbia (2), ma non vuol (1) Fazio, Fatti di Alfonso, pp. 336 e segg. Anche questa seconda missione di Bartolomeo, come la prima, è trascurata dai ricordati suoi biografi. (2) Cfr. Vahli-n, Laurentii Vallae opuscula tria, in Sitzungsberichten d. Wiener Aliademie del 1869, p. 28, n. 1. — 136 — dire non ritornasse più in patria. Quelle medesime espressioni dello storiografo aragonese or ora riportate, i genovesi ambasciatori, prendendo combiato dal re, se ne tornarono a Genova con buona gratia sua, ecc. », senza alcuna riserva personale del Fazio, che pur era del novero degli ambasciatori suddetti, permette almeno di dubitarne. Ed il sospetto si fa più vivo e più intenso quando si noti che il Braggio dice esplicitatemente (1), quantunque non indichi la tonte della notizia, che 1 umanista ligure « solo nel 1445 lasciò 1’ ufficio di cancelliere ». Il Braggio ha certamente dedotta la notizia dei registri di cancelleria in Arch. di Stato, i quali portano i nomi dei cancellieri cui appartengono. Si ha dunque a credere di preferenza ch’egli tornasse in Genova anche dopo la seconda sua missione a Napoli; dove tuttavia non tardò a ritornare, scioltosi affatto da ogni vincolo col Governo della sua patna. Il prof. Braggio, osservando che « una lettera del Fazio all’amico Iacopo Spinola, edita dal Mehus (2), dà notizia dello scritto dedicato al re e ad un ora de fatti suoi con queste parole: Accepi iam salarti partem et domum conduxi, ne deduce che il De vite felicitate, dedicato appunto da Bartolomeo ad Alfonso di Aragona, sia stato scritto nel 1445, quando 1’ umanista ligure « venne ammesso fra i dotti della sua corte con un’ annua provisione ». Ma la provvisione dell’Aragonese cominciò ad essere pagata davvero immediatamente dopo la rinunzia al cancellierato? In realtà, la prima notizia che finora si abbia al riguardo è solo dell’ottobre 1446, quando « Bartolomeo di Fazio, istoriografo della corte del re (1) p. 219. (2) pp. 79-80. - 137 - Alfonso », riceveva « il pagamento di ducati cento per una rata della sua annua pensione di ducati 300 » (1). La lettera allo Spinola pertanto può essere senza difficoltà ritardata di un biennio, cioè fino al 1447. È vero che « il Panormita, accennando all’incarico dato al Fazio di scrivere i Commentari (2), soggiunge che il re fu massimamente allettato dalla soavità del libro, che tempo prima l’autore aveva composto per lui, De vite felicitate (3); ma il Braggio stesso è costretto altrove (4) ad ammettere che in questo libro vi è qualche « obliqua bottata al Valla », ed io soggiungerei che tutto lo scritto è un attacco indiretto al medesimo (5). Ora di lotte anteriori tra il Fazio ed il Valla non é traccia, sebbene non sia improbabile che, rottasi l’antica amicizia tra quest’ ultimo ed il Panormita dopo la publicazione del De voluptate (6), Bartolomeo si accostasse subito ad Antonio contro Lorenzo, con cui pure si é veduto precedentemente in amichevoli rapporti. Tuttavia non (1) Minieri Ricci.1, Alami fatti di Alfonso I, t. VI, p. 851. (2) Cioè il De rebus gestis Alphonsi. (3) « .... maxime eitis libri suavitate allectus quem de vite felicitate regi ipsi antea dictaverat. Cfr. De dictis et factis Alphonsi, Basileae, 1538, 1. II, c. 61 ». (4) P. 298. (5) Il Valla aveva scritto il famoso libro De voluptate in senso epicureo (cfr. il mio lavoro Lorenzo Valla e l’epicureismo nel Quattrocento, Milano, Dumolard, 1890, e, recentemente, Puglia, Il risorgimento filosofico in Italia, pp. 160 e segg., Napoli, Anfossi, 1891). In questo libro il Panormita è fatto sostenitore dell’epicureismo, donde la sua rottura col Valla. Per contro nel De vite felicitate faziano è il Panormita che prende le difese della vita contemplativa. (6) Cfr. il mio citato lavoro, p. 47 II fatto che la rottura tra il Panormita ed il Valla avvenne dopo la publicazione e per la publicazione della prima redazione del De voluptate, mi pare che basti a rovesciare da solo, anche senza le infinite altre prove che si possono addurre, la teoria del Mancini, Vita di Lorenzo Valla, pp. 62-64, il quale, del resto, è confutato dalle stesse parole del Valla da lui tradotte. — 138 - credo che le acerbe lotte combattute a Napoli fra quei tre umanisti siano da considerarsi come una diretta continuazione delle contese cominciate in Lombardia tanti anni prima; certo il malumore latente doveva renderli più irritabili, più inclinati ad assaltarsi di nuovo, ma non poteva spingerli subito a violenze. Fu la gelosia di mestiere che riaccese una polemica ornai sopita: difatto tanto il Fazio quanto il Valla avevano avuto dalla corte aragonese quasi il medesimo ufficio, se, il 31 dicembre del 1446, Alfonso taceva « pagare ducati cento per rata della sua annua pensione di ducati 300 a Lorenzo Valla, oratore romano, il quale à l ufficio di suo istorio grafo per registrare le sue gesta » (0-In conchiusione pertanto, se il De vite felicitate Faciano fu un’ arma nella polemica col Valla, un’ arma anzi consigliata da’ ricordi di Lombardia, non é probabile venisse adoperata appena i due umanisti si trovarono — terzo il Panormita — alla corte di Alfonso; ma dovette passarvi frammezzo alcun tempo, durante il quale la gelosia ebbe campo ad accentuarsi e si riaccesero quindi le ire sopite. D’altra parte, mentre la lettera allo Spinola publicata dal Mehus può ritardarsi, come si è detto, al 1447, gli altri accenni al De vite felicitate (2) (1) Minieri Riccio, p. 852. (2) Un’ipotesi, che pur potrebbe affacciarsi alla mente di alcuno, si è che il Fazio scrivesse il De vite felicitate fin dal periodo lombardo della sua vita e lo dedicasse già allora al re di Napoli. Ma il silenzio universale al riguardo da una parte, gli accenni a recente composizione nel 1448, mostrano come tale ipotesi sarebbe assolutamente da porsi in disparte. — Non tengo conto poi di un altro elemento cronologico, cioè della posteriorità del De vite felicitate a tre lettere scambiate tra it Fazio e Guarino Veronese e publicate dal Mittarellj , Op. cit., p. 378. Colla prima di queste tre lettere il Fazio presenta personalmente all’ antico maestro il Panormita, già da tempo in corrispondenza epistolare con - 139 — contenuti nella corrispondenza dell’umanista ligure cadono tutti intorno a quest’ opera, cioè nel 1447 stesso ed oltre. A questo tempo pertanto vuol essere ritardata la composizione del libro, e per quel che riguarda le espressioni ricordate del Panormita nel De dictis et factis Alphonsi, mentre debbono essere intese in un senso molto lato, trovano pure la loro spiegazione nel modo di considerare tutti questi fatti che sarà or ora esposto, tenendo conto di tutti i dati finora noti, non solo separatamente di alcuni. esso, ma non mai trovatosi seco; nella seconda il Veronese ringrazia il Fazio di avergli fatto conoscere di persona il Beccadelli e gli annunzia che va a lui Nicolò Strozzi, uomo omni laude dignus ; nell’ ultima finalmente Bartolomeo dice di aver veduto con piacere lo Strozzi e discorso lungamente col medesimo, e, avendone avuto un codice di Cornelio Celso mandatogli in prestito per pochi dì da Guarino, prega questo di dargli tempo a farlo trascrivere ut eius apud nos copia relinquatur. Secondo il Sabbadini, Guarino Veronese e il suo epistolario edito ed inedito, p. 31, Salerno, Tip Nazionale, 1885; queste lettere apparterebbero all’anno 1448 0 1449; secondo un lavoro posteriore del medesimo (Guarino Veronese e gli archetipi di Celso e Plauto, p. 38, Livorno, Giusti, 1886) al 1450; e, finalmente, secondo un terzo, recentissimo (Vita di Guarino, § 369, in Giornale Ligust., anno XVIII, p. 427), nel 1451. Ma, per contro, come si è veduto, nel 1447 si parla già del De vite felicitate, che è un dialogo che si finge tenuto in Ferrara fra il Panormita, il Lamola, Guarino Veronese ed il Fazio stesso. Certo, però, non è impossibile che la circostanza del dialogo medesimo sia stata immaginata del tutto dal Fazio in un tempo in cui il Panormita e Guarino non si conoscevano neppure. Comechesia, determinare precisamente 1’epoca delle suddette lettere non si può; quanto a me inclinerei a crederle molto anteriori all’epoca fissata dal Sabbadini. Nel 1433 difatto, quando un impostore si spacciò a Verona pel Panormita, questi doveva già esser conosciuto di persona da Guarino se 1’ ultimo gli scriveva : Datis statim ad me, non unis, sed ternis, quaternisque litteris, illius bestie faciem, indolem, moresque pingentibus, ut de ilio quid sentirem certiorem facerem civitatem, vulpem ipsum quasi larvatum in tuam latentem personam ceperam aperire atque detegere (cfr. De Rosmini , Vita e disciplina di Guarino Veronese e de’ suoi discepoli, pp. 45-46 e 179). Anche 1’ accenno al Celso riconduce quell’epoca (cfr. Sabbadini, Guarino Veronese e gli archetipi di Celso e Plauto cit.). Del rimanente ved. sopra, pp. 131 e 132 11., dove si fissa al 1434 l'unica epoca possibile dell’ incontro di Guarino, del Fazio, del Panormita e del Lamola a Ferrara. — 140 — I primi mesi della dimora del Fazio alla corte aiago-nese dovettero passare tranquilli. Egli stesso ricorda il dolce soggiorno di Pozzuoli ed i giocondi colloqui cogli amici, quando uno di loro, il nobile Francesco Raimo, improvvisava, stando in piedi, oltre cinquecento versi, e gli plaudivano Bartolomeo e Giacomo Cui lo, non ancora fissato a Napoli, ma trattovi spesso dall’affetto degli illustri amici e dalla benevolenza del ìe mecenate, talvolta ancora mandatovi di preferenza con incarichi ufficiali del suo Governo che cercava trarpai-tito da quelle speciali disposizioni verso di lui (i)-Sovente Alfonso, innamorato di Tito Livio, se ne faceva leggere brani in presenza de’ dotti della sua coite, e fra il Panormita, il Fazio ed il Valla era una gara a commentare l’antico autore delle grandiose gesta di Roma, sfoggiando erudizione storica e grammaticale, e cercando accappararsi sempre più la simpatia e la munificenza reale. Ala appunto in queste discussioni academiche cominciarono a ridestarsi gli antichi rancori; fomentata dalle nuove gelosie, la fiamma della discordia a poco a poco si riaccese e da ultimo divampò (2). (1) Epist., p. 88, ed. Mehus. (2) I -a polemica tra il Fazio ed il Valla fu esposta maestrevolmente dal Nisard, Les gladiateurs de la république des ìettres, au XV, XVI et X VII siécles, t I, p- 208 e segg., Parigi, Levy, 1860, per quanto riguarda la disputa. Manca però ogni determinazione cronologica. Inoltre il Nisard non ha conosciuto gli estratti delle quattro (non tre) invettive del Valla pubblicate in Miscellanea di varie operette, t. VII, p. 334 e segg., Venezia, Bettinelli, 1743, dove a pag 346-7 si legge appunto: Ouotiens ego te vidi, legente Antonio Panormita, eruditissimo viro, Livium apud hunc excellentissimum regem nostrum, ceterisque aderant per summum silentium audientibus illum, a te interpellari, et molestas disputationes a te inferri, nec tempori certe, nec Joco consentaneas! Ut sepe miratus sum tam patientes esse regis aures,'tte. Per contro il Braggio non ricorda il Nisard, sebbene della polemica dica an- - i4r — È noto come il Fazio, o ancora amico, od almeno conservando le parvenze dell’ amicizia, pregasse il Valla di leggere ed appuntare la storia delle guerre tra i Genovesi ed i Veneziani, ch’egli aveva incominciato a scrivere quand’era ancora a Genova, e che comprendeva, a detta di Lorenzo, oltre 5000 versi, senza contare un’ invettiva feroce contro un Genovese che 1’ aveva chiamato ingratissimo. Diceva Bartolomeo che, avendo pregato parecchi di annotare i difetti della sua opera, nessuno, per pigrizia, era mai andato più innanzi delle prime pagine; 1’ umanista romano per contro, soggiunge egli stesso, ut qui nunquam in huiusmodi genere fuit fastidiosus, la scorse tutta in due giorni, e vi appuntò tali e tanti errori che il ligure non osò più pubblicarla. Ma il Fazio se la legò al dito, aspettando solo 1’ occasione di rifarsi di quella eh’ era, 0 doveva essere, schiettezza di amico, ma a lui parve ingiuria e maltalento (1). Si è veduto come fossero stati nominati storiografi della corte aragonese tanto il Valla, quanto il Fazio: ch’egli, pp. 227 e segg. Finalmente il Sabbadini, Cronologia della vita del Panormita e. del Valla, pp. 106 e segg., mentre reca un nuovo documento interessante per la storia della polemica tra il Panormita ed il Valla stessi, confonde la gita a Roma, di cui parla il Valla, Opera, p. 465, con altre precedenti, ponendole tutte insieme nel 1444. Con poca differenza sostanziale, il Mancini, Vita del Valla, pp. 210 e segg., assegna la lotta fra il Valla ed il Fazio al 1446. Che questi recentissimi scrittori non abbiano ristabilita nè l’uno nè l’altro la vera cronologia, vedrà il lettore dall’ esposizione seguente fondata su documenti di data certa e che sarebbe assolutamente impossibile far concordare coi sistemi loro. (1) Valla, Invectiva I in Facium, in Opera, p. 461-462. Dell’opera Faciana sulle guerre fra Genovesi e Veneziani, che par dunque dovesse publicarsi in versi, abbiamo a stampa due frammenti prosaici, su -cui vedi Mehus, B. F. scripta, pp. xxxi-xxxii, e Zeno, Voss., t. I, pp. 66-67. — 142 — vi si aggiunga terzo il Panormita. Or il Valla fu il primo a terminar la storia di re Ferdinando, padre di Alfonso, ed a presentarla al Magnanimo, che la fece porre nella sua biblioteca con animo di leggerla nei momenti d’ ozio e, specialmente, di notte, per farvi sui larghi margini appositamente lasciati le proprie osservazioni (1). Se con egual prontezza l’umanista romano avesse impreso e condotto a termine la narrazione delle geste anche di Alfonso, poteva scemar in questo il desiderio delle storie, neppur incominciate, del Panormita e del Fazio, ed essi correvano rischio di perder foise 1’ ufficio e, che più importava, 1’ annua pensione. Il dissidio pertanto si accentuò. Bartolomeo, naturalmente, dà tutta la colpa a Lorenzo. « Io ho più d’ una volta fatto niun conto » — egli dice — « volgendo le cose in riso, della petulanza della tua lingua e della tua maldicenza, e le sopportai con animo sereno, avendo riguardo più alla modestia mia che al tuo sproloquire, e mi contenni fino ad oggi senza scriver riga contro di te ; sperava che, così facendo, tu avresti richiamato 1’ animo da codesta pazzia a sanità. Ma poiché vedo che il tuo furore cresce di giorno in giorno e che tu non intendi por fine alle tue ingiurie ed alle tue contumelie, ma ti abusi della mia pazienza, pigliando quasi per essa a dispregiarmi, alfine la tua temerità vince la mia costanza, sicché non mi posso più trattenere di renderti le debite grazie. Invero io non avrei creduto di dover afferrar dardi e faretra, se non avessi inteso che tu hai parlato di me con tanta imprudenza in cospetto del nostro (1) Valla, p. 464. — 143 — inclito re, nel consesso di tanti insigni personaggi e dotti uomini. In questa accolta parlando tu al solito ingiuriosamente di Antonio Panormita, uom cospicuo per ingegno, per dottrina e per riputazione, ed avendo egli a caso, tirato pe’ capelli, pronunciato il mio nome, non ti sei vergognato dire di me cose che un uom di senno non direbbe senza rossore della persona più ignorante del mondo. Certo mi é rincresciuto meno di tal cosa, perchè il re, pel suo gran sapere e finissimo giudizio, conosce abbastanza quanto tu valga e quanto disti da ciò che ti fai. Ma per contro mi fu molto più grave e molesto che tu abbia tentato di persuadere delle tue ciancie altri che, per esser meno versati nelle lettere, possono men bene e men direttamente giudicare del— 1’ ingegno e del sapere di alcuno ». Pertanto esser costretto a prender la penna per mostrar 1’ ignoranza del-1’ avversario ed i mali diportamenti ed i pessimi costumi di lui, chiamando giudice il re stesso, « se pure » — aggiungeva poi con raffinata malizia — « non isprezzi e disdegni il suo giudizio e preferisci altro giudice (i) ». Il Valla a sua volta rigetta la responsabilità della rottura sul Panormita e sul Fazio; e discernere il vero in tanto imbroglio è fuor di dubbio cosa assai diffìcile. Tuttavia sembra potersi ritenere che realmente Lorenzo, col suo umore acre e violento, provocasse in qualche modo lo sdegno di Antonio e di Bartolomeo, e questi, interessati già di per sé a combattere il Valla e denigrarlo presso l’Aragonese, rompessero a maggiori ostilità, e da prima non apertamente, ma con subdole arti. (i) Facio, Invectiva I, pp. 334-336. — 144 - Il manoscritto contenente la storia di re Ferdinando fu certamente consegnato dal Valla ad Alfonso ancora nel 1446; donde, probabilmente, il pagamento fattogli di una rata delle sua pensione di storiografo il 30 dicembre di quell’ anno (1). Difatto Lorenzo medesimo dice che il Magnanimo lasciò Napoli pochi giorni dopo tale consegna (2); ed è noto coni egli fosse già a Tivoli il 9 gennaio del 1447 (3). Fu in seguito a questo fatto, che metteva in forse il suo stato presso il te? che il Fazio dovette incominciare la vera lotta contro il Valla. Ma, non osando forse ancora rompere a guerra aperta col fiero letterato romano, il Fazio si contentò per allora di por mano al dialogo De vite felicitate, in cui il Panormita era fatto difensore della vita contemplativa, quasi mentita al Valla che nel De voluptate gli aveva posto in bocca le dottrine utilitaristiche di Epicuro. Il De vite felicitate dovette essere presentato ad Alfonso di Aragona in una delle sue gite a Napoli nei primi mesi del 1447 ; e se crediamo al Panormita, che forse lo raccomandò entusiasticamente al sovrano (4)* piacque assai a quel principe letterato (5). Eppure, mentre così combatteva il Valla, Bartolomeo ne teneva in conto gli avvisi, ed anziché publicare i cattivi versi sulle guerre fra' Genovesi e Veneziani, attendeva a rifondere in prosa il racconto della guerra di Chioggia, salvo a (1) Vedi sopra p. 138. (2) Opera, p. 464 : Nec multis postea diebus Neapoli discessit. (3) Infessura, Diario di Roma, in Muratori, R. I. S., t. III, parte II, p. 1130. (4) Cosi, vedremo, dovendo il Fazio presentare ad Alfonso i primi otto libri del De rebus gestis di quel re, il Panormita scrisse al sovrano una lettera in lode dell’ autore e dell’ opera. (5) Panormita, De dictis et factis Alphonsi, l. c. — i4j — mandarlo poi ad esaminare ad un giudice più compiacente e a dedicarlo a persona men capace di farne una critica severa! (i). In questa ecco presentarsi al Panormita ed al Fazio un nuovo modo di offendere più terribilmente 1’ odiato rivale. Il manoscritto dell 'Istoria Ferdinandi regis del Valla era sempre a Napoli nella biblioteca dell’Aragonese, ed il bibliotecario, o per ingenuità o per malizia, se ne lasciò sfuggir parola col Beccadelli, il quale tosto coll amico Bartolomeo, postoglisi attorno, cominciò a blandirlo, a lusingarlo, a pregarlo lasciasse veder loro quel libro. Il bibliotecario finì per acconsentire ad imprestarlo, e così i nemici di Lorenzo poterono a bell’agio per molti giorni scrutare gli errori grammaticali e retorici del prezioso tesoro di lui. E che qualche errore vi fosse pure il Valla stesso sapeva, poiché, rimettendo al re il manoscritto, lo aveva avvertito che mancava ancora 1 ultima lima ! Il tiro era dunque ben riuscito (2). Quale dovette essere l’agitazione del Fazio e del Beccadelli in quei giorni, prima di avere il prezioso manoscritto dall infido bibliotecario, é più facile immaginarsi che descrivere. Di questo stato d’ animo dell’ umanista ligure abbiamo un’ eco viva in una frase sola, ma caratteristica, di una sua lettera a Gian Giacomo Spinola, in cui promette di mandargli quanto prima il De vite felicitate, allora confectum atque editum, e di cui gli aveva già scritto precedentemente in altra lettera oggi (1) Appendice IV, documento II. Sulla data di questo documento vedi Sabbadini, Biogr. doc. di G. Aur, p. io/, dove è corretto l’errore di St. e crit. di ale. testi lat., p. 370. (2) Valla, Opera, p. 464 cit. Atti, Soc. Llg. St. Patri*. Voi. XXIV, fase. i.° t0 — 146 — perduta, e, appena fossero finiti , i commentai iolos com’ egli chiama il De bello veneto clodiano cui allora attendeva. Questa frase, mentre assegna appunto ai primi mesi del 1447 la lettera stessa, svela tutto 1 animo di Bartolomeo. — Su ciò non può cader dubbio, quel-Yunum eh’ egli spera di fare (1), è la rovina del Valla per mezzo della critica de\Y Historia Ferdinandi regis ! Quando il bibliotecario regio rimise il manoscritto Valliano al Fazio, il Panormita doveva essere assente da Napoli, sebbene non lontano dalla città. Bartolomeo gli scriveva infatti — da questa città, com’ e pare annunziandogli gongolante di « aver svolto appena dieci pagine e trovato già più di duecento errori, fra cui molte cose dette in modo sciocco e puerile ». — « Avrai da ridere ! », soggiungeva in sua maligna beatitudine, e lo pregava di scusarlo presso il re se non gli era assegnato nulla da fare (2). In breve gli errori che il Fazio pretendeva aver rintracciato nell' Historia Ferdinandi regis salirono a circa cinquecento; e tornati intanto a Napoli Alfonso ed il Panormita, se ne cominciò a bisbigliare sommessamente fra i nemici del Valla. A prestar fede all’umanista romano, fu allora che i suoi avversari presero a susurrare al re che se il Fazio avesse avuto egli l’incarico di scrivere quella storia, se ne sarebbe cavato con molto più onore (3). Il ligure per contro asserisce che fin da quando Lorenzo presentò il suo libro all’Aragonese, egli aveva (1) Si effecero unum quoti spero. Epist. I, p. 80. (2) Append. IV, documento I. (3) Promittens multo preclarius illam materiam a Barptolomeo scribi posse. Valla, le. — 147 — già avuto 1 ufficio di stendere la storia di Alfonso stesso, e che anzi quell invidioso voleva farglielo torre con tale premurosa presentazione (i). Parte di vero è in entrambe queste affermazioni: che il Fazio fosse stato nominato precedentemente storiografo si è veduto, che ricevesse uno speciale incoraggiamento a cominciare soltanto dopo il tiro giuocato al Valla provano le surriferite parole del Panormita (2), che mostrano posteriore alla dedica del De vite felicitate a re Alfonso la missione da questo affidata al letterato ligure di scriverne le gesta. 11 Valla era all’ oscuro di ogni intrigo, e chissà quanto tempo sarebbe ancora rimasto se non fosse avvenuta quella scena violenta, che già si è veduto tentar il Fazio di presentare come 1’ ultima decisiva di una serie di lunghe provocazioni. Si leggeva Tito Livio in presenza del re: sorse disputa sovra un punto fra il Beccadelli e Lorenzo; cosa consueta. Ma sembrando che il re fosse ornai per dar ragione al secondo — seguo appunto la versione Valliana — il Panormita irritato gridò : « Veh, 1’ uomo che trova a biasimar me, i codici, Prisciano, ogni cosa ! Ha commesso nelle sue storie più di cinquecento spropositi! Tanti ne ha constatato Bartolomeo Fazio ! ». Era naturale che l’indegnazione del Valla scoppiasse : dopo breve meraviglia, vedendo violato il suo tesoro, proruppe contro l’infame guerra mossagli, contro gli odiosi artifici adoperati a suo danno, e fini per chiamar « ladri » il Beccadelli ed il Fazio: niun dubbio, ché la confessione é sua (3), e Bartolomeo aggiunge (1) Invectiva IV, p. 360. (2) Vedi sopra, p. 137. (3) P. 465. — 148 — soltanto che Lorenzo esclamò come conchiusione : « Vi punirò ambedue » (1). 11 6 marzo 1447 era eletto pontefice Nicolò V, ed il Valla, com’è noto, non tardava troppo a recarsi a Roma presso di lui. Ma non posavano i suoi nemici, i quali anzi davansi premura di stendere in tre discorsi, 0 libri od invettive, un fiero atto di accusa, e andavano diffondendolo quindi fra i cortigiani di Napoli ed i letterati d’Italia, profittando dell’ assenza di Lorenzo, mentre si erano guardati bene di lasciarlo vedere prima della sua partenza. Dopo due mesi, 1’ umanista romano ritorna alla corte Aragonese, e manda a chiedere al Fazio le invettive per combattere apertamente; Bartolomeo rifiuta. Lorenzo allora si rivolge al re, e chiede gli faccia rendere il suo manoscritto per ripassarlo e darlo fuori riveduto e corretto. Era 1’ Historia Ferdinandi regis ancora in mano del Panormita; ma per voler sovrano egli é costretto a restituirla. Allora segue un certame dinanzi al re : da una parte il Valla, dall’ altra il Beccadelli ed il Fazio. Legga chi vuole nelle Recriminationes del Valla la narrazione particolareggiata di questo duello letterario; la conchiusione fu, a detta di Lorenzo, una sentenza del re in favore di lui (2). Per altro non giovò a nulla; chè anzi il Fazio a’ tre primi aggiunse un quarto libro ancor più veemente, e prese a mandarli col De vite felicitate a’ vecchi e nuovi conoscenti, togliendo persino occasione a stringer nuove amicizie cogli avversari palesi 0 segreti del Valla con cui non fosse già in (1) PP. 358-359- (2) Valla, pp. 465-466 - 149 — relazione. Si ha ogni ragione di credere che la quarta invettiva Faziana sia anteriore all’agosto del 1447 (1). La data Bononie potrebbe significare che Bartolomeo facesse un viaggetto fin là; ma poiché, dopo scritta già tale quarta invettiva, egli non era ancora stato a Roma (2), é a ritenere di preferenza che sia un errore di copista, od un’ indicazione del luogo in cui fu eseguita la copia stessa che servì alla stampa frammentaria della Miscellanea Bettinelli. Poc’ anzi ebbi ad accennare alla divulgazione delle Invective in Laurentium Vali am e del De vite felicitate. Due parole anzitutto di questo dialogo, che fu il primo ad essere messo in giro dall’ autore. Esso trovò, naturalmente, encomiatori e riprovatori. Fra questi — senza contare il Valla (3) — fu Roberto Strozzi, pur amico di Bartolomeo; al quale Strozzi parve indegna del La-mola la parte di eterno confutato assegnatagli dal Fazio di fronte a Guarino confutatore (4). Per contro Guarino stesso ne tessè gli elogi in una lettera al figlio Girolamo, promettendo di diffondere il libro e dicendo (1) Poiché il Fazio dice che erano passati oltre dieci mesi (iam supra decimum mensem) dacché 1’ Historia Ferdinandi regis era stata riposta nella regia biblioteca, ed il 18 novembre egli aveva già scritto tre lettere a Poggio dopo quella in cui dice di aver finito le quattro invettive contro il Valla (cfr. Epist. II e X), si può ragionevolmente ritenere che dette invettive siano state finite tutte quattro sul cadere dell’ estate o sul principio dell’autunno precedente. Ma dalla lettera di risposta del Fazio a Girolamo Guarino (Epist. V, p, 57) risulta evidentemente che nell’agosto erano già terminate. Che poi tale risposta sia dell’agosto prova il fatto che nella lettera di Girolamo si allude al i.° luglio come a data recente. (2) Epist. II, p. 82. (3) Pp. 540 e segg. (4) Vedi la risposta del Fazio in Mehus, B. F. scripta, pp. xxxvi-xxxvu. Cfr. Braggio, pp. 210-211. A > — i5o - che più di ogni altro desiderava averne copia Girolamo Castello, celebre medico e poeta dello Studio ferrarese (i). All’antico maestro il Fazio l’aveva mandato appena finito; ma quegli l’ebbe tardi, solo il i.° luglio (1447)’ aven(^° Roberto Strozzi, incaricato di portarglielo, indugiato troppo più di quanto aveva promesso (2). Il caso di Girolamo Guarino, cui 1' occasione mi conduce ad accennare, si presenta sotto un’ aspetto assai curioso. Egli era stato mandato dal padre a Napoli fin dal 1444 con calde raccomandazioni al Valla, che non mancò di adoperarsi per lui (3). Or venuto il Fazio alla corte di Alfonso, ed incominciata la lotta fra 1 u-manista ligure ed il romano, Girolamo, anziché star con Lorenzo, si accostò a Bartolomeo che era stato allievo del genitore. Ma forse appunto perciò il vecchio Guarino, che rimaneva più volentieri estraneo alle contese e che del Valla aveva grande stima, nè minor afletto nutriva pel Fazio (4), richiamavalo precisamente nell’ estate del 1447 (5)- Non fu tuttavia interrotta per questo la relazione fra Girolamo e Bartolomeo; anzi vi fu un lungo (1) Epist. IV, pp. 85-86. È incerta la patria di Girolamo Castello, ma il Fazio stesso (De viris illustribus, p. 22) lo chiama Hieronymum Tifernatem, e alternata-mente Tiphernatem e Castellum Poggio Bracciolini. Donde la mia ipotesi che fosse di Città di Castello. Cfr. il mio studio Ancora un letterato del Quattrocento. Publio Gregorio di Città di Castello, pp. 8-9 n., Città di Castello, Lapi, 1890. (2) Epist. V, p. 87. (3) Sabbadini, Guarino Veronese ed il suo epistolario, pp. 27, 46, 82. (4) Della tendenza di Guarino Veronese a rimaner estraneo alle polemiche, e della sua stima pel Valla dirò altrove, trattando di proposito della polemica Valla-Poggio-Perotto. (5) Sabbadini, G. V. ei il suo epist., p. 82. Nella Vita di Guarino, §. 369, l.c., a torto la data del ritorno di Girolamo Guarini da Napoli è ritardata di un anno. — i5i — scambio di lettere per certe vesti lasciate dal giovane Guarino a Napoli, indi speditegli dal Fazio e nel viaggio andate perdute (i). E si è veduto che appunto Girolamo Guarino servì come intermediario fra il padre suo ed il Fazio stesso, per quanto riguardava il De vite felicitate dello storiografo aragonese. Pensava questi che anche a Niccolò V, sebbene amico e protettore del Valla, non sarebbe spiaciuto il suo libro: un pontefice doveva naturalmente approvare quell’ apologia della felicità oltremondana contrapposta a godimenti terreni, per quanto delle cose umane fosse il Parentuccelli studioso ricercatore. Ma, ad ogni modo, conveniva meglio preparare il terreno, ed a questo fine occorreva trovare un caldo fautore nella curia pontificia medesima. Era allora segretario apostolico un uomo da tempo geloso dell’ ingegno superiore del Valla , e che doveva qualche anno dipoi prorompere a violentissima guerra aperta contro di lui. L’ autorità di Poggio Bracciolini nella corte di Roma pareva ancora grandissima, sebbene in realtà fosse ornai scossa e andasse declinando rapidamente. Nulla di più naturale che tra Poggio e Bartolomeo si stringessero amichevoli rapporti, si costituisse un’ alleanza offensiva e difensiva contro il detestato Lorenzo. Mezzano dell’ unione fu Giacomo Curio, allora in Roma ancor’ egli : parlò dell’ amico e compatriota al vecchio umanista fiorentino, e questi rispose gradirebbe una lettera di lui, pur offrendosi di scriver egli pel primo, se mai il Fazio l’avesse preferito (2). In (1) In Mittauelli, Op. cit., pp. 379-381. (2) Fazio, Epist. II, p. 8x. - 152 - quei giorni appunto, cioè nell’ estate di quell’ anno stesso 1447 (1), il Curio veniva presso il re Alfonso e vi si tratteneva alcun tempo (2). Intese da lui le disposizioni di Poggio, il letterato ligure si affrettava a scrivergli una lettera ossequiosissima, affermando avrebbe voluto scrivergli già da gran tempo, ed esser quindi beato e riconoscente verso 1’ amico Curio che gli aveva data occasione di romper finalmente gli indugi. « Io ti amava già precedentemente » — egli dice — «e Per tue altre numerose virtù e, sovratutto, per la tua somma e squisita eloquenza, cosi facile ed elegante da esser tu concordemente ritenuto il primo fra tutti i dotti dell età nostra. Imperocché nulla é più terso, più egregio, più soave del tuo discorso, come si scorge dalla tua recente narrazione di un viaggio nell’ India e dal giudizio illuminato del sommo pontefice nostro, che ti ha innalzato a tanto onore e dignità ». E soggiunge che se prima desiderava ardentemente di andar a Roma per veder la meravigliosa città, or tanto più è cresciuta la fiamma per desiderio di vedere e conoscere di persona lui Poggio. Gli si offre in ogni cosa; indi pian piano passa a toccar de’ suoi fini, e un po’ ingenuamente confessa che desidera che la sua amicizia gli valga presso il pontefice, al quale intende mandare il De vite felicitate per mezzo del cubiculario Antonio de Mireto. Scriverà a quest’ultimo che prima di rimettere il libro al papa, lo (1) Anche nell’epistola II, p. 82, dice scorso il decimo mese dalla consegna dell Hisloria Ferdinandi regis del Valla ad Alfonso di Aragona. Siamo dunque nel luglio, poiché il Fazio non era ancora stato a Roma, dove lo vedemmo nel-1’ agosto. (2) Epistola VI, p. 90. confrontata con epist. II, p. 81. — 153 - faccia vedere a Poggio; e promette di mandargli quanto prima le quattro invettive contro il Valla, cui chiama ignorante, arrogante, sentina di ogni vizio, ben cognito al Bracciolini per essere venuto a Roma collo scopo di accapparrarsi ordinem tuum, cioè un segretariato apostolico. Conchiude per ultimo esprimendo un vivo desiderio di leggere la Ciropedia Senofontea, da lui di recente tradotta in latino (i). Questa lettera, solleticante insieme la vanità e l’astio di Poggio, gli riuscì, come dice egli stesso, gratissima. A sua volta rispondeva complimentando il Fazio, lodando il suo desiderio di venire a Roma, città in cui egli, pur dimorandovi da tanti anni, trova ogni dì cose nuove da apprendere, mostrando voglia di vedere il dialogo De vite felicitate e, più, le invettive in eum quem nominasti. — Poggio, prudentemente, non si compromette prima di tempo a tirar in campo il nome odiato , ma temuto, del più fiero campione dell’ Umanesimo —; da ultimo profferendo tutto se stesso a servizio del nuovo amico (2). Il Bracciolini era uomo accortissimo ; e, mentre faceva le più larghe offerte al Fazio, pensava di cominciare con isfruttarne il favore presso il re di Napoli. Dichiarava pertanto nella sua risposta al letterato ligure di non saper a chi dedicare la Ciropedia : « Molti mi consigliano » — soggiungeva — « chi in un senso, chi in (1) Epist. II, pp. 81-83. È noto come il 10 novembre 1448 il Valla ottenesse poi il titolo di abbreviatore apostolico (cfr. Marini, Degli archiatri pontifici, t. I, p. 241), ma non potè ottenere il segretariato agognato. (2) Il testo di questa lettera in Fazio, Epist. IX, pp. 98-100; in Mai, Spici legium romanum, t. X, pp. 342-343, e in Poggio, Epist., IX, 8, ed. Tonelli. La data assegnata dal Tonelli (1445 0 principio 1446) ,è dunque errata. - 154 “ un altro, secondo 1’ animo di ciascuno. Del rimanente il tuo re é sopra ogni altro principe del mondo dedito alle lettere, e ad un tal re questo libro, nel quale si tratta dell’ educazione di un giusto monarca, si addirebbe assai ». Ed essendo già tornato il Curio a Roma, ne parlava anche con lui, cercando il modo migliore di profittare della nuova amicizia. In quella Bartolomeo decideva di recarsi a Roma pei visitare la Città eterna, conoscere di persona Poggio e sovratutto presentare al papa il De vite felicitate. Il viaggio ebbe luogo; e Niccolò V, cui Poggio ed altri avevano già ricantate le lodi dell’umanista ligure, lesse invero magna ex parte il libretto. .Ma il Fazio, che ci dà egli stesso la preziosa notizia (i), si esprime intorno al pontefice con parole di encomio si, ma come se non lo conoscesse ancora di persona; e quello stesso fatto che Niccolò V lesse magna ex parte il De vite felicitate, dunque non tutto, fa dubitare che Bartolomeo non riuscisse per allora ad essergli presentato. Difatto lo vediamo esprimere il desiderio di tornar a Roma altra volta nel 1450; e, sebbene egli dica di aver deciso di tornarvi indulgentie causa — notizia preziosa, come già si è veduto (2), per istabilir l’anno della lettera Fa-ciana — é permesso almeno di dubitare di quella ragione, tanto più se non è a rigettare la testimonianza (invero sospetta, ma solo fino ad un certo punto) del Valla, secondo la quale il Fazio avrebbe nutrito certe tendenze umanistiche si, ma ben poco cristiane, nonché (1) Fazio, Epist. a G. G. Spinola, in Mittarelli, p. 373. (2) Cfr. sopra p. 154. - 155 — pie. Avendo cioè Bartolomeo rinfacciato all’ avversario di aver parlato in un passo dell’ Historia Ferdinandi regis dei vessilli colle figure di Gesù, della Vergine, dell’arcangelo Gabriele, ecc. contro 1’ uso di Tito Livio che non parla mai delle bandiere de’ duci romani, e detto esser quella plebeia sane et vere Laurentio digna eloquutio , questi ribatte vivacemente : « Biasimi il mio discorso come plebeo, contrario alla brevità, dissonante dell’ uso degli antichi. E perché tu lo dica plebeo, io so bene: perché scrivo Gesù, non Giove; Maria, non Minerva o Venere; Giacomo, non Bacco; Gabriele, non Briareo o Priapo; Gesù, Maria, Giacomo, Gabriele e simili sono nomi pleblei, indegni di qualsiasi uom dotto; nomi che, andate predicando tu ed il Panormita, scompisciano ed insudiciano il discorso. Per contro l’adornano, quali gemme Giove, Apollo, Minerva, Venere, Bacco, Ercole, Priapo » (i)! Par dunque, piuttosto, che il desiderio di tornare a Roma nel 1450 fosse dovuto nel Fazio a speranza di miglior fortuna presso il papa mecenate. Della gita a Roma nell’agosto del 1447 il Fazio non raccolse dunque alcun frutto. Ben ne profittò l’abile Poggio, che probabilmente combinò seco lui in modo definitivo la dedica della traduzione della Ciropedia al re Alfonso, ripromettendone grandi cose, sebbene poi da principio le sue speranze andassero deluse. Narra infatti Vespasiano de’ Bisticci nella vita di Poggio: « Crebbe la fama sua per tutto il mondo, dove andavano 1’ opere sue, e oltre al segretariato e alla iscrittoria, non perdeva mai tempo, o a comporre o a (1) Opera, pp. 5 5 3-5 54- - 15é - tradurre. Delle prime opere eh’ egli traducesse (i) fu la Pedia di Ciro, libro tanto famoso appresso de Greci; e lo mandò al re x\lfonso. Fu molto istimata questa traduzione da tutti i dotti di quello tempo. Avendo mandato questo libro al re Alfonso, e, fuori della consuetudine, non lo remunerando della sua fatica, iscrisse al Panormita, dolendosi della maestà del re. Fecelo intendere al re, il quale gli mandò alfonsini quattrocento a donare, che sono ducati secento. Rimase messer Poggio benissimo soddisfatto della sua Maestà, e, dove in prima alquanto se ne biasimava, se ne laudava poi in infinito » (2). Or i nostri documenti Faziani illustrano questo fatto connettendolo strettamente alla polemica Valla-Fazio, di cui poi quella Poggio-Valla fa continuazione, come continuazioni o, meglio, episodi di questa, furono ancora le altre Poggio-Perotto e Valla-Morando (3). Da una parte il Fazio riscriveva una, due, tre volte a Poggio ; le lettere andavano sempre perdute, tranne I’ ultima, neppur essa però giunta fino a noi. E se non le aveva già portate egli stesso, mandava allora le invettive contro il Valla. Ad ogni modo, fu poi difatto dalla copia delle invettive posseduta dal Bracciolini, e da lui messa in giro, che i parenti romani di Lorenzo poterono trarre altra e (1) Qui è manifesto 1’ errore del buon libraio fiorentino. (2) P. 423, ed. Battoli, Firenze, Barbèra, 1859. (3) Credo che sia la prima volta che si metta in rilievo la diretta connessione di tutte queste polemiche del Quattrocento. Qui non mi occupo che della Valla-Fazio e de’ preannunzi della Poggio-Valla; altrove studierò le altre, e mostrerò pure in un lavoro generale sulla polemica letteraria del Quattrocento, come ultima coda della polemica Poggio-Valla fossero le lotte fra il Perotto, il Caldcrini, il Sabino, il Merula, il Vitellio ed il Romuleo. - 157 — mandargliela a Napoli — grazie al Porcellio, egli ci dice, ma non ispiega in che modo grazie a lui (i). Dall’ altra, giunto a Napoli 1’ esemplare di dedica della Ciropedia tradotta in latino, il Panormita ed il Fazio ne tessevano le più ampie lodi ; ma tale, che si può senz’ alcun dubbio identificare col Valla, ornai edotto della parte fatta dal Bracciolini a Roma, non mancava a sua volta di dirne al re il peggior male del mondo. Di ciò Bartolomeo avvertiva Poggio colla lettera finalmente ricevuta da quest’ ultimo; e l’umanista fiorentino rispondeva tosto scusandosi di non avere più scritto, perchè oppresso dal lavoro, ringraziando lui ed Antonio degli elogi — purché T amicizia non li abbia indotti al veder con occhio più benigno del convenevole — e dolendosi finalmente di aver dedicato il libro suo a chi « sta più al giudizio altrui che al proprio », fiera bottata contro T Aragonese medesimo. E qui viene naturalmente una serqua di contumelie a mezza voce e contro il re e, più, contro quel cotale che non nomina, ma si capisce troppo bene essere il Valla: cc Mi ha tratto in inganno il grido degli uomini acclamante il sapere di quel principe. Ma, da quel che vedo, nel giudicar gli ingegni egli è mosso più dall’opinione altrui che dalla sua, come accade sempre agl’ignoranti. Niuna differenza pone tra i buoni ed i malvagi. Se fa qualcosa è per ostentazione, a fine di sembrar favoreggiatore dei dotti. Ma io ho dato fuori il libro perché fosse giudicato non dagli uomini rozzi, ignoranti, malvagi, perniciosi, ma dalle persone dotate d’ingegno, di sapere, di virtù. Di questi (i) Valla, Opera, p. 466. — i58 — tengo in gran conto il parere; degli altri che menan vita trista, turpe, criminosa, sembrino pur dotti in apparenza, credo doversi considerar le parole come crepiti-bus asinorum similia. Ma l’intendano tutti : io ho fatto quanto ho potuto per comune vantaggio; se ad alcuni non basta, dian pure essi qualcosa di meglio e non perdano il tempo a latrare come cagnuoli impotenti. Tuttavia, credimelo, se fossi a tempo, sceglierei un uomo che non si lasciasse muovere in alcun modo dalle parole degli stolti » (i). Pare che il Fazio non osasse o non sapesse far intendere al Magnanimo le doglianze espressegli dal Bracciolini in questa lettera del 18 novembre 1447, perché di nuovo il 28 marzo seguente Poggio si lamentava con Bartolomeo, sebbene in termini più vaghi: « Niuna meraviglia se gli uomini rozzi ed ignoranti sono illiberali: non tutti invero possono esser saggi, né la virtù ed il sapere si trovano sempre nelle case dei più potenti. Che tu possa sperare, impara dal mio esempio. Pessima cosa è 1’ ingratitudine, nutrice di tutti i vizi, né vi può esser virtù in chi é dominato da essa. Pertanto, se vivrò, canterò a tempo debito la palinodia » (2). Finalmente scrisse al Panormita la lettera accennata dal buon Vespasiano, nella quale ripeteva aver più in conto il giudizio di lui e del Fazio che di coloro le cui parole non hanno autorità che presso il volgo: « Di quelli cui muove più il livore che la ragione ed il dovere di galantuomo », diceva, « io non mi curo (1) In Fazio, Epist. X, pp. 98-100, e in Poggio, Epist., IX, 21, t. II, pp. 346-348. (2) In FAzio, Epist. XI, pp. 100-101; in Mai, Spie. Rom., t. X, pp. 343-344, e in Poggio, Epist., IX, 24. — 159 — affatto » (i). Allora il Beccadelli, rotti gli indugi, superata ogni titubanza, fece al re Alfonso le note rimostranze, cui seguì il dono dei quattrocento alfonsini. In questo mentre Alfonso di Aragona aveva posto i quartieri d’inverno nella campagna romana, e quivi nel febbraio del 1448 sembra si proponesse il Panormita di venirlo a raggiungere (2). Pare che nell’aprile fosse giunto in Roma, dove si tratteneva coll’Aurispa e dove non tardavano a seguirlo lettere del Fazio, in data 24 di detto mese, colle quali accompagnava l’invio del De bello clodiano, in questo frattempo condotto a termine, e lo pregava di esaminarlo, promettendo di accettare il responso come se fosse « una sentenza di Cicerone », e, dissertando serrato sul dovere degli amici, di avvertirsi reciprocamente degli errori: 0 aruspices! (3). Antonio Beccadelli rimase lontano da Napoli la maggior parte della primavera e dell’ estate del 1448. Il Fazio, mentre continuava a scrivergli, tenendolo informato delle notizie politiche e militari, come un successo della flotta aragonese contro i Fiorentini (4) e la distruzione della flottiglia veneziana a Casalmaggiore (5) , attendeva di già probabilmente a scrivere le gesta di Alfonso, ma non era senza angustie finanziarie, (1) In Poggio, Epist., t. II, p. 351. (2) Sabbadini, Biogr. doc. di G. Aur., pp. 102 e segg. (3) Append. IV, docum. II. Cfr. sopra, p. 141. Qualche dubbio sulla presenza del Panormita in Roma, anziché in Napoli stessa, mentre il Fazio era alla Coronata, tuttavia non mi manca, tanto più che so essere inesatta la cronologia della vita dell’Aurispa stabilita dal Sabbadini per ciò che riguarda 1’ andata dell’ umanista siciliano a Napoli. Non ho però mezzo di appurar le cose. (4) Append. IV, docum. IV. L’allusione storica determina l’anno. (5) Append. IV, docum. V. Anche qui l’anno è determinato dall’allusione storica. — 16o — perocché il segretario regio indugiava troppo a pagargli le rate della sua pensione, nonostante il buon volere di molti suoi fautori che s’infra mettevano per lui : « Ho da far con uomo cosi duro » — si lagnava il povero Bartolomeo — « che non gli si può strappare neanche un denaro » (i). Forse per ciò appunto in quel mese di luglio intendeva recarsi in persona presso il Magnanimo; ma già il 24 scriveva al Panormita di averne smesso il pensiero. A partire dall’ agosto del 1448 la vita del Fazio ridiventa per qualche anno oscura. Quando il Valla lanciasse contro di lui la fiera risposta delle quattro Recn-minationes, se prima o dopo quell’ epoca, non consta neppure. Né io riempirò la lacuna con un esame minutissimo delle Recriminationes: basti dire che si aggirano intorno a questioni filologiche, storiche, grammaticali e retoriche, frammezzate, s’intende, da ingiurie ed improperi. Lorenzo, con un giuochetto di parole oltraggioso, chiama sempre 1’ avversario, non Facio, ma Fatuo ; e, tirato in ballo il Panormita, non risparmia neanche a questo le botte. La difesa é vigorosa ; ma talvolta invero con arguzie 0 con insolenze il Valla trova modo di batter la campagna, scivolando fra le mani del Fazio. In genere la conoscenza grammaticale e letteraria del latino sembra maggiore nell’umanista genovese; ma la profondità del pensiero ed il vigore dell’ argomentazione sono insuperate nel romano. Press’ a poco a tali con-chiusioni giungono anche il Nisard ed il Braggio, che hanno analizzato in modo più particolare il contenuto (1) Il testo ha munus; ma va letto numus, nummus. — 161 — delle Recriminationes Valliane : a me non giova rifare il loro lavoro, nè ridir ciò eh’ essi hanno scritto al riguardo (i). Bartolomeo si era messo davvero intorno alla storia di re Alfonso. Fin dalla sua nomina a regio storiografo aveva dovuto pensarvi, e Francesco Raimo, uom considerevole alla corte di Napoli ed amico del Fazio, e che sembra anzi essere stato un di coloro che lo raccomandarono al re affinché gli fosse affidato quell’ ufficio (2), 10 incoraggiava continuamente ad attendere con lena al al lavoro, tantoché, mentre prometteva di mandargli oquanto prima le invettive contro il Valla ed il dialogo De vite felicitate, 1’ umanista ligure soggiungeva : « Ben si addice a te sollecitarmi a compier l’opera, che per merito tuo ho intrapresa. Imperocché , quantunque io fossi per far ciò spontaneamente, nondimeno le tue esortazioni mi costringono ad ogni sforzo perché tu non sembri aver mentito a mio riguardo. Io non mi lascierò spaventare da nessuna fatica; solo potesse il mio lavoro riuscir degno del concetto che ti sei formato di me e (1) Una sola cosa importa notare, ed è che, riferendo il Valla le parole del Fazio, gli fa dire: Ut renovemus in nobis , que de Orlando ac Rainaldo in hac regione gesta memorantur, qualia fuisse Hectoris, Enee, Achillis, aliormnque principum frequenter atidivi. Hic plane apertissime indicas mirabilem prudentiam tuam, qui vulgaria inducens exempla, Orlandum nescio quem et Rainaldum, de quibus vel apud Gallos, unde orti sunt, vix ulla extat memoria liter arum monumentis prodita, Hectori, Enee, atque Achilli, quos summi poete historicique in celo laudibus extulerunt, comparas. 11 passo è curioso per la storia delle leggende carolingie in Italia. Tardi poi perdurò l’interesse della corte napoletana per la polemica Valla-Fazio, se ancora il 4 febbraio del 1474 11 Ippolito Sienese » riceveva ducati 32 « per aver scritto in ventotto quaderni di forma reale » tale « controversia ». Vedi Barone, Op. cit., p. 396. (2) Si deduce dalla Irase: Nc quid de me mentitus esse videaris, e da altre della lettera citata nella nota seguente. Atti. Soc. Lig. St. Patria. Voi. XXIV, fase. i.° u — IÓ2 — della gloria del sovrano ! Ma se io non potrò torse rispondere all’aspettazione tua e del re, mi salverà in parte la grandezza e la dignità delle imprese narrate. Poiché di qual principe hanvi nel mondo inteio gesta pari a quelle di colui che liberò dall’ assedio la regina Giovanna , prese Marsiglia, ruppe in battaglia il ie dei Mori, soggiogò il regno napoletano? Invero è opera di non mediocre ingegno e dottrina scrivere degnamente tali fatti ; tuttavia mi vi proverò, affinchè non sembri che io mi sia accinto temerariamente a tanta impresa, e tu mi abbia addossato sulle spalle un si gran peso, senza troppo pensarvi, massimamente che io avrò ban ditore delle mie lodi te , uomo di sommo giudizio ed autorità e di me così benvolente » (i). Una lettera di Bartolomeo a Gian Giacomo Spinola mostra com egli si concentrasse tutto in quel lavoro, fin tralasciando di corrispondere coi più cari amici per non distrane 1’ attenzione da esso (2). Innanzi al 1450 infatti i primi sette libri dell’ opera, costituenti come un tutto a se , erano terminati; anzi il Fazio aveva già scritto un altro libretto, De excellentia et prestantia hominis, che dedicò e mandò a Nicolò V (3). (1) Epist. VI, pp. 88-90. (2) In Mittarelli, pp. 372-373 : Veniam dabis... si longiore sum usus intermissione mearum ad te litterarum..... Nam cum properarem absolvere opus regium , rerum omnium oblitus, statueram ab ea re nec manum, nec animum retrahere, nullive alii negotio implicari, donec perfecissem. Quare eo nunc perfecto etc. Che la lettera sia del 1450, vedi sopra p. 22, n. 7. Però al 1449 appartiene la corrispondenza con Guarino Veronese e con Manuele Guarino, per 1’ andata di quest ultimo a Roma (Mittarelli, pp. 379'38°)- (3) Che la mandasse a Nicolò V, vedi lettera a G. G. Spinola citata nella nota precedente. Nella stampa in seguito al De vite felicitate (Hannover, 161 ij, è in- dicato come dedicato non a Nicolò V, ma a Pio II. L’errore della stampa però lu — i63 - Bartolomeo, da uomo accorto, aveva terminato 1’ ultimo libro colla descrizione del trionfo di Alfonso: era la glorificazione del principe. Doveva a questo pertanto riuscir grato il lavoro ; ad ogni modo non gli mancava nella bisogna l’aiuto del fido Panormita, il quale lo raccomandava con sue lettere a Battista Platamone, famigliare del re, ed al Magnanimo stesso. Al primo scriveva : « 11 nostro Fazio, uomo diligentissimo , ha già compiuto otto libri (sic) Delle cose fatte da Alfonso, a mio giudizio invero, degnissimi del re e dell’ immortalità del medesimo : leggili tu pure, e, se io ben ti conosco, se ben conosco il tuo intelletto, confesserai di non aver letto nulla di più soave, di più puro, di più splendido. Egli reca ad Alfonso il lavoro, frutto di lunghe vigilie, sperando dalla gratitudine del re alcuna lode della fatica e qualche premio singolare; imperocché, se questi si mostra riconoscente verso tale gli faccia omaggio di un cavallo o di un cane, che farà per costui che gli assicura 1’ immortalità? Che se mai il Fazio abbisognasse della tua opera e del tuo aiuto, ricordati eh’ egli è un altro Panormita, uomo a te devotissimo e fra quanti nutra la terra il più grato. Sta sano » (i). Ed al re a dirittura : « Va a te il Fazio, che scrive le tue imprese, portando seco, acciocché tu li veda, i suoi sudori e le sue elucubrazioni. L’ opera é condotta fino al trionfo di Napoli; a mio avviso invero, elegante, pura, soave già dimostrato dal Giorgi, Disquisitio de Nicolai V vita et erga litteras et litteratos viros patrocinio, p. 199 (Cfr. Zeno, Voss. , t. I, p. 69; Mehus, B. F. Vita, p. xxx, e B. F. scripta, pp. xxkvi-xxxvii). Anche dal Bandini, Cai. codd. latt. Bibl. Laur., t. Ili, p. 606, risulta dedicato il De hominis excellentia a Nicolò V. (1) Panormita, Epist. Camp., 24, pp. 346-7 (ma 246-47). — 164 — e bellissima. Ha seguito lo stile di Cesare (1), d1 lL11 nulla si legge in lingua latina più terso e più schietto. Predico che sarà opera lungamente duratura, e che andrà con somma tua lode per la bocca dei mortali e degl immortali. A te spetta dunque, si come è tuo uso trattar gli uomini dotti e savi, ricevere benignamente costui di te così benemerito, e fargli oneste e liete accoglienze, e rendergli eguale ed immortai beneficio; il che, se ben ti conosco, so che farai di certo, poiché ti si reputa, e sei, il più riconoscente fra i principi. Sta sano e trionfa » (2). Appunto nel 1450 era intenzione del Fazio recarsi nuovamente a Roma (3) ; ma se attuasse o no il disegno s’ignora. Che fosse per qualche tempo lontano da Napoli parmi non si possa dubitare, poiché in una lettera di quella corrispondenza con Giovan Giacomo Spinola, eh’ ebbi già sopra ad esaminare e dimostrare appunto di quest’ epoca (4), egli scrive che, al suo ritorno in quella città, manderebbe all’amico complures quaterniones epistolarum mearum, quas undique collectas, quoniam id me rogasti iamdiu, in unum volumen contuli, ed insieme il De prestantia et excellentia hominis. Da questa lettera sembra ovvio dedurre che Bartolomeo fosse dunque assente da Napoli, e già, a richiesta dello Spinola, avesse raccolto, com’era uso degli umanisti, (1) Di qui la nota di Enea Silvio Piccolomini, poi papa Pio II, al De dictis et factis Alphonsi, L II, § 13: Bartholomeum Facium, qui gesta regis scribit, non tniror imitatum esse in genere dicendi C. Cesarem, quando eius Commentarii regi tantopere placent. (2) Panormita, Epist. Camp, 23, p. 346 (ma 246). (3) Epist., in Mittarf.lli, pp. 572-373, e 376. Cfr. sopra, p. 154. (41 Cfr. sopra pp. 22-23, n. 7. — i6j — quante più lettere aveva potuto: circa centocinquanta , come dice egli stesso poco più sotto (i). Non occorre tornare a ridire le cose accennate in addietro riguardo alle relazioni tra il Fazio e gli Spinola, determinate, si può credere, dall’antica condizione del-1’ umanista presso quei nobili mercatanti : basti notare che tali relazioni mentre da una parte mostrano animo riconoscente in Bartolomeo, dall’ altra acquistano sempre maggiore importanza per quel che riguarda gli Spinola, il cui amor per le lettere, come avevali mossi a trar dall’ oscurità il Fazio giovanetto, li faceva allora trattar da pari a pari con lui divenuto illustre sol per gli studi. Ma se si ricordano le premure dell’ umanista per far ricercare in Francia certi classici antichi, parrà forse opportuno dir qui delle cure di lui per procurarsi libri e farne tesoro. In una lettera del Fazio a Guarino Veronese, di cui ebbi già a discuter 1’ epoca in una nota (2), 1’ umanista ligure, avendo ottenuto in prestito un codice di Celso di recente scoperto, chiede all’ antico maestro il favore di tenerlo tanto tempo che lo possa far copiare. Non altrimenti, avendo imprestato al Curio un Festo Pompeo, insistentemente glielo ridomanda, soggiungendo che non avrebbe lasciato quel libro a nessuno de’ suoi amici, lui escluso, al quale nulla poteva negare per la forza del-1’affetto che li legava, e nello stesso tempo lo prega e riprega gl’ invii pure le promesse Filippiche fatte appunto scrivere da Giacomo a sua richiesta: gli pagherà (1) Itaque pro denis fortasse episU'ìis, quas ad U hoc tempore superiori scribere potuissem, ad centum quinquaginta a me accipies. Mitt'arelli, p. 373. (2) Cfr. sopra, p. 138, n. 2. — r 66 — tosto la spesa fatta. Anzi, per meglio assicurarsi copia de’ libri ch’egli desidera, richiede l’amico di largii avere un garzoncello scrivano, poiché a Napoli i copisti sono pochi e tutti impegnati nel servizio del re: lo tratterà benissimo, e gli darà quanto sembra al Curio conveniente; questi non manchi di rispondergli al riguardo (i). E dal Curio stesso avendo inteso che quell’Antoniastro Grillo, del quale pure ho già fatto cenno (2), possedeva un Cornuto, si affretta a domandarglielo; e, quando il Grillo gli risponde trattarsi d’un libraccio barbaro — qualche grammatica medievale — pur offrendosi di mandarglielo, replica tosto : « Invero io mi meravigliava assai eh’ esso fosse presso di te, specialmente perche, essendo io a Genova, non solamente lo cercai, ma indagai ed investigai se mai ve ne fosse uno, e trovai che in tutta la città non ve n’ era alcuno. Ti ringrazio pertanto, se tra amici occorrono ringraziamenti, della buona volontà e del desiderio di farmi piacere; ma non voglio certo che tu mi mandi una cosa barbara. 10 ho sempre odiata la barbarie e la lasciai agli uomini barbari. Avrei paura, toccandola, di esser fitto anch’io barbaro pel contagio » (3). Non è noto in qual tempo, ma non é improbabile in questo, in cui, finita la prima parte del De rebus gestis Alphonsi, aveva alquanto agio ad attendere ad altri lavori — come provano il De excellentia et prestantia hominis e la collezione, disgraziatamente perduta, delle lettere — 11 Fazio scrisse pure un’ altra operetta ignota a tutti i (1) In Mittarelli, p. 386. (2) Vedi sopra, p. 17 testo e nota 3. (3) Epist. Ili, pp. 83-84. — 167 — suoi biografi, seppur non è ad identificarsi con certa Historiarum et chronicarum mundi epitome che la Bibliotheca Barberiniana dà come stampata a Lione nel 1533 (1), e di cui fa cenno anche il Zeno (2), ma senza averla veduta, come non la vide mai, ch’io mi sappia, alcun altro. È un libellus, secondochè si esprime l’autore medesimo, quo orbis terrarum situs continetur, qualis nunc est, non qualis ab antiquis describitur, cioè, spiega, iis nominibus adnotatus quibus hac aetate utimur. La notizia ci è data dalla lettera con cui Bartolomeo stesso mandavalo a Giovanni herrer, scusando la pochezza del lavoro col desiderio di fargli piacere : cc So infatti », egli dice, cc che, quantunque incolto, ti diletterà molto, perché sei solito a dilettarti di sifatte cose pel tuo aidor di conoscere tutto ciò che é notevole e degno ». Importa però rilevare che, accanto a quelle modeste dichiarazioni, sono queste altre caratteristiche per la determinazione della figura dell’ umanista ligure, cc Aspettati oro dai ricchi, da me lode e gloria eterna del tuo nome ». Sic! Sic! (3). Nel 1451 il Panormita era inviato da Alfonso come ambasciatore a Venezia, e quivi, naturalmente, quando le cose publiche gliene lasciavano agio, attendeva alla conversazione de’ letterati veneziani o stabiliti allora a Venezia. E primeggiando fra tutti Francesco Barbaro, con lui principalmente s’intratteneva, stringendo seco affettuosa amicizia, cosicché il dotto patrizio era diventato fi) Bibi. Barber., t. I, p. 393. Vi è pure accennata del Fazio una Historia suorum temporum, stampata a Basilea, 1597 ; ma aedo si tratti del De rebus gestis Alphonsi. (2) Voss., t I, p. 67. (3) In Mii-tarulli, p. 382. — 168 - in breve famigliarissimo suo e gli chiedeva in prestito un Marziale (i). Discorrendo insieme, non mancò il Panormita, come ottimo amico del Fazio, di tesserne le lodi al Barbaro, dicendogli dell’onorevole ufficio di storiografo affidatogli dal Magnanimo e dell’ egregio modo col quale Bartolomeo sapeva rispondere alla fiducia in lui riposta. Ne venne che il 18 agosto, essendo ornai il Beccadelli sulle mosse per ritornare a Napoli, il Barbaro gli diede una lettera per l’umanista ligure, tutta complimenti e consigli amichevoli, che terminava con quest’augurio mirabolano: « Sta sano, e in illustrar Alfonso supera non solo gli altri, ma te stesso! » (2). Recata al Fazio quest’ epistola dell’ insigne patrizio veneziano, il 26 di settembre gli rispondeva esser molti i benefizi fattigli dal Panormita, ma superarli tutti l’ultimo, di avergli cioè portata da Venezia l’amicizia di lui. E qui, si capisce, una serie di lodi smaccate al Barbaro, la solita affettata umiltà e, fra erudita retorica, alcune preziose notizie sulla composizione del De rebus gestis Alphonsi. La lettera fu adoperata da tutti i biografi di Bartolomeo, che si fermarono specialmente sul passo : Itaque libros septem iam edidi, quibus continentur que rex gessit a pruno eius in Italiam adventu usque ad eum diem, quo triumphum egit. Nunc bellum Picenum in manu est. Post Florentinum aggrediar (3). Su questo passo però, dopo le conchiusioni a cui siamo già arrivati fi) Barbaro, Epist., ed. Quirini, p. 313. (2) Questa lettera in Fazio, Epist. VII, pp. 90-92; in Panormita, Epist. Camp., 25> PP- 347-348 (ma 247-248), e in Barbaro, Epist., p. 158. (3) Fazio, Epist. Vili, pp. 93-96; in Panormita , Epist. Camp , pp. 359-361 (ma 259-261), e in Barbaro, Epist., p. 160. — 169 — più sopra, indipendentemente da esso, non importa più insister qui a lungo. Io non sono riuscito a determinare precisamente l’anno di una lettera di Bartolomeo al Beccadelli, datata Napoli 17 settembre (1). La frase: De rebus Tuscie alteris literis ad te separatila scribo, fa pensare o al 1448 o, più probabilmente, al 1452 od al 1453 (2), anzi a quest’ultimo anno di preferenza l’allusione alla probabilità di un prossimo viaggio di Alfonso in Ispagna. 11 Fazio conforta in questa lettera 1’ amico per la perdita di un nipote, ed al consiglio di lui pensasse ad accompagnare il re, risponde: « Circa ciò che tu dici che io pensi ad andare in Ispagna, v’é ancora molto tempo a pigliare un partito. Poiché il re non é per andarvi cosi presto, seppure ha deliberata 1’ andata, ciò che a noi ancora non risulta... Questo so, che io non ho voglia dì commettermi alla Fortuna. Troppo a lungo ho già dovuto patire, come tu sai, e tanto non avrei potuto sopportare se non fossi stato in Italia fra i miei, dai quali fui aiutato e sorretto. Che mi potrebbe accadere lontano dalla patria, lontano da tutti gli amici e conoscenti? Chi mi aiuterebbe in caso di bisogno? Chi mi consolerebbe ammalato? Chi mi riaffermerebbe disperante? A tutto questo bisognerà pensare, se sarà da far il viaggio. Ma di questo discorreremo più lungo di presenza fra breve ». É notevole ciò l’umanista ligure scrive al siciliano circa un tal G., che non saprei con (1) Append. IV, docum. VI. (2) Cfr. Perrens, Histoirc de Florence depuis la domiiialion des Medicis, t. I, pp. 149 c segg., Parigi, Quantin, 1888. — 170 — chi si possa identificare (i), e che era caduto in sospetto al Panormita: Bartolomeo dice di non comprendere la ragione di questi sospetti, poiché G. pensa e parla bene di lui, tranne che 1’ amico sappia cose eh’ egli ignora. Neanche d’ un’altra lettera del Fazio al Beccadelli con data Napoli 23 novembre (2), ho potuto determinar l’anno. Poiché vi si parla del Curio come definitivamente stabilito a Napoli in qualità di regio copista, siamo certamente dopo il 1451 (3). Vi si parla in modo oscuro di parecchie cose, fra cui di un prossimo viaggio del Parnormita ; e Bartolomeo conchiude al riguardo : « Avvenga ciò che sarà meglio pel re e più salutare per te! ». Se si pensa che il 10 ottobre 1453 messer Antonio era destinato ambasciatore a Genova (4), nasce il dubbio che possa trattarsi appunto di questa missione ritardata e che la lettera in questione appartenga a detto anno. La cosa sembra tanto più probabile che in altra lettera, pur senz’anno, colla data Napoli, 12 dicembre (5), il Fazio scrive all’amico che potrà aiutare a riaver le cose sue, di cui Alfonso avevagli promessa la restituzione, un certo Paolo, nipote di Paolo De Marini, uomo amantissimo del Beccadelli e molto legato con Bartolomeo stesso presertim cum Genuam iturus sts. Quest’ultima lettera mi pare indubbiamente del 1453 » (1) In Sabbadini, Biogr. di G. Aur., pp. 119-120, si riporta una lettera del-l’Aurispa al Panormita del 1453, cu‘ è menzionato due volte un Galione. Ed un Galeotto è pure ricordato in Append. IV, docum. VII. (2) Append. IV, docum. VII. (3) Vedi sopra, p. 45. (4) Minieri Riccio, Op. cit., p. 425. È per me un grave inconveniente non aver potuto vedere il Colangelo, Vita del Beccadelli, Napoli, 1820. (5) Append. IV, docum. Vili. - i7i — epperò il viaggio a Genova sarebbe stato da parte del Panormita alquanto ritardato. In essa vuol essere rilevato come dovesse venir fatto un certo pagamento a Matteo Malferito, uom cospicuo della corte Aragonese, cui Vespasiano de’ Bisticci ha consacrato una biografia (i) e che dovrò di nuovo ricordare fra poco : per detto pagamento Antonio aveva mandate lettere un po troppo generiche, ed il Fazio lo richiedeva perciò di altre più particolareggiate. Frattanto il 15 maggio del 1453 Poggio Bracciolini aveva rinunziato al postodi segretario apostolico, pur conservandone il nome, ed era passato a’ servizi della repubblica Fiorentina. Ardendo la guerra tra Alfonso e Firenze, naturalmente i suoi rapporti col Fazio e colla corte napoletana erano interrotti: del che non poteva egli non dolersi, memore del premio avuto altra volta dalla magnificenza dell’Aragonese. Ristabilita pertanto la pace, il 2 marzo del 1455 il Bracciolini scriveva all’umanista ligure, scusandosi e giustificandosi alla meglio del prolungato silenzio dappoiché aveva abbandonato la curia romana, chiedendogli notizie de’ suoi lavori, protestandogli avrebbe gratissime lettere di lui. Ma se Poggio riannodava così premurosamente la relazione con Bartolomeo, non era senza ragion d’interesse; chè infatti in quella lettera medesima egli pregava il Fazio ed il Panormita di un servizio. Aveva composta una lunga lettera-discorso ad Alfonso per esortarlo, poiché colla sua saviezza aveva ristabilita la pace in Italia, a pigliar l’armi contro i Teucri, vale a dire contro i Turchi, perniciosissimi nemici della tede (1) Pp. 400-401. — 172 — cristiana (1). Or questa epistola - orazione desiderava esaminassero Antonio (ch’egli per isbaglio diceva Giovanni) e Bartolomeo, pregandoli, se la giudicassero cosa conveniente, la presentassero quindi al re, c poi, lettala, riferissero a lui ciò che ne pensasse l’aragonese (2). t . , , Ed il Fazio rispondeva il 14 aprile rallegrandosi de rinnovati rapporti con tant’uomo, lodandone il partito di passar gli ultimi anni della vita in patria e congratulandosi dell’alto ufficio ottenuto. Diceva poi ch’egli ed il Panormita avevano letta ed ammirata la sua epistola ad Alfonso, ed il Beccadelli l’aveva fatta scrivere in pergamena pulcherrimis litteris da Giacomo Curio. Il che tatto, egli, Bartolomeo, con Antonio e con Matteo Malferito presentatosi al re, la lesse e pronunciò in magno cetu summorum *virorum clara voce a capite ad calcem tanta regis attentione, ut nec oculos unquam a recitante dimoverit. Particolare caratteristico: il re era a caccia, e benché i cacciatori gli segnalassero una volata di uccelli, chiamandolo a gradito sollazzo, non poterono distrarlo dall’ ascoltare il capolavoro del Bracciolini. Se non era vero, era ben immaginato; la cosa sarebbe stata, del rimanente, affatto nella natura di Alfonso. Nella stessa lettera continuava il Fazio a dire degli elogi del principe, che aveva ordinato si riponesse lo scritto Poggiano nella sua biblioteca, e di tutti gli astanti; delle cose soggiunte in onor di lui dal Beccadelli, dal Malferito, da Bartolomeo stesso ; e da ultimo, passando a toccare delle cose proprie, affermava essere (1) La lettera ad Alfonso è difatto fra le Poggiane a stampa. (2) In Fazio, Epist. XII, pp. 101-102, in Poggio, Epist., XII, 24. — >73 — ornai avanzato nel libro decimo , cioè nell’ ultimo , del De rebus gestis Alphonsi, tantoché, se questi imprendesse realmente la spedizione contro i Turchi, avrebbe dovuto aggiungere un undecimo volume per non ingrossar quello troppo più del conveniente. A mo’ di conchiusione, inviava i saluti suoi a Giannozzo Manetti ed a Franco Sacchetti viris clarissimis, e quelli del Panormita a lui Poggio coll’ avvertenza di non dimenticarne in avvenire il nome, Antonio, non Giovanni (i). Contemporaneamente Matteo Malferito scriveva a Vespasiano de’ Bisticci — e Vespasiano, si capisce, mostrava subito la lettera a Poggio — per informarlo del successo che 1’ epistola Braccioliniana aveva conseguito presso il Magnanimo per merito principalmente del Fazio. 11 21 di maggio l’umanista fiorentino scriveva garbata-mente al Malferito (2); a Bartolomeo poi rispondeva amplissimi ringraziamenti (3). Si é veduto come nell’aprile del 1455 il Fazio fosse ornai alla fine del suo De rebus gestis Alphonsi: non dovette tardar molto a compierlo affatto. « Finita, niente di manco correva la sua provisione » di ducati cinquecento. Ma invero egli « desiderava d’ avere dugento o trecento fiorini, oltre a quello che aveva per 1’ ordinario. Parlonne col Panormita e con messer xMatteo Malferito. Ordinarono, che una mattina egli arrecasse questa istoria alla maestà del re, e furonvi e messer Antonio e messer Matteo presenti quando la recò. Presentandola al re, la (i) Fazio, Epist. XIII, pp. 102-104. (a) Poggio, Epist., t. Ili, pp. i73_I74* (5) Fazio, Epist. XIV, pp. 104-105; in Mai, Spie. Rom., t. X, pp. 34S-346» e in Poggio, Epist. XII, 28. % — i74 — prese, e lesse una espugnazione f. 23 r.] Barth. Faccius Ant. Panhorm. s. Vix evolvi tabellas decem, et iam plus quatn ducentos errores repperi : in quibus ridicula quedam et pueriliter dicta. Habebis quod rideas. Prosequor reliquum. Tu vellem Regi significares nihil negotii mihi datum esse post diem Iovis a Ioanne, ne postea miretur me tam parum tale (sic) texuisse, et mihi hominis illius negligentiam assignet. Hoc vesperi te conveniam. Vale, mi pater et dux. Bartholomeus tuus. II. Al medesimo. [Bibl. e cod. citt., f. 23V.-24 r.] Barth. Faccius Ant. Panhorm. s. d. Quanti faciam iuditium tuum, Antoni vir clarissime, et antea et multis cognoscere potuisti et nunc maxime poteris, quod compositum a me opusculum De bello veneto prius edere nolui, quam illud correctioni tue subicere. Neque enim me latet que sit tua — 276 — in iudicando prudentia atque acumen, queve auctoritas, eaque omnium laude digna esse que tu laudes ac probes. Ego vero m ceteris rebus te velim mihi amicum prestes; in hoc vero iudicem, qualem Quintilius Varrus, ut ait ille, prestare se solebat in examinandis amicorum operibus. Qui corrige sodes; hoc aiebat, et hoc nec amicum per adulationem sinebat in errorem labi, unde ad illum aliquid de[de]coris pervenire posset. Qui enim amicorum errata non corrigunt, ii profecto in amicorum numero habendi non sunt. Videntur enim amicorum infamia et dedecore gaudere ; quod quidem longe alienum est ab amicitie lege. Tu vero, si consuetudinem tuam tenueris ac si me amaveris, ut facis, argues ambigue dicta et mutanda notabis atque emendabis, nec adulationi aliquod, sed totum veritati dabis. Ego vero quicquid correxeris, tamquam Ciceronis sententiam sequar. Illud autem te rogo, ut quam citius possis, opusculum ipsum emendatum ad me remittas, et quid de genere dicendi sentias, mihi aperte dicas aut scribas. Erit hoc mihi vehementer gratum. Si vero loca illa, que sunt annotata in marginibus, quibus nominibus ab antiquis appellata sunt scieris aut coniectare potueris, pergratum itidem mihi feceris si eas partes correxeris. In primis autem a te peto ut orationes interiectas, que a me excogitate sunt — neque enim quisquam in tanto opere linguam videtur habuisse — mature corrigas atque amplifices. Habes Aurispam domi virum non mediocris ingenii atque doc-trine, quem licet numquam viderim, tamen ob virtutes eius ipsum vehementer diligo. Est quod eius apud me magna auctoritas, hunc etiam operis mei correctorem et iudicem esse velim, si ita ei phceat, cui me rogo commendes et omnia mea studia polliceare. • Visum eum propediem. Vale, meque tuum esse tibi fac persuadeas. Neapoli, apud Coronatam, die xxim aprilis 1444 (ma 1448). - 277 - III. Al medesimo. [Bibl. e cod. citt., f. 24r\ Bartolomeus Faccius Ant. Panhor. sai. die. Scribit ad me amicus Virgilium illuni esse Blasii de Axereto et eos quibus mandata est eius libri yendicio petere pro eo aureos centum, se vero nullam potestatem codicis ipsius habere, sed tamen curare posse ut ematur eo precio nomine r[egie] m[aiesta]tis, quando sibi ita placeat. Paratum tamen esse se, si velit r. m.tas, emere ipsum pecunia et mittere ac dono dare ipsi regi. Habes rem. Tu constitue quid fieri velis ante quam Calocius abeat. Ego tum, ut aperte dicam meam sententiam, non suadeo ut amico meo imponatur onus emendi codicis ea pecunia, quamquam scio id non ferret rex pro innata modestia. Sed si eius ma.u cure est liber ipse, emi iubeat et eius emendi negotium dabitur amico meo. Venissem ipse ad te, sed sum in scribendo occupatus. Vale, mi pater et dux. IV. Al medesimo. [Bibl. e cod. cit. f. 24 v.~\ Barth. F. Ant. Panhor. viro prestantissimo s. d. Non utar multis in scribenda ad te navali victoria felicissimi regis nostri, quoniam rei ordinem scire poteris ex literis Bernardi nostri, qui omnia ad te scribit diligenter ex literis cl. equitis Boffardi Cicinelli. Triremes ille quatuor Florentinorum, que, ut scripsi tibi, paulo ante Plumbinensibus auxilium tulerant, cum rursus venirent ut commeatum exercitui hostium deferrent, ad baratrum in sex — 278 — nostras et tres naviculas inciderunt, quas rex, illorum reditu cognito, comparaverat, in singulas earum sexaginta, in singulas vero naviculas octoginta sagittariis impositis. Que cum effugere non possent, quia erant littori propinquiores, proras in naviculas nostras, que in se remulco agebantur, converterunt. Acre et cruentum prelium fuit usque ad noctem, in quo multi utrinque ceciderunt. Tandem is eventus pugne fuit, ut hostes, duabus triremibus amissis, aufugerunt, nec ee quoque aufugissent, nisi nox intervenisset, que earum conspectum nostris sustulit. Qua re cognita, hostilis exercitus, qui, ut tibi scripseram, proprius regia castra accesserat, ante lucem inde movit et retro concessit. Fuit hec victoria profecto provinciae maior atque amplior. Hac enim clade Plumbinenses omnem spem maritimi auxillii dicitur amisisse; quo facto necesse est ut in regis potestatem perveniant. Quod si contigerit, Caieta altera Tuscie parata est. Recte sane hunc regem nostrum sepe dixisti Fortune filium. Videtur enim mihi Fortuna facere, que ille vult, omnia. Exercitus noster nunc habet pabuli copiam, cuius maximam inopiam habebat prius. Sed hec satis. Mutavi consilium de profectione mea ad regem. Ita enim mihi suasit vir cl. Math. Malferitus, hinc hodie cum triremi Castrimaris discessurus. Confidit enim se posse in re mea efficere apud regem quod ego ipse penes efficerem. Curabo interim exigere quicquam de preteriti temporis pensione, in qua re Bernardus noster sedulo laboravit et laborat apud secretarium, cuius animus aliquantulum videtur esse in me demollitus. Scito vero tuos omnes bene valere. Vale, et viceregi viro illustri me plurime commenda et dede. Ex Neapoli, die xxim iulii, raptim (1448;. — 279 — V. Al medesimo. [Bibl. e cod. cit., ff. 22 v - 23 r.] Bartholomeus Faccius Antonio Panhor. viro clarissimo sai. die. De rebus meis nil novi habeo quod scribam. Est mihi res cum durissimo homine a quo ne numus quidem extorqueri potest. Ceteros habeo faventes. Verbis tamen utitur humanissimis et amicissimis. Nescio quid hoc sit. Prestet Deus finem aliquando his laboribus meis. Que prolata sunt e castris regiis ex inclusis litteris cognosces, quarum altere sunt ex marchione Estensi, altere ex domino Boffardo. Videbis cladem illatam Venetis in flumine Pado, que fuit maxima et pene incredibilis. Ceperunt hostes classe vinci: nam altera pars mari, altera flumine superate (sic) sunt. Neptunum adversum habent et iratum, ut videtur. Res nostris prospere succedant. Recte valent tui omnes. Vale. Ex Neapoli, die xxviii iullj, raptim (1448). Fac rescribas aliquando, si vis ad te sepe scribi. VI. Al medesimo. [Bibl. e cod. cit., ff. 2 51»-26r e v.] Bartholomeus Faccius Ant. Panhor. s. d. Reddita est mihi a te epistola quarto kal. septembris obsignata, qua mihi videbare nescio quo dolore affici, quem quoniam scire ex litteris tuis non poteram — neque enim rem exprimebas ex tuis cognovi. Ii enim mihi dixerunt nepotem quendam tuum, archiepiscopi fratrem, proxime mortem obisse. Quod sane pro meo in te et archiepiscopum amore atque observantia graviter tuli, — 28o — eumque casum mihi communem existimavi. Afferrem autem aliqua ad levandum dolorem tuum, nisi te pro tua sapientia scirem iam dolori finem statuisse, et aliena medicina non egere, nec imperitos phisicos imitari, qui alliis mederi scire se egrotantibus profitentur, sibi vero, cum in morbum inciderint, mederi nesciunt. Et imprimis te monuerim uti adimadverteres id, quod est primum et maximum: nos ea lege natos ut quam sumus ingressi vitam, ex ea aliquando egrediamur. Nos esse habendam in malis mortem, que et summis ac infinitis laboribus nos liberet et ad meliorem vitam traducat, ubi evo fruamur sempiterno. Ferendum equo animo quod vel maximis quibusque principibus atque adeo omnibus accidat. Non debere existimari parum diu vixisse, nec eius etati iniuriam factam, qui quod ad vivendum datum fuit, honeste ac pie vixerit. Frustra lachrimas, frustra suspiria emitti, quum quod flemus lacrimando ac suspirando recuperari non liceat. Eos casus fortiter tolerandos esse, qui nulla ratione nullaque arte a nobis declinari possint. Denique non esse sapientis expectare temporis medicinam, cui ratio ipsa mederi posse. Sed hec omnia et alia multa a sapientibus collecta et literis tradita scio iam cogitare pro animi tui constantia cepisti, etsi ea fortasse primo impetu, dolore occupatus, minus considerare potuisti, quod idem puto accidisse archiepiscopo viro prudentissimo. Neque enim, cum sit tot tantisque virtutibus preditus, hanc unam tam excellentem tamque laudabilem sibi deesse ; presertim cum te habeat, quem imitari possit et debeat. Sed hec quidem hactenus. Quod scribis ut de Hispania adeunda cogitem, id multum adhuc temporis habet ad deliberandum. Neque enim tam cito eo abiturus est rex, quum ita omnino constituisset, quod nobis adhuc incertum est, ut non possimus ut maturissime de re ipsa una consilium capere. Id modo unum dicam : Non sum me Fortune commissurus. Satis incommodi sum expertus diu, ut scis, quod ferre nullo modo potuissem, nisi in Italia inter meos fuissem, a quibus aaiutus ac sustentatus sum. Quid putas mihi accideret procul ab omnibus amicis ac notis ? Quis egenti subveniret ? Quis consolaretur egrum? Quis desperantem confirmaret? Hec omnia nobis cogitanda sunt, si eundum erit. Sed plura de his propediem — 28i — coram. Ego enim ex literis tuis spero te videre ante kalendas octobris, cuius reditum scito a tuis vehementer expectari. De rebus Tuscie alteris literis ad te separatim scribo. Tu vero velim etiam atque cogites de me ante discessum istinc tuum una cum preclarissimo Sicilie preside, cui me commendabis. De G[aleono?] nescio cur in istam suspicionem veneris, nam is de te bene sentit et loquitur, nec audivi eum quicquid de te queri. Tu fortasse aliud scis, quod ego ignoro. Ut ut sunt mores hominis, tamen a te amandus atque adiutandus est pro viribus. Vale. Ex Neapoli, xvii septembris, raptim. S.rao et cl. archiepiscopo me commendato. VII. Al medesimo. [Bibl. e cod. cit. f. 22 re v.J Bartholomeus Faccius Antonio Panhormite s. d. Attulit mihi Rodericus Vitalis vir frugi litteras regias, quales maxime optabam. Pro quibus conficiendis et signandis qua sis usus diligentia et ipsius facti celeritas indicat, et ex Galeono nostro, qui multum in eo laboravit, satis cognovi. Pro eo quas possum humanitati tue gratias ago habeoque. Quinterniones illi triginta quinque, quos mihi corrigendos reliquisti, ut paulo ante ad te scripsi, iam correcti sunt. Nec ii solum, sed et aliquot alii, quos recens transcripsit Iacobus noster in supplementum eorum, quos Gallina excribere ceperat. Nam statim ubi vidimus id tantopere expeti a rege, ipse in transcribendo, ego in emendando omne tempus posuimus, relictis negotiis ceteris, nec desistendus donec hoc opus perfecerimus, quod, ut speramus, ante hunc quintundecimum diem erit ex omni parte absolutum; quod volumus regi nunties, ut sciat nos mandata sua cum cura et studio exequi. Cuius maiestati nos vehementer commendes petimus. Expecto autem scire an contabulari et a quo velis hec duo volumina, ubi erunt scripta — 282 — et emendata ; que due res, ut dixi, uno fìent tempore. Laurentius infelix tuus de Sancto Miniate scribit alligatas domino Marino, quas illi reddas adiecta quadam commendatione non vulgari. Petit efficias una cum illo ut mandetur a regia maiestate viceregi, ut cause sue cognitores absque dilationi dentur, meque vehementer rogavit ut se tibi commendarem per litteras quod possetn. Quapropter te rogo etiam atque etiam, ut, quod te pro tua erga me benivolentia facturum scio, id etiam mea gratia aliquanto studiosius ac celerius agas, ut ex hac miseria et sorde excipiatur. Omnis spes sui liberandi in te potissimum coniecta est. Quapropter a te opera danda est ne diutius in carcere teterrimo ac vinculis maceretur. Si quid autem est, quod a me agi curarique per te velis, impera. Nos adhuc de tua profectione pendemus. Utinam id fiat, quod et regi optimum et tibi salutare futurum sit ! Dominus Henricus Podericus noster ad alligatas litteras de tua tibi scribit, Vale. Ex Neapoli, die xxm novembris, raptim. » VIII. Al medesimo. [Bibi, e cod. cit., f. 25 r.] Bartholomeus Faccius Antonio Panhormite sal. dic. Littere pro re domini Mathei, quas misisti, nullius sunt momenti. Tantum iubent ut ei solvatur, nec in eis expressum est tam pro tercia preterita, quam pro presenti, et ex quibuscumque pecuniis fiscalibus provincie Calabrie. Ita dicit Rentius, cui ipsas reddidi, qui miratus est mecum eas tam generalibus verbis scriptas esse. Quare oportet, si cupis domino Matheo satisfieri, ut denuo mandetur per litteras ipsi Rentio solvat tam de preterita tercia quam de presenti de pecuniis focularium et quorumcumque aliorum proventuum fiscalium. Quod ut quam primum efficias te rogo, quoniam tempus celeritatem, ut vidis, exigit. Accedit vero istuc cum hisce literis — 283 — Paulas, nepos domini Pauli de Marinis hominis ut scis, tui amantissimi, mihi vero coniunctissimi et patris optimi, ut recuperet, si possit, reliquum rerum suarum, quas sibi restitui iussit regia m.,as; quod quidem reliquum tua opera et rogatu, presertim data tibi occasione cum Genuam iturus sis, impetrare sperat, atque et de alia quadam merce quam e(t) regno volunt asportare licentiam petat. Quapropter eum et rem eius tibi sic commendo, ut si mea esset. Quidquid pro egeris boni commodique, pro me ipsos actum existimabo. Per eundem Paulum, vel si quis alius prius ad nos venerit, litteras domino Matheo mittere poteris, que ut intelligatur cuius-modi esse velint, in hisce litteris verba annotavi, que mihi Rentius ipse dixit. Si quid vero a me agi vis, iube. Vale, ex Neapoli, xii decembris. APPENDICE V. ALCUNE RELAZIONI DI PIER CANDIDO DECEMBRIO CON GENOVESI (i). L’importanza di Pier Candido Decembrio, 1’ umanista lombardo che mi é occorso più volte ricordare in questo lavoro, mi mosse a disegnarne una compiuta biografia, finora mancante. A tal fine, oltre i documenti di archivio che già possedeva, cominciai ad esaminare e trascrivere il ricchissimo epistolario, di cui sovratutto abbiamo quattro codici diversi che reciprocamente si compiono. Il codice che abbraccia le lettere più antiche è il bolognese 2387, che appartenne prima consecutivamente a tre vescovi-di Brest' ’ " — Jej monastero vicende (2) e finalmente è passato nell* Universitaria di quella città. Segue, in ordine cronologico, il Riccar-diano 827, già di Nicodemo Tranchedino e recante lo stemma di sua famiglia secondo una nota manoscritta (1) L’introduzione di quest’ appendice deve le sue più preziose notizie alla inesauribile cortesia del prof. Belgrano che vi inserì capitalissime aggiunte.. (2) Sulle vicende della biblioteca del monastero di san Salvatore in Bologna cfr. L Frati, in Rivista delle biblioteche, t. V, nn. 13-15, PP-1 e segg., Firenze, 1889. di san Salvatore le svariate — 286 — di Lorenzo Mehus : l’autore stesso lo dice Librurn novissimarum epistolarum. Credo segua il codice di proprietà privata del marchese Saporiti di Vigevano, che finora non ho potuto studiare e conosco solo per la segnalazione del Butti (i). Viene per ultimo l’Ambrosiano I, 235 inf., da cui sono tratte le lettere latine del Decembrio da me precedentemente pubblicate in questo lavoro. Or avendo avuto in mano i codici Bolognese 2387 e Riccardiano 827 troppo tardi per potermene valere nel testo, do conto in quest’ ultima appendice de’ documenti che riguardano 1’Umanesimo ligure, facendo seguire la notizia riassuntiva ed illustrativa dal testo medesimo. Di Paolo D’Oria, sebben uomo a’ suoi di illustre, le notizie sono molto scarse; e il Federici nota appena che nel 1406 fu in patria dei consiglio degli anziani e del- 1 ufficio de’ maestrali (2). Da quanto in occasione di una morte scrive il Decembrio, pare avesse con quest’ ultimo rapporti molto stretti, quasi di maestro a discepolo. Pier Candido lo piange sinceramente (3); e Filippo Coppola, cui egli ne scrive, promettendo dirne le lodi, molto se ne ripromette per la fama del D’Oria (4). Ad un Carlo Fieschi, diverso da quello superiormente accennato (5), perchè l’uno appar giovane, l’altro (1) I fattori della repubblica Ambrosiana, pp. 17-28, Vercelli, Gallardi, I871. (2) Federici, Abecedario delle famiglie nobili di Genova, ms. nella Bibl. della Missione Urbana, t. I, car. 145 r. (3) Documento I. (4) Documento II. (5) Pag. 25. — Il Fieschi ivi ricordato era figlio di Carlo qm. Antonio, del quale i genealogisti han notizie fino al 1466, e mori senza lasciar prole maschile. Battilana, Genealogie delle famiglie nobili di Genova, Genova, 1825, Fatti. Fieschi, p. 5. — 287 — in età matura, è indirizzata una lettera-discorso De nobilitate domus sue deque laude senectutis et congratulatio matrimonii neptis eius (1). Carlo al quale è diretto lo scritto, e di cui i genealogisti ci continuano le notizie fino al 1421, nacque di Giovanni e fu nipote di Carlo capitano del popolo in Genova nel 1317. Il matrimonio, poi, del quale si rallegra l’autore, è quello di Iacopo figlio di Gabriele e nipote di Filippo Maria Visconti; ma chi fosse la sposa propriamente non sappiamo, perché di essa taciono così le genealogie Viscontee come i nobiliari genovesi; i quali mentre al Fieschi danno quattro nipoti, cioè Donella, Bianca, Luchina e Sobrana o Susanna, registrano soltanto il matrimonio della prima con Iacopo Appiano signor di Piombino, e quello della seconda con Giovanni di Oberto Grimaldi (2). Luca, il padre della sposa, come ricaviamo dalla lettera, era premorto alle nozze; e la più recente notizia che di lui trovammo si riferisce ad una ambasciata a Marsiglia, dove egli fu nel 1410, per adoprarsi nell’estinzione dello scisma che travagliava la Chiesa. Antonio, figlio di Luca, rammentato pure nel nostro documento, sposò Ginevra di Rolando Fregoso, e mori nel 1428 (3). Il documento non dice propriamente che ne sia autore il Decembrio; ma poiché si trova tra le sue Epistole senza altra avvertenza, niuna ragione per dubitare non sia di (1) Documento III. (2) Litta, Fam. Visconti, tav. vi ; Federici, Abecedario ms., t. II, pp. 50 e 52 ; Id., Trattato della famiglia Fiesca, Genova, s. a., p. 65, 69 segg.; Buonarroti, Alberi genealogici di diverse famiglie nobili, ms. della Civico-Beriana, t. I, p. 374; Battilana, Fam. Fieschi, p. 4. (3) Federici, IL cc.-, Battilana, /. c. — 288 - luì. Nè il Fieschi vi appare propriamente uno studioso; ma il coraggio di subirsi una tirata come quella, tutta retorica encomiastica, tranne pochi passi d’ interesse storico — e questo scarso ancora, come abbiamo veduto — mostra che di Umanesimo egli doveva pure dilettarsi. Ben più notevole é la lettera di Pier Candido stesso all’ arcivescovo Pileo De Marini, intorno alla morte di Paolo Valerio Decembrio suo fratello (i). Vi scorgiamo anzitutto una nuova prova dell’ origine curiale dell; U-manesimo ligure; inoltre la relizione della dotta famiglia vigevanasca col prelato genovese appare molto stretta, se Pier Candido poteva permettersi, sii pure nello stogo di acerbo dolore, un linguaggio piuttosto vivo e quasi di rimprovero. L’anno di questi lettera manca ; ma poiché segue immediatamente li conzi^'.'-.oriz rer la morte di Braccio da Montone datata 1/ 'aglio 1424- e precede di poco un altro documento dei I.1 settembre ài detto anno, si può comprendere ira i due termini accennati. Scarsi documenti si posseggono di Giovanni Stella. cel quale, oltre agli annali in continuazione " quelli di Giorgio suo fratello, sono le e?:^ri£ mortuarie in esametri latra: dell arcivescovo Guidone Settimo alia Ler-vxr-a e del beato Giovarmi dì Orio a santo Steràno in a (d\ Perciò il lettore troverà, credo, con riacere. una ietterà dì luì al Decembrio, celia t’oale si -allegra 3' ^Murati) iv. s" Ahs.;:y. Sgwr - tiSi» — 289 — per la recente conchiusione della pace (1); come sarà grato al Novati di avercene indicata un’ altra, diretta dal-1 annalista a Coluccio Salutati (2). Siccome gli ultimi documenti della raccolta del codice bolognese sono del 1433, e qui siamo appena verso la metà del codice, la pace dovrebbe essere del 1426, al più tardi del 1428; ma nessuna pace tra Genova e Milano si trova in quest'epoca, poiché dal 1421 al 1435 Genova è appunto sotto la signoria del Visconti (3). Nel 1435 > Poco Prima che Genova rompesse guerra con Venezia nell’ interesse del duca Filippo Maria, parecchi umanisti al servizio di questo principe indirizzarono bellicose esortazioni alla repubblica genovese. Già si é fatto cenno in addietro (4) di quella del Panormita; una vigorosa troviamo pur del Decembrio (5). Sebbene, al solito, vi abbia gran parte la retorica, 1 ’Exortatio a difendere la gloria e la dignità genovese contro i Veneziani piacque e fu elogiata da un uomo di cui si è già dovuto far cenno più volte come studioso e mecenate, Raffaele Adorno, che ne scrisse infatti complimenti all’ autore (6). (x) Documento V. (2) Bullettino dell’istituto storico italiano, num. 4, Roma, 1888, p. 101, n. 257. (3) Che non sia la pace, stipulata appunto nel 1428, fra il re Alfonso d’Aragona e Genova, e, per conseguenza, implicitamente, col duca Filippo Maria Visconti suo signore (cf. Giustiniani, Annali, II, 311), mostrano le parole dello Stella, p. 307, 1. 8. (4) Pag. 131, n. 1. (5) Documento VI. (6) Documento VII. Atti Soc. Lig. St. Patri*. Voi. XXIV, fase. i.° '9 — 290 — Di Andrea Bartolomeo Imperiale ebbi già nel testo a discorrere con una certa larghezza (1). Le tendenze umanistiche di lui appaiono però anche meglio nella sua abbondante corrispondenza col letterato vigevanasco (2). Non solo il patrizio genovese afferma aver carissima 1’ amicizia di Pier Candido e dilettarsi sommamente di ricever lettere di lui, mentre si duole di scrivergli troppo breve, ma assevera di consacrare agli studi tutto il tempo che le cure pubbliche e private gli lasciano; si picca aneli’ egli di scrivere lettere a Carlo Lomellino, comandante nel 1434 di una spedizione guerresca in Crimea (3), a Lionello d’Este e ad altri, di carattere prettamente umanistico; inizia un Apologeticus pro Lactantio adversus criminatores suos, e cerca con premura di aver tutte le « novità letterarie » del giorno. La lettura • * 1 di questa corrispondenza, della quale ci sono giunte più lettere dell’Imperiale al Decembrio che di questo a quello, è una rivelazione sulla profondità della coltura umanistica nel patriziato ligure e dell’ intensità del sentimento di • • * cui esso era animato ; perciò grandissima è, a mio avviso, l’importanza della medesima. Chiudono le serie dei documenti di quest’ Appendice due lettere scambiate fra Pier Candido e Battista Di Iacopo parente , forse figlio, dell’ umanista Bartolomeo (4), e del quale, per una lapide murata ne’ portici dell’ università di Pavia, sappiamo come fosse colà rettore del (1) Vedi sopra pp. 15-16. (2) Documenti Vili e IX. (3) Cf. Heyd, Le colonie commerciali degli Italiani in Oriente (trad. Mùller), Venezia, 1866-68, voi. I, p. 456; voi. II, p. 145. (4) Vedi sopra p. 10. — 291 — collegio giuridico (1). Anche nel Di Iacopo appare un vivo sentimento umanistico ; e queste due lettere (2) non mancano d’interesse per la storia della coltura italiana nel Quattrocento. (1) Ecco il testo dell’ iscrizione, che è stato cortesemente riveduto sulla pietra dal ch. prof. Vittore Bellio di quella r. università : -j- Hanc tolus cetus studii papiettsis honori Katarina tuo statuit pia sancta capellam in quo constituit sua quatuor esse sepulchra: annis mille suos Phebus tunc volverat ortus ter centum is iunctis qui securn iure tenebant lustra novern bis iunctus erat quibus unicus annus a Christi natu numeri ratione notata principis illustiis Galeae Vicecomitis atque Virtutum comitis tunc sub dicione Papie urbs erat et studio generali leta manebat existentibus domino Batista de Iacopo de Ianua rectore iuristarum et magistro Antonio de Cusano de Mediolano rectore medicorum et ar-tistarum et domino Iohanne Petro de Ferrariis priore iuristarum et magistro Christoforo de Salso de Placentia priore medicorum et arlistarum, supradicto mccclxxx . . . die p[rima] iunii. (2) Documenti XV e XVI. — 293. — I. Lettera del Decembrio a Filippo Coppola. [Cod. Boi. 2387, ff. 2V - 3 r.] Ad Filippum Copulam conqueritoria super morte Pauli de Auria v. c. Ex novis litteris Baptiste Rocelli, civis vestri nec satis mihi cogniti, sed, ut ex verbis coniecto suis, amicissimi, infelicissimo nuntio sum perculsus. Intellexi enim, frater amantissime, quod semper extimui ex quo illius profectiones ad Cyprias partes audiveram, Paulum nostrum interiisse; quod etsi cuivis mediocriter erudito tollerabile esse debeat, conditionem humanarum rerum cogitanti, mihi tamen eius mors summe deploranda et condolenda est. Amisi, amisi adulescentie mee ducem, rectorem, magistrum, cui tantum debuisse profiteor, quantum autem vita mihi aut facultas aut ingenium suppeditassem. A te igitur summum in modum postulo et exoro, ut hoc tristissimo rumore, quo nil luctuosius auditurus sum, quam primum tuis litteris certior efficiar. Cupio siquidem eius fame, cupio virtuti, quam vite solaciisque meis fortuna surripuit, impendere, et posteritate summi viri, si modo id ingenii facultas prebitura sit, meritis laudibus ornamentisque decorare; quod facile facturum me esse confido. Addet enim ingenio vim et acrimoniam dolor, et que doctrina perficere prohibuero, voluntate prestabo. Quod reliquum est, ab alio doloris lenimenta perquiras ; a me suspiria mutua reposcere. Tantum quippe abest ut ceteros consoler, ut undique potius solatia et luctus efflagitem. Desidero etenim illius — 294 — immo propensissimum amorem, eximiam virtutem, summam comitatem, quibus commodis tam repentino interitu inopinatoque destituor. Amicissimi itaque viri memoria intabesco, et que voluptati fore consueverant, studiorum recordatio morumque nostrorum, in doloris fomenta conversa sunt. Quamobrem mihi solatia adhibeas, si quicquid in hac causa incunditatis aut solatii locus esse potest: ego nempe monitis tuis libenter inheream, vocibus credam, auctoritate devincar. Hec a te suspensius et anxius operimo ; in his omnem quietis spem denique propono, si modo rationem non superant dolor, et quam in rebus letis prestitisti, eandem in adversis virtutem exhibueris- Vale. Ex Mediolano, x.° kal. iunias (sembra 1423). II. Lettera del Coppola al Decembrio. [Cod. cit., ff. 4 r.- 5 r.\ Ad Candidum responsiva Filippi super eadem re. Etsi mihi multiplici rerum experimento nota esset humanitas tua, prestantissime vir, notior tamen facta est ex his litteris tuis, in quibus acerbum funus optimi ac generosi viri Pauli nostri, velut communem iacturam mecum defles. Neque enim aliud quam naturale et vere dolentis indicium existimo quod a me, qui hoc luctu devictus et consternatus aliena ope sanandus essem, remedia doloris expectas. Nanque, ut ingenii mei imbecillitatem agnoscas, id vulnus, quod me ad viscera usque confodit, non alie cure, non turba negotiorum, non hominum auctoritas, non ratio usquam lenire potuerunt : sed si qua supraincreverint ex longa mora recens et mihi valida cicatrix (sic), ea statim, perlectis litteris tuis, scisa est. Errare mihi videntur ante oculos suavia eius viri colloquia, comitas, auctoritas; quo fit ut eiusmodi solatii, quod a me videris expetere, inops prorsus tactus sim. Tu vero, studiosissime vir, longe aliam soitem nactus , inter sapientissimorum virorum volumina innatans, — 295 — inde hauris quantum capere potest recens dolor; et si quid usquam medicine est, domi invenis. Neque tamen ignoro Paulum nostrum, quamquam in ipso virentis etatis flore prereptus sit, non esse lugendum ; sed dum me singulari amico orbatum circumspicio , torquet me desiderium meum, et pro re mea mestus sum. Ille enim et multum fame vixit et satis etati. Satis namque vixit qui, ubicumque desinit, bene desinit; qui quantulumcumque vite spatium sortitus est, id honeste consumpsit : quod an Paulo contigerit, tibi ac mihi, veluti operum suorum consciis, dubitare non licet. Fame antem multum vixisse eum qui ignorat ? Vir genere clarus, moribus clarior, diu cum fortuna luctatus, que illi rem domi angustam, exilia, ceteraque impedimenta comparaverat, que virtuti obstare solent ne emergat ; victor tamen in nomen evasit, seque humo extulit. Neque enim de virtutibus eius apud te disserere fas puto, tanquam apud ignarum de re incognita mentionem facturus : testis enim vite eius magna ex parte fuisti, et egregia viri facinora tuis oculis conspecta sunt. Felicem immo illum dixerim , si, ut pollicetur epistola tua , eum memorie traditurum es, et quani etas prestare non potest, eternitatem illi paras monumentis litterarum. Felicem iterum eum et inter invidiosos numerandum, qui cum fortuna decertans, parta inde nobili victoria, ubi primum, fato perfunctus, caduci corporis carcerem effregit, te virtutum suarum preconem nactus est. Tu autem vale, idque tibi optat tota domus Aurea. Ex Ianua, pridie nonas iunii (sembra 1423). III. Lettera del Decembrio a Carlo Fieschi. [Cod. cit., ff. 14 v. - 20 r.] Ad Carolum de Flisco de nobilitate domus sue deque laude senectutis et congratulatio matrimonii neptis eius. Novus rumor celebris fame tue, vir magnifice , iam pridem spectate mihi et cognite , subito recentibus nuntiis ad aures delatus — 296 — meas, qniescentem quodammodo memoriam excitavit, propriisque inherentem et exhaustum curis totum in admirationem nominis tui rapuit. Fateor te usquam, quamquam facie incognitum, animo tamen perceptum meo ob eximias laudes atque virtutes unice semper dilexissem diligamque, ut Virgilius noster inquit, dum spiritus hos reget artus. Huius quidem sincerissimi atque fidelissimi erga te amoris mei nulla alia causa est, nisi virtus tua et humanitas, quibus ad celum cunctorum laudibus extolleris ; necnon (sic) autem divitias, ut plurimi fortasse, tuas quibus merito ut, intelligo, Deo auspice, munitus es et habundas, non famam aut ostentationem nominis , que vana et pusilla semper existimavi, sed benivolentiam et amicitiam tanti viri, tam optimis artibus ornati, cupientissime efflagito, qua consecuta, mihi crede, non tantum amplissimum munus suscepisse, verum me omnium longe felicissimum effecisse videar. Nam si virtus, ut C. placet, allicit homines facitque ut eos diligamus quos etiam non vidimus, quantopere ab optimis viris extolendus et amplectendus es, cuius nomen non solum domestice, sed extere quoque nationes miris efferunt preconiis, cuius etiam laude iam repleta et gloriosa urbs illa Ianua, vere maris, ut aiunt, domina, nec minus ceterarum gentium procul dubio princeps, nisi civilibus bellis obnoxia in re ipsam proprias manus armare maluisset ! O urbem huius invictissimi principis sceptro regi et moderari dignissimam, genitricem ingeniorum eximiorum, bonarumque artium eruditricem! Tu alumnum tuum, quamvis variis turbata dissidiis, nequaquam agnoscere destitisti, tu illum famosum voce tua et optatum mundo reddidisti, quamquam — pace tua — dixerim non minus illum splendoris et glorie menibus ac parietibus tuis, quam te illius nobilitati contulisse. Omitto situm tuum mirum et excellentem , de quo iam pridem adolescens litteris meis ample peroravi; omitto nobilium civium et ornatissimorum multitudinem, qui ad multarum magnarumque decora sufficere habunde possent ; quicquid denique aut aer aut pontus aut terra boni et precipui educant in te unam , tanquam ceteiaium parentem urbium, esse congestum; quod omnium istorum longe maximum et precipuum esse existimo hunc amantis* — 297 — simum tui civem propriis, uta ita dicam, uberibus et alimoniis educare meruisti, quem ut perpetuo nominis tui fama illustrabit, sic tu vicissim ob eius precipuas virtutes laudesque illustrabere. Nec enim, ut in Catone suo Cicero profitetur, homines magis nobilitat patrie claritudo, quam patriam vir strenuus et clarus exornet. Inde illud Themistoclis dictum qui fertur Suriphio cuidam in iurgio respondisse, cum ille dixisset non sua solum, sed patrie gloria splendorem assecutum : « Nec, Hercle ! » inquit, « si ego Surriphius essem, ignobilis; nec tu, si Atheniensis esses, clarus unquam fuisses ! » Quod eodem modo et de te dici potest : nec prestantissima urbs illa Ianuensis parens et altrix tua, de qua supra commemoravimus, aliquem tibi parem hac tempestate nobis potest ostendere, nec tu, quamvis in ignotissimis terre finibus editus fuisses, non meritis tuis insignis et conspicuus evasisses. Est profecto, fateor, admirabilis quedam et occulta fatorum series, que tanto tempore excellentissimam hanc domum tuam tot splendidis viris, tantis dignitatibus exornatis, irradiat, ut pene divinitus sapientie et honoris hereditas pre ceteris vobis relicta videatur. Quis enim, preterita recolens, non miretur nobilitatem vetustissime Fliscorum domus, tot prestantes viros, tot eximia dignitatum insignia repetendo, cui nescio tota Italia par decus et gloria in antiquorum stemate principum, nedum privatis in domibus, queat reperiri, si pontifices summos, si cardinalium pene incredibile numerum, si matrimonia ampla atque magnifica cum hac potissime serenissima Vicecomitum stirpe contracta (i), si denique viros adhuc superstites famososque recenseas: dies profecto me desinet nobilitatis tue decora et insignia repetentem. Quibus omissis, ad te, generosissime Carole, aliquando mea flectatur oratio. Tua siquidem probitas satis materie suppeditat ad scribendum, si velim humanitatem, prudentiam, continentiam, dignitatem tuam commemorare paribusque te laudibus efferre, etsi tanto me honori imparem esse sentiam nec digna meritis verba suppetere. Aliquod tamen de te (i) Accenna al matrimonio di Luchino Visconti con Isabella Fieschi, figlia di Carlo , il capitano, ricordato a p. 286. — 298 — summatim et amico animo perstringam, cui ne succenseas queso, sed amori potius nostro, si fortassis incautior longiusque , quam gravitati tue conveniet, in dicendo progrediar, aut si minus integritatem ac mirificam bonitatem tuam, ac fas est, amplificare conatus, infinita pene virtutum serie ingruente, deficiam. Fama quidem multarum rerum ad nos undique varie perfertur, ut est semper levis et fallax, nec sit aliquid toto orbe 'mobilius. Ceterum de te etiam diu audivisse memini, que cuiusvis animum ad amandum possent allicere, ac cum magis magisque progredior, meliora in dies et animo nostro cariora nuntiantur. Sic quam in omnibus inconstantem ac pene dubiam invenerim , nunc gratis promulcentem aures, modo secus obtundentem, semper de te iucundissimam gratamque susceperim. Tue igitur sapientie et fortune congratulor, quibus usque ad hanc etatem optime septus comitatusque vixisti, vivantque non tantum que legerim de te quondam aut audiverim — legi etenim quasdam ex litteris tuis sapienter ornateque perscriptas, ex quibus statim prestantiam animi, ingenii doctrineque tue penitus inspexi — verum multo magis que nuperrime a nostris, qui illic pro exoptato neptis tue matrimonio accesserunt, relata fuere ; ex quibus, meo iudicio, summam laudem cunctorum testimonio consecutus es. Enimvero , quis ex eorum predicanone non intelligit quibus artibus et disciplinis usque a teneris eruditus et imbutus annis adoleveris , quo vigore animi preditus, prudentiam in ultima etate non solum conservaveris, verum consilio experientiaque adauxeris? He quidem, fateor, prestantes nature dotes"' sunt paucorumque virorum , que virtute ac sapientia, non natura tantum, percipi et tueri possint; propterea quod non in etate solum, sed in voltis quoque desipientis et in limine senectutis culpa sit. Nam, ut apud C. inquit Cato, ipsa defectio virium adulescentie vitiis efficitur sepius, quam senectutis. Libidinosa enim et intemperans adulescentia effetum corpus tradit senectuti. Te vero, quem corpore iuvenilibus pene stipato viribus, solidoque vigore, integris et perfectis sensibus, aspicimus, quam tandem adulescentiam egisse existimabimus ? Nonne puram et castam, omnique carentem labe, et que corpus firmum, non — 299 — lassum , traderet senectuti ? Sic procul dubio credendum est ; nec non aliter, preteritis, ut intelligo, tuorum curis, salutaria consilia prebere aut florenti pene etati consimilis assuetas corporis exercitationes , ut facis, ferre et tollerare potuisses. Tu solus satis exempli nobis es ut vulgatissimas illas senectutis calumnias omnino falsas et ineptas videremus. An deinceps egregia facinora tua in diem contemplantes, admirabimus hospitem Scipionis Massinissam , qui nonaginta annos natus, cum ingressus iter pedibus esset, in equum omnino non ascendebat ; cum equo veheretur, non descenderet; nullo imbre aut frigore adducebatur ut capite operto iret, quod summa esset in eo corporis siccitas ? Nonne hec omnia a te aut equali aut, forte, procliviori etate maiorique admiratione dignissima fieri multorum relatibus audivimus, ita ut omnia strenui viri in senili corpore officia facillime tueri et exequi possis ? Nequaquam igitur nobis persuadebimus senectutem per se ipsam virum suapte natura sapientem et moderatum vel a rebus gerendis avertere, cum tu ea agas et exequare que vix iuvenibus fas sit adimplere, aut corpus infirmum reddere, cum ad summam senectutem incolumis sanusque perveneris, aut privare aliquem voluptatibus, cum licitis et honestis voluptatibus habunde perfruare, aut denique timendam, quod haud longe sit, a morte cum tuis ilaris carusque supersis. Et si unico dilectissimo atque ornatissimo filio tuo , domino Luca, orbatus, invitus superes, eius tamen mortem, ut constans fama est, sapienter moderateque tulisti. Sic certe decuit virum nobilissima ortum prosapia, qui honores summos iuvenis* adeptus sit, civitates rexerit, vitam continentissime egerit, cunctis optatus extiterit, cum ad summum etatis sue pervenerit, suorum insuper graves casus patientissime tollerare. Nam, ut ait Satyricus, hec data pena diu viventibus, ut, renovata semper clade domus, multis in luctibus inque perpetuo merore et nigra veste senescant. Quamobrem nec metuendum tibi fuit quatenus ingruentem ex vicina senectute mortem arcessires, sed ne, longiore detentus vita, senectutem primum tibi difficilem, tuorumque calamitatibus erumnosam perferre cogereris; quo metu, Deo favente, et tutatus satis huc usque es et dietim tranquillius, placidiusque — jOO — tutabere. Cum enim plurimos et dilectissimos filios tuos annseris, seu potius premiseris, hec senectuti summa gratia habenda est, quod Antonium nepotem tuum, adolescentem, ut intelligo, senili quadam gravitate conspicuum , paternarumque laudum emulum et imitatorem, sororemque eius dominam Blanchinam, cum prudentia et honestate, tum forma ceterisque virtutibus ornatissimam, filiorum vice erudiendos tibi colendosque cognoscas, presentibus commodis preterita lenies incommoda. Nec tantum consolabere , verum insuper parenti cunctorum Deo summas gratias habendas et agendas confiteberis, cum te pre ceteris tam magna ditatum gratia, valitudine sive corporis et animi, tum divitiarum honestarum copia, ceterisque nature ac fortune bonis stipatum intelliges. Pro quibus quidem rebus non minus sapientie, quam fortune tue congratulandum puto. Sunt enim in vita comuni hominum et quotidiana quedam fortune, quedam que sapientie commode ascribi possunt, quamquam sapientiam seu virtutem quidam asserant frustra operi intendere, fortunam incredibilia largiri. Quippe quod primis et optimis nempe (?), ingenio excellenti, summa prudentia, experimentoque multarum rerum valeas, quod tuos consilio, auctoritate, sententia tueare, quod continende temperantieque comitatu ad summam perveneris senectutem, sapientie potius quam fortune tue adiudicandum censeo. Ceterum filiorum et nepotum indolem , formam, ingenuitatem , statum domus inconcussum et stabilem, affluentes omni tempore necessariarum rerum copias, amicorum fidem et caritatem, quodque etiam preter cunctorum opinionem multa domui tue felicia, multa prope admiranda contigerunt, tum innumeris titulorum dignitatibus, tum matrimoniorum amplitudinem et gloriam, hec profecto fortune ipsi rerum domine soli grata habenda sunt et accepta, que nobis (sic), ut clemens piaque mater, preter consuetudinem preterque naturam suam tam multa profusissime elargita est, nunquam repetens que dederat, quotidie maiora tuorum votis impatiens, nunquam commodis tuis fessa, nunquam satiata. Quid autem magis fortune facilitati clementieque dederimus quam presens matrimonium nuper inter illustrissimi domini mei magnificum nepotem Iacobum Vice- — 3oi — comitem preclarissimamque neptem tuam, faventibus astris, quadam veluti felicitate completum, ut vetus amicitie inter utrosque vinculum novis quibusdam nuptiarum auspiciis denuo ligaretur ? His semper consanguinitatis et amoris nexibus, non oppidorum et montium clausuris inaccessis, status tui incolumitatem et favorem conservabis, reliquisque finitimis non solum te gratum et verendum exhibebis. Hic est autem ille inclitus adulescens, excelsis progenitoribus, preclaro et insigni parente editus, et eo quidem qui dum colendissimi Iohannis Marie germani sui, spectati tum Ligurum ducis, militaret auspiciis, spem nobis in posterum dederat his veteribus Italie cladibus iam tandem presentis ducis auxilio ac sapientia restinctis, finem imponendi ceterisque melioris fortune, si modo fata prestitissent, fiduciam habendi, tanta indoles animi, tanta ingenii probitas in illo fuit, et si mundanarum rerum par levitas sit, ut nihil cuiquam certi vel in diem unum polliceri possint. O casum detestabilem et luctuosum ! O sceleratas manus atque impias que tantum facinus conari, tantam scelus peificere ausi sunt! Duo illa clarissima patrie nostre lumina extinguere non dubitarunt (i). Siquidem vos non illustrissimi quondam genitoris auctoritas, non amor patrie, non fides, non denique ulla pietas lenire potuerunt! At proditionis infamia a tanto scelere piofecto debuerit amovere, ut quos vetustissimi iampridem Vicecomitum ac potentissimi hostes verenda quasi religione devicti, violare non auderent, vos, vilissima fortune mancipia, palam ferro moliri non dubitaretis; quamquam nulla civitatum aut populorum, ista culpa paucorum, hec nefanda rabies, grassata est. Hic suorum fida interumptus manu; alius, Francorum feda tirannide tunc Ianuam florentissimam urbem obsistente, necatus est. Ceterum diis gratie hebende sunt potius quam querele, ex quo perillustrem fiatrem iiliumque, hereditatis et honoris paterni emulos, ambo nobis (i) Gabriele Visconti fu decapitato in Genova, per ordine del maresciallo Rucicaldo, governatore della repubblica in nome di Carlo VI re di Francia, il 15 dicembre 1407. Giovanni Maria, fratello di Gabriele, fu pugnalato dai Ghibellini in Milano il 16 maggio 1412 . — 302 — relinquere ; ex quibus ab hoc serenissimo Filippo Maria domino nostro habunde perceptum est quicquid ab alio quoquam terrarum principe magnanimitatis et prudentie percipi possit, etsi maiora in dies felicioraque expectamus ; alterius vero principia satis domui sue condigna, satis votiva cunctorum vocibus pollicentur ; que si nostra opera successerint, tu vel imprimis, qui tanto veluti decoratus filio coleris plurimum et amaris, iucutidioribus in dies eius laudibus et honoribus exultabis. Gaude igitur, fortunatissime Carole, ac de tantis bonorum cumulis moderatori orbis Deo dignas grates exhibe, meque vicissim , qui simili excitus gaudio tecum amice congratulor, in fidelem et benevolum tuum libens suscipe. Suadet humanitas tua, audacter id exigam; monet caritas, devotio tui nominis exhortatur. Quare, siquid est quod valeant apud te preces mee, ego te obtestor ; siquid langoris aut nebule insidet animo tuo, id penitus abstergat, vitam deinceps ilarem degas, fortunatos omnes tuos hoc coniugio effectos iudices, Deum tibi propicium per hec extimes, me carum habeas et diligas, dum vite tue superest spiritus. Ego nempe, dum supersim, tuum nomen, auctoritatem, gratiam, dignitatem venerabor, felicemque me tanti viri amicitia profitebor letissimi omnium, meo iudicio, quos viderim unquam aut audiverim. Modo Deus, ut precamur, qui facilem longevamque vitam tibi prestare dignatus est, felicissimum exitum largiatur; quod speramus, eximia virtute tua suadente. Vale. Mediolani, kalendis martii [1424]. IV. Lettera del Decembrio a Pileo De Marini. [Cod. cit., ff. 26V.-2& r.] Ad Pileum archiepiscopum ianuensein, de morte P[auli] Valerii germani sui. Subito aspectu litterarum tuarum, rev.m' pater, tam ingenti dolore perculsus sum atque prostratus, ut, si omnes consolatores undique — 303 — habuissem , animum tamen cadentem erigere non potuissem. Etenim qui conditionis humane minime ignarus sum, obitum tamen dulcissimi germani mei P[auli] Valerii ut defleam et illacrimem necesse est. An ego non doleam tam immatura morte et in ipso adulescentie flore egregiam indolem coniectentem ereptum fratrem? non doleam orbitatem domus nostre et seniles lacrymas genitoris mei, qui, heu! sero tantis erumnis inheret ? Sed profecto omnia tollerabilia esse debent que et Deus et necessitas mundi imperant; et si stimulus doloris per se molestus est, tamen patienda sunt ea que omnibus communia videntur et corrigi non possunt. At vero cum quid tale per culpam evenit, id prorsus luctuosum et intollerabile existimo , ex quo potissimum huius doloris morsus me angit et cruciat, potuisse me in tam longa egritudine fratrem meum visere, multum adhuc spirantem intueri, adhibere solamina, postremo, etsi nil aliud a fatis concessum erat, pias lacrimas extremo funeri impendere : hoc me potuisse, et non scisse nec fecisse, penitus coquit. Prolecto, pater reverende, hoc pietatis tue monumentum extitisset, hoc clementie indicium paterne, ut cum primum dilectissimus frater meus graviter egrotare cepit, per proprium nuntium me protinus avisasses ! Venissem , venissem , inquam, nec me labor nec duritas vie aut causa ulla retardassent. Scio quantum egrotis suorum visitationes conferant propinquorum, scio quantum meroris iniungat et suorum longinquitas, et aliorum quantum sit sedula curatio, presertim in adulescente nondum talia perpesso, qui et patrem et matrem desiderabat, quibus presentibus, vel saltem germanis astantibus, nunquam se defecturum credidissem. Quantum me ipsum desiderarit semper et amarit, testes sunt littere eius, testes opera, consilia omnia. Nihil enim, nisi iubente me, aut ausus est aut optavit. Multum me, scio , in hac egritudine requisivit, et cum loqui non posset aut videretur, tunc me in animo intuebatur suo, tacitis sermonibus alloquebatur, vel, forte, de salute desperans sua, iam iam lachri-mas, angustias, dolores meos meditabatur, fortassis et querebatur de tam lenta visitatione mea et secum ipse dicebat: « Quid agis, frater ? Ni properas, nunquam me amplius visurus es, sed te — 304 — profecto res magna desinit, aut torte nescis quid in me crudelia accelerent fata ». Hec verum, hec tanti mali causa, hec sola fuit, ut te, dulcissime frater, non viderem! O iniquam fatorum sortem! Cum maxime te ospitem obtabam, amisi; cum ad aliquem honorem proveherem, perdidi! Sed ette defunctum, quem vivum non licuit, honorabo ; et si , post fata, nobis aliquis nostrorum durat amor, diligam, et post funera propria tibi adhuc et amoris et sere visitationis causas reddam. At vero, pater reverende, qur flens et illacrimans ista scribo? Modum verbis meis faciam, quem recentem dolorem nequaquam facturum video. Consolabor ipse me, si potero, licet spem nullam ad manum habeam ; nam que maior videbatur, temporibus longinquitas, milii non solum demit egritudinem (sic), sed stimulos ipsos doloris in dies magis acuit et intentat: cum ex parte sedavi luctus, iam vultus suos inspicere, iam verba audire, iam gestus motusque intueri mihi videor : occursant omnia animo meo, que lacrimas nolim excitant, et eo magis cum multis oppressum curis presens calamitas invenisset. Facile fuit iam labentem virum demere, cadentemqne prosternere; tamen et firmus animo nunquam illuni obliviscar, memoria delectabor, merori ingruenti solamina interponam potuisse illum, ut humane res ferunt, et diucius vivere, sed misero exitu finem claudere, potuisse suorum acerbas mortes lamentari, pati senectutem , inopiam, servitutem, quibus omnibus presenti morte liberatur. Et vivit, ut arbitror : vivet enim apud me, nec ulla causa nostro pectore illum delebit oblivio. Semper enim cum vestrum aliquem aut p[ersonam] tuam intuear, fratrem meum requiram, illuni iam iam ad me venturum meosque amplexus expetiturum credam : quos utinam, quod in presenti seculo ulterius coniungi fatorum crudelitate prohibemur, in futuro Dei piissimi clementia celeriter complecti mereamur [1424]. - 305 - V. Lettera di Giovanni Stella al Decembrio. [Cod. cit., ff. 69 r. - 70 v.] Ad Candidum per Iohannem Stellam cancellarium iannensem congratulatio pro celebrata pace. Candide mi, Rem iucundam, rem utilem, rem nomine actnque suavem , de saluberrima nuper celebrata pace tecum profari in proposito est. Eam, siquidem tibi prenotam , cum proprior esses loco ubi caduceatores aderant, nuntiasse mihi habilius poteras. At illam pennis velocissimis fama pervolitans reseravit ocius. Congratulari ego possum tibi huius inestimabilis doni hilaritate diffusus , ut quod hactenus tot malis ob dissidia conflictati sumus, nunc fructifere pacis refecti munere, palmis ad celum protensis exultantes, Deo omnifactori, non immemores accepti, gratias agamus amplissimas. Ecce inter illustrissimos principes ducesque, hinc Mediolani, hinc Ianue, olim mutuis invicem dissidentes odiis ac sevis decertantes preliis, pax optima peracta est, sincera concordia inserta est. Quid hac re dulcius? quid suavius? quid utilius expectaveris ? Quodnam munus huic comparaveris ? Applaudenti veri iam hiemps deformis cedit, sereni nubilum, ocio durus labor, amenitati pacis bellica clades, et, quod in trito vulgi proverbio est, post merorem sequitur gaudium. Non ideo fatebor tibi illam ex temporis vicissitudine provenisse nobis, non nostris meritis, non precibus sedulis, non votis supplicibus, sed eius pietate sola qui eam solus dare potuit, rerum omnium ineffabilis conditor, cuius crudeli iudicio, ob mortalium noxas, trux discordia regnavit in terris. Hanc equidem pacem salutiferam non solum fausta Liguria, immo tota perfruetur Italia. Colletemur igitur hoc precipuo mentium solamine : iam ubique locorum unusquisque congaudet, ignium corruscationes fiunt, fana coluntur, letis ceremoniarum lustris resonantia pulsantur timpana, et pro gaudio dulces emittuntur lacrime. Non possum populorum alacritatem digne eloqui; Atti Soc. Lig. St. Patria. Voi. XXIV, fase. i.° *° — 306 — quos pariat ipsa pax fructus fari non expedit : quis tam hebetis sensus aut obtusi pectoris est, illorum ignarus ? Omnia scelerum genera seviens dissidium parit, quod dictu nefandissimum est, auditu horridum, visu miserrimum, facto plus quam deteri imum, matronas et virgines rapi, infantulos divelli a parentum complexu, templa spoliari ac dirui, non pueris ac pauperis parci, cruciatus , angustias, stupra, incestus et adulteria, predas, violentias, cedes, iniurias , incendia et queque truculenta committi , imo inediam , paupertatem, exilium ac servitutem pati. Hec omnia dispendia furens discordia affert, pax aufert; ilia omne commodum dirimit, hec auget et reparat, graves conciliat inimicitias, iras frementes demulcet, odia in caritatem permutat. Desunt armorum strepitus et machinarum fragor, proterve satellitum cessant insidie , terra marique viatoribus iter patet tutum, frequentantur invicem oppida commerciorum lucris, porriguntur dextere in pignus amoris, grati conceduntur complexus, et omnia utilia addiciuntur gentibus, repetunt extorres patriam, datur denique preteritonun venia et requies fessis. Himnum itaque huiusce iubilationis in laudem premissorum principum edidi, cuius copia hic inserta est, quem , si tanti fuerit, canere vel emendare dignaberis. Vale felix. Insuper hoc inter publica congaudia non obliviscar, in privato tuis auspiciis fraterne congratulari, quod nuper tua virtute tuisque meritis provectus et assumptus es in secretarium illius ducis illustrissimi mediolanensis, quem aiunt potentis Latii nostri fore splendidissimum iubar, tuisque demum successibus semper ut propriis incundabor libens. Iterum vale felicius. VI. Esortazione del Decembrio a’ Genovesi contro i Veneziani. [Cod. cit., ff. 128 v. -131 v.~\ Ad inclitos cives Ianuenses exhortatio ut contra Venetos glorie et dignitatis sue emulos viriliter et animose insurgant. Si ullo tempore magnanimitas et virtus vestra inter italicas gentes celebris rebus gestis eftulxit, ceterisque nationibus excellentie — 307 — sue specimen ac decus ostendit, id vel maxime in presentia vobis obtigisse, prestantissimi viri, suspicor, cum iustam belli causam offerat fortuna. Inimicitie quidem veteris longam seriem, presentis vero propulsande iniurie vicem prebeat. Quod enim , non dicam etate nostra, sed exactis temporibus, bellum ullum iustius aut gloriosius a vobis actum est ? Veneti longa pacis industria nec minus victorie fiducia elati, cum clarissimo terrarum omnium principe bellum iniquissimum gerunt. Huic tam impotenti iniustoque furori, pro vestre salute reipublice, pro aris denique ac foris, impetus vestros opposuistis, et quod in primis precipua laude dignum arbitror, illustrissimi domini nostri statum ab infestis hostibus ac infidis protecturi. Quid differtis igitur ? quid heretis ? Nunc animis, ut poeta inquit, vobis opus est, nunc pectore firmo; nunc illa excellentissima virtus, viri incliti, nunc fiducia solita cernenda est. Qui enim iampridem toto mari vires extulistis , qui nationibus ceteris superiores sepenumero extitistis, patiemini ne clarissimis vestris cervicibus iugum imponi ? libertatem eripi ? leges nequissimas irrogari ? O temporum sortem nunquam inter fastos referendam, nunquam memorie commendandam , si, quod avertat Deus, Ianuensium libertati fameque presertim Venetorum gens ac populus imperitet, quique in magnis bellorum discriminibus conatibus vestris impares semper extitere, nunc domini nec (sic) rectores urbis vestre fiant ! At cuius urbis ? Illius quidem que in Italie-aditu, veluti ianua quedam nobilissime huius provincie, sita est, edificiis superba magnificis, viris ornatissimis culta, que opum cunctarum copia, ingeniorum optimorum gratia exuperat, mirabili quidem portu, navigiis amplis armisque decorata est; cui latissimi maris tractus subsunt, notissime mundi urbes, extreme maris insule parent; cuius denique Ianus, si fame credimus, rex auctor et conditor! Quis ex vobis, viri preclarissimi, id ferat? Quis adeo urbis sue hostis, id audire, non dicam videre aut pati, possit ? Meminimus siquidem , vetera recensentes, que olim et quanta inter vos et illos prelia extiterint, que in presentia referre non attinet, in quibus omnibus longe audacia et honore prestitistis. Quis enim Ianuensium victorias, quis triumphos dignis laudibus — 308 — expediat? Pisani, regionis eius incole que tyrrenis fluctibus alluitur, cum toto pene mari formidabiles ingenti classe aditus urbis vestre molirentur, perpetuam cladis sue famam intra menia oppressi reliquere. Quid exterarum gentium oppida a maioribus vestris expugnata ? quid navigia capta aut undis obruta ? quid cruenta bella referam ? Cum plerumque sevis ensibus perstrictum mare inundanti sanguine deforbuit. Quoties barbarorum gens, vestris circumventa puppibus , captivi Ianuam in triumphum ducti, pulcherrime colonie vestro auspicio in ipsorum littore deducte, feritatis domite signa prestiterunt ! Cypros insula nonne in primis fidem , audaciam, virtutem vestram protestatur ? Erat in ea rex, ut infidus, ita sevus et pertinax, qui, hospitalibus diis neglectis, iura. gentium infami cede fedaverat. Multi Ianuensium cives incliti, unius sceleri ac perfidia circumventi sunt, miserandumque spectaculum necis sue prodiderunt: cum enim, consilii vana spe decepti, frequentes in regia cogerentur, nihil tale metuentes, quidam ferro cesi, plerique ex altissimis speculis in terram obruti, omnes denique inter eiecta latronum tela corruere. Que ubi civibus reliquis in urbe vestra relata notuere, mesticia primum ac solitudo, demum clamor totis menibus exoritur. Hic parentem, fratres ille, multi liberos querebantur, mulierum undique lugubris gemitus, audiebatur. Non ingenuo dolori cessit liber animus, non lacrimis longum tempus datum. Ianuensium tum maxime constantia, probitas, industria enituere. Citissime atque ingenti parata classe viris pugnacissimis instructa, toto pene freto vela pandentes, insulam nefandam attigere. Hic acres maiorum vestrorum animos, hic audaciam in agendis intueri licuit. Nondum pene adito littore, pontus claustra ingenti opera ac fortitudine expugnata patuere. Tum copiis terra expositis, insula in deditionem redacta, ipse rex circumventus captivusque meritas sevicie sue penas luit. At huius tam eximie victorie decus preclaris civibus vestris laudem, urbi vero immortalem gloriam peperit. Quid igitur patiemini, ne inquam tante victorie immemores, non minora, sed longa ampliora inferri ? Chium insulam celeberrimam quidem et illustrem , portum verius urbis vestre dixerim, ab antiquis emulis obsideri ac in fame vestre — 309 — dedecus oppugnari ? Non classes illico, non viros, non arma parabitis ? Non ad liberationem eorum qui undique hostili manu circumventi opem deprecantur , vires solitas impendetis ? An dum insulam ditem et opimam , dum reliquas regiones urbesque, que illius salute ac tutella continentur, amiseritis, expectatis? O seram, in his potissimum que auxilio indigent, consultandi diligentiam! Non verbis , sed armis ; non consilio tunc, sed auxilio opus est. Multa vos undique hesitantium in bello ducum exempla commoneant et si unus, ut ille inquit, « nobis cunctando restituit rem », non cunctatione tamen , sed celeritate tanta res indiget. Hannibal, pertinacissimus romane reipublice oppugnator-, dum blandientis fortune nutum aspernatur, ardentes militum suorum vires amenitate locorum maluit quam acie belloque continere: sic idem fortissimorum in prelio ducum victor desidia et ocio expugnatus est. Plurima novorum ducum exempla suppeditant, que refefre non expedit. Sue quisquis felicitatis ac miserie testis est. At vero Iulius Cesar, divino quodam ingenio preclaraque in gerendis rebus audacia maxime preditus, nullam unquam instantibus, nullam perturbatis hostibus requiem, nullum insequendi tempus omittebat: sic, postergatis ac devictis emulis, urbes, nationes, provincias adeptus; sic denique terrarum orbem ingenti gloria celeritateque subegit. Alexander etiam Philippi filius quot et quantas omni evo memorabiles sempiternasque victorias , non armis solus equisque confisus, sed eximia virtute probitateque confecit ! Sepissime infestos , sepe fugientes insectatus hostes, cum acie plerumque inferior existeret, animi tamen magnitudine semper excelluit : sic Darium , sic Porum, reges inclitos, devicit, sic Liberi patris et Herculis vestigia celerrime consecutus est. Is insulam ditionis vestre Chium, nunc hostilibus circumseptam armis, ceterasque inter Helesponti maris fauces sitas, magnis presidiis, ingenti classe, barbarorum manibus eripuit. Nullus itaque vobis negligentiam , nullus moram utilem suadeat! Momento celum vertitur. Adventus vestri famam tela occupent, idemque obsessis civibus opis nuntium latoresque assistere. Et quod scitis, viri prestantissimi, ut est humanarum rerum fortuna mutabilis, an ita fato datum sit, ut que olini variis inter vos casibus agitati estis, nunc unanimes effecti, hoc potissimum prelio inimicorum superbie finem imponatis. Id certe vobis exploratum esse debet : non de gloria, ut pridem consuestis, sed pro salute ac libertate dimicare. Huius denique rei eventus maris regimen urbi vestre statuet aut finiet. Ite igitur alacres, et impendentes tandem mari rates viris armisque refertas, ad iter belli vertite. Victoriam in vestris sitam manibus habetis. Cum barbaris ac Paphlagonibus vobis bellum imminet, nec virtus hostium, sed temeritas potius, probitati vestre opponitur. Intuemini res gestas, famam decusque maiorum; optimos cives ac bene de republica vestra meritos ex inimicorum faucibus eripite. Cogitate, cum in acie steteritis, hostilem ex adverso intuentes classem, parentes, coniuges, liberosque vestros, totam denique urbem ad vos manus tendere, deorum opem implorare, fortitudinem in magnis casibus semper vobis adesse solitam exposcere, ut felici prelio vos patriamque omnem ludibrio et servitute liberatis (1431). VII. Lettera di Raffaele Adorno, al Decembrio. [Cod. cit., f. 131 v. -132 r.] Ad Candidum per eximium legum doctorem Rafaelem Adurnum ex principibus Ianue urbis transmisse superioris epistole collaudatio. Epistolam tuam, magna quidem et exemplorum copia et verborum venustate contextam, legi, profiteorque ex ea me tantum voluptatis cepisse, quanta dudum ex aliis prudentum et probatissimorum virorum litteris fecerim. Tibi itaque congratulor, quod ad egregiam naturam tuam tanta bonarum artium accessio et rerum usus adiunctus sit; mihique presertim quod, his infestissimis mihi temporibus et inter mearum curarum turbines, de tuis studiis et exetcitationibus semper videre liceat, ex quibus animum erigere et demulcere possim. Velim igitur ut ex tuis lucubrationibus aliquid denuo ad me mittas, quas ad solatium et mihi pro magno munere — 3ii — reputabo. Si quid autem in me erit quod tibi ìucunditati futurum sit, faxo (sic) illud non minus tuum quam meum esse senseas (sic). Vale, vir doctissime, meque pro tuo verissimo amore ama et di-lige (1431). VIII. Lettera di Andrea Bartolomeo Imperiale al Decembrio. [Cod. Riccardiano 827 , f. 2 v. - 3 v.] Andrea Bartolomeus Imperialis iureconsultus Petro Candido. Oblectarunt me littere tue, suavissime et eruditissime Candide, ita ut ego vicem maximi muneris offerri mihi putem quotiens illas aspicio, quas ut crebras atque copiosas ad me des magnum in modum precor, si mihi rem gratam, iocundam et acceptam haberi vis. Illos et preterea peregrine historie libros, quos ad Arcem-boldum et Castillioneum confecisse diceris ut videam facito. Ardeo quippe miro et incredibili desiderio res tuas visendi, quas et cum voluptate plurima lego et amplissimo etiam fructu perlego. Nunquam enim, ut Terentius noster inquit, ad te accedo quin abeam doctior. Res enim tue luculente sunt, copia et ornatu plene, sed, quod ego pluris facio, sententiarum pondere graves et mature omnisque antiquitatis et verborum innata quadam proprietate decore. Crede mihi, Candide doctissime ; et si inter reliquos qui in Italia sunt viros prestantissimos et his humanitatis studiis deditos collationes, sepenumero ambigue fiant multique inter se de excellentia et prioritate certare videantur, inter Insubres tamen et Cisalpinos Gallos ego tibi indubie palmam do. Quare neque mirum tibi videri debet si ego tuis inscribi litteris cupio. Sum enim, ut plerique hominum , glorie cupientissimus. Unde cum opera tua eterna fieri debere confidam , non ab re nomen meum tuis divinis operibus illustrari ambitiose plurimum efflagito. Queris quid agam: ego, ut vides, litibus versor et de finium regun-dorum iudicio cum adversariis controversias duco. Quantum tamen — 312 — mihi ocii possum temporisque subripere, id totum studiis impendo. Ea autem que ago, que cogito, que scribo, adeo ieiuna, inepta, frigida et parum culta sunt, ut verear in publicum dimittere ne doctissimorum hominum oculos offendant, neve in mordaces detrahentium et verba captantium dentes incidant: tuas tamen non formidabo aures, quas non dubito, non quidem ledere, sed placare potius et lenire , et quod esset incultum, aridum vel corruptum , ex humanitate corrigere et emendare. Scripsi pridie ad spectatum Carolum Lomellinum, nostre pontice classis prefectum, epistolam quandam, quam tue censure emendanda (sic) ad te tradam cum primum fidum nuntium habuero. Panegiricum etiam quoddam pridie edidi ad illustrissimum Leonellum Estensem pro laudibus epistolarum suarum et artis oratorie. Incepi etiam Venetiis opus videlicet apologeticum pro Lactantio adversus criminatores suos,, quod opus explere nequeo nisi libros aliquos habeam, quorum in hac regione magna inopia est. Orationem illam Leonardi Arretini nusquam habere potui. Tu vero quod spopondisti fac expleas , et huius desideratissimi voti me compotem facias, si me amas. Vale. IX. Lettera del Decembrio all’Imperiale. [Cod. cit., f. 3 v.] Petrus Candidus Andree Bartolomeo Imperiali iureconsulto salutem. Oblectarunt quidem non minus me tue littere, vir optime et doctissime, sed profecto tue laudes ita uberes et iocunde sunt, ut mihimet arrideam. Gaudeo, mehercle, ut alias scripsi, laudari a laudato viro, quamquam et ingenium meum et humanitatem tuam novi. Studes, ut optimus es et omni profecto laude dignissimus , sponte currenti calcar adicere. Sed nullum presertim excitationis genus illustrius, quam si epistolam tuam maritimam, si panegiricum, si apologeticum illum inclitum videam : opera - 3X3 — etenim tua intuens, te videre simulque huiuscemodi opusculis meis a te revideri credam ; sicque in amore mutuo versabimur, cum aspectus , repectus , rogationes , responsiones , ut Xenophon ait, omnia denique dulcia erunt. Faciamque te denuo voti compotem, ut cupis. Vale. X. Lettera dell’ Imperiale al Decembrio. [Cod. cit., f. 3 v.] Andreas Bartolomeus Imperialis Petro Candido salutem. Beasti nos, doctissime Candide , his tuis iocundissimis litteris, prospera Principi nostro et felicia nuntiantibus. Tu vero posthac ne pretermittas quin quecumque scitu digna et maxime que secundos successus nobis perferunt nobis notiora facias. Nam nos, qui inter has Euganeas paludes iacentes nisi anseres et ranas audire solemus, tuis litteris recreasti. Gratias agimus Principi nostro qui te in illum Flaminie angulum relegavit, a quo nobis tam leta proveniunt. Bonis profecto avibus et letis auspiciis in illam provinciam profectus es, in quam posteaquam divertisti, non nisi omnia nobis ad votum et fortunatissime contigerunt. At tu quantum tibi temporis superest, elegantissime Candide, id totum tibi, ut soles, assume et vindica, nec patiaris ocio tempore desidiave marcescere et ad excitationem tuam redi, memor Catonis nostri censorii dicentis « vitam nostram uti ferrum esse: si exerceas, conteritur ; si non exerceas, rubigo interfuit ». Torpedo tamen plus detrimenti facit quam exercitatio. Fac ut aliquod iuxta mores tuas ornatum opus hic tua legatione conficias, sive historiam scripseris , sive poema , sive et rem seriam que philosophie disciplinam sapiat, scribas dummodo. Id mihi ad voluptatem non exiguam et decus ascribam si studia mea aliqua tui nominis inscriptione decoraveris et, ut aiunt, eternitati consecraveris. Quod si feceris, nihil antiquius, nihil gloriosius poteris efficere. Vale, Candide suavissime, et te a me amari spondeas tibi velim. — 3H — XI. Lettera del medesimo al medesimo. [Cod. cit., f. 6 r.] Andreas Bartolomeus Imperialis Petro Candido salutem. Quam pridie ad te dare pollicitus fueram epistolam ideo distuli, cum librarius meus Mediolanum divertisset, et quod te arduis in rebus occupatum noram : indulgebam perpetuis laboribus tuis. Nunc vero, cum paululum tibi ocii accessisse ex Mafeo Nuziano nostro cognoverim, oblectare te hac re incomposita volui, ut tua amplius magnifacias quanto reliquis omnibus excellere et prestare cognoveris, et in arce eloquentie positus, cetera despicere vel emendare facillime possis. Vale, et nisi longiorem epistolam tibi dedero, importuno ac infesto huic tabellario ascribes, qui neque corrigere illam neque hanc conscribere sua instanti properatione passus est. XII. Lettera del medesimo al medesimo. [Cod. cit., f. 7 v.] Andreas Bartolomeus Imperialis iureconsultus Petro Candido salutem. Implevisti nos pridie tanta spe, Candide doctissime, ut nisi quod policitus es exolveris, fidem profecto tuam accusabimus. Quare te precor ne patiaris fidem tuam abrogari rursum , quia molesta est omnis prestolantibus mora : festina, si nos consolari cupis. Inclusi enim, ut alias ad te scripsi, inter lias cenosas et sordidas paludes, nihil iocundum, nihil amenum, nihil dulce sentimus aut gustamus, nisi cum aliquod novum quod vel salubre nobis extimaveris vel his qui nos oderunt ingratum accepimus. Secundet Deus hec - 315 - felicia auspicia tua , quibus mense hoc decembrio exacti anni in Flaminiam demigrasti. Nos vero, etsi non paria neque tam prospera tibi possumus nuntiare nisi cursum astra mutaverint, aliqua tamen et grata et scitu digna conscribere nitemur, ut debiti quod tibi obnoxii sumus portiunculam reprendamus. Vale, Candide, suavium meum. Ex Ferraria. XIII. Lettera del Decembrio all’ Imperiale ed a Pietro Cotta. [Cod. cit., f. 70 r.] Petrus Candidus Andree Bartholomeo Imperiali et Petro Cotte. Quasi inter ocium et laborum negocium nactus, ut quidam inter somnum et vigiliam nec imaginantur ficta, nec vigilant, calamum assumpsi ; quid potissimum acturus essem animo divinaris : puto enim eos divinare qui, nescientes que futura sunt, mente concipiunt , aut, somno consopiti, multa vident simulacra, modis volitantia miris. Subit recordatio laudationis illius elegantissime quam Leonardus noster Aretinus in laudem patrie sue edidit. Subit etiam veneratio tam eximii laboris, tam honeste collati ab optimo viro in benemeritos cives suos. Transiit deinde memoria ab his ad nostra negocia, ad patrie caritatem, ut cogitationes ad invicem connecti solent. Quid hoc, inquam, cladis est, neminem ex nostris aut studiis bonarum artium animum intendere, aut que aliunde percepta sint et cognita in laudem conferre sue civitatis. Visum est itaque non tam ingenii fiducia, quam caritate, suscipeie novum onus et laudationem nostre urbis ab exordio incollare (sic), quam prius ad vos, optimi et doctissimi viri, mittere decrevi, ut an,satis recte consulerim non patrie solum, sed mihi ipsi dignoscere possitis. Nam cum diffìcile sit rem omnium consensu commendatissimam laudibus extollere condignis, tum vel in primis, difficillimum existimo servare constantiam ne videaris non maiora solum ingenio et viribus tuis suscepisse, sed aliorum laudes sponte depravasse. — 3l6 — XIV. Lettera dell’imperiale al Decembrio [Cod. cit., f. 70 v.] Andreas Bartolomeus Imperialis Petro Candido salutem. Deterruisti me, Candide doctissime, dum prima operis tui fronte exorsus es, nonnullos graves et doctos viros ubi laudem quererent, reprehensionem non exiguam meruisse, dum parem afferre eloquentiam nequeunt, nimia tamen dicendi cupidine ducti, silentium sibi imperare non possunt. Quid igitur faciam, Candide suavissime , ego vir elinguis , infacetus , parum elegans , parum doctus, qui orationem illustrare neque lepore ullo atque eloquentia allicere lectorem possim? Verebor ne me, more Ciceronis nostri, virum insulsum voces et qui vel modicum indulserim otio et litteris, si viris doctissimis hanc vitii notam ascribis. Ita enim hac tua monitione pavefactus et attonitus sum, ut qui velociter inconsulte in aciem prodire, in calamo manum addigere consuevissem , ab hoc humanissimo et placidissimo scriptitandi officio pene desciverim, et tardiusculus atque morosior esse ceperim et amplius pensitanda, polienda ac limanda verba consuerim. Verum, ut arbitror, indulgebis , humanissime Candide , inscitie mee , si non lucubratiora et ornatiora ad te detulero. Nam , sicut dicere sepe soleo, sum vir legisticus, inter hos novissimos i uris civilis commentatores educatus, quorum parum culta ac parum ornata disciplina, sed pervulgata quodammodo , arida et agrestis , omne aliud sapere videtur quam oratoriam facultatem, quam ego, huius secte, ingenue profitebor eloquentiam a meis studiis alienam, ad quam etsi modo studio et ardenti quodam desiderio, quantum possum et ingenii mei vires sufficiunt, accedere summa ope contendam, non possum tamen inveteratos, quos in iis studiis sumpsi, focile errores oblitterare, nec, tiro, aut assequi aut imitari valeo eos veteranos, qui usu, ingenio et assidua exercitatione exactissimam et perclaram huius artis disciplinam didicerunt. Quare hoc — 317 — ego primum fedus inire et legem sancire inter nos volui, ut si hunc inter nos litterarum conservare officium cupis , sententia[s] potius quam fucum illum et verborum liniamenta conspectes ; si enim pondus ipsum gravitatemque pensaveris, quam si afferre non possum, me ineptissimum et ut me inscipientem confirmem necesse est. Unde, etsi exilis et de tenui quodam fonte emanet oratio, lumine tamen suo clara satis et nullo pacto negligenda videatur, memor sum Senece in epistolis ad Lucilium. Qualis esset sermo noster, si una sederemus aut deambuleremus, illaboratus et facilis, tales epistolas nostras esse volo; compositus enim et ornatus stilus accersitus recte dicitur. Nam si possum ostendere quam loqui malem (alius enim ornatus eas mulieres decet que in publicum prodeunt ut populo placeant, ut sue pulchritudinis periculum faciant, ut de specie ac forma contendant, alius eas matronas que intra privatas domus agunt, ut patri se ac necessariis ostentent, ut de Iulia legimus), ita semel tecum de hac nostra scriptitandi consuetudine dixisse libuit, ut posthac nihil a me audies. Ad rem vero nostram veniens, ego huius operis tui elegans ornatum et sublime principium suscepi, quod profecto tue summe eloquentie, tue exhuberantis copie, tue splendide artis nobis testimonium fecit. Nam cum proximis diebus semper inter ornatissimos viros et huius studiis humanitatis deditos te precipuum locaverimus et opera tua celo extulerimus, opportune se nobis hoc opus tuum obtulit et tanquam locupletissimus testis affulsit, nostre sententie vim atque efficaciam confirmavit. Laudavimus ipsum pro virili ingenii nostri Petrus tuus et ego , qui si exhuberantius ingenium sortiti essemus, si vegetius, si acrius potuissemus, fortasse uberiorem tibi glorie ac laudis cumulum afferre. Faciemus etiam ut illustris d. Leonellus et alii, qui sapiunt, huius tui eximii splendoris atque tante humanitatis participes fiant ; nihilque ex nobis deerit, quod nostra commendatione ac laude tibi afferri possit, quin te digne, ut par est, et commendamus et extollamus ut nomen tuum plurimi faciamus. At si quis tam petulans aut ingratus fuerit, qui te mordere aut operi tue livore detiaxerit, erimus omnes dignitatis et glorie tue pugiles et defensoies, nec nomen — 3i8 — tuum lacerari vel plagis affici vel ulla ledi ex parte sinemus. Ego enim , Candide mi, nisi hoc pollicitus fuissem, aliquod ex meis opusculum ad te dare, tantum me eloquentie tue fulgor excecat atque aciem oculorum devicit, ut nullo pacto apud te prodire voluissem ; neque enim ullum per me opus confectum est quod non multam possit mendam correctionemque suscipere, si ante viros magnos et excellenti ingenio preditos proponatur. Verum nolui quam tibi pollicitus sum fidem abrogare, et facilius ad te mitto qui eam pie humane correcturus sis, neque videor, dum ad te scribo, rem in publicum efferre, immo intra privatas me parietes continere. Mitto ad te epistolam quam pridie ad illustrem Leonellum suorum studiorum exhortatoriam confeci : in quam video frigidam, aridam et ieiunam dicendi vim percipies et pervulgatam, neque ulla ex sui parte perfectam. Inchoasse enim videor multa, que nequaquam absolvisse confiteor, et dum compendio me cohortare volui, ne nimium vagaretur oratio, nihil expletum , reliquisse videor. Sed non patitur epistolaris angustia ut res, que exactis voluminibus compleri solent brevibus verbis expleantur. Faciam igitur tecum uti cauti mangones solent, qui debiliores et viliores semper equos emptoribus exhibent ut postremo decentiores et meliores appareant. Nam si hec oculos tuos non offenderit et digna visa fuerit que non latebris occultetur, reliqua tuo solo iudicio fisus, visenda mandabo, que forte cultiora et maioris artis atque efficacie videbuntur. Tu me ama et semper nobis aliquid rescribas velim. — 319 — XV. Lettera di Battista Di Iacopo al Decembrio [Cod. cit., f. 117 r.] Baptista de Iacobo Petro Candido salutem. Dum antea, et sepissime et pluribus verbis, ex gravissimis viris te doctissimum hominem ac eruditissimum esse cognovissem, tum vero, posteaquam isthinc discessi, Ambrosius de Vicemalis, adulescens et perhumanus ac doctus et tui studiosissimus, qui (sic) cum mihi summa intercedit familiaritas, incredibilem in iure administrando iustitiam, in audiendo facilitatem, in omnibus rebus fidem, pietatem singularem tuam mihi amplissime demonstravit, tuam preterea mansuetudinem, suavitatem innumerasque virtutes, atque easdem eximias addidit, id asserens, se cum plus de tuis laudibus immor-tabilibus dixisset quam posset, minus tamen quam earum et cumulus et magnitudo postulet exposuisse. Quare, ut me tibi deditissimum putem atque ita ut cui plus quam tibi me debere extimem, habeam neminem. Me dehinc societas studiorum , con-formitas animorum certe tibi coniunctiorem facit. Sic igitur tibi persuadeas velim, mi Candide, tibi Baptistam esse, qui nemini tuorum etiam singulari erga te fide et benivolentia in te colendo, amando, observando cedat, quove tibi uti et abuti tuo more liceat. Gratissimum itaque mihi feceris, vir optime, si me illorum quos tibi scis esse coniunctissimos gregi atque cumulo associaris, in fidem necessitudinemque tuam acceperis. Id si abs te factum intellexero, nihil erit quod mihi gratius futurum sit : itaque facias te etiam atque etiam rogo vehementer. Plura me ad te impresentiarum scribere occupationum mearum magnitudo prohibet, et hoc quod antedictum est ad meum animum apud te testatum satis esse relinquendum arbitror, a quo, cum per ocium licebit, crebras expectabo litteras. Vale, totius artis oratorie lumen atque decus immortale, et aliquando ad Baptistam tuum, si id fieri mea in te benivolentia non vulgaris postulare videbitur, litterarum dato quidpiam , quod mei absentis desiderio leniatur. — 320 — XVI. Lettera del Decembrio al Di Iacopo. [Cod. cit., f. n8r.] Petrus Candidus Baptiste de Iacobo salutem. Delate sunt mihi iocundissime littere tue, Baptista mi, que eo gratiores mihi fuere quo inexpectatiores accesserunt : est enim quicquid immeditatum nobis evenit aut ipsa felicitate gratius aut calamitate inopina difficilius ad ferendum, inde illud Euripidis « futuras mecum commentabar miserias, aut mortem acerbam aut exilii mestam fugam, aut aliquam molem semper meditabor mali, ne me improvisum cura laceraret repens »: putat enim vir doctissimus omnia previsa fore leviora. Itaque fortuna letiora dona, etiam si repentina sunt, augent hilaritatem. Tue itaque littere ex ipsa inespectatione mirum in modum apud me gratiam auxerunt. Etsi nulla in me aut arte modica facultas earum rerum inesse videatur qu.ts ex abundanti sua humanitate Ambrosius noster Vicemala tibi retulit, cum is omnium amantium comunis eri or sit pluris amici rem facere quam oporteat, tuam tamen erga me voluntatem non dispicio, quin immo plurimi eam facio. Scio enim quanta inter eos benivolentia esse soleat, quorum etsi vita non, dispares sunt opiniones aut dissimilia iudicia. Neque certe hoc novum et inusitatum est, ut homines pernoti virtutis alicuius aut doctrine fama singularis , non litteris modo, sed longissimis iteneribus ac difficillimis, amicitiam cum eo iungere niterentur. Siquidem, ut sapientissimis viris maioribus nostris memorie proditum accepimus, Herculis fama Theseum ad eius amicitiam et vite imitationem esse compulsum ; et Perithoum virtute Thessei excitatum , etiam incognitum diligere occepisse et post cum illo amicitiam et societatem rerum omnium coniunxisse. Possem anos commemorare complures et quidem prestanti sapientia viros, qui remotissimas regiones amicitie ineunde gratia obierunt , quos ommittam ne longior sim in scribendo. Nec enim tibi persuaderi — 321 — velim mortales esse, ad cuius benivolentiam oppetendam magnopere sit concurrendum, sed ut incognitam mihi non existimes bonorum affectionem et caritatem in promerendis optimorum virorum familiaritatibus, quarum si ulla in me est, amantissime frater, eas tibi libenti animo polliceor, ut et me uti et commodis meis eque frui possis, ac si unus et idem mecum esses, non animo solum , sed necessitudine, cognatione, familiaritate affinitateque coniunctus. Vale. Atti Soc. Lig. St. Patria Voi. XXIV, fase. i. 21 INDICE DELLE PERSONE INDICE DELLE PERSONE Abzat (di) Arcimbaldo, p. 232. Adorno Gabriele, 9. — Prospero, 37-38, 45 n. — Raffaele, 26, 131-132, 134, 175, 289, 310. Alberti Leon Battista, 177. Alfonso d’Aragona,8, 16,26,45-46, 58, 121, 128, 13111.-140, 142-148, 154-161, 163, 168-176, 180-181, 275, 277-282. Alighieri Pietro , 82, 99. Ancona (d’) Ciriaco (v. Pizzicolli). Angela, meretrice, 93-94, 247. Angiò (di) Renato, 69, 73-74, 233- A Annio (v. Nanni). Antonio, scultore e pittore, 107. Appiano Iacopo, 287. Aragona (v. Alfonso). — (v. Ferdinando). Argiropulo Giovanni, 71—72. Arrivabbne Pietro, 79. Assereto Biagio, 19-20, 32, 277. Astesano Antonio, 15 (per errore Nicolo) 17, 22, 53, 56-57. Atti (degli) Isotta, 99. Aurispa Giovanni, 16 n., 26-27, 45, 47-53, 68, 103, 159, 276. Barbarigo Girolamo, 14, 1511. Barbaro Francesco, 14, 15 n., 16, 17, 46, 53-54, 167-168. Bartolomeo, architetto, 38. Beccadelli (o Beccatelli) Antonio (v. Panormita). Bessarione, cardinale, 79. Biondo Flavio, 59, 61. Bisticci (da o de’) Vespasiano, 179. Boccaccio Giovanni, 9. Bombarda (il) Giacomo, 81, 222. Bonarello Giacomo, ioi n., 255. Bonvicino, 22. B Borgesi Paolo Giovanni, 124. Borgogna (di) Filippo, 192-206. Borromeo Vitaliano, 175. Bosso Matteo, 59. Bracciolini Poggio, 14, 20-21, 32-33, 54-56, 105, ISO n-, 159, I7I'I73, lSl-Bracelli Giacomo, 7, 14, r7< 33, 44> 75, 77- Bruni Leonardo, 11-12, 3I"32» I27> 312, 315. Bucelleno Giovanni, 83. Bucicaldo, maresciallo, 301 n. > . Caimo Giovanni, 59. Calco Bartolomeo, 66. Calderari Antonio, 117-118, 12$. — Maria, 124. Calderini Domizio, i$6n. Calocio, 277. Camogli (v. Schiaffino). Capra Bartolomeo, 13, 40, 45. Capranica Angelo , 98. Caracciolo Giovanni, 17$. Cardona (di) Gabriele, 77, 220. Carlo, 122. Carlo VI, re di Francia, 301 n. Carlo VII, re di Francia, 36, 70, 77-78. Carrara Alberto, 83, 120. Casano (da) Francesco, 94-95. — — Caterina, 94, 100. Casella Lodovico, 75, 178. Cassarino Antonio, 45, 57-59. Castiliano, 103. Cebà. Nicolò, 30-32, 75. Cellis (de) Antonio, ii4-Cerruti Gerardo, 83 n. Cicala Battista, i7, 58. ClCINELLI BOFFARDO, 277, 279. Clevi (di), duca, 196. Contarini Pandolfo, 100. — Stefano, 83. Conte (del) Giovanni, 216. Coppino Francesco, 207. Coppola Pietro, 286, 293-295. Cossa Giovanni, 141. Cotta Pietro, 315. Crisolora Giovanni, 71. — Teodora, 71. Crivelli Lodrisio , 70 n., 81, 106. Crovi (di) monsignore, 195-196. Curlo Giacomo, 17, 44*45 ■ 122 W» 126, 128, 140, 151-152, 165-166, 170, 172 , 176 , 281. D Dal Pozzo Cristoforo, 107-108, 113. Davalos Inigo, 178 n. Decembrio Paolo Valerio, 288, 302-304. Decembrio Pier Candido, 13, 25, 28-3°, 34-35, 39, 58, 177-178, 208-211, 215, 285-320. Del Carretto (famiglia), 74-75, 105. — Francesco, 123. — Galeotto, 97. — Maddalena, 97. E Edoardo di York, 37, 197-198. Enrico VI, re d’Inghilterra, 37. Este (di) Borso, 73 n„ 75, 98. — Ercole I, 99. Del Carretto Marietta, 72, 93. — Matteo, 14, 128. — Spinetta, 76. Della Rovere Francesco, 127. De Marini Paolo, 170, 283. — Pietro, 127. — Pileo, n-13, 16, 127, 287, 302-304. D’ Oria Manfredina, 71. — Paolo, 286, 293-295. Donatello, scultore, 176. Este (di) Lionello, 73 n., 179, 290, 312, 317-318. Eugenio IV, papa, 33-4811., 176. — 327 — ? F • Fabriano (da) Gentile, 176. Facino Bartolomeo, 177-178, FaZINO, 79, 220-221. Fazio Bartolomeo, 7, 17-19, 22-26, 35, 45-46, 58, 129-181, 275-283. Fazio (da) Francesco, 128. — Mario, 128. Federico III, imperatore, 104. Federighino (di) Filippo, 108, 113. Felice V, antipapa, 33. Perdinando d’Aragona, 46, 84-85. Ferrabos Giovanni Andrea , 83 n. Ferrer Giovanni, 167, 181. Fieschi Antonio, 287, 299. — Bianca , 287, 299. — Carlo, 286. Carlo (II), 25, 28611. — Carlo (III), 286-287, 295-302. — Donella, 287. — Giovanni, 286. — Giovanni Filippo, 121. — Luca, 287, 299. — Luchina , 287. — Obbietto, 25. — Susanna, 287. Filelfo Cesare, 73. G Filelfo Francesco, 17, 32, 50, 57, 59-63, 68, 74-81, 84 n., 89-93, 101, 105-107, 122, 178 n., 220. — Giovan Mario, 8, 18, 61-62, 68-115, 119-120, 126, 128, 219-255. — Giovanna ,73. — Senofonte, 60, 74, 79 n., 91. — Teodora, 83, 86 n. Firenze (da) Ginevra, 95, 245-246. — — Renzo, 176. — — Vittore, 176. Foscari Francesco, 100, 175. Foscarini Lodovico, 61. Fregoso Battista, 26, 66. — Giano , 26. _ Giovan Galeazzo, 55-56. _ Lodovico, 38, 55-56- — Nicolò, 17, 26, 45, 47. — Paolo, 38, 41, 212. _ Pietro, 45, 105. — Rolando , 287. — Spinetta, 26, 38. — Tommaso (I), 16-17,26-27,49. — Tommaso (II), 26,28-30,74,88. Gabrielli (de’) Cristoforo, 191. Galeono, 170 n. Galione, 17011. Gallarano Bartolomeo, 188. Gallina, 281. Gaza Teodoro, 92-93. Genova (da) Bernardino, 126. — — Desiderio, 127. — — Filippo, 127. — — Giovanni, 126. — — Luchino, 18. — — Matteo, 126. — — Nicolò , 128. Giorgi Domenico, 82, 99. Giovanna (?), 94-Girardino Bartolomeo, 87. Girardo, 200. Giustiniani Andreolo, 20-21. — Angelo, 21. — Leonardo , 54. — Nicolò, 14-15. — Pietro, 114-Goano Battista, 17, 26, 135. Gonzaga Cecilia, 102. — Federico, 72 n., 85-86, 102. — Lodovico , 85, 102. — 328 — Grillo Antoniotto, 17, 45, 166. Grimaldi Oberto, 287. — Richerio, 9. Guarco Isnardo, 54. Guardia (della) Giovanni, 192. Guarini Guarino, 18, 50, 130, 132, 13813., 1390., 149-150, 162 n., 165. Guarini Girolamo, 149"151 • — Manuele, 16211. Guasco Bartolomeo , 16 n., 26, 46-57, 115, 126. Guicciardini Francesco, 35. Guinigi Paolo, 231. Iacopo (di) Bartolomeo, io, 290. Iacopo (di) Battista, 290-291,319-320. Imperiale Andrea Bartolomeo, 15, 16n., 17, 289-290, 311-318. Imperiale Paolo, 15. Incisa Antonio, 124. — Carlo, 124. — Giannandrea, 124. Ivani Antonio, 41. L Lambertini Guido Antonio, 98. Lamola Giovanni, 49, 132, 13911. Leone (di) Giovanni, 128. Lollio Gregorio, 79. Lomellini Battista, 26, 135. Lomellini Carlo, 289-290, 312. — Matteo, i4-15j i7-Lucerna Michele, 7611., 7911-, 8711. Luigi XI, re di Francia, 36, 207-208. M Machiavelli Nicolò, 35. Malatesta Roberto, 85, 192. — Sigismondo Pandolfo, 60, 99, 243-245-Malferito Matteo, i71-175, 177,278, 282-293. Malipiero Pasquale, 71, 80, 221. Malpede Giovanni, 83. Malvezzi Ercole , 98 n. Manetti Giannozzo, 173. Marchatoribus (de) Felisio, 127. Marengo Antonio, 17. Marliano Francesco, 70 n. Marsuppjni Carlo, 130. Martino V, papa, 176. ARzio Galeotto, 81-82, 105. Medici (de’) Cosimo, 45, 101, 175. — — Lorenzo, 84, 101-102. Melchionis Tommaso, 126. Merchenti Lodovico, 83. Merula Giorgio, 15, i$6n. Mireto (de) Antonio, 152. Mombaruzzo (di) Giovanni, 1811. Mona Cristoforo, 114. Montano Cola, 122. Montefeltro (da) Federico, 99 n., 101 n. Montefeltro Isabetta, 85. Montone (da) Braccio, 288. Morando Benedetto, 156, Nanni Giovanni, 63-65. Nano Domenico, 125. Netalone Nicolò, 114. Niccoli Nicolò, 130. Nicolò V, papa, 28 , 148 , 151, 154, 162, 176. Nogarola Isotta, 82-83. — Lodovico, 83 n., 99. Novelli Andrea, 123. Nuziano Matteo, 314. Odone Giovanni, 17. Orleans (di) Duca, 197. o Olzina Giovanni, 133. Paleologo Giovanni, 71. — Guglielmo, 8711., 97. Pallavicino Giovan Manfredo, 187. Panormita Antonio, 17, 19, 45, 49-53, 5811., 130-13211., 134, 137-148, 155-156, 158-160, 163, 167-175, 177, 180-181, 275-283, 289. Parisi Alberto, 80, 120. Paveri Fontana Gabriele, 62, 122. Perleone Pietro, 58-63, 75, 80, 92, 106, 122, 252-255. Perotto Nicolò, 156. Petrarca Francesco, 9-1 i, 177 n. Piatti Piattino , 84, 86 n. Pio lì, papa, 70, 79, 106, 164 n., 176-177. Pistoia (da) Francesco, 20. Pizolpasso Francesco, 28, 7011. Pizzicolli Ciriaco, 15, 22, 26. Platamone Battista, 133, 163. Poderico Enrico, 282. Pomaureo Antonio, 124. Pompei Giovanni , 82. Pontano Tommaso, 50. Porcellio, 60 n., 7811., 82, 105. Portinari Marco, 9. Priori (de’) Venturino, 78, 115-126, 257-273. PUSTERLA (DA) PIETRO, 43, 211. Raimo Francesco, 140, 161, 180. Ramoino Paolo, 122, 265-268. Rancio Mercurio, 50-51. Re Arrigo, 121. — Pietro, 121-122. — Tommaso, 117, 12211. Regibus, Regis (v. Re). R Renzo, 282. Riario Pietro, 98. Riva (di) Sentino, 74, 219. Rocelli Battista, 293. Roero Baldassare ,123. — Filippo, 123. Romuleo Paolo, 15611. - 33° — S Sabellico, 69. Sabino, 15611. Sacchetti Franco, 173. Sacco Catone, 51, 71 n., 90, 175. Sagundino Nicolò, 6211., 176. Salutati Coluccio, io, 288. Salvagio , 25. Savoia (di) Bona, 41 n., 42-44, 214-217. — Filiberto , 70 n. — Lodovico, 18n., 30n., 36, 69, 76-77. Scarampo Emanuele, 17. Schiaffino Battistina, 40,43-44, 215. — Liberio, 4411., 216-217. — Prospero, 31, 35-44, 126, 187-217. Scoto Pietro, 117-118. Settimo Guidone, io, ii, 288. Sforza Alessandro, 84, 100, 248. — Bianca Maria, 127. — Francesco, 35, 41 n., 45, 74, 79, 95, 100, 178 n., 188-192, 194-202, 204-208, 221-222, 249-251. Sforza Galeazzo Mafia, 41 n., 42-43, 64-65, 196, 212. — Lodovico, 86. Simone, 40. Simonetta Cicco, 38 , 41*43> 74, 83 n., 84. 86, 192-193, 201-204, 211-214, 219-220. Sisto IV, papa, 8211., 98, 127. Spinola Battista, 17, 21-22, 25. — Caccianimico , 17, 22. — Domenico, 126. — Eliano, 16, 22. — Francesco, 22, 175. — Giovan Giacomo, 22-25, 136- 137, 145-146, 162, 164-165. — Galeotto, 9. — Manfredo, 22-25, 165. Stella Giovanni, 288, 304-306. — Giorgio, ii, 288. — Gottardo, 14, 33'3^’ 44, 75-Strozzi Nicolò, 13911. — Roberto, 149-150. T Talbot , 232. Tani Angelo, 201. Terentiis (de) Lorenzo, 200. Torello Amurat, 216. — Pier Guido, 97. Toscanella Giovanni, 50, 130. Tranchedino Nicodemo, 4111., 190-192, 285. Trapezunzio Giorgio, 61, 80, 106, 252-255. Traversari Ambrogio , 50. Trebanio Aurelio, 89, 106-114, 223-228. Trecavallo Agostino, 114* u Ubaldini Ottavio, 85. Urceo Lupo, 132. Ursini Giovenale , 78. — 33i — V Valla Giorgio, 25, 65-67. — Lorenzo, 20, 28, 57, 12911.-131 n., 137-138, 140-158,160-161, 178-181. Valturio Roberto, 98. Varisino Francesco, 100. Varvich (di), conte, 197-199. Venier Delfino, ioi. Ventimiglia (da) Antonio, 18-19. — — Carlo, 18. Verona (da) Gasparino, 122. — — Pisano, 176. Vettori, 55. Vicemala Ambrogio, 319-320. Villadei Alessandro, 125. Vinciguerra Antonio, 63, 252-255. Visconti Filippo Maria, 13,52,178n., 287, 289, 301. — Gabriele, 287, 301. — Giacomo , 287. — Giovanni Maria, 301. — Guido , 64. Vitale Rodrigo , 281. Vitellio Cornelio, i56n. Volpe Nicolò, 100. Ximenes Lupo, 133. X Zancario Alberto, 120. | Zanono (de) Margherita, 95. 4 DELLE MATERIE CONTENUTE IN QUESTO FASCICOLO INDICE F. Gabotto , Un nuovo contributo alla Storia dell’ Umanesimo Ligure Pag. 5 Capo I. Mecenati e studiosi ... » ? Capo II. Cancellieri e grammatici a Genova.....”33 Capo III. Umanisti a Savona......• • » 68 Capo IV. Liguri fuor di patria . . . . . . • » 126 Appendice..........» 183 I. Documenti di Prospero da Camogli . . . . . . » 187 II. Documenti e poesie di Giovan Mario Filelfo . ■ « 219 III. Scritti di Venturino de’ Priori......."257 IV. Lettere di Bartolomeo Fazio . . . . . . . » 275 V. Alcune relazioni di Pier Candido Decembrio con Genovesi . » 285 Indice delle persone........ ...» 323 DOCUMENTS pour l’histoiue de l’établissement DE LA DOMINATICI FRAN£AISE A GÈNES (1498-1500) RECUEILLIS PAR LÉON-G. PÉL1SSIER ANCIEN MEMBRE DE L’ÉCOLE FRANQAISE DE ROME, PROFESSEUR À L’UNIVERSITÉ DE MONTPELLIER SOCIO CORR. DELLA R. DEPUTAZIONE DI STORIA PATRIA DI FIRENZE. Atti Soc. Lig. St. Patria. Voi. XXIV fase. 1' v u cours de recherches sur quelques points de l’histoire de l’Italie au commencement du XVl.e siécle, j’ai réuni divers docu-ments relatifs à la révolution qui fit passer Gènes de la domination de Ludovic Sforza, due de Milan, à celle de Louis XII, roi de France. Sans former une sèrie continue et complète, ces documents apportent beaucoup d’informations de détail sur plusieurs épisodes de cet événement historique, si important dans les annales de la Rèpublique, et qui mèrite si bien d’étre exactement connu. Je crois donc de mon devoir de les mettre en lumière, et je m’assure que hi publication dans les Atti della Società Ligure di Storia Patria n’en pa-raìtra ni inopportune ni dènuée d’intérèt. Je me bornerai — 336 - dans le présent travail à imprimer ces documents dans l’ordre chronologique, en y soignant les éclarcissements et les notes nécessaires à en faire connaìtre, le plus brié-vement possible, la provenance, la valeur et l’intérét. I. Au moment de la mort de Charles Vili, la domination de Ludovic Sforza semblait solidement assise et durable à Gènes. Il l’avait renforcée au mois de février en faisaut avec Baptistino de Campofregoso un traité de réconciliation « el che havsnio facto voluntera per dot respecti, l’uno per levarlo de Francesi e per consequente assecurare più le cose de Genun, V altro per parmte senon a bon proposito bavere cum noi de tutte le factione de quella cita (i) ». 11 la consolida d’une fa$on qu’il pouvait croire définitive dans le voyage qu’il fit au mois de mars, à Gènes, avec toute sa cour. Ce voyage avait pour but de montrer le due de Milan à ses vassaux génois et il était destine aussi à contrebalancer l'effet produit par les intrigues et les menaces militaires de Trivulce et du due d’Orléans. Ludovic Sforza raconta ce voyage par lettres au Cardinal Hippolyte d’Este, archevèque de Milan , qu’il avait nommé lieutenant général ducal en Lombardie pour le temps de son absence ; ces lettres sont pleines de détails sur les préparatifs militaires et les projets d’amélioration de sa défense, non moins que sur les raagnificences de sa reception à Gènes. Lettres de Ludovic Sforza au Cardinal d’Este. (2) Reverendissime in Christo pater ac Illustrissime Domine Cognate et Frater nobis optime, Questa matina partessimo da Vogera, et venessimo a Tertona, dove fossimo incontrati da quatro Am-basatori Genoesi: videlicet Amfrono Spinula, Zo. Ambrosio dal (1) Modène, Archivio di Stato, Carteggio ducale, Lettre de I.udovic Sforza au due de Ferrare, Hercule d’Este. Ludovic prévient le duc Hercule de cet arrangement particulier parce que B. de Campofregoso allait fixer sa résidence à Ferrare. (2) Modène, A. d. S. Cancelleria ducale. Lettere di Principi esteri. Milano : « Exemplum literarum illustrissimi et excellentissimi domini Ducis Mediolani ad Reverendissimum D. D. Cardinalem Estensem ducalem generalem locumte-nentem ». - Copie. — 338 - Fresco, Vincendo Barlascha, et Vincendo Sauli venuti con grande comittiva de zoveni Gentilhomini Genoesi: et in quello tempo che noi siamo demorati in Tertona per vedere el dessegna de la forteza li volemo fare, (corno scia la Vostra Reuerendissima Signoria), messer Zo. Aluysio dal Fiescho, et messer Zo. Adorno sono pattiti per ritornare a Genua. Questa sira siamo poi venuti qui, dove messer Zoanne Spinula da Saravallo ne ha incontrato con bella comitiua, et in specie da dodeci Zentilhomini Zoueni Zenoesi vestiti di veluto, et forsi venti staffieri, ancora loro vestiti de veluto. Doppoi el mangiare nostro havemo dato audientia al li dicti oiaton quali, sotto la littera credentiale che li mandamo qui inclusa, ne hano con molte parole explicato el piacere che sente tutta la cita de laudata nostra, dicendo essere mandati per fare tutto quello li comandaressimo: la risposta nostra è stata de haverli veduti volun-tera, conio vedemo sempre qualunque Citadino de quella Cita, et che li ringratiamo del esserne venuti a incontrare : et che se loro ne expectavano con desyderio, nui anchora li andanio cum desiderio grandissimo, remettendone ad explicare la causa in la giunta nostra. Del che ne è parso secundo lordine nostro avisarne la Vostra Revendissima Signoria. Sarauallis 14 martij 1498. (1) Reverendissime in Christo pater et illustrissime Domine cognate optime, Fin alla gionta nostra al borgo di Fornari, la Reverendissima Signoria Vostra è stata nvisata de li progressi nostri; da epso loco se partissimo hogi alle 16 hore, et preso il camino a Buzalla et poi al giorno frollassimo a mezzo di epso al descendere Messer Bernardino Adorni cum molti cavalli, et grandissima compagnia tutta ben ad ordine; qual (2) desceso da cavallo, ce fece intendere essere mandato dal Magnifico Genero nostro per incontrarne et farne reverentia in questa nostra venuta: passato poi un pocho più inante in epso Gioue, se apresentarono li octo di la Bailia di Genua cum septantaquatro citadini ben ad (1) Modène, ibid. id. - Copie. (2) Le mot Ferrara piace à cet endroit dans la marge indique qu’une copie de cette lettre fut adressée par le Cardinal d’Este à son pére le duc Hercule. ~ 339 — ordine de veste di setta, et montati sopra bellissime mulle; et factosi inante descesi in terra cum omne signo de reuerentia, dixero essere mandati dala comunità nostra per farne reuerentia et honore et declarare che eramo aspectati cum gaudio incredibile da tuta la Cita; in nome di la quale havevano commissione de rin-gratiarne di questo amore quale li demonstravamo in essere venuti qui in persona. Cavalcassimo poi uno pezo in la valle di Poceura, et vicino ad Ponte decimo, se fece incontro il secundo genito dii Gouernatore nostro essendo il primo infermo, qual con se hauea grande commitiua de caualli, et persone honorevolmente vestite et cum molti fanti armati quali similmente in nome dii Governatore, disse essere mandato per tare reuerentia, et ricoglierne cum omne signo possibile di honore; nominando etiam lui el piacere nel quale el patre et loro tutti de la casa se trouauino. Poso luy comparse il fiolo del Magnifico Messer Zo. Aluysio dal Fiesco similmente accompagnato da molti caualli et citadini vestiti di setta, et cum molti a pede, quale parloe in consonantia. Subsequivano molti citadini spezati, tutti ben ad ordine et passato Ponte decimo poco più de dua millia, fossimo incontrati dali Magnifici Messer Zo. Aluysio dal Fiesco, Messer Zo. Adorno et Messer Lucha Spinula con grande comitiua di Gentilhomini et Citadini, benissimo ad ordine di veste, cavalli et mulle et cum grande fantaria; li quali fecero la presentanone sua cum segni et parole piene di reverentia et amore, et satisfacto con loro a quello che lofficio nostro ricercava con loro, passassimo più ultra, havendo tuttavia l’incontro de molti altri citadini, finche lontano da Genua circa cinque millia se apresentarono li Magnifici Ambasadori di la Serenissima lega, et dii Serenissimo Re Federico cum el Magnifico Governatore et Anciani di Genua, cum li magistrati di la Cita, et comitiva infinita di Zentilhomini et Citadini ornatissimamente vestiti et montati sopra bellissime mulle, et cum la compagnia de li cavalli lenzeri di Messer Zo. Adorno, et dismontati il Gouernatore et Anciani li facessimo remontare, ne permettessemo che a pede ce facesseno el segno qual alhora desyderavano; remontati aduncha et ricolti tutti secundo la qualita et grado loro, siamo venuti insiema qui a Coniliano lontano da Genua tre milia, nel quale loco, licen- - 340 — tiati li Magnifici oratori, el Gouernatore et Anciani disniontarno, e non se volsano partire prima che ce hebano acompagnati di sopra ne le camare dii pallatio doui alozamo, qual è de Messer Amphione Spinula, posito al prospecto dii mare, dovi sono poi comparsi li Capitanei de le Galee dii serenissimo Re Federico et nostre, per farne etiam loro signo di letitia in questa nostra gionta. In questo loco Inverno disnato et restaremo questa nocte, et domane faremo poi lintrata; ili la quale la Reverendissima Signoria Vostra sarà particolarmente avisata, corno havemo voluto che la sij dii venire et progressi nostri fin qui in questo loco: Ex Corniliano dic 16 Martij 1498. (1) Reverendissime in Christo pater et illustrissime domine cognate honorande, heri arcuassimo a Corniliano recolti da questi Illustrissimi Magnifici Gubernatore et Antiani, Magistrati et da tutta la nobilita di Genua, nel modo che per nostre litere hauemo significato alla Reverendissima Signoria Vostra. Poi hoggi essendo extesa ordinatamente sopra a Giara di la Polceuera la Corte nostra, distincta per li gradi suoi, comparvero circa septecento Citadini Genuesi distincti in septe compagnie, vestiti di diversi colori secundo la qualita di le compagnie, cominzando di viluto nigro, viluto morello, et cremexino, et poi di seta senza pelo, descendendo fin a scarlate et rosa secha; al fin di epsi erano li Magnifici oratori di la legha et dii serenissimo Re Federico presidenti in Genua, et cum loro il Magnifico Gubernatore et li Antiani et Magistrati di la Cita; li quali presentati a dui a dui, cominzo adunarsi la Corte nostra cum questo ordine: prima li Carriagi de li Cortesani coperti di negro, et poso epsi li nostri curn coperte di veluto nigro; poso li Cariagi era il loco de li fanti de la guarda nostra armati di nouo, et era lordine suo in questo modo: li famij precedevano con le imbrazadure nigre et spade, poi li schiopeteri tutti armati, poso li quali seguiuano quelli de le lanze lunghe cum una Compagnia di balestrieri, deinde quelli de le Alabarde; in mezo de li quali era la bandera di la Guarda, et poso loro una (1) Modène, ibid. id. - Copie. — 34i — altra compagnia di quelli de li lanzoni, et un altra de balestreri; passati li tanti di la Guarda, andorno li stradioti a dui a dui precedendo la bandera sua, el capitaneo et loro armati et vestiti di negro cum le lance et banderole nigre; et cum medesmo ordine et forma sequirono li mamaluchi: el loco de li sequenti fu de li cauallari vestiti di nigro cuin li signi suoi, et poso loro li familij de li Cortesani similmente in habito nigro et poi li Capellani et Cantori : successero a questo ordine li maestri di caualchare Tin-cone et Gaspare, et poso loro li ragazi et sotto camareri, cum mulle et caualli grossi di la persona nostra ornati di fornimenti di veluto nigro cum le borchie et altri ornamenti dorati; poso li quali era Jacometo. maestro di la stalla nostra. Sequivano poi li Camareri nostri fori di camera cum li Gentilhomini Gioueni. Il loco sequente fu de li gentilhomini Genusi (sic) venuti incontro et poi li Trombeti; dreto alli quali andauano li dui ragazi nostri di la capa et li antiani cum li altri Magistrati di senna il numero de trenta due et cum li dui più ultimi antiani Messer Zo. Aluisio et messer Zo. Adurno. Deinde il Camerlengho nostro cum la spada nostra, et poi il Gubernatore col priore de li Antiani. Poso liquali andassemo imi tra li dui oratori hispani et poi li oratori Napolitano et Veneto et poso loro loratore Fiorentino et secretario Veneto residenti qui. El loco sequente fu de lo illustrissimo signor Sigismundo da Este et di messer Galeaz, deinde lambasatore Mantuano, el Conte di Caiacia; poi quelo di Bologna cura lo signor Galeoto da la Miran-dula, el vescovo di Lode et lo signor Ludouico da Gonzaga, deinde lo Conte di Melcio col priore di Novarra et gradati li Corseri nostri secondo lordine suo, et poi li Camareri nostri di Camera cum li altri Gentilhomini nostri di maiore conditione; el loco seguente tra li secretarij de li oratori et nostri et de li medici, cum la Cancellarla nostra et poi altra multitudine. Cum questo ordine siamo intrati fin alla porta di la Cita fra multitudine grandissima di populo et cum segni infiniti di gaudio quale facevano anche le galee napolitano et nostre, acostezandone continue con soni di trombe et artelaria, come fece anche poi el porto et Castelieto vicino alla porta di Santo Thomo. Precedeteno vn pocho più il Gubernatore et antiani com messer Zo. Aluysio et messer — 342 - Zo. Adurno, liquali, descesi a pedi, si feceno incontro col baldu-chino, quale volevano portare, essendo steso el clero in processione; ma noi non volsimo acceptare che lo portassino; et benche cum faticha si possero rimovere da questo officio, tamen li tacessimo remontare tutti, excepto messer Zo. Alujsio et messer Zo. Adurno, liquali di continuo volsero assisterne al cauallo. Levato adoncha el balduchino da altri Gentilhomini, honoratissimamente vestiti et mutati in multe mute, de li quali il primo fu l’officio de la bailia, et poi lofficio di moneta et detro dodice altre mute di Citadini acolorati de li principali de la Cita, fussemo accompagnati al Domo, et essendo dal borgo di Santo Petro Arena fin li più di tre milia, epso spatio era pieno d’infinita multitudine, et quanto più si aproxi-mavamo al domo, tanto pareva maiore il numero et ornato dho-mini et donne. Et al Domo ne trovassimo poi tanti, chera una cosa incredibile. In quello loco dismontati, fussimo ricolti dal clero cantando Te Deum laudamus , et li Citadini ne accompagnorno col balduchino fin al altare. Doue facta loratione per noi, il vescovo, locotenente del archiepiscopo, dieta una oratione solemne cum imprecatione di felicita et aiuto dal Cielo ci benedixe, et noi in quello loco per lassare insigne la memoria dii acto facessimo dui caualleri, luno el signor Ludouico da Gonzaga, non possendo fare el fiolo dii Gubernatore per essere infermo, laltro il fiolo de messer Zo. Alysio; et de li, visitato et reverito laltare de Santo Joanne Baptista remontassemo et fossemo conducti al pallazo, doui licentiati li Magnifici oratori de la legha, fossemo accompagnati alla camera nostra dal Gubernatore, Antiani et Magistrati, non aban-donandone messer Zo. Aluysio et messer Zo. Adurno, et facto intendere che, per essere lhora tarda et noi non bavere anco disnato, non dariamo altra audientia per hogi. In questo nostro ingresso è estima che li fusseno più de 2500 caualli, et durò dale 17 bore fin ale 21 ; ne la cita ci dimostraua manco admiratione che facesse la corte nostra al vedere tanto populo. Disnassimo et poi venne a noi il Gubernatore cum molti altri Citadini domesticamente, et noi discessimo poi in piaza, dove dimesticamente siamo dimorati fin a nocte, concurrendo grandissimo numero di Citadini. Questa è stata la giornata dhogi; deli progressi di la quale ce c - 343 - parso distintamente darne auiso alla Reverendissima Signoria Vostra, persuadendone che di la notitia de questi honori quali sono stati facti in la gionta et receptione nostra ne debbia havere piacere. Genue, die xvij Martij 1498. (1) Reverendissime in Christo pater et illustrissime cognate et frater nobis optime, Per continuare li avisi de li progressi nostri, significamo alla Reverendissima Signoria Vostra che stamatina, essendo venuti ad noi el signore governatore nostro et antiani cum lofficio di mare per declararne el bisogno de la cita per respecto di quelli clic Francesi hanno facto et fanno in Provenza, et havendo a questo preso ordine che poso il disnare, la cosa si tractasse cum li ambasciatori de la lega e del serenissimo Re Federico, fossemo poi visitati da li officii di la balia e di moneta e di san Zorzo, venendo separatamente cum tuto il numero loro. Poso disnare era dato ordine che li alberghi havesseno a fare il medesimo; et essendo a questa preparata la sala grande col tribunale, nel quale eramo noi cum li magnifici oratori cum el signore governatore, antiani et li altri magistrati, et cossi questi signori, quali sono cum noi cum li consiglieri nostri, comparsero epsi alberghi distinctamente et cum lo ordine notato in la inclusa lista. Poso li quali veneron le logie contenenti li mercadanti di minore sorte et cossi li artefici, portandossi tutti a dui a dui; essendo ordinato intrasseno et passandone inanti alli pedi del tribunale, facta reverentia, voltavano et uscivano per una altra porta. Expedita questa visitatione quale fu ili un numero infinito di zentilhomini e citadini, siamo domesticamente andati a solacio in Besagno et veduto el loco nel quale proximamente fureno li Franzesi; e benche lhora fusse tarda e laudata sproveduta, tutte le vie furono piene, ne sentissimo mai tanta invocatione del nome nostro, quanto si è facto qui da tuti. Genue 17 martii 1498. (2) Reverendissime in Christo pater et Illustrissime Domine Cognate nobis optime, havendo beri facto lintrata in questa nostra Cita, (1) Miljn,S. Carteggio generale, Potenze estere, Ferrara Minuta Originale. (2) Moùène, ut supra. — 344 — questa marina siamo andati ordinatamente con tutta la Corte et Compagnia nostra ad oldire messa in Domo; la quale è stata celebrata con la interventione deli Cantori nostri, et ad epso loco siamo stati acompagnati da tutti li Magnifici oratori residenti qui et venuto con noi insieme con lo Gouernatore et Antiani, et tutti li Magistrati et ordini de Cita, essendo conio lieri pieno el pallazo, la piaza, le strate et giesia de Citadini et Done; et lo andare nostro non è stato con altra demonstratione de presidio, se non che la guardia nostra con li alabardi precedeva de uno pezo in zuparello, et la persona nostra poso li oratori, quali per ordine precedano, restava in mezo del signor Governatore et Priore de li Antiani. Odita la messa andassimo ad vedere el Catino nella secrestia doui è tenuto con grande custodia et veneratione, quale è facto de smeraldo mirabile non manco per la fineza, peroche, conio se dice, niuna gioia de quella qualita si trova che puossi stare al paran-gone quanto per la gratideza sua. Visitassimo poi laltare de Santo Zo. Baptista sopra el quale era el corpo in vna cassa dargento, et da li fossemo con medesimo ordine reacompagnati in pallazo venendo con noi el signor Gouernatore et Antiani con li magistrati, fin alla camera. Poso el disnare fossimo visitati da la Madona Gouernatrice, le mo-liere degli magnifici messer Zo. Aluysio, et messer Zo. Adorno, con circa cento citadine de le principale, ornatissime, et poso la visitatione hebemo ad noi el Signor Gouernatore et Antiani, corno quelli segni da li quali è representata non solo la persona nostra, ma anche la Comunità, et con parole indicative del amore quale portano alla Cita, gli decorassimo el desiderio havuto già longo tempo de venire ad vederla, quale non havendo possuto exequire per el passato, non permettendolo la indispositione de li tempi, ce era parso de venirli de presente, stimulati dal merito de la singulare fede, amore, et potentia dimostrata da poi in questi proximi anni da la cita, non hauendo recusato disturbo, spese, ne periculo al-chuno per satisfare a quello che Iha conosciuto al proposito et bisogno nostro, per le quale opere haueuano facto che epsi quali inante hauevamo hauuto per fioli, de presente sono tenuti per fioli benemeritissimi. Delli quali loro meriti, licet inante li haves- - 345 - simo per litere et a bochp. fatto ringratiare più volte, restauamo male satisfacti se non lo facevamo noi proprij, et pero li hàue-vamo convocati per declararli questo et ringratiare de le opere passate et di quello che ce fecero lieri, con certifficarli che in perpetuo vivera con noi la memoria de questi suoi ineriti, et significarli che dove occorrerà la opportunità, ne hano in genere et spetie expectare da noi promptissima retributione, laudando insieme le persone del Signor Gouernatore, de li Magnifici messer Zo. Aloysio et messer Zoanne Adorno, li quali erano stati ministri delle egregie opere facte per Genoesi in questi anni. Ce fo resposto dal priore de li Antiani, de ordine del signor Gouernatore per tutti, in questa sententia che non ricognoscevano merito in loro Genoesi sufficiente ad sperare la venuta nostra, la quale recevevano per dono de hu-manita nostra, confessando che quello hano facto è stato mancho del debito suo, et che la venuta, quale li haueua impiti de gaudio infinito, la pigliavano per uno signo di loro perpetua obligatione, pregandone che non essendo loro sufficienti a fare quello che merita la persona nostra, acceptiamo per supplimenti li cuori de tutti loro, quali ce luvcvano dedicati, riconosciendo uno Dio in cielo et noi in terra per loro vero signore. Se remissero poi ad essere con noi per rasonarc de le cose pertinente alla cita per il caso de Francesi, et ad questo è stata deputata la giornata de domane; licen-tiati li Antiani, descendessimo de pallatio et andassimo al Mollo, premissa la Guardia, et restando noi domesticamente fra el signor Gouernatore, et messer Zo. Aloysio, et messer Zo., cum li altri principali Citadini. Saria impossibile narrare el concorso de homini et done, per el quale apena se posseva passare per le strate, dimostrando piacere et desyderio mirabile de vederne, et non sanandosi di rasomre tra loro, con troppo grande contenteza et letitia, de la confidentia con la quale procedemo con loro; la si corno li pare inconsueta alli altri signori quali hano veduto, cossi dimonstri no stare con acrescimento de obligo verso noi. Et tuttavia se dimonstrano più accesi de honorarne. De questi progressi ce è parso darne notitia alla Reverendissima Signoria vostra secondo el consueto, parendone che li habiano portare piacere, et contenteza grande in questa nostra venuta qui. Genue 18 Martij 1498. — 34^ - (i) Reverendissime in Christo pater et illustrissime domine Cognate optime, la Reverendissima Signoria Vostra sapia che non saria possibile exprimere il concorso de li Citadini et populo de questa Cita, el gaudio quale dimonstreno de questa nostra venuta e li honori quali ce fano ; et hano voluto per omne modo fare le spese a tutta la Compagnia nostra; et noi possemo affirmare de non bavere veduto una tanta multitudine tanto ornata et quale facesse spectaculo da comparare, cum questo etiam che non vogliamo dire che in Milano non sijno più persone. Genue 18 martij 1498. II. Dès le début da règne de Louis XII, Gènes manifesta ouvertement qu’elle n épousait pas la querelle de Ludovic Sforza et qu’clle voulait vivre en bonnc intelligence avec le roi de France, dans un in térét d’ailleurs purement commercial. Ludovic Sforza lui-mème, qui se trompait fort en cela, crojait que le changement de règne éloignait le danger toujou»s mena^ant d’une guerre avec la France et conseillait aux Gènois de suspendre leurs armements « attendu qu’il n*y avait pas de péril du còti de la France ». Les Génois lui firent annoncer par Ag. Adurno leur intention d’envoyer une ambassade à Louis XII, et lui en firent demander en méme temps l’autorisat on. Ils prétextaient qu ils sa\aient « che questo Re ha bona iuclìnalione a le cose de li mircadanii de Gtuoesi » (2). Les nògociants génois de Lyon furent chargés à ce propos de négociations commerciales avec Louis XII, tandis que Ics ar-mements de précaution contre les pirates proven^aux continuaient. La lettre suivante de I ontana ex-prime bien ces deux préocupations differentes. Lettre de Fontana à Ludovic Sforza. (3) Illustrissimo et excellentissimo signore, per altre mie feci intendere li dì passati ad Vostra Excellcntia come de qua era stato (1) Modène, ibid. id. (2) Milan, A. d. S. Carteggio generale. Lettre d’A. Adorno à Ludovic Sforza, 11 mai 14.98. Originai. Lettre de Ludovic Sforza à son commissaire à Gènes F. Fontana, 11 mai 1498. Minute originale. La république était du reste très inquiète de la crainte d’offenser ses voisins puissants, comme Florence, par exemple: elle refusait aussi d’avoir Venise pour voisine (Milan, Cari, generale, Correspondance de Fontana, passim.) (3) Milan. A. d. S. Carteggio generale. Lettre de Fontana à Ludovic Sforza, 5 juin 1498. Originai. — 347 - scripto ad Lione ad li mercadanti Genuesi che operassino con bono modo col Re de Franza che Genuesi potessino mercantare nel regno de Franza come per el passato, e significassero ad la Maestà Regia che facendossi armata ad Genua, non era perche se volesse fare contra volunta de la Maestà Sua ne ad danno de soi subditi, ma per assecurarse da pirati. Liquali mercadanti pare che male habiano satisfacto, havendo poco o niente operato, guardando luno a laltro che preendesse el carico. El magnifico governatore e M. Zoanne hano ricordato che dopo non si è facto quello si sperava; gli occorreva che Zoanne de Mulazana, quale sta in Genua et è nativo savoyno, loro amico, possa satisfare a quello si ricercava cum mandarlo in Franza, instructo de quello fusse expediente, e voriano servasse questa forma che de via drita non andasse in Franza ma de qua se trasferisse in Savoya, dovi, gionto chel fusse, parlasse al thexorerio col quale ha familiarità, ricercandolo de qualche adrizo e monstrandolo volesse andare per sue facende e, da li, poi andasse al suo camino fin alla corte, ad la quale arrivato havesse stare come mercadante genuese e facesse intendere al Re et operare come di sopra è dicto, e cum bono modo e destreza cercasse sapere de quale animo sia la Maestà Regia cum Genuesi, et se mandandoli epsi ambassatori, li seriano grati, e secundo la trovasse desposta, avisarne qua; dicendo li prefati magnifici ne scriva ad Vostra Excellentia perchè contentandosse mandarano dicto Zoanne per questo effecto e subjungendo che se ad epso piacesse darli qualche impositione, le exeguira fidelmente et aspectano che quella mi responda. Alla quale de continuo me ricommando. Genue 5 junii 1488. Illustrissimae et excellentissimae Dominationis Vestrae servitor Franciscus Fontana. — 348 — III. Moins importante que Ics précédcntes, la lettre suivante, relative, A la relaxation d'un galirien allemand, demandée par Ludovic Sforza au gouverneur Adorni, A la requèta de l'empereur Maxiniillen, montre l’étroite union existant alors entre l’Empire et le duellò de Milan, et la dépendance de Gènes par rapport à Ludovic Sforza. Lettre de Fontana à Bart. Chalco. (i) Magnifice ac praestantissime eques uti pater mihi obser-vandissime, Havendomi el nostro illustrissimo signore scripto cliio insieme col magnifico gubernatore opera ino chel capitaneo de le galee relaxa uno todescho quale e su una de le sue galee, perche la Maestà Cesarea fa instare per la liberatione sua, el predicto governatore et me huvemo havuto da noi decto capitaneo e mon-stratoli quanto el signore nostro scrive; el quale è stato contento relaxare el Todescho, e voleva chel messo qual ha portato le lettere e venuto qua ad posta se obligasse de presentarlo alla Hx^el-lentia sua; ma per essere epso absente da Milano, non ho voluto fare lobligatione, e pero è parso al governatore che solum lo consegna ad Vostra Magnificentia maxime che dicto messo dLe essere suo stafero. Così ha promiso; pertanto per satisfare al pte-dicto governatore, Vostra Magnificentia mi potrà avisare due parole de la consignatione, recommandandomeli per mille volte. Genue 21 Junii 1498. Magnificentiae Vestrae servus, Franciscus Fontana. (1) Milan, A. d. S. Carteggio generale. Lettre de Fontana à Bart. Chalco, 21 juin 1498. Originai. Suscription: « Magnifico ac praestantissiino equit:, uti patri mihi observandissimo Domino Bartholomeo Chalco ducali primo secretano. » — 349 — IV. Les Génois mai.dèrent au mois de juillc. A la cour de France l'amba,sadeur dont ils avaien, annoncé «ivo. A Ludovic Sforza. L'objet officiel de ,a mission itai, de demander la continuation des privi-léges du commerce; son but secret, de gagner, en vue de .onte éventualité, la bienveillance du roi de 1-rance. Cet ambassadeur arriva A la cour ve.s le début de juillet .498 et fut bien re{u par Louis XII. 11 obtmt la 1‘bertC' de circul.tion et de commerce pour les négocianu génois. Le Cardinal d Amboise l’avert.t que le roi accueillerait avec plaisir une ambassade oflicielle de la Répullique de Gènes. Fon-tana informa immédUtemcnt Ludovic Sforza de l'envoi et du retour de cet ambassadeur. Lettres de Fontana à Lud. Sforza. (1) Illustrissimo et excellentissimo signore Questa matina questi magnifici fratelli me hano facto intendere come per via del signor Constantino sono avisati chel ha recevuto lettere de xxi del presente facte ad Paris da uno suo chel tene in corte del Re, per le quale significa come era facto in quello di apunctamento de la pace tra li serenissimi Re de Romani e Re de Franza e che fra tre giorni m and aria li capituli; pregando al pre-decto signor Constantino dicti magnifici che non vogliano farne mentione, perchè non voria se sapesse chepso fusse lo auctore di questa no^a; e benche credo che Vestra Excellentia, quando sia vera, Ihara inteso per altra via, tamen ho voluto darline aviso. Apresso mi dicono li predicti magnifici come el nuncio quale li di passati fo mandato in Franza da questa magnifica communita per obtenere che li mercadanti genuesi possano practicare e mercantare in I-ranza come per el passato, ha scripto per una de x chel gionxe ad la corte ad le 5 e che havendo facto capo da Monsignore de Roano, epso lo introduxe el di sequente dal Re, dal quale fo racolto bene e voluntiera veduto, e Sua Maestà li disse dovesse fare intendere al predicto monsignore quello recerchava; al quale havendo exposto la causa de landata sua, et epso poi re- (1) Milan, ibiJ. id. Lettres de Fontana à Ludovic Sforza, Gùnes, 29 juillet et 2 aoùt 1498. Originaux. Atti Soc. Uo. St. P*t«lu. Voi. XXIV fase. j.° »5 ferto ad la Maestà Re«ia quanto el nuncio recliedeva, la Maestà Sua li fece respondere clic era contenta che mercadanti Genuesi potessero andare e mercantare in Franza ad suo piacere e senza alcuno impedimento, et el predicto monsignor le subjonxe chel scrivesse ad Genuesi mandassino suoi oratori, perchè sedano ben veduti et carezati, et che sei Re non le ha scripto de la assumptione sua come ad alcuni de li potentati Italici, lha facto per bono respecto ; e che la Maestà Regia li daria audientia la quale epso noncio expectava, et, havuta, poi se ne ritornarla; e questa lettera si e havuta similiter per via del signor Constantino. Se sono poi havute qua altre lettere de mercadanti da Leone, per lequale avisano come dicto nuncio era gioncto li per venire in qua, e però se existima chel deba hormai essere vicino ad queste parte. Mi dicono bene li predicti magnifici che qua se ordinara de mandare li oratori in Franza, ma prima se fara el consilio como è costume: e tutto con saputa de Vostra Excellentia; la quale, parendoli ordinare alcuna cosa, potrà deliberare et avisare che ad la volunta sua sera eseguita. Genue, 29 julii 98. Illustrissimae et excellentissimae dominationis vestrae servitor Franciscus Fontana. Illustrissimo et excellentissimo signore Questi magnifici fratelli mi dicono essere aviso per lettere de mercadanti da Leone, de 25 del passato, come el nuncio quale questa magnifica communita haveva mandato in Fransa e de che per altre mie ho scripto a la Excellentia Vestra, era partito de la et se existima che hogi 0 domane deba giongere qua. E perche, dopoi chel nuncio hara facta la sua relatione, questi citadini deliberavano de mandare suoi oratori in Franza a la Maestà Regia pare ad li predicti magnifici seria ben facto che Vostra Excellentia facia una lettera ad epsi 0 ad me che « desiderando Vostra Signoria non mancho el beneficio de questi citadini chel suo proprio » lauda se deba mandare, ad nome dela comunitate, oratori al sere- - 351 - riissimo Re de Franza per leffecto che l’Excellentia Vestra sa, e che debano advertire ad elegere persone quale siano apte ad simile mynera e ben composite, con scrivere etiamdio quelle altre parole parerano ad Vostra Excellentia più ad proposito, aciòche, monstran-dose la lettera, questi cittadini cognoscano che quella li ama sin-gularmente et ha al core el bene suo. Questo ricordano li predicti magnifici, perche, venuta sia dieta lettera, farano fare la electione de persone che fedelmente farano lofficio, et ad lequale, piacendo ad Vostra Excellentia darli commissione o instructione secreta, se-curamente potrà farlo e non mancharano del debito officio. Vostra Signoria pò mò deliberare quello li pare, che non se venera ad electione finche epsa non habia mandata la risposta sua. Ad laquale mi ricommando. Genue, die secunda augusti 1498. {mime souscriptiorì). V. La Rcpublique de Gènes, après quelques mois de rèflexions et de temporisations, en^oya à Louis XII l'ambassadc solennelle qu’il avait manifeste le dèsir de recevoir. Le rapprochement qui s’cpérait en-tretemps entre la France et Vcnise, et les conséquences que l’on pouvait prevoir qu’il entrainera.. pour la politique gènèralc italienne, contribuèrent sans doute à lui faire prendre cette dècision. Girlo Spinola et Francesco Giustiniani furent charges de cette ambassade. On crut en Italie, et Marino Sanuto se fait Pécho de cette opinion, qu’ellc avait pour objet de demander il Lonis XII qu*il empé-chlt Trivulcc et Ics Astètans de créer des embarras à la République (1). Le texte de l’instruction moatre que le programme des ambassadeurs ètait beauconp plus développé (2). • Instruction donnée par A. Adorni à Carlo Spinola. Ili tu s. Augustinus Adurnus, ducalis Genuensium Gubernator et Locumtenens, Consilium Antianorum et officium octo ad hec deputatorum Comunis Janue. (1) Marino Sanuto, Diarii, II, 147. Venise, 19 novembre 1498. (2) Genova, Archivio di Siate. Sez. Archivio Secreto. Filza Instructiones et relationes 2707 R. Instructio magna data Carolo Spintili et Francesco Giustiniano oratoribus ad regem Francorum. — ?S2 - Hec sunt que in mandatis damus vobis prestantibus viris Carolo Spinule et Francisco Giustiniano, legatis nostris ad Serenissimum Francorum Regem nostro nomine profecturis. Cum vobis nota sit profectionis vestre causa, opus esse non estimamus vos doctos docere et longa instructione prudentiam vestram instruere. Tamen cum ad tantum et tam preclarissimum Regem vos oratores nostros designaverimus utile judicamus aliqua breviter attingere. Igitur cum Deo duce ad cumspectum Serenitatis Regie perveneritis et exponendi locus et tempus vobis dabitur, exhibitis creden-tialibus litteris, volumus hec verba nomine nostro proferatis: Nos, audita sua ad regium fastigium sublimatione, incredibili gaudio affectos fuisse, idque non immerito sed multis et efficacibus rationibus motos universos cives exultasse; primo, quia opulentissimum et maximum regnum ad eorum heredem (sic) et successorem ipso jure delatum est; secundo, quia videmus, quod talibus in rebus raro contmgere solet, Majestatem suam summa omnium principimi et procerum concordia et una voluntate, summa etiam omnium populorum et subditorum inclinatione et desiderio, regnum et regni coronam sumpsisse; tercio, quum cognoscimus inesse Maiestati sue infinitas virtutes, summam sapientiam, maximam bello et pace regendi experientiam, intrepidam animi fortitudinem, liberalitatem incredibilem, mansuetudinem preterea et singularem humanitatem atque in rebus omnibus ingentem moderationem et iusticiam, quas virtutum omnium mater et princeps vere dici debet, sine qua nulla virtus esse potest, quae tanta; virtutes magna? potentiae .et opibus junctae certam fiduciam omnibus christianis prestare possunt Majestatem suam mores, et instituta serenissimorum Regum precessorum suorum imitando, non modo fidem catholycam esse defensuram, cum christianissimus Rex dicatur et sit, sed etiam infideles intra terminos et claustra sua si, opus fuerit, repulsuram. Quis enim ita fore dubitet? Sapientia enim et rerum experientia ordinare omnia sciet, vires et opes amplissimi regni ad omnia perficienda late sufficient, animi vigor et • constantia pro christiana fide omnia volet, atque ita, cum hic christianissimus et serenissimus Rex sciat, possit et velit, quis non confidat eo vivente fidem catholicam debere florescere? — 353 — Hec et multa alia 'le virtutibus regiis intra nos revolventes et recogitantes, insuper antiquam venerationem nostram qua semper inclitam Francorum Regum domum coronamque coluimus, statuimus vos oratores ad eam mittere ut Majestati sue indicetis et persuadeatis nos, ut semper christianissimorum regum Francorum devotissimi fuimus, ita nunc quoque esse nec a nostra reverentia et consuetudine discessisse; eoque ardentius eam colimus quo majores pluresque virtutes Majestati sue inesse cognovimus, tunc maxime cum hic apud nos magna cum nostra letitia fuit. Praeterea vos in mandatis habere dicetis Majestati sue nostro nomine gratulari pro amplissimo regno sibi jure delato; gratulari etiam tot principibus, tot urbibus, tot provinciis ac populis eius quibus vere congratulandum est, quique vere laetari debent quod talem ac tantum regem tot tantisque virtutibus ornatissimum divino metu assecuti sunt sub quo laeta pace iustoque imperio fruituri sint; nobis etiam ipsis congratulandum esse propter nostram ad Majestatem suam reverentiam, et insuper quia nos et Genuenses omnes a sua benignitate diligi et nostram venerationem illi acceptam charamque esse non dubitamus. Post hec, nos et hanc civitatem et omnes Genuenses benignitati sue humiliter comendabitis ut devotissimos christianissime corone regie, et dicetis nos Majestati sue offerre nos ipsos et quicquid possumus ad gloriam serenitatis ejus prompte paratum; ita ut pro dignitate regia tantum facturi sumus quantum honestatis ratio et facultas nostra permittent. Hec sunt qua: a vobis in prima audientia referenda videntur, in qua plurimi forsitan astantes erunt, et tamen non astringimus vos hec ipsa exponere eo ordine quo et prout superius descripta sunt, sed ex eis colligetis aliqua et memoriae ac pectori imprimetis, pro ut prudentie vestre convenire videbitur. Et revera he sunt expositionis vestre partes: prima pars est extollere preclarissimas virtutes serenissimi Regis; secunda, congratulari Majestati sue prin-cipibusque et subditis ejus, quod tantum et tam celebratissimus Rex eis divina providentia contigerit; in tertia parte, nos et omnes Genuenses clementie sue generaliter commendabitis et nos ac nostra offeretis in omne decus regium parata, quantum facultas - 354 “ nostra et honestas permittunt. Hec sunt partes quas in prima expositione referre debetis, addendo et minuendo et aptando verba vestra prout conveniens judicabitis. His autem expositis, satis esse judicamus expectare regium responsum quod in primo illo auditorio breve futurum credimus, nec aliud quam verba generalia per regiam Maiestatem aut alium pro ea vobis responderi existimamus; et tamen, quia, preter opinionem nostram specialiter de rebus Italie aut de negocio aliquo forsitan, vos interrogare aliquis posset, decet vos ipsos ita preparare ut commode respondere ad interrogationes valeatis. De quibus vos monere non possumus nec commemorare aliquid, sed prudentie vestre erit recte respondere, et ita moderate et graviter, ut verba vestra in se prudentiam habere judicentur, et qua; talia sint ut hujus instructionis limites non excedant. Hec quas superius diximus sufficere putamus in prima audientia, quia revera tales audientie sunt potius ad ostentationem quam ad explicanda mandata; atque ideo volumus ut studeatis habere secundam audientiam magis secretam in qua iterum attingetis de nostra ad suam Majestatem reverentia, et dicetis citra duos vel tres annos multa et magna dampna nobis fuisse illata per predones, et nuper etiam aliquot pyratas ex Massilia et aliis portubus regijs exiisse, et triremes quoque ac biremes ad damna nostra maria incursare et omnes quoscumque obvios habent indiferenter rapere. Quae res, ut nobis jacturam affert, ita regia; corona; dedecus sine ulla utilitate afferre videtur: nam Massilia e ali® civitates et populi qui pyratas receptant et arma, viros et alimenta subministrant, nulla commoda percipiunt, immo negociationem omittunt, nec possunt suas segetes aut alias merces finire, nec ad eos etiam res ulla; conducuntur, metu piratarum; ita ut populi et urbes mercatura; olim dedit® pyratica; facta; nunc videantur : unde illis infamia et damnum sequitur et regiis vectigalibus magna jactura; nos itaque, qui pro certo habemus Majestatem regiam hec ignorare, quoniam, cum sapientissimus et iustissimus Rex sit, non pateretur predones in terris regiis recipi et juvari contra decus suum et cum detrimento vectigalium suorum, vobis in mandatis dedisse ut hec summa; sapienti® sua; indicetis, et nostro nomine humiliter oretis ut - 355 — « dignetur ita providere ut ex terris regis de cetero pyratae exire non permittantur, et quicumque eam exierunt omnino revocentur, et, si qui parere mandatis regiis recusarent, in terris Majestatis sue non recipiantur nec ullis auxiliis foveantur. Quae, cum gloriam regiam et justiciam respiciant, a justissimo et christianissimo Ilege impetranda esse nos certo confidere. Quibus reverenter et humiliter expositis, videbitis quid vobis respondeatur, et credimus tantum Regem, cui precipua cura est honestatis et vere glorie, facile hec audire et exaudire debere et remedium tale daturum esse ut pyratae in terris regis non recipiantur neque auxiliis ullis foveantur, sed potius exarmentur quicumque exarmari poterunt. Quod si, ut speramus, Majestas Regia concedet, curate fieri et mitti litteras patentes et precepta que predictos effectus et remedia convenientia contineant, et circa hanc partem non erit opus aliud quaerere quoniam ea ipsa remedia sufficere possunt, quia statuta et ordinaciones sapientissimi Regi servanda esse omnino confidimus. Gratias igitur agetis Serenitati suae quae propriam famam respiciens repellere pyratas statuerit. Si vero nullum remedium vobis promitteretur et rem oblivioni tradi videretis, vel etiam si Rex petitioni vestre contradiceret et predonum causam excusaret, (quod tamen nulla racione persuadere nobis possumus), tali casu replicabitis nos nostre opinionis maxime falli et in moestitia remansuros, quia persuadebamus nobis Serenitatem suam debere predones extinguere et ita providere ne nobis damna inferantur, attenta devotione nostra et ingenti observantia, quam sua Majestas tum precipue cognovit et'vidit cum in hac civitate esset; ubi cives omnes excellentie sue observantissimos esse cognovit, et quantum in eorum facultate fuit reverentiam et affectum ostendisse, eumdem nunc nobis animum esse et etiam fore semper-cumque liceret nobis; hactenus multa damna a predonibus accepisse et tamen noluisse unquam aliquid tentare aut agere, sperantes Maiestatem suam ad haec condigna remedia debere adhibere. Quod nunc nos maxime angit, illud in primis esse quum ab uno latere Serenitatem suam suspicimus, ex parte alia perspicue videmus tollerari non posse quotidianas rapinas et assiduas lamentationes civium et subditorum nostrorum, et dubitandum esse ne qui lesi — 3S6 “ sunt, (quorum jam magnus est numerus), adversus predones et damnificantes pro sua defensione et satisfactione remedium tentent et quantum poterunt exequantur. Et ob h®c, iterum orabitis ut Majestas ejus ad omnia animum mentemque convertere dignetur et remedium dare quale nostra reverentia et Majestatis su® equitas sapientiaque requirit, ne predonibus perseverantibus et nostris se et sua defendentibus, malorum audacia et rapinarum cumulus augeatur. Quod ne eveniat, in manu Majestatis sue positum esse cognoscimus, et ut prohibeat, iterum et iterum reverenter oramus et pro nostra observantia regiaque justicia postulamus. In predicta parte pyratarum, postquam cum Maiestate regia de ea materia expositionem primum feceritis, laudamus ut cum magnificis oratoribus serenissimorum Regum Hispanie et illustrissimi domini Venetorum, si in curia legati ipsi vel aliqui eorum adessent, rem comunicetis quia Hispani®, et ut credimus, Venetis damna etiam a predonibus illata dicuntur. Et si ipsi rem nostram suis favoribus adjuvabitur (sic) multum proderit ita ut facilius impetrare possitis quod petitis, tribus simul incumbentibus quam si soli vos causam ageretis itaque ut ab eis favores qu®ratis laudamus. Hortamur et monemus vos ex omni loco undecumque mitti ad nos littere commode poterunt de omnibus negociis occurentibus perscribere. Cupide enim litteras vestras expectabimus. Mandatis autem expositis et accepto responso et expeditis demum omnibus, arbitrium prudentie vestre tribuimus cum bona licentia christianissimi Regis domum redeundi vel diutius in curia remorandi. Damus vobis litteras credentiales ad christianissimum Dominum Regem et insuper ad Reverendissimum Dominum Cardinalem Archie-piscopum Rothomagensem, item ad pr®stantissimum dominum magnum scutiferum, quas, cum primum in curiam perveneritis, cuique reddi curabitis. Duo autem commemoramus: unum est, ut post primam expositionem supradictos nostro nomine visitetis et nos ac nostra omnia illis afferatis in omnem eorum amplitudinem parata, quoniam singulares virtutes ipsorum faciunt ut omnia de suis debeamus; et quia forsitan cognoscetis esse alios in curia, quorum benivolentia rebus nostris prodesse posset, ideo laudamus ut tales — 357 - quoque nostro nomine visitetis et convenientes oblationes faciatis; alterum est ut ejusmodi visitationes ita moderate faciatis ne ap-pareat vos uni plus confidere quam ceteris; sed precipua cura vestra sit in Reverendissimo Domino Rothomagensi et secunda in Domino magno cancellario, tertia cum magnifico magno scutifero, cum quo familiarius esse poteritis, propter amorem quo Genuenses amplectitur et magnum affectum quo virtutibus ejus afficimur. Habetis insuper litteras directas magnifico Domino de Clari, quas etiam dabitis et Magnificentie sue ea verba dicetis nomine nostro quae gradui et auctoritati suag ac nostrae in eum benevolentias convenire judicabitis. Ut videtis abunde superius diximus. Quare legite et perlegite omnia, ut promptiores in exponendo esse possitis. Data Genue die xvii Novembris Mcccclxxxxviii. VI. 11 est intéressant de don ner, avant de raconter les événements de l’année 1499 qui modifièrent si pro-fondément la constitution de la république génoise, la liste des principaux personnages, nobles ou plébéiens, désignés traditionnellement sous le noni de Boni viri, qui y prirent part ou les dirigerent Ils étaient divisés non moins traditionnellement en albi et nigri. Cette liste a cté dressée officiel-lenient le 7 janvier 1499. Nota dei personaggi più distinti Genovesi, tanto nobili che plebei boni viri, de Tabula anni mcccclxxxxviiii, die vii januarii (1). Medii nobiles albi. Christophorus Salvaigus. Cataneus Francus Barnabas Carolus Catanei. Cigale. (1) Genova, A. d. S. Sezione Archivio segreto. Filza Peliliccrum 1649-1653 (années 1482-1 $30), n.° 21. Imperiales. Italiani. - 358 Antonius de Serra. Federicus Darius Nicolaus de Mari Obertus loannes Stephanus D. Jo. Frane. Nicolaus q. Laurentii Nicolaus q. Bunori Franciscus q. Pauli Franciscus q. Petri Neapolionus q. O. Jacobus q. Gasparis Antonius q. Ioannis Ieronimus q. Melchionis Leonardus Iacobus Grillus. Baptista Petrus loannes Raphael Centurionus. Raphael Gregorius Nicolaus Pichamilium Antonius Gentilis. Baptista Pinellus. Spinuli. de Auria. Vivaldi. Pallavicini. Medii nobiles nigri. Jeronimus Salvaigus q. Mathei. Cesar Ambrosius Leodisius Bernardus Iohannes Gaspar Laurentius Augustinus Catanei. de Flisco. de Marinis. - 359 Ambrosius Ususmaris. Thadeus ) T D > de Nigro. Jo. Baptista ) Gentilis de Camilla. Paulus ) Franciscus> Lercarii. Andalon ) Rernardus q. Luce Lazarus q. M. I „ . ... . n \ Urimaldi. Baptista q. Joannis Ambrosius Cebba Georgius Augustinus B. Ansaldus ) Lomellini. Laurentius q. Jac. Sistus Castellinus Pinellus. Thomas de Savignonis. Nicolaus de Carmedino. Joannes Italianus q. Pelegrini. Antonius Marabotus. Medii populares albi. Bartolomeus q. Joannis Ciprianus \ Justiniani. Silvester Laurentius Pasqual Quilicus de Albario. Franciscus de Rocha. Paulus Brugarus. Pelegrus de Goano. Bernardus de Castiliono. Bernardus de Andoria. Ioannes de Frane, de Goano. Furnarii. — 360 — Bernardus de Frane. Iula. Simon de Prementorio. Baptista Griffus. Medii populares nigri. Simon Marruffus. Francus Justinianus de Banca. Thomas Iudex. Demetrius Sauli. Jo. Bap. de Turrilia. Lodisius de Gibertis. Stephanus de Monelia. Lazarus Fatinati. Pelegrus Tarigus. Obertus de Lazario. Franciscus de Ghirardis. Bartholomaeus de Zoalio. Manuel de Almario. Joannes Domesticus. Augustinus de Roncho. Medii artifices albi. Filippus de Goano. Stephanus de Paranania. Baptista Cazella. Andreas de Sanguineto. Antonius de Brugo q. Jac. Antonius Justus. Franciscus de Camulio. Lazarus de Canali. Paulus Salutius. Theramus de Baliano. Petrus Calissanus. Jacobus Paxerius. — 3*i - Lodisius de Belvei. Cosmas de Michono. Thomas de Petrabissaria. Medii artifices nigri. Jeronimus de Saulo. Cosmas de Zerbis. Giriforte de Costa. Baptista de Serravalle. Andreas de Pastino. Stephanus de Bericis. Baptista de Rapalo. Andreas de Ferrariis. Bartholomeus de Salle. Lodisius de Jussano. Joannes de Novis. Benedictus de Monelia. Barnabas de Illice. Stephanus Morandus. Baptista de Pasaglio. Tercii nobiles albi. Gaspar Salvaigus. Christophorus Cataneus. Baptista Cigala. Melchior Imperialis. Antonius q. B. Alarame Pallavicinus. Christophorus Centurionus. Obertus Grillus. Octobonus Neapoleonus q. I. Vesconte ) . — 3 62 — Theramus de Vivaldis. Jo. Baptista Gentilis. Stephanus de Nigrono. Tertii nobiles nigri. Franciscus Salvaigus d. Acelini. Acelinus Cataneus. Nigronus de Nigro. Stephanus de Marinis. Thedisius de Camilla. Leonellus Lercarius. Julianus ) . Dominicus Calvus. Joannes Gentilis. Augustinus de Guizulfis. Tertii populares albi. Andreas Scalìa. Galeatius de Levanto. Jeronimus Parmarius. Petrus de Persio. Jo. Bap. Adurnus. Antonius de Riparolio. Nicolaus q. D. Paulus q. B. Lomellini. Lucas Justiniani. — 363 - Tertii populares nigri. Paulus Sauli. Hieron. de Monelia. Hieron. de Illionibus. Jo. Bap. Pichenotus, Pasqual Bondenarius. Iacobus Iustinianus. Petrus Baptista de Guizo. Tertii artifices albi. Leonardus Calissanus. Raphael de Recho. Pelegrus de Villa. Nicolaus de Amigdola. Jo. Bapt. de Facio. Jacobus Pernixe. Joannes Bazurrus. Pantaleo Nannonus. Tertii artifices nigri. Petrus Murchius. Vincentius de Macolo. Franciscus de Topori. Benedictus Pensonus. Baptista de Cano. Jo. Baptista Rotulus. Jeronimus de Inurea. — 364 — VII. Dans les premiers mois de 1499, l’hostilité croissante entre Ludovic Sforza et la république de ’ » motivée en partie par l’interminate affaire de Pise, d’autre part par le rapprochement e ^ et la France, a son contre-coup à Gènes. Le 18 février, l’ambassadeur mantouan, Giaco ^ écrit de Rome au marquis Francois que Ludovic Sforza a fait donner congé au secretaire sidant à Gènes (i). A Naples 011 conseillait peu de temps auparavant à Ludovic Sforza de preti re garde aux intrigues et aux tentatives des Vcnitiens sur Gòlies et aux intrigues secrètes de Ag. Lettre de J. Casalis, ambassadeur a Naples, À Ludovic Sforza. (2) Illustrissimo et excellentissimo signor mio observandissimo. Essendo questa sera stato ad diversi ragionamenti cum M.Gaspato, la Signoria sua me ha dicto fra le altre cose che alla Excellentia Vestra bisognava havere bona advertentia ad le cose de Genoa, perche lui presentiva che Venetiani facevano desegno de temptare qualche disturbo in quelle parti; subjungendomi chel sapeva cei tissimo che M. Jo. Adurno se ritrovava in malcontenteza di quella se ne passò qui, ma monstrava havere altro. Sia circa ciò corno se voglia, el significo alla Signoria Vestra como lho; e da chi de li inimici se ha corno ad Casteldezi è gionto dinari, e fasi fanti, et infin a questhora sono expedite sei compagnie de 7°> 80 e 100 fanti l’uno; monstrano haver et hano più carestia de homini che de dinari, fano sforzo de victualia ad Arimino e desegneno de an dare in Galeata e Valdebagnio dove sara per reuscir qualche loio designo .... Ex plebe Sancti Stefani, 5 februarii 1499. loannes Casalis. (1) Mantoue, Archivio Gonzaga, E xxv 3. Lettre de Giacomo d’Atri au marquis de Mantoue. « Ludovico, ha facto dare licentia al secretario veneto residente in Genova. ». (2) Milan, A. cì. S. Carteggio generale. Lettre de J. Casafis à Ludovic Sforza, 5 février 1499. Originai. — 365 — Mais, par unc singultire contradictio», Ludovic Sforza, tout en redoutant une attaque possible de la part des Vénitieils, croyait les armemeuts maritimes de Gènes inutiles. Quatre galères napolitaines ayant été envoyòcs à Gènes, Ludovic trouva que deux ètaient suffisantes et voulu» en faire renvoyer deux i Naples pour ménager les finances du roi (1). Les Adorni au contraire jugèrent que les quatre galères étaient nècessaires et s’ètonnèrent beaucoup que Ludovic Sforza voulùt en faire retourner d«u* (a). Vili. Vers le mème temps la politique de Trivulce causa de sérieuses inquiétudes à Gènes et surtout au com-missaire milanais Fontana : il réclama au nom du marquis de Montferrat diverses places indùment occupées par le marquis de Final; Ludovic Sforza et le gouvernement de Gènes, chacun de son còte, mais après entente par l’intermédiaire de Fontana, décidèrent de conseiller au Marquis de Final ài céder, ne croyant pas le moment opportun pour une rupture avec la France. Trivulce faisait demander à Anna del Carreto, co-dame de Zuchareo, si elle lui accorderait le libre passage pour aller attaquer Gènes. Fontana pensait que Trivulce faisait toutes ces démarches, non pas dans le but d’une rupture immediate, mais en vile de préparer de longue main l’avenir. Les rapports sur ces aflaires sont intéressants : Lettres de Fontana à Ludovic Sforza. (3) Illustrissimo et excellentissimo Signore. Ho havuto la lettera de Vostra Excellentia de 18 cum li exempli inclusi de quella ha scripto el Signor Zoanne Jacomo per la intimatione facta al marchese del Finale de guerra, quando non restituisca al illustrissimo marchese de Monferrato quelle terre, e de unaltra ha scripta la Vostra Excellentia al dicto marchese del Finale. Lequale dopoi le ho lecte e considerate, mi sono transferito da questi Magnifici e partecipatole cum le Magnificentie sue; li ho dicto e facto instantia ad volere anche loro exhortare el marchese predicto ad quello lo exhorta la Celsitudine Vestra, non recercando le occur-rentie presente se deba intrare in guerra cum Franza. Liquali magnifici hanno resposto che de bona voglia farano l’officio, e cosi già hanno scripto al marchese, e mandatoli ad dire quanto bisogna, (1) Milan, ibid. id. Lettre de Fontana à Lud. Sforza, Génes, 17 février 1499. Originai « per non tenerlo in spesa ». (2) Milan, ibid. id. mème lettre : « perche sono più che necessarie. (3) Milan, ibid. id., le mème au mème. Génes, 22 février 1499. Atti Soc. Lio. St. Pàtria. Voi. XXIV, fase. 2.° 24 — 3 66 — per persuaderlo ad quello Vostra Excellentia desidera; e lo magnifico governatore me fa intendere liaverne parlato ad Jacomo Rozo, familiare del predicto marchese, che sta qua ; e de novo glis ne par-lara, acio anche lui possa scrivere. Ho anchora dicto al magnifico Messer Zoanne che, andando in Monferrato, voghi operare col signor Constantino che queste cose del marchese del Finale se assetino bonamente e non se habia fare novità, e, non andandoli, voglia mandarle qualchuno e scriverli cum monstrare alla Magnificentia sua el capitulo de la lettera me scrive Vostra Excellentia. Epso Messer Zoanne si è offerto de fare omne bono officio et operare col signor Constantino quando li sera possibile, accio reu-scisca leffecto desiderato ; benche pare chel habia qualche dubitatione de potere fare fructo, tamen non restara de fare lopera. (i) Questa matina el magnifico governatore me ha dicto che madona Anna dal Carreto, condomina de Zucbareo e cusina de la magnifica governatrice, ha mandato uno suo nuncio alla Magnificentia sua ad significarli come el Signor Joan Jacomo Triultio lha facto recercare per mezo de Garzelascho, uno de li condomini de Carretio, se epsa li concederà el passo, quando se habia venire a la offesa de le cose de Genua, e che epsa li ha dato bone parole in resposta. La quale Madona el predicto governatore ha ringratiata del aviso et exhortata ad stare de bona voglia perche la Excellentia Vostra non è per inanellare ne ad ley ne ad suoi fioli, e defenderla da chi fusse per offenderli, et ha scripto ad M. Bernardino Adorno deba intenderse bene con epsa. Di questa cosa sera parlato ad Vostra Excellentia per el magnifico M. Zoanne, haven-dogliene scripto el predicto governatore, e però non me extendero più ultra. El governatore ha opinione chel signor Joan Jacomo vadi tentando, non per novità che voglii fare de presente, ma per uno preparamento e per cognoscere la dispositione de le gente, et io ho dicto che po-tria essere per la cosa de Astesani, ma Sua Magificentia ha resposto quello è per el vero, che dal lato suo, come anche dal mio, non (i) Milan, ibid. ld., le mème au mème. Gènes, 5 mars 1499. - 367 - sè inanellato ne mancha in tenere sollicitati quelli di San Zorzo da expedire presto la causa et advertiti ad fare per modo che meritamente Astesani non possano dire esserli facto injuria e contra la justicia, e considerare li mali potriano seguire; e cosi ad li duoi Astesani quali novamente sono venuti qua et partiti, et ad quello del signor Joan Jacomo restato per questa causa se siamo offerti operare quanto saprano rechiedere che sia al proposito suo, benche pare habiano certa dubitatione che la cosa non li deba reuscire ad vota. IX. L* hostilité de Trivulce contre les Génois se traduisit encore par son attitude dans les discussions que les Astésans avaient avec les Génois au sujet de leurs affaires financières et de leurs dettes à 1* égard de la banque de Saint Georges. Au mois de février 1499, Fontana exprimait déjà à Ludovic Sforza son désir de voir cette affaire se terminer le plus tòt possible, craignant que la rupture avec la France ne fìt perdre à la république de Gènes toute chance de paiement. Lettre de Fontana a Lud. Sforza. (1) In la causa de’ Astesani fin qui si è proceduto assai bene. Tamen aciò che più caldamente se proceda e non se vada in longo pare ad questi magnifici che 1’ Excellentia Vostra scriva ad me una lettera separata per laquale parera chel signor Johanne Jacomo de novo se lamenta che non se facia corno se deve, et se cerca de menare in longo e chel menacia de novità come ha facto altre volte, e Vostra Excellentia poi subjunga cum parole efficace che debo ritrovarme cum questi magnifici, cum li Antiani, cum quelli de San Zorzo e cum chi altri bisogna, et operar che questa causa se expedisca e considerare li periculi et danni potriano seguire, e che non è ad proposito de le presente occurrentie se venga ad roptura in queste parte de qua, e cum quelle altre parole parera ad Vostra Excellentia perche poi io la mostraro, e se indurano costoro ad expedire più presto, e come più tosto essa scriverà melio sera. (1) Milan, ibid. id., le mème au mème. Gènes, 19 février 1499. — 368 — Trivulce-, au début de mars, signifia au gouvernement Génois qu’il lui laissait la responsabilité du mauvaw succès de ce procès, si l’on donnait tort aux Astésans, et mena^ait de faire « altre provisione ». Le gou-veraeur Adorno lui répondit que les Astésans se plaignaient A tort, et que le Génois repousseraient la force par la force: «e chel si poteva ben fare del male per la Rivera, ma contra la giustizia, e che questa cita se sforzarla de propulsare le ingiurie e dove manchasseno le forze, supplirla la giustificazione dal lato suo ». Trivulce rappela son raessager. Fontana le chargea de dire à Trivulce que la banque de Saint Georges avait fait son devoir, qne Trivulce lui mème l’avait reconnu, que lui mème Fontana s’était employé autant qu’il avait pu cn faveur des Astésans. Le messager o ha dicto fara bona relatione, non so mo sei fara bono officio, o come hano facto li altri, cioè el contrario». Cette attitude et cette raideur des Astésans étonnaient beaucoup Fontana et Adorno qui avaient fait tous leurs eftorts pour la prevenir « si che io non so da che proceda la causa de questa desdicta, ma forse che Astesani prendano animo sul favore e come quelli che li pare de havere il mondo ad sua posta ». Fontana à Ludovic Sforza. (i) Illustrissimo et excellentissimo signore Respondendo alla lettera de Vostra Excellentia de 3 che la me scrive sopra el facto de Astesani, ad me non è stato ne po essere molesta cosa che ad essa piacia scrivere 0 comandarme : ne quello ho resposto ad Vostra Celsitudine è perche habii preso molestia, ma per essermi admirato de la lamenta pareva fusse facta chio havessi manchato del debito officio, e pero 1’ Excellentia vestra ha renderse certa chio sempre prendero qualunche forma de scrivere et de commissione de quella in la debita parte se convene. Ma Dio e la conscientia mia sa se sono manchato in questa cosa de Astesam come lo advocato et homini del signor Zoan Jacomo possono fare bona testimonianza. E per informatione de Vostra Excellentia lavisaro de quanto occorre repetendo uno pocho più al fondo. L’officio de San Zorzo, da poi che la causa Astesana è incomenciata e stato più assiduo del consueto, e omni volta che Astesani 0 suo advocato, che è M. Augustino Pam-garola, o quello del signor Zoan Jacomo hano rechesto audientia, li è stata data, essendose etiamdio qualche volta congregato solum per questo effecto. Preterea el priore et altri de dicto officio, per havere dependentia da quelli de le gioye, cioè 0 per vinculo de affinità o de compagnia o de altra amicicia. se sono offerti fin al principio de dieta causa de non may intervenirli, piacendo così ad Astesam (1) Milan, ibid. id., le mème au mème. Gènes, 7 mars 1499. — 369 — per levare omne suspicione et sustituire in suo loco altre persone non suspecte, ma li fo resposto non havesse suspecto alcuno. Ad li 3 de febraio se incomencia procedere, procedendose ordinata-mente secundo li ordini de San Zorfco ; ne più presto se dede principio al procedere per defecto de Astesani, perche stetero molti giorni in certa pertinacia de non dare la petitione in scripto et per non havere li mandati opportuni, siche se ben fussero tre mesi che la cosa de Astesani è mossa, non è pero incommendato, el processo senon da li 3 de febraio in qua; potria essere che ad Astesani non piace el modo del procedere, e li pare forse che li sia licito in questo tempo potere dire quod libet licet et de havere le cose ad suo modo, e quelli de San Zorzo non procederano mai senon secundo li suoi ordini e più presto patinano lassare ruynare el celo che fare altramente per mantenere la reputatione del loco, e non sono persone de qualità che se lassano spaventare; benche lo advocato de Astesani e li homeni del signor Zoan Jacomo più volte, in presentia del magnifico governatore e mia, hano confessato chel predicto officio fa el dovere. Ne nego che quelli de le zolie siano andati tergiversando. Tamen la cosa è in rasone e se ha expectare la declaratione perchè poi caduno stara nelli termini. Venero qua questi di, come ha inteso Vostra Excellentia duoi Astesani, uno de li quali è doctore, et luno e laltro ha parte in questi lochi de San Zorzo, liquali voleveno vendere. Il che havendo presentito el signor Zoan Jacomo li ha comandato che ad pena de 500 ducati non debano venderli : dicendo che se li ricchi rendano li lochi suoi, li altri più poveri non potrano defendere la causa, e per questo vole stiano uniti insieme; per il che sono restati de vendere. Et havendo li predicti Astesani rechesto ad Acursio, cancellaro e procuratore de San Zorzo, certe scripture, pare li dicesse: « Noi non venemo ad darvi faticha a casa vostra; se la cosa fusse in me, so ben quello faria. » Che credo volesse dire : « Io la espediria presto. » Le quale parole Astesani hebeno per male; pur quelli del officio predicto li fecero intendere non dovessino pigliarne sinistro concepto, perche ad loro dispiaceveno summamente, e non essere diete tale parole de sua intentione, et ne hano represo Acursio. Sono poi essi Astesani partiti de qua - 370 — senza dire cosa alcuna al magnifico governatore ne ad me. Che ne ha dato admiratione e paresse uno signo de non tropo bono animo e de qualche iniquità, maxime che da noi sono stati ben veduti e caresati, e se siamo offerti ad operare quanto ne sia possibile con significarli al bono animo e dispositione de Vostra Excellentia verso loro. Les Astcsans avaient envové deux ambassadeurs, dont un docteur en droit, pour soutenir leurs prctentions devant la juridictioa génoise: In la causa de Astesani questi del magnifico officio di San Zorzo pareveno in dispositione de volere dare sententia, havendo deliberato de stare duoi di continui al officio e farse portare da mangiare e bevere e non partirsene finche havessino giudicato (i)- Mais, sur la demande du docteur Astésan, on renvoya le prononce du jugement jusqu’au milieu du mois d’avril, «terme dernier et péremptoire ». Le mème docteur demanda qu’on lui remit par écrit les points litigieux ; 1* office de Saint Georges refusa, alléguant que ce serait un procédé contraire à son usage. L’Astésan se récria. Fontana et Adorno insistèrent auprès des Huit pour obtenir la remise par ecrit au juriste Astésan des « dubbii ». Etiam chel non fusse così costume del loco, perche non è regola così generale che non patisca qualche exceptione, et essendo questa cosa de momento come è, non potriasse dire essere aperta porta alcuna de cativa consuetudine, ma de essere governati cum majore circumspectione (2). Si la sentence était rendue contre les Astcsans, ils n’auraient plus aucun motif de se plaindre. Les Huit consentirent à revenir sur leur delibératiou. En France, on ne soufflait mot aux ambassadeurs Génois de la question d’Asti. Le refus décisif de donner par écrit les dubbii, et le départ du docteur Astésan, interrompirent les négociations. Le 5 avril, Trivulce envoya signifier au gonverneraent Génois l’ouverture des représailles « la denuncia de represalie ». Voici le texte de l’ordre donné par lui à son envoyé): (3) Ordre de Trivulce au trompette Lazarino. Johannes Jacobus Trivultius, comes regius armorum ac locum-tenens generalis. (1) Milan, ibid. id., le méme au mérae. Génes, 14 mars 1499. (2) Milan, ibib. id., mème lettre. (3) Milan, ibid. id. Lettre de Trivulce, 4 avril 1499. Copie. - 371 - Lazanno Trombeta, tu andaray a Genua a li illustri Augustino e Joanne Adurni e dirai a lor signorie da nostra parte, come per te li denuntiamo represalie, guerra et offensione per qualunque meliore modo via saperemo e potremo e che la opportunità et occasione ce sporgerà, contra tutte e singule persone genuese, loro stati, subditi e beni, e che alli xii giorni del presente mese de aprile per publice cride e bandi faremo publicare dicte repre-saglie, guerra et offensione; a le quale intendemo se possa procedere e proseguire immediate el giorno seguente, che serano al xiii del presente. Et questo exeguito, tu ritornerai subito da noy. Datum Asti die 4 aprilis 1499. Philippus Amerinus. Fontana transmit immédiatement ces graves nouvelles à Ludovic Sforza en les accompagnant des comraen-toires suivants: Lettre de Fontana a Ludovic Sforza. (1) Illustrissimo et Excellentissimo signor, Vostra Excellentia ha inteso per un altra mia che la causa de Astesani era prorogata fin a mezo el presente mese de aprile, essendo questi del officio de San Zorzo in dispositione de dare la sententia, ne partirse dal officio, finche havessino judicato: ma accio che meglio le rasone de le parte fussino intese, de consentimento et ad instantia del doctore Astesano che era qua, fo facta dicta prorogatione che, havendo esso rechesto li motivi, li forono negati per li predicti de San Zorzo, dicendo non essere costume del officio dare motivi, ma solum de intendere la rasone de le parte et judicare. Da poi in qua altro non è facto, perche el doctore predicto se partite per andare ad fare le feste ad casa, ne è poi ritornato come dire chel ritornarla per terminare questa causa. Hogi circa le 22 hore è gionto qua uno trombeta del signor J. J. Triultio el quale si e presentato a questi magnifici fratelli, et ad essi ha facto la denuncia de represalie, guerra et offensione in la forma chio mando nel exemplo ad Vostra Excellentia; laquale, per essere sul tardo, non si è (1) Milan, ibid. id.. Lettre de Fontana à Ludovic Sforza, 5 avril 1499. — 372 — potuto fare intendere ad li offici, maxime che da la festa in qua non se sono congregati, ma essendoseli trovati alcuni de li octo, se ne sono admirati grandemente et hano dicto che li pare una cosa molto dishonesta, che, essendo la causa in rasone, prorogata la causa ad instantia de li Astesani et non anchora passata la prorogazione, el signor Zoan Jacomo deba havere mandato ad denunciare ad questo modo, con subjungere che rasone dal lato suo non mancha, e da la forza cercharano da defenderse, dolendose che non habia respecto ad Vostra Excellentia ne ad questa citta, come se la fusse una villa. Domane serano convocati li officii per questa cosa, et de quello se deliberara avisaro la Vostra Excellentia. Ho bene ricordato ad li predicti magnifici che per essere la denuncia facta sul generale, ne se dice per che causa, debano farli una bona resposta, e così hanno dicto de fare. Fontana pria en mème temps, de la part du due et pour éviter que la rupture ne devìnt effective, les officiers de Saint Georges de communiquer par écrit les « dubbii » aux Astcsans, mais il craignait uu refus. Les Génois s’étonnèrent beaucoup de cette détermination de Trivulce, prise tandis que le procès ctait encore pendant, et alors qu’ils croyaient avoir fait l’impossible pour donner satisfaction aux Astésans et leur avoir fburni toutes facilités pour prouver leur droit. Ils envoyèrent une protestation à Ludovic Sforza: Lettre de A. Adorni et des Anciens à Ludovic Sforza. (i) Illustrissime et precellentissime princeps et domine noster nobis colendissime, Cum ex me gubernatore vestra Celsitudo cognoverit illustrem D. Johannem Jacobum Trivultium, misso tubicine, bellum reprehensaliasque minari, exemplumque verborum quas tubicen attulit a me quoque missum sit, non est opus eadem nunc a nobis iterari. Verum, sapientissime princeps, id nos admodum perturbavit, ignorantes unde tam subiti motus causa originem ducat. Cum enim prudentiam illustris domini Jobannis Jacobi perspectam habeamus longo (i) Milan, ibid. id. Lettre du doge Adorno et des Anziani de Gér.es à Ludovic Sforza, 7 avril 1499. Susc. : « Precellenlissimo principi nostro nobis colendissimo domino Ludovico Sfortie Anglo Duci Mediolani Anglerieque comiti ac Cre- inone domino. ». - 373 - rerum usu insignem, sine admiratione audire non possumus indici sine ulla causa bellum benivolis, qui dignitatis et commodorum suorum studiosi semper fuimus. Quod si, ut credimus, Hastensium querelae has minas causantur, mirandum quoque est suam dominationem clamoribus Hastensium plus quam justiciae credidisse. Affirmare enim possumus, preclarissime princeps, magnificum officium Sancti Georgii in ea causa omnia prestitisse quaecumque salvo decoro praestari potuerunt. Auditi prope assidue et ad libitum Hastenses fuerunt; quicquid producere placuit exhibuerunt, et cum proferendae sententiae tempus adesset, differri judicii tempus iidem Hastenses petierunt usque ad vigesima presentis aprilis diem. Quod si ita est, ut certe est, utque publica acta testantur, quid supervenit cur statuta dies ab illis quaesita reique exitus non expectetur ? Qaid supervenit cur repre-hensaliarum aut belli metu absterreamur? Nihil inquam. Quin immo? magistratus ipse sancti Georgii, ut nihil hactenus praetermisit, ita deinceps omne integri judicis officium, ut solitus est, prorsus implebit: haec quamqam ignota omnino non sunt Excellentiae Suae, perstringere tamen placuit, ut, — cum cognoverit Hastenses coram magnifico officio Sancti Georgii ut aequum erat jus petiisse, cum auditi facile et comiter fuerint, cum differri tempus ferendae sententiae quaesierint et impetrarint, cum demum ab eodem magistratu oblata omnia et facta sint qu® justiciae conveniant constanti proposito, — sibi persuadeat nos omni culpa carere, et, si quid accidat, dignetur consilia favoresque in hac injuria praestare: quales et speravimus semper et sensimus, et pro sua in nos charitate nunc confidentius expectamus; cum omnis culpa in eos rejicienda sit, qui, praetermisso juris et honestatis cursu, discordias et bella quaerunt reprehensaliarum viam ligurientes. Quamquam certe in tanta vicinitate nihil Hastenses contra nos tentare possint, quod eis quoque non noceat, cum mutua commercia fructuosiora illis semper fuerint quam nobis. Ceterum, precellentissime princeps, ut super iis vestra sapientia nos consilio et favoribus juvet eam iterum iterumque precamur, cujus clementi® nos et nostra supplices commendamus. Data Genue die septima aprilis 1599. — 374 - Excellentias vestras servitores fidelissimi, Augustus Adurnus, ducalis Genuae, gubernator, et locumtenens et consilium Antianorum communitatis Genuas. Les Génois se préparèrent à la guerre. Le 6 avril, la nouvelle de l’arrivée du baron de Bierna à Asti se répandit à Gcnes. Les Adorni envoyèrent a Albenga Bernardino Adorno avec vingt-cinq horames de pied ; ils demandèrent des renforts pour les autres places de la Riviera à Ludovic Sforza et 1 autori-sation de mettre garnison dans le chateau de Madonna de Zucarello, Ce qui augmentait leurs craintes, c’était 1’ attitude hostile ou ambigue de leurs voisins; le marquis de Montferrat allait livrer passage aux Astésans ; le marquis de Final ne se pronon?ait pas, attendant les demandes de Trivulce. Fontana ne voyait que les Savonais qui fussent sùrs : « Con Savonesi non bisogna fare altro, non havendo essi obbligo alcuno verso Astesani de darli passo. » Fontana proposa aux Adorni de faire supporter une partie des frais de cette guerre à la banque de Saint Gorges qui en était la cause. Les Adorni rcpoussèrent cette proposition. Li predicti magnifici dixero che non seria possibile tirare dicti de San Zorzo ad alcuna contributione, perche epsi se persuadeno de non manchare del debito suo. Mais ils consentirent à en parler à la commune: E già ne hano parlato con Spintili et altri amici liquali sono concordi nella mia opinione. Ma de San Zorzo non bisogna far pensiero. Ne hano anchora dicto li predicti magnifici del facto de le galee nea-politane che se debano fare venire e non indusiare più, che ne sono senza dubitatione che San Pietro in Vincoli con altri Fregosi habiano qualche pratica in qualche loco, e debano cosi dare da fare per mare come per terra, e però sono più che necessarie le predicte galee, lequale ritrovandose qua serano gran secureza de queste parte (i). Les Génois ne croyaient cependant pas que la denuncia de represalie provint du roi de France; ils 1 attri-buaient à Trivulce, agissant dans l’intérèt particulier des Astésans. (2) Qua se ha opinione chel Re di Franza non faccia fare denuncia de represalia ne guerra, e chel signor Zoan Jacomo con (1) Milan, ibid. id. Lettre de Fontana à Ludovic Sforza, 7 avril 1499. C’est de cette lettre, dont je ne publie qu’un fragment, que proviennent tous les ren-seignements précédents. (2) Milan, ibid. id. Mème lettre. - 375 - Astesani la causano, ma che la cosa sii in faculta del signor Zoanne Jacomo, e però seria se non bene che Vostra Excellentia operasse chepso andasse retenuto e farlo tenere ben disposto, perche forse che questa denuncia possa essere una bona spronata ad costoro qui et causa de qualche assetto. Les Adorni étaient particulièreraent blessés de voir avec quel sans-fa^on Trivulce avait envoyé déclarer la guerre à Gènes. Ils pensaient que Louis XII yaurait mis plus de cérémonie ; Lettre de A. Adorni à Ludovic Sforza. (1) Per il magnifico presidente col quale siamo stati al longo, sara risposto a la Celsitudine Vostra circa quel che la ha scripto per le cose de Astesani e comminationi facte per il signor M. Zoan Jacomo; il quale fa de questa cita corno de un burgo e credimo che Re di Franza lharia più estimata, che saltem li haria mandato cum qualche justificatione, e nuncio più honorevole, a denunciarli la guerra, et corno quella può comprehendere cum la sua prudentia, non è senza carico de la Excellentia Vostra, e da tempi in qua ognuno la calpeza, come qualche volte habiamo dicto, e fin a Lucchesi ne hanno facto injuria. Li Astesani voleno mo’ che San Giorgio, eh’ è tanto tempo eh’ e edificata quella casa, judichi fora de li soi ordinarii e che se pausea in questo tempo de le cose son state comisse a regimento de altri. L’incertitude se prolongea à Gènes ; les officiers municipaux furent convoqués de nouveau. On voyait la main du Cardinal de La Roveredans cestroubles. De grands préparatifs de défense avaient été faits. Lettre de Fontana à Ludovic Sforza. (2) Illustrissimo et excellentissimo signore, Sono stati convocati un altra volta in palazo questi officii per causa de la denuncia facta per el signor Zoan Jacomo Trivulcio de represalia e guerra contra Genuesi e tra loro sono state diete molte , parole; alcuni hano dicto che questa novità se fa de volunta de Re (1) Milan, ibid. id. Lettre du doge Adorno à Lud. Sforza, 7 avril 1499. (2) Milan, ibid. id. Lettre de Fontana à Lud. Sforza, 9 avril 1499. — 3 76 — de Pranza come quello che cercha la causa de potere offendere, vedendo la perseverantia de Genuesi in fede e devotione verso 1’ Excellentia Vostra; alcuni dissero bavere altra opinione che de co-missione de Re non se facia questa novità, ma sia cerchata per el signor Zoan Jacomo per suo utile particolare, essendoli facta qualche promessa da Astesani che hano interesse in li lochi de San Zorzo, perche questi di epso fece levare duamiliia ducati qua, e forono obligati li predicti lochi de Astesani per dieta casone, et alcuni del officio de San Zorzo, che se sono ritrovati in questo consilio, hano dicto che quando havessino creduto de venire ad questi meriti, non li hariano lassati obligare. Tandem si è facta resolutione di convocare el consiglio grande, perchè secundo che de ordinatione depso altravolta furono arestati li lochi ad Astesani, al presente anchora deliberasi quello se ha fare e vederasi de fare electione de octo citadini, con la autorità de potere provedere e tractare assetto, e fare e trovare el inodo de spendere, quando bisognasse venire alli facti per questa causa di Astesani, e dicto consiglio grande sera congregato venerdi proximo che vene, siche de la deliberatione se fara per altre ne avvisato 1’ Excellentia Vostra. Ho assay facto intendere ad Vostra Celsitudine come se dubita pur de qualche turbatione di queste cose per le pratiche de San Pietro in Vincoli et Octaviano Fregoso et altri forausciti, e che questi magnifici non stano senza dubitatione se facia assalto ad qualche loco de k Rivera e maxime ad Albenga, per essere bono et opulento loco e dove potriase fare pede, non essendoli forteza. De novo li predicti magnifici demonstrano havere maiore dubitatione per li avisi se hano ognidì de pratiche se fano ; e però instano summa-mente che la Excellentia Vostra voglia mandare quelli fanti cum omne presteza possibile, accioche per troppo tardare non segua qualche inconveniente, perche poi con maiore faticha e spesa bisognaria provederli. Et come per un altra ho scripto, havendo ordinato mandare M. Bernardino Adorno ad Albenga con 25 fanti et recer-chatome ad darli de questi de le forteze : li ho dicto che non è da sfornire più le forteze de fanti, essendo fora quello numero se sa, e che potriano mandare de li suoi de la piaza per qualche giorni finche 1’ Excellentia Vestra manda quelli ha mandare et in locho de - 377 - dicti suoi, valersi de li partesani per attendere ad la guarda dei palazo, ma mi hano risposto che non seria ben facto movere li fanti del palazo perche li inimici pigliariano tropo animo : e pero tra el Castellazo e queste forteze e Savona si è facto 25 fanti e se mandarano ad Albenga, benche vadano malcontenti e de malavoglia per non havere modo de vivere, perche dicono dovere havere el servito de tre mesi et incomenciato el quarto, e sei co-leteralo non li havesse imprestato uno ducato per uno, non se seiiano potuto levare de qui; e cosi in presentia de li predicti magnifici e mia, hano protestato che mentre durarano li denari starano, et poi ritornarano, non essendoli proveduto; dicendo che ad Albenga non hano chi li voglia fare credenza, come hano qua, per la munitione e taverna. In simile essere sono li altri fanti de le forteze e male in punto d’ arme, havendole impegnate, sichè per mio debito ne aviso 1’ Excellentia Vostra, acio possa fare provedere li siano mandati li suoi denari. Ad la quale replico che si aspecta con gran desiderio chepsa manda li fanti ha mandare, perche poi se potrà stare assai securi de non ricevere scorno, facendose ritornare quelli de le forteze che sono fora al loco suo. Ultra li havisi hano questi magnifici io anchora da bon loco sono avvisato chel signor de Monaco fece duoi e tre viagii la septimana ad uno locho nominato Grassa e practiche con quelli Francesi, che fa pure suspicare apresso 1’altre suspitione se hano. Ne ho voluto avvisare 1’ Excellentia Vostra acio habia notitia del tutto. Ad la quale ne ricommando. Genue 9 aprilis 1499. - Fontana. Le Génois avaient envoyè un trompelte à Trivulce pour lui porter leur réponse à la denuncia di guerra. Trivulce avait répondu i ce message en annon?ant qu’il allait commencer les hostilités. Il avait reclame le droit de passage des seigneurs del Carreto da Zucharello, qui le lui avaient refusé. Ceux-ci demandaient des renforts à Gènes. Les Génois en demar.daient :ì Ludovic Sforza. En mème temps, le Consilip Grande fut réuni pour notìimer liuit commissaires chargés de régler cette affaire d’Asti. — 378 — Lettre de Fontana à Ludovic Sforza. ()) Questi magnifici, havendome partecipate le predicte cose, hano con grandissima istantia dicto se voglia fare venire quelli fanti sono stati rechiesti a Vostra Excellentia e non più dimorare, perche dubitano de qualche scandalo, et epsi, come anche è commune opinione tra questi cittadini, tengono per certo che Fregosi habiano intelligentia de fare qualche buxo in qualche loco de la Rivera e pero la Excellentia Vostra se digna de accelerare la venuta de’ dicti fanti. Domani se congregara el Consilio Grande per questa cosa Astesana e farasi electione de Octo che habiano auctorità de tractare effecto e provedere ad queste cose sarano necessarie, e de trovare denari per spendere, acio che I’ Excellentia Vostra habia mancho spesa sia possibile. Puis Agostino Adorni et le conseil des anciens s’adressèrent directement à Trivulce pour lui représenter que les Astésans les accusaient à tort, et en mème temps pour l’avertir qu’ ils lui feraient voir que « la paix est égaleraent utile à tous les peuples », et qu’ils repousseraient la force par la force. Lettre d’Ag. Adorni et des anciens a J. J. Trivulce. (2) Illustris comes nobis honorandissime, Rettulerunt nobis illuster dominus Gubernator noster et magnificus frater ejus illustrem dominationem vestram, misso ad id tubicine, bellum et reprehensabas offensionesque denunciasse, idque non litteris, sed unius tantum tubicinis relatione indixisse. Quae audita ingenti nos admiratione affecerunt, considerantes prudentiam vestram longo rerum usu insignem non solere quicquam agere quod legibus alienum sit, cum maxime sibi persuadere possit nos dignitatis et commodorum vestrorum semper studiosos fuisse et nunc quoque esse; an tantum Hastensium querellae valent ut insolito more bellum indicatur, cum (1) Milan, ibid. id., le mème au mème, 11 avril 1499. (2) Milan, ibid. id. Lettre d’Ag. Adorni à J. J. Trivulce, Génes, 13 avril 1499-Copie. « Exemplum illustri Domino Jacomo Trivulcio ». — 379 - Vestr® Dominationis prudentia plane intelligat magnificum officium Sancti Georgii nulla in re honesta defuisse, paratumque semper esse justiciam reddere; jamque finem controversia habuisset nisi Hastenses suspendi tempus usque ad xvam mensis hujus diem qu®-sissent et impetrassent. Quod si ita est, ut certe est, cur adversus innocentes arma parantur ? At, si neque leges, neque vicinitas, neque probat® consuetudines, neque innocentia et aequissimae oblationes nostrae aequis auribus audiuntur plus quam vociferationes Hastensium quam quid inter amicos deceat aestimantur, omnes homines, omnes principes, ipsum quoque Deum testem invocamus pacem et benivolentiam mutuaque commercia, non minus Hastensibus quam nobis accommodata, Hastensium culpa, non nostra, violari; qui paratos nos semper obtulimus et nunc iterum offerimus justiciam amicitiamque servare. Quin potius pro nostra erga eos benivolentia monitos rogatosque esse cupimus ne antiqu® benivolentiae novum et iniquum odium anteponant, quod semel mentibus infixum exacerbari magis magisque in dies solet, et dulce amicitiae nomen facile extinguitur, et omnia belli mala Hastensibus attribuentur. Haec prudentia vestra, si recte, ut solet, omnia examinabit, intelliget magnifico officio Sancti Georgii nihil objici posse quod vero obsonum sit. Multumque ac diu considerandum esse ne nimia lenitate et indulgentia erga Hastenses vestra nos immerito laedamur : quos semper agnovit vero animi affectu in omnem dignitatem suam pronos esse. Quod si ad injurias deveniendum est, agnoscent profecto Hastenses pacem utrique populo utilem esse, bellum autem multa secum mala deferre, quorum ipsi Hastenses rei et causa semper erunt. Nec nobis imputari unquam poterit si in defensione nostra et damnorum nostrorum resarcimento nobis undecumque consulemus. Data Genu® die xm aprilis 1499. Augustinus Adurnus et consilium Antianorum. Les Astésans répondirent aux Génois par des protestations générales de dévoument, mais maintinrent toutes leurs précédentes rédamations. — 380 — Lettres de la Commune d’Asti à la République de Gènes. (i) Illustrissimi et praestantes viri, si requiratur indicti belli causa nihil comperitur quod nobis digne objici possit, qui antiquam et sinceram benivolentiam et mutua commercia nusquam violavimus. Si proprios legeritis annales, comperietis Astenses nostros, fidem vestram jurejurando firmatam sequtos, proprias et satis egregias facultates vobis creddidisse, quas, praeter spem nostram ac contra datam fidem et jamdictum jusjurandum, super annum octavum et decimum retinetis, proventusque locorum Astensibus debitos exsolvere recusatis. Quid enim hoc est, nisi tollere e vita vitas causas et consuetudinem ? (2) Requirite, illustres et praestantes viri, quid Astenses effecerint quare propriis et privilegiatis facultatibus fraudari debeant. Nihil profecto se offeret quo eos tanta jactura dignos merito possitis judicare. Quo attinet ad gesta per procuratores Astensium apud vos et magnificum officium Sancti Georgii, de eis plene certiores redditi sumus actorumque codices tenemus ex quibus licet agnoscere Astenses, ultra quas justitia et aequitas suaderet, apud vos Astenses facultates jamdiu retinentes, partibus suis satisfecisse, nec differre debitum aut justiciam procurasse. Si igitur violata Astensibus fides et jurisjurandi per vos prestiti inobservantia et diu illatae eis injurias, bella et offensiones mature pepererunt, speramus omnipotentem Deum et imperantes nobis, apud quos dicendi belli jus est, pro meliori causa nos penitus indemnes servaturos. Ex Ast, die 16 aprilis 1499. Duodecim sapientes pro comuni Astensi. Cependant la déclaration de rupture annoncée par Trivulce n’aboutit pas. Ludovic Sforza ne la désirait pas, et il n’était pas dans les intentions de Louis XII de commencer la guerre avant d’avoir terminé ses préparatifs généraux. Après la crise du mois d’avril, cette interminable discussion redevint calme, et les négociations continuèrent, ainsi que le montrent les textes suivants. (1) Milan, ibib. id. Lettre de la commune d’Asti à la République de Génes. Asti, 16 avril 1499. Copie. « Illustribus et magnificis dominis gubernatori et ancianis civitatis Janue honorandis. » (2) Il y a ici une allusion évidente au vers fameux de Lucrèce: « Et propter vitam vitai perdere causas ». - 38i - Lettre de Fontana à Ludovic Sforza. (i) Questi magnifici fratelli hano veduto quanto scrive 1’Excellentia Vostra con li extracti de quelle sono state scripte da Asti de le menaze si fano contra Genuesi et de esserse poi sopratenuta la ruptura. Epsi magnifici judicano el parere de Vostra Excellentia prudentissimo, che sia molto megliore lacordo per questa cità con via de denari che intrare in guerra, non sapendose che fine possano portare le arme e che seria necessario spendere, e me dicono non essere mancata Vostra Magnificentia de ricordare a questi citadini l’acordio con destreza. Però perchè con costoro bisogna arte, e saperli redure con dextro modo al effecto se desidera, che altramente non se ne haria honore, ne è possibile potere fare cosi in freta et in uno puncto, ma pare ad li predicti magnifici e dico quasi impossibile che se possa tirare costoro ad la summa de li otto milia ducali, e però bisogna che Vostra Excellentia facia, conio per altre ho scripto, de vedere de tirare la summa più bassa che sia possibile da le otto milia, perchè de qua per questi magnifici e per me se fara ultra posse per andare più presso al signo se poterà ; li quali magnifici harano da se li octo e se intenderà qualche cosa. Al facto de le minaze, sa Vostra Excellentia che questi citadini non se lassano spaventare, et li predicti magnifici dicono che pare forse al signor Joan Jacomo che per menazare guerra deba havere le cose ad suo modo, e che sei non ha fanti pagati ma solum cerne, non potria fare tante cose come el menaza, e se pur una volta fara qualche presoni, non li tornara la secunda volta ; e quasi erano de parere che Vostra Excellentia non cerchasse più prorogatione de tempo alla offensione, e stare uno pocho a vedere come D * ii • el signor Joan Jacomo sapra fare, hora che proveduto alla rivera, ne hano voluto lassare intendere a li octo che sia sopravenuto la ruptura perche se rendariano più difficili al acordo, parendoli chel (i) Milan, ibid. id. Lettre .de Fontana à Ludovic Sforza. Génes, 6 mai 1499. Atti. Soc. Lig. St. Patria. Voi. XXIV, fase. 2.0 25 — 382 — signor Joan Jacomo vadi dreto a menaze e non possa fare tanto cornei dice. Tamen l’Excellentia Vostra e prudentissima et epsa, per la prudentia sua, ha governare le cose come le piacerà. Lettre de Ludovic Sforza à Fontana. (i) Quanto hano scripto quelli magnifici fratelli e voi circa la praticha de acordio cum Astesani, havemo veduto, el che se restringe in duoi effecti : el primo, che forse li se adaptaria, che quella nostra comunità seria contenta che per judice de meso et equo alle parti fossi cognosciuto se le represalie contra Astesani sono state ben concesse; el secundo, el tractare qualche acordio sopra l’interessi e non sopra la sorte, che assendano da sei milia ducati e noy li havessimo ad concorrere. E tute queste pratiche seriano bone e da poterse molto ben ponderare se non fossimo su la guerra, e nel principio che mandassimo li da li Astesani fossino state ricordate, et sapemo ben quanta instantia ne fecimo de luno e de laltro effecto, e precipue de la cognitione e poi de la compositione che tuto fo bandito, et essendo in li termini presenti ogni insulto che seguisse el genuese ove le terre del marchese del Finale, veneris-simo poi ad questo accordio vergognosissimamente, cosi quella cita corno noy, et pegio seria sei intervenesse damno. Et pero bisogna considerare le cose de li stati e de le guerre, altramente che le cose civile e mercantile, e questo havemo voluto solo dire perche cognoscano un altra volta chel recordo nostro era bono et amorevole. E non se po negare chel vedere se le represalie sono state ben concesse in loco niedii seria cosa et laudabile et justa et ad noy gustaria, perche acceptandola Astesani havessino la intentione fondata; non acceptandola, tuto el carico , seria el suo; ma proponerla noy in nube, essendo quello che siamo, che non volemo parlare de le cose de quella cita, per credere e non credere non ne satisfa; ne ad noi è parso farlo che non intendiamo più ultra e non habiamo el fermo; cioè se si vole fare liberamente e del judice de meso se se ripossarono quelli citadini, (i) Milan. ibib. id. Lettre de Ludovic Sforza à Fontana, 19 mai 1199. - 383 - quando fussino defferenti che noy soli o Messer Joàn Jacomo e noy lo elegessimo, non facendo per noy stare in disputa ne in pratiche longhe , passano pur qualche gente, e stando in qualche spesa benche non sii de momento, ma ogni minima prefatione ne la fara ingrossare, e medesimamente se domandassimo segurtà de qua, et epsi la offeressimo, sese li daria, e quando ne volessimo pigliare noi, et quella communita ne richiedesse chel facessimo sopra de se e del magnifico officio lo faressimo molto voluntiera. Dicemo, per abreviare le cose, quando questo effecto habii ad essere pratica longa et incerta, non è de essere proposto; essendo altramente, affirmamo circa ciò quello è dicto. Al particulare de non volere intrare in la sorte; ma che se pare ad noy de li interesse, che sono da sei milia ducati, se ne po tractare, havessimo voluto che circa ciò fossino venuti più liberi e che considerassino anche li tempi presenti, non negando che se le stagioni andassino de altra sorte, diressimo altramente ; niente-demancho, havendo judicato questa materia sempre de importantia, poiché scripsimo e mandassimo tuto quello havevamo havuto dal nostro de Ast, non havemo lassato de temptare sempre e vedere de farli venire ad qualche particulare, et precipue Messer Joan Jacomo, e trovamo essere le cose molte distante ; cognoscendo ben che Astesani e Messer Joan Jacomo se fano gran scorta del tempo che occorre e parere che, al damno de quelli nostri citadini e nostro, se li potria tractare più in grosso che de represalie; e quello che ne havemo caciato da Messer Joan Jacomo è che, havendo el suo principale, linteresse et li damni remettarrano in nuoy; liquali interessi e damno, intendimo quello che voy diceti che tra loro e noy se de-biano pagare ; e quando qua se potesse tore qualche mezanita de remissione o in noy e Messer Jo. Jacomo et el gubernatore, o in qualche altro simile modo, per venire ad restretto, ne piaceria; vero è che circa ciò non habiamo cosa ferma. Quando non chel magnifico governatore et fratello e voy siate cum l’officio e se restringa per conclusione dove se possa andare, perche non sortendo questo effecto, bisognerà che noy et loro faciamo de li altri penseri, e precipue noy, perche le cose è impossibile possino stare al lungo senza roptura. Et se non dubitassimo de inconveniente, la spesa — 384 — presente considefamo molto bene che, quando la fosse anche qualche cosa magiore, non ne gravaria troppo ne ad loro ne ad noy, et ad noy la spesa che tenemo in genuese et ad crescere ben anche de uno centenaio de fanti cum qualchi cavalli, non ne grava troppo, perche sono gente tenemo per l’ordinario nostro, ma considerando el più importante e non negamo de volere concorrere in qualche particella de questa compositione, ma non al paro de quella nostra communita, perche seria deshonesto, essendo la causa principale sua, come se vede che in verunaltro loco de qua non e mosta de guerra ; salvo se si volesse mesurare l’interesse che li potressimo havere se la guerra se attacasse, che non credemo per la bontà e sapientia de quelli nostri citadini, che seria proprio non provedere al suo bisogno, per parerli che noy, per havere quella cita e le altre cose de qua, fussimo necessitati ad provedere che ne rincrescerla troppo; e se non si trovassimo tanto attenuati pei lamore et obligo che habiamo ad tuti quelli nostri citadini, fares-simo tuto quello li occorresse; ma sopra tutto stringerei la resolutione e non perplexita ne praticha cum noy, et se ne amano quelli magnifici fratelli faciano cum quello officio non se stii più in praticha, e ponderano ben loro et epso officio tuto quello è da ponderare, come havemo facto e faciamo nov. X, Cependant les relations directes de Louis XII avec la République de Gènes n etaient point troublees par cette affaire d’Asti. Les intrigues tendant à séparcr Génes du due de Milan continuèrent pendant le second trimestre de l’année 1499. ^ne ambassade génoise se rendit en France (cf. Marino Sanuto, II, 749, 23 mai 1499). Ottaviano Fregoso, jeune homme d’une haute valeur, disparut de Gènes et alla retrouver à Avignon le Cardinal La Rovère. Les Génois Gibelins continuaient leurs prcparatifs défensits contre une attaque maritime possible de la France, que les armements consiants des corsaires provenfaux et l’annonce de l’envoi d’une flotte fran^aise à Rhodes leur faisaient redouter de plus tn plus. Le napolitain Ripollo proposait d’armer deux galéres de l’arsenal, dont une à ses frais, les Adorni hésitaient, effrayés par la dépense, à accepter cette idée ; Ludovic Sforza s’étonnait entretemps de l’inertie des Génois. Rispondano li predicti magnifici che l’Excellentia Vostra ha inteso quello vole fare la communita, cioè quello che sponte hano - 385 - oferto da se li octo e che se possano tirare ad altro; più oltra non bisogna sperare e quando bene se ne parla non se ne havera honore (i). Gènes offrait les subsides de la raoitié des troupes nccessaires à sa dèfense, et le paiement de toute l’artillerie. La correspondance de Fontana contient diverses lettres Ìntéressantes de cctte période i Lettres de Fontana à Ludovic Sforza. (2) Dopoi la participatione facta ad questi magnifici del aviso ha havuto Vostra Excellentia da Roma che alcuni de casa Oria tengono practicha in Franza per meso de Octaviano Fregoso, e che si ha dubitare che la venuta de San Petro in Vincula ad Vignono non porti qualche turbatione ad queste cose; essendomi ritrovato con epsi, me hano dicto havere inteso per altra via el medesmo, e che li pare se possi dubitare de qualche alteratione de qua, e più per il meso del predicto Octaviano; el quale, benche sia giovene, tamen ha animo, et è amato grandemente da San Petro in Vincula, el quale lo mandara ad fare quanto li piacera, ne epso Octaviano considerai più inante, non possendo perdere o voglia andarli le cose ben facte o non, perche non è però de tale conditione chel deba stimare la reputatione sua ne considerare se li sera de honore o vergogna ad moverse etiam legiermente; perchè, come ho dicto, non po perdere cosa alcuna, non essendoli per manchare San Pietro in Vincula : per questo li predicti magnifici hano ricordato che è de havere lochio al predicto San Pietro in Vincula et ad li andamenti soi, perche epsi farano el medesmo; e se Vostra Excellentia intenderà alcuna cosa, voglia subito avisare qua, acio se possa provedere. Hano ancora epsi magnifici facto grandissima istantia se operi de fare ritornare le quattro galee neapolitane, perche insieme con le due nostre importano ala secureza de tutte queste cosegenuese, e con epse se potria rumpere omne disegno de inimici, maxime (1) Milan, ibid. id., Lettre de Fontana à Ludovic Sforza, 30 avril 1499. (2) Milan, ibid. id. Lettre de Fontana à Ludovic Sforza, 1.“ avril 1499. (fra-gnient). — 386 - che Francesi non hano se non quattro galee, e, presentendo che noi ne habiamo sei, starano ne li termini ne presumirano de accostale. E però 1’ Excellentia Vostra ha ad fare omne efficace opera pe farle ritornare con omne presteza possibile e replicare de novo lettere ad Napoli per questo effecto. Che, dopoi serano ritornate, certamente non se ha molto dubitare che San Petro in Vincula ne Octaviano Fregoso possano fare cose troppo relevate, mediante le bone provisione se faranno per responderli. Avisando Vostra Excellentia che M. Aluyso Rapallo ha havuto adesso da la Maestà Regia lettere de cambio de 700 ducati per pagare le predicte galee, et è venuto etiam el biscocto per epse de duoi mesi; che exi-stimamo che questa expedictione sia facta inante la gionta de le galee ad Napoli, e che la predicta nota le fara ritornare senza dimora. Scripsi ad Vostra Excellentia per una de 16 del passato che ri-trovandose li oratori Genuesi in Franza, non li fo facto motto alcuno de Astesani, e che havendone epsi parlato col gran cancellaro, li respose non saperne niente, ne che al signor Joan Jacomo fusse scripte lettere alcune. Adesso questi citadini parlano largamente chel signor Joan Jacomo si è mosso ad fare la denuncia de re-presalie, ma non per commissione de Re de Franza, che non ne ha alcuna, ma per avaricia, perche per quelli che hano interesse nelli lochi de San Zorzo, gli è promissa una parte acio li adiuta e favorisca. Siche ne aviso 1’ Excellentia Vostra acio sapia che opinione se ha qua, la quale non pò giovare ad Astesani et è pocho honorevole al signor Joan Jacomo. Illustrissimo et excellentissimo signore, (r) Questi zentilhomeni de la casa Spinula se sono convenuti in sue logie per quello presentino de San Petro in Vincula, de Octaviano e Paulo Baptista Fregosi e de le due galee francese ; et (1) Milan, ibid. id., le mème au mème. Gènes, 21 avril 1499. Illustrissimo et excellentissimo principi et domino meo praecipuo domino Ludovico Maria duci Mediolani. — 387 — dopoi li parlamenti et consulte loro hano electo M. Luca, M. Jo. Francesco et M. Carlo Spintili che me havessino ad parlare : li quali, essendo venuti al logiamento mio, me hano dicto che quelli de 1’ albergo suo sono stati insieme, e presentendo le pratiche et andamenti se fano, li pare non siano ben securi, non vedendo dal lato de quà altre provisione, perche le quatro galee francese sono ben ad ordine per uscire, e noi non ne havemo se non due, ne sono venute ne pare siano per venire quelle del serenissimo Re Federico : e che Octaviano e Paulo Baptista Fregosi sono ritornati da San Petro in Vincula ad Vignono; e non po essere se non per turbare queste parte con le intelligentie doveriano havere et quà in la cita et altrovi per le rivere. Il che li fa stare cum l’animo suspeso et credere che non solum le cose de le rivere siano in periculo, ma anche loro in Genua, perche le galee francese po-triano in una nocte intrare qua in porto e mettere in terra 400 o 500 homini, li quali, cum el favore et adiuto de quelli de la cita de la parte adversa, turbariano tuta Genua, ne le due galee nostre potriano resistere alle quattro francese, et che la piaza del palazo haria bisogno de più numero de fanti, et che le forteze hano ca-tivo governo e sono senza el debito numero de fanti, e quelli li sono male in punto d’arme. Subiungendo che Octaviano e Paulo Baptista sono gioveni, li quali più presto se indurano ad novità, corno quelli che sono desiderosi de fare dire de se, ne considera-riano che li fusse carico quando la non gli andasse ben facta, e che la parte adversa è potente in Genua come se sa; e che de l’amica non po essere non gli ne sia de li malcontenti; e perochè seria de advertire e provedere opportunamente, perche quantunche li amici non siano mancho potenti de li adversarii, tamen ad la improvisa e non havendose altre galee che le due nostre, potria seguire del male assay: pregando se voglino fare venire le galee neapolitane senza più indusiare. Io, dopoi le bone parole in ringratiarli a nome de Vostra Excellentia, li ho risposto: prima, circa le forteze, che non hano dubitare perche sono bene ad ordine e guardate, e che novamente l’Excel-lentia Vostra li ha mandato cinquanta provisionati de la guarda sua e ventidue de altri che manchaveno, e ne mandarla anche de li altri — 388 — secundo bisognerà, e che in questo hano"stare cum l’animo securo; circa le altre parte, che non mi pare habiano tanto ad dubitare, perchè, se si debano movere gente in grosso, se sapera e potrasse provedere; se anche sera poco numero, non se hara troppo stimare che possano fare gran male; ma che, se pur dubitano e non li pare dessere ben securi, potriano mettere guarda al mole cum qualche artelaria, per non lassare smontare alcuni che venes-sero per offendere; et ordinare che una de le nave grosse che sono in porto stia in punto de artelaria, e metterli suso qualche homini, aciòche volendo acostarse galee ne altri navilii inimici, non li lassino intrare in porto cum Y adiuto de le due nostre galee, e fare stare in ordine li amici e partesani, acio che al bisogno se trovino apparechiati. E cosi, perchè se possano melio intendere li andamenti e pratiche de li inimici, benche questi magnifici habiano fora suoi exploratori, loro Spinuli ne possono mandare altri et havere intelligentia con suoi amici alle confine et altrovi, che continue li tengono avisati de le occurrentie; che ad questo modo se sapra tutto, e non potremo essere acolti ad la improvista ne recevere danno, stando cum li ochii aperti et havendo tempo de potere provedere. La resposta mia li è piaciuta assay, et hano dicto che li partesani sempre sono ad ordine, et in tre o quatro hore li haveriano prompti, e farano come io ho ricordato. Ma sono pur venuti al facto de le galee regie neapolitane, che cum epse stariano securi, facendo gran instantia se voglia fare opera per la ritornata sua ; el medesimo dicono tuti questi cittadini, cum subjungere chel havere le cose de Genua secure è così facto de la Maesta de Re de Federico (sic) come de Vostra Excellentia e de Genuesi proprii. Cusi ne aviso la Excellentia Vostra alla quale me ricomando. Genuse xxi aprilis 1499. Illustrissima et excellentissimae Dominationis Vestras servitor Franciscus Fontana. Le duc de Savoie et Ia république de Nice prolongent pour deux ans la trève qu’ils avaient avec la commune de Génes. Fontana en est averti par Ludovic Sforza, et la commune de Gènes consent pour sa part à une prorogation d’égale' durce : - 389 — (i) Si è facta per più tempo per non essere parso ad li presenti Antiani fare altramente che habiano facto li precessori suoy; li quali fecero la tregua per dicto tempo, che quando 1’ havessimo voluto fare per più, seria stato necessario convocare el consilio e disputarla. Ma che se Nizardi harano la confirmatione de la tregua dal illustrissimo signor suo et se intenda de qua 1’ habiano havuta, sera facto publicare la tregua in Genua e per tuto el genuese. Mais les Génois ne voulaient pas dépenser trop d’argent. Fontana prévient Ludovic Sforza « corno se parlasse de cavare dinari per la fabrica del darsenale: se dijficullava non pocho la pralicha che se fa de cavare denari per Astesani ». (2) Par contre les Génois partisans de la France s’agitaient. Octaviano Fregoso avait disparu, se rendant en France sous un déguisement, assurait-on, muni d’une lettre de change de trois cents écus, et « facendo provisione de dinari; è se%no ehe cum el suo voglia messer Ottaviano ed altri forausciti incominciare, cum promessa di essere adjutati dal Re ». (3) La correspondance de Ludovic et de Fontana est de plus en plus exclusivement consacrce aux affaires militaires. (4) Illustrissimo et excellentissimo signore, Giunse qua heri sera uno correro del magnifico governatore che partite da Ast non heri l’altro, quale ha facto intendere al predicto governatore per parte de uno amico de Sua Magnificentia, homo da bene e degno di fede che sta in Asti, che in l’altra septimana giunsero in Asti tre a cavallo, travestiti in forma non se potero cognoscere, che logiarono in casa del signor Joan Jacomo Triultio, dove sono stati tre dì occulti; nel quale tempo uno de loro andò travestito in Lombardia e ritornò, e che ogni di el predicto signor Joan Jacomo stava a parlamento cum loro quatro e cinque hore continue, serati in una camera. Et havendo el dicto amico dextramente domandato da uno camerere del signor Joan Jacomo chi erano e da unde venevano, li dixe che non sapeva el certo, ma che se diceva in casa che in quelli tre era el signor marchese Hermes, benche non lo credesse, e che in omne caso (1) Milan, ibid. id., le mème au mème. Gènes 6 mars 1499. (2) Milan, ibid. id., le mème au mème, 14 juin 1499. (3) Milan, ibid. id., le mème au mème, 15 juin 1499. (4) Milan, ibid. id., le mème au mème. Gènes 20-21 et Ì9 juin 1499. — 390 - luy teneva opinione che fossino Lombardi e che venessero de Lombardia, ne altro puote intendere, e che venerdì passato se partirono tuti tre travestiti et andarono alla volta de Franza. Il che mi è parso significare ad 1’ Excellentia Vostra per debito mio, pensando che queste pratiche possono essere facte per qualchi emuli de quella. Alla quale me raccomando. Genue, die xx Iunii 1499. (Mème souscription). Illustrissimo et excellentissimo signore. La Excellentia Vostra per altre mie hara inteso come per la se-cureza de non recevere alla sprovista jactura da inimici, questi magnifici fratelli recerchaveno chepsa mandasse le cento provisionati de la guarda sua, e che se dubitava più de Albenga e Ventimiglio che daltri lochi de la Rivera, essendo Albenga de novo talmente fortificata che aspectaria uno grosso exercito, essendo fornita de persone che la defendessero, e perche li giorni passati, per le minace facte per il signor Joan Jacomo Triultio, se le manda fin al compimento de quaranta fanti de queste forteze cum uno capo chiamato Francesco de Gandino, presso a laltro capo che li era, che se domandava Passarino. Hanno de novo epsi Magnifici facto gran .instantia che per li suspecti che se hano de presente, e per la importantia de questi duoi lochi (quali, quando pervenessero in mane de inimici, come altravolta è scripto a Vostra Excellentia, non se recuperariano cum migliara de ducati, e forse se spenderla in darno, e maxime Albenga, quale è bene fortificata, et abando-nata in questi caldi da li cittadini, quali più parte sono Fregosi); se mandassino ad Albenga de questi fanti de le fortezze fin al numero de trenta in tuto e quindici altri a Ventimiglio per compire fin al numero de trenta cum li quindici che lì sono, e così fo facto et heri matina se imbarcharono per andare. Questa matina essendo andato a bonhora da li predicti Magnifici pur per la cosa Astesana, trovai el magnifico governatore tuto de malavoglia, quale me fece vedere una lettera che li ha scripto da Albenga Bernardino Adurno, - 391 — significandoli che Francesco de Gandino, quale gionse qua heri sera, era partito da la cum sei compagni li erano restati de 19 chel haveva in la compagnia sua; e che li è restato Passarino cum dieci compagni solamente, essendo partito el resto de la compagnia sua in modo chepso se trovava a mal partito ; e che essendoli impossibile guardare la terra senza persone, se excusava quando inter-venessero cose che Dio non voglia; e veduta che ’hebi la lettera, Sua Magnificentia, mi fece gran doglianza de questi fanti che se siano partiti senza dire altro, e che volesse talmente operare chepsi compagni ritornassero ad Albenga, acio che non se habia ad recevere damno e vergogna, maxime in li presenti suspecti che se hano, essendo Albenga de la importantia che è. Io feci intendere ad Sua Magnificentia, che era in gran admiratione de questa cosa, non sapendo la causa perche fossero partiti epsi compagni e maxime del capo ; e che la non dubitasse che operaria talmente col castellano che li fanti ritornariano al loco dovi erano deputati. E cusì me ne andai subito in Castelleto, et parlay al castellano per intendere sei sapeva la causa del partire depsi compagni, e, sapendola, se li provedesse talmente che subito tornassero ad Albenga. Epso mi dixe chel non sapeva altra causa, se non che questi compagni sono desobedienti e che mandandosene in li lochi de la rivera secundo el bisogno, che li andarono bene, ma se partirono poi al suo piacere senza licentia ne saputa sua, e che lui non li po fare altro, non inanellando dal lato suo de fare quello che se po ; e chel credeva che questa desobedientia non se causasse per altro che per non havere epsi el modo de potere vivere, massime in li lochi de la rivera, dove non hanno uno minimo succorso come hanno qua da la munitione. Io non sono manchato de sollicitare perche ritornassero, e de admonirli ad dovere fare el debito suo, et havendo havuto da me el predicto capo, e factoli intendere che più me maraviglia del partire suo che de li compagni, mi dixe et medesimo che ha dicto el castellano che se era partito per non havere da potere vivere, e che dandoseli el modo ritornarla al loco suo. E così ho confortato epso castellano e Gaspare de Negri ad volete provedere alli predicti compagni deputati ad Albenga, almancho de uno ducato per uno, offerendomi — 392 - non havendo denari, darli quello pocho arzento che ho pei impigliarlo; e cussi epsi li hano provisto; e domatina credo che se inviarano, siche io ne aviso 1’Excellentia Vostra, perche li facia quella provisione li parira in provedere che li predicti compagni siano obedienti, e maxime che occurendomi pur scriverli qualcosa ad instantia de questi magnifici epsi compagni non obediscono e fa-ciono come li pare. Subjungendo chepsi magnifici fano pur grandissima instantia che 1’Excellentia Vostra manda li cento pio^i-sionati domandati, cum dire che intendendose per li forausciti che li fanti se partiscono da la rivera, e che qua non se fa provisione alchuna, pigliarano magiore ardimento de offendere queste cose, e che 1’ Excellentia Vostra ha ad farli bona provisione. Alla quale me riccommando. Genuae xxi Iunii 1499. (Mème souscriptiorì). Illustrissimo et excellentissimo signore, havendo questi magnifici fratelli intesa la lettera me scrive 1’Excellentia Vostra de li cinquanta fanti chepsa inviava, facendoli fare la via de Alessandria, e de la opinione se ha che li navilii de Franza siano per drizaise veramente a Rhodo, e che quando fussino inviati se potria scrivete a M. Lucio soprasedesse dicti 50 fanti, me hano facto questa resposta: che, per li avisi de Vostra Excellentia e per li altri quali sue Magnificentie havevano havuti per altra via, che larmata fran-zese potria fare qualche novità in queste parte, maxime che si eia pur havuto noticia deli andamenti de alcuni forausciti; rechesero cento fanti per guardare alcuni lochi importanti come è Albenga, non perche sapessino che questi cento fanti fussino sufficienti ad resistere ad quelli de larmata, quando volessino fare male-; ma essendo incerte sue Magnificentie dove se havesse drizare dieta armata li pareva che se potesse guardare li lochi importanti de la Rivera insieme col adiuto de partesani; che quando dieta armata havesse venire ad loffensione del genuese, è da pensare li bisogneria altra provisione che de cento fanti, e quantunche studiano de fare sparmire la spesa ad Vostra Excellentia più che sia possi- - 393 — bile, non dimeno li pare che omnino epsa facia venire li predicti 50 fanti, considerato che in la expeditione depsi non va tal spesa che deba troppo gravare, perche etiam che altro non seguisse e li na-vilii franzesi vadino al camino suo verso Rhodo, se intenderà saltem che Vostra Excellentia sta cum li ochii aperti, ben proveduta, e non po essere accolta alla improvista; e questo tanto più laudano se facia quanto chel è uno giocho de pochi di, perche larmata non è già anche partita, ma pare se deba inviare fra quindeci giorni per li avisi se hano. Per debito mio ne aviso 1’ Excellentia Vostra. Havendomi li predicti magnifici dicto quanto de sopra è scripto, che è stato questa matina, sono sopragioncti quelli del officio de mare; liquali hano facto intendere che mandano tre bergantini molto in freta ad avisare le nave genuese che sono fora, che debano stare avisate et provedute, et guardare bene come vano, perche hano havuto aviso che quelli de larmata franzese hano mal animo e facto consilio de prendere qualche nave genuese se li venera facta occasione. Per questo li predicti magnifici se confirmano più in opinione chel Excellentia Vostra manda li fanti predicti, perche, essendo sopra larmata molti partesani de Fregosi, è da creder che harano anche animo de dare a terra alla improvista se potranno in qualche loco de la rivera. Ad Vostra Excellentia me ricomando. Genuse, 29 Iunii 1499. (Mime souscription). XI. Les difficultés extérieures n’empèchaient pas le raaintien de la tranquillitè intérieure et le bon fonctionne-ment de la police des rues : témoin la répression par la commune d’un charivari adressé au docteur ès lois Francesco Pammoli, le 26 avril 1499 (1). mcccclxxxxviiii die xxvi apriiis. Illustris et excelsus dominus Augustinus Adurnus, ducalis Ge-nuensis gubernator et locumtenens, et magnificum consilium domi- (1) Paris, Archives du ministère des affaires étrangère. Gènes xx (1418-1509). De officio monete, fol. 161. — 394 — norum Antianorum comunis Genue, in undenario consilio congregatum, quorum haec sunt nomina: Ioanna Baptista de Francis Coca-rellus prior, Paulus Baptista Calvus, Raphael Richeme, Nicolaus de Brignali, Marcus de Grimaldis, Simon de Maxi, Joannes Grillus, loannes de Cavo, Ieronimus de Casanova, Dominicus de Marinis, Iulianus Iustinianus, absente Jo. Jacobo de Auria reliquo duodecimo. Scientes quanta injuria et opprobrio superioribus diebus affectus fuerit spectabalis legum doctor D. Francescus Pammoleus, qui viduam uxorem duxerat; cupientesque prava exempla extirpare turpemque licentiam et temeritatem cohibere ut cives a dedecore et molestia uti mulieres viduas impune et libere domum suam ducere possint, Iccirco, hoc senatusconsulto, decreto et lege sanxerunt, statuerunt et decreverunt, quod, de cetero, nemo, in quavis astate, gradu, statu et condicione constitutus, possit aut debeat, die vel nocte, cum stie-pitu, fremitu, sonitu corneo, clangore tubarum, pulsatione seris aut clamoribus et conviciis, vel quovis contumelia, ululatus tumultusque genere, accedere domum alicujus qui viduam uxorem duxisset, sive ipsa nupta ad domum mariti jam ducta vel nondum ducta fuisset, nec aliquid pecuniae ab eo petere aut exigere; sub pena ducatorum a decem usque in quinquaginta, a quolibet contrafaciente exigenda, applicata ex nunc dimidia ipsi marito, altera vero dimidia magnifico domino potestati Genuse, et insuper sub pena duorum tractuum corde in arbitrio et discretione predicti domini potestatis, considerata delicti qualitate. Si autem maritus se redimere ab ea injuria et contumelia coactus fuerit, vel elegerit, vel aliquid largitionis pro illis dimittendis alicui eorum contribuerit, omnes delinquentes ut supra, qui illuc convenissent ac quilibet eorum in solidum, ad ejus monet® restitutionem, tam coram ipso domino potestate quam coram quocumque alio magistratu cogi possit, non amotis tamen predictis poenis quibus ut supradictum est, obnoxii omnino sint ac eas persolvere debeant ut supra. Delegantes et committentes magnifico domino potestati Genu®, presenti et futuris, ut hoc ipsum decretum et legem penitus servare studeant et exequantur ad penam ducatorum quinquaginta, qui a supradicto officio monet® ex salariis cujuscumque potestatis retineantur, quandocumque predicta exequi neglexerint. Mandantes pariter eidem supradicto officio ut ipsam poenam ducatorum quin- — 39S - quaginta de salariis dictorum potestatium in commune Genuse retineant, totiens quotiens in executione presentis legis et decreti negligentes fuerint. Et ne quis, ullo unquam tempore, huj us senatusconsulti ignoratione excusare se possit, jusserunt id per civitatem publice a praecone proclamari et denunciari. Die xxvm aprilis, Nicolaus de Pardis, prasco publicus, rettulit se hodie mane palam per loca publica et consueta urbis proclamasse et publicasse su prascriptum decretum in sermone vulgari, prius tamen sonitu tubicinum multitudine et turba convocata. Raphael Ponsonus cancellarius. XII. L’empereur Maximilien, pendant sa fameuse et stèrile descente en Italie, avait emprunté de l'argent aux banquiers gcnois, en leur laissant en gage de l’argenterie. Ludovic Sforza s’occupe, en avril 1499, et parmi bien d’autres difficultés financières de faire règler cette affaire. Je n’ai pu retrouver les lettres des banquiers Spinola dont Fontana fait mention dans le billet suivant à Ludovic Sforza. Lettre de Fontana à Lucovic Sforza. Illustrissimo et excellentissimo signor, heri dopo hebi veduta la lettera me scrive 1’ Excellentia Vostra e la directiva ad questi Magnifici fratelli, laquale epsa mi ha mandata aperta, me ritrovai con le Magnificentie sue, et presentandoli la lettera sua, li parlai in consonantia perche facessino opera che li argenti de la Cesarea Maestà de liquali 1’Excellentia Vostra scrive fussino mandati ad Milano. Epsi Magnifici hano havuto da se M. Stephano Spinula e questi altri che hano presso de se tali argenti, e parlatoli in la bona forma che meritamente dovevano, essendomeli etiamdio ritrovato presente. Ma perche epsi per 1’ alligata scriveno quanto ve-derà, non ini pare necessario replicarlo con mie lettere per non fastidire Vostra Excellentia. Genuse, 9 aprilis 1499. F. Fontana (1). (1) Milan, ibid. id. - 396 - XIII. Entretemps la popolarità de Ludovic Sforza, jadis si considérable A Gènes, décroissait assez vite. La de saffection conimenfait. Les xcarchands génois de Lyon vantaient la puissance de Louis XII et le bas peuple se laissait effrayer ; Ludovic n’avait plus pour lui que les « homini dei bene ». Lettre de Costabili au duc de Ferrare. Li homini da bene di Genova non potriano essere più disposti al signor duca corno sono; e che a questi giorni essendo montato in arenga in consilio uno ciptadino da bene per preponere che se rechatasse 150 milia ducati per fare l’impresa de Pisa, nel discorso del parlar suo. le achadete laudare el signor duca; e che subito da questo popullazo fu interroto cum sputi e sifelli et altre cose disho-neste, monstrando havere per male che sua Excellentia fosse laudata, subjungendo che epso popullazo è tanto male disposto contra sua predicta Excellentia quanto dire se possa, e questo per havere havuto lettere da alchuni merchadanti de Franza, quali fimo tanto grande quelle cose quanto sia possibile, e chel ge ne sono alchuni pero di pocha condictione che temerariamente hano dicto che voliono ini petrare la podestaria di Milano dal Re di Franza (1). XIV. Le gouverneur Adorno et le gouvernement génois s’inquiétaient beaucoup des armements faits p Louis XII en vue de secourir les chevaliers de Rhodes et qu’ils croyàient dirigés contre eux. D aut part, Adorno refusait, mème dans les circonstances difficiles du moment, de se réconciliei, comme le conseillait Ludovic Sforza, avec Zoan Spinola de Serravalle. Deux lettres sur ces questions méritent d’étre rapportées ici. * Giovanni Adorni à compar Serapto. (2) Compar Serapto, noi siamo in perplexita e dubio che nel levare dell’ armata per Rodes non ne sii facto qualche insulto, se (1) Modène, Archivio di Stato, Carteggio ducale B 13. Lettre (fragment) de Costabili au duc de Ferrare, 2 juillet 1499. (2) Milan, Carteggio generate (Giulio 1499, cartella III), lettre de Joannes Adurnus à « Compar Serapto », 9 juillet 1499. “ 397 — non da tuta 1 armata, da qualche parte, che li forusciti habino adunato insiema cum qualche fanti sotto questo collor, perche a Niza se dice publicamente che saremo insultati. Supplicate la Excellentia del signor nostro per parte mia che le cose di questo governo non le lassi a questo modo, e chel creda chio non parlo soffisticamente ne per arte. El Genoese, e precipue la Ripparia de Ponente, è malcontenta per esser tanto tempo non possono navigare, statoli preso l’altri giorni tanti galeoni; tuto il paese è interdicto, che non segue al dominio ducale de la; le galee non sono pagate; li fanti de le forteze per non esser pagati vedete quel scrive M. Bernardino, li nostri de la piaza corno sapeti. La Sua Excellentia non può audire ne intendere quello chio intendo. E perche vui intendiate, hogi incomenciarimo a dar denari ad alcun fante per mandar ad Albenga; e se ne vorrano offendere, non sarano in tempo ; queste provisioni ne sarano bastante, ma se sapeste lo zanzara che si fa in voler intender tutti: « Che fa el signor duca? non provede, non manda fanti ». Ogni volta le cose nostre vanno diminuendo de reputatione e de favor appresso a se; el se trova sollo in campo ; se havemo da far, ne lassera far a nui, ma sempre havemo ditto che non li havemo richiesto cosa alcuna. Ordini la Sua Celsitudine che li pagamenti ordinarii de li fanti e de le galee vadino a li termini soi e le altre cose qui le domandiamo. Creda sopra di me chel faciamo cum più risguardo cha se havessimo a spenderli nui, e Sua Excellentia non tenga le sue fortezze disfornite, perchè si raccorderà quello che gli lho scripto molte volte. Non havemo in Genoa ne in Genovese un fanto straordinario più de quelli siamo solliti tenere ne la pace de Octaviano, e in Prohenza sono de li fanti tremilia o salti doa, e sopra larmata più de cinque milia persone. Al magnifico Thexaurero (Dio voglia che sia buxardo) li scrivevo anchora un boletino che era meglio spender dece ducati cha decemilia, e forsi non sarano in tempo. Leon Corso provisionato de la guardia è li, dicteli che subito se ne venga. Genuse die 9 Julii 1499. Joannes Adurnus ducalis gubernator. Atti Soc. Lig. St. Patria. Voi. XXIV, lasc. 2.0 26 — 398 — Giovanni Adorni au commissaire Fontana. (i) Magnifico comissario. Quanto vi ha scripto la Excellentia del Signor nostro circal particular de M. Zoan Spintila de Serravalle, cosi del praticcar cum li inimici nostri corno parerli che debiamo attendere a reconciliarsi et accomodarsi a li tempi havemo veduto. Che medesimamente ne ha scripto Serapto, e parendone cosa importante, se siamo contentati più de rispondere in scripto che a bocca. Dicendo prima, che, poi siamo a questo governo, se siamo sempre sforzati togliere pochissime querelle, per non dare fastidio a Sua Celsitudine, extincte molte volte, e molte ne sii stato premuto ne Tho-nore e più che se siamo ingeniati dimenticarsele in tuto e non servarle a tempi commodi, corno si solle, e se qualche querella qualche volta havemo sostenuta, è stato per reputatione del governo e non nostra, e ne è rincresciuto, che in questa de M. Zoanne non ha-biamo pottuto far il medesimo, cioè de demonstratione exteriore e familiarità a 1’ usato corno nel animo nostro se siamo risolti non nocerlo, se potessimo, non sparlarne, e pertutto ovi è accaduto far intendere 1’ intentione nostra esser talle che se cum una mane li potessimo togliere il suo, cioè ne honor ne robba, noi fariamo; e che se fusse a bisogno e ne richiedesse, non li lassariamo mancar; e quello dicevamo colla lingua esser affirmato col core; e sapimo li è stato facto intendere e per zente de casa sua e de soi, e non già per altra, cha per viver da christiani et esser de la casa che é, perche verso nuy a usato ogni grande ingratitudine, obmettendo tuto il resto, e che de le persone qual si amano impossibille è facilmente credere male, ma che mai se sii voluto risolvere ad veruna dellucidatione, e creda la sua Excellentia che se fusse stato in possanza nostra per fino a qui, salvo sforzatamenti par le altre parte antedicte, de esser corno già siam stati nel publice, lhariamo (i) Milan, Carteggio generale, lettres des frères Adorni à Francesco Fontana, Gènes, 13 juillet 1499. Au bas de la lettre la chancellerie milanaise a mis la mention suivante: « Fiat exemplum mittendum corniti Gayacie ». — 399 — facto : extunch 1’ imputatione ha dato a le cose nostre sii usque in finem orbis, e molti de soi, poi molte dellucidationi, habino voluto usar termini de monstrar de credersi l’excesso perpetuato per lo sangue nostro fermamente più che prima, et anche non sono molti giorni ma che le legierezze de tuti li discendenti de M. Baptista Ricaldino o de la più parte sono tanto cognosciute che non hanno più credito, corno meritano. Hora occorrendo li suspecti e guerre che pagliano in facto e nui dovessimo reconciliarsi cum M. Zoanne, alqual mai, corno havemo dicto, havimo causato alcuna suspectione contra de lui e la sua Celsitudine, poi el caso de la dillucidatione ne può esser testimonio se in forma alcuna l’havemo leso ne ponctato: saressimo tenuti homini de bastone, timidi e poco mesurati, che sono le ultime cose volessimo fusseno intese da nui, perche oltra il tracollo nostro saria anche al governo; vero è che havemo examinato poi li suspecti quel potesse far M. Zoanne e 1’ havemo ristrecto in una solla cosa, quando volesse esser traditor al signor suo e dar Serravalle, el quale non negamo darla contrapasso al stato de quella et a nui qua, per quanto importasse Serravaie, ma veruno altro mal effecto può seguir, piacendo a Dio, perche verun de li simili ne amici per lui manchino de l’officio suo, e qua, de alcuni de casa sua in fora, chi per debito, chi per cerimonia, due persone altre non ne hano parlato; ma el dar de Serravalle è tanto manifesto tradimento e periculo a lui, non essendo morta la Sua Excellentia ma viva e galiarda, che la rason non voi cusi, benche de la lengiereza sua pocco si ripo-samo ; ma occurrendo pur questo pensiero, chi non è senza rasone può assicurarsene quella o per via de quelli de casa sua o per via di se stesso, cum prometterli che passati questi tempi se termine-rano le cose sue perche nui non vorrimo , salvo questo pariva honesto a la Sua Excellentia chi sapimo ne ama tanto corno lui e li altri de casa sua, intendimo doverne parlare, a li quali medesimamente faremo intendere la nostra bona dispositione. Ma a presupponersi che l’animo nostro fusse resetato più de presenti, non sei tirarissimo al costato in queste occurrentie perche non si riposarissimo che in XV zorni se adaptassino li stomachi, ne se potria ripetere el ben facto dal malfacto, ne manco — 400 — tirarli alcuno adaptamento honesto, perche siamo in altro fieri e havimo mesurato quel può far dentro e quel può far fuori; dentro, tuti li malli, dar quel può dar de fora et ingarbugliar quel de dentro; fora altro cha quel già dicto. Dove la Sua Excellentia ha a considerare e regularia in ogni modo che ne sii cauta. Genuse, die 13 Julii 1499. Tamquam fratres Augustinus et Joannes Adurnus ducales. XV. Le mois d’aoùt 1499 marqua le terme de la puissance de Ludovic Sforza. La république de Gènes ne fut pas inquiétée directement par l’armée fran^aise, mais elle ne resta pas cependant étrangère à la guerre. Ludovic Sforza lui demanda des renforts et en attendit sa dernière chance de salut. Elle dut mettre beau-coup d’habileté dans ses prómesses, ses tergiversations et son refus final, pour éviter de se compro-mettre aux yeux de Louis XII. Il y eut pendant ce mois suprème un échange constant de lettres entre Ludovic Sforza, les Adorni, Fontana et quelques autres personages génois. Ces lettres forment une correspondance fort iutéressante et qui mérite d’ètre reproduite presque intégralement (1). Ludovic Sforza à Jo. Serapto. Gayate primo augusti 1499. M. Jo. Serapto, como diligenter che lhebi ho lecto qua ad let-teram l’extracto de la lettera m’ haveti scripto, quale li cancellieri nostri non ne potrino heri referire per le occupationi hebbero circa la partita nostra di Milano; restamo del scrivere vestro satisfactissimi, e quanto a li homini darme, non potessimo havere sentito maggiore piacere come che stiate ben ad ordine conio scrivete e perche sapiati quello che è la mente nostra circa le altre quale offriste de fare fino a deci che siano boni, ve diremo che siamo molti contenti che le faciati, essendo ben certi che li farete boni, e nuy li pagaremo. (1) Toutes ces lettres sont tirées du Carteggio generale des archives de Milan, ou elles sont conservées à leur dates. — 401 — Quanto ali fanti, che havemo scripto per altre a D. Francesco, quello saria lo desiderio nostro per golder la spesa depsi, secondo se farano, che sono per mandarli de qua per che quando la persona vestra venga, se trovarano a loco che li siano a tuti imprompto, e non solo quelli saranno facti a Genua, ma tutto il resto de la fantaria italiana ; sopra la quale havemo designato consti-tuirla capitano in questa impresa; el che siamo per fare, sapendo che le havemo dato optimo capo, perche cognosca l’amor ve por-tamo. Ludovic Sforza à F. Fontana. Gayate primo agosto 1499. Aciò habbiati noticia de tuto quello che ne accade tractare cum quelli magnifici fratelli, vi mandamo la inclusa directiva a Don ' Giovanni aperta acio che la vedati, e poi serrate e la presentali. Fontana à Ludovic Sforza. Hogi si è facto el consiglio per el facto de li mille fanti, nel quale ho facta resolutione de dare lo aiuto ad V. E. recerchato, ne alcuno ha contradicto, ma de bona voglia tuti li sono conde-scesi. Questi magnifici fratelli hano molto bene dextrate le cose e per l’opera sua tiratoli [......] M. Luca Spinula et altri de la casa no sono manchati d [.....] (1) officio. El medesimo ha facto M. Joan Baptista Grimaldo, alquale io già haveva parlato come anche ad M. Luca et M. Joanne Francesco Spinula et alcuni altri, de participatione pero de li predicti magnifici, per modo che la cosa è passata e con contenteza et cum bona volunta de ogniuno. Delche aviso 1’ Excellentia Vostra, aciò intenda che questi cittadini non sono mancho disposti per la defensione depsa che li altri suoi subditi de Lombardia. Etc. Genuse, 2 augusti 1499. (1) Il ya ici des lacunes provenant de déchirures dans le papier. Il faut suppléer tiratoli da parte sua, et manchati da loro officio. — 402 — Fontana à Ludovic Sforza. 2. Questi magnifici fratelli hanno visto quello scrive Vostra Excellentia de la diligentia se deve fare per retenere San Petro in Vincola et el duca de Valenza, fiolo del Papa, passando per queste parte per andare ad Roma. Et sue Magnificentie hano dicto che farano omne diligentia possibile et advertiva di quanto sera necessario, ma che credano non passarano per terra, perche il camino è troppo longo e cattivo, havendo andare più de 180 miglia, e che la via sua più presto sera per mare, andando da longo da queste parte più che potrano ; tamen che non mancharano del debito suo; et ne dira qualche cosa a M. Saragosa, acio che parendoli potere fare qualche cosa con le galee ne facia prova. Del Reverendissimo & Illustrissimo Monsignor Vicecancellero non dirò altro, perche credo che inante la receptione de questa deba essere con la Excellentia Vostra. A Vostra Excellentia me ricomando. Genuse, 2 augusti 1499. Le méme au méme. 3. Ho per altre avisato ad Vostra Excellentia che li patroni de le nave se doleno che non li è data licentia de andare fora per sue mercantie cum le nave et che non se possono tenere più cum parole. Questa matina sono venuti al mio logiamento, et insieme cum epsi li commerchiarii, lamentandose tuti de li damni patiscono per la dimora e retentione de le nave, cum farmi intendere che in questo concorre el damno de tuta la cita perche su diete mercantie hanno a fare più de 80 citadini, e che erano necessita [.....] re in consiglio, pregandomi chio volesse essere con questi magnifici fratelli, acio fussino licentiate le sue nave. Li risposi cum bone parole che Vostra Excellentia reputava questi citadini fioli, e per lamore chepsa li porta, si persuade dovessino patire maiore sinistro ; maxime che per el bene e deffensione sua non era mai manchata, ma sempre — 403 T- trovata più calda; e che questa retentione de nave era causata per el benefìcio de 1’Excellentia Vostra, che è el medesimo de loro citadini; che volessero havere uno pocho de pacientia, finche epsa responda, perche se intenderà che resolutione hara facta o de armare o non. Laquale resposta se haria dentro de duoi dì. Repli-corono che lo interesse suo e troppo excessivo e che le nave sono le possessione et intrate sue, et restarano disfacti dovendo stare troppo ad questo modo. Siche, Signor mio, bisogna che 1’ Excellentia Vostra se risolva et avisa subito de la volunta sua, perche costoro cridano et non se potrano tenere più e per la cita se murmura. A Vostra Excellentia me ricomando. Genuae, 2 Augusti 1499. Le mème au méme. 4. (1) Die 3 Augusti. « Avisi havuti per la via de Asti. Prima la Maestà Regia ha facto deliberatione de mandare tute le sue fantarie et ducento de quelli de la sua corte, le più famosi, ne le arme, et poi cento de quelli de la sua guardia, e simile la regina manda cento homini de la corte, et poi ha cresciuto de la sua guardia, che serano il numero con questi 500. (( Et poi manda M. de Ligni cum 8000 Alamani e 4000 Normandi, e che serano in tuto 12000 fanti questi; poi manda la sua artelaria ad la quale serano 1500 cavalli ad tirarla. E M.r de Foys e rivato in Asti zobia. E tute queste provisioni fano in Asti per tutta quella septimana che vene. La provisione per lo campo è facta de tuto ciò che bisogna, prima de 400 sachi de grano et di e poi de quatro milia rubi de carne e de cento carra de vino et di e per li cavalli dodici milia sachi de biada. Altro non glie senon che hano mandato el trombetta alla Rocha de Arazo ad dire che se vogliano rendere, senon chel campo gli andara e che poi li mandarano tuti a filo de spada ». (1) Dans cette lettre Fontana se borne a communiquer divers avvisi. - 404 — Extractum. « Illustrissime avuncule, in queste nostre parte de novo non è, salvo che agiongino assai gente d’arme franzesi e cusi alamanni, e hogi ne aspectano a Isola in circa 300 cavalli et al presente comenciano a logiare sopra lo territorio marchionale, et se dice che fra quattro giorni al più longo se cavalcara, da qual parte non se sa. Heri li nostri presero Spigno e l'hano brusato la più parte. Alla Signoria Vostra m’aricomando. Asti die 3 augusti. Ludovic Sforza a Fontana. 2. Novara 3 Augusti 1499. Messer Francesco, havemo inteso cum grandissimo piacere che M. Saragossa habia licentia dal serenissimo Re Federico de andare a danni de Francesi, e pur piace che epso habia disegno de far qualche bono effecto in Provenza ; e per quanto specta a la volunta nostra et a le galee del nostro capitano, siamo molto contenti se ne vaglia, et che se concede a tuti li navilii genuesi che dove possino dannifìcare francesi, lo farano a la galiarda e senza respecto, e cosi direte a quelli magnifici che li diano licentia. Alle altre lettere vestre responderemo per l’altra cavalchata. Fontana a Ludovic Sforza. 5. Exemplum die 4 Augusti. « Francesi passano pur, ma, come per altre ho scripto, non vedo che fin alli 20 possano uscire in campagna per fare cosa relevata, per non essere anchora al gran numero, strachi e senza artelaria. Ma fra sto mezo temporezerano in tore qualchi casteluzi in quelle lanche. Existimo ben che se fra sto mezo lo illustrissimo Signor Duca non havera Alamani, che le cose de Sua Excellentia — 405 - debano procedere , cum gran disfavore, che havere solo le frontere forte e non potere resistere in campagna non bastera. Uno de li nostri gran amico di Vostra Signoria, ha depinto a M. de Obigni che è necessario, ad voler havere honore de la impresa, fare grande consideratione sopra ogni cosa. : et prima pensare de non intrare in Alexandria, in Mortara, in Valenza, nel Bosco, nel Castelazo, in Tortona, salvo cum grandissimi travagli e grandissime occisione; ne in Novara se trovara più nesuno conte Tor-nielo ne Caza che li conducha cum 40 cavalli; ne ha ad fare fundamento su li populi, pero che li trattamenti quali hano facto allandata de Napoli li ha tuti inimicati. Doppo ha de pensare chel trovara in campagna 1300 homini d’arme del signor Duca; li altri 700 sono designati contra Venetia; ultra li 1300 li sera 500 homini d’arme Aragonesi e 200 de Fiorentini, quali fornissero el numero de 2000; se li trovara 12000 alamani et altritanti fanti paesani e più artelaria che non è la sua. Epso Monsignor de Obigni restò molto sopra de lui e stupefacto, dicendo che ad la Maestà del Re era dicto che li populi aspectavano la loro venuta più che li Judei el Mesia: ma che questa era un altra vivanda. Doppo fo ad parlamento longo cum M. Jo. Jacomo, quale li persuadeva el contrario. Questa è stata opera del servitore de Vostra Signoria per farli temporezare qualche pocho, acio chel signor Duca habii tempo da mettersi ad ordine quantunche para che 1’ Excellentia Sua proceda anchora lento passu. Ma a questa parte non accade altra resposta. « Non existimo che Venetiani debano cosi rompere come se canta, et cusi demonstra 1’effecto; però che in li capituli de la lega se colitene che Franzesi debano prima rompere, doppo immediate romperano loro. Franzesi hano rotto già circa uno mese, quando fecero quella correria. Et epsi proprii dicono respondendo a coloro che li improperano da essersi mossi legermente che erano constretti ad cusi fare per questo effecto. Dopo hano interpellato Venetiani a volere rompere, e pur fino a quest’ hora non hanno rotto. Noi siamo stati costretti ad dare certi alozamenti a Franzesi, pero che li volevano prendere per forza, e già comandato che — 406 ~ andassero ad dare la bataglia a San Damiano ; furono scripte cose de mala sorte al Re in graveza del Signor Constantino e cosi la Maestà Sua ha scripto al Signor Constantino lettere admirative cum parole molto pungente. Mo recerchano victualie e vorebeno limitarli el pretio come li piace, e questi nostri li voleno stravendere. A questi termini siano. Altro non se ha de novo, ma havendosi a ritrovare qui mercore M. Zanino d’Anono, li sera doppo gran campo de scrivere » (i). Ludovic Sforza aux fréres Adorni. Gubernatori Genuae et Domino Johanni eius fratri. Siemo certi che quando lo Reverendissimo Signor vicecancelliere nostro fratello fusse venuto a smontare li, non saresti manchati de honorario grandamente et acarezarlo, perche la fede vostra e naturale dispositione, quale havemo conosciuto e cognoscimo havere a nuy, e a tutta la casa nostra, fa che ne promettiamo che non haveresti manchato insieme cum tutti questi cittadini de far honore al predicto excellentissimo Signore. Ve ne ringraziamo assay, cum certificarvi che non havemo manco caro la bona vo-lunta vos:ra et de quelli cittadini, et haveti essere certo che non stimamo altramente. Novara 4 augusti 1499. Fontana a Ludovic Sforza. 6. Dopo la resposta me ha facta Vostra Excellentia, che, havendo inteso li grandi benefici commemorati da questi magnifici fratelli nelle lettere sue, facendose armata, ha deliberato armare sei nave per ogni modo, le quale se possono tenere per apostate. Hogi (1) Cette lettre est la reprcduction pure et simple de la main de Fontana d’une lettre à lui écrite d’Asti, et dont il supprime malheureusement la date et la signature. — 407 — siamo stati insieme li predicti magnifici e me, essendoseli anche ritrovati M. Aloysio Rapollo et M. Saragosa, el quale summa-mente laude el fare dieta armata perche li patroni de le nave fano la maiore instantia del mondo che siano licentiati de andare fora con le sue nave ne se possono tenere più con parole, et essendoli affermato che serano pagati et bene e chè bisogna armare, noi credano, perche non se li da denari et cridano, et non solamente li patroni, ma molti altri citadini, concernendose in queste nave l’interesse de più de 80. Havemo ricerchato dicti patroni del pretio e chi domanda 900 ducati, e chi mille, con 130 homini per nave; ma dicti magnifici dicono che li farano restare contenti de 1000 ducati d’oro per nave el mese con 200 homini. Quando se volesse pagare solum la dimora de le nave in porto, li andarla de spesa da 200 fin in 250 ducati per nave el mese. Cum li patroni non ne starano contenti, e quando havessimo dimorato octo di, non voriano stare più in dimora, perche ne supportariano troppo damno, e pero bisogna che 1’ E. V. deliberi presto quello vole fare e manda denari per asoldare diete nave, et al mancho per doi mesi; che altramente non essendoli denari, non sera possibile retenere costoro, e tutta la città cridara. Sono, come ha inteso Vostra Excellentia, due nave obligate a la Serenissima Regina vecchia de Napoli, le quale voriano uscire per andare ad levare la Maestà Sua e condurla in Hispania, e dicti Magnifici le hano tenute in dimora per non fare cridare li altri; li quali come vedano che diete due usciscano, cridarano fino al celo, e che li è facto injuria, non lassandoli uscire anche loro, el perche etiam dio M. Saragosa dice havere commissione dal Ser.m0 Re Federico, che, come epso fosse giunto qua, dovesse fare inviare le nave, overo non inviandose, ritornare lui con le galee, si è facta questa resolutione de expectare anche quattro di. In quale tempo, se Vostra Excellentia mandara denari, bene quidem; quando che non, che li predicti magnifici licentiarano diete due nave, e li sera gran difficultà ad tener le altre, et me hano pregato chio expedisca la presente con la staffetta, e cosi ho facto. Pertanto 1’ Excellentia Vostra se digna subito respondere, e volendo fare — 408 — armata, mandare denari come ho dicto che altramente questi patroni non se possono tenere. A Vostra Excellentia me ricom-mando. Genuas, 5 Augusti 1499. Le mème au méme. 7. Havuto le lettere de Vostra Excellentia de 29 et ultimo del passato, cum li summarii de li avisi de Venetia, Franza et Ala-mania, ne ho facto partecipatione ad questi magnifici secundo el consueto; liquali, prendendo qualche dispiacere di quelli de Venetia e Franza per el cativo animo monstrano Franzesi e Venetiani verso 1’ Excellentia Vostra et stato suo, se sono tanto più alegrati de quelli de Alatnania, cognoscendo che le cose de la Cesarea Maestà siano per bene terminare cum Sviceri per via de assetto e cum pace; la qual cosa existimano tanto ad proposito de Vostra Excellentia quanto alcuna altra in questi tempi, e pregano Nostro Signor Dio che presto facia reuscire 1’ effecto, come sperano reuscira, cum la prudentia de Vostra Excellentia. Cossi havendoli participati cum molti cittadini amici, medesimamente ne hano preso grandissimo piacere, e pareli che non se habia senon ad bene sperare. E 1’ Excellentia Vostra hara vittoria et honore contra li inimici suoi, et qua ogni, uno ne sta de bona voglia. Del parlare fatto per Vostra Excellentia al oratore veneto, acio lo riferisca alla Sua Signoria, li predicti magnifici 1’ hano judicato prudentissimo, parendoli che 1’ Excellentia Vostra se justifica molto bene, e che Venetiani debano considerarli et provedere melio ad le cose sue, non volendole precipitare, e cosi Sue Magnificentie hano ringratiato de la partecipazione fattali. Circa le cinquanta springarde de ferro, perche 1’ Excellentia Vostra me scrive pur de novo eh’ io facia instantia al Magnifico governatore per la restitutione, non so se epsa habii inteso le altre mie lettere, et pero me pare replicarli che havendo io parlato de novo al predicto governatore et M. Zoanne per diete cinquanta springarde, me hano resposto che non li pare de mo- — 409 — verle de queste parte per lo respecti chio ho scripto, cioè perche Savonesi et altri de la rivera, quali continue stano cum paura, reputariano fussimo abandonati; el medesimo faria el marchese del Finaro quale ha parecchi pezi depsa artelaria che dovendoseli levare, se desperaria, perche li pare che ognivolta li nimici debano fare invasione adosso a lui, et se inante dubitava, tanto più adesso per el caso de Spigno ; subjungendo apresso che hora che Spigno è ad mane de inimici, potriano in uno dì venire fin ad Savona, che non li seria contrasto ; et non si è in tuto securo che in queste parte non sia travaglio, come per el post-scripta incluso de M. Lucio, 1’Excellentia Vostra vederà; et pero non è bene removere dieta artelaria; tamen che se pur Vostra Excellentia delibera de volerla, obedirano, facendo dare quella che è ad Savona e loci vicini ; e cosi se potrà scrivere al predicto marchese che restituisca quella parte ha presso de se. Vostra Excellentia po mo advisare la mente sua; ad la quale significo che non saria de removere diete springarde da li loci dove sono, perche potriano accadere de molti sinistri, inanze che potesse essere proveduto del lato nostro, et presertim havendo San Pietro in Vincula Savona benivola. Alla parte de quello ha scripto el collaterale de Savona, che Paulo Baptista Fregoso se conduria cum 1’Excellentia Vostra, li predicti Magnifici dicono che credono che M. Baptista de Campo Fregoso ha capituli cum Vostra Excellentia che la non possa condure alcuno altro de casa sua, ma che epsa potria tenere in pra-ticha Paulo Baptista, e cum speranza acio non havesse pensare de altro contra 1’ Excellentia Vostra, tamen chepsa è prudentissima et se remettano ad lev, allaquale me riccomando. Genuas, die 5 augusti 1499. Le méme au méme. 8. Li fanti comenciano giongere, perche da tre dì in qua ne sono venuti circa 40 ; e questa sera, scrivendo la presente, el magnifico M. Zoanne me ha mandato ad dire che sono pronti cento de Cor- — 410 — sica, et el cancelliere de la piaza è andato fora per farne venire; molti capi sono similiter andati in diversi lochi per medesimo effecto ; le galee sono partite [per la] Corsica e ne levarono una bona summa, per modo che [a me]zo questo mese, la maiore parte de li fanti sera facta, et boni ; ne fin qui sono anchora spesi denari de Vostra Excellentia in darno, perche ad quelli 40 è stato solum dato uno 0 duoi grossoni per farse le spese. Ma, perche dicti fanti potriano giongere qua tuti ad uno tracto, questi magnifici fratelli dicono che Vostra Excellentia voglia subito mandare li denari per fare li altri 600, acio che, quando serano qua, non habiano stare in dimora o ritornarsene via, maxime che loro magnifici hano già exbursato più de 1300 ducati per potere condure in qua li fanti. Li mille de la communità serano cosi presti come quelli de Vostra Excellentia, perche quantunche per la communità non sia anchora facto provisione ad li denari, tamen loio magnifici li harano provisto e pero se expectano li denari de la Excellentia Vostra per li 600. Preterea el magnifico Messer Zoanne me dice che li fanti, cioè tutta la summa de li 2000, se sarano, ma perche Firentini dano denari, et potria essere che de Toscana non se ne haria cosi facilmente, e forse accaderia qualche bisogno che più presto V osti a Excellentia vorrà havere dicti fanti, Sua Magnificentia me ha ricei-cato che voria sapere se 1’ Excellentia Vostra se contentarla se ne facessero 400 aut 500 qua in Genuese, dicendo che li faria ad suo modo et che potriano comparere, et pero Vostra Excellentia voglia subito avvisarme de la voluntà sua. Me dice anchora Messer Joanne che, venendo in Lombardia, voria condure li provisionati de la piaza, perche sa come se ne potrà valere, ma che voluntera saperia se 1’ Excellentia Vostra hara modo de havere 300 fanti de la per mandarli alla guardia de la piaza, et magnifico Messer governatore e lui, li pagariano insieme cum li 300 altri, quali vogliono fare per tenere qua, tanto che M. Zoane stara absente de Genua. Io ho resposto che ne avisaro 1’ Excellentia Vostra e cusi facio; la quale prego si digna subito respondere, cosi ad questa parte, come ad le altre predicte de li fanti e de li denari. - 4ii — Apresso scrivendo 1 Excellentia Vostra che la voria chel predicto Messer Zoanne mandasse li fanti in Lombardia de volta in volta, come se fara qua, per potersene valere, Sua Magnificentia ha dicto che li mandara et che ad mezo questo mese se persuade serano facti tuti, e la più parte come è dicto, et che venera anche ley al dicto tei mine cum li fanti, e più presto cum quello numero sera facto, secundo ad Vostra Excellentia piacerà. Alla quale me ricco-mando. Genuae, die 5 augusti 1499. Le mème au méme. 9. Scripsi per una altra ad Vostra Excellentia che M. Saragosa haveva animo de fare uno assalto in Provenza, e mettere a sacho alcune terre, pregandola si piacesse fare intendere la intentione sua, perche non pareva ad questi magnifici fratelli lassarlo fare senza saputa de Vostra Excellentia et epsa non ha resposto. M. Saragosa me dice ogni dì se io ho havuto risposta, e pero bisogna che 1’Excellentia Vostra responda perche se ne sta in exspectatione. El magnifico Gubernatore et M. Zoanne me fano intender che si è intrato in la quarta paga cum li provisionati de la piaza, ne se li fa alcuna provisione; che, dovendoli condure in Lombardia, non voranno levarse, se non serano prima pagati; pregandome cum instantia ad scriverne ad 1’ Excellentia Vostra. Epsa fa quello ha da fare ; ma veramente li predicti magnifici non sono bene contenti et dicono non havere modo de potere pagare li provisionati; siche Vostra Excellentia li proveda come li pare. Mando a Vostra Excellentia 1’ extracto de alcuni avisi havuti da Asti dal amico del quale altrevolte ho scripto, acio intenda come passano le cose. Alla quale me riccomando. Genuae, 5 augusti 1499. La mème au méme. io. Per la lettera ha scripta Vostra Excellentia al magnifico Governatore chel voglii restituire a M. Zoanne Doria la parte de li de- — 412 — nari che li furono pagati per la securta, si come el magnifico M. Zoanne ha restituita la parte gli tocha, epso magnifico governatore responde ad Vosrra Excellentia quanto vedera nella sua, ma mi pare anche farli intendere quello che ad boca sua Magnificentia me ha dicto che lo strinxe la securta ad pagare tali denari per non lassare exemplo ad altri de tanto presumire e desobedire, perche de tanti che forono confinati in beneficio del stato, alcuno non rupe le confine se non desobediente, excepto dicto M. Zoanne; ne se trovara chi in dieci anni chepso, e ad questo governo mai facesse altra executione, e che se hora facesse decta restitutione, parerà li facesse per timore, et che sara da expectare finche le cose lusserò affollate, perche, deportandose bene M. Zoanne, sempre P Excellentia Vostra potrà deliberare come li parera. Alla quale me riccomando. Genuse, die 5 augusti 1499. Ludovic Sforza a Fontana. 3. Domino Francesco Fontana. Viglevani 5 augusti 1499* Circa li pagamenti che se hano fare ali Astesani, veduto quello che è dicto per quelli magnifici fratelli, non diremo altio sopra questo, non essendo rasonevole che patiscano in quello che hanno facto a contemplatione nostra. Quanto a l’instancia che fano li padroni delle nave, ve habiamo per altre certificato che volemo armare et attendemo la risposta sopra la spesa che la montara particularmente. Havemo cum gran piacere inteso che nel consilio facto enea la petizione nostra de li mille fanti, quelli nostri cittadini se siano risolti de doverne compiacere; la quale cosa, licet non sia stata aliena da la expectatione nostra, per 1’affectione e fede che sempre ne hano dimonstrato, tamen ne è stata de grandissima contenteza, 1’ officio vestro sara de ringraziare quelli magnifici, de 1’ opera de li quali sapemo questa cosa esser passata bene, accedendoli lo ad-viso de li amici de casa Spinula, et in specie de M. Luca, M. Jo - 413 — Francesco et altri et anchora M. Jo. Baptista Grimaldo; alli quali ne fareti quello ringraciamento che parira al magnifico Governatore e M. Zoanne, usandoli quella forma de parole che da loro sara judicato conveniente; ad essi anchora se li parira che ringratiati li Anciani et altri offici, lo farete. Vuy mo sollicitareti quelli magnifici a fare più presto sia possibile questi fanti, perche per la vara nostra saremo apparechiati a mandare li denari per supplire al numero de mulli. Ludovic Sforza a F. Fontana. 4. Viglevani 5 augusti 1499. Sapemo che, in le occorrentie de simili tempi, li sono che cercano cum parole farsi più galiardi de quello che sono, et de mettere in disfavore le cose di altri, e benche sia costume nostro attendere a facti, e de le cose nostre non excedere la verità e lassare che quelle de altri se manifestano da se stesso ; nondimeno perche ne pare che la condicione de tempi e de li homini ricerchi che, per contra a la jactancia de altri, se facia intendere la verità, vuy havereti a fare intendere a quelli magnifici e cittadini nostri che le cose francese se fano molto grande e galiarde contra nuy, ma che in effecto non sono tante, perche, quanto a le lanze, havemo ancora nuy per bona via che non passerano mille, e nuy havemo da 1500 homini d’arme e 1300 cavalli legeri. De fanti se dice che Franzesi hanno facto venire 5000 Guasconi et nuy havemo de certo che non passino 2500, per chi li ha veduti, et hano lo corpo de coraza de nanfe e de dreto vestiti alla divisa del Re di Franza. Noy havemo fin questa hora facto da tre 0 quatro mila fanti italiani, e circa mille tedeschi, e la Cesarea Maestà ne manda de presente mille e tuttavia attenderà a mandarne de li altri in grandissimo numero; e già siamo securi che noi havremo Tedeschi, e Francesi non ne possono havere ; che, come havete veduto per li summarii de le lettere di M. Vesconte, Suizeri non potriano esser melio dispositi verso di noy e de voler la pace col mezo vostro. Atti Soc. Lig. St. Patria. Voi. XXIV, fase. 2.0 27 — 4M - Appresso, chi non vede non po ben judicare de quale sorte siano le fortificazioni nostre verso Francesi; che nuy medesimi, hora che le havemo vedute, ne maravigliamo : tanto sono fortezze belle; et oltrache per la magiore parte siano fornite e le altre in forteza, non si perde tempo a la perfectione loro; e chi la vede e ha judicio, non se po satiare de laudarle cosi meritano. Nui, per il consueto nostro, non premostramo l’ordinario in fare facende, ma, sopra le altre cose, tute le hore attendemo a la provisione de la guerra non guardando a spese ne a cosa alcuna; chel volemo faciate intendere a quelli magnifici et a li cittadini nostri perche sapiano che non dormiamo, come la rasone li deve persuadere havendo facto per altri quello si scia, che se Venetiani, hora sono per demonstrarsi contra nuy, di che poco li stilliamo che hano bisogno de adiuto ; niuna cosa li move se non che crepano li habiamo facto lassarli le cose de Pisa, quale havevano misso a cuncto suo, e non bisogna dire che nuy li habiamo facto venire el Turco alle spalle, che essendo christianc sapemo quello ne specta, havendo ben mandato uno nostro al Turco, veduto li andamenti de Venetiani cum Franzesi, pregandoli a farli intendere che 1 haveiia molesto facessino contra nuy, e questo non poteva ancora essere a mezo camino quando il Turco rupe a Venetiani. Nondimeno non ne dispiace chel se manda a dire a Venitiani quello che ricordano quelli magnifici; ne nuy siamo mancati per bone vie de farli intendere el bono animo nostro quando se vogliano bene intendere cum nuy, ma pare che stiano sopra 1’ ambitione loro consuete. Ludovic Sforza à F. Fontana. 5. Viglevano 5 augusti 1499. Domino Francesco Fontana. Messer Francesco, A noy rincresce che quelli magnifici fratelli habino preso dispiacere de quello che ricercamo sopra Zorzo Rizo, perchè in niuna actione nostra voressimo fare cosa che li fusse molesta; ma acio sapiano che legermente non se siamo mossi in questo, li haveti fare intendere chel haverlo facto detenere non - 415 - è stato principalmente per el mal officio facto li a Genua, ma per altre cose più importante, et cum deliberatione de non relaxarlo; e pei questo crederiamo che si potessino assicurare de dire liberamente quello ha praticato e nondimeno non volemo se non quello sia in piacere suo. Ben li haveti a certificare che del honore suo tenemo e siamo per tenere sempre bon cuncto como del nostro proprio. Fontana à Ludovic Sforza, ii à 15. Genuae 7 augusti 1499. Havendo questi magnifici fratelli havuto li avisi deli quali ho preso extracto, li mando a Vostra Excellentia in questa inclusi, pregandola ne facia tenere bono conto perche se hano da bono locho. Circa li fanti, ultra le galee che sono mandate in Corsica per levarli, se ne manda un altra de le regie per medesimo effecto, et el magnifico Messer Ioanne m’ha dicto che passata la combustione de la luna incomenciara dare denari ad quelli se ritrovano qua, et acio non se consuma la paga senza servicio et fructo, li drizara ad Alexandria, come anche mandara li altri secundo lo expedirà cioè et in bono numero escavezati; ma chel haria bene ad piacere che 1’Excellentia Vostra ordinasse che li fanti se mandarano de qua staesseno uniti in Alexandria, et accadendo avere bisogno de fanti in altri lochi, mandarli de quelli se ritrovano adesso in Alexandria, et, in scontro depsi se levarano, tenerli de questi de qua, perchè non li ha anche provisto de capi et voria pur metterli in bono ordine. A Vostra Excellentia me ricomando. Genuae 7 augusti 1499. Questi magnifici fratelli me hanno dicto che si è per expedire adesso uno correro de mercadanti qua per andare in Inghilterra, el quale è homo fidato, e sera bene chio ne daghi aviso a 1’Excellentia Vostra, acio che esso si volesse scrivere in quelle pjirti al oratore suo o ad Re, possa scrivere; con affermarme che accadendo più una cosa che un’altra ad Excellentia Vostra da scrivere etiam importante, liberamente pò mandare le lettere sue che harano bono — 4-i6 — recapito, e non ha prenderne dubitatione ; ma die pregano bene che presto le scriva e manda le lettere sue se alcune ne vole mandare, perche farano suprasedere dicto correro finche 1’ Excellentia Vostra responda, ma non voriano se indusiasse troppo, acio che li merca-danti non habiano causa de dolerse: pertanto prego Vostra Celsitudine che, piacendoli scrivere alcuna cosa per dicto correro, voglia subito mandare le lettere; che per questo ho spazata la cavalcata ad posta. Genute, 7 augusti 1499. Havendomi scripto 1’ Excellentia Vostra che la voria intendere 1’obligo ha questa cita cum epsa, circa l’aiuto de dare le quatro nave e de li fanti, ho facto prendere copia del capitulo che gli mando qua incluso ficto fin al tempo del Cardinale Fregoso, ne d’altri si ne trova sopra questa materia. ' A Vostra Excellentia me ricomando. Genuse, 7 augusti 1499. Havendomi Vostra Excellentia scripto che, come si intendesse che l’armata Franzese fosse passata, che li magnifici Messer Jo-anne Aloysio e Messer Zoanne volesse venire in Lombardia con quello più numero de fanti potevano condure et essendo el predicto Messer Joanne Aloysio sempre stato absente, come è anchora, mandai uno mio cancelero a M. Polo dal Fiesco, che era anche luy in villa (al quale Sua Magnificentia mi ha dicto deba comunicare omne cosa in absentia sua), ad dirli chel dovesse significare al predicto Messer Joanne Aloysio quanto Vostra Excellentia scriverà, perche se mettesse a ordine. Questa matina, parlando col predicto M. Polo, pur de questa cosa me ha dicto che Messer Joanne Aloysio è indisposto de la persona, e chel non ha cavalli de po-terse mettere ad ordine; et quando bene fosse in ordine, venendo «1 magnifico M. Zoanne in Lombardia, li pare che per omne stato potesse accadere, chel predicto M. Joanne Aloysio stia meglio qua che in Lombardia; el che mi è parso significare ad Vostra Excellentia, perche la intenda chel predicto Messer Joanne Aluysio pare non sia per venire. Et forse saria se non bene et ad proposito chel — 417 — restasse per potere attendere alle cose del governo insieme col magnifico governatore, maxime che se ha aviso che San Pietro in Vincala è a Cherio con Octaviano Fregoso, e potriano fare qualche designo contra queste cose e maxime Savona. Genuae 7 augusti 1499. L’amico me ha dicto, sotto grandissimo secreto, chel Re di Franza li ha scripto per le ultime lettere essere resolto de volere venire personalmente a questa impresa; parendoli che del Re de Romani si possa pocho dubitare essendo alla giornata più debilitato da li successi; tanto più che ultimamente dal nostro ambasciatore residente presso el Duca di Savoia, havemo aviso corno ad li 22 del passato epso Re de’ Romani, essendo acampato ad una terra de Sviceri, veneno ad trovarlo, fu constreto a levarse, li tolsero certa artelaria e morti de li suoi sette mila et pare che le cose non potriano andare pegio, quantunche da Milano se habii molto el contrario. Post scripta. Perche 1’ Excellentia Vostra meglio intenda li avisi inclusi nella lettera, Vomico è el signor Constantino, e quello da li predicti avisi è persona digna de fede, e credo che la Vostra Excellentia altre-volte habii inteso che la sia. La prego che lecto habia questo postscripta lo facia strazare, per la instantia me ne hano facta li predicti magnifici; ad laquale me ricomando. Datum ut in locis. Ludovic Sforza au chancelier Bartolomeo de Dugnano. Clarevallae, 7 augusti 1499. Bartholomeo, De ordine nostro M. Francesco Fontana, nostro residente li, se fara dare ducati 1800 de moneta, quali te facemo respondere, per fare fanti 600 per compimento di 1000. Unde havuto che tu habi dicti denari, andarai dal magnifico M. Joanne Adorno per fare dicti fanti, exequendo tutto ciò quanto si contene ne P instructione tua. Dandovi subito aviso del havuta di questo nostro e di quanto sera exequito circa ciò, solicitamo M. Joanne de fare de dicti. fanti, e perche tu sii meglio informato se siano — 4iS — contenuto con quella magnificentia nostra convenuta de fare fanti 2000 cumunamente, pagando la meta per caduno. Tu hay havuto ducati 1200, chi sono per fare lanti 400, et hora haverai ducati 1800, chi sono per lo compimento de finti 1000. Ludovic Sforza à Fontana. 6. Mediolani 9 augusti 1499* Domino Francesco Fontana. Acio habiati noticia de quello che habiamo facto in questo nostro viaggio, e conio, per gracia di Dio, ne troviamo ben proveduti de forteze e de gente, e speramo esse ogni di meglio, ve marniamo questa lettera, quale scrivemo a Napoli ed il summario che havemo havuto de M. Visconte. Fontana à Ludovic Sforza. 16 à 19. Ho facto intendere ad questi magnifici fratelli le lettere de Vostra Excellentia de 7, facte a Chiaravalle, circa li 1800 ducati che messer Aloysio Rapollo me deve respondere ad nome del serenissimo Re Federico per cuncto de la Cesarea Maestà; et ad epso M. Aloysio Rapollo ho similiter presentato le lettere del magnifico M. Marchisino, cum quelle de la predicta Maestà Cesarea in epse incluse. M. Aloysio me ha dicto etiam in presentia depsi magnifici che exbursara adesso 800 ducati di oro a libre 3 de Genua 1' uno, non havendone più, e questo fara, promettendoli io de farli avere le quitanze de la Cesarea Maestà come le lettere sue, Pextracto de lequale serà qui incluso, recerchino, 0 de restituirgeli, e che, quando venesse certa resposta chel expecta de Napoli, potria exbursare altri 800 ducati. Li primi 800 ducati si sono acceptati cum promissione de farle havere la quitanza, come di sopra è dicto. Su li altri pare non se possa fare fundamento, perche la resposta potria andare alla longa. Et pero ho voluto avisare Vostra Excellentia che è necessario me facia mandare da Messer Marchesino la quitanza de dicti 800 ducati, che altramente io restaria obligato, e proveda per altra — 419 - via al resto del denaro per tare li 600 fanti, perche giongendo, come se expecta debano giungere forse ad uno tracto, non se potriano pagare, et ad tenerli in dimora non voriano restare dandose dinari altrove come se fara; e questi magnifici hariano butato via 1300 ducati che hano dato per fare levare li fanti. Per tanto prego P Excellentia Vostra se digna provederli, et presto, acio che, venendo li fanti, possano expedirse e mandarse in Lombardia ; come el predicto M. Zoanne Adurno sollicita che venghino e de metterse ad ordine, per venire anchora luy. Ad Vostra Excellentia mi recomando. Genuse, 9 augusti 1499. Rufino de Becharia, che Vostra Excellentia sa, ha deliberato venire ad epsa per parlarli, facendomi intendere chel andarà prima fin ad casa sua e da li venirà ad Vostra Celsitudine e pregandomi ad volerglilo recommandare. Io adunche prego che li piada oldirlo et haverlo recommendato, perche, mentre è stato quà, ha facto bono officio. Alla quale me riccomando. Genuae 9 augusti 1499. Venera da Vostra Excellentia con una mia lettera Rufino de Becharia, quale epsa cognosce, e li parlara del cancellerò del marchese del Finaro e de altre cose, come ha parlato ad me tochando costoro quà duo magnifici fratelli. Io non li credo, perche non comprendo in dicti magnifici se non bona fede e devotione verso P Excellentia Vostra e stato suo, et vedo che prendono dispiacere de li travaglii chepsa ha , e piacere de li progressi prosperi. Ne me pare si deba tenere altramente, venendo el magnifico M. Zoanne et M. Antonioto in Lombardia in li servitii de P Excellentia Vostra. Epsa è prudentissima, considera quello li pare. Ad laquale me ri-commando. Genuce die 9 augusti 1499. Le due nave conducte per la serenissima regina de Napoli sono state licentiate da questi magnifici fratelli per andare ad servire la Maestà sua, perche ne restino sei altre in porto da potere armare. — 420 — E circa queste sei, essendose vista la resposta de Vostra Excellentia che me fa per la sua de 7, che omnino vole armare, e, quando non armasse, è contenta pagare quello sera onesto et parerà a li predicti magnifici per el tempo staranno in porto, inco-menzando al dicto di, havemo havuto da noi li patroni de quattro nave per concludere el mercato, si del soldo, quando se armano, come del tenere la nave in dimora, e si è concluso de stare a quello dirano quelli de officio de mare, e lunedi se farano li instrumenti. Ma el pretio serà de mille ducati d’oro al mese per nave, arman-dose, cum 200 homini; et da 200 in 250 ducati per tenerle in porto, come per altre ho scripto. Le altre due nave, per compimento de le sei, non costarano niente per stare in porto, perche non sono in ordine o vero discaricate, e se avanzara questa spesa. Ma 1 Excellentia Vostra ha ad sapere che diete nave non se potrano tenere in porto se non 10 0 12 di al più, et in questo tempo serano pagate ad computo de li 200 aut 250 ducati d’oro el mese: el quale tempo passato, serà necessario, 0 licentiarle, che uscirano per sue mercantie, 0 darli soldo de mille ducati d’oro al mese per nave; e Vostra Excellentia exbursa li denari saltem de duoi mesi, che venerano essere dodici mila ducati. Questo dico perche 1 Excellentia Vostra intenda che, cum grandissima difficultà, se sono facti restare contenti li patroni ad servire de le nave, trovando maiore guadagno in mercantare che andare in armata; et epsi patroni ne hano facto lamento in Consiglio; benche una gran parte dicesse essere bene servire 1’Excellentia Vostra, pertanto epsa se digna fare provedere de denari per poter pagare epse nave del tempo starano in porto, et mandarli, et deinde resol verse se la vole armare 0 nò, acioche, in fine de li dece 0 dodeci di, si sapia che fare, perche come più volte ho avisato, la cità ne staria malcontenta, e per el danno universale ne seguiria in tenere le nave in porto; e volendo Vostra Excellentia armare, bisogna al mancho el denaro de duoi mesi corno è dicto. A Vostra Excellentia me riccomando. Genuas x augusti 1499. — 421 — Bernardino, chancelier de Gènes à Lucques, À F. Adorni (Lucques, io aoùt 1499). Extractum litterarum Bernardini cancelerii platee Genue magnifico D. loanni Adorno. Signor mio observandissimo, Heri et hogi ho scripto ad la Signoria Vostra de quanto era occorso per insino ad quell’hora, che affirmo poi è successo che Paulo Vitello ha dato la bataglia a Pisa questa matina alle 7 hore, e li suoi sono intrati in Stampaxe, prima che Pisano 1’ habiano inteso; è morto Butafoco, el quale era capo de la impresa, e postoli sei bandere. Pisani sono corsi a rumore ed è stato in quello ferito Gorlino nel brazo de uno passatore et in la cossa de uno schiopeto, e ferito Romeo, questo homo d’ arme si valenthomo che dovea venire ad servire la Signoria Vostra; Lactantio medesimamente; Piero de Ioanne de Alberto in una cossa, che sono pur de principali; che ha sbigotito la brigata molto; pur se sono rifacti e drizati quattro passavolanti a questa volta, li quali amazavano ogniuno e dirumpavano per modo Stampaxe che l’inimici non vi potevano stare; poi cum altra artelaria offendevano da li ripari alli homini, per modo che speravano de caciarli fora. Tuttavolta alle 21 hora vi erano anchora. E vero che Pisani havevano mezo rifacto uno riparo. Credo da qui secretamente vi deba andare gente, per modo che cosi se po sperare come temere. Tutavolta l’inimici non manchavano la bataglia, per insino a quell’hora, e qui se dice de morte de molti de fora, per modo che allo tempo è mezo desfacto. Mi è stato facto grande instantia li voglia andare per doi giorni cum questi nostri 0 pero permettere che vi andassino. Non l’ho voluto fare : e poi chio sono stato tanto, expectaro el fine; pero che se la impresa di Pisa se fornisse, io conduria tra homini d’arme e balestreri de li cavalli cento e bona compagnia de fanti. Dio elega el meliore. De quali ba- — 422 — lestreri non sono senza speranza de havere, peroche qui è capitato Messer Pietro Gambacurta, Vincentio de la Giostra, al quale è tenuto uno valentissimo huomo; el passera circa 25 cavalli, e Brissigela, capo de balestrari 25; li quali, essendo fora per guadagnare et inteso che le bandiere sono in Stampaxe, se ne sono venuti, e dicono non esser potuto intrare dentro per la catia li ha dato 60 cavalli legeri del campo; che da gran invaghimento a costoro, perche costoro sono de primi e meliori Lomeni de Pisa, et dicono non volere tornare, salvo Piero Corbini, chi ha dicto volere andare a morire cum li suoi o vivere; e credo anderanno, e non pero el successo de questa cosa. Pur ad orane modo credo ne rimara una donzena, e fai oli el tuto, e poi lassaro ordine qui, et me ne venero alle frontere ad expedire; benche hora mi credo che, se Pisa non si tien, se haveiano fanti assai e se la si teme più facilmente che prima. Pisani sono heri sera stati avisati de fanti fugiti de campo, che costoro li vo levano dare la batadia et non lo estimano; et in questa bataglia se *1 * ne sono fugiti quatro fanti, quali hano dicto a Pisani che si en gano, perche quelli de campo non possono più. Io aviso la Signoria Vostra de quello ho per messo a posta. Lucse, x augusti hora media nocte. Ludovic Sforza a F. Fontana. 7. Milano 11 augusti 1599. Domino Francesco Fontana. M. Francesco, havendome scripto Bartolomeo de Dugnano che Messer Ioanne haveva expedito cento fanti quali inviaria a Alexandria, e cossi faria de li altri, quali expediria a di per di, per attendeie fra pocho tempo bon numero; havemo de questo ricevuto singular piacere, et cossi ne havemo facto noticia a Messer Galeaz, perche se habino a mettere in loco che siino a satisfactione de Messer Zoanne; el quale haveriti a ringraziare de la diligentia chel usa per la expedictione de dicti fanti, cum pregarlo a continuare et maxime in inviarli in Lombardia, secundo che se fano, perche non ne porria fare mazor piacere. - 423 — Apresso vuy Pregareti quelli magnifici fratelli che vogliano per la via de Monferrato vedere se possibile havere la certa e vera noticia de la gente d’armi francese. Fontana a Lud. Sforza. 20. Vostra Excellentia havra inteso per una altra mia la resposta me fece Polo dal Fiesco, circal venire del magnifico Messer Ioanne Aloysio in Lombardia, e che, per essere indisposto e mal ad ordine de cavalli, non potria venire, e la presentia sua essere ad proposito qua quando altro accadesse. El predicto Messer Joanne Aloysio è venuto da Montolio, et havendoli io facto intendere quello me ha scripto 1’ Excellentia Vostra che desidera che Sua Magnificentia insieme col magnifico M. Zoanne venesse in campo cum quello più numero de fanti potessino:me ha risposto che sempre è stato et è bono servitore de Vostra Excellentia et essere prompto servirla et qui et in altro loco dove li piace, e che, quando epsa se digna fare prova de lui, cognoscerà quello vale, essendo allevato su la sella, et che, li mesi passati, fece opera per havere conducta da Vostra Excellentia, e questo acio se potesse mettere a ordine per poterla servire, accadendo el bisogno; ma che hora non la recercharia de conducta, perche non para che, in tempo de travagli, la voglii mettere ad condicione; che, come è dicto, è pacchiato servire ad Vostra Excellentia dove li piace; ma che la prega che, volendo chel cavalca in Lombardia, voglia, etiamdio, adiutarlo del modo de poterse mettere a ordine, et ultra questo chel habia la sua provisione, la quale deve havere de cinque mesi; quando anchora paresse ad Vostra Excellentia chel restasse qua per havere cura insieme col magnifico governatore de le cose del governo, che epsa similiter dignasse provedere li sia dato la provisione sua, facendomene assai instantia ad volerne scrivere. Io ho ringratiato la magnificentia sua del suo bono animo verso l’Excellentia Vostra, dicendo chepsa non hara cosa nova intendendolo, e chio voluntera gli scriverla. Ma perche li suoi canceleri gli ne parlarano, baven-dogline scripto Messer Ioanne Aloysio, Vostra Excellentia sa quello ha da fare. Genuce, 12 augusti 1499. — 424 - Les frères Adorni à Ludovic Sforza. Illustrissimo et osservandissimo signor nostro observandissimo, Siando stato costituito per consule de li merchadanti lombardi de la Excellentia Vostra M. Marcho Lercharo, pare che epsi mercadanti, non parendoli forse al proposito suo, non l'hano voluto acceptare, e tuti devenuti insiema se hano electo M. Lucha de Gri-maldo, fratello de M. Ioanne Baptista, de la cui prudentia et integrila nui li ne potemo rendere bona testimonianza, havendo sempre, in tute quelle cose è stato adoperato, renduto bono cuncto de lui, et stando che in far questa electione li bisogna la auctorita de la Excellentia Vostra, non ne parso alieno per lo amor portamo a predicto Messer Lucha, scriverli questa nostra; cum pregarla su contenta de questa nova electione facta per li dicti merchadanti, perche se lo ascriverano a singular gratia de Vostra Illustrissima Signoria. In bona gratia de laquale continue e humiliter ne reco-mandiamo. Genuse 12 augusti 1499. Excellentiae Vestrae fidelissimi servitores Augustinus et loannes Adurni. Fontana à Ludovic Sforza. 21-24. Ho scripto per altre mie ad Vostra Excellentia quanto occorre circa queste sei nave che se retengono in porto per armare e la spesa li và si in asoldarle come per la dimora in porto. Li patroni sono venuti questa sera da me ad dolerse che li è dato longhe, e che non vogliono stare in porto per denari li sia dato per subventione, quando li havessimo stare troppo di; et che o se li dia el soldo de le nave, 0 vero licentia a le nave de andare per facti suoi, perche ad stare a questo modo è la disfactione sua; e che per sei di expectarano anchora, e che poi, se dovessino uscire ben cum la nave senza licentia, non expectarano più, e che cridarano in l’officio de San Zorzo et in altri lochi, perche in la retentione depse - 425 — nave concorre el danmo de tutta la cita; et maxime che per tale causa è montato el grano dece soldi el sacho. Io li ho risposto che Vostra Excellentia omnino vole armare, et haverano suoi denari, et non ne hano dubitare perche epsa solum expectava la resolutione de la spesa li andaria, e che non sono per perdere, dicendoli molte altre bone parole, ma non credono. Signore, come per altro ho avisato Vostra Excellentia, bisogna chepsa manda denari per el tempo sono state le nave in porto, e de questi pochi dì li barano stare, et e necessario che la delibera se la vole armare, e proveda e manda li denari del soldo, saltem per duoi mesi; che altramente costoro non se potrano tenere e tuta la cità murmura grandissimamente. Ma Vostra Excellentia responda presto, che se costoro se mettono ad cridare, come credo tarano, seria uno scandalo. Allaquale me ricomando. Genuae xii augusti 1499. E venuto qua un nuncio de Luchesi, el quale ha facto capo prima ad questi magnifici fratelli e poi ad li antiani, et, in nome de suoi signori, ha exposto che Fiorentini stringono Pisa, laquale obtenevano, et fornita dieta impresa hanno deliberato andare col campo et artelaria ad Luca, con dire esserne avvisati da bono loco ; pregando se gli voglia donare consiglio et adjuto, quando Firentini andassi a danno de Luchesi. Per li quali magnifici li è stato dato bone parole, e per li antiani s’è resposto che consultarano e poi respon-derano; ma pare che, per alcuni, fora de consiglio, li sia stato dicto che Luchesi non possono sperare succorso da Genuesi, tenendo del suo come tengono, cioè Petrasanta. Epso nuncio è poi venuto ad me, e narrato la expositione facta ad li antiani et resposta havuta, e me ha pregato ch’io volessi parlare con li antiani per disponerli ad dare adjuto ai Lucchesi; ma io ho resposto che noi faria senza commissione de 1’Excellentia Vostra. Epsa è prudentissima; deliberi mo quello li pare; ad laquale me recomando. Genuae, die xii augusti 1499. # — 4 26 — Questi magnifici fratelli se sono lamentati con me, dicendo che, quando accade qualche cosa dispiacevole e de travagli, sono li primi con li quali ne facio participation, e tanto più, bisognando che pigliano qualche puncta contro gli amici per satisfare ad qualche desiderio di Vostra Excellentia; il che fano pero voluntera, per la devotione portano ad epsa e stato suo; ma che secundo che hano de le amare, li pare anche rasonevole che Vostra Excellentia se doveria dignare ad participarli de le piacevole, aciò ne possino realegrare loro e li amici e congratularsene con epsa; che li can-celleri del magnifico M. Joanne Aloysio hano scripto e ben se hebino le lettere, che è facta tregua tra la Maestà Cesarea e li Sviceri per tre mesi, la quale non se po rumpere se non con \o* luntà de 1’ Excellentia Vostra, e chel marchese de Mantua è d a-cordo con epsa; lequale cose essendo bone et ad proposito, banano desiderato saperle prima per via de Vostra Excellentia che di altri, benche ne prendano singulare piacere quando così sia. Pertanto ne aviso 1’ Excellentia Vostra con farli etiamdio intendere che ogni dì mi è domandato da molti amici come passano le cose de Ale-mania, e ne stano in tanta expectatione de sapere che siano bene terminate, che non se potria dire più; e però la prego li piacia farne quella participatione li pare, perche et questi magnifici eli citadini amici ne faranno gran festa. Mando a Vostra Excellentia alcuni avisi havuti de verso Ast et Pisa e serano in questa inclusi, et el messo che ha portato quelli de Ast se partite de là sabato proxime passato. Ad 1 Excellentia Vostra me ricommando. Genuse xii Augusti 1499. Questa sera circa le 22 hore, el magnifico M. Zoanne ha ricevuto le lettere de Vostra Excellentia cum la celerità de la sta-pheta, per la quale havendo intesa la instantia chepsa li fà ad transferirse in Lombardia, se trova in gran affano, essendo desideroso de obedire in questa parte a 1’ Excellentia Vostra come in omne altra, e de satisfare da l’altro lato ad tute le altre cose, e l’animo suo inclinava ad obedire e venire al melio havesse potuto, — 4^7 — benche queste cose qua non siano talmente proviste che possano così adesso patire 1 absentia sua ; ma poiché ha facto participatione de diete lettere cum lo magnifico governatore e M. Joane Aloysio, havendo tra loro melio considerato sopra tuto, el predicto governatore mi ha dicto che lui et el fratello sono dispositi servire 1 Excellentia Vostra in ómne evento, exponendo le facultà e le persone; ma che ad dovere venire adessp M. Zoanne in Lombardia, senza esserse facta altra provisione qua, non li pare ben facto; nel judica al proposito, come M. Joanne Aluysio ha anche affirmato, perche dovendo M. Zoànne menare cum se li provisionati del palazzo, e non essendoli proveduto de altri fanti, è da pensare come se potria stare securi in questi tempi, ne bisogna fare fondamento su partesani, li quali non sano stare in regula ne fare guarda, e da inimici non sono tanto stimati; ma che se è mandato fora cinque o sei capi per fare 300 fanti, che stiano alla guarda del palazo, li quali venuti, più securamente M. Zoane potrà inviarse, e, ira questo mezo, giongerano de li fanti che hano venire in Lombardia, perche se expectino le galee de Corsica che deveno arrivare, et el cancelero de la piaza che andato in le parte de Luca, et altri capi mandati in diversi lochi per fare fanti; li quali, secundo giongerano, serano expediti e mandati ad Alexandria; pregando 1’Excellentia Vostra che se digna e per beneficio del stato e per sicurezza de questo governo, contentarse che M. Zoane sopraseda la venuta sua per qualche di, aciòche per mancamento de provisione qua non accadesse qualche desordine; perche non perdarano tempo in fare li fanti, come anche fin qui non sono manchati de alcuna diligentia e sollicitudine. Cosi io ho dicto ne avisaro 1’Excellentia Vostra benche loro Magnifici doveriano existimare che senza qualche gran causa epsa non se move ad fare tanta instantia. Ma mi pare ben fare intendere ad Vostra Excellentia che M. Zoanne ha usato e usa omne diligentia possibile in expedirse e lui e li fanti; e lho veduto molte volte in grandissimo affano per el desiderio haveva de satisfare et bene et presto; ma è pur accaduta qualche difficulti in fare li fanti, dovendoli havere boni, perche Firentini e Luchesi dano dinari, come 1’Excellentia Vostra deve havere inteso. Nondimeno M. Zoanne non perderà tempo in expe- — 428 — dirse, et el magnifico governatore in provedere quanto ad quello bisognerà, et io sollicitarò percbel venga più presto sia possibile. Ad Vostra Excellentia me ricommando. Genua;, die 13 Augusti 1499. Ludovic Sforza à Fontana. 8 à io. « 1499, 12 augusti. Mediolani. Ne maravigliamo molto che M. Aluysio Rapollo non habia pagato senon 800 ducati, per vigore de la lettera quale li ha scripto M. Marchisino, che diceva da 1800 ducati de oro; perchè epso M. Marchisino ne affirma che, deli denari quale havea a pagare per cuncto del serenissimo Re de Romani, li restavano in mane quelli 1800 ducati. Per questo volemo che vi troviati cum M. Aluysio et intendiati da lui la causa perche il non ha pagato tuta la summa, corno li è stato scripto da M. Marchisino, e quanto vedesti chel si andasse avilupando conio è rasonevole, existimando noy de li dinari, quali ha pagato allo Magnifico Messer Joanne Adorno per cuncto de lo Serenissimo Re Federico, dabino esse de quelli, li direti che in questo non ha facto quello officio che se li conve neva; perche non si po se non dire che, de quello che già è nostro per havere nuy pagati qua a M. Marchesino li dicti dinari, il se sia voluto ingraziare cum M. Zoanne, e dal altro canto mo strare anchora da fare piacere a nuy; e che questo non sta bene per condicione alcuna; ne se voria tenere li pedi in tante scarpe, e sia corno sia; voglia che a fare el debito suo, non più manchara chel non paga integramente li 1800 ducati; e cossi lo ricerchareti a pagare, e quanto alla quietanza quale ricercha, vuy li direti che M. Marchisino responde chel ha la quietanza per sei milia du cati, e che non li pare honesto chel debia dare la quietanza, finche non è satisfacto del tutto, e che li deve ben bastare che lui 1» facia le confessione de quello chel paga alla giornata, sotto le lettere de la Cesarea Maestà, laquale li ha scripto chel paghi tuti li denari al dicto Domino Marchisino. — 429 — 1499- Mediolani 13 Augusti. Messer Francesco, Per risposta a la vostra de x circa larmata, ve diro quello che ancora per altra ve havemo scripto che non attendemo altro che la risposta del serenissimo Re Federico quanto al armare; che quando non se armi, non se mancara de fare el debito a li patroni de le nave per lo tempo serano tenuti in porto, e non deve già tardare che da Napoli non habiano circa ciò risposto. Mediolani 13 Augusti 1499. In questa hora havemo havuto aviso che la rocha de Arazo non se è persa per altro che per tradimento de Augustino de Magnara; che ne pare quasi difficile a dovere credere; pur la cosa è significata in modo chel pare verisimile; che quando cosi sia non sapemo hora quel judicio dovere più fare de luy in le cose passate, cioè quanto per la persona soa. Lo farete intendere a quelli magnifici fratelli, liquali ne rendemo certi ne harano dispiacere insieme cum nuy. Fontana k Ludovic Sforza. 25. Dapoi cho scripsi ad Vostra Excellentia de la resposta me havea facta M. Aloysio Rapollo circa li 1800 ducati, epso è sempre perseverato in quello me dixe de non havere se non 800 ducati, liquali exbursara, promettendoli io de farli havere le quitanze de la Cesarea Maestà, et che havendo certa resposta de Napoli, quale expectava fra quatro dì, ne exbursaria altri 800. Havendo adesso veduto quanto 1’ Excellentia Vostra me scrive in resposta de la mia, l’ho facto intendere ad M. Aloysio, el quale persiste pur nel primo proposito de non potere pagare se non 800 ducati doro, perche la resposta da Napoli non è anche venuta; la quale quando bene venesse, non potrà exbursare più che altro 800 ducati doro, che venerano essere 1600 in tuto; e li 800 chel po dare adesso, Soc. Lio. St. Patri*. Voi. XXIV, fase. 1 » 28 - 45° - li dara, ma è bisognato prometterli che li faro bavere la quietanza de la Cesarea Maestà; dicendo lui che quantunche non havesse pagato la summa de li sei milia ducati, come 1’Excellentia Vostra scrive continere la quietanza del magnifico M. Marchisino, tamen chel fara apparere, etiam per instrumento, non bavere exbursato senon la summa ha pagato, et me ha dicto ne scrive a c., siche altro non se po fare. Ma io faro dare li predicti 800 ducati ad Bartholomeo Dugnano, secundo la commissione de quella, per pagarli neli fanti se fano. Et perche 1'Excellentia Vostra me scrive el postiscripta che, non potendose habere li 1800 ducati da M. Aloysio predicto, chel magnifico Messer Joanne non lassi de compire el numero de li fanti et exbursare lui el denaro restarà, perchè epsa subito li remetterà, la viso che M. Zoanne me fa intendere non havere el modo, ritrovandosse de presente senza denari, per havere lacto gran spesa in metterse ad ordine per cavalcare, et però è necessario che Vostra Excellentia proveda per altra via e presto, perche li fanti giongeno, e domane se ne ritrovarà qua bono numero; li quali per non tenerli in tempo, serano expediti più presto sera possibile et mandati in Lombardia. Per tanto Vostra Excellentia se digna mandare li denari restino per la summa sua, et come ho dicto, e presto, perche ne su M. Aloysio ne su M. Zoanne se po fare altro fondamento. Et ad Vostra Excellentia me riccomando. Genuae, die 14 Augusti 1499. Ludovic Sforza à Joanne Adorno. 1499, Mediolani 14 Augusti. D. Joanne Adurno. Messer Zoanne, per altre nostre ve havemo scripto, pregandovi ad accelerare la venuta vostra cum più fanti sia possibile; hora per esser perduta la rocha de Arazo, corno prima de quella harete inteso, cognoscerete che la instantia vi havemo facto non era senza causa. E pero, se ben la rocha, quanto al stato nostro, non è de molto momento, nondimeno a nuy è in consideratione de non lassare che 1 inimici nostri se tirano favore cum tale bicoche, e però vi confortamo e caricamo a venire cum celerità. — 431 — Luys de Ripoll k Ludovic Sforza (14 aoùt 1499). Ringracio e baso la mano alla Excellentia Vostra de quello ha scripto a Napoli per lo pagamento de li 800 ducati donati al magnifico Messer Joan Adorno li quali pur sono adgionti ad mille per farlo contento. Piaza a Vostra Excellentia comandare se scrive da questi altri ducento, zoe lire mille; e satisfacendose questi mille e li 660 de oro avanti, io non mancherò de fare, per simile e mazor summa, sempre sera necessario per servicio e satisfactione de Vostra Excellentia. Lo magnifico messer Francesco Fontana mi ha facto vedere una lettera li scrive Vostra Excellentia circha li dinari mi restano in mano de la Cesarea Maestà, laquale, cognoscendo la sapiencia e clementia sua, me rendo certo sia scripta senza sua saputa; e si lo magnifico messer Marchisino havesse cosi poche facende come ho, my si ricordarla meglio che non fa da quello ho ricevuto per dare alla Cesarea Maestà; e questo he lo evangelio; ne io ho scripto, ne poria dire altramente, ne de questi voglio servire Messer Joanne Adorno, e, corno disse allora allo predicto M. Francesco, me contentarla de darli 800 ducati doro, si atanto mi venesse de nostra commissione potesse prendere altri 800 ducati mi haveno mancato a recevere per lettere de uno Joan Vidal, qual vene con-ditionata de modo che, se io li prendesse senza consulta al tempo del mio conto, me li poriano fare pagare del mio; et a li signori se serve dell’anima, faticha e tede, e non de la roba chi non ha ben. Dico che subito havuta questa risposta, et non po tardare, molto subito se pagarano li altri 800 ducati; et si M. Marchisino se ricorda quello ordine servava quando administrava peccunie di Vostra Excellentia, delche io ho bona memoria, diria a me faza quello esso faceva, ne voglio credere Vostra Excellentia volesse de mi che lo debito. Alla parte de la quietanza de la Serenissima Cesarea Maestà, io non posso pagare senza l’averla, perche in la lettera mi scrive Sua Cesarea Maestà, me dice lo dicto messer Marchisino me la donara; ne per questo staro de dare li-800 — 432 — ducati a M. Francesco, con che ini prometta de dare dieta quietanza; et Vostra Excellentia posse comprendere che questo non lo faza de mia fantasia. Li mando la copia de la lettera de la predicta Cesarea Maestà, la quale poteva comprendere se senza dieta quietanza io posso cautamente pagare dicti ducati, siche Vostra Magnificentia fara mandare dieta quietanza in mano de esso; ma si anchora che la sia de mazor somma che io non posso per me sborsare, tra nuy ne calcolaremo de manera che ogniuno restara satisfacto; et Vostra Excellentia vedera io con honor mio non li posso fare altro. Questo si he la conclusione, con questa addicione che de servitù nisuno mi havanza a Vostra Excellentia e, si bisognara, ne faro prova secundo le mie debole forze. La supplico prenda la mia fede e servitu e con quella me comanda. Baso le mane alla Excellentia Vostra. Janu®, xim Augusti 1499. Luys de Ripoll. Fontana à Ludovic Sforza. 26. Illustrissimo et excellentissimo principi et domino meo praecipuo Domino Ludovico Magnifico duci Mediolani. El magnifico Messer Zoanne ha havuto lettere de xi del presente, le quale conteneno li avisi annotati nel summario incluso, che mando a Vostra Excellentia. Sera anchora in questa lo extracto de una pur de xt responsiva ad unaltra ziphrata, laquale fa mentione che ha facto restare molto perplexo l’amico. Quello sia l’amico, 1 Excellentia Vostra l’ha inteso, havendogline io scripto per l’altra cavalcata, e però non ne diro altro, sapendo epsa chel è. Ma perche epsa melio intenda, dicto amico è stato avvisato chel Re di Franza è malcontento de lui, e stando perplexo ha resposto come contene dicto exemplo. Essendo venuto qua uno che se partite de Ast venerdi passato, che fò ad li 9 del presente, l’ho exanimato cum diligentia et ne ho cavato quello vedera 1 Excellentia Vostra, per l’inclusa che “ 433 - li mando insieme cum una lista che ha havuto el Magnifico governatole del numero de le lanze francese e li arceri, acio che epsa intenda quanto havemo di qua. Epso venuto de Asti gli ha ad ritornare de impositione del predicto governatore e mia, per investigare più diligentemente le cose franzese: et io poi significaro a Vostra Excellentia quello riportara alla quale me ricomando. Genuae, die 14 Augusti 1499. Illustrissime et excellentissime Dominationis Vestrae Franciscus Fontana. Ludovic Sforza, à Fontana, ri. Mediolani 14 Augusti 1499. Credemo che quelli magnifici havranno inteso, inante al giungere de questa, la perdita de la rocha d’ Arazo, laquale se dispiace per qualche favore che li inimici nostri se ne possano attribuire, ma non perche la fosse de sorte da potersi tenere. Per questo desi-deraino che Messer Zoanne non perda più tempo ad inviarsi, e se ricordi che a questi tempi e casi se ha cognoscere li boni e veri amici, intra li quali non dubitamo che luy non sia affectio-natissimo e pieno di fede; solo se voria che ne lo accelerarsi in venire de qua cum più fanti sia possibile, el confermi quello che tengo indubitato de la bona dispositione sua; e però volemo siati cum epso e li pregati a volte cosi Messer Joanne venisse in qua cum fanti e cum partesani, tanto quanto ne po condure, perche tanto che si posse obstare gagliardamente a questi primi impeti, ricordandose che hora è tempo da cognoscere li veri amici. B. de Dugnano à Ludovic Sforza. La Vostra Excellentia intenderà per le lettere quale li scrive lo domino residente suo qui, corno de li ducati 1800 quali dovea exborsare Domino Joanne Aluysio Rapollo, non se ne po havere altri che 800; unde essendo pervenuto el termino che li fanti zon- — 434 — zono, e che non gli siano li denari de expedirli et aviarli, non seria el facto de la Excellentia Vostra che li denari quali gli sono dati in presto per condurli se perdessero ; pero ricordo alla Excellentia Vostra ad provedergli presto. Hogi se pagarano fanti cento boni, quali subito sarano inviati ad Alexandria. Domane o l’altro ne de zonzere 400, e de dì in dì d’altro mazore numero, i quali se potriano aviare quando gli sii el modo di pagarli. Datum Jamue 15 augusti 1499. Bartolomeus de Dugnano. In questa hora 22, ho havuto una de la Excellentia Vostra data a Clarevale a di 7 di questo, per li ducati 1800, de li quali Vostra Excellentia scrive che D. Francesco Fontane qua residente de la Excellentia Vostra provedera de farmi dare; esso mha dicto che cosi fara. Sono da poi stato ad trovare el Serenissimo Domino Johanne Adurno, el quale era col signor Governatore, suo fratello, et quando gli ho mostrato la lettera de la Excellentia Vostra per fargli intendere che quella ha risposto e facto la provixione del denaro, tuto a uno tracto, per fare il compimento delli suoi fanti mille, ricordandoli che volessero ancora loro operare che non se perdesse tempo ad fare che questa communiti facesse el simile ad far li altri soi mille, in effecto me hanno risposto, et factome intendere de novo la provixione che fano de far venire da più lochi fanti, i quali de di in di se aspectano, e pur hogi hano havuto aviso de più soi messi chi fano venire fanti, chi de 100 e 200, e chi de 300, quali saranno qui fra quattro 0 cinque giorni ; de l’altro canto m’hano dicto che farano che questa comtnunità non se perderà tempo a pagare fanti come zonzono et aviarli. Notificando alla Excellentia Vostra che in questo di ne ho pagati cento circa, tra Corsi e Biscayni, i quali, domani 0 l’altro, el predicto signor Domino Johanne Adurno vole aviarli ad Alexandria cum uno canzellaro di soy che li conduca et habia la lista, dove siano tuti annotati a homo per homo, per ordine che non gli manca ninno ; et cosi de di in di venendo dicti fanti, vole che subito siano — 435 - spaciati et aviati ad Alexandria, siche non se gli perde tempo de fargli venire, ne se gli manca de denari, ne per mandargli messi ad afictarli ; e ogni dì li pare verrano che zonzono per posserli tuti expedire e aviarli, per possere ancora lui dare inpuncto et hono-revole principio a l’impresa per la Excellentia Vostra corno mi pare cognoscere chel desydera. Io dal canto mio truovo ricordato e solicitato che sia facta questa expeditione de li 2000 fanti integramente, e de fare che li denari siano bene spexi in homini sufficienti et utili, poiché facendolo fara gran honore a Sua Signoria et alla Excellentia Vostra me raccommando. — Notificando che anche non sono ritornate le galee de Corsica cum li fanti quali deno condure. Datum Januae 9 Augusti 1499. Fontana à Ludovic Sforza. 27. El magnifico governatore et Messer Joanne hano veduto quanto ne scrive l’Excellentia Vostra del tradimento usato per Augustino Maguerra in la Rocha d’Arazo, e benche già 1 havevamo saputo per altra via, tamen gli nè doluto e dole fin a 1 anima, non per respecto depso Augustino, che è uno tristo, ma per amore de P Excellentia Vostra, laquale non ne po recevere se non molestia e travaglio. Ne sano altro che dire, salvo che ne restino da malissima voglia, sperando che Vostra Excellentia da mo inante se saperà guardare de simili giotoni. Ma, Signore, pare che questa cosa dovesse essere, per la fama era sparsa già dece dì fa in Genua che la rocha predicta era persa, e chel molinaro Maguerra la haveva data ad Franzesi. A Vostra Excellentia me ricommando. Genuae 15 Augusti 1499. Ludovic Sforza à Stefano Spinola. Mediolani 16 augusti 1499. Cum la lettera vestra havemo ricevuto el dono factone in nome vostro da Serapto de Puntremulo: quale dono ne è stato gratissimo, — 436 * si per la qualità depso, anchora per essere honorevole e venire da persona che superno esserne affectionata et amarne de core, et cosi ve ne ringratiamo quanto più possemo. Quanto alla bona dispositione che hano quelli nostri citadini di volere con nuy una medesima fortuna, nui, per questa nostra, vi lassaremo un pocho de carico de ringraciarli in nome nostro, cum accertarli che mediante la rasone la quale è in protectione a Nostro Signor Dio e le bone provisione che sono facte e de continuo facemo alla deffensione nostra, speramo de deffendermi galiardamente contra chi vorria tore el nostro: siche li confortarete a stare de bono animo conio confortiamo anche vuy (i). Fontana à Ludovic Sforza. 28. El magnifico Messer Joanne Aloysio me ha dicto essere venuto el messo chel manda in Franza ad Joan lordano Orsino per divertirlo da le cose franzese, e vedere de aconzarlo cum Vostra Signoria; quale fa intendere chel predicto Joan Jordano li ha dicto che non è homo che voglia manchare de la fede sua, ne ad Re de Franza, ne ad Vostra Excellentia ne ad altri; et che essendo in pratica de acconzarse cum Sua Maestà, alla quale havea mandato uno messo ad posta, voleva expectare risposta laquale seria resolutiva de aconzarse o non, e questo dentro del presente mese; e che havuta ne daria avviso al predicto Messer Joan Aloyso, alquale in caso non restasse d’accordo cum Re daseva arbitrio de tractare le cose cum Vostra Excellentia e de stare ad tutto quello (1) Il y a plusieurs corrections intéressantes intliquées sur la minute. Au lieu de lig. 2. ne è stato gratissimo, il y avait d’aborJ : é stato integro secundo la lista e ne ringraciamo gramamente; lig. 3: qualità d’epso, d’abord: qualità del dono qual è, e molto nè stato grato si come e honorevole ; lig. 4: persona che saperno jusqu à la fin de Ia phrase, d abord: per I’affectione vostra accompagnata cum epso. Questa mo quale quantuncha non sia ne habiamo novo testimonio per li molti argu-menti che se ne sono veduti per altri tempi, nondimeno ne havemo pur preso piacere. E cosi noi ne serviamo bona memoria. lig. 6: après volere, on a suppriraé insieme ; lig. 8: après accertarli on a supprimé che hano esser certi. - 437 — che Sua Magnificentia gli ricordasse. Sicché del tutto ne aviso Vostra Excellentia allaquale me decornando. Genuae, 16 augusti 1499. Ludovic Sforza à Fontana. 12. Mediolani 16 augusti 1499. Non è vero quello che dalla cancelleria de Messer Joan Aloysio è stato significato li cerca la tregua con la Maestà Cesarea e Suy-ceri. E quando questo fusse, nuy non haveressimo omesso de significarvelo perche gli ne haveste facto participazione, ac porete mo trovare cum quelli magnifici fratelli e declararli questo, cum dirli che hano esser certi che quando li è cosa digna de noticia, che gli la fariamo intendere per la verità, e che non voglino credere finalmente tutto quello che se significa daltri, ma che cre-dino pur a nuy. Fontana à Ludovic Sforza. 29-32. Ritrovandomi questa marina col magnifico governatore, venessimo sul facto che 1’ Excellentia Vostra voria fare qua e Sua Magnificentia me dixe che havendone parlato qualche cosa cum M. Saragosa, che è marinaro expertissimo, ha dicto che cum questa armata non se potria nocere ad Venetiani, havendo li lochi dreto la marina molto spessi, che se avisariano 1’ uno 1’ altro, e l’armata potente ; salvo chi volesse fare unire le nave quale Vostra Excellentia vole armare cum l’armata del Turco, el che non crede, et che, quanto potria fare diete nave, seria tenere sotto Genuesi, quando, per caso alcuno, cerchassero tentare alcuna cosa, e havere libero questo mare de andare e mandare a Napoli et in Hispania, de recevere et sporgere socorso hinc inde, secondo le occurentie, et el serenissimo Re Federico potria fare qualche assalto ad li porti suoi che tengono Venetiani et vedere se si potessino torli. Ma che, essendo passato se po dire el bon tempo e sopragiongendo lo autuno et inverno, se potrà sparmire la spesa, atteso che in questo mare — 43« - non sono alcuni navilii che offendino. Subjungendo el predicto governatore chio ne voglii dare aviso ad 1’Excellentia Vostra, acioche possa pensarli e deliberare nielio, maxime che, come epsa ha inteso, li patroni de le nave non se possono più tenere in porto e tutavia cridano, e se Vostra Excellentia non se resolve in questi tre o quattro di, sera necessario licentiare le nave, per non lassare in tanta malcontenteza, non solum li patroni, ma tuta la cità; ne è ad proposito in questi tempi. Pero ne aviso 1’Excellentia Vostra, la quale prego se digna respondere presto, et significare la mente sua; et ad epsa me riccomando. Genuae, xvn Augusti 1499. Mando in questa incluso 1’extracto d’una de San Pietro in Vincula al Cardinale de Ulisbona, quale è stata intercepta qua, cum P extracto de alcuni capituli di una altra de Francesco Doria, el quale parla molto largamente e favorevolmente per Franzesi. L’ Excellentia Vostra ne prenderà quello li parera. Ma la lettera depso Francesco questi Magnifici 1’ hano retenuta, perchè putandose ad chi se driza, daria da dire ad questi contrarii che ne pigliariano animo, e li amici disconforto. A Vostra Excellentia me riccomando. Genuae, 17 augusti 1499. El magnifico Messer Joanne per la instantia fa Vostra Excellentia et lo illustrissimo signor Messer Galeaz, ultra le sollicitudine continue mie et de Antonio de Mantello, domane, essendo bona giornata secondo dice lo astrologo de Vostra Excellentia, alle xx hore se voleva inviare ad Alexandria, lassando chel magnifico governatore e M. Joanne Aloyso li mandassino dreto li fanti. Essendo M. Joanne in questa dispositione e dopoi la nova de la perdita de Anono sono tuti loro magnifici stati insieme in presentia de M. Aloyso Rapollo e mia, et hano rasonato sopra la venuta de M. Joanne. Tuti monstrano essere disposti de satisfare al desiderio de Vostra Excellentia, et hano dicto che qua se ritrovano circa 600 fanti che sono gioncti novainente, liquali sono da expedire. Domane ne deveno giongere.de li altri, ultra li partisani che se mettino insieme. Sono etiamdio gioncti 300 fanti che hano restare - 439 — alla guarda del palazo, volendo Messer Joanne menare li provisiò-nati cum se, et che non li pare bene cbe Messer Joanne se metta in via, se prima questi fanti non sono expediti acio possino venire cum epso , perche essendo le cose in disfavore dal canto nostro, come se tene qua quando venisse senza bon numero de fanti, seria disconforto alli nostri e conforto alli inimici; e che essendo fama che de qua deveno venire tre milia fanti, pareria cosa vana. Deinde inante la partita sua pare a le magnificentie sue che, dovendo levare li provisionati del palazzo, se lassa tale provisione, che per Pabsentia sua in tuti li casi non possa seguire inconveniente, cioè li fanti che per scontro de li provisionati se li hano lassare; cum subjungere appresso che, ritrovandone qua, molti partesani se inviarono in Lombardia, che noi fariano dopo la parr tita sua, perchè la perdita de la Rocha d’Arazo e de Anono li ha impauriti molto. Per conclusione, per tuti li predicti respecti e per altri, maxime che la presentia de M. Joanne giovara assai in expedire più presto li fanti, se sono risolti che M. Joaune supraseda la partita sua de qua fin ad zobia matina proxima che vene, cum deliberatione che omnino ad quello di se inviarano, non lassando pero de inviare li fanti de compagnia in compagnia, secundo serano expediti. M. Joanne in mia presentia ha domandato più volte de gratia ad li predicti magnifici ad volerlo lassare inviare domane , monstrando tanto desiderio de venire che non si potria dire più: ma epsi per le cause predicte gli è parso chel supraseda come dicto. Del tuto ho voluto avisare 1’ Excellentia Vostra, acio non prendi altra admiratione de la venuta de M. Joanne ; el quale dopo el parlare facto insieme, me ha mandato ad dire che in questi tre di dara tal ordine ad queste cose qua, chel potrà venite securamente, et in labsentia sua hara stare de meliore animo. Tamen dico ad 1’ Excellentia Vostra che M. Joanne me la fa dubiosa de potere venire anche zobia. Genuae 18 Augusti 1499. La nova de la perdita de Anono ha rinfrescato el dispiacere ad questi magnifici fratelli e li vedo molto impauriti e tanto più che questi citadini stano suspesi e li contrarii fano de male demonstra- — 44° — tione fin ad tocharsc le mane l’uno l’altro et dire: « Adesso vene la nostra». De li amici li sono come sa Vostra Excellentia, de li malcontenti e de li Spinuli; e per quello mi è referto, alcuni hano havuto dire: « La Franza fa per noi, che potremo far li facti nostri. Non dovemo aspectare che siamo butati a sacho ». Che altro non posso existimare vogliono dire se non de prendere partito, e cadimi essere li primi per acquistare el favore, mutandose stato, et essere sopra li altri. Queste cose vengono ad orecchie de li predicti magnifici, liquali, quantunche fano omne signo de affectione e fede verso Vostra Excellentia, e dicono volere havere quella fortuna in le cose sue chepsa havrà, li dano da pensare et al magnifico governatore è più uscito de bocha simile parlare: « Li sono de quelli che varano cerchare partito e dare Genua a la Franza lassando noi, ma quando le cose del Signor fussino desperate, anche noi doveressimo provedere ad li facti nostri, ma l’animo nostro è de perseverare fin al fine ». La Excellentia Vostra intende assai quello si voglia dire; alla quale liberamente dirò chepsa sola porta et favore et disfavore alle cose sue e li convene aiutarse cum le sue forze e provedere gagliardamente in campagna, perche el fondamento de le forze sta in campagna, che altramente 1 inimici haranno quanto voranno. Piada ad Vostra Excellentia monstrare in questo tempo la magnanimità soa e provedere presto, ne lassare che li inimici faciano più progresso, perche , secundo che da qui in dreto le fortificatione de le terre lassanino conforto agli amici, hora lassandose prendere, portino magiore disconforto, et se per disgratia venesse qualche nova qua de la perdita de qualche loco importante, non so come facessero costoro. Non è terra che più presto piglia el favore e disfavore de questa, e Vostra Excellentia el sa. È parso molto straneo a questi magnifici chepsa scrivendo la nova de la perdita de Anono, non habia anche scripto che provisione fa et è per fare ultra quelle sono fate, e che succorso aspecta sive aiuto e quando el potria havere. Pero 1 Excellentia Vostra se dignara darne aviso, e come più presto melio, per consolatione li predicti magnifici et amici, et per non lasarli cussi cum 1’ animo prostrato. Non tacerò che se Genua fosse data a Franza, seria de grandissimo damno a Vostra Excel- - 441 “ lentia , ma judico bene che non de mancho seria al Serenissimo Re Federico, e mi pare potere dire che accadendo questo, che Dio non voglia, la Maestà sua haria se non montare su una fusta e passai sene jn Hispania, e pero Sua Maestà per ben suo doveria prendere non minore cura de fare la provisione contra Franzesi che Vostra Exccellentia e dico presto et non andare indusiando. Preterea queste forteze non potriano stare pegio come stano, male fornite de fanti senza arme, et non possono venere, essendo come dicono in la terza paga; me pareria che Vostra Excellentia li provedesse al manco de cento fanti, e mandasse li suoi denari ad questi che li sono che le forteze; a questo modo non possono stare se non cum periculo in questi tempi. E stato dicto qua che Messer Vesconte è in via per ritornare ad 1’ Excellentia Vostra, e vene senza alcune conclusione ; che fa stare costoro assai più suspesi ; e pur che se dice che Vostra Excellentia non ha tanta gente da potere stare contra Franzesi in campagna , e che de quatro milia fanti che deve havere lo illustrissimo signor Galeaz non se po valere de 600 essendo el resto in le terre e forteze. Vedera Vostra Excellentia quanto li scrive Bartolomeo da Du-gnano de li fanti, e quello se po sperare de quelli de la Commu-nità: e pero non diro altro. Tutavia non mancharo de sollicitudine e diligentia. Mando incluso 1’ estratto d’ una lettera scripta de Niza de la Paglia et ad Vostra Magnificentia me ricommando. Genua? 18 Augusti 1499. Gaspar di Cropello, commandant du chàteau de Génes, À Ludovic Sforza. Ogi sono stati da me M. Micholo albanese et Bartolomeo de Lignago, capi in queste forteze; li quali me hanno facto intendere che queste compagnie ogni dì li molestano per lo bisogno che hano de li denari del suo servitio de doe page maturate et essere già più giorni passati intrati ne la terza, facendome grande instantia chio ne voglia scrivere a la Excellentia Vostra, e benche io mal — 442 — voluntera daga molestia a la Illustrissima Signoria Vostra de simile cosse, maxime in questi tempi, nondimeno, constrecto per conoscere il bisogno loro e per lo debito mio, me parso cum questa mia pregarla se voglia dignare de farli fare qualche provisione, aciò che li possano attendere a servire de bono animo. Como me rendo certo fara la Illustrissima Signoria Vostra, alaquale humilmente e de continuo me riccomando. Ex Castelleto Genuae, die 15 Augusti 1499. Ogi è stato qui da me Messer Bernardino Adurno, il quale me ha facto intendere in nome del signor Messer Zohanne che sei me bisogna dinari per spendere a beneficio de la Excellentia Vostra, che è aparigiato darmeli. Io lo ho ringratiato per parte de quella, et factoli intendere che la Illustrissima Signoria Vostra infino a qui ha proveduto e de continuo provede a quelle cosse sono necessarie per questa forteza, et de 1' altro canto ho mandato a domandare lo magnifico presidente, e li ho facto intendere tale proferta. La Sua Magnificentia me ha resposto esserli stato facto ancora a lei simile proferta per parte del predicto signor Messer Zohanne et haverli facto el debito ringraziamento. Del tuto ne ho voluto per lo debito mio avisarne la Illustrissima Signoria Vestra. A laquale humilmente et de continuo me ricomando. Ex Castello Genuae die 19 Augusti 1499. Della Illustrissima Signoria Vostra Fidelissimus Servitor Gaspar de Cropello. Fontana à Ludovic Sforza. 53 à 36. Li avisi de Venetia mandati per Vostra Excellentia ho communicati con questi magnifici, li quali hano ringratiato de la communicatione, et havendoli facto intendere la lettera mha scripta Vostra Excellentia de le provisioni facte et fi per defenderse da inimici da ogni canto, mandando el numero de le gente, se ne sono realegrati e molto conforiati, e tanto più quanto che le forze dei Francesi siano molto più debile non se stimava. Questo — 443 — anchora ha portato grandissimo conforto alli amici qua perche, nho parlato con molti citadini e facto vedere la lettera, e tuti stano de bona voglia. Tenendo per certo che 1’Excellentia Vostra harà victoria, e dieta lettera è stata causa de fare cessare molte zanze che erano per la cità. Siche Vostra Excellentia voglia mandarne de bone nove che li amici starano de bono animo. Genuae, 19 Augusti 1499. Joanne Durono, castellano del Castelnovo de Savona, ha uno fiolo nominato Octaviano, el quale è venuto ad me, et me ha dicto chel desidera servire ad 1’Excellentia Vostra in campo et non consumare questa sua juventute in una forteza, et che piacendo ad epsa concederli licentia, perche è vice castellano nel dicto castello, se transferira in campo, ove ha intefttione deportarse per modo chel acquisterà honore, et 1’Excellentia Vostra ne restara satisfacta: con subjungere che ha uno altro fratello, chiamato Petro Francesco , el quale se potrà sustituire ad loco suo de la vicecastellania et de uno altro loco chel tene quà nelle forteze, e tanto satisfara quanto lui, prégandome con grandissima instantia ad volerne scrivere ad P Excellentia Vostra et operare li conceda la licentia de andare in campo et sustituisca el fratello alli loci suoi. Io vedendo el gio-vene de aspecto e ben disposto de la persona e de animo de farse honore, mi è parso peccato chel perda tempo ad questo modo, et non ho saputo recusare de scrivere, et però prego Vostra Excellentia che se digna esser contenta che Octaviano predicto vadi in campo et Petro Francesco suo fratello sia sustituito ad li loci suoi, facendo in questo fare quelle lettere serano opportune; che ultra che epsa sera causa de fare uno valentuomo, io gli ne restaro obligato, e così la prego li piacia respondere de la mente sua. Ad laquale me ricommando. Genuce, 20 Augusti 1499. Questa matina, ritrovandome in palazo, è arrivato uno cavallaro che vene da Casale, el quale ha portato lettere al magnifico Governatore et M. Zoanne, che scrive el conte de Consa, che fo cognato del principe de Salerno, et hora è ad li servitù del Re di — 444 — Franza; el quale conte al presente è ad Gasale, essendo venuto de Franza, et per le lettere sue recercha ad li predicti magnifici salvoconducto de potere venire qua da epsi perchè li ha ad parlare. Sue magnificentie le hano partecipate con M. Aloyso Rapollo e con me, recerchandone del parere nostro circal fare resposta al dicto conte, pensando la causa perche li voglia parlare, che deve essere ad nome de Re de Franza, et prima si era dicto de avisarne l’Excellentia Vostra, poi concurrendo tutti in uno parere, si è facta resolutione de respondere ad esso Conte che essendo adesso li tempi che sono, non li pare de concedere salvoconducto alcuno, ma che se hano ad fare per alcuna sua particularità più una cosa che una altra la voglia scrivere, che voluntiera gli gra- O 1 tificarano; e così con una lettera de simile continentia remande-rano el cavallaro; delche avviso» P Excellentia Vostra; ad laquale me ricommando. Genu®, die 20 Augusti 1499. Essendo vista la risposta fa Vostra Excellentia al facto de larmata che seria impossibile ad epsa sola fare la spesa , et essere necessario expectare la resolutione del serenissimo Re Federico, e parso ad questi magnifici fratelli de licentiare le nave e non tenere più in malcontenteza li patroni et la cità, non recerchandolo adesso la condicione de tempi, ultra che hormai se po dire de intrare nel cativo tempo, e male se po nocere ad Venetiani con larmata come per altre ho scripto; ma perche le nave sono pur state parecchii di in porto, apostate a nome de Vostra Excellentia li predicti magnifici la pregano che se digna mandare el modo de satisfare de la dimora, aciò non se perda el credito per una altra volta, maxime con li amici, e con pocha summa se farano stare contenti, cioè con ducento ducati d’oro: pertanto Vostra Excellentia ne resta avvisata, la quale prego li piacia mandare dicti denari che mi sforzaro de fare con manco se possibile serà, ma laudo li manda omnino per non perdere il credito e per non acquistare malivolentia. Havemo tra questi magnifici et ine ordinato de fare ritornare li fanti de le forteze che sono per la rivera al loco suo, perche diete forteze sono tanto male in ordine che non se potria dire - 445 - più, e li fanti senza arme, e venendo el magnifico M. Zoanne in Lombardia è da tenere più cuncto de le forteze che non se fa, per tutti li respecti, maxime in questi tempi, perche in sua absentia potria seguire de li inconvenienti, e essendo le forteze col palazo ben fornite de gente, li inimici gli pensarano; per questo persevero in proposito che seria senon ben che Vostra Excellentia mandasse cento altri fanti; et el magnifico Messer Zoanne si è offerto servire de li denari, quando se vogliano fare qui; ma è parso de non acceptare altramente la offerta, per la spesa grande ha facto in metterse in ordine, e che 1’ Excellentia Vostra manda quelli fanti li pareva. El magnifico Messer Joanne Aloyso me ha dicto che Antonio Maria del Fiesco ha conducto qua 400 fanti, et è per fare omne altra cosa in beneficio del stato, e che 1’ Excellentia Vostra doveria fare provedere alla provisione sua, dico de Antonio-Maria. Resposi ad Sua Magnificentia che io ne scriverla in bona forma ad epsa, et me persuadeva li faria provedere; epsa proveda mo' come li pare. Ho preso exemplo de 1’ instructione data per li predicti magnifici fratelli ad quello è andato ad Venetia, quale se partite venerdì proxime passato et sera in questa incluso, acio Vostra Excellentia P intenda. Hogi se expedisse bon numero de fanti et se drizano ad Alexandria senza perdimento de tempo. Domane se farà el medesimo. Zobia proximo el magnifico messer Zoanne se inviara con una altra bona parte, e, restandone da expedire, serano expediti dopoi la partita sua, in modo che tuta la summa se ha fare qui et de li partesani se inviarono. Ne io manco di e nocte de sollicitare. Ad Vostra Excellentia me riccommando. Genuse 20 augusti 1499. El magnifico governatore me ha dicto che per due \olte è stato avisato da bono loco che Motino, quale staseva ad la guarda del Papa, et hora ha soldo de Sua Santità per duoi biegantini et una fusta, chel tene alla foce, deve andare con li bregantini ad Marsilia Atti Soc. Lig. St. Patri*. Voi. XXIV, fase- 2- — 446 - per levare el fiolo del Papa e condurlo ad Roma, e che li pare de apostare quattro bregantini qua, e mandarli dove parerano dovere passare quelli di Motino, et insieme far uscire le galee, così regie come de Vostra Excellentia, et fare omne diligentia per dare di piglio ad decti bregantini de Motino, perche potendo havere in le mane el fiolo del papa o el secretario suo, se potriano intendere molte cose; ma che ad fare dicto effecto bisognino denari, e con 300 ducati se faria la expeditione; con dirmi ne avisa subito P Excellentia Vostra. Et perche epsa questi giorni me scripse se dovesse stare con li ochi aperti, perche haveva noticia che San Pietro in Vincula et fiolo del Papa dovevano transferirse ad Roma, passando per queste parte 0 per Lombardia, mi è parso significarli presto quanto el magnifico governatore mi ha dicto, con farli intendere apresso che esso voghi mandare in mie mane dicti 300 ducati per poter spendere circa la predicta casone; perone io non li spenderò, senon intendero certamente de potere fare effecto bono, ma 1’Excellentia Vostra ha mandarli subito; che, quando se havesse el fiolo del Papa nelle mane o suo secretario, se potria scoprire tale cose che questi denari seriano ben spesi. Vostra Excellentia facia come le pare. Ad la quale mi ricomando. Genuas 20 augusti 1499. Ludovic Sforza à Fontana. Mediolani, 20 augusti. Havendo ricevuto le lettere vostre de 17 e poi quella del 18 mandate cum la celerità de la stapheta, et inteso el tutto, non pos-semo se non restare cum dispiacere et admiratione che per due terruzze che se sono perdute, se debiano quelli magnifici e li cittadini amici smarrire; donde a loro tocaria resvegliarsi et ingagliardirsi per aiutarne e confortarne nuy, li quali se deveno persuadere che, havendo lo stato che havemo, non lo vorremo perdere così legermente, perche, cum la gratia de Dio, P è de qualita de potere sustenere questa piagha per uno bon tempo; e fra tanto, — 447 - giungerano li presidii del serenissimo Re Federico e così quelli del christianissimo (sic) Re de Romani e del sacro Imperio, essendo la Cesarea Maestà resolta, come havete veduto per lo sommario de le lettere de M. Vesconte, de fare pace cum Svizeri, solo a questo effecto de poterne aiutare galiardamente; che havendo li Svizeri in tanta bona dispositione verso nuy, che già siamo securi de havere molte miliara de fanti, e già sono mandati li denari a M. Vesconte per levarli, et altri denari sono mandati in Alamania, pur per levar fanti, li quali tuttavia arrivano per modo che presto avremo in campo dodici milia Tedeschi, ne per questo se manca de fare de li fanti italiani. Qua è giunto il Reverendissimo Cardinale Sanseverino, quale ne ha dicto de la bona dispositione de M. Gaspar, suo fratello, de venire a servire in questi nostri bisogni, per modo che speriamo che presto li havremo; che siamo ancora in speranza de havere M. Antonio Maria et oltra questi, havemo molte altre poste de gente darmi, de cavalli legeri, che vengono da diversi canti de Italia, ut de gente darmi burgogni; che fra pochissimi di haveremo dui grossissimi eserciti, così contro Franza como contra Veneti; sicché quelli magnifici e li citadini non se deveno tanto smarrire ma deveno prendere animo, e, perche più propinqui, ricordarse quanto havemo facto e speso a beneficio loro et de tutta quella citta; la quale scia pur la comodità la presa sotto l’umbra nostra; e però, confortandoli tuti a fare bono animo, li pregarete a volere in quelli casi nostri dimonstrare che tengano memoria di quello se è facto per nuy a honore e beneficio suo, essendo hora tempo più che may da cognoscere li boni e veri amici, e per esser vicini corno sono e tanto più presto, e ricordarse che se perdite Novara e tuta la Riviera de Levante e poi ancora cum la via de Genua tuto s’ è recuperato. Non è cossa nova de Francesi. Habiano questo favore in questo principio, ma questo se fara cessare, e però che Domino Joanne voglia ognimodo venire, perche el venire de qua può servare le cose de la; lequale non havendo altra molestia se possino pur mantenere; ne tanto dubitare de li Spinuli. — 44S — Ludovic Sforza aux fréres Adorni. 2i augusti 1499- Gubernatori Genure et fratri, Per le lettere vestre de 15 havemo cognosciuto de quanto dispiacere ve sia stato la perdita de la Rocha, e quanta sia secundo lusato raffectione che ne portati, per la deliberacione facta del venire de vui messer Zoanne, et de adiutarne de mille partesani per 15 di. Chene è stato de grandissimo piacere e conforto, e confessamo havervi obligo grandissimo e de non scordarsi mai, corno anche non scordaremo. Interea ve ne ringratiamo quanto più possemo, confortando vuy, messer Zoanne, ad non manchare de partire lunedi, corno scriveti havere deliberato, et condure quello più numero di fanti che potereti; et havendo facto vedere se in quello dì è alcuna bonhora, e lo astrologo nostro dice che in quello dì alle 20 hore sara bono poncto de partirsi. Da M. Galeaz si è havuto quello che intendereti dall’ extracto de lettera sua, per el quale cognoscercte quanto sia necessario che vuy, Messer Zoanne, non manchati de venire, e cossi vi confor-tamo ad non perdere tempo. Ludovic Sforza à F. Fontana. Mediolani 21 augusti 1499. Domino Francesco Fontana?. Messer Francesco, Heri ne scrissemo a sufficientia per cxortare quelli Magnifici a fare presto li fanti, et inviarli de qua, e benche siamo certi non li debiano mancare, tutavolta stringendone el bisogno, vuy li confortarete e pregarete a non perderli tempo e farli tuti integramente, cum inviarli da mano in mano, e fare per modo che ne sentiamo quello fructo che per la vicinità e per farsi come si fano ne siamo persuasi dovere sentire, solicitando messer Joanne el venire suo. — 449 - Mediolani, 21 augusti 1469. Robino di Messer Joanne Aluisio quale fu questi di a nuy è ancora ritornato cum una instructione che demonstra malconten-teza et umbreza de Domino Joan Aluysio predicto. Per nuy a risposta depsa se he scripto quello che per l’incluso extracto ve-dereti; quale ve mandamo, acio sapiati parlarli in conformità e levarli ogni ombreza ne la quale fusse, perche lamano cordialissimamente , e siamo ancora disposti a fargline demonstratione; e perchè dicto Robino ne ha dicto alcune cose per le quale pare che non lo habiate a quello cuncto che si deva insiema cum quelli magnifici fratelli, ma che de le cose che lui vi ha communicate, le havete riferite a quelli fratelli, che non sono senza gravezza e dispiacere suo, el bisogna che in questi tempi vuy sapiate usare bono temperamento cum tuti, e fare in maniera che niuno di loro se possa dolere de vuy. De questo non havete a far parole, ma andare ben circumspecto, e sforzarvi de tenerli tuti ben contenti e disposti verso nuy. Mediolani, 22 augusti 1499. M. Francesco, inteso quanto ne significate havervi dicto el magnifico governatore de quello ho presentito, che Motino sia per andare a levare el fiolo del Papa, a nuy piace grandemente quello se propone per haverlo ne le mane, se possibile sara, e per poterlo dare meliore confidenza e non lassare.........che se sia per fare uno simile effecto, non è da far caso de intercepere el secretario ne altri de la casa del papa 0 del fiolo ; anzi, capitando qualchuno per de la, ne pare se li debia fare buona cera ed emon-strare che tutti quelli de la Santita di Nostro Signore fiano semper libero transito e per terra e per mare in quelle parti; e dal altro canto mettere mente purché sia possibile a potere haver la persona del fiolo del papa; et ad questo mettere ogni studio e cura; et acio non se rosti li dinari, ve mandamo li 300 ducati; quali advisati siano ben spesi per fare questo elfecto, ricordando chel se ado-peria bene a cognoscerlo, acioche qualche volta non 1 havesse — 450 - mutato habito e se facesse famulo de altri, e cosi se lassasse scapar che questo ne rincrescerla tropo. A noy non po se non rincrescere che essendone Genua cosi vicina como è, e dalaquale doveramo ben presto stentar li adjuti soi, se tarda tanto; tutavolta non lo volio però attribuire a negli-gentia che li sia usata, ma a qualche constellatione, essendo certo che quelli magnifici non li siano mancati dal canto suo. Resta che li solicitati a far questo et inviarli senza perdimento di tempo, che D. Johanne venga, essendo hogi la giornata alaquale doveva partire. Mediolani, 22 augusti 1499 Post scripta. Vuy farete ogni instantia a Messer Aluyse Rapoll chel paghi el compimento resta a li 1800 ducati, e quando non li pagasse, pregarete Domine Joanne a non restare per questo de compire el numero de li fanti et exborsare luy el dinaro che restara per la spesa nostra, e ne avisareti perche subito sopra la fede nostra gli lo remetteremo. Ludovic Sforza aux frères Adorni. Mediolani, 27 augusti 1499* Ritrovandosi Messer Galeaz, nostro zenero e fiolo, in Alexandria, con le gente darme e fanti che sapete, et non havendo al presente più sicura via de quella di Zenoa a mandarli denaro de quali rasonevolmente deve haver bisogno, havemo inviato per le poste Tomasino, nostro cancelere li, con ducati 2900 ad questo effecto; pero vi pregamo ad indrizarlo in Alexandria con dicti denari, dandoli compagnia che lo conduci sicuramente da Messer Galeaz. E perche in questa hora sono gionti duy de li nostri fanti de le forteze a ricerchare denari per le paghe loro e de la compagnia, per questo non havemo voluto retardare dicto Thomaxino, ma lassarlo venire al magnifico suo, ne mancho nè parso dargli alcuna commissione de dargli de questi denari per mandarli a Messer Galeaz, corno è dicto. Et perchè se persuadino che dicti fanti farano - 451 — l’aiuta grandissima; però haveressimo compiaciuto che vedesti de soccorerli de una pagha de presente, fazendo relatione di denaro a damno suo, perche, subito dopo haverlo havuto, velo inviaremo li dinari li per restituire li suoi, et per pagare li fanti de quello haverano havuto; e de ciò ne farete singular apiacere; pregandovi a farlo per ogni modo, perche ve ne saremo boni Tenditori et ultra ve ne restaremo con obligo grandissimo Ludovic Sforza à F. Fontana. Mediolani, 29 augusti 1499. Hogi al tardo havemo ricevuto le lettere vostre de 24 e 25 per le quale essendo segnata la partita de messer Zoanne per andare in Alexandria, ne havemo sentito grandissimo piacere, desiderando li succeda de potere intrare in Alexandria securamente, perchè l'andata sua non poteria essere più necessaria ne de magior conforto alli nostri, e cossi staremo in expectatione de intendere per la via de la se li sarà possuto intrare, e dovè se troverà. De la provisione facta per quelli Magnifici perche non mancha el denaro per mantenere el subsidio de li mille fanti a confirma dell’ amore quale sempre ce hanno dimostrato, e medesimamente dela provisione che hano facto in levarsi da canto li suspecti et in mettere in Castelleto Galeaz Spinula, del tutto li havereti a ringraziare, con pregarli a non manchare de fare de simili et alti e provisioni per tenersi ben sicuri, perche stando quelle cose de la salde, et facendo in epse precipuo capitale e fundamento, non hano a dubitare che nuy non restimo vittoriosi del canto de qua, se bene in questo principio sentemo oppressione per non esserli li presidii externi, quali saranno in brevissimi di. Per li fanti de la piazza provederemo in ogni modo, e cossi anchora mandaremo denari per li fanti de le foiteze, e de questo se ne stia de bona voglia, che questa delacione non li ha far man chare uno soldo, e possono ben pensare che la gran necessita nostra. - 452 — XVI. A m esure que la victoire definitive de Louis XII parut plus certame, la fidélité de Gene s à Ludovic Sforza parut aussi moins sùre. Costabili écrivait de Milan, dès le ao aoùt, que dès la perte d Annono, Gioanni Adorno « non mete cosi la venuta sua di qua cosi certa, subjungendo che quella terra va tittu-bando », et Costabili prévovaìt « che perdendosi Tortona, corno se dubita, aiutandoli li inimici indubitatamente Genova habia a far delle mutacioni et anche il Castelletto se habia ad perdere » (l). A la nouvelle de la prise d’Alexandrie, la vallèe de la Stella se rèvolta et la partisans de le France, les Fregoso reparurent A Mulazo. Dans cette extrémité les gouverneurs ducaux de Gènes jetèrent un dernier appel pour sauver au moins la ville et les partisans de Ludovic Sforza d’une totale destruction. Lettre des frères Adorni à Thomasino AMBASSADEUR DE LUDOVIC SFORZA. (2) M. Thomasino, Per risposta de quanto ne haveti rifferto sotto lettere credentialle in nome del nostro illustrissimo signore, havendone veduto et audito molto voluntieri, corno facimo sempre tutti li segni de sua Excellentia, vi diremo chel non era molto necessario che quello per mezo vostro ne confortasse ad stare cum constante e fedele animo verso la sua Celsitudine, perche, ultra che quella puossi per lunga experientia in molti modi havere cogno-sciuto la sincera fede e constantia nostra in tutte le occurrentie, tanto più desideriamo de puoterla bene far manifesta in questo tanto suo bisogno; pero che et la vita e li proprii figlioli intendimo de exponerli cum quanto havimo per conservatione del stato suo, et a Dio piacesse che le facultate e forze nostre fussino talle che la potessimo sublevare de li affari dove la si ritrova, pero che la co-gnosceria effectualmente havere pochi servitori che facessino cum migliore animo che nuy, senza alcuna reservatione; ne tanto quanto la vita ne bastara, mancharemo mai del debito, ricerchando cusi la sincera nostra servitù e devotione, cum li infiniti obligi habiamo (1) Modène, A. d. S. Carteggio ducale B 13. Lettre de Costabili au due de Ferrare, 20 aoùt 1499. (2) Milan, ibid. id. Lettre d'Agostino Adorni, Giovanni Adorni et Luigi Fieschi à « Thomassino » Ambassadeur du duc de Milan. - 453 - a la sua Excellentia. Non di meno, quella de l’altra parte ha da considerare dove nuy si ritroviamo, preclusi da ogni subsidio di quella, essendo perso Vuada, Gavio, Valtabio, Fiachone, Tertone et Cavalle, senza expectare da alcuno potentato uno minimo aiuto in presidio; la cita divisa che, per dover trovare certi puochi dinari per fare alcuni fanti da puotersi aiutare, quando le cose non erano anchora in quello disfavore che sono hora, e stato forza detenere in palatio 40 de li boni citadini de questa cita de la contraria factione; seguito poy la perdita de Alisandria chi ha dato tanto invagamento che non si potria dir più, per modo che la valle de la Stella si è ribellata e levatasi in arme, e venuto a Mulazo dui figlioli de M. Thomasino Fregoso. La natura de questa cita la Sua Excellentia la cognosce corno nuy e cum quali modi la si governa; pero restandone solo in tanti disfavori, lo presidio di quella se la cognosce da puotersi sustenere, nuy non intendimo mai de haban-donarla tanto quanto la vita ne bastera ; vero che da questa cita in questi disfavori non bisogna pensar de cavar uno soldo, e tutto quello dinaro havimo non ne bastaria uno mese e mezo, e poi bisognaria fugire e lassar la città in preda, quantunqua non saria in faculta nostra puoterlo fare, perche, anchora che li amici e con-iuncti nostri habiano bona dispoxitione, vogliano pero hora per hora intendere il modo si ha da puoterse sustenere, parendoli che queste siano guerre fuora delle consuete e dove li corre il tutto, e tanto più, havendo li inimici in casa, et essendo già stati mena-zati, che, non prendendo partito, debiano expectar la guerra; e poi tante terre che Sua Excellentia rese senza campo e quelle che lhanno havute essersi puocho sustenute, hano dato malo exemplo e gran timore ad ognuno ; però è necessario che quella me mandi il modo de puotersi regere con ogni celerità, e cusi la pregamo a remeterne qua appresso a lo commissario suo ducati 12000, infra giorni x al più tardo , chi serano la paga de 2000 fanti per dui mesi, e nui ne pagaremo mille de quello havimo; e cum questi 3000 fanti vederemo de andarsi sustenendo; ricordando alla prudentia sua che questa non è cita da esser posta a destructione, ne in facultà nostra saria puoterlo fare; che senza questo non saria possibile puotersi salvare, quando anchora la Sua Celsitudine in- - 454 - tendesse non puotesse reggere ley, saria anchora meglio che la si contentasse che cerchassimo di servare la cita, e li conjuncti e benevoli nostri cha lassarli in perdita, perche ad ogniuno non saria in forze nostre di puoterli riparare senza sustegno. Si domandano questi dinari predicti per dui mesi, perche da la Sua Excellentia a nuy non può più correre li cavalari al solito. Ricomandandone sempre in sua bona gratia. Genue die prima septerabris 1499. Augustinus Adurnus j Joannes Ludovicus de Flischo et > Ducales gubernatores. Joannes Adurnus ) XVII. Gènes suivit sans difEcuItè l'exemple que lui domuit la capitulatioa de Milan. Elle annonfa immedia-tement ì Trivulce qu’elle acceptait la domination royale. Trivulce transmit aussitit cette importante nouvelle à Louis XII (t). 11 s’empressa de donner un gouverneur royal provisoire i la ville de Gènes. Les Milanais désignèrent i son choix Scipion Barbavara, qui avait étc merabre du Conscil secret de Ludovic Sfona. Trivulce l’agréa, et sa nomination fiit bien accueillie par l’opinion génoise (a). Trivulce remercia les Adorni de leur obéissance au Roi (3) et la Commune de Milan felicita celle de Gène» de son adbésion au nouveau regime, en lui certifiant que ses priviléges ne seraient nullement atteints par la nomination de ce gouverneur royal (4). La soumission des Génois était d’ailleurs sincire et sans arrière pensée. Ils envoyèrent des commissaires (1) Milan, ibid. id. Lettre de Trivulce à Louis XII, sans date. Minute autog. « Christianissimo Francorum regi ». (2) Paris, Ministère des affaifes étrangères. Génes, 1456 à 1505. Memorie Genovesi, t. XII, fol. 240 sqq. à la date du 14 septembre: « Scipione Barbavara fu accettato da Giov. Giac. Trivulzio luogotenente regio. » (3) Milan, ibid. id. Carteggio generale. Lettre de Trivulce aux Adorni, 15 septembre 1499, Milan. Minute autogr. Dominis Augustino et Iolianni Adurnis fratribus. (4) Milan, ibid. id. Cart. gen. Lettre de Milan aux députés de Ia commune de Gènes, s. d. Minute orig. Deputatis communitatis Genuae. - 455 ~ tra Ji Levante (i) et dans la Riviera di Ponente (2) pour conseiller aux villes de ces de sui \ re leur exemple. Les instructioni de ces commissaires leur furent données au nom de Scipion Barbavara, des Ancien, et des Huit députós. Lettre de Trivulce à Louis XII. Cbrisiianissimo Francorum regi. Christianissime ac gloriosissime princeps, reverendissime domine noster serenissime. Scripseram proxime ad Genuenses ut urbem illam Majestati Vestrae dederent; a quibus responsum est, non modo libenter et alacri animo se in ejus ditione venturos et imperata facturos, sed omnes quoque viginti et quatuor ex omni primorum civium ordine elegisse, qui Majestatem Vestram adeant, ac illi fidem civitatis et singulare in eam studium exponeant (sic) et nos felicissimos successus gratulentur; et gubernatorem quem eo misi non modo libenter visuros, sed Majestatis Vestrae gratia omni honore prosecuturos et in summa veneratione habituros, facturosque ita ut facile ab omnibus cognosci possit Majestatem Vestram apud eos summa in observantia esse. Addit preterea Magnificus Dominus Augustinus Adurnus, qui gubernatorem agebat, se, ubi sceptrum novo gubernatori tradiderit, illuc ad Majestatem Vestram venturum. Cum haec summo totius civitatis consensu studio et alacritate facta sint, digni profecto sunt Genuenses qui a Majestatem Vestra inter chariores habeantur, et praesertim Dominus Augustinus cujus opera et consilio praecipue urbs illa in potestatem Majestatis Vestrae venit. Itaque illum Majestati Vestrae commendo; homo est enim ad continendam in officio cum Majestate Vestra urbem Genuam perutilis, tum pro(p)ter auctoritatem et bonitatem quae non mediocris est, tum quod praecipuo studio et fide in Majestate Vestra fertur. (1) Genova, A. d. S. id. Instructione, 2707 B. Instructio pro Ripana Onentah. (2) Paris, Ministère des affaires étrangères. Gènes, 1456-1505- Memorte Genovesi, t. XII, fol. 240 sgg., à Ia dat? du 18 septembre. Instructione di Scinone Barbavara etc. — 456 - Lettre de Trivulce aux frères Adorni. Dominis Angustino et Johanni Adurnis fratribus. Illustrissimi Domini tanquam fratres honorandi. Mediolani, 15 septembris r499* Littene vestrse undique singularem vestram in Regiam Majestatem observantiam ostendunt. Significant enim vos, ubi perlatum est M. D. Scipionem qui gubernatorem istic acturus est iter agres-sum, non solum, mutata sententia, adhesisse ordini jam facto, sed curasse quoque ut per magistratus idem fieret. Fecistis quod eos decet qui Christianissimam Majestatem summa veneratione prosequuntur, nec aliter a vobis expectandum erat, et nos, ea quoque spe moti, ut iter suum acceleraret fecimus. Quod ad litteras commendatitias quas peritis attinet, quam libentissime mos geretur et his verbis scribemus quibus Regia Majestas vos nobis magnopere cordi esse facile perspicere poterit. Nec in futurum deerimus, quantum nobis licuerit, res vestras juvare. Le gouvkrnement provisoire de Milan aux députés de la Commune de Gènes. Deputatis communitas Genuae. Magnifici Domini tanquam fratres honorandi. Si de fide vestra non rogati ad Christianissimam Majestatem scripsimus, fecimus quod et magnitudini nostrae in vos benevolentiae convenit, et quod singulari vestro in Christianissimam Majestatem studio, judicio quidem nostro, debebatur: nec de ea tam amplis verbis cum Majestate ipsa a nobis agi potuit quin majora etiam nobis polliceamur, nec deerimus et in futurum crebro de eo mentionem facere: quamquam id haud multum necessarium fore existimemus, sed danda etiam est a vobis opera et omnibus viribus elaborandum ut Christianissima Majestas reipsa cognoscat, non modo — 457 — vera esse quae nos ei de vobis scriptis nostris recepimus, sed etiam multo majora in vos esse quae nos quotidie praedicaverimus. Si-cuti vos pro prudentia vestra facturos non dubitamus. De legatis a vobis egregie procuratum est, fuitque istius vestri senatus sapientia dignum, laudamusque mirum in modum quod honorificentissimos cives delegeritis; nam uno facto et Chistianissimi regis amplitudini et urbis vestrae dignitati ac eximio vestro in illum studio satisfactum est. Petita vestra non modo rata et firma erunt et nullis obelis confossa: sed si quid ad urbis dignitatem et utilitatem augendam addi poterit, pro certo habetote Majestatem Regiam non minus libenter quam a vobis expetatur facturam. Magnifici Domini Scipionis adventus non modo non officiet privilegiis vestris, sed cum hinc quoque quanta sit vestra Regiae Majestatis veneratio liquido perspici possit, cum propter istius urbis ritum venientem fronte laeta excepturos vos ostendatis: currenti, ut aiunt, equo calcaria addet et Majestatem Regiam in vos belle amatam etiam atque etiam vobis denunciet. Itaque confidite et bono animo estote res vestras bene se habituras, cum tempus illud quod omnibus vestris expetebatur tandem advenerit et eum dominum sitis consecuti quod justissimus est et potentissimus, vos etiam peculiari charitate amplectatur et amplexurus sit. Instruction pour la Rivière de Levant. Instructio pro Riparia orientali. Spectabili commissarii nostri amatissimi, e le piaciuto a Nostro Signor Dio dal quale vene ogni bene, che siamo venuti suto lo governo de la Maestà del Christianissimo re di Franza, potentissimo e justissimo signor, soto loquale speremo, et ogniuno merito po sperare, che questa cita e lo destrecto e tuti demum Genoexi debiano vivere in pace e tranquilita et concordia fra luno e laltro, e debiano le nostre cose augumentare di bene in meglio, siando governo comune ad ogniuno; e cossi ogniuno ha da quietare li animi loro e da pensare di dovere godere questa gratia, quale Dio ne ha concesso, unde habiamo noi data forma - 458 - al vivere nostro per la venuta de lo illustrissimo governatore reale, e pacificata la terra da quelli lengieri tumulti che voi haveti visto; li quali pero non procedevano, se non da qualche private passione, e non alcuna alteratione ne detractione del regio governo; anzi, tuti a uno volere disposti per mantegnirlo, ne perso ancho avere simile pensamento per le rivere, membre nostre, acioche, come la testa sta contenta e se gode di tal assumptione, tuto il resto del corpo facia il simile ; e la Maestà dii Re veda la contenteza uni-versai de ogniuno. Pero havemo ordinato, confidandosi de la piu-dentia vostra, che dobiate andare per la rivera de Levante, de loco in loco, a pacificare e tranquilare quelli populi, liquali, secundo le passione loro, forse porria essere in qualche travagli e dissensione, et a reducerli ad quiete, facendoli deponere le arme e li odii, quanto in voi sia possibille, peroche, Dei gratia, eglie venuto tempo eguale ad ogniuno, uzandoli del dolce e deio amaro, secundo che recer-chera il tempo il loco e la conditione de le persone; lequale cose tutte seranno da considerare per voi, uzando ogni arte ed ingemo in ciò; e perciò vi dagemo lettere patente de auctorita per potere tal cossa fare come voi vedereti, peroche non vi possiamo particu-larmente dire come ve habiati a comportare, perchè il tempo e loco da il consegio. Lassiamo ale discretione vestre, in lequale se confi-damo; faciandovi intendere che non solum farete a noi cosa grata ma sera a la Maestà del Re acceptissima, faciando intendere ad ogniuno de quelli loci corno presto presto se deputerano in ogniuno de essi loci novi officiali, che serano in universal contentezza de ogniuno. Data Januas die xvii septembris 1499. Ceterum peroche la Spezia e quello vicariato mostra de bisognare più de landata vostra che lo resto de quella rivera, ne pare che habiate andare recto tramite a la Spezia, e de li incomenziare vegnando poi verso noi. Résumé d’Instruction pour la rivière de Ponent. Instruttione di Scipione Barbavara, governatore, Anciani et Otto deputati, data ad Ambrosio Saivago et a Geronimo de Moneglia, commissarii nella rivera di Ponente. - 459 - Che procurino d’ acquetare chi tumultuasse, ed esortarli alla obe-dienza del Re. — Che faccino deponere le armi et procurino d acquetare 1 odii. — Che il Signor di Tenda ha voluto entrare in Ventimiglia e se li è scritto, e queli li facino intendere che non sintrometta a turbare la giuridittione del comune. — Che facci il medesimo con Gio. Giacomo de Succarello per le cose ha tentate contro Albenga. — Che si scrive a Ventimiglia, e si lodano per haver ostato al conte di Tenda. XVIII. Le mois de septembre fut rempli par les préparatifs de l’arabassade que la République envoya à Louis XII à Milan. Le il septembre turent élus « officiali a rendersi al Re di Francia » (i) Jean Louis Fieschi, Giovanni Adorno, Gio. Battista Grimaldi, Angelo Chioccia, Melchior de Negrone, Stefano Giustiniano, Stefano Spinola, Ambrosio Lomellino, Antonio Sauli. Le nombre des ambassadeurs fut porté à 24, le 20 septembre, et le 23 on vota définitivement le texte de 1' « Instructio oratorum nostrorum ad christianissimum dominum regem Francorum dominum nostrum ». (2) Si fece procura per gli agenti del commune in persona de ventiquattro ambasciatori a rendersi al Re di Francia e li detti agenti del commune sono li infrascripti, cioè li officiali a ciò deputati nominati di sopra in altro loco. Anciani Battista Piccameglio, Bartolomeo Giustiniano, Raffaele Recco, Giovanni Battista Adorno, Domenico Lercaro, Mattheo Beviso, Simon Biglia notarius, Agostino de Roncho, Raffo Doria, Agostino de Vivaldi, Giovanni Battista de Negro, Martino de Grimaldi. Li 24 ambasciatori eletti furono Giovanni Pio Marin d’Altire, Nicolò Odorico, Christoforo Cattaneo, Nicolao de Brignali, Petro Baptista Ginto, Cigala, Andrea Cicero, Gio Ambrosio Flisco, Agostino Lomellino, Anfredo Usodimare, Gio. Ambrosio de Nigrone, (1) Paris, Ministère des affaires étrangères. Génes, 1456 à 1505. Memorie Genovesi, t. XII, fol. 240 et suiv. (2) Paris, ibid., Memorie, t. XII, f. 240 à la date du 20 septembre 1499- — 46° — Nicolao delli Amandolla, Bartolomeo Leva, Rafaelle Fornari, Ambrosio Resti, Pietro Calissano, Giovanni Baptista Fasio, Christofoio Spinola, Ansaldo Grimaldi, Hieronimo Saivago, Demetrio Giustiniano, Vincenzo Sauli, Giacomo Centurione, Gieronimo Doria. (i) Si da la instruttione alli 24 deputati andare al Re di Francia, nella quale sono limitate le conventione e conditione circa lo governo della città e del dominio, e, tra le altre cose, che contenga P obligo dal Re de recuperare la citta, le terre e stati occupati cosi a San Giorgio come alla republica, e tra quelli e di San Giorgio è nominata Pietrasancta, e tra quelle dal commune sono nominati Monaco, La Penna, Castelfranco, la Pieve di Fleio, Ta-gliacapuata, Cremorino e circonstanze, Ligorna et altri. SOMMAIRE DE L’iNSTRUCTION AUX AMBASSADEURS GÉNOIS (2). Instruttione di Scipione, Anciani et Otto deputati a Giovanni de Marin e compagni vintiquattro ambasciatori del Re. — Che pro-cedino unitamente e faccino che li loro giovani e servitori facino il medesimo. Che tenghino gravità e dichino al Re 1’inclinatione che se sempre havuta, ma che hora se ha tanto più al moderno Re, e che sebene altre volte il commune si è dato al Re per discordie o per altro, hora lo ha fatto per pura volontà, e si rallegrino del ducato di Milano ottenuto. Che confermi li capitoli e privilegi concessi etiamdio per li duchi di Milano, e facino el giuramento, salvo detti privilegj. Che se nelli privileggi nàscerà qualche difficoltà di poco rilievo, faccino ciò che le parrà, e se le difficoltà fossero gravi, scrivino et aspettino risposta. Che due terze parte di loro faccino deliberatione. Che havuta la concessione di capitoli, faccino el giuramento salvando quelli; e poi Giovanni de Marin dara lo scettro, Nicolo de vi) Paris, ibid. id., à I2 date du 23 septembre 1499. (2) Paris, ibid. id., t. XII, fol. 246, à la date du 10 octobre 1499- — 4^i — Odei ico 1 insegna, Christoforo Cattaneo le chiave, e Nicolò de Brignoli il sigillo. Che il Re ha scritto che visitato Milano venira qui; mostrino allegrezza di questo e lo preghino a farlo. Che procurino far confermare tutti li capitoli spettanti a San Giorgio; che ottenghino lettere del Re che commandino a Francesi che non molestino Genovesi, anzi rifaccino i danni. Che i Genovesi che sono al remo sieno rilassati. Che ricomandino l’isola di Scio, intorno alla quale Andrea Cicero, Demetrio Giustiniano e Vincenzo Sauli presentarano il memoriale per Maonesi. Che è utile al commune che Pisa stia in libertà, e però preghino el Re a farlo, e pure che in ogni caso non la dia a Fiorentini. Che scrivino spesso. Che s’ è inteso che il Re ha fatto patti con Fiorentini per liquali il Re li ha promesso Pisa, Pietrasancta e Sarzana, sotto pretesto che le habbino fabricate; et al incontro Fiorentini li hanno promesso soldati e cavalli, e perche per questa cagione s’è posto nelli capitoli al contrario, pel che procurino che siano concessi in quello modo il che seguendo resterà sodisfatto, e, quando li fussi fatto difficoltà che instino e dichino chel affanno havrebbe il commune, vedendo privarsi delli membri suoi, e dichino le ragioni e quanto danno alla reputatione e al resto se havera. Che dichino al Re che il commune è in continua guerra con Fiorentini, e che non innovi cosa alchuna con essi che pregiudichi alle ragioni a detto commune. Che San Giorgio è stato privato con inganno di Pietrasancta, e perciò vogli farlo reintegrare. Che instino che oltra li 200 soldati ordinarii che paga la citta, tenghi 150 altri, e die ordine che bisognando venghino aiuti di Lombardia. Che visitino Giovanni Giacomo Trivultio, il cardinale di Roano, quello di San Piero in Vincola, il gran canceliere et alti principi. Che dica al Domino Giovanni Giacomo che revochi il conte di Sentallo, mandato al governo de la riviera di Ponente, ma che Atti Soc. Lig. St. Patria. Voi. XXIV, fase. a. ^ — 462 — secondo la promessa e le lettere del Re, lasci deputare li officiali dal governo regio. Che non trattino di cosa alcuna etiamdio publica, che prima non habbino la confermatione delli privilegi. Che poi finiti i negocii publici, favorischino il fratello di Gaspar Saivago incarcerato, come saranno informati dal memoriale di detto Gasparo. Che non trattino di negocio alcuno spettante a loro proprii. Che recommandino i negocii di Gio. Ludovico di Fiesco, che ha usato tanta diligentia per servicio regio. Che procurino che Angelo Spinola di Locoli, figlio di Giovanni Antonio e li suoi beni presi a Sale, siano rilassati. Che Baptista Spinola, Pietro de Persio, Paris de Fiesco, Alarame Pallavicino et altri, sigortà per il duca di Milano verso il cardinale Fregoso li daranno memoriale, li favorischino. Che favoriscano anchora Napoleone Spinola, Giuseppe Siliioni, Pasquale Fornari et altri creditori della camera ducale. Che raccomandino al Re Nicola Fiesco, vescovo di Forli. Che se Agostino Adorno et altri per lui insterà che lo raccom-mandino al Re, lo faccino, et, intendendo che l’habbi preso a stipendio, ne lo ringraziarete. Che procurino che Genovesi possiano cavar legnami per uso delle navi dello regno come quelli di Marsiglia et altri sudditi del Re. Che se Giacomo de Re fara instanza che lo raccomandino per la recuperatione de suoi castelli, lo faccino. Che se Domenico Giustiniano 0 altri domanderà che li faccino fede che suoi figli sono quieti, che lo faccino. Che se Bernaba Centurione ne dara instruttione, faccino intendere che Nicolò dalla Torre, Genovese, habitatore de Forli, con uno galeone con un bregantino ha preso il gale de Paolo Pagliaro del Portomauricio, carrico di grani e merce a di 10 di settembre, in tempo che già la citta si era data al Re, e detto Barnaba facia instanza di essere raccommandato, lo faccino. Che il medesimo faccino a favore di tutti quelli a quali fusse stato fatto danno de Francesi, doppo che la citta si è data al Re. Che comandi, che non siano posti soldati nela chiesa di San - 463 — Francesco, dapoiche ultimamente si è fabricata una torre de la cittadella. Che instino che il Re commandi che Genovesi possano di Ale-magna condur argenti in Genova, come fanno i Todeschi. Che all* arcivescovato di Genova è sempre stato eletto un Genovese da ultimamente in poi; che instino al Re che opera col Papa che per baratto o per altro pervenga in un Genovese. Che procurino che il Re consenta che di Genova si possano condur specie in Franza e di la condur denar come possono li Marsigliesi et altri Francesi. Che raccomandino il vescovo di Mariano. Che procurino dintendere lanimo del Re circa le cose di Levante, e se disegnasse di fare impresa, instino che facci fabricare galere in Genova. Che favorischino Giovanni Spinula, signor di Serravalle. Che procurino che il podestà di Genova sia huomo da bene; venghi presto. Che procurino che li veluti si possano mandare e vendere in Lione, e che il Re operi che il Duca di Savoia revochi la proibi-tione di passare pel suo stato. Texte de l’instruction aux ambassadeurs génois. (i) Scipio Barbavara, regius Januensium Gubernator, consilium Antianorum et officium octo ad hsec deputatorum communis Januas. Haec sunt quae in mandatis damus vobis praestantibus viris Domino Johanni de Marinis et collegis, vigintiquatuor oratoribus nostris ad serenissimum dominum Ludovicum, Dei gratia Francorum, Sicili® et Hierusalem regem et Ducem Mediolani et dominum nostrum colendissimum, nostro nomine profecturis. Cum sciamus vos omnes prudentia valere, multa dicere praetermittemus: quae vobis superflua, aliis forsitan necessario dicenda (i) Genova, Archivio di Stato, Sez. Arch. secreto. Filza: * Instructiones et » relationes 2707 B. Instructio oratorum nostrorum ad Christianissimum domi-» num Regem Francorum dominum nostrum, 1499 ^'e 23 septembris ». — 464 — viderentur, considerantibus praesertim nobis notas esse causas profectionis vestra; adeo quidem ut omnia mandata vobis danda consilio dirigere studioque et opere perficere plene possitis. Pro consuetudine tamen rerum capita breviter attingemus. In primis laudamus ut omnia communi consilio et concordi voluntate peragatis, adeo ut omnium judicio laudari possitis vos unius civitatis cives esse et reipublicas nostras negotia unanimi consilio perficere, sine ulla rixa et odio; sed de vobis qui prudentia valetis , certe spes est omnia recte perfici debere. Major dubitatio est de juvenibus vestris, nam adolescentes, ut plurimum, si non omnes, aliqui saltem lasciviis dediti sunt. Ex lasciviis jurgia et contentiones oriuntur. Ex quo admonendi sunt ui modeste vivant et breve tempus itineris patienter et concordes tollant. Famuli autem magis ac magis vobis coercendi sunt ne a verbis ad gladios deveniant: quod aliquando fieri vidimus. Ex quo summam diligentiam in lioc adhibebitis. In summa cogitate talem concordiam inter vos ac etiam inter juvenes ac famulos vestros multas laudes afferre nobis posse. Et ex adverso infamiam gravaret vobis et nomini genuensi quod domi et foris querelare Genuensium ingenia vesciant. Cum vero ad conspectum Serenissimi et Christianissimi Domini Regis, domini nostri, accessuri eritis, studendum vobis erit ut vestibus ornati sitis cum juvenibus et famulis vestris. Sed super omnia modestia sermonis utamini. Incessusque vester sit gravis ut tantum regem allocutoros decet. Cum autem ad ipsum serenissimum Regem introgressi fueritis et litteras credentiales exhibueritis, flexis genibus dicetis nos et omnes Genuenses omnibus saeculis summo affectu et veneratione coluisse christianissimos Reges Franciae et Genuensem quoque rempublicam ab illorum majestatibus honoratam dilectamque fuisse tanto amore, ut in maximis crebrisque expeditionibus maritimis, quas pro gloria christianae reipublicae Serenissimi Reges illi contra infedeles paraverunt, arma, viri, classes nostras nunquam defuerint : in quibus promptam operam, fidem studiumque nostrum erga praeclarissimam Francorum domum semper ostenderimus, et victoriarum participes facti cum ingenti regiae coronas gloria devotionem semper retinuimus. Hxc et ejusmodi de - 465 — antiquis regibus revolventibus nobis succurrit quam saepe alias et nuper etiam, base etate nostra, urbem nostram in Serenissimos Reges tiansferre studuerimus. Quod facere ex justis impedimentis nequimus, adeo et palam sit nos nunquam desiderium status regii deposuisse. Nunc autem, cum serenissimus Ludovicus Rex in ìegnum successerit, et ante oculos nostros proponeremus inesse Majestati suae incredibilem benignitatem, summam sapientiam, intrepidam animi fortitudinem, maximam rerum experientiam in utraque fortuna saepe probatam, multiplicesque virtutes; cum primum licuit, statuimus dominium urbis et districtus Genuensium in tantum et tam praecellentissimum Regem transferre. Atque ut omnibus compertum est, si qua in alios reges et principes hujusmodi translatio facta est, semper inveniemur aut intestinis discordiis aut externis bellis fessos ad alienam opem confugisse; nunc autem, nullo metu nullisque periculis anxii, nullis discordiis agitati, nullo civili aut externo bello trepidi, tranquilla civitate, sine ullis persuasionibus externis, sola sponte animi nostri deditionem fecimus ; qua ex re facile dinosci potest nos fide sincera, cupiditate incredibili et singulari ardore dominium Serenitatis Suae semper concupisse, et nunc animum nostrum, re et effectu tradita civitate, ostendisse. Ob quod elegimus vos oratores nostros, ut iis et ejusmodi regi® Majestati indicatis, nos et hanc civitatem suam et omnes Genuenses pedibus serenitatis suae commendetis. Deinde etiam , volumus vos nostro nomine cum Serenitate sua congratulari pro amplissimo imperio paucis diebus parto, ex quo celeberrimum ducatum et opulentissimam civitatem Mediolani cum tot urbibus, oppidis, tot demum populis, recuperavit; in quo Majestatis suae felicitas enituit. Post haec petetis et nostro nomine orabitis ut concedere et confirmare dignetur privilegia, conventiones, immunitates et gratias quae nobis concessa; et confirmat® fuerunt tempore Serenissimorum dominorum Caroli genitoris et Caroli filii, et aliorum etiam prin-cipum qui in ducatu Mediolani praefuerunt, quibusque nos usi sumus et uti potuimus; quibus quidem capitulis concessis et comprobatis, juramentum fidelitatis praestabitis in forma consueta; de et super quibus omnibus dedimus vobis mandatum in forma sufficienti. Et tamen licet longam historiam texuimus, volumus ut, ex multis quae — 466 — dicta sunt et ex aliis quas prudentias vestras iudicarent, ea colligatis, et proferatis qua; convenire videbuntur, consideratis regio decore, locoque ac tempore et causa. Prasdicta enim non ad necessitatem, sed ad commemorationem prescripsimus. Et forsitan spectati domini oratores qui in collegio vestro sunt latinam orationem habebunt, in qua eleganter et copiose omnia accomodatissime explanare poteritis. Quod si in privilegiorum impetratione difficultates aliquas orirentur, examinate cujusmodi illas sint; si enim modici momenti esse vobis videretur, licentiam vobis damus assentiendi regiae voluntati. Declarantes hic et ubique quod, in omni re per vos agenda, duae tertias partes inter viginti quatuor summam faciant. Laudamus tamen ut mature in omnibus consideretis : sin autem difficultas magni esset momenti, cum nuncio celeriter significate nobis rei difficultatem, et quod opponatur concessioni eius, ut, acceptis litteris vestris, quod expediat quodque faciendum sit jubere possimus. Capitula autem quas requirenda a nobis sunt, distincte, ordinate vobis dabimus : quas ex antiquioribus capitulis extracta sunt qui in eamdem summam, ut per copias antiquorum capitulorum videbitis, datis a Bartholomeo de Senarega cancellario nostro; ex quibus cognoscere poteritis in hiis quae nunc reperimus pauca admodum esse addita vel innaceptata. Cum oraveritis quantum in prima expositione convenit et ad faciendam fidelitatem venietis, facta tamen prius capitulorum concessione et confirmatione, vos Dominus Joannes de Marinis primus sceptrum dabitis; Dominus Nicolaus de Oderico vexillum tradet; Cristoforus Cattaneus claves presentabit; sigillum vero dabit Nicolaus de Brignali; reliqui juxta aetatem ordinati manebunt, atque ut decet putabitis. Scripsit Regia Majestas statuisse post visitationem preclara; urbis Mediolanensis in hanc quoque suam civitatem venire; qua; res omnibus civibus jocundissima fuit, non quia habeamus aliquid quod tanto fastigio conveniat, sed quia honori patrias nostras proerit si in toto orbe vulgabitur nos adeo charos esse Majestati regiae, ut ad nos quoque venire et prassentia sua nos honorare et consolari dignatur. Itaque ut in proposito persistere dignetur orabitis, addendo - 467 - ad hoc convenientia verba, et tamen haec exponite loco et tempore congruo. In ordine horum capitulorum nostrorum describi jussimus petitiones Magnifici Officii Sancti Georgii, quas concedi et confirmari studebitis, quia omnia ad comperas Sancti Georgii pertinentia ad nos pertinere judicamus. Utile et omnino necessarium est litteras patentes a Majestate Regia impetretis: ex quibus jubeantur omnes mari et terra et precipue ductores earum navium quae Rhodum navigarent, ut ab injuriis et predis in Genuenses absteneant, sed potius Genuenses foveant, ut subditos Regiae Majestatis, et, si quid esset contra nos commissum, resarciatur et restituatur. Quarum litterarum triplicatas copias vel mittite vel afferte, ut in diversas regiones orbis mitti possint. Studebitis etiam impetrare quod Genuenses et districtuales ac subditi communis Januae quicumque, in triremibus aut aliquibus in terris Majestati Regiae subjectis, remo juncti aut incarcerati detinentur, omnino sine pretio liberentur; quum hoc gloriosum erit Majestati Regias qui captivos ipsos et eorum propinquos tali beneficio sibi in aeternum obligabit. Scitis quanti momenti et importanti® sit civitas et insula Chij, in qua multi Genuenses habitant; et quia negociationi Genuensium plurimum conducit, imo unicum refugium est navium et orientalis mercaturae nostrae. Ex quo pro viribus studete eam civitatem et insulam commendare Regiae Majestati, maxime quia id etiam ad gloriam ejus pertinet quod vexilla Regia in portubus orientalibus erigantur. Et quia Maonenses fecerunt memoriale Andre® Cicero, Demetrio Justiniano et Vincendo Sauli, in quo continentur aliquae particularitates Majestati Regiae de factis ipsius loci Chij exponendae, quod memoriale dicti Maonenses ordinaverunt nobis ostendatur, volumus ipsi Majestati Regi® parte nostra cum ea efficacia qu® in memoriali continetur, dicatis de facto loci quantum impoitat, super exploranda ejus mente de interprisiis contra infideles et in requirendo litteras de quibus in dicto memoriali fit mentio. Et completis his requisitionibus dicatis quod dicti Andreas Demetrius et Vincendus cum Majestate sua erunt de aliis particularitatibus, quos supplicabitis sua benignitas audire dignetur et exaudire. - 468 — Utile admodum huic civitati esse putamus quod respublica Pisana in libertate perseveret, et e contra damnum et periculum nobis afferre possit si in potestatem et districtus Florentiae veniret. Ex quo aptis verbis precari regem laudamus, ut auctoritate sua Pisanos in possessione libertatis confirmare et tueri dignetur. iEquum enim videre ut qui paucis ante annis libertatem recuperarunt, opera et iussu serenissimi Francorum Regis, nunc quoque Serenissimi Francorum Regis viribus in eadem libertate conserventur. Quod si aliqua ratio obstaret, ex qua hoc sapientissimus Rex concedere recusaret, tali casu orabitis ut saltem prohibeat ne in potestatem Florentinorum subjiciantur. Sunt Mediolani, ut audimus, legati Pisani, quos benigne audire poteritis; vos illis favete tantum quantum sine regia indignatione licebit. De omnibus rebus publicis volumus ad nos saepe scribatis: quod et officii vestri est et nos maxime cupimus (i). Et utile est etiam ut Regiae Majestati exponatis nos adhuc esse et durare in diuturno bello cum Florentinis, a quibus magnas injurias accepimus; et ideo rogabitis Majestatem suam ut in mente retinere dignetur, si quid esset agendum cum ipsis Florentinis, ita efficere ut nihil cum Florentinis agatur, quod viribus nostris nocere posset, ut omni tempore liberum sit Serenitati suae de nostra indemnitate cogitare et providere. Et nos tempore congruo indicabimus Majestati suae res et jura nostra, et tunc illa poterit rebus nostris nostraeque indemnitati providere et honori, qui suus est, quia nos sua; Majestatis sumus, prout asquius et convenientius summa; sapientiae suae videbitur. Quibus expositis, subsequenter dicere poteritis desiderium civitatis nostra; semper fuisse et adhuc esse ut Petrasancta Magnifico officio Sancti Georgii restituatur. Quod etiam gloriam regiam augebit, maxime quia vere per aliqualem fraudem subtracta nobis fuit. Et in hoc adducetis eas rationes quas convenire prudentiae vestrae iudicabunt. Ut privilegia et concessiones impetratas in forma autentica habere (i) Ici est insèrée Ju tnentioti suivcitile: 03* Hic intrat illud capitulum quod inferius incipit: Vobis omnia nota esse decet ect.; quod invenitur in ultima carta transcriptum. — 469 — ct Genuam vobiscum conducere possitis, massari nostri Stephanus Spinula et Antonius Sauli promiserunt, nobis praesentibus, quod pro expensis per vos legatos faciendis satisfacient, et similiter satisfacient pro obtentione cancellariae regia; pro privilegiis et capitulis subscribendis et vobiscum omnino conducendis. Quare curate persolvere tantum quantum honeste fieri potest, et nisi vos diligentes et moderatos cognosceremus, commemoraremus etiam vobis ut in aliis sumptibus mediocritatem servaretis. Volumus etiam regiae Majestati dicatis nos plurimum confidere ingenti potentiae et auctoritati Majestatis suae, et etiam concordiae et devotioni civium et tamen plurimum reputationi studendum esse. Et ob id serenissimus quondam Carolus Rex Franci® suos in Janua Gubernatores mittebat, cum aliqua conducta quae ad custodiam status regii permanebat. Et Illustrissimus Dominus Ludovicus toto tempore dominii sui pedites et equites hic continue tenebat. Et ob id orabitis Majestatem suam ut dignetur etiam ipsa ad custodiam et reputationem status sui hic tenere saltem pedites centum quinquaginta: qui cum peditibus ducentis, qui de nostro ordinario tenebuntur, satis esse videntur. Sanum praeterea consilium iudicamus, si eadem regia Majestas statuet et ordinabit ut supervenientibus aliquibus suspicionibus ex Asta vel presidentibus Lombardi®, provisiones nobis fiant sufficientes et periculis imminentibus convenientes. Et talis ordinatio etiam multum reputationi status conducet. Et cognita provisione peditum centum quinquaginta ut supra et ordine dato de provisionibus ad casus incertos ut supra dictum est, quicumque malum animum gesserit fede contenebit. Visitabitis Illustrem dominum Jacobum Trivulcium sub litteris credentialibus quas vobis dedimus, et dicetis nos post Serenitatem Regiam magnam spem rerum nostrarum cum Majestate regia concludendarum esse repositam in sua summa prudentia et benevolentia qua nos jampridem amplectitur. Ideo cum intelligamus Excellentiam suam auctoritatem et gratia apud serenissimum Regem plurimum posse, velle autem pro sua in nos humanitate non dubitamus, certa fiducia nobis est opera et consilio prudenti® su® res omnes nostras et petitiones ac privilegia facilem et bonum terminum habituras esse, et ideo ut annitatur spem nostram frustra non esse, — 470 — cum iterum et iterum rogabitis et deinde offeretis nos in omnem dignitatem suam ex animo paratissimos esse. Pari modo visitabitis Reverendissimos Dominos Cardinalem Rothomagensem et Sancti Petri ad Vincula et magnum cancellarium et alios praeclaros Principes quos judicabitis rebus nostris posse prodesse; explorando nomen, titulum et auctoritatem cuiusque, litterasque ad quemque scribetis et sigillabitis cum sigillo publico vobis sive egregio Bartholomeo de Senarega dato. Ipsi autem domino Johanni Jacobo dicetis nos ad excellentiam suam cum nuncio proprio litteras heri dedisse et rogasse ut revocare dignetur patentes suas ex quibus elegit Magnificum dominum comitem Sentali ad regimen fere totius Occidentalis Riparias. Quae res, praeter id quod confusionem in ea ora generat, id etiam est contra privilegia nostra, quas nostro nomine vos oratores a Regia Majestate petere debetis. Instabitis ergo ut ipsae patentes littera; a sua dominatione revocentur, et negocia nostrarum Ripariarum regenda permittat Illustri Domino regio Gubernatori nostro et magistratibus nostris, prout latius heri scripsimus. Et ideo copiam earum litterarum vobis damus, ut intelligatis quod a nobis scriptum sit. Et verba vestra cum sententia epistolas nostra; congruant. Dicetis etiam Domino Johanni Jacobo Serenissimum Dominum Regem Dominum nostrum suis litteris scripsisse ad nos jura patriae nostrae salva fore et idem Suam Excellentiam domino Bricio Iusti-niano et collegis promisisse, et etiam per suas litteras nobis significasse. Quarum litterarum originalia ipsa vobis dabimus, ut earum sententiam sequi possitis. Hactenus suprascripsimus causas que publicas videntur; tamen ut mentem nostram clare intelligatis, volumus in primis et ante omnia vigiletis et studeatis concludere et terminare concessionem et confirmationem privilegiorum et capitulorum nostrorum, de nulla alia re publica vel privata loquendo, nisi confirmatis dictis privilegiis et capitulis. Quibus privilegiis confirmatis, descendetis ad faciendam fidelitatem. Et deinde descendetis ad ea quas pro publicis suprapo-sumus. Quibus peractis aequum videtur ad privata intendere. Peractis autem praedictis publicis negociis et non antea, aequum videtur civibus nostris honeste favere. Idcirco, si Gaspar Salvaigus — 471 - vobiscum loquetur vel memoriale dabit de domino fratre suo qui jam multos annos in carceribus tenetur a certis subditis Majestatis regi®, sumus contenti omnem operam adhibeatis pro liberatione ejus; servando semper in hoc et aliis infradicendis debitum modum et honestatem, ita ut publica negocia non impediantur. Vobis omnibus oratoribus et singulis prohibemus omnino ne vestrum aliquis possit de re et causa vel negocio sibi et proprietati su® spectante cum Majestate regia aut deputatis ab ea loqui. Notum est vobis quantum valuerit opera et diligentia magnifici domini Johannis Ludovici de Flisco, qui pro statu et servitiis regiis multum vigilavit, adeo ut in deditione civitatis et componendis rebus omnibus studium et auctoritas ejus utilissima fuerit. Igitur volumus ut apud regiam Majestatem ipsum et ejus negocia enixe commendetis, verbis ita efficacibus ut intelligat commendationem ex vero corde proficisci, tantum tamen quantum sine lesione publica fieri possit. Johannes Antonius Spinula, quondam Pauli de Lucolo, etiam dabit vobis instructionem pro domino Angelo filio suo qui in oppido Salis captus est et Astam deductus et in carcere clausus fuisse dicitur, vos igitur operam facietis ut cum omnibus bonis ejus liberetur. Pr®ter hos, spectati viri Baptista Spinula quondam Petrus de Persio, Paris de Flisco, Alerame Palavicinus et alii, qui fidejussores esse dicuntur pro illustrissimo domino Ludovico, sive pro tunc Duce Mediolani, versus Reverendissimum quondam patrem Cardinalem Fregosum, vobis dabunt memoriale petitionis su®. Volumus igitur ut omnem operam faciatis quod Serenissimus Rex eum gradum assumat in causa eorum quem habebat olim Dux Mediolani. Similiter dicimus de Neapoliono Spinula, Geronimo de Glionibus, Pasquale de Furnariis et aliis qui creditores camera ducalis esse dicuntur. Sumus contenti et volumus operam adhibeatis ut pro creditis eorum satisfactionem habeant. Qui vero assignationes ab Illustrissimo tunc Duce habuerunt, ®quum videtur ut in eisdem assignationibus non perturbentur, sed eum gradum habeant quem prius habebant. Et quia predictus Neapolionus certam cabellam seu drictum emisse dicit, studebitis ut indemnitati ejus consulatur, — 472 — intercedendo et orando pro eis sub tali modestia qn® convenire vobis videbitur, prestando causas eorum omnes favores et ut ab eis vel aliquibus ex eis instructi eritis. Nota est vobis prudentia et gravitas moresque Reverendi Domini Nicolai de Flisco, episcopi Forojuliensis ; ex quo de eo nihil aliud dicendum est quam ut ipsum Dominum episcopum et ejus negocia Majestati Regiae commendetis; cum maxime intelligamus eum et fratrem ejus fidos esse servitores Serenitatis Regias; pro cujus gloria parati sunt et semper fuerunt. Si Magnificus dominus Augustinus Adurnus vel alius nomine suo requireret vos ut aliqua verba apud regiam Maiestatem vel deputatos ab ea faciatis, vel operam et favores vestros requireret, volumus ut omnes favores honestos loquendo et operando faciatis. Si vero intelligeretis eum ad servitia regia conductum esse et Majestati regis charum esse, ea causa regi® bonitati gratias agetis, quia hoc quieti patrias conducere potest. Utile etiam est a Regia Majestate impetrare ut liceat Genuen-sibus lignamina ad usum navium ex Provincia et regnis Majestatis suae extrahere, prout Massiliensibus et Arelatensibus, naturalibus subditis regiis, licet. Si Jacobus de Regibus, filius quondam domini Sifroni, intercessionem vestram apud regiam Majestatem requireret circa restitutionem castellorum suorum, sumus contenti ei faveatis, adhibita semper moderatione verborum ne importuni esse videamini. Si Britius Giustinianus vel alius ejus nomine requirerit vobis ut apud Serenissimum Dominum Regem vel alios testimonium faceretis de fide et obedientia filiorum suorum, dicimus id juste fieri posse, quia ad nos nunquam ulla de eis lamentatio aut querella pervenit, et asquum videtur benemerentibus veritatis testimonium facere. Volumus igitur ut ipsi Britio et filiis honestos favores praebeatis. Barnabas Centurionus vobis brevem instructionem dabit, ex qua vobis significabit Nicolaum de Turri, Genuensem, habitatorem Foro-julii, cum quodam galeono et brigantinis cepisse galeonum patro-nizatum per Paulum Palearium de Porto Mauricio , frumentis et aliis mercibus onustum, idque cepisse die decima septembris; quo tempore civitas nostra cuili toto districtu jam se dediderat Sere- — 473 - riissimo Regi Francorum. Quod si ita est, asquum est intercedatis ut galeonum cum omnibus ablatis restituatur, litterasque regias impetretis, directas omnibus officialibus regiis, ut dictum Nicolaum detineant et capiant et ad justam restitutionem omnibus remediis cogant. Si autem a dicto Barnaba instructionem non haberetis, tamen de hac re loquamini. Item dicimus de omnibus subditis nostris qui, post factam deditionem patrias nostras, a subditis regiis capti essent; quos asquum esse videtur liberari cum rebus eorum, ut publica et tanta laetitia omnes Genuenses perfruantur ; et ita rogabitis ut regia Majestas jubeat eos liberari cum rebus eorum. Et quantum honori divino et etiam humano conveniat res et loca sacra a religiosis et sacerdotibus custodiri et habitari vos intelli-gitis, et christianissimus quoque Rex et gens omnis gallica divinum cultum praecipue servant: ex quo cum in ecclesia sancti Francisci sepe aliqui pedites collocentur, turpe videtur sacerdotes cum stipendiatis in locis ecclesias habitare. Et ad hoc evitandum superioribus annis extructa est turris, et citadella est separata ecclesia ab his membris ut separatim quoque provisionati a sacerdotibus habitarent. Ob quod Majestatem regiam orabitis ut dignetur ita providere et mandare ut citadella a provisionatis habitetur et custodiatur, ecclesia vero cum membris ejus sacerdotibus et divino cultui libera relinquatur. Item oranda est regia Majestas ut dignetur ordinare et licentiam dare, ex qua liceat Genuensibus ex Germania, sive Alamania, per ducatum Mediolani argentum conducere sub modis, conditionibus et immunitatibus sub quibus ab Alamanis conducitur, ut hasc sua civitas ad quotidianos saltem sumptus argentum habeat. Et pariter liceat ex ducatu ipso Mediolanensi argentum Genuam conducere. Intelligitis archiepiscopatum Genuensem fere semper Genuensibus fuisse collatum, et id quoque superioribus annis nobis contigisset, nisi aliquorum favores obstitissent et vos, quomodo res processerit, plane intelligatis. Orabitis igitur Majestatem regiam cum summo pontifice efficacem operam dare dignetur ut episcopatus patriae nostrae concivi nostro conferatur, per viam permutationis aut sub alia forma quas sapientias Serenitatis Suae occurret. Nos autem id pergratum - 474 — habebimus et judicabimus, ut ita dicamus, ecclesiasticum oculum nobis esse restitutum. Volumus etiam ut, servato modo et tempore, regiam Maiestatem supplice oretis, ut jubeat et licentiam praestet qua species ex Janua conducere Genuenses possint et regnum intrare, prout licet illis qui conducunt ex Aquis Mortuis et Massilia, non obstante aliqua prohibitione. Praeterea orabitis ut Genuensibus permissum sit ex regno Franci® emittere et extrahere omni tempore omne genus auri et argenti, idque liceat tam tempore feriarum quam finitis feriis, prout concessum est Alamanis ; rogantes ut nobis subditis regus in hac re tale privilegium concedatur quale Alamanis. Volumus etiam ut regi® Majestati commendetis Reverendum Dominum Episcopum Marianensem sub verbis efficacibus, ut appareat eum esse nobis gratum et moribus et prudentia valere. Laudamus etiam ut studeatis vel a Regia Majestate , vel undecumque facilius et certius poteritis, intelligere qui animus sit regi® Majestati ad res orientales, et an ordo detur, et quo exercitu et quo tempore orientalem expeditionem preparaturus sit. Et si cognoscetis animum Majestatis su® ad hoc intendere et gloriam subigendorum infidelium concupiscere, quod certo nos animo futurum presagire videmur, eo casu non erit inutile Majestatem suam hic fabricare aliquot triremes qu® in talibus expeditionibus necessari® sunt, imo sine illis expugnari insui® et loca maritima non possent; ex quibus locis maritimis magni redditus a Rege Turearum per-cepiuntur. Si Magnificus Dominus Johannes Spinula Serravallis, etc., favores vestros peteret, eos pr®state Magnificenti® su® tantum quantum auctoritas et gradus ejus requirit, et prout pro concive benemerito decet intercedere. Curate ut potestas Janu® cito veniat, qui sit vir strenuus, et qui innocentes perservare et improbos meritis poenis afficere possit et sciat. Laudamus etiam ut curetis ita provideri ut panni serici Lugdunum et in totum regnum mitti et intrare possint non obstante prohibitione regia. Et quia nobis notum est Illustrissimum Dominum Ducem Sabaudi® impedire ne Lugdunum merces nostrae - 47 S - mittentur, imo mandavit ut Gebennas prius accedant, ideo rogabitis ut Majestas regia dignetur efficere ut tale mandatum annul-latur, et mercatoribus nostri libere liceat Lugdunum et totum regnum accedere et intrare, recto itinere, sublato impedimento dicti Illustrissimi domini Ducis Sabaudi®. Vobis omnia nota esse decet, et quia divulgare hoc inutile est, ideo hoc intra vos examinate et intra pectoris arcana tenete : intelleximus a probato auctore Florentinos superiori trimestri cum Serenissimo Domino nostro capitula firmasse, ex quibus Rex Pisas, Petrasanctam et Sarzanam pollicitus est, hoc argumento quod ea oppida veniunt restituenda, quia capta aut devicta non fuere, sed ab seipsis Florentinis regi data, et ideo ab regia Majestate restituenda esse; ex adverso Florentini promisisse Regi dicuntur quatuor peditum milia cum armigeris sexcentis, sempercumque Rex petierit et contra quoscumque voluerit. Et quas capitula citra paucos dies confirmata dicuntur. Quae res nos maxime pungit, vosque ipsos pari dolori affici non dubitamus ; ob id in capitulo de defendenda civitate et districtu et aliis addidimus verba, per quae specifice de Sarzana et aliis defendendis mentio fit, et similiter addita aliqua verba fuerunt specifice loquentia in capitulis Sancti Georgii de eadem materia, prout latius ex lectione eorum capitulorum et verborum expressorum videbitis. Cum igitur ad confirmationem capitulorum venietis, hoc quoque inter alia confirmari studete; simpliciter tamen et pure, ne quis ex vultu et verbis vestris concipiat vos aut dubitare aut repulsam metuere; et si confirmabitur, tunc erit rei nostras recte provisum; si vero Rex aut auditores vestri hasrerent et concedere eam petitionem idque capitulum recusarent, tunc, servato modo qui cum tanto Rege et domino nostro convenit, dicetis vos incredibili dolore affici, et nisi confirmetur, ingentem maestitiam patriae et universo populo allaturos esse, quas eo major erit, quoniam universa civitas incredibili cum gaudio deditionem fecit et serenitatis suas dominium libentissime et cupidissime acceperat, pacem, augumentum et rerum nostrarum redintegrationem sperans, et eorum que possidemus firmam securitatem sibi promittens. Nunc si audiant membra nostra dilacerari et Sarzanam Florentinis reddi oportere, quem animum habituri — 476 — simus Majestas regia consideret, pro ingenti et certa spe sub alis serenitatis regias concepta in desperationem incideremus vix posse unquam in melius resurgere, et ex summa omnium voluptate in maximos luctus deveniretur; qui tantus esset ut major esse non possit, tum praster id oppidum quod magno precio et muniendo nobis constat, tum etiam quia propugnaculum est Ripariae nostras orientalis et nostras terras includit, tum etiam quia Genuensibus est maxima ex parte habitatum, et intra districtum nostrum ex antiquis legibus nostris nominatur et comprehenditur; tum super omnia quod omnem reputationem et extimationem perderemus apud omnes gentes, et quasi ludibrio res nostrae haberentur et spreti ac contempti a regia Majestate diceremur, si Florentini m benivolentia apud Regiam Majestatem nos superarent. Haec et eujsmodi proferendo rogandoque, studete regiam Majestatem in nostram sententiam traducere et capitulum confirmare. Et si diceretur vobis Regem nobis justiciam facturum esse, id non acceptate, et Illustris domini Johannis Jacobi, Reverendissimi domini Cardinalis Sancti Petri ad Vincula et aliorum quorumcumque poteritis spem, operam et intercessionem requirite. Hoc dicimus* si vos soli impetrationi non possetis sufficere. Et insuper per Serenissimum Imperatorem possessio dicti loci Sarzanas confirmata fuit, et credimus vobis posse dare instrumentum dictas confirmationis. Data Genuas die xxm Septembris 1499. - 477 ~ XIX. L ambassade génoise fut re^ue à Milan avec de grands honneurs. Le récit de son séjour dans la capitale Lombarde et de ses querelles de préséance avec les Florentins trouvera place ailleurs, et je ne ra’y arrète pas ici. Cette ambassade fit l’acte de transfert de la souveraineté de Gènes à Louis XII, et obtint de lui la confirmation de ses privilèges. Ces deux textes importants méritent, quoique la substance en soit bien connue, d’étre publiés ici: Acte de soumission de la république de Génes à Louis xii (i). 26 octobre 1499. Translatio inclytae civitatis Janue ejusque dominii in christianissimum Regem Francorum Dominum nostrum. Ludovicus, Dei gratia Francorum, Siciliae et Hierusalem rex Mediolani dux ac Janue dominus. Ad perpetuam rei memoriam. Cum nuper dilectissimi nostri antiani et deputati ad regimen civitatis nostra; Janua; oratores suos viros praestantes ad nos destinaverunt ut nobis fidelitatem, reverentiam et subjectionem, ipsius civitatis et populi Januensis nomine debitam, praestarent et exhiberent, dictamque fidelitatem, subjectionem et obedientiam solemniter in hac nostra insigni urbe Mediolani receperimus; prefati oratores, nomine quo supra, certos articulos, dictae civitatis et populi nomine, nobis porrexerunt, humiliter supplicantes ut pro nostra in dictam civitatem nostram benevolentiam concedere dignaremur. Quos quidem articulos particolariter vidimus et per dilectos et fideles consiliarios nostros nobiscum assistentes diligenter videri et examinari fecimus, illisque sigillarim responsiones dedimus, mo-remque illis, quantum salva ratione et auctoritate nostra fieri potuit libenter, gessimus. Cujus quidem fidelitatis nobis prestiti nec non articulorum et responsionum predictorum, tenor de verbo ad verbum sequitur, et est talis. In nomine Domini Jesu Christi ejusque Natalis. Anno 1499» dictione tertia, die vigesima sexta mensis octobris. Magna, immo (1) Milan, Bibliothèque de Brera, AE XII 48. Atti. Soc. Lig. St. Patri*. Voi. XXIV, fase. J. - 47s - maxima semper fuit reipublic® Genuensis fides et studium erga christianissimos Francorum reges, maxima veneratio et devotio, ita ut nuli® pene fuere expeditiones maritimae quas invictissimi et christianissimi predecessores Franci® reges adversus hostes christia-nissimi nominis anteactis temporibus fecerunt, quibus Januensium opera et obsequio usi non sint; quo factum est ut non modo ab ipsis Januenses diligi, sed etiam beneficiis prosequi, meruerint. Qui, cum hoc tempore viderint serenissimum Dominum Ludovicum Regem , summa sapientia, ®quitate, clementia, humanitate atque animi magnitudine pr®ditum, ad regium solium erectum, in quem omnes belli pacisque conditiones Optimus Maximus Deus cumu-lasset, cum primum externa impedimenta sublata sint, ipsum serenissimum Dominum Ludovicum respexerunt, et ad suam benignitatem , velut in tutissimum portum, refugere decreverunt. Unde factum est ut, vocatis in eorum palatio primoribus civium, et ex omni ordine frequenti consilio, civitatem et rempublicam Genuensem, communi omnium consensu, nullis externis persuasionibus, nulla cum vi, sed sola voluntate adducti, se et Rempublicam Januensem sub imperio et protectione Majestatis su® reduxerunt, cupientesque fidem et studium quod diù corde gerebant, non modo ipsi serenissimo christianissimo regi, sed etiam toto terrarum orbi, manifestare, ad Sacratissimam Suam Maiestatem venerunt magistri spectabiles et clarissimi doctores et viri Domini Johannes Pius de Marinis, Dominus Nicolaus de Oderico, Christophorus Cattaneus, Nicolaus de Brignali, Stephanus Cigala, Andreas Cicero, Johannes Ambrosius de Flisco, Augustinus Lomellinus, Anfreonus Ususmaris, Johannes Ambrosius de Ligrono, Nicolaus de Amigdula, Ansaldus de Grimaldis, Bernardus Salvaigus, Bartolomeus de Ceva, Raphael de Furnariis, Ambrosius de Zerbis, Petrus Calissanus, Johannes Baptista de Fatio, Demetrius Justinianus, Vincentius Sauli, Jacobus Centurionus et Hieronymus de Auria, omnes oratores, sindici, mandatarii et priores communitatis, populi, civium , universitatis et civitatis Janu®, ut constat publico instrumento mandato confecto per dictum Stephanum de Bracellis, notarium publicum et cancellarium communis Janu®, cujus tenor de verbo ad verbum sequitur et est talis: — 479 — In nomine Dei amen. Qui quidem oratores, sindici et procuratores sindicarioque et procuratorio nomine Magnificae et potentis Communitatis et totius populi ac communis civitatis Januae et subditorum quorumcumque dictae communitatis, tam in partibus ultra quam citra marinis, ubicumque sint, et successorum suorum, et aliis omnibus jure, modo, via, causa et forma, quibus melius et validius potuerunt et possunt; intervenientibus ibidem omnibus actibus et solemnitatibus, quae in talibus et similibus tam de jure quam consuetudine requiruntur; sponte, libere, deliberate et ex certa scientia, nullo metu nulloque juris vel facti errore ducti; ad summam Dei laudem et gloriam, qui cuncta tam caelestia quam terrena, gubernat, ac gloriosae Dei genetricis et Beatorum sanctorum Johannis Baptistae, Ambrosii, Antonii, et Georgii militis, totiusque caelestis curiae triumphantis, et ad honorem, exaltationem et augmentum perpetuum prelibati christianissimi Domini nostri Francorum regis, suorumque in regno successorum, et ad tranquillitatem perpetuam et felicis status augumentum dicta; civitatis et communitatis Januae, ejusque populi et subditorum quorumcumque, precedentibus multis notabilibus sermonibus et multis aliis notabilibus solemnitatibus, libere, expedite et absolute remiserunt, tradiderunt, dederunt, consignaverunt et relaxaverunt, remittunt, dant, tradunt, relaxant, dimittunt et consignant, ac praesentium vigore transferrunt in praefato chri-stianissimo Domino nostro Francorum rege et successoribus suis in regno, nobis notariis et secretario regio infrascriptis ut publicis personis stipulantibus nomine praelibati christianissimi nostri regis et Domini et ceterorum suorum in regno successorum, possessionem et dominium dictae civitatis et comunitatis Janua; locorumque et subditorum ac jurium ejusdem, per traditionem sceptri, vexilli, clavium et sigilli, quam fecerunt infrascripti videlicet Dominus Johannes Pius de Marinis sceptrum, Dominus Nicolaus de Ode-rico vexillum, Dominus Christophom Cattaneus claves, Dominus Nicolaus de Brignoli sigillum; recognoscentes, nominantes et acceptantes eumdem serenissimum Dominum nostrum Regem et successores predictos in veros et legitimos dominos dictae civitatis, communitatis et aliorum locorum dicta; civitatis Januas, et prelibato christianissimo Domino nostro et suis jamdictis successoribus offe- — 480 — rentes et prostantes subjectionem, reverentiam et obedientiam debitam uti vero domino, et cetera facientes quae subditi fidelissimi domino suo tacere tenentur; constituentes dicti domini, sindici, oratores et procuratores, dicto sindacarlo et procuratorio nomine, se tenere, magnificam civitatem Januas presentem et dictam magnificam communitatem cum omnibus locis, civibus et aliis supra nominatis et traditis, nomine prelibati christianissimi Domini nostri regis et successorum suorum in regno, donec per se vel alios ejus nomine corporalem possessionem acceptent; quam accipiendi et in se retinendi pro se et successoribus in regno prelibati mandatarii licentiam et plenam libertatem extulerunt et tradiderunt, dant, tradunt, et concedunt. Postquam predicti domini oratores, sindici et procuratores, sin-dicario et procuratorio nomine, flexis genibus, reverenter constituti in presentia prelibati christianissimi Domini nostri Francia: Regis, volentes et intendentes debitum fidelitatis et subjectionis juramentum prefato domino regi et suis successoribus in regno, et ipsius fidelitatis et subjectionis plenam promissionem facere, promiserunt et solempniter promittunt dicto procuratorio nomine prelibato christianissimo domino nostro Franciae regi et successoribus suis in regno, nobis, notariis infrascriptis, stipulantibus et recipientibus , juraveruntque et jurant ad Sancta Dei evangelia, manibus tactis corporaliter sacrosanctis Dei scripturis, super quodam missali quod christianissimus dominus noster rex in ejus tenebat manibus et in manibus nostrorum infrascriptorum recipientium et stipulantium nomine prefui christianissimi domini nostri Francorum regis et ejus successorum in regno, prius eidem et cuilibet ipsorum dilato juramento per prelibatum dominum regem et nos notarios, dicto nomine, in animas et super animas ipsorum et dictorum communitatis et subditorum suorum quorumcumque, videlicet quod, i presenti hora in antea usque in perpetuum, et cunctis temporibus, dicti sindici et procuratores suis et dictis nominibus, dicta communitas, antiani, populus et subditi quicumque dicre communitatis Januas et successores sui perpetuo erunt fidelissimi, boni, perfecti, 'eri et sinceri homines, subditi et servitores ipsius christianissimi e°is et successorum suorum predictorum in regno, et quod nullum — 481 — alium viventem seu naturaliter vivere potentem seu moriturum, cujuscumque status, dignitatis, preheminentiae et gradus existat, etiam si de eo necesse foret specialem fieri mentionem, etiam si ab iis intelligi posset exclusus, non recognoscent in dominum suum nisi ipsum serenissimum et christianissimum Dominum nostrum regem et successores praedictos suos. Item, quod dictam civitatem Januae cum omnibus civitatibus, terris, castris et juribus suis, de quibus supra, tenebunt et custodient et salvabunt, sicut tenentur et debent veri subditi, ad gloriam, nomen et vice ac nomine et ad utilitatem dicti christianissimi Regis et successorum suorum praedictorum, ac de ipsis disponent ad mandata praedicti christianissimi regis et successorum praedictorum. Item, quod gubernatores, potestates, officiales, castellani, capitanei, rectores et cujuscumque alterius generis officiales, mittendas litteras, mandata, nuntios, legatos et ambassiatores ipsius serenissimi regis et successorum predictorum reverenter recipient et eis sine exceptione obedient. Item, quod nunquam erunt in aliquo tractato, disputatione seu colloquio, machinatione, opere seu facto, in quo tractetur contra praefatum christianissimum Dominum regem seu ejus successores praedictos ne contra ejus personam seu statum, neque in quo tractetur sive fiat quod Dominus christianissimus rex et sui successores pnedicci perdant personam vel membrum vel aliquid quod tenent vel tenebunt, seu lesionem aliquam in se vel persona patiantur; quin immo si aliquid perspicerint pro posse obviabunt et notificabunt domino christianissimo Regi et successoribus, per se personaliter si poterunt, et si non poterunt, per nuntium vel litteras. Item, si contigerit Dominum christianissimum regem et succes-sores praedictos in regno, aliquid de praedictis vel de his quae tenet ac de acquirendis per ipsum perdere, illud toto posse recuperare jurabunt, et si contingeret ipsum christianissimum regem et ejus successores ut supra ab aliquo, cujuscumque dignitatis existat, aliquam oppressionem, injuriam et damnum recipere vel ìedpere posse, in genere vel in persona, quod ipsum serenissimum Regem et ejus successores praedictos toto posse juvabunt sine exceptione aliqua. Item, quod si ab eisdem vel aliquo ipsorum aliquod consilium — 4^2 - peteretur per ipsum serenissimum Dominum regem vel ejus successores praedictos, illud dabunt quod ei videbitur pro meliori. Item, quod si quicquam eis in secreto committeretur per ipsum , serenissimum Regem et suos jamdictos successores, quod illud nemini pandent nec aliquid facient propter quod pandatur, sine ipsius serenissimi regis licentia. Item, quod cetera omnia alia et singula facient quae quilibet fidelissimi servitores et subditi facere tenentur et debent, bona fide et sine fraude et omni diligente studio et pura mente. Item, juraverunt et jurant dicti sindici dicto nomine, in omnibus et per omnia, prout jura requirunt, secundum formam capitulorum utriusque veteris et novae fidelitatis formae. Quae omnia et singula praefati oratores, sindici et procuratores, suis et dictis nominibus, promiserunt et promittunt, ac jurarunt et jurant ut supra praefato serenissimo et christianissimo domino regi, stipulanti et recipienti pro se et successoribus suis, habere et tenere rata, grata et firma; eaque omnia ad requisitionem praelibati Domini serenissimi regis, per commune et civitatem Januas ratificari facere, et ipsa omnia supra - et infrascripta attendere et observare, et nullo modo contrafacere nec venire, per rectum vel indirectum, tacite nec expresse, nec aliquo quaesito colore, per se nec submissas personas, nec aliqua occasione vel causa, quae dici vel excogitari posset, sub poena refectionis et restitutionis omnium et singulorum damnorum interesse et expensarum per ipsum serenissimum Dominum Regem vel dictos ejus successores patiendorum et ferendorum, sub hypoteca et obligatione omnium bonorum ipsius communitatis et ejus subditorum. Renunciantes dicti sindici, oratores et procuratores, dictis nominibus, versus praefatum serenissimum regem, stipulantem et recipientem ut supra, pro se et suis successoribus, exceptioni non factae fidelitatis, promissionum, recognitionum, obligationum, juramenti et pt edictorum omnium et singulorum, non sic actorum et gestorum, exceptioni doli mali metus, actionique et exceptioni in factum, et generaliter omnibus probationibus et productionibus testium, jurium et instrumentorum contra predicta ; salvis concessionibus et responsionibus ad petitiones et capitula dictae commu- — 483 — nitatis Januae per regiam Majestatem factis; prout in eisdem concessionibus et responsionibus inferius insertis continetur, et de praedictis praefatus serenissimus et christianissimus re jussit et mandavit. Praefati vero oratores et sindici et procuratores sindacario et procuratorio nomine dictae Magnificae communitatis Januae et subditorum suorum rogaverunt per nos infrascriptos notarios instrumentum publicum confici unum et plura ejusdem tenoris. Acta sunt haec Mediolani, in castro Portae Jovis, anno et die su-pradictis, in praesentia RR. DD. Julii Cardinalis S. Petri ad Vincula et Georgii Cardinalis de Ambasia, episcopi Luxonensis, Herculis ducis Ferrariae, Ludovici Marchionis Salutiarum, Petri de Rohan et Johannis Jacobi Trivultii, marescalli Franciae, Ludovici della Tremolile, Ludovici de Alleviun domini de Piennes, Stephani de Vesc senescalli Bellicadri, cambellanorum regiorum; Johannis Spinulae domini Serravallis, Johannis de A uria militis, Petri Baptistae Justiniani, Hieronimi Sauli et Petri Johannis Selvaighi. Sic signatum: D. Florimundus Robcrtet, notarius et secretarius regius, una cum infrascripto Domino Bartolomeo de Senarega, notario et communis Januae cancellario, jussus et rogatus, pra*sens confeci instrumentum, quod in aliena manu fideliter describi curavi, et in fidem premissorum nomen et signum meum apposui : Robertet. Dominus Bartholomeus de Senarega quondam Ambrosii publicus Imperiali auctoritate notarius et excelsi communis Januae cancellarius, praedictis omnibus dum sic agerentur interfui, jussusque et rogatus una cum Magistro Florimundo Robertet, notario et secretario regio, praesens confeci instrumentum, quod in aliena manu fideliter describi curavimus, et in fidem rei gestae nomen et signum meum apposui consuetum. Privilèges de Louis xii k la ville de Génes (i). Item sequitur tenor articulorum et responsionum. Ad honorem, exaltationem, gloriam, augumentum et sublimationem in perpetuum (1) Milan, ibid. AE XII 48. — 4S4 — prelibati Serenissimi et Christianissimi Domini Ludovici, Francorum , Sicilire et Hierusalem regis, ducis Mediolani ac Januas domini et pro pace ac tranquillitate dicti excelsi communis et populi Januse et magnifici consilii Dominorum Antianorum ipsius, universorumque civium et subditorum ejusdem, pra;fati sindici et oratores, constituti ante pedes et in praesentia praelibati Christianissimi Domini Ludovici, Francorum regis, procuratores ut supra totius civitatis et communitatis Januensis, cum potestate, arbitrio et bailia ab illustrissimo Domino Scipione Barbavaria, regio pro nunc in Janua gubernatore, et magno consilio Dominorum Antianorum et octo civibus ad haec deputatis, ut ex supradicto instrumento apparet, petierunt et requisierunt iidem sindici oratores et procuratores dicto nomine confermari et de novo concedi petitiones, capitula et conventiones infrascriptas descriptas & descripta. I. De gubernatore eligendo. Et primo quod Serenissimus et chri-stianissimus Dominus Ludovicus, rex Franciae, et illustrissimi filii et successores in regno teneantur et debeant in civitate Januas constituere unum qui vocetur Regius in Janua locumtenens et gubernator, qui sit vir prudens et magnas auctoritatis et, quantum fieri possit, moribus nostris conformis: qui omnino non sit Januensis, sed ultramon-tanus, si ita placebit regiae Majestati; qui, una, cum et de consilio et auctoritate Magnifico Dominorum Antianorum, juxta consuetum in civitate Janua: et simul tum territorio, ditione et omnibus pertinentibus ad Dominium Januae et Rempublicam Januensem, ad laudem et gloriam regiam et utilitatem ipsius civitatis faciet statuta, regulas, decreta, et ordinamenta civitatis Janux ; et qui gubernator non possit in regimine durare ultra annos tres. Responsio. Regia Majestas concedit. Quantum autem ad id quod de triennio in triennium mutetur, respondetur quod, etiamsi gubernator esset primogenitus Regis et maleversaretur, statim removeretur ; sed, quamdiu idem Gubernator bene se habebit in ipso officio, non videtur amovendus, nisi ad beneplacitum regis. Circa aliam partem quod nihil per ipsum gubernatorem seu locumte-nentem fiat sine consensu Antianorum, regia Majestas concedit quod ipse gubernator seu locumtenens aut ejus vicarius cum consilio antianorum regat et gubernet, prout fieri consuevit, salva in omnibus auctoritate Regia: Majestatis, ut est consuetum. - 485 -- Ch. II. De Electione Potestatis et Judicum. Item, quod potestates futuri civitatis Januae et alii quicunque judices, officiales et magistratus Januae administrent et ministrare debeant jus et justitia, secundum formam capitulorum decretorum et ordinamentorum per Dominum Gubernatorem et antianos ac deputatos dictae civitati Januae ; et illis deficientibus, secundum jura romana, et prout est solitum fieri in civitati Januae ; et quod dictus potestas et officiales curiae suaenon possint esse aut eligi cives Januas vel districtuales origine aut habitatione, sed externi. Qui dictus potestas et officiales curia; suae habeant vel habere debeant a communitate Januae et de pecunia dicti communis salarium ordinatum et seu deputatum, ordinandum et seu deputandum, per Dominum Regium in Janua gubernatorem et locum-tenentem et consilium Dominorum Antianorum et alios ad hujusmodi salaria persolvenda deputatos, et quod dictus potestas et officiales possint et debeant sindicari secundum formam, statutum et ordinamentum civitatis Januas. Ch. III. De juramento prastando Regia Majestati. Item, quod universi cives Januas et seu sindici dicti communis et seu habentes potestatem a dicto communi, possint et praestare debeant debitum juramentum fidelitatis praedicto serenissimo et chri-stianissimo domino regi et successive filiis Majestatis suas et aliis in regno et dominio successuris, quod dictum commune Januas et universi Januenses erunt boni viri et legales subditi prasfati serenissimi regis et filiorum ut supra, et II. R. Regia Majestas concedit. HI. R. Regia Majestas acceptat ut fiat fidelitas in forma quas fuit facta duci Philippo Marias. — 486 fideliter eisdem et legaliter observabunt promissa, et renovabunt dictum juramentum fidelitatis, semper et quando-cumque ad omnem requisitionem prae-fatorum serenissimi regis et filiorum, ut supra. IV. De juramento fidelitatis ber vas-sallos faciendo communi ]anu — XXXIV. De Hospitiis et apparatibus XXIV. Domorum. Servato loco et tempore, studete ini- R. Regia Majestas concedit, petrare quod, si quando venire hanc urbem aliquos principes et prxdaros viros continget, et cui vel quibus praeparari hospitibus civitas statuerit, talis apparatus domorum et aliarum rerum per illustrissimum Dominum Regem Gubernatorem et magnificum Senatum et ceteros urbis magistratus deliberari, fieri et ordinari debeat. XXXV. (i) Le requeste le quali si hanno a fare prò parte del Magnifico officio di San Giorgio alla Sua Maestà del christianissimo re di Francia, sono l’infrascripte : i. Che Sua Maestà si degni approbare, corroborare, ratificare e confirmare tutte le declarationi, concessioni et privilegii, indulti, decreti, jurisdictioni e ragioni, conventioni et gratie, translationi cosi de dominii dell’isola di Corsica e d’ogni altri luoghi ubique positi, come delle gabelle del sale, decreti, sententie, libertate, consuetudine et ogni altre ragioni, date e concesse cosi per via di lettere come per altre scritture, et qualitercumque et quomodocumque al magnifico officio de Sancto Giorgio et compadri et alli protettori sive agenti di quelli, così delli agenti per la Communita nostra come da ogni Signoria, laquale habbia havuto governo, dominio et protettione sive possessione quolibet della città nostra per lo tempo passato usque al presente giorno; lequali tutte cose ad cautelam faccia, et conceda di XXXV. R. Regia Majestas confirmat et approbat omnia in hoc articulo, usque ad ultimum inclusive contenta, et concedit quod illis utantur. (i) Le texte de ces pétitions sans les réponses est conservé aussi à Génes, A. d. Stato. Di\ersoruni, mazzo n.° 22, sous la date du 1" avril 1500. - 499 — nuovo per più ampia e maggior fermezza. XXXVI. ltem, che si degni Sua Maestà dichiarare che in alcuna parte delle predette cose concesse ut supra aliquo modo directe vel indirectum, tacite vel expresse, fosse stato per tempo alcuno derogato vel non osservato quello si contiene in essi privilegii, concessioni, e translationi, et dichiarationi, in toto vel in parte, come di sopra si dice, per lo tempo passato, s’intenda esser nullo e de niun valore tutto quello fosse stato derogato e non osservato ut supra, insino che le dette cose ut supra dichiarate s’intendano restare in suo robore et viridi observantia o siano in quel grado come se fossero state sempre observate, non obstante aliqua in contrarium consuetudine seu observantia. XXXVII. Item, che Sua Maestà si degni commettere et ordinare che le predicte cose siano inviolabiliter osservate dalli suoi officiali, che sono e saranno prò tempore deputati per Sua Maestà al governo e reggimento della città di Genova et suo distretto e dalli altri luoghi, et siano obligati di rettori et officiali e ciascuno di loro osservare e far osservare ogni cosa suddetta per virtù delli detti capituli, sempre che saranno requesti dalli agenti per le dette compadre e a quelle dar ogni aiuto, favore et prestare il braccio loro contra ognuno contradicente, sub poena indignationis Majestatis su* et aliis gravioribus signis. Quas quidem responsiones p omnia et singula in eis contenta XXXVI. R. Regia Majestas confirmat prout in XXXVto supra proximo. XXXVII. R. Regia Majestas omnia illis concessa observari faciet, prout in prece-dentibus proxime dictum est. r nos Ut praemittitur factas, ac ex nostra certa scientia et regiae — 5 oo — potestatis plenitudine in omnibus et per omnia prout jacent, concessimus et tenore praesentium concedimus, perpetuoque observari volumus et jubemus, mandantes praeterea carissimo et consanguineo gubernatori et locumtenenti nostro in dicta civitate Januae et ejus districtu, et ceteris officialibus nostris praesentibus et futuris, ad quos spectat seu spectabit, quod omnia praedicta et eorum singula servent et facient per quos decet observari, sine contradictione aliqua. Quoniam sic fieri volumus, et, ut praedicta firma et stabilia perpetuo perseverent, sigillum nostrum his praesentibus duximus apponendum. Datum Mediolani in arce nostra Castri Portae Jovis, in mense octobris anno Domini 1499 et regni nostri secundo. Per regem Dominum Januae, Dominis Cardinalibus Sancti Petri ad \ incula et de Ambasia, episcopis Luxionensi et Brinsensn, Foroliviensi, Duce Ferrarias, et Marcinone Salutiarum, Dominis de Giè et Johanne Jacobo Trivulcio, maresciallis Franciae, et della Trimoille, de Pienes, de Boutarghe, de Grinault, senescalco Bel-licadri, et aliis, praesentibus. Robertet. XX. Pendant son scjour à Milan , Louis XII accorda d’assei nombreux privilègi et d'imporunu* dorutions à des citoyens Génois ; il confirma Ics privilèges de la ville de Savone. Qjielque» uns de ces actes méritent d’ètre cités ici: , CONFIRMATION À J. SPINOLA DU DOMAINlì DE SaINT-RaVAL (i)- (Octobre 1499). Loys, par la grace de Dieu, roy de France, de Sicilie et de Jhe-rusaletn, due de Millan et Seigneur de Gennes, savoir faisons à tous présens et à venir, nous avons receu humble supplicacion de nostre amé et féal conseillé et chambellan Jehan Spinolle, che-valier, seigneur de Saint Raval, contenant que naguères et depuis la conqueste et reducion par nous faicte de nostre duché de Millan, (1) Paris, Archives Nationales, jj, 233, n.° 37. — 5oi — il nous «i fait ainsi que tenu estoit, la foy et hommaige du chas-teau, territoire, seigneurie et juridicion dudit Saint Raval, tenu et inféaudé de nostre dit duché. Ausquelz foy et hommaige, nous l’avons receu, sauf nostre droict et l’aultruy. Et combien qu’il y ait longtemps que ses prédessesseurs et lug tiennent et possèdent ledit chasteau, territoire et seigneurie de Saint Raval, et layent re-congneu de noz prédécesseurs ou aucupateurs de nostre dit duché, et aussi que nostre dit Conseillè et Chambellan suppliant le tient et possède à présent paisiblement et nous en a fait ledit hommaige ; toutesvoyes, pour plus grand fermeté et coroboracion de sondit droit et possession, il nous a requis le confermer et entre-tenir en icelluy et sur ce luy impartir noz grace, lettres et provi-sion convenables. Pourquoy, Nous, les choses dessusdites considérées et les bons, sins;uliers et recommandables services que nostre dit Conseillè et Chambellan le Seigneur de Saint Raval nous a par cy devant et au paravant nostre dite conqueste fait en maintes manières, qu’il nous fait encores et espèrons qu’il face en l’avenir; . A icelluy, pour ces causes et autres à ce nous mouvans, désirans favorablement le traicter et luy subvenir en ses affaires, avons en le continuant, confermant, et entretenant au droit, possession et tiltre qu’il a en ladite Seigneurie de Saint Raval, octroyé et octroyons , voulons et nous plaist que luy et ses vraiz hoirs et successeurs puissent et leur loyse tenir, possèder, joyr et user dicelluy chasteau, territoire et seigneurie de Saint Raval, ses apar-tenances, dépendances quelzconques, et en prendre, percevoir, re-cevoir les fruiz, prouffiz, revenuz et émolumens soubz les chaiges, condicions, foy et hommaige, resort et superioritè, et tout ainsi et par la forme et manière que sesditz predécesseurs luy en ont par cy devant deuement joy et usé. Si donnons en mandement etc. Donnè à Millan, ou moy d’Octobre Pan de grace Mil cccc quatre vings dix neuf et de nostre regne le second. Ainsi signé Par le Roy, duc de Millan, Monseigneur le Cardinal d’Amboise et autres présens: Robertet. Visa contentor: Barbot. Collation faicte à Poriginal. J. Erart. — 502 — Lettres de naturalité pour Urbain Captaine ET LoYS SON NEVEU (l). (Octobre 1499). Loys par la grace de Dieu Roy de France. Savoir faisons à tous prèsens et i venir: Nous avons receu humble supplicacion de Urbain Captaine et Loys Captaigne (sic) son nepveu, contenant qu’ilz sont natifz de nostre ville et cité de Gennes, et que long temps a ilz se sont habituez en nostre ville de Paris, où ilz ont fait la plus part de leur résidance, et se ilz sont tousjours honno-rablement conduitz et gouvernez et monstrez bons et loyaulx à nous et à nostre royaulme, et en icelle se sont mariez et ont acquis quelques biens meubles en intencion dy user, acomplir et finir leurs jours, mais ilz doubtent que, obstant ce qu’ilz ne sont pas natifz de nostre dit Royaume, que, après leur décès ont voul-sistent mectre empeschement en leurs dit biens et les prendre de par nous corame biens aubains à nous escheuz et avenuz par droit d aubenage, et en frustrer et dèbouter leurs vrais héritiers, silz n estoient par nous habilitez à povoir tester et disposer de leurs dit biens; requerans humblement noz grace et provision leur estre sur ce imparties. Pourquoy, inclinans à la supplicacion et requeste lesdits supplians, à iceulx, pour ces causes et autres considéracions à ce nous mouvans, avons octroyé et octroyons, de nostre grace special piaine puissance et auctorité royal, par ces présentes, vou-l°ns et nous plaist qu’ilz puissent et leur loyse acquérir en nostre dit Royaulme tant et tels biens meubles et immeubles qu ilz y pourront licitement acquérir et d’iceulx biens, ensemble de ceux qu ilz ont ja acquis, joi'r et user paisiblement, en ordonner et disposer par leur tesiament ou autrement ainsi que bon leur sem-blera et que leurs héritiers, qu’ilz ont à présent ou pourront avoir le temps à venir, leur puissent succèder et appréhender leur pos-session, tout ainsi et par la forme et manière que se eulx et leurs (1) Paris, Arch. Nat. jj, 233, n.* 36. - 503 - dits hoirs estoient originaires et néz de nostre dit royaulme et lesquelz, quant à ce, avons habilitéz et habilitons de nostre dite grace et auctoritè par ces dites présentes sans ce que aulcun em-peschement leur soit ou puisse estre fait mis ou donné ores ne pour le temps avenir en aucune manière au contraire, en nous payant la finance modérée pour une fois seullement. Sy donnons en mandement, etc. Donné à Millan en moys de Octobre l’an de grace mil cccc imxx dix neuf et de nostre règne le second. Ainsi signé: Par le Roy, Jehan de Pierrepont, maitre des requestes ordinaire de l’hostel. Présent: Cotereau. Visa contentor: O. Budé. pRIVILÈGES DE LA VILLE DE SaVONE (i). (Octobre 1499). Ludovicus, Dei gratia Francorum, Sicilliae et Jherusalem Rex, Mediolani et Genuse dux, ad perpetuam rei memoriam. Solet regia Magestas concessa a majoribus suis privilegia indultaque statum prosperum subdictorum suorum conservantia liberaliter confirmare, ratificare et approbare, maxime hiis qui constantes, boni et fideles subdicti clarissimis indiciis sunt comperti. Notum igitur facimus nobis per dilectos nostros Urbanum Vegerum, Gevesium de Man-dello et Bernardum de Ecclesia, oratores et sindictos ad nos expresse destinatos pro parte dilectorum subditorum et habitantium civitatis nostrae Saono fuisse humiliter supplicatum qualiter per duces predecessores nostros reges Francorum dominos Genu® nec non duces Mediolani temporibus retroactis, fuerunt plura privilegia, pactiones, franchisi® et libertates concessa et concessae quae sunt et fuerunt in maximum favorem dictae eorum civitatis et omnium habitantium in ea et quibus inconcusse usi sunt temporibus proteritis et utuntur de prosenti, ac tamen sine nostra spedali confirmatione dubitant per officiarios nostros super hiis aliquando (1) Paris, Arch. Nationales, jj, 233, n.° 33- — 5°4 — molestari in eorum et dictre communitatis gravissimum prejudicium; supplicantes humilime super iis literis nostris patentibus eis provideri opportune. Quare, singularissimum amorem nec non legali-tatem et fidelitatem , quem et quas dicti supplicantes erga nos et nostros predecessores plana fronte temporibus praeteritis demonstrarunt , in animo revolventes , illosque hiis de causis regalibus munificentiis volentes premiare de nostra certa scientia, gratia speciali, plenitudine potestatis et auctoritate regia, confirmavimus, ratificavimus et approbavimus, nec non harum serie confirmamus, ratificamus et approbamus omnia et singula privilegia, conventiones, franchisias et libertates dictis supplicantibus concessa seu concessas per predecessores nostros antedictos reges Franciae sive duces Mediolani ; volumusque prout supra quod illi possint libere, pacifice et quiete et sublato quocumque impedimento uti et gaudere absque contradictione aliqua catenus quatenus temporibus retroactis rite et recte usi sunt et utuntur de praesenti, omni contradicione cessante. Mandantes igitur dilectis et fidelibus nostris, etc. Datum Mediolani in mense octobris anno domini Millesimo ccccmo nonagesimo nono et regni nostri secundo salvo in aliis jure nostro et in omnibus quolibet alieno. Datum ut supra. Sic signatum: H Bohier. Per regem, domino cardinali Sancti Petri ad vincula episcopo Lucionensi dominis de la Trimoille et aliis praesentibus. H. Bohier. Fisa confetitor: O. Budó. Malgré les instances de U ville de Génes, qui le 28 septembre avait déja nommé une cotninission dc douze personnages pour veiller aux préparatifs de la reception royale (1), Louis XII retourn* en France sans passer par Gènes. Scipion Barbavara ne resta pas longtempi en fonctions ; il «ut éviter que le changement de souverainité ne fùt accompagni de désordres. Une instruction du JO septembre signée de lui et des Anziani ordonne i Giovanni de Revo « Che procuri di accomodare le discordie de gli huomini di San Remo, esortandoli a viver quieti sotto il Re che facci ragione indiferentemente » (2). (1) Paris, Ministre des afTaires étrangères. Genova, 1456-1505, Memorie Genovesi, 28 sept. 1499. « Si delibera che si eleghino dodeci che habbino cura dell’ ordine per la venuta del Re christianissimo. .. (2) Paris, ibid., t. XII, 30 sept. 1499. - 505 - Louis XII ne voulut pas laisser le gouvernement de Gènes aux mains d’un Milanais. Il substitua le 4 novembre à Scipion Barbavara Philippe de Clèves, seigneur de Ravenstein (i). Ka\enstein prit un gran nombre d’arrètés pour assurer le maintien de l’ordre public et le respect des bonnes moeurs. Le 3 janvier 1500, le héraut public annon^a 0 parte illustrissimi et excelsi domini Philippi de Clèves, Ravastein domini, admirati et regii Januensium gubernatoris, et magnifici consilii Dominorum Ancianorum », qu il était fait dèfense de pousser des cris orduriers et d’allcr sous les fenètres Jes cito)ens en les appelant de noms obscènes, à peine dechàtiments corporeis « da tre fino a quattro tracti da corda » (2). Le 14 janvier i$oo, il fut fait dèfense à quiconque d’entrer dans l’arsenal sans la permission des gardiens, à peine de dix florins d'amende ou de deux tradì da corda (3). Les partisans de Ludovic Sforza ne cessérent d’ailleurs pas d’intriguer pour renverser la domination fran-?aise à Gènes. Adorni s’était retiré i Naples d’où il ne cessait de surveiller la politique générale de Ludovic et d’exciter le roi Fridéric. Voici une lettre remarquable qui montre l’importance de son róle à Naples. (4) Elle s’adresse, sous le nom d’un correspondant, peut étre imaginaire, à Ludovic Sforza lui-mème, comme il est aisé de s’en apercevoir: Giovanni Adorni a Vittorio Vittorini. (Suscription :)____mio carissimo quanto fratello Victorio Vittorino Io non scrivo compiutamente a Vostra Excellentia sapendo che de qua si supplisse, e tutto quel è stato in me ho sempre facto intendere ad Aluis de la Cella, cussi de le nove corno de lo ducato de Bari, e perche esso sopra ciò supplirà, non mi extendero. Messer Corradolo è qua molto in gratia del Re di Napoli et a me è parso a proposito non despiarlo per le cose del duca de Milano quà, e tanto più vedendo che havea havuto de la Maestà Sua tutto quel havia in pecto, esso si era pur alquanto alterato vedendo esser venuto Aluise senza alcuna introductione da lui; pur tra tutti se siamo sforzati tenerlo directo, poi si è alquanto restaurato per una littera del Duca de Milano a misere Alberto, ove fa mentione de tacti soi; e quanto a me, ne credo bene; et esso monstra dispositione quantunche da sei (1) Paris, ibid., t. XII, 4 nov. 1499- Si accetta governatore Filippo de Cleves mandato dal Re. (2) Gènes. A. di St. Diversorum. Mazzo 1,3 gennaio 1500 - « Praeconate vos praeco communis ». (3) Gènes, ibid. Diversorum, mazzo 1, 14 gennaio 1500. (4) Milan, A. d. S. Carteggio generale. Lettre de Adorni à Vittorio Vittorini, chiffrée (moins les passages en italique), Naples, 7 janvier 1500. — 5 o6 — giorni in qua habii mandato uno suo cancelero a Milano, che ha pur dato al judicio mio un pocho de stimulo al Re d'1 Napoli ; ma V opinione che ne ha è mancho bona, che inclina sempre ad pigliar la bona parte, ma sopra tutto conclude che levarlo de qua et alterarlo saria pessimo consilio, perche intende tutto quello è passato per le mano a la Sua Maestà; e per le mente, e circa ciò cognoscendo messer prothonotario, credo havere raccordato assai che me pare non desperarlo. Io son qua al commando et ad petitione de la Vostra Excellentia e pregola che facendosi impresa per andare nel stato suo, non me lassi de dreto, perche non li saro inutile servitore, e forsi che sopra il stato suo li haverò tante amicitie tanto pochi altri che habii apresso e precipue in Alexandria, Dortonasse e quelle circumstande; et io mi son riservato in li capitoli cum la Maestà Regia, che ad uno medesimo sifro, me ne possi venire da lei, e che ne le cosse de Genua non mi possi commandare, se non ad mio beneplacito; sapendo che dipendetio del Stato di Milano, et 10 non li darò fastidio ne spesa perche credo trovare tanti amici che la potrà servire sei mesi su la guerra se la vole, quando paresse se havesse a insultare le cosse de Genua, cosa che ben sapio faria grande benefìcio all’ impresa e metteria Francesi in grande spesa. Ma non voria che ’l Re de Franza raccogliesse li Fregosi e li facesse contenti, essendo malcontenti e non reuscitoli il pensiere. E corno la Lombardia balla Genua faremo voltare in un attimo perche tutti gli amici nostri e casati in ella son volti cum la faza verso Vostra Excellentia, et 11 cor è forte che li despiace latito la perdita sua. Quanto a lei medesima, messer Zoanne se ne sta ancora lui malcontento, perche li è falito il pensiero se intende cum li amici nostri; pur sta in Genua, e bisogna multo advertire che Francesi non si fortificasseno in Genua, e quando se incommenzasse l’impresa verso Genua, più presto che in Lombardia lo fariano, ma corno li amici nostri vedeno 1 impresa incomenzata, non faranno pocho Francesi ad intertenere che 1 genuese non balli. Io non son pur fermato qua per tener li amici vivi, che continuamente ne ho lettere, e si scrivo e facioU intendere che non manchara che Vostra Excellentia, sara presto in Lombardia, et ho tanto sperato che ho facto venire qua — 507 — le galee del Gobo che mi erano assoldate de la Vostra Excellentia, non obslanle che il patre sia in presone, e perche avendo noi le mai ine, li farà perdere tanto più presto. Ma Vostra Excellentia, como vi ho scripto com M. Luis Ripoi, andosi e ritardandosi l’impresa al fin di questa tregua in essa le cose sue seranno per spazate, e Francesi per stabiliti, et ognuno havera perso 1’ ardire, e venendo Vostra Excellentia non potrà manchare victoria, cum tutte le terre del Stato de Milano sono in motu. Et se non fusse ch’io scio Vostra Excellentia esserne advisata li distinguiria le novità de Parma e le altre malcontenteze, e trovarorno chel duca de Milano è uno santo. Tutti li signori convicini del Stato di Vostra Excellentia sono desperati dei Francesi, Monferrato, Savoia, Mantua e Ferrara, et ogni giorno ho littere di là, et unde è la facilità grande al presente; se stabiliscono sarà difficile. Lo ambassatore venetiano che è qua mi ha mollo intertenuto et comprendo che anchora Venetiani stiano perplexi e dubiosi, e non voriano li favori di Francesi. Lo Re di Napoli pratica de tirarli, se potesse, in aiuto del impresa contra Francesi, et per parlare el secretario suo liberamente meco de ogni cosa, li ho pur anche dicto qualche cosa sopra ciò, che non è dispiaciuto a la Maestà Regia, ma quando bene non venesseno alla discoperta a le voglie nostre, il Turco li darà tanto da fare e da battere che harano da pensare per loro. Recordo a Vostra Excellentia che monstrando havere inclinatione alle cose di Genua, che se le potria fare de le offerte assai quando volesseno aiutare l’impresa, che in ogni modo Genua seria del Duca de Milano. Cusi a /’ un modo conio a l’altro, facendosi 1 impresa venira a tutto quel si potrà fare, et de dinari e de gente d’arme, et io seria de opinione che si aceptasse de /’ uno e dell* altro, perche le gente d arme lo faranno scoprire più gagliardamente; ma esso dubita che 1 impresa non si facia, e le pare che miser Francesco de Muntibus l havia avisato diversamente, il quale non ha tropo gratia cum el duca di Milano. Io sto perplesso se habiamo practica cum messer Joan Jacomo o cum Franza. Sono più giorni che non ho veduto Dionisio, ch era ambassatore apresso Vostra Excellentia, e potrà essere che fusse andato a Milano secreto; ma restringo che se Vostra Excellentia e lo Re de Romani lo votano, V haverano cum questa conditione che se — 5°8 — per messer Luise non ha che se dehia fare l’impresa s acertasse, Francesi lo voranno, Y haverano a tutti li modi. Et dico per conjectura ed opinione mia. Neapoli, die settimo Januarii 1500. Joannes Adurnus. Les partisans de Louis XII s'efl'rayèrent de la restauration de Ludovic Sforza et demaudèrent à Louis XII des renforts pour conserver la cité dans sa (nlélité. Nicola Fieschi, évèque Je Forll, lui fut envoyé pour cela au début de mars 1500. (1) 1500, 6 mars. — Si da instructione al Reverendissimo Nicolao Fiesco, mandato ambassadore al Re di Francia, nella quale si tratta delli moti di Lombardia, e che li cittadini perseverano nella devotione del Re; ancora che si dica che li Fregosi sono di accordio; e si tratta di soldati e cavalli per la difesa della città. 7 mars. — Instructione a Nicola Fiesco, vescovo di Forlì, am-bassatore al Re di Francia che attenti li pericoli presenti, fu scritto a Giovanni Giacomo Trivulzio, et al signor de Ligni, che provedessero di 500 fanti, e quando s’intese che li Adorni e li Fregosi serano accordati, e venivano a questa impresa, di novo fecemo in-stanza e non fu mandato aiuto alcuno. Che si sta a manifesto pericolo per che le persone assuefatte a capellazzi, facilmente si lasciano condurre, essendo massimamente unite le fattione, tanto più che si dice che haveranno galere per mezo delle quali la città saria quasi assediata, e perciò bisognerà provedere di soldati. Che senza aiuti non si può durare lungamente. Plusieurs ambassades encore furent envoyées i Louis XII dans les premiers mois de l$oo. Le 6 mai, Senarega est envoyé à Milan près le Cardinal d’Amboise, et le ij juin à Lyon, nuprès de Louis XII, et le i$ juillet Cristoforo Cattaneo et Alessandro Sauli furent envovés i Louis XII. 6 mai. — Instruttione fatta a Bartolomeo Senarega che insieme col governatore ha da andare a Milano al cardinale d’Ambosa. Che si mette tutta la speranza delle domande nel governatore. Che si congratula della vittoria havuta. (I) Paris, Ministèro des affaires étrangères, Metri. Genovesi, XII, f. 256 sqq. - 509 — 6 mai. Si da instrutione a Bartolomeo Senarega, cancellere destinato a Milano al cardinale d’Ambosia, locotenente regio, sopra la causa de Pietrasancta et de Motrone e sopra la confermatione de la libertà Pisana. r500> 12 juin. — Bartolomeo Senarega fù eletto per andare al Re Christianissimo per scusare le navi da armare, e lù eletto dal- 1 ufficio di Scio, e sono nominati officiali Giovanni Baptista Grimaldi, Pietro di Persio, Melcino de Negro, Agostino de Zerbi, Ansaldi Lomellino, Antonio Sauli. 3 juin. — Instruttione de Filippo, governatore, a Bartolomeo Senarega, cancelliere, destinato a Lione al Re. Che il Re ha fatto commandare che si armino quattro navi alle spese del Commune contra Turchi, la qual cosa dà travaglio assai per le cose di Scio et altri mercatanti, che sono nelli regni del Turco e però procuri di divertire il Re per le ragioni poste nel memoriale a lui dato, del quale avertisca che non dia copia, acciò non venghi in mano de Venetiani o d’altri. 23 juin. — Si da instructione a Bartolomeo Senarega che è per andare a Lione al Re, nella quale si tratta di armare quattro navi, e del vescovo di Pietrasancta; per la quale si diceche Agostino Panigarola ritornerà in quela parte. 15 Juillet. — Cristoforo Cattaneo et Alessandro Sauli furono eletti ambasciatori al Re Christianissimo (1). Les troubles et Ics rcvolutions de U Lombardie, les querelles des factions génoises, la soumission des Génois au roi de France n’empècliaient pas la levée des impòts et l'établissement d’un budget. Raven- stein, B. Grimaldi et une commission génoise l’établirent, et les Anziani et les Otto deputati le confir mércnt le 2 mai 1500. La domination franfaise était ainsi établie d'une fàfon durable. Budget génois de 1500 (2). Il ripartimento dell’ordinario di quest’anno è il seguente; et è delli 50000 ducati; e fù fatto da Filippo de Cleves, governatore regio, e da Baptista Grimaldi e compagni deputati ; et a di 2 di (1) Paris, ibid. id., Memorie Genovesi, XII, fol. 260. (2) Paris, Ministère des affaires étrangères, Memorie Genovesi, t. Atti, Soc. Lls. St. Pìtku. Voi. XXIV, fase. 2. - 5ro — maggio fu confermato dalli Anciani; nel quale decreto si nominano li otto deputati, e sono Giovanni Baptista de Grimaldi, Angelo Chiocca, Angelo de Magiolo, Melchior de Negrone, Stefano Giustiniano, Ambrosio Tommasino, Antonio Sauli, Stefano Spinola. Il ripartimento è questo : Alli provisionati.......19200 Al podestà.........1750 Alli cavaleri del podestà .... 432 Alli vicarii del podestà .... 540 Al giudice de Maleficii .... 135 Al capitano della Scala e 10 paghe 700 Alli cavalieri regii......1200 All’ensifero................125 Al scrivano della moneta . . . . 570 10 Alla targetta................600 Alle calce di detto............24 Alli masseri................20 All ufficio delle bollete .... 100 Al gioco della balestra..........25 Al maestro delli horologii ... 80 1 O Al custode dei privilegii .... 31 Al liuto della guardia..........100 Alla porta di San Tommaso . . 168 Alla porta dell’Arco..........168 Alla porta dell’Acquasola .... 126 Alla porta di San Michele ... 60 Alla porta dell’Olivella .... 60 Alla porta de Fontemorosa ... 60 Alla torre de Capo di Faro ... 84 Alla torre del Molo..........48 Alli cancelieri................6?6 ,Q Al capitano di Chiavari .... 800 Al capitano della Spezza .... 500 Al capitano della Pieve . . . ^qq Al castellano di Portofino . . j8n - 5n - Al maestro della camera .... 80 Al capitano della piazza .... 300 Per il salario del Governatore e per le spesse delle fortezze che sono a caricho del Re e forti di Portofino ......... 20260 APPENDICE I. DOCUMENTS SUR LES RELATIONS DE GÈNES ET DE LA PROVENCE EN 1498 ET 1499. Depuis la mort de Charles Vili, les Génois redoutaient beauconp les pirateries des Marseillais. Dès le 24 avril 1498, Francesco Fontana écrivait à Ludovic Sforza « Essendo morto il re di Francia, non se ha dubitare che Franci osi faciano novità. » Les Huit de Balie se réunirent le 2$ mai 1498 pour combiner les mesures défensives à prendre contre ces nouveautés, c’est à dire contre les agressions des corsaires marseillais. Cette inquiétude et cette préparation d’une résistance éventuelle contre une at-taque qui ne se produisit pas durèrent jusqu’à l’occupation de Gènes par Louis XII. Les documents suivants tirés du Carteggio Generale des Archives de Milan nous font connaitre divers incidents de cette période troublée. Ils nous donnent de précieux renseignements sur l’état de la marine fran^aise dans la Méditerranée et notamments sur ce vaisseau « la Louise » qui semble avoir été un vrai vaisseau fantòme pour les imaginations génoises. 1. Ludovic Sforza à Erasmo Brasca, ambassadeur milanais en Allemagne (Milan, 16 mai 1498). Havemo etiam de Genua corno essendo havuto aviso de Provenza che la nave Aluisa era expedita per uscire carica de tanta artigliara che bastaria per due nave, ultra molti altri legni Francesi armati, Genuesi, vedendo el periculo grande quando non se armi, havevano declarato essere necessario se armassino due nave e due barchie; e cossi era deliberato fare; et essendo ricercato la portione sua alla Signoria de Venetia, el segretario veneto, de commissione sua, ha risposto non bisognare armare per non irritare Francesi, e Genuesi domandano hora al serenissimo Re Federico et a noi che, se ben Venetiani non voleno contribuire, non bisogna restare per questo de armare. Noi cognos^emo che e- — 5 r4 - netinni fano questo per non fare contra Francesi, nia volere servarsi cura lei. 2. Francesco Fontana à Ludovic Sforza. (Gènes, 2 juin 1498). Da quattro dì in qua era levata certa fama in questa cita, che Re de Franza haveva ordinato che da alcuni suoi porti de Provenza non uscissero nave ne navilii a damno de alcuni; heri gionxe un messo quale ad posta de qua si era mandato in Provenza; el quale dice, che nel porto di Marsilia è la nave Aloysia armata et in ordine de orane cosa, con altre barchie armate; su laquale Aloysia sono XXV bombarderi e tanta artelaria che bastaria ad due nave grosse; ma che in Marsilia se dice chel Re de Franza ha commisso non se lassa uscire ad fare damno ad alcuno senza licentia de Sua Maestà, e che la dieta Aloysia non è mai uscita, e le barchie che erano uscite sono ritornate o dimorano così armate nel porto, expectando licentia de uscire o commissione de disarmare, perche pare che certo patrono o capo sia andato da la piedicta Maesta per havere la resolutione o deliberatione sua. Nondimeno si è mandato de novo un altro messo de qua ad Marsilia per explorare quello seguirà, ed è parso al magnifico governatore et ad questo del officio de mare suprasedere de armare le due nave si erano conducte, perchè quando la predicta Maestà perseverasse in questa sua deliberatione non seria necessario armarle; et si è dicto ad li patroni che forse non se armara ma che tengano le nave apparecchiate, perchè seranno pagati per el tempo le tenessero ad posta per questa causa; e la spesa andera per quarto in modo ne po tochare pocho in parte ad Vostra Excellentia; del che per mio debito ho voluto avisarla. 3- Le méme au méme. (Gènes, 25 juillet 1498). . Que^ ^ °fficio di mare hogi sono venuti da me et factomi intendere che, domane, venerano ad trovarne per havere denari - 515 - per la parte de Vostra Excellentia perchè hanno deliberato armare omnino una nave e mandarla fora con un altra in conserva, havendo havuto aviso che la nave Aloysia è armata e bene ad ordine e sta per uscire; deinde che sono uscite molte barchie armate de pirrate , lequale robano e già hano preso certo navilio genuese, caricho de frumento et altre merce et conducto in Marsilia; dicendo dicti de mare che havendo rechesto ad li altri denari per la sua portione, respondano farano secundo chio faro e però guardano ad me e bisogna chio incomincia. 4. Nap. Lomellino à Giovanni Adorni. (Vintimille, i.er aoùt 1498). Illustrissime et excellentissime affinis domine, Heri con lo messo mandato ad posta si è scripto ad plenum che tuto se affirma. Questa mattina è comparso lo presente messo partito da Marsiglia sono giorni tre, el quale dice che la nave Aloysia arma a furia; la quale ha denari tuttavia, la quale saia presta fra otto giorni; in compagnia de laquale vano la nave Leona, un altra barchia ed una caravela; e benche intendo che la Signoria Vostra intenderà tutto da lo messo, per questo non ho voluto manchare de dare aviso da quanto ho inteso da luy. Dice etiam che le galee armano tuttavia, e che la barcha de Lomellino è stata presa caricha de zuchari e conducta a Marsilia. Del che è da dolere. Altro non se dice de novo, ne a me accade dire alti0, havendo suplito con lo messo mandato, conio se dice di sopì a. Alla serenissima Communità mi riccomando. Ventimilii, die primo augusti 1498. 5. Fr. Fontana à Ludovic Sforza. (Génes, i.er septembre 1498). È venuto aviso che Monsignor de Sault et Monsignor de Trans, che sono li primi baroni de Provenza, vano oratori del Re de - 5i6 — Franza ad Roma, su quella armata che si è dieta farse per levare el fiolo del pontefice. Ho inteso anchora che sono state vedute quattro galee francese in capo de Corsica, quale hanno preso doi navilii genuesi carichi de grano et se dice chepse galee andavano ad Civitavecchia. Delche me parso avisare Vostra Excellentia. 6. Le méme au méme. (Gènes, 4 septembre 1498). Illustrissimo et excellentissimo signor, La lettera me ha scripto Vostra Excellentia de quello li occorre che questi citadini insieme cum li magnifici come da se mandas-sino in Provenza qualchuno da li duo Stephani, cum dirli che intendendo loro che sono venuti per armare alchuni navilii et andare ad levare el fiolo del pontefice, non stano securi, ecc., non potria essere gioncta in tempo più opportuno, perchè doppoi lhebi comunicata cum questi magnifici, fra una hora, gionxe uno messo de uno de dicti Stephani cum lettere directive al magnifico governatore; per lequale li ha scripto chel voria mandare le sue nave fora in mercantia e lo prega si piacia concedere uno salvoconducto, acio non siano offese da li navilii Genuesi; e parendo al predicto governatore havere bella opportunità per uno messo ad posta ha rescritto ad esso Stephano, chel è contento concederli el salvoconducto ampio, ma se offere anche de farlo confirmare da 1’ Excellentia Vostra; ma che li pare bene rasonevole che, essendo le sue na\e per andare in mercantia e desiderando lui che siano secure, epso parimente deba fare tale fede et altra cosa, che le nave e navilii genuesi non serano offesi da le sue nave; e subjunge che havendose presentito come in Provenza se faceva armata al nome del Re de Franza, Genuesi havevano ordinato de simelmente ai mai e, non pei offendere la Maestà sua ne suoi subditi, ma per defendere et acio chè le cose de Genuesi non recevessino damno; tamen che, havendo poi inteso che in Provenza non si fa altro, si è sopr.iseduto de armare qua; sichè si attenderà la ritornata del - 517 - messo e quello riportara, perchè ha commissione de explorare de le altre cose e come se fa e se dice. Appresso havendo li predicti Magnifici inteso quanto risponde Vostra Signoria ad la parte de li ducento fanti se recercaveno , hano risposto che epsi non vogliono denari per fare dicti fanti, ne li hano ricercati, perchè 1’ Excellentia Vostra facesse spesa, ma intendevano chepsa li mandasse de quelli ha pagati, et hora dicono che de Provenza non se intende altro et potria essere che quelle cose stariano sopite; nondimeno de novo ricordano e li pare ben facto che Vostra Excellentia mandasse saltem cento fanti de li pagati liquali se havessino poi mandare ad Vintimillia, Albenga, Savona, Porto Venere et altri lochi de la Riperia et ordinare che quelli sono ad la guardia de dicti lochi ritornassino qua al loco suo in le forteze, perchè non stano bene, senza la provisione ordinaria de li fanti, per omne caso, maxime in questi tempi suspecti. Ricomandomi ad Vostra Excellentia cum devotione. Fontana. 7. Le méme au méme. (Génes, 14 octobre 1498). Ho avuto 1’ exemplo de 1’ instructione, quale si è facta ad nome del magnifico governatore ed antiani ad li dui oratori che hano andare in Franza et sera in questa incluso ; che è de substantia che habiano congratularse cum quella Maestà Regia de la assuntione sua ad la incoronatione, e de parlarli de le predatione se fano per mare da li corsari, che usciscono da li sui porti de Provenza; e che essendoli domandato de altri particolari, respondano non havere altra commissione. Il magnifico governatore e fratello hanno facto intendere ad li Antiani che dopoi che epsi oratori haverano exeguito la instructione sua, voriano che Carlo Spinula solo parlasse ad la Regia Maestà de alcuni suoi particulari e maxime che li è stato dato qualche imputacione de cose del tempo passato, cioè quando la predicta Maestà se ritrovava qua, essendo essa duca de Orliens. - 518 - 8. Le méme au méme. (Gènes, 21 décembre 1498). Li oratori Genuesi hanno scripto una lettera per laquale avisano corno sono gionti là (a Lione) e alogiati in casa de mercadanti Genuesi, per più honore de la patria sua; e li demorariano un giorno per fare reposare li cavalli; et al intrare de la cità, scontrorno el seneschalco de Belliquadra che andava in Provenza, al quale dixe che erano dodeci dì se partite de la corte e lassò la Christianissima Maestà ad uno loco che si chiama Lochies presso Turone; che, de mandato de la predicta Maestà, è stato commandato al oratore del serenissimo Re Federico chel deba dimorare in Monluè, de la giurisdizione del Duca de Savoia e non andare più inante ; el quale oratore ha mandato suoi nuncii ad la predicta Maestà ad domandare licentia, laquale fin ad quello dì non aveva potuto obtenere; et subjungono epsi oratori che seguiriano el suo camino, che seria longo, e tanto più sei Re andaria ad Nantes come se diceva. Ne aviso 1 Excellentia Vostra, ma non so che demonstratione siano queste fa Re de Franza verso Re Fedrico sotto el salvoconducto gli concesse, e potria essere chel pontefice causaria questo, essendoli stato dato repulsa nel facto de la fiola del predicto Re Federico. Et ad la parte del senescalco predicto che va in Provenza, questi magnifici et cittadini predicano che non deba portare puncto de bene; dicendo chel va de commission de Re per fare qualche preparamenti per uscire pel mare al bon tempo e per andate pyrratando, essendo uno malhomo corno è. 9. Lettre anonyme. (Nice, 14 février 1499). . Notlfico Signoria Vostra corno è venuti homini da Marsina a Nicia per accordare officiali de nave e marinari a Nicia, a Villafranca e a Mentone per la nave Marmanda; sono armati ergantini quatro et una sagitea de remi quaranta per damnificare - 5i9 - Ia natione; laquale sagitea è bene in ordine de artigliera e homini da settanta in settantacinque ed è stata noviter in questa riviera, unde ha facto damno a barche. Armano uno altro galeone grosso, loquale etiam damnificara, et era presto per uscire da Marsiglia cum homini cento e più. Le galee cairegavano ad Marsiglia la pa-natischa e se vocifera uscirano presto da quello porto per damni-fichare. Sono fora de la cadena, bene in ordine de homini per aviso. La nave de Rode anchora è restata per el Re e quelli de la Religione vedendo non potere havere epsa nave per Rode, prendano due barche per mandare a Rode; lequali nave de la Religione preparano insieme cum le altre nave sono in Tellone cum la Chiarante, la Aloysia e la Leona per armare et uscire fora come intendo a corsezare e cum loro haverano uno galeone et una fusta (i). io. F. Fontana à Ludovic Sforza. (Gènes, 17 février 1499). (Résumé d’un raisonnement de Agostino Adorni). Le quattro galee sono più che necessarie, essendo le quattro neapolitane predicte e le due del Gobo la secureza e salute de queste parte e maxime de le rivere; adducendo queste rasone che Francesi hano quatro galee bene in ordine, lequale inchominchia-rano ad transcorrere, essendo presto il tempo che potranno uscire; e non ritrovandose qua senon quattro galee, serano cusi sufficienti li Francesi e forse più che le nostre per esser melio ad ordine, e se per disgratia prendessero qualche galea corno fecero 1 anno passato, dariano da fare e potriano andare a terra dove li piacesse per le rivere, e forse prendere qualche loco; e majore fatica e spesa andaria poi ad provederli; deinde chel secretario veneto è paitito e non se sa anchora come farano Venitiani liquali hano etiamdio (1) La mème lettre contient l’avis de l’envoi d’un ambassadeur au Cardinal Julien de la Rovère par Polo Baptista et Octaviano Fregoso. — 520 — de qua quattro galee e da quantanche le galee predicte neapolitane non se habiano impazare de le cose de Pisa, tamen, quando Venetiani volessino fare qualche designo, se li potria rompere. n. Ludovic Sforza à F. Fontana. (Milan, 23 février 1499). Approximandosi il fine de la tregua tra quelli nostri cittadini e Nizardi e predicando molto a proposito per le occurentie presente la continuatione depsa, volemo che siati cum quelli magnifici et in nome nostro li confortati ad volere operare e disponere quelli nostri cittadini alla reconfirmatione de questa tregua, perchè anchora nuy non mancharemo de operare el medesimo con lo illustrissimo signor duca de Savoya. E de questo expectamo risposta. 12. F. Fontana à Ludovic Sforza. (Gènes, 27 février 1499). Ho facto intendere a questi magnifici la lettera de Vostra Excellentia de 23 de la tregua tra questi cittadini e Nizardi, de laquale se aproxima el fine, aciochè opera per la reconfirmatione. E le magnificentie sue, maxime el magnifico governatore, hano dicto che quando Nizardi recerchino dieta reconfirmatione de tregua, operarano chel effecto reuscira perche dicti citadini se li disponevano. Vostra Excellentia potrà far fare quella opera con lo illustrissimo signore Duca de Savoia che li parera, aciochè la predicta reconfirmatione sia de Nizardi recerchata, perchè de qua se li trovara senon bona disposinone per satisfare alla Excellentia Vostra. 13- Le méme au méme. (Génes, 13 mars 1499). Illustrissimo et excellentissimo signore Li ambassatori Genuesi sono ritornati de Franza corno ho significato per altre, e benche, per lettere che hano scripte, Vostra Ex- - 521 — cellentia ha inteso quanto riportano, tamen mi pare de avisarla anchora de quello che ad bocha hanno referto, che è però el medesimo quasi che havevano scripto: che in la secunda audientia havuta dal re parlorono de li corsari li quali sono receptati in li porti de Sua Maestà in Provenza e damnificano li navilii Genuesi, pregando la Maestà Sua che, quando dicti corsari siano ad suo soldo, volesse provedere non usciscano ad damno de Genuesi, e quando fussero altri corsari non li fosse dato recepto in li porti suoi; perche la predicta Maestà deve fare più stima de Genua, de laquale, ad omne suo proposito, se potria valere, essendo daccordo cum 1’ Excellentia Vostra; cum subjungere che per dubio havuto de offendere la mente de Sua Maestà, non se era facta altra provisione per la secureza de suoi navilii, ecc. El Re non li fece altra risposta senon che voleva consultare. El cardinale de Roano et el gran cancellerò poi li parlorono in nome de Sua Maestà e pare li dicessero: « De chi erano subditi Genuesi? » e respondendoli de Vostra Excellentia, cioè: « Del illustrissimo signore duca de Milano, » risposero: « Aduncha non seti amici del Re, perche Sua Maestà ha per inimici tuti quelli sono amici del signor Ludovico; » e li subj unsero « chel Re era suo supremo signore e fariano bene adhe-rirse ad la volunta sua, perche ne resultarla più beneficii che ne sono monti in Savoia. » Per dicti oratori fo risposto che in questo non havevano commissione alcuna; ma che havendo Re Aluysio facto jurare Genuesi la fidelità al Duca de Milano, al presente se continua in fede verso Vostra Excellentia, e che Genuesi più presto vogliono havere uno ditto cum honore che uno brazo cum vergogna. Resposero el predicto cardinale e gran cancelaro : « anda-reti a Genua e fareti intendere a vostri cittadini quanto vi havemo dicto. Epsi sono savii. Se saprano prendere bono partito in questo tempo, haverano honore et utile; se altramente li annuntiamo tuti li mali del mondo. Essendose per li oratori replicato qualchecosa soprai facto de li corsari e se cum voluntà de Re fariano damno ad Genuesi, altro non li fo resposto senon che. « erunt sei vitores regis ». Ho tolto l’extratto de certi avisi venuti da Venetia, liquali mi è parso mandare ad l’Excellentia Vostra (quantunque credo intenda — 522 — melio le cose per via del oratore suo) ad laquale de continuo me ricomando. Genua;, 13 martis 1499. Illustrissimae et excellentissimae Dominationis vestrae servitor Franciscus Fontana. 14. Le méme au méme. (Génes, 5 avril 1899). Illustrissimo et excellentissimo signore, Questi magnifici hanno havuto aviso che Octaviano Fregoso si è partito de Provenza et andato ad Avignono da San Pietro in Vineola e che le galee francese se spanciavano (cioè ungevano de sepo) per uscire. Se sono poi anche havuti li avvisi che mando ad V. Ex., in questa inclusi, acio intenda tutto, e che le predicte galee se mettino pur ad ordine per uscire. Li predicti magnifici non stano senza dubitatione che non sia qualche praticha per turbare queste cose Genuese col mezzo de San Petro in Vincula et Octaviano predicto, e li pare che ad pervenire del lato nostro de qualche provisione et ad stare cum bona guarda sia bene facto, aciochè ad la sproveduta non siamo acolti. Unde de novo ricordano et laudano che li fanti de queste forteze che sono fora se facessero ritornare al loco suo, et in scontro depsi Vostra Excellentia ne mandasse altritanti per metterli in li lochi necessarii de le rivere con liquali siano qualche capi che habiano experientia et in se governo, perchè molto bisognano in queste parte, et essendose re\eduto chel numero de fanti sia fora si trova essere come contiene 1 inclusa lista, che è cento e tre per le rivere et venti due ne nianchano in le forteze qua; razonando con li predicti magnifici me fano intendere chel majore dubio che habiano si è de Al-benga^ essendo loco opulento e senza forteza, el quale, quando da inimici fusse preso, gli fariano pede, ne così questo se potria reha-vere, et però li pare de advertirli e tenerlo ben guardato; ricor- - 523 - dando 1 Excellentia Vostra li mandasse uno bono capo diligente, practicho et vigilante perchè stando dal nostro lato sul aviso non se potrà recevere scorno, siche io del tutto aviso la Excellentia Vostra, acciò possa farli la provisione li parera (i). (i) A cette lettre sont joints les divers extraits de lettres suivants : I- D’une lettre de Blois, n mars 1499. Reverendissimus cardinalis Sancti Petri ad Vincula qui cras recidit pro Avi-nione nobis dixit sicut Christianissimus rex ei promisit, factis festis, subito pro Lugduno recedet et quod eum satis incaricavi ut subito quod intellexerit suum in dicto loco Lugduni appulsum ad eum venire debeat. II. D’une lettre de Turin, 26 mars 1499. Fertur in isto ioco et pro vero habetur quemadmodum dux Sabaudise accor-dium cepit cum christianissimo Rege sub his pactis quod dictus christianissimus Rex dat sibi lanceas centum et ultra annuatim francos triginta millia ; Domino Bastardo lancias quinquaginta et francos decem millia; Domino de La Chambre lancias quadraginta et francos octo millia; et ultra liberat eum ducem a querella quam habet ducatus Mediolanensis contra eum de Vercellensibus et hic a querella quam habet domus Francie de facto Nicise, et in summa liberat ipsum de omnibus locis quos tenet, in quibus status Francis vel Mediolanensis habeant vel habere pretendant ullum regressum: ex quo forte dubitatur de guerra et in Ast expectantur lancias quadringenta. III. D’une lettre non datée adressée a J. Adorno: Como la Maestà del Re de Franza haveva commisso che se scriva al signor Constantino chel se tegni a certo che a San Juan Baptista el havera di qua de monte in compagnia 1700 homini d’ arme, due mille cavalli legeri e dieci mille Allamani; et quantunche l’ordine dato al numero de le lanze non fusseno salvo mille e cinquecento, tuttavolta è parso ad Sua Maestà farli zonta de duecento zentilhomini et questo se mette per indubitato. IV. A cette lettre est aussi joint le tableau suivant des troupes Génoises dans les places de la Rivière, en février-mars 1499. Fanti de le forteze deputati per le Rivere de Genua: a Porto venere fanti 25. a Savona fanti 30. ad Albenga fanti 20. a San Remo fanti 10. a Vintimillio fanti 15. a Carizano fanti 3. Summa 103. In le forteze de Genua, inanellano fanti ventidue. - 524 - 15- Francesco Doria à Andrea Ciceri (0-(Avignon, 20 avril 1499). Egregie major honorande, sono zorni tre che vi habia scripto a compimento per questa , come diro breve et maxime volendo partire lo presente portatore in questo instante. De Georgio Armario non bisogna dire altro. Le galie de Marsilia credo siano partite bene in ordine, la nave de lo Marchese de Cotrone è a Tholone, e credo che dieta nave presto ritornara a guadagno; le altre non fano novità alcuna. La maestà del Re si aspecta a Leone a li 10 de mazo al più tardi, e subito che sara li, lo reverendissimo Monsignore lo cardinale li andera, loquale al presente sta assai bene. La zente darme del Re se dice chel vene a far la mostra a Viena, per conclusione, e spero che presto le cose anderano de bon giuoco. De quel segui-tara sarete advisato. Altro non ne diro per lo presente, scrivendo in frequentia. Monsignor lo senescalco de Beocheri è partito hogi de qua per andare in corte, ove ognuno se retira. 16. Lettre anonyme de Savone. (22 avril 1499). [Hujus epistolae auctor] Affirmat scripta de preparatione navium et galearum. Quae naves in Thelono cito in ordine erunt prò recedendo; triremes vero pa* ratae sunt in Marsilia per recedere. Spectabilis D. Paulus Baptista redivit de Avinione 19 praesentis, qui affirmat aegritudinem Reverendissimi cardinalis, cum quo dimisit magnificum D. Octavianum ad advisum. Intelexit per venientes de Provincia sicut quidam capi-taneus gallicus nominatus Spinch venturus est in Provincia, demum in Nicia cum peditibus quinque milia in circa, ex quibus dimidia vel circha sunt balesterii ut intellexit; quo videlicet sint ituri aut (1) Lettre insérée dans la lettre publiée sous le numéro 16. - 525 - facturi ignoratur. Est aliqua opinio ascendere debeant super navibus et galeis. Illustrissimus dominus dux Sabaudi^e scripsit magnifico Domino gubernatori Niciae quod diligentiam bonam habeat ad custodiam civitatis Nicia; et communitatem ejusdem dando provisionem bonam talibus hominibus ut reperiatur opportuna tam pro conductoribus quam pro hominibus, mediante satisfactione seu solutione, maxime pro vita eorum, honesto modo illos semper tractando. 17. Agostino et Giovanni Adorni à Ludovic Sforza. (Gènes, 24 avril 1499). Illustrissimo et excellentissimo signor nostro, Li avisi che havemo de Provenza da la spia nostra li havemo dati al magnifico presidente, liquali da tre zorni in qua ne erano stati dati per due 0 tre vie ; ma al tuto non li prestavamo cusi fede non havendolo dal nostro che tenimo la. La Celsitudine vostra considerai ancora laudata e ritornata de Polo Baptista Fregoso in frequentia e la restata de Octaviano Fregoso cum il cardinale, cum far voce San Pietro in Vinculo esser mallato. Oltra può credere la mostra de queste zente non esser per altro effecto che per le cose de Genova e del Genoese e questo esser il proprio modo de vincere, imperochè provedute queste cose e impossibile quemadmodum farle damno. Ma trovandole corno sono al presente non li starano dinanzi dui zorni, e dicemo Vintimiglia et Albenga; vero che ne le provisione si hano a ìichiedere a la vostra illustrissima Signoria, non se siamo ben saputi risolvere, * perche non voressimo la Excellentia Vostra dicesse ìichiederglile inanzi tempo, cum dir perho che essendo quel è scripto et non essendo le terre provedute non potriano aspetar aiuto veiun de la Excellentia Vostra e l’inimici sono cusi corno nui corno se ritrovano et in quanto possono esser succorse, et cogliendone Vintimiglia ne Albenga impossibile saria recuperarle, perchè sono ne le forze del Re più che in quelle de la Excellentia Vostra, et giocar del siano seria stato metter subito ducento fanti in Vintimiglia e duecento in Albenga. Nientedimanco ne se remettemo a la prudentia de Atti Soc. Lig. St. Patria. Voi. XXIV, fase. 2. — 526 — Vostra Excellentia chi ha quel medesmo havemo nui. Vero che quel havimo dicto al magnifico messer Francesco saltem è necessarissimo senza perditione di tempo, e saria de necessita, quando ben non se havessino li avisi si hanno de Prohenza. Di qua si fara far quel si potrà e si manderano domani le artigliarle e munitione necessarie per Albenga e Zucarello e per Saona, perche venendo per mare potriano andare ubique. E capitata qua, scrivendo questa, una lettera de Avignone de un Francesco de Oria, de 20 de aprille, la qual non fa mentione ne de 1 infirmiti del cardinale ne de Polo Baptista et Octaviano che ne da suspictione grandissima e tanto più chel dice corno vedera che spera andera presto de bon gioco, non toccando a lui le cose de Lombardia. La Excellentia Vostra è prudentissima et magnanima: facia che più presto se habiamo da dolere de havere gietato via qualche denari in far de li fanti et armar de le galee, havendone sempre tal provisione facta in tempo, salvate queste cose cum Dio, inanzi cha chel bisognasse spandere quattro tanto e non potei e recuperare. In gratia de Vostra Excellentia raccomandandosi Genuae 24 aprilis 1499. Illustrissimae Vostras Excellentia; fidelissimus servitores (sic) Augustinus et Joannes Adorni. Post scripta. Io Joanne servitor de la Excellentia Vostra li raccordo iterum tener ben fornite le forteze qua e tute le altre del Genoese. In Vintimiglia intendo non siano ne homini ne homo (sic). Datum ut in litteris. Excellentiae Vostra; idem servitor Joannes. *8. F. Fontana à Ludovic Sforza. (Gènes, 30 avril 1499). Questi magnifici fratelli me hano resposto che sono certissimi chepsa intenda le occurrentie de Provenza e de altrove per altravia, pare sia suo debito ad tenerla avisata de quello che anche - 527 - loro intendano e che possa portare periculo ad questo stato de Genua ; e che avendo inteso che lo illustrissimo duca de Savoya haveva scripto ad Nizza se facesse apparecchiamento per tre o quatro milia fanti et advertissero ad non lassare entrare in la terra tanta gente che fussino più forti di quelli de la terra, li parse dovere credere se fusse per fare novità e se havesse dubitare de queste cose; et però, aciò se potesse provedere, sono stati mandati li avisi ad Vostra Excellentia. Hora intendano chepsa non ne dubita, stano de meliore voglia, et dicono che ad li ingani e tradimenti starano sempre con li occhii aperti, et non hano paura dessere acolti, dico per terra, ma che per mare non possono provedere ne assecurare, non venendo le galee regie neapolitane, e che per questo hano tanto instato et instano se faciano venire. 19. Le podestat de San Remo à Agostino Adorni gouverneur de Gènes. (Gènes, 3 mai 1499). Illustrissimo signor mio, humili recommendatione praemissa. Hogi è lo terzo giorno che quello nostro mandato è ritornato Deo duce et se è partito da Marsilia die sabbati passato. Dice havere havuta bona et aiegra receputa del capitanio suo, quale voleva che li restasse ; et se è excusato che se Sua Magnificentia vole ire in guerra reale che è contento de essere cum lui; quando voglia andare in corso, che det veniam ei, perche Sua Magnificentia li ha dato bona licentia una fiata e luy lha acceptata: domandato dove era destinato andare e lo capitaneo ha resposto in corso, e poi li ha domandato che loco è Vintimillio et Santo Romulo? e risposto che Ventimillio è forte et ipsa natura munito, adeo che cento basta a dieci milla; e che vero è che Santo Romulo non è cusi forte sed venendo qua seriano inclusi, et ha cercato de desventarlo a lo temptare de questo loco; et edam lo capitaneo li domandò che forteza era stata facta qua et in stimma questo nostro intende che l’animo suo seria de farse fede ad Ventimilio aut qui che li pareva che cum li Fregosi e Dolceacqua se potiia fare forte qui e turbare tutta la Riviera e tutto il paese; e volendo in- — 528 — tendere che commissione ha dal Re , dice che Sua Maestà ha in animo de venire a Milano et è inanimata da molti circumstanti; dice che ha rispecto non volere anchora perche portaria rischio de perdere molto più che lo guadagno incerto; nam vole componere prius tuto lo suo paese che andare a l’impresa d’Italia ; item dice chel Re era a Molines, iturus a Lione in brevi, e li se debe trovare Santo Petro ad Vincula, cum messer Octaviano; e cusi lo capitaneo sta in expectatione de 1’ ordine che se prenderà a Lione et Clarius dice che aspectara San Pietro in Vincula per metterlo a Hostia, et item poi per andare a destruere li paesi ; et demum se per scotezo potrano fare cosa alcuna in questa parte che li se li approvaran a fare aut qua aut alibi. Domandato se le galee erano in ordine, dice che li mancava alquanti homini da remo, tamen che subito li hariano havendo dinari, nani in Marsilia sono homini de utroque genere videlicet de remo et compagni ; hano caricato bombarda una grossa per galea e falconi duoy ; dice che La Ferrandina ha bombarda che tira petra de libre 115 ■> Rapiamus caricava farine; a Telone era la nave del marchese de Cotrone data a Pietro Navara, et el marchese è ito in curia. La nave se prepara de armare. La nave de Rode se è venduta al Re e lo capi-tanio de quella la tene a nome del Re : tamen vole andare a Rodes et il capitaneo ha dato commissione a questo nostro che accorda 25 compagni. Item La comUssa se armava e va tosto Lei meschina, tamen non serano cusi presto. Non è homo in Provenza che parla de gente darme. Costui ha lassato ordine cum certi suoy amici marinari homini da capo che accadendo cosa alcuna de importantia lo debiano avisare. E questo ordine ha ad Tellone, Antibo e Niza. 20. Fontana à Ludovic Sforza. (Gènes, 22 mai 1499). Illustrissimo et excellentissimo signore, Le galee francese cum la barchia del marchese de Cotrone fecero questi di un asalto alla nave Negrona che veneva da Ponente passando per il mare de Provenza, ma havendola trovata forte e bene in puncto de artellaria, voluntera la lassarone andare al suo ca- — 529 — mino. Dapoi in qua diete galee sono transcorse presso Corsica et hano preso uno galeone savonese, carico de formagii e carne salate e due barche cum certo altro navilio Corsico e pare habiano andare verso Sardinia e poi verso la costa de Calabria. Il che ha-vendo presentito questi magnifici fratelli, li è parso che M. Aloysio Rapollo ne deba subito scrivere al serenissimo Re Frederico, corno anche le magnificentie sue scriveno al suo che è residente presso la Maestà Sua, dicendo esser bene avisarne per omne bono respecto, aciochè la predicta Maestà ne possa dare aviso dove bisogna in Calabria, perche siano advertiti ne possano essere damnificati alla sprovveduta; deinde che le galee regie habiano stare insieme, e non ne sia accolta qualcuna come fo l’altra volta; cum subjungere apresso che, considerato che la serenissima regina non è per partirse fin a molti giorni o forse septimane , per non essere an-chora ritornato el messo mandato in Hispania, la predicta Maestà regia potria mandare qua le galee sue, lequale insieme cum le due de Vostra Excellentia havessino dare la caza ad le predicte quatro francese, ne mai abandonarle; perche seriano sufficiente ad metterle sotto e forse riscotere li navilii presi; ma che le regie fus-seno bene ad ordene, e de tute farne capo M. Saragossa, cioè così de le regie corno de le ducale ; che se per aventura se potesse prendere qualcuna de le Francese o indurle ad disarmare, seria una optima cosa, maxime per queste Rivere, lequali, vedendo non esserli securo el navigare, starano malcontenti e cadauno cridara, per modo potria seguire qualche disordine. In questa substantia M. Aloysio Rapallo ha scripto al serenissimo Re suo e li predicti magnifici al suo homo ad Napoli, acio la facia intendere alla Maestà Sua et insta per questo effecto, et hanno dicto ad me che similiter me avisa 1’ Excellentia Vostra aciochè, parendoli farne opera cum la Maestà Regia, come laudano deba fai e, possa scri\ere in forma opportuna. Io aduncha la aviso del tuto e la prego se digna operare perche se venghi al effecto predicto, che veramente seguendo sera de grandissima contenteza ad tute queste parte, et ad Vostra Excellentia me ricomando. Genue xxn maii 1499. Illustrissima et excellentissimae Dominationis Vestrae servitor Franciscus Fontana. - 53° — II. QUELQUES DOCUMENTS POUR L’HISTOIRE DE LA DOMINATION FRAMQAISE À GÈNES SOUS LOUIS XII (1499 " JtSiS)- I. Projet d’une réforme de la constitution génoise (i). (1502). Ricordo circa V utilità che risulterà dalla riforma delle funzioni di magistrato della città. Queste sono le utilità che tendano a gloria e honore del Re e a mantenimento del stato suo e del suo gubernio, non a diminu-tione alcuna de la auctorita loro. Perchè la justicia civile è fundamento dogni bene e per el contrario la injusticia è causa dogni male, considerando che per el passato la dieta justicia non haveva li soi debiti termini per esser administrata da persone immature e messe a li officii per opera de ambitiosi a designo de loro passione, e persone che erano inex-parte al giudicare e chi in li loro officii seguitavano le opere de quelli per opera de liquali erano electi a tali officii, et etiam per sue private occupatione, vivendo la terra de industria, non potevano ne volevano usare diligentia a lo officiare e al judicare, perilchè le caxone resta\ano immortale e de chi nascevano grandi odii e f i S., searchivio secreto. Politicorum 1649 ” (1482-1530), . ^ ocument n est pas daté, mais il est classé entre d’autres pièces q«. se rapporterà les unes et les autres à cette année-là. - 531 — ìmmicitie, e se perdeva lamor a questo felicissimo stato, vedendo la terra governarse in civilibus senza alcuna forma de justitia, e che chi più haveva favore, opprimeva el compagno ; a le quale tutte cosse se provede per tuti li ricordi facti in la proposta. Et a l’incontro de tanti mali se remedia corno di sotto diremo. Prima contra li officiali immaturi: Se dice non se possia fare la electione de alcuno che non passe la età de ani xxxxv. - Contra la corruptella de la electione per opera de factiosi e partiali: s’è dito che la electione de li officiali se fara per tante cautelle e diversi modi eodem instanti, che sara impossibile potere corrumpere. -Contra la negligenza de lo officiale per le occupatione private : se remedia cum darli salario cum obligo che non possiano attendere ad alcuna altra cura cum pene gravissime. - Contra la inexperientia del judicare : se remedia che tenendo in officio li officiali più longamente se farano experti in judicare. Et perche se fusse qualche officiale o officiali che non se portasse bene in el suo officio, se sottomitono a tanti e si gravi sindicamenti e pene, etiam de deponerli de officio, usque ad ultimum supplicium inclusive, che per necessita serano streti apportarse bene. E perho se pensa cum lo cautollo sopradicto eligere ogni anno numero de xxxvi cittadini, quali se ripartono in Antiani xn e tuti li altri officii civili, aciochè non sia de loro chi se possiano appropriare per longo tempo el magistrato quale li venira per sorte, cum dire de questi xxxvi ogni anno in fine anni cavarano fori sei acoloriti (sic), li quali sei non possiano di novo entrare che non sia passato anni sei, dalche se ne uscirano ; e in loco de dicti sei sotto lo cautollo suprascripto, se ne havera a elegere altri sei acoloriti che se metterano in li scatuli et tunc, per sorte, se tirara fori di novo li antiani xii e cossi tuti li altri magistrati. E a questo modo non sera persona chi sapia a qual magistrato debba restare. E per maior cautella e per levare via ad ogni privata intelli-gentia e cabella che se potesse fare a malfine, se dice che in tuto lo numero de xxxvi non possia intrare si non uno solo de ogni famiglia e de uno cognome; e non li possia ancora intrare alcuno che comanda e habia subditi in tuta la nostra Liguria. E a questo modo ancora sera grande satisfatione che chi havera uno officio — 552 — non ne possia avere uno altro, e non solamente lui, ma ognialtro del suo cognome. E perchè per lo passato, Monsignor el gubernatore non interveniva senon a la electione de li Antiani e officio de moneta, el cresce de questa auctorita che lo interveno a la electione generale de li xxxvi, in li quali se restringe tuti li officii de la terra. E la auctorita del prefato Monsignor gubernatore resta quella medesima cum lo diverso voto in lo numero de xii antiani corno de prima, e perche l’officio de la moneta dal numero de nove s’è reducto al numero de tre, è la cossa certa che ad ogni bisogno de Sua Excellentia in menor numero se troverà più prompteza e facilità. E la detta auctorità del prefato gubernatore in cossa tanto importante, come di sotto diremo, crescerà ancora grandissimamente; perchè cossi come li Antiani non hano possanza de poter spendere senon libre cinquecento, e volendo spendere più avanti, non lo pono fare senza la auctorita d’uno consiglio de ccc, in lo numero de li quali Sua Excellentia non ha salvo dua voce, si dice che questi xxxvi insieme cum Sua Excellentia harano balia de deliberare e spendere fino a la summa de libre 50, chi è un grandissimo stabilimento del Stato Regio. E perche tute le predicte cosse chi tendano a la justicia civile per li statuti et ordinamenti e consuetudine de la cita, cum li con-segli nostri soliti, se possono sempre fare, reformare et in melius oidinare, per questo Sua Excellentia a debito a tuto consentirà voluntieri, perche in effecto non ha parte alcuna che tenda a la diminutione de la auctorita regia ne de la auctorita sua, et tuto tende a beneficio e pacifico de la cita. Dal quale pacifico de la cita proviene grande gloria a la Maestà del Re. - 533 — II. Lettre du maréchal Charles d’Amboise À la République de Lucques (i). (Milan, 16 février 1507). Suscription: Magnificis dominis gubernatoribus status et regiminis reipublicae Lucensis amicis nostris carissimis. Luche. Magnifici amici charissimi, Siamo stati advisati chel popolo Genovese aspecta da voy gente et altro subsidio, et che già gle ne haveti mandati in favore suo per limpresa hano contra Monicho ; el quale, como ben sapeti, oppugnano contra el volere de la Maesta Regia Christianissima laquale antiquamente ha esso Monicho et el signor de quello in soa protectione et adherentia. Et ha deliberato essa Maesta darie tal ordene et remedio che dicto populo genoese e chi li adiutera cognoscerano li errori soi. Et perche voy, sino al presente, siti stati e siate de continuo boni e fideli amici et adherenti a la predicta Maesta Christianissima acio non habiate a patire incommodo alcuno per non essere stati admoniti, ut faciamo intendere per questa nostra che se non rivocareti tutti li vostri quali sono in larmata de dicto populo genoese e si ritroverà che più li date favore ne adiuto alcuno, tanto de gente et de artegleria corno de altra qualunche cosa, la predicta Maesta Regia Christianissima sara constrecta non solo a partire de la adherentia vestra e protectione soa, ma anche noy, per comandamento suo li daremo tal provisione contra voy e li vostri, che cognoscerete il despiacere quale haverete facto ad essa Maestà. Il che però spero non succederà per la bona fidelità e devotione vestra verso ley et per lo bono conseglio e prudentia de Vostre Magnificentie a lequale me offerisco in omne loro piacere. (1) Lucca, Archivio di Stato. Lettere Originali, 448. - 534 — Ex Mediolano, die 16 februarii 1507. Ceterum perchè havemo inteso che M. Octaviano de Campo-fregoso ricerca de metere gente insiema per conducerle al effecto e favore sopradicto, le Magnifìcentie Vostre non voglano patire che dicto Messer Octaviano ne altro che sia se forniscano in loro dominio ne darli transito, casu quo se provedano altrove. Amboyze. Regius citra montes locumtenens generalis, Magnus magister et marescallu.» Francia. Granges. III. Relation et pétition adressée à Louis XII au sujet DES TROUBLES DE GÈNES EN I507 (i). Memoriale de le cosse accadute in la sublevacione de li populi de Genes. Et primo che li mali governi e cativi comportamenti usatti per li officialli e ministri del Christianissimo re nostro in dieta citta et rivera e valle, hano causato in grandissima parte dicte sublevatione : imperò, da alquanti anni in qua s’ è facto de grave et indebite extorsione de denari da dieta citta, rivere e valle da li officialli del Christianissimo re nostro; impero haviasse facto un certo officiale, mai più solito in dieta citta, quale se domandava procuratore fiscale, per mezzo del quale se faceano diete extorsione: impero ogni peccato veniale lo faceano crimen lesa; majestatis, et soto tal nome condemnavano et applicavano a la camera de Monsignor Ravaste, nostro governator; il nome del quale procurator se domanda Johanne Bartholomeo de Lunelis, il quale tutte predicte cosse causava insieme cum domino Nicollo de Guidobonis de Tartona vicario reale del prefacto Monsignor de Ravaste. Per lequale cosse, li populi minuti et quelli de le rivere e valle, es- (1) Paris, Bibliothèque nationale. Fonds Francis, cod. 2961, p. 23 - 535 ~ sendo stimulati et instighati da alquanti sedixiosi populari, qualli desideravano di destenere e avilire el stado de la prefacta Regia Maestà, essendo mal contenti de dicti comportamenti facti per dicti officiali, corno persone ignorante, facilmente se hano lassato persuadeyre ad far dicta sublevatione. Perilchè essendo tuti populari e plebei conscii di quello volevano fare, a di xx de junio de 1 anno presente, se sublevorono, essendo facto capo di loro uno chiamato Polo Baptista Giustiniano, et dapoy molti inconvenienti per loro usati, tandem cum arte et ingenio de li nobili, quali su-portarono molte injurie, fu sedato dicto tumulto. Imperò se fece quello che volevano dicti populari, essendo absente a li bagni in Acqui Monsignor Rochabertina, locotenente del prefacto Monsignor Ravasteno, a loqualle essendo più volte in sua absencia facta noticia de dicti inconvenienti et requesto volessse venir, non curò di farlo. Anci, secondo se dice, quando in Aqui gli fu portato tal novella dixe: « Lassali far, che scuzera un poto de dexe milia scuti. » E da poi molto spacio, venendo esso Monsignor Rocha-bertin ad Genoa, li andò a l’incontro, per doe giornate, esso Paulo Baptista Giustiniano, auctor e capo de dieta sedicione, e secondo se comprende, se po havere per certo sia stato corropto da lui con denari, atenti li poi comportamenti. Imperochè poi giunse ad Genoa, non solamente non cercho di pacificar dieta sedicione, anci di crescerla et fomentarla, impero continuamente stava e praticava con dicto Polo Baptista Giustiniano , capo e auctor de dieta sedicione; e siccome dicti plebei haviano facto dodexe loro officialli da loro propria auctorità per consultare dicta seditione, esso Monsignor Rochabertin li persuase e conforto li reducesseno in quatro, adcioche fusseno le loro cosse più secrete; cum li qualli continuamente secretamente praticava, non obstante che continua-mente da li nobili fusse pregato e confortato che volesse dicti officiali plebei deponere, essendo contra lo honor e stato de la prefacta Regia Maestà; il che mai non la voluto far. Anci, governò le cosse ad tal modo che essi plebei pigliorono animo, et, ad li xvin de Julyo de 1* anno presente, senza alchuno timoi ni respecto, tuti se sublevorono e preseno le arme, tra li qualli Petro e Vincenzo Sauli e li altri loro fratelli, in eflecto capi e principali de — 536 — dicta sedicione, insieme cum multi altri populari, tra li quali molti Giustiniani, Fornari et Adorni; et in essa sublevacione, insieme cum Monsignor Rochabertina, corsero la terra cridando: « Franza! » e: « Viva populo e officii! » e: « Ad la morte li gentiluomini. » Il che segui che molti se sublevorono et amazzarono uno de la casa Doria, chiamato Vesconte, e ferirono ad morte uno altro, chiamato Augustino Doria, il quale, usque in hodiernum, non si po mover di lecto. Et dicti caxi furono facti a persuasione e comandamento de dicto Paulo Baptista Justiniano, presente a dicti homicidii. Furono anchora feriti diversi altri nobili, qualli seria longo contar, et più non ne ferirono ne amazarono perchè più non ne furono trovati, che ogni nobile fugi e se absentò, non vollendo fare tumulti ne prendere arme senza licencia del prefacto Monsignor Rochaberti, loqualle mai li volse concedere; anci essendo requesto dal signor Johanne Luise et altri nobili che volesse far sedare dicti tumulti, et essi nobili se offerissero de venirli in persona, insieme cum loro amici; non solamente non lo volse fare, anci corno e stato dicto, se tirò cum dicti plebei, come è dicto de sopra, permetando sopravenendola nocte molti robamenti e latrocinii. Impero furono derrobate per forza più di cinquanta case de dicti nobili, et in alquante de esse hanno stuprato e violato le loro done, e, non contenti de le predicte cosse , venendo el giorno, essendo essi nobili occulti et absenti per forza de arme, fecero uno consiglio e feceron gli offici ad loro modo contra ogni razone e consuetudine de dieta città - et il giorno sequente tornarono ad prender le arme. E da mezo giorno, in presencia de dicto Monsignoi Rochabertin, quale diceva non poter obviare, in mezo de banchi, per forza, con picchoni ed altri instrumenti supero la porta de uno altro nobile, e li robarono tuta la casa, et feceron tante altre insolencie che serian longo contare. Perilche dicti nobili quali pei niuno non volevano prender arme, per non turbare lo stato de la Reverendissima Maestà, vedendosi maltractati da dicti plebei e Monsignor Rochabertin, mandarono a lo Christianissimo Re Nostio Messer Andrea Doria cum ampla instructione de quello era occorso. Il quale) essendo juncto in corte, ritrovò Monsignor e Ravaste, el quale non volse se parlasse de li cativi comporta- - 537 — menti de dicto Monsignor Rochabertin, suo locotenente, dicendo che lui havia ad venire ad Genua e provederia al tuto. Li qualli nobili, non contenti che esso Andrea Doria non havesse narrato il tuto ad lo Christianissimo re nostro, deliberarono mandar duy altri de loro primati ad la prefacta Regia Maestà; li quali, essendo in camino, ritrovarono Monsignor de Ravaste, loqualle non volse che andassero più oltre, dicendo non bisognare. Impero havia commissione et ordine ad provedere al tuto. Unde, venuto esso Monsignor de Ravaste in Hast, dove se ritrovava Monsignor lo gran metre (sic) de Milano cum Johanne Aluyse e molti altri de li primi nobili, essendo insieme per deliberare dieta impresa de Genoa, li fù confortato e pregato per dicto signor Johanne Aluyse e nobili che volesse andar forte e gagliardo in dieta città, e tanto più che in tale opinione se ritrovava Monsignor il gran metre, il quale ha longa experiencia de le cosse nostre, e cossi tuti li altri soi capitanei. Il quale mai non lo volse far, anci a persuasione de lettere de Rochabertino et Gualtero, flamengho, suo argenterò, volse aderire a la persuasione e volontà de ambasciatori plebei, quali erano venuti li in Asti; li quali li persuaderono che andasse cum poca gente, e che faria tuto quello volesse. Unde deliberò d’andare solum cum fanti mille, et, in effecto, in restrecto ne conduce solum settecento cinquanta in circa, e non obstante la poca provisione che havea, haveria facto executione se havesse voluto. Impero erano tuti plebei in grandissimo timor, e molti de li primi già se erano occultati e pensavano de fugire, dubitando non esser puniti. Ma dicto Monsignor de Ravasteno communicando quello voleva fare cum dicti Rochabertin et Gontero, era dicti soy pensamenti communicati cum populari ; il che se estima fusse de soa volontà per diverse cosse sono proseguite. Unde advene che, per parte de la prefacta regia Maestà, comandò per scriptura al signor Johanne Aluyse, quale era inviolato cum bona compagna, che se dovesse partire da la città. Il quale, dapoi molte persuasione per lui facte ad esso Monsignor de Ravasteno, che non era non bene ne utille de la Regia Maestà chel se partisse, tandem li fu necessario partire per obedir a comandamenti soy ; de che segui che, statini fù uscito fora de la città, li populi se tornarono ad — 538 - levar in arme, e feceno li officii ad loro modo, cum consentimento de dicto Monsignor de Ravaste, a lo quale, per mezo de dicto Rochabertin e Gualtero, per relatione de dicti plebei, fu promissa o somma de denari ; et esso Gontero hebe a dire ad uno de nostri nobili: « Voi altri gentilhomini, non volete dar niente, et per questo non haverete gli officii. » Segui poi che dicti plebei, cum auctorità de dicto Monsignor de Ravasteno, gubernator nomine regio, andarono a prender la rivera de Levante data in governo ad M. Lucha Spinula; anci, eh’è più forte, requirendo esso Messer Lucha subsidio da Milano, soto loqualle ha in pheudo dieta pieve, fu scrito per dicto Monsignor de Ravasteno che non durassero fatica ad mandare, impero per nullo modo non li manderevano alchuno ad prenderla, e sotto talle fraude s’è perduta. Il scimile dicono voler fare ad Monacho, intanto che non fano stima alchuna de la prefacta Regia Maestà, et, cum qualche loro conseglii, hano havuto a dir che hano conducto Monsignor de Ravasteno ad far quello che voleno, et che il scimile faranno de la prefacta Regia Maesta; intanto che, havendo dicti plebei obtenute certe predarne de dicto Monsignor de Ravasteno, de lequalle, per uno nostro gentilhomo mandato qui in posta ad la prefacta Christianissima Maesta è stata obtenuta la revocatione de diete proclame e comandato dicto Rochabertin che non dovesse innovare cosa alchuna in prejudicio de li nobili; non l’hanno voluto obedire ne fatone alcuno conto, digando che ne obteniranno una altra contradictoria pei uno sento. Si che se po veramente dire dieta prefacta Regia Maestà non havere alcuna auctorità in lo dominio de Genua, excetto in Casteletto. Hano dato ad esso Monsignor de Ravaste scuti tremilia e più, cioè in Asti per mane de mercadante de li, scuti mille, et a Lyone, scuti duomilia, in più, per mano de Sauli, mercadanti li; et dicti denari ha havuto per pagamento de scuti vintimilia, quali ghe hanno promissi dicti plebei, facendo esso Monsignore confirmargli li officii e certi altri loro magistrati inuxitati alla cita, ad li quali hano dato tuta 1’ autorità de punire e fare secondo che apertene ad la Maestà Christianissima e perdonarli li loio delieti. Hanno dato anchora a Monsignor La Clietta una catena doro de valuta de scuti 300 in più; et ad Rochabertino - 539 - siamo novamente avisatili hano dato, sopra uno bancho ad Genoa, scuti cinque milia: per tanto, essendo dieta nobilita data in preda de li piopiii officiali de la prefata Regia Maestà li è stato necessario mandar a dieta Maestà per domandar rimedio a tante inso-lentie, causate cossi contra lo honore e stato de la prefacta regia Maesta, como anche per interesse de dicti nobili, requirendo quello ìemedio pare e piace ad Soa Maestà. E benche a Soa Maestà li sia stato facto difficile poderli provedere a fine de excusar li errori passati e consentir a li populi quello‘che receveano, tamen in verita sera facilissimo a Sua Maestà. E benche sia presuntione volere intrometerse in talle cosse, tamen per obediencia ne occorre che havendo Soa Maestà sey gallee le qualle tenivano le nvere in freno, et Svycery quatromila e lande cento cinquanta, insieme cum li subditi de li nobili, li quali seriano bona somma, sine dubio se obtineria la victoria inanti che se fusse le mur., maxime dagando talle impresa ad alcuna persona degna de aucto-rita, che habia experienda de le cosse d’Italia; prohibendo le victualie corno facilmente se po far de ogni canto, et maxime che tuti li passi de Genoa sono en mano de gentilhomini et subjecti a la Maestà Regia corno sono La Valle, Gavio, Campo e Vuada, da laltro canto Montobrio e le altre castele del signor Johanne Luis, e tanto più che, volendo, la Maestà Regia facilmente se poterà assecurar de la valle de Pulcifera se bisognerà, dandoli obstagii ; e la predicte provixione ne par necessario farle cum ogni celerità. Impero lo tempo poteria parturire qualche desordine ne seria al prospecto, ne la condicione de Io inverno ha ad impedir tale esecutione, per rispetto de li lochi temperati non subjecti a fanghi ne neve, e per le bone stancie qualle sono fora a torno a la cità, in le quelle se potrà alogiar homini darme e fantarie tanto quanto bisognerà. — 540 — un. Lettre de Louis à M. de Montmorency (0-(Gènes, 30 avril 1507). Au dos: A Mons/ de Montmorency. M. de Montmorency, j’escripts à M. le chancellier bien au long, mais tant y a que vous advise que hyer, gràces à Dieu, j entrai en cette ville ma citè de Gennes, et l’ay réduicte et reniise en mon obèissance et subjection tellement, que j’en puis faire et disposer hault et bas à mon plaisir et voulenté et ne pourriez croire comme j’ai èté bien servi en tous endrois par ceux à qui j avais donné charge de mon armée et conduire cet affaire qui est 1 un des grands que j’entrepris jamais. Mais, gràces et louenges à mon Créateur, j’en suis sorty à mon très grand honneur et réputation si grande par toute l’Italye que se je voullois je tireroys bien plus avant. Au demourant, je suis après à donner ordre en mes affaiies et à ce qui est nécessaires au bien et seurté de cette dite cité, ce qui ne^se peut faire en peu de jours, mais vous povez estre sui que je y ferai toute dilligence pour m’en retourner le plus tost que possible me sera. Cependant continuez à m’escrire de vos nouvelles. Et à Dieu, M. de Montmorency, qui vous ayt en sa sainte garde. Escript à Gennes le derrenier jour d’avril. Signé: Loys. Et plus bas : Robertet avec grille et paraphe. (1) Paris, Bibl. nationale, Fonds Frangais, cod. 2932, n.° 1, fol. I. - 54* - V. Acte de fidèlité de la Banque de Saint Georges (i). (ii mai 1507). Cum post seditiones in civitate ortas et perturbationes ingentes inde sequutas, tandem Christianissimus rex dominus noster, devictis et pulsis seditionum auctoribus et facinorosis atque iniquissimis hominibus , civitatem ipsam et populum Januensem auctoritate sua ac viribus in jus et dictionem Suae Majestatis redegerit, ac proinde pro sua incredibili benignitate ac clementia, regio elatoque animo devictis pepercit, pauculis exceptis, mandaveritque in gloriam suam et ut populus ipsi Januensis novo quoque vinculo obstringatur ut juramentum fidelitatis renoveretur; idcirco nos, Antiani, officium monetae et officium Saint Georgii communitatis Januas, constituti in presentia Christian issi mae et invictae Majestatis suae sedentis in regio throno ac sede constructa in platea palatii, circumstantibus atque assistentibus circa Majestatem suam Reverendissimo Domino Cardinali Rothomagensi et quatuor aliis Reverendissimis Cardinalibus, plurimisque principibus et magno Dominorum et procerum numero, maximo populi concursu, repleto ferme palatio toto, elevatis manibus, juramentum infrascriptum affirmantes , tam in nostro nomine privato et particulari quam nomine totius populi predicti Januensis et quorum, ex magistratibus superius nominatis qui interfuimus, et juravimus nomina sunt haec. Et primo, nos Prior Antianorum, Nicolaus Spinula quondam Francisci. Lucas Justinianus. Stephanus de Monilia. Panthaleo Italianus. Georgius de Zoalio. Petrus Federicus Cataneus. Fran-ciscus de Arquata. Dominicus de Marinis. Francesco de Flisco. Lazzarus Pithenotus. Augustinus de Ferrariis. Baptista Lomellinus. Offitiales Baliae ejusdem civitatis e commnnitatis. Lucas Spinula, Miles. Dominus Johannes de Auria, Miles. Johannes (1) Milan, Biblioteca Brera, A. B. X. Atti, Soc. Lio. St. Patria. Voi. XXIV, fase. 2.0 35 — 542 — Baptista de Grimaldis. Franciscus Lomellinus. Baptista de Rapallo. Fredericus de Camulia. Matthias de Nigrono. Johannes Ambrosius de Flisco. Raphael de Furnariis. Stephanus Justinianus. Ausonius Sauli et Baptista Bottus. Offitiales monete. Simon Bigna. Bernardus de Franchi. Johannes Baptista de Facio. Antonius de Serra. Dominicus Calvus. Bartholomeus de Nigro. Johannes Jacobus de Auria et Johannes Baptista Sauli. Officiales Sancti Georgii. Johannes Baptista Spinula. Francescus de Rocha. Georgius de Grimaldis. Petrus Gentilis Ricius. Simon de Amigdula. Jacobus de Rapallo. Johannes de Padaro et Bartholomeus de Nigro. Et nos omnes hic praesentes de populo Januensi ut supra recognoscentes vos serenissimum principem et Christianissimum regem Franciae verum, natalem et indubitatum Dominum Januae et totius districtùs Januas juramus ad Sancta Dei evangelia, manibus vestris, pro vobis, filiis masculis et feminis, et successoribus vostris in perpetuum, quod nos, filii et successores nostri, et in perpetuum, erimus boni, fideles et sinceri homines et subditi Majestati vestrae et filiorum utriusque sexus, ataue successorum vestrorum; et nullum alium viventem, seu naturaliter vivere potentem, vel moriturum, cujusque status, dignitatis, preheminentias et gradus existat, etsi de eo necesse foret specialem facere mentionem, recognoscimus in Dominum, nisi vos Serenissimum et Christianissimum Regem nostrum et filios utriusque sexus et successores vostros predictos. Item, quod nunquam erimus in aliquo tractatu, colloquio, machinatione, opere seu facto, in quo aliquid tractetur contra vos fidelissimum Christianissim regem nostrum, filios et successores nostros, in persona, honore, statu vel bonis, neque in quo tractetur sive fiat quod perdatis personam vel membrum vel aliquod aliud de bonis quas tenetis vel tenebitis vel lesionem aliquam in re vel persona patiamini et signanter quod predatis civitatem vel dominium Janue in toto vel in parte, vel quod aliqua inobedientia vel rebellio fiat contra Majestatem vestram, filios masculos et feminas et succes- — 543 - sores vestros, vel gubernatores, seu locumtenentes, aut alios vestros officiales. Quin immo, si aliquid persenserimus, pro posse obviabimus et notificabimus vobis vel locumtenentibus vestris et gubernatoribus Janua;. Item si contingat vos Serenissimum Regem Dominum nostrum Januae filios utriusque sexus et successores vestros, aliquid perdere de iis quae tenetis, in futurum illud toto posse recuperari jurabimus; vel si contingat aliquam oppressionem, injuriam et damnum nobis fieri vel inferri, vos pro toto posse juvabimus contra quoscumque qui possint vivere et mori sine aliqua exceptione. Item juramus quod, si a nobis aliquod et consilium peteretur per vos \el Locotenentes vostros, illud fideliter dabimus et conferemus quod secundum Deum et conscientiam videbitur nobis melius expedire. Item juramus quod secreta qua; per nos Serenissimum regem Dominum nostrum filios et successores vestros, seu Locumtenentes et gubernatores nobis vel aliquibus ex nobis comittentur, illa nemini pandemus vel faciemus aliquid propterquod pandentur vel revelentur sine vestra vel locumtenentium vestrorum expressa licentia. Item juramus quod reliqua omnia et singula faciemus quae quilibet fideles subditi facere tenentur et debent in omnibus et per omnia, secundum formam capitulorum utriusque veteris et novae fidelitatis, bona fide sine fraude, sed cum omni diligenti studio ac pura e sincera mente. VI. CONCESSION DU PRIVILÈGE DE NATURALITÀ À LA VILLE DE SaVONE (i). (Savone, ... juillet 1507). Loys par la gràce de Dieu roy de France, duc de Milan seigneur de Gennes, savoir faisons à tous présens et a venir que nous, voullant recognoistre envers nos très chers et bien amés subjects (1) Paris, Bibliothèque nationale, cod. franf. 2930 (N.® 46, fol. 163); aussi dans port. Fontanieu 154-155, fol. 448. — 544 — cytoyens, manans et habitans de notre ville et cyté de Savonne, les les très grands, parfaits et entière loyauté et fidélité en laquelle ils se sont toujours maintenus envers nous, et faire leur impartir quelque gràce redondant à l’honneur et utilité d’eux et de leur postérité, à ce qu’ils soient de tant plus enclins à se affectionner à continuer pour persévèrer de bien en mieulx et pour aultres bonnes causes considérations à ce nous mouvans, à iceulx cytoyens, manans et habitans de notredite ville et cité de Savonne, avons de notre certame science, gràce espéciale, piaine pnissance et auctorité royale, octroyé et octroyons, voulons et nous plaist, par ces présentes, qu’ils et leurs enfants et successeurs nés et naìtre en ladite ville et cité de Savonne en loyal mariaige, soient dorénavant dicts, tenus et réputés corame natifs et originaires de notre royaume, et comme tels puissent en notredit royaume acquérir, tenir et posseder biens meubles, immeubles et héritages et d’iceulx disposer par donation entre vifs, testament et ordonnance de dernière volonté et autre-ment ainsi que bon leur semblera, et semblablement qu’ils puissent et leur loyse avoir et tenir offices, bénéfices et dignités en icelui notre royaume, tout ainsi que s’ils estoient natifs et originaires d’icelui, sans ce qu’il leur soit besoing pour ce avoir autres lettres de nous que ces dites présentes, par lesquelles lesavons quant à ce habilités et dispensés, habilitons et dispensons et sans ce qu’ils soient tenus payer à nous ou aux notres aucune finance ou indempnité laquelle, à quelque somme, valleur ou estimacion qu’elle puisse monter, nous leur avons donnée, quictée, remis, donnons, quictons et remectons par ces dites présentes signées de notre main; si donnons en mandement à nos amis et féaulx les gens de nos comptes et trésoriers à Paris et à tous nos autres justiciers et officiers ou a leurs lieutenans présents et à venir et à chacun d eux, si comme il appartiendra, que de nos présens gràce et habi-litation, don, quittance et octroy et choses dessus dictes ils facent, souffrent et laissent lesdits citoyens joir et user plainement et perpétuellement, sans leur faire, mettre ou donner ne souffrir estre faict, mis ou donné aucun destourbier ou empeschement au contraire, ce que se fait, mis ou donné leur avoit été ou estoit, le ra^ent et révocquent, et mectent ou facent réparer, révocquer, — 54S — et mectent incontinent et sans délai à pieine délivrance et au premier estat et deu; car tei est notre plaisir; nonobstani que la valleur de ladite finance ne soit ci déclairée ne spécifiée, que des-chaiges n en sont levées, et quelsconques ordonnances, loix, statuts, decrets, restrinctions, mandements ou deffenses à ce contraires, et à fin que ce soit chose ferme et stable à tousjours, nous avons faict mectre notre scel à ces présentes; sauf en autre chose notre droit et l’altrui en toutes. Donné à Savone au moys de Juillet, l’an de gràce 1507 et de notre regne le Xeme. Signi: Loys. E: plus bas : Par le roy: Robertet. Visa. VII. Lettre de la Commune de Génes à Louis XII SUR LA FABRICATION DE 240,000 DUCATS (i). (Gènes, 23 octobre 1507). Sire, quanto più humilmente possiamo a la bona gratia de la Majesta Vostra se ricomandiamo. Sire, non havendo ancora potuto usare de la concessione a noi facta per vostra clementia de poter qui fabricar scuti ducento quaranta milia e portandone grande incommodo e damno, e venendo al presente in corte per altri soi bisogni el reverendo Messer Guirardo Bonconte, portatore de queste, el quale al presente è nostro citadino e participo de nostri beneficii ecclesiastici, habiano deliberato ultra altre nostre lettere de questa materia a Vostra Maiesta scripte, dare al detto Messer Guirardo cura de exponere a la dieta Vostra Maestà alcune cosse circa la dieta concessione e fabrica. Il perche quella supplicano se degne per sua clemencia benignamente audirlo, e al più presto expedirlo e dar fede a tutto quello che exponera sopra la dieta concessione e fabrica come a noi proprii. Pregando Dio omni- (1) Paris, Bibl. Nat. Fonds Francis, Cod. 2960, p. et n. 5 (aussi dans le port. Fonunieu, 157-157, p. 2. - 546 — potente si degni Vostra Maiestà conservar in longa vita e prosperità. Data Januae die xxni octobris mdvii1"0. Majestatis Vestras fidelissimi servitores et subjecti officium Baliae Communis Januae. Nicolaus. Vili. OrDONNANCE SUR LES MONNAIES GÉNOISES (i)-(Milan, 27 novembre 1509). Cridc super monetis Januensium. 1509 die 27 Novembris. Intendendo el Christianissimo Re de Franza, nostro Signore, Duca de Milano, el damno che segue universalmente a li populi et subditi suoi et alla camera sua per il spendere et recevere de le monete debite et manche de la debita valuta a la correspon-dentia del precio del oro, maxime per el spendere et recevere che si fa in questa inclita sua cità et dominio ducale de Milano de li grossoni genovini per soldi trenta, per soldi xv et per soldi vii e mezo 1 uno, novi stampiti sotto il nome de la Regia Maesta Sua da la conquesta d’ essa cità de Genoa in qua, licet non siano a tanta et penso che si possano spendere per tale precio, conio s e trovato secundo li assagij facti d’essi, sed potersi solum spendere per soldi xxvnj l’uno et non più, et tuti li altri supranominati de minor precio a la rata de li dicti da soldi xxvnj, cioè quelli da xv per xiiij e quelli da vij e mezo per sette; ita che, quando si tollerasse il spendere secundo el corso hanno de presente non solum seguiria il damno predicto, ma ancora seria far crescere il pretio del oro, però volendo la prelibata Maestà sua adprovedere ad tanto manchamento et damno, per la presente crida comanda et vuole che veruna persona de qualuncha stato, grado, dignità et (1) Milan, Anh. di Slato, reg. Panigarola. N. 183, 184. - 547 — conditione et preheminentia voglia se sia, non ardisca ne presuma per modo alcuno, directo ne indirecto, et sotto alcuno questo colore spendere ne ricevere li dicti grossoni per più de soldi xxviij 1’ uno, et cosi li altri sopranominati a la rata ut supra, sotto la pena de perdere tale monete et de pagliare per uno quatro. La qual pena per la terza parte pervengha a la regia ducal camera et habenti causa et dato da quella, l’altra terza al Magistro et Incantatore de la zecha, et 1’ altra terza parte al inventore et accusatore irremissibilmente ipso facto. Non intendendo però per la presente crida derogare ne alterare le altre cride ne ordini facti da qui in dreto per le altre monete d’ oro et d’argento. Signata, Johannes Julius. Publicata super platea arenghi et in brolleto novo comunis Mediolani per Andream Pisonum, tubetam regium, die martis xxvij suprascripti mensis novembris, sono tubarum praemisso. IX. Lettre du commandant du chateau de Savone à Louis XII (i). (3 décembre 1511). Sire, j’ai veu unes lettres, lesquelles il vous a pleu m’escripre du premier jour d’octobre derrenier passé, et par lesquelles il vous a pleu me commander que je misse entre vos mains tous les biens des parents du Pape, ce que j’ay fait; et quand votre bon plaisir sera y envoyer un commissaire, vous verrez que je n’y ai riens oblyé, nonobstant que vous trouverez qu’il n’a guerres de parens en cette ville, mais je y ai mis ses parens, et tous ceux que le suivent et qui sont avec lui. Sire, je me suis trouvé en cette ville où M. de Foix m a mandé que je y voulsisse demeurer pour le bruict que courroit en cette rivière; laquelle chose je lui ai obéi. (1) Paris, Bibliothèque nationale, F. Fr. 3928. Aussi dans port. Fontanieu, 156-7» f. 185. — 54§ — Sire, il y a grand bruit de guerre en ce pays-ci par tous cotés. Je ne me suis pas volu effrayer du premier cry et ne vous en ai riens volu escripre; mais je vous asseure, sire, qu’il est besoing que vous y pourvoyez, car je suis sur le lieu et ai assez demeuré par de^a pour cognoistre les gens, et il y en a beaucoup de malvais vouloir; mais je suis asseuré sur ce que vous avez pourveu à toutes choses, et que vous pourvoirés bien à celle-ci, et pourtant j’ai envoyé vers M. de Foix, et il m’a escript qu'il n’avait point de puissance, et que c’estoit à M. le gouverneur de Gennes à me pourveoir, sur quoi j’ai envoyé mon lieutenant vers lui et m a fait response qu’il n’a point aussi de puissance. Sire, il vous a pleu de promettre à Tallard, mon lieutenant, une place de vos bandes; pourtant vous prie qu’il soit votre plaisir de escripre aux cappitaines qui sont de par de^a de vouloir enrouler, car il en a assez de vacquants. Sire, mon poure avis est que vous devez envoyer un homme ou donner puissance à quelcun de par de<;a de y pourveoir les choses que y sont nécessaires, et pour ce que l’on dit qu’ils sont tous pourveus et marchent et si veullent faire leur devoir, ils prandront quelquechose du votre qui sera malaisé à recouvrer et ceux qui en auront le gouvernement en auront la honte et vous le dommaige. Sire, de moi je ne vous saurois pas de guerres servir en cette ville icy de ma personne seule: vous cognoissez la place et savez comment elle est pourvue. Pourquoy, sire, je vous supplie que votre bon plaisir soit d’y avoir regard et aussi de me commander vos bons desirs pour les accomplir. Sire, je prie au benoist fìls de Dieu que vous doint bonne santé et bonne vie et longue, et vous viendrés bien à fin de tout. A Savone le in Décembre. Votre tres humble et très obéissant Serviteur et Subject. manque la signature. - 549 — X. Lettre de M. de Rochechouart à la république de Lucques (i). (Gènes, 25 avril 1511). Magnifici Domini tamquam fratres. Io me aricomando bene a la Signoria Vostra de bon core. Se sono recevute le lettere vostre per le quale significati la juncta li de lhomo nostro , e apresso la fede, servitù et affectione vostra verso la casa del Re Christianissimo, el che a me non è stato cosa nova, havendovi sempre trovati, etiam cum li effecti e bone opere vostre, ben devoti de Sua Maestà. Da epso homo nostro ho inteso diffusamente quanto gli è a la bande de la, circa le commissione a lui date se voglio credere, anzi rendomi certo, che per quella Signoria non si saria confortato cosa alcuna, laquale tendesse contra l’interesse regio. Cossi conforto a continuare e, cadendo 1' occasione, fare per le cose del Re secondo che recercha l’amore de Sua Maestà verso quella repubblica. Cum la gratia de Dio, se po sperare bono pacifico in Italia per esser concluse le pratiche de la pace conio le Signorie Vostre doverano havere inteso; queste novità del Genovese siccome hano havuto poco fondamento, si sono ancora presto resolte cum vergogna et dano de chi li tentava, essendo restati presoneri el capo principale e parte de li compagni. Resta solo che a la Signoria Vostra ricorda chio sono per farli piacere in quello accadera venire de mano sua. Et bene valeant. Genuae die xxv aprilis mdxi. Lo tuto vostro bono amico. De Rochechouart. (1) Lucca, Arch. di Stato, Lettere Originali, 448. — 55° XI. Lettre de M. de Pregent au trésorier Robertet (i). (Génes, 25 janvier Monseigneur, je me recommande a vostre bonne grace tant humblement que faire puis. Monseigneur, ces jours icy a esté quelque nouvelle par un de Fiorance qu’il estoit venu xvi gallères Véniciennes a Cuntavache; incontinent fut advisé par Monseigneur le Gouverneur et par 1 office de la Baillye que le y envoyroye deux lieutenans pour en savoir la vérité; et ainsi fut fait, et leur donne commission que en allant leur chemin, s’ilz avoient nouvelle seure dudit Cuntavache, que lesdites galleres y fussent ou non, que l’un desdits lieutenans retournast en derrière pour dire ce qu’il auroit sceu; au soir revint l’un, qui n’a esté que jusqu’à Portevendres, la ou il a trouvè le secrétaire du seigneur de Plombins le (2) du present mois, dit que audit Cuntavache n’est nouvelle da rien. Et aussi est venu ung gallion de Naples, qui en partit il y a aujour-d hui xxm jours, qui dit pareillement qu’il n’est nouvelle qu’il se face nulle armée de mer de là. Incontinent que ledit bruit fut venu, je le dis a Monseigneur Le Gouverneur, et comment le dit secrétaire avoit lettres de créance adressantes à moy dudit seigneur de Plombins, et qu’il s’estoit allé deshabiller et devoit revenir aujourd’hui pour me dire sadite créance, bien qu’il m’en dist partie; et mondit seigneur le Gouverneur ne me dist riens au soir, qu’il escriproit, et si moi compte que attendroit à aujourd’huy, après avoir eu la créance dudit secretaire. Aujourd’hui matin, mondit seigneur le Gouverneur m’a dit qu’il escriproit arsoir, et si j'en ...... este adverty, j’eusse escript a Votre Seigneurie de ce que ausse j’eusse sceu Monseigneur, je croy qu’il souvient à Votre Seigneurie, qu’ap- (D Paro, Biblioth. Nationale, coll, Dupuy, cod. 26;, fol. 11 et 12. (2) La date en blanc. - S5i - piùs que je tuz revenu ici de Marseille, j’escrips a Votre Segneurie, comment la femme dudit Seigneur de Plombins estoit morte, et qu il me sembloit qu’il seroit bon de cherclier de ravoir ledit Seigneur de Plombin au service du Roi; et à cette cause j’avois paile audit secretaire dudit seigneur de Plonbins pour donner commission qu’il dist audit Seigneur de Plombins, de par moy, que s il avoit voulontè de se retirer au service dudit Seigneur et estre marie en France, que j’en parlerois à mes amys qui en feroient l’ouverture au Roy, et de moy luy feroy tous les plaisirs qui me seroient possibles, et qu’il me sembloit que quant il seroit serviteur du Roy, il seroit trop mieux Seigneur de son cas que non pas d'estre serviteur du Roy d’Arragon, parce que la repputation et faveur est trop plus grande et le service trop plus près que n’est celui-là dudit Roy d’Arragons. Ledit secretaire fist son meissage, cornine il dist, et à cette heure le dit Seigneur de Plonbins me respont, ainsi que Vostre Seigneurie verrà par les lettres qu’il m’a escriptes, que j’envoie à Vostre Seigneurie, et j’ay oy la crèance dudit secrétaire; dit que ledit Seigneur de Plonbins a esté trez aise d’avoir oy l’ouverture que je luy ay faite, et qu’il ne tardera à luy qu’il ne soit au service du Roy, et dit que, depuis l’advertissement que je lui en ay fait, il a envoyé ung homme devers le Roy d’Arragon pour luy nottifier comment la Princesse sa femme est morte, et luy fait entendre comment il est jeune et n’est point pour demeurer sans femme; et de prendre de quartier du dit Roy d’Arragon, il n’est point pour en prendre de moindre estat que de celle qu’il a eu; et que ledit Roi d’Arragon ne soit point mal coment de luy s’il en prent là où il en trouvera, et nommément va pour rompre la cappitulation qu’il a avecque ledit Roy d’Arragon, car il dit qu’il ne lui a pas tenu ce qu’il luy avoit promis, car il luy avoit promis cent hommes d’armes et il n’en a rien eu. Aussi dit que ladite capitulation devoit durer jusqu’au mois de may. Et en effect le dit secrétaire m’a dit que le Seigneur de Plonbins ne serche autre chose sinon que se deffaire honnettement dudit Roi d Arragon, et dit que ledit Seigneur luy a dit qu’il me certiffie que s il le Roi le voudra retirer, que jamais femme d’Espaigne n espousera, ne que autre roi ne servirà. — 552 — Monseigneur, il me semble advis que c’est ung des lieulx d Y-tallie que le Roy doit plus sercher d’entretenir que celui-ci. Car ayant Plombins entre ses mains, il a la porte ouverte pour entrcr en l’Itallye sans nul contredit. Ledit secrétaire m’a dit que au-trefois le roy avoit envoyé devers luy et que s’il fast venu troye jours d’avant en fa<;on que la chose dudit Roy d’Arragon...., qu’il eust trop mieulx [aimé] prendre le parti du Roy que celluy du Roy d’Arragon, et, par l’advis dudit secrétaire ledit Seigneur de Plombin, a bien voulu d’estre au service dudit Seigneur. Tou-teffois le caractere des hommes est fort à congnoistre et pourroit estre qu’il diroit ceci pour dissimuler et vivre sellon que le temps sera. M’a dit ledit secrétaire que ledit Seigneur de Plombins luy a donné charge de me dire que je le fisse en fa$on qu’il congnust si le Roy a voulonté de se servir de luy, et qu il le luy face scavoir, et me semble, Monseigneur, que s’il sembloit à Votre Segneurie de faire que le Roy luy escripvist une lettre comment il est adverty de telle chose par moy, il seroit bon., et au demourant luy escripre son bon voulloir. J’ay demandé au secrétaire qu’il me bailliast par escript sadite créance, il ma dit qu’il n’avoit pas cette commission et que je ne le requisse de telle chose, pour ce que, si la chose ne venoit à son effect et que le Roy s’en courroussast, il pourroit faire monstrer audit Roi d Arragon la servitude que le dit Seigneur de Plombins luy poi-teroit. Monseigneur, je prie le benoist filz de Dieu que, par sa sainte grace, vous donne très bonne vie et longue, vous suppliant très humblement qu’il vous plaise me commander voz bons plaisirs pour les accomplir. A Gennes, le xxve jour de Janvier. Vostre humble et obéissant serviteur Prejans. A. Monseigneur F. Robertet Conseiller du Roy. - 553 -XII. Lettre du gouverneur de Gènes (?) A Louis XII (i). (Gènes, 28 juin 1513). Lettre au roy. De Gennes li 28 juin. Sire, tant et si très humblement que faire puis à vostre bonne gràce me recommande. Sire, ce matin un peu avant l’aube du jour, à un trait de canon au-devant de l’entrée du port de cette ville se sont descòuvertes sept gallères et quatre brigantins, lesquelles ont essayé de faire descente en tous les lieux opportuns à ce qui sont du costé de la marine, et après avoir trouvé partout response fort lointaine de leur propos, sans se mettre en devoir de faire plus grand effort, ont choisy d’eux retirer à un village de la Rivière de Levant qui est à dix mil d’icy nommé Reco; auquel lieu sont descendus en terre aucuns des dites galleres pour prendre des raffraischissements qu’ils ont payés jusqu’à la dernière maille, le tout en monnaye papalle sans employer un seul denier d’autre coing ne marque; et de ce nombre a cesté un vostre subject échappé et naguères prins par lesdites galères sur un brigantin genevois qui faisoit le voyage des soies en Calabre, lequel nous a advertis des choses qui s’ensuivent; Que sur les dites gallères, y a le nombre de plus de huit cent hommes de fait espagnols, embarqués partie à Gayette sur les dites gallères, partie par elles et aucuns brigantins portez à une isle nommée Ponce où les gallères du pape vinrent s’en changer de ce quelles en pouvoient porter. Que Paul Victor, capitaine des gallères de notredit Saint Pére, qui sont deux, est capitaine général de l’armée, et avec luy est la personne du sieur Hieronyme Adorne, et aucuns autres ses par- (1) Turin, Arch. di Stato, Raccolta Balbo, T. XIX, p. 74. — 554 — tisans et affectionnés et sur les gallères de Naples est le fìls du Gobbe, lesquelles toutesvoies (sic) obéissent aux commandements dudit Victor. Que dès Gayettes les eschelles furent faites pour entrer en cette ville, mais n’ont osé mettre leur entreprise à exécution, nobstant la clarté du jour que les a surprins et les provisions qu’ils ont trouvées. Que, à l’approche de la tarraque que nous avons ordonnée pour la garde de l’entrée de ce port, a esté blessé d’un coup de canon 1 algoisin royal des dites gallères, en fafon qu'on n’y espère plus de vie; qu ils attendent renfort d’un gros nombre de gens qu’ils disent leur devoir venir par terre, et que ils font compte de temporiser jusques à la venue d’iceluy et après recommencer de pousser en avant leur entreprise. Que tous les marchands qui ont été prins sur les brigantins du voyage de Calabre ont esté mis dans le Chateau Neuf à Naples, affin qu ils ne puissent donner advertissement de cette déliberation. Outre ce que dit est, je suis informé à la vérité que tous les chevaucheurs et messagers qui, puis certains jours en fa, venoient de Rome, de Naples et de plus avant ont été retenus à Pise, Pieirefite et autres lieux obéissans au pape, pour que la dite entreprise fust tenue secrete. Ce néantmoins, sire, nous avons donné cet ordre à la seureté et deffense de cette vostre cité que nous ne doubtons en rien 1 effort de vos ennemis; et si espérons en Dieu que, avec layde des bons serviteurs, nos amis, dont avez par defa grand nombre, et des proM'sions que nous renforgons journellement de plus en plus, vos dits ennemis ne remporteront de ce costé sinon vitupère et dom-niage. Toutefois j ai bien voulu vous advertir du tout, affin que sachiez entierement comment se portent vos affaires en ce quartier. _ S're> je prie le benoist fìls de Dieu qu’il vous donne très bonne vie et longue. De votre ville de Gennes, le 28 juin. LA RIFORMA RELIGIOSA IN LIGURIA E L'ERETICO UMBRO BARTOLOMEO BARTOCCIO RICERCHE STORICHE CONDOTTE DALL’APPARIRE DELL’ERESIA IN LIGURIA NELLA PRIMA METÀ DEL SECOLO XVI ALL’ANNO 1567 PER M. ROSI PREFAZIONE e la Storia della Riforma religiosa in Italia richiede ancora 1’ opera di studiosi spassionati e diligenti, la Storia della Riforma per quanto riguarda in particolare Genova, fin qui neppure tentata. Gli scrittori genovesi si sono affannati a ripetere che 1’ eresia mai ebbe seguaci in questa illustre città, e che i Genovesi furono in ogni tempó paghi della patria fede, quantunque conoscessero le altre credenze, dovendo per ragioni di commercio trattar con popoli di religione diversa e frequentare paesi, che inclinavano a novità. Di questo sono pienamente convinti gli scrittori che anche negli ultimi due secoli riandarono le vicende della Liguria, e se alcuni di loro si sono ricordati che nel Atti. Soc. Lio. St. Patria. Voi. XXIV fase. i.c — 558 — Cinquecento la Repubblica fece decreti contro l’eresia, nessuno poi si é preso gran pensiero di ricercare tutti i motivi di essi. A cagion di esempio, il Semeria (i) ci avverte che il Governo dette qualche ordine « per impedire non meno la comunicazione dell’errore, che 1’ introduzione e lo smercio de’ libri cattivi » (2). Si compiace della resistenza che il popolo genovese oppose alla riforma, « quantunque fosse più d’ogni altra popolazione d’ Italia esposta agl’ intrighi e alla corruzione degli eretici » (3); ed accenna ai beati ozi dell’ inquisitore , che, almeno per causa d’ eresia, non aveva nessuno da inquisire. Il Paganetti (4) avrebbe avuta buona occasione di parlarne nel secondo volume della Storia ecclesiastica, laddove tratta dei vescovi della Liguria; ma invece contentasi di notare, che il vescovo Girolamo Sauli « si studiò ed ottenne d’introdurre in Genova i Padri della Compagnia di Gesù » (5). E parlando di Mons. Agostino Saivago dice che questi, tornato dal concilio di Trento, « alla riforma del clero e gregge giusta i decreti del sacrosanto Concilio si diede » (6). (1) Storia ecclesiastica di Genova e della Liguria, Torino 1838. (2) Op. cit. p. 33. (3) Op. cit. p. 31. (4) Della Storia ecclesiastica della Liguria descritta e con dissertazione illustrata dal P. Pietro Paganetti de’chier. reg. min. Roma 1766. (5) Op. cit. voi. II. diss. LVII. pag. 263. (6) Op. cit. voi. II. diss. LVIII. p. 264. - 559 — L’Accinelli dà qualche notizia dell’ Inquisizione a Genova (i); ma forse costretto dall’indole compendiosa del suo lavoro, non esamina l’opera di essa contro 1’eresia. Allo Spotorno la Storia letteraria cui scriveva (2) avrebbe forse porta occasione propizia di trattare almeno sommariamente del movimento del pensiero religioso a Genova nel secolo XVI, ma non lo fa; nella parte poi della sua opera, dove accenna ad ordini religiosi, od a persone che dell’eresia potevano sapere qualcosa, non crede necessario intrattenersi su di essa, e tira innanzi senz’ altro. Così, per esempio, trattando dei frati conventuali di Sant’Agostino, che per le dottrine religiose e pei costumi meritarono biasimi e castighi (3), si contenta di lodare il P. Fabiano Agostiniano, dottore in Teologia, senza dire quali rapporti egli ebbe con quei frati, di cui pure dovette occuparsi (4). E 1’ Isnardi narrando la Storia della Università di Genova (5), dice che furono bene accolti i Gesuiti (6), i quali nello stesso palazzo oggi destinato all’Ateneo ligure, ebbero stanza; ma non avverte i rapporti che passano fra il loro arrivo e le idee di riforma. (1) Compendio delle Storie di Genova dalla sua fondazione sino all’ anno 1776 del prete Fr. M. Accinelli. Genova Lertora 1777- PP- 97> 99- (2) Spotorno. Storia letteraria della Liguria Genova 1824-58. (3) Ved. in questo nostro Studio, parte. 1. c. 1. (4) Spotorno, op. cit. t. III. p. 133. (5) Storia dell’Università di Genova del P. Lorenzo Isnardi. Genova 1861. (6) Op. cit. parte I. c. 20, p. 254. — 560 “*■ Il Varese (i), il Carbone (2), che scrissero Storie di Genova, non trattano quest' argomento, nè lo tratta il ' Donaver in un suo lavoro storico assai recente (3). Opere particolari intorno all’ eresia in Genova, che noi si sappia, non ne furono scritte, nè coloro che s’ occuparono di conventi o chiese genovesi parlarono di essa. Anche recentemente vedeva la luce uno studio sulla chiesa di Sant’Agostino (4), illustrato da alcune notizie sugli antichi abitatori del convento un tempo annesso alla chiesa. L’autore ricorda che il 1556 ne furono espulsi gli agostiniani conventuali per chiamarvi gli osservanti della Congregazione di Lombardia; del fatto non indaga le cause : solo si domanda, però senza cercare una risposta : « che qualcuno di quei padri abbia bevuto al calice di Lutero? » (5) Potremmo continuare ancora queste citazioni, ma pur troppo nessun vantaggio ne trarremmo per il nostro studio, il quale così è costretto a procedere senza la compagnia di opere, che lo guidino, e lo difendano lungo il cammino. Questo peraltro non può suonare (1) C. Varese. Storia delia Repubblica di Genova dall’origine fino al 1814. Genova 1835-38. (2) Carbone. Compendio della Storia della Liguria dall’ origine fino al t8i4. Genova 1836. (3) F. Donaver. Storia di Genova. Genova 1890. (4) Ab. P. De-Luchi. La Chiesa di S. Agostino a Genova. S. P. d’Arena 1893. (5) Op. cit. parte I. c. 6, p. 76. — 561 — rimprovero agli scrittori genovesi; alcuni di essi forse per I’ indole dei loro lavori, altri convinti che in Liguria non vi fosse stata eresia, si astennero dal trattarne. E in verità questi ultimi come avrebbero potuto credere diversamente? Lo Schiaffino, diligente annalista sacro della Liguria, e caro agli storici dei tempi nostri, che lo considerarono spesso come fonte preziosa di Storia ecclesiastica , ha certo contribuito ad allontanarli da tale argomento, nulla dicendo espressamente, che accenni a seguaci della Riforma in Genova (i). Gli annalisti poi del Cinquecento trascurano le questioni religiose, o non se ne occuparono affatto : quindi i posteri da essi potevano toglier nulla, od al più notizie vaghe e pressoché inutili. Al Giustiniani, principe degli annalisti genovesi del secolo XVI, mancò il tempo di trattarne, perché chiuse la sua opera il 1528, e negli ultimi anni ebbe da parlare di tante e gravissime faccende (2). (1) Ann. eccles. della Liguria del R. P. D. Agostino Schiaffino carmelitano. Opera in cinque tomi, del sec. XVII, reca notizie copiose sulla Storia ecclesiastica della Liguria fino all’ anno 1644. Nel t. IV si ricordano provvedimenti del Governo e del potere ecclesiastico, che noi a suo tempo studieremo, ma che forse allo Schiaffino non parvero meritevoli di spiegazione. Questi Annali, quantunque inediti, sono notissimi, e se ne trovano copie in biblioteche pubbliche e private. Noi ci siamo valsi di quella esistente nella biblioteca della R. Università: sala dei ms. B. VI. 1-5, scritta in caratteri del secolo XVII. (2) Annali della Repubblica di Genova scritti da Mons. Agostino Giustiniani. II voi. Genova 1854. — 562 — Il Foglietta (1), il Bonfadio (2), il Casoni (3), ed il Roccatagliata (4) non hanno neppure una parola per la Riforma. Paolo Partenopeo (5) dedica poche frasi all’ eresia luterana; dice che essa era stata mossa da M. Lutero, e loda Carlo V, che, dopo il Congresso di Bologna si recava a combatterla, riconoscendo che per opera degli eretici sovrastava « Reipublicae Christianae labefactandae ingens periculum » (6). Ora, stando a tali fonti, come parlare d’ una riforma religiosa in Genova? Però il silenzio di questi scrittori non ci recherà meraviglia , se penseremo non solo alle gravi preoccupazioni politiche di essi, ma sopratutto al desiderio vivissimo che avevano di non parlare d’una religione che certo (1) Uberti Folietae patricii genuensis Historiae Genuensium, libri XII (. . . ad 1528). Genuae 1585. (2) Annalium Genuensium ab a. MDXXVIII recuperatae libertatis usque ad a. MDL Iacobi Bonfadii libri quinque. Papiae 1586. (3) Annali della Repubblica di Genova del secolo XVI descritti da Filippo Casoni. In Genova 1708. (4) Annali della Repubblica di Genova di Antonio Roccatagliata dall’ anno 1581 al 1608. Genova 1873. — Dello stesso Roccatagliata trovasi nel R. Archivio di Stato (Manoscritti e libri rari, n. 64-67) una ricca raccolta di notizie storiche. È divisa in quattro tomi senza titolo; però ognuno dei primi tre ha sul costo Roccatagliata, seguito dal numero d’ ordine, ed il quarto porta invece la parola Miscellanea. Nulla vi abbiam trovato che riguardi la Riforma. (5) Annales rerum gestarum Reipubblicae Genuensis a recuperata libertate, authore Paolo Franco Parthenopeo. Ms. nella Bibi. Civico-Beriana, D. 4. 1. 3. (6) Op. cit. ms. p. 125. — 563 — la maggioranza respingeva, che dispiaceva al Governo, cui più o meno essi erano ligi, e per conto del quale anzi generalmente scrivevano; senza contare che alcuni di loro appartenevano al sacerdozio', e dovevano quindi credere bello tacere di fratelli, che certo reputavano poveri traviati, e la conoscenza dei quali ritenevano dannosa ai lettori cattolici (i). Quindi il silenzio di tali scrittori, e degli altri che più tardi ad essi ricorsero, non basta per assicurarci che la Riforma non avesse seguaci in Genova, che aveva tanti rapporti con paesi d’ eretici e che era visitata da uomini diversi per nascita e per religione. Chi vuole ai nostri giorni seguire gli scrittori genovesi , che proclamano la loro città immune da eresia, è necessario che prima spieghi i decreti dal Governo presi contro la Riforma, come dicono anche alcuni di essi da noi citati, é necessario eh’ esamini, se qualcuna delle bolle pontificie, fatte nel Cinquecento contro 1’ eresia, non riguardi per avventura Genova. Quanto a noi, rovistando da tempo fra le carte del R. Archivio di Stato in questa città, ci siamo imbattuti in documenti numerosi, i quali in modo non dubbio dimostrano che eretici capitavano in Genova, che alcuni cittadini di essa inclinavano a novità religiose, e che l’inquisitore era spesso costretto ad occuparsi di eresie (i) Il Bonfadio probabilmente aveva anche ragioni personali per tacere d’ una religione, a cui forse egli stesso inclinava. Ma di tuttociò speriamo di poterci occupare, fra non molto, in uno Studio speciale. — 564 — e di eretici. Documenti trovati altrove, notizie pure altrove pazientemente raccolte, son venute in aiuto ai documenti del R. Archivio, e ci hanno fatto nascere il desiderio di continuare le ricerche, le quali speriamo che riusciranno anche più proficue, se saranno aperti liberamente agli studiosi gli Archivi della Curia arcivescovile e dei Canonici della Metropolitana in Genova e nelle altre diocesi della Liguria, non che alcuni archivi privati, in cui qualcosa si può ritrovare. E mentre aspettiamo che i nostri voti sieno compiuti, e lo saranno appieno, quando potremo far ricerche anche nell’Archivio dell’ Inquisizione generale in Roma, comunichiamo in parte il frutto delle nostre indagini intorno alla Storia della Riforma in Liguria, arrivando però solo al 1569, anno, in cui a Roma veniva abbruciato l’eretico umbro Bartolommeo Bartoccio, che due anni prima era stato arrestato a Genova, e che alla Repubblica aveva recato tanti pensieri. Se non c’illudiamo, le carte del R. Archivio di Stato, che sono la fonte principale del nostro studio, gettano nuova luce sulla Storia religiosa di Genova nel secolo XVI, facendone conoscere una pagina finora ignorata, e delineano la figura d’ un forte umbro, la cui sorte infelice dette luogo ad una delle più curiose controversie diplomatiche fra la Repubblica genovese, che aveva arrestato 1’ eretico, Berna e Ginevra che lo difendevano annoverandolo tra i cittadini ginevrini, e la Curia romana, che ne voleva ed ottenne la consegna e il processo. — 565 - Fortunatamente il R. Archivio conserva quasi tutta la voluminosa corrispondenza della Repubblica con principi , papi, cardinali e privati, molte bolle e brevi di pontefici, gli atti dei protettori del S. Ufficio, le gride e leggi del secolo XVI, i decreti del Senato, le carte ecclesiastiche provenienti da alcuni monasteri soppressi, ed anche qualche scrittura già dell’Archìvio dell’inquisitore in Liguria, nonché poche altre della Curia arcivescovile di Genova, e delle Curie di qualche altro vescovato ligure. Così coi soli documenti del R. Archivio si è fatto un discreto cammino, un poco più avanti ci hanno spinti documenti trovati altrove, ed in seguito procederemo ancora, se potremo servirci dei mezzi ai quali sopra si accennava (i). (i) Intanto, per ciò che ci è stato possibile vedere fin qui, siamo lieti di ringraziare pubblicamente gli egregi Signori: Comm. C. Desimoni, Comm. L. T. Belgrano, A. Pagliaini, che con gentilezza squisita mettevano rispettivamente a nostra disposizione le carte, i manoscritti ed i libri del R. Archivio di Stato, della Biblioteca Civico-Beriana, e della R. Biblioteca universitaria. PARTE PRIMA LE CONDIZIONI DELLA RELIGIONE CATTOLICA IN LIGURIA E L’ERESIA FINO AL 1567 CAPO PRIMO LE DOTTRINE CATTOLICHE, IL CLERO E IL POPOLO GENOVESE arlando della Riforma si usa ripetere che il clero almeno ne rese possibile, ed in qualche luogo facile il trionfo, perchè colla sua scostumatezza ed ignoranza, col traffi-sacre, aveva materializzata la religione, fa-i fedeli disgustati si volgessero ad altre In tesi generale non riteniamo che proprio da questo avesse origine la Riforma, ricordando bene che in secoli anteriori il clero forse fu anche peggiore, ma ben crediamo che la corruzione di molti chierici, abilmente sfruttata dagli apostoli d’ eresia, facesse diminuire nelle masse il rispetto verso la religione cattolica, e Tigno- — 570 — ranza di altri ne rendesse difficile la difesa, lasciando così aperta la via al diffondersi delle dottrine anticattoliche. Ora in particolare il clero genovese col suo sapere, colla bontà dei costumi mantenne sempre vivo il verace sentimento cattolico, ed in caso di bisogno sarebbe stato capace‘di combattere le dottrine avverse? Vediamolo. Lasciam pure fatti isolati di preti condannati per gravi delitti comuni, e che sarebbe ingiusto addurre come macchia d’ un’ intera classe (i), ma citiamo solo alcuni fatti che dovevano generare scandalo, certo con poco onore del clero. Per conoscere queste mancanze ci varremo di documenti, diremo così ufficiali, come le Sinodi genovesi, e le relazioni d’una visita straordinaria, che per ordine pontificio Mons. Bossio, vescovo di Novara, fece nella città e diocesi di Genova. La Sinodo provinciale, adunata dall’ arcivescovo Cipriano Pallavicino il 1567 (2), insiste con calde parole nell’ ordinare che i chierici si astengano dai giuochi e (1) Chi ne volesse qualche esempio, potrebbe consultare nel R. Archivio di Stato (Carte Eccl. Sala 74, n. 255) il fogliazzo di Bernardo Usodimare-Granello, notaro del Vie. arciv. e del P. inquisitore in Genova, dove si trovano condanne di preti per offese al buon costume, e peggio; ed il fogliazzo di Castello Simone (1. c. n. 232), notaro della Curia vescovile di Brugnato. Naturalmente i processi contro i chierici erano fatti dai Superiori ecclesiastici: quindi le migliori provedi essi saranno negli archivi delle Curie arcivescovili o vescovili. (2) Ved. in Synodi diocesanae et provinciales editae atque ineditae S. Genuensis Ecclesiae. Genuae 1833; dove, da p. 19 a p 138, si contengono : Decr. prov. Synodi habitae Genuae a MDLXV1I a Cypriano Pallavicino archiepiscopo. - 571 - divertimenti illeciti, non assistano a balli od a spettacoli, ma soprattutto non tengano donne in casa, ingiungendo espressamente, che nelle case destinate ad abitazione di essi , « ne consanguineae quidem foeminae comm linentur » (i). E specificando i rapporti che i chierici per varie ragioni possono avere con donne, raccomanda che essi tolgano ogni occasione a qualunque sospetto, astenendosi dall’ insegnare a donne, e procurando di fuggire la conversazione « mulierum famosarum ». Tante cure, tanti ordini , ancorché si possano attribuire a savia prudenza di vigile Pastore, fanno pur credere che i chierici dovevano essere molto guardati, e che si aveva qualche ragione di scandalizzarsi alquanto pel contegno di alcuni fra essi. E tale credenza vien confermata dalla Sinodo diocesana riunita dal Cardinal Saoli il 1588, la quale con ogni diligenza spia i difetti del clero e cerca correggerli (2). Per altro più espliciti e ricchi di fatti sono i documenti lasciati da Mons. Bossio, vescovo di Novara, venuto come visitatore apostolico a Genova nel 1582 (3), (t) Pub. cit. p. 74 e segg. (2) I decreti si trovano nella pub. cit. p. J40-577. (3) Questa visita incominciò nella primavera del 1582. (Cron. breve del monastero di S. Maria di Monte Oliveto, di Multedo, p. 51. Ms. nella Bibl. della R. Univ.). Fu ordinata dal Pontefice per diverse ragioni, e soprattutto perchè, a quanto risultò anche dalla visita stessa, i decreti del Concilio Tridentino, erano poco osservati, e le condizioni morali e intellettuali del clero non tanto liete. Si estese anche ai monasteri di monache, agli ospedali, agli ospizi dei poveri contro la volontà della Repubblica, che indarno si oppose (lett. del doge e dei governatori al card. Giustiniano, 2, 9 e 17 giugno 1582, neH’Archtvio di Stato: Arch. Segr. fra le min. di lett. a card, mazzo 2 ; e lett. del card. Giustiniano al Doge, 22 giugno 1582 (1. cit. lett. di cardinali, m. 9). Abbiamo sicure notizie di questa visita nei Decreta Generalia ai exequendae Visitationis Genuensis usum, — 572 — Vediamo subito qualche ordine del visitatore in materia di ecclesiastica disciplina. Il rev. Giulio Calcagnino si tolga di casa filium spurium ad evitanda scandala (i), ed altrettanto faccia il rev. Battista Ferrario (2), ambedue preti della chiesa di S. Lorenzo. Prete Cristoforo de Cristofori, da S. Siro di Viganego, non tenga più seco filias suas, quas dicit esse nepotes (3), e Pr. Simone de Simonis, parroco a S. Colombano di Moranego, licenzi la serva ex qua assertum est illum suscepisse filias (4). E Pr. Francesco di Lavaggio, canonico di S. Donato, faccia lo stesso, procurando inoltre di non avere con essa aliquam consuetu- edita a perillustri et r."° domino d. Francisco Bossio Episcopo Novariae, ecc. Mediolani ex Typographia M. Tini, 1584; dei quali si ha una ristampa dalla p. 247 alla 499 della pubblicazione cit. Synodi diocesanae. Notizie maggiori e più utili per lo Studio nostro, perchè in modo particolare riguardano le condizioni delle singole chiese, ed abusi, che in esse certo da molto tempo si commettevano, le troviamo nel Ms. 547 del R. Arch. di Stato, che ha per titolo: a Decreta ab ill.ri et r."° d. d. Francisco Bossio Episcopo Novariensi et comite et apostolico visitatore confecta in visitatione, etc. », e del quale trovasi un povero estratto dalla p. 139 alla 246 della pubbl. più volte cit. Sin. dioc., ecc. Non tutti gli ordini del Vescovo di Novara piacquero alla Repubblica, che già si riteneva offesa, perché la visita era stata condotta dal solo Bossio senza l’intervento dei magistrati dello Stato, e specialmente perchè lo stesso Monsignore nel visitare i monasteri di “monache non si era fatto acccompagnare dal « Magistrato delle monache ». Il Governo se ne dolse col Papa, ma nulla di sostanziale potè ottenere (ved. lettera del card. Maffeo alPArciv. di Genova, aprile 1583, della quale trovasi copia nell’Arch. segreto fra le lettere di Principi, Supplemento 23 C); quindi i decreti rimasero quali noi li troviamo nella stampa di Milano del 1384, e nel Ms. del R. Arch., il quale sembra una copia sincrona della relazione fatta dallo stesso Mons. B.ossio. (1) Decr. ab. ill.ri et r.mo d. d. Francisco Bossio, ecc. in visitatione ecclesiae §. Laurentii, f. 132. (2) Id. id. f. 138. (3) Id. in parrochiali ecclesia S. Siri Viganeghi, f. 455/ (4) Id. id. S. Columbani Moraneghi, f. 467/ - 573 - dinem (i). Nessun prete di S. Lorenzo tenga donne nelle case poste nel chiostro della chiesa, ancorché siano strette da parentela, tranne il caso di speciale licenza dell’ordinario, che giudichi non dannoso fare eccezione mulieribus aetate, spelie, moribusque probatis (2). Pr. Agostino da Masserano, della Chiesa di S. -Marcellino, nè in casa, nè fuori parli, nec aliud genus commertii directe vel per indirettum habeat cum muliere Bianchina, seu Bianchinetta (3); Pr. Agostino Longhinotto, di San-t’ Andrea di Borzone, cum muliere nomine Cathalinae nullam habeat consuetudinem (4); Pr. Agostino Bagnarello nec Pellegram, nec aliam mulierem domi retineat (5). Pr. Bartolomeo Arpe nullas secum retineat foeminas (6); Pr. Antonio Staterio mandi via mulierem quam domi retinet, nomine Manettam, et asserit esse suam consobrinam (7); Pr. Carlo de Toperego cacci una donna cum qua hactenus non sine aliorum scandalo vixit (8) ; Pr, Rocco de Bertoni licenzi la donna che tiene in casa, e deinceps cum ea, sub quovis quaesito colore, conversari non audeat (9). E così di seguito. Non vi è poi visita di nessuna chiesa, che non porga a Mons. Bossio l’occasione di ordinare energicamente che (1) Id. id. S. Donati, f. S2.r (2) Id. in eccl. S. Laurentii, f. 103. (3) Id. in parr. S. Marcellini, f. 86. (4) Id. id. S. Andreae Borzoni, f. 379.' (5) Id. id. S. Laurentii Lavaggi, f. 344-' (6) Decr. ab. ili."1 et r”° d. d. Francisco Bossio, ecc. in visitatione parro-chiali S. Martini Treboniae, f. 404.1 (7) Id. id. S. Siro de Hermo, f. 431.1 (8) Id. id. S. Mariae Mulisanae, f. 448. (9) Id. id. S. Felicis loci Brazilij, f. 493• Atti Soc. Lig. St. Pàtria. Voi. XXIV, fase. 2.0 17 — 574 ~ si costruiscano nelle chiese confessionali in luogo aperto, e che soltanto in essi e di giorno si confessino le donne, per evitare scandali, nocivi alla religione ed ai sacerdoti (i). Né i conventi andavano meglio. Anzitutto le monache, per sé stesse, richiamarono tante volte l’attenzione dei Superiori ecclesiastici e della Repubblica anche prima del Cinquecento (2); in questo secolo poi i rapporti, che i frati avevano con esse, non parvero troppo corretti, e dettero occasione a lamenti ed a particolari decreti. Infatti il 2 gennaio 1529, Clemente VII, con un breve all Arcivescovo di Genova ed al Priore dei Lateranensi di S. Teodoro, affida loro l’incarico di riformare le monache genovesi, e, per dimostrare il bisogno di nuove riforme, malgrado le correzioni fatte in passato, avverte « a certis diebus citra aliquod ipsorum monasterium moniales forsan ex maiori frequentia et familiaritate cum clericis, religiosis, ac saecularibus personis, regularem observantiam aliqualiter relaxare coeperunt, in grave (1) Come dovessero essere costruiti i confessionali è stabilito nella Sinodo I allavicino: « Mulierum vero interdiu (noctu enim numquam, neque in privatis aedibus, nisi aliqua urgeat necessitas, audire permittitur) confessiones audiat in sedibus ad id dedita opera coaptatis perforata qua separentur intercedente lamina, per quam confitentis mulieris vox ad aures confessarli permanare possit. Sitque eiusmodi sedes aperto aliquo et commodo Ecclesiae in loco » (Ved. in ptib. cit. p. 47). (2) Per il periodo anteriore ai tempi, di cui noi trattiamo, vedi il dotto libro di L. T. Belgrano: Vita privata dei Genovesi, Genova 1876, al cap. 84 della Parte IV. Qui avvertiremo che spesso tre cittadini, assieme coll’Arcivescovo, furono incaricati d occuparsi delle monache, e certo non dopo il 1555 (Belgrano, op. e 1. cit.) si formò un Magistrato speciale, eh’ ebbe assai da fare. Di questo dei costumi delle monache in particolare speriamo di trattare diffusamente, fra non molto, in un lavoro a parte. - 575 ~ aliorum monasteriorum et civitatis praedictae periculum » (i). II primo gennaio 1538, Paolo 111, affidando all’Arcivescovo Rodiense, vicario della diocesi genovese, l’ufficio di riformare le monache, che avevano costumi non molto edificanti, raccomanda di tener lontani dai monasteri non solo i laici, ma ancora « aliae tam saeculares quam ecclesiasticae aut religiosae personae etiam ad ipsarum monialium confessiones audiendas deputatae », provvedendo con savie norme al bene di esse (2). E cinque giorni appresso, insistendo sul medesimo argomento in una lettera all’Arcivescovo di Genova, rammenta che gli scandali erano avvenuti « culpa et deffectu eorumdem monasteriorum regiminibus » (3). Com’ é facile a capirsi, il Pontefice non poteva lamentare in modo più aperto la scostumatezza delle monache, nè colpire in maniera più recisa i frati, preposti alla direzione spirituale di esse. E presto se ne vedevano gli (1) Istitutio Officii Misericordiae et Magistratus monialium Genuae, f. 2 del Ms. conservato nella Bibl. Un. C. V. 21. (2) Copia del Breve pontificio, nel R. Arch. di Stato, Sala 74. n. 255 delle Carte Ecclesiastiche. (3) Copia 1. e n. cit. Da altre fonti sappiamo anche meglio la ragione, per la quale ad uomini religiosi e probi si affidavano spesso ispezioni ai monasteri di monache. Verso il 1505 i deputati alla riforma di essi, in una supplica al Papa, chiedendo che le monache di S. Margherita, in Granarolo, si facciano obbedire alla giurisdizione vescovile, ricordano di essere stati eletti, perchè le monache « ad inhonestam vitam moresque religioni contrarios se dedissent ». E poco tempo dopo, gli stessi deputati, in una supplica della medesima natura, chiedono che si costringano all’obbedienza: «Abbatissas, Priorissas, Ministras, Moniales, etc., quavis alias quacumque nomine nuncupetur cistercensium et aliorum quorumvis ordinum ». Copia delle suppl. si conserva nell’Arch. Segr. Diversorum, n. gen 3145. — 576 - effetti. Eseguitasi un’ ispezione ai monasteri dal Vicario arcivescovile, dal Priore di S. Teodoro e da tre cittadini di nomina governativa, si ritenne necessario togliere ai canonici Lateranensi di S. Teodoro la cura delle monache di S. Tommaso, di S. Bartolommeo e delle Grazie, e di proibire fra gli uni e le altre qualunque rapporto cc verbo vel scriptis per se se vel interpositas personas » (i). Nè basta. Due anni dopo l’istituzione d’ uno stabile Magistrato delle monache, e precisamente il 4 settembre 1557, Giulio III, cedendo alle preghiere del doge e dei governatori, ordina che l’Arcivescovo di Genova, od il suo Vicario, assistito da tre o quattro cittadini, riformi nuovamente i monasteri di monache « saeculi illecebris a debita regularis observantiae norma sensim digre-dientes, ac cum clericis et laicis aliisque saecularibus et regularibus personis furtim diversantes » (2). Nè solo pei loro rapporti colle monache i frati meritavano biasimo. V’era anche altro, che noceva alla fama d’interi conventi e di numerose congregazioni fratesche, più ancora delle cose esposte di sopra. (1) Annali ecclesiastici della Liguria del Rev. P. D. Agostino Schiaffino carmelitano, ecc. Ms. nella Bibl. della R. Università, t. IV, p. 100. Lo Schiaffino riporta i Brevi pontifìci del i e 6 gennaio 1538 che trovansi pure nell 'Institutio Officii ecc. già cit.; ed aggiunge (p. 120 dello stesso tomo), che non volendo le monache accettare i confessori imposti dal Vicario arcivescovile, Paolo III, con breve del 4 luglio 1538, diretto all’Arcivescovo, ordina che le monache non siano costrette ad accettare tali confessori, ma che lo stesso Arcivescovo deleghi a idoneos praesbiteros saeculares» e dispensi il suo Vicario dall’occuparsi di questa faccenda, perchè le monache possano servire « quieto animo Deo omnipotenti ». (2) Istit. off. cit., f. 3. - 577 — Ecco i fatti: Il 17 agosto 1556 il doge ed i governatori pregano 1’ Arcivescovo mons. Gerolamo Sauli, di aiutarli ad espellere dal convento di S. Agostino gli Agostiniani conventuali, che mai si vollero emendare, sebbene più volte corretti, ma fecero anzi peggio arrivando « a tanto, che non contenti delli facinorosi delitti, et abominevoli costumi di molti di loro, sono intrati in la heresia » (1). Il Papa ne permette l’espulsione, che avviene di fatti il 10 settembre 1556, ed assegna il convento agli Agostiniani osservanti della Congregazione di Lombardia (2). Gli espulsi peraltro eran potenti, e la Repubblica per impedirne il ritorno, mentre il giorno n settembre scrive all’Arcivescovo Sauli, allora in Roma, che gli ordini pontificii erano eseguiti, lo prega altresì di combattere presso il Papa contro gl’ intrighi dei monaci cacciati, conservandolo nella convinzione che impossibile sarebbe stato correggere i cattivi costumi di essi, ed impedire nuovo scandalo in città, altro che mandandoli (1) Arch. Segr. Litterarum, Fil\e, n. i (an. 1529-1563). (2) 11 eh. prof. B. Fontana, fra « i documenti Vaticani contro 1’ eresia luterana in Italia (Roma per la R. Società di Storia Patria, 1892), pubblica tre Brevi pontificii che portano la data del 4 settembre 1556. Col primo (n. CXXVI, p. 179) il Papa risponde al doge ed ai governatori, che l’avevano avvertito « de impura ac flagitiosa vita fratrum conventualium domus, quae apud nos est, S. Augustini », ed accoglie la lor domanda di espellerli; col secondo (n. CXXVII, p. 181) ordina ad Aurelio da Crema, della Congregazione di Lombardia, di ricevere il convento di Sant’ Agostino tolto ai conventuali « propter tamtam morum ac vitae turpitudinem, hereticae etiam pravitatis labe et ipsi poi-luti esse et alios in ea civitate corrumpere et contaminare dicuntur » ; col terzo poi (CXXVII, p. 182) ordina ad Egidio, vicario arcivescovile, di cacciare i conventuali, che hanno seguita l’eresia, e dimostrata vitae turpitudinem et nequitiam. - 57^ - via (i). La Repubblica ben si apponeva; la quistione ebbe un lungo strascico (2); ma neppure il Generale degli Agostiniani, che prese a difendere gli espulsi, riesce a purgarli tutti delle accuse che su loro gravavano. Infatti, mentre ne chiede la riammissione con una lettera scritta al doge ed ai governatori il 18 ottobre 1560, si duole che questi « habbino cosi sinistro concetto de’ frati conventuali solo per alcuni che sono stati non religiosi, come conveniva alla professione loro, et cosi habbino il medesimo delle Congregazioni » ... . Dichiara ingiustificabili i timori della Repubblica per l’avvenire , assicurando che se i Conventuali verranno riammessi, per la confusione patita saranno « nel vivere più cauti et oculati » (3). Si continuò ancora a trattare, e della cosa ebbero ad occuparsi a lungo persone autorevoli , con molestia non piccola per la Repubblica genovese (4). (1) Lett. del doge e dei governatori all’Arcivescovo mons. Sauli; in Roma, 11 settembre 1556 (Ved. appendice, doc. I). (2) Lettera del doge e dei governatori a mons. Benedetto Lomellino in Roma, 27 settembre 1556. (Ved. app., doc. II). (3) Lett. del P. Generale di S. Agostino al doge ed ai governatori di Genova, 18 decembre 1560 (Ved. app., doc. III). (4) Il R- Arch. di Stato possiede numerose carte che gioverebbero per conoscere meglio la natura di questi frati e le lunghe trattative, cui dettero occasione. Oltre alla lettera scritta dal Doge e dai Governatori a mons. Lomellino, e che riportiamo in appendice sotto il n. II, lettera composta con logica stringente e che può riguardarsi quasi un vero atto di accusa contro Irati rei « di heresia come (di) altri vicii, che chi sente convien che vergogni di udirli », si trovano nei Litterarum Fil^e, n. 1, le minute di quest’altre lettere: Allo stesso Lomellino, 16 dicembre 1 5 59 ! a Simone Di Negro, 4 ottobre 1560; di nuovo a mons. Lomellino, 11, 19, 25 ottobre e 2 novembre 1560; a R. M. Cristofaro padovano, generale dell’Ordine, 8 novembre 1560, pregato «a soddisfarsi di quel che è seguito»; ed ancora a mons. Lomellino, 15, 21, 24, 28 novembre, - 579 — Pertanto riguardo ai costumi né il clero secolare, nè il regolare, né le monache potevan dare buoni esempi. Questo morale abbassamento si può certo spiegare, anzi per le monache sarebbe facile anche scusarlo, pensando che allora le famiglie per risparmiar la dote, o per altro, costringevan al chiostro le figlie, molte delle quali naturalmente non potevano adattarvisi (i). Ma queste scuse, 6, 8, io, 2o decembre 1560; 4, 10 gennaio, 7, 28 febbraio, 22, 28 marzo, e 2 maggio 1561. Fra lettere di cardinali si trovano: nel mazzo 5 : una lettera del cardinale di S. Clemente (G. B. Cicala) al doge ed ai governatori, n ottobre 1560; nel mazzo 15, una lettera dei cardinali Saraceno, S. Vitale e Puteo; una supplica di frate Alessio degli Eremitani, 27 gennaio 1561, colla quale, a nome del suo Generale, chiede la riammissione degli espulsi, promettendo che il convento «sarà provvisto sempre di frati virtuosi, costumati et religiosi»; nel mazzo 17 una lettera del Cardinal Giacomo Puteo, 15 ottobre 1560. Sullo stesso argomento il doge ed i governatori scrivono ancora al Papa perchè mantenga il breve di Paolo IV contro i Conventuali, 14 settembre 1560 (min. di lett. a Principi, ecc. mazzo I); al Cardinal di S. Clemente per lo stesso scopo, 13 settembre 1560 (min. di lett. a cardinali, mazzo I); al Cardinal di Montepulciano, 4 ottobre 1560, e al Cardinal Saraceno 8 novembre 1560 e 7 febbraio 1561 (1. cit. mazzo III). Dall’insieme della corrispondenza appare che i superiori ed i protettori de' frati espulsi riconoscevano fondate le accuse ad essi fatte, ma non approvavano 1’ esclusione da S. Agostino di tutte le congregazioni dei conventuali per l’infamia- che ne derivava, e quindi chiedevano che i frati espulsi venissero sostituiti da altri loro confratelli. La Repubblica resisteva, adducendo su per giù gli argomenti che già conosciamo. (1) Gli abusi che si commettevano nelle monacazioni sono generalmente noti. Si leggano tuttavia gli ordini della Sinodo Pallavicino (ed. cit. delle Sin. gen. p. 80 e segg.), e più ancora quelli di mons. Bossio (Decr. gen. ed. cit. di Milano 1584, p. 107 e segg.). Qui, per mostrare il concetto che di esse comunemente si aveva, riporteremo ciò che si legge nella commedia del cinquecentista Paolo Foglietta il Barro, atto I, se. IV, f. 24 del «ms. che si conserva nella biblioteca del Marchese Pinelli—Gentile. Despina, madre d’una fanciulla che chiede di farsi monaca, dice al marito: « Non habbiamo se non una figliuola e siamo la Dio gratia ricchi come i Sauli, e la faremo monaca, coni hora fanno molti poveri gentilhuomini, che ne hanno molte, i quali non potendole maritar — 580 — che noi di buon animo adduciamo a prò’ delle monache, ed anche di parecchi chierici, che si trovavano in condizioni quasi identiche, non c impediscono di riconoscere lo scandalo, che in ogni modo nasceva in mezzo al popolo, il quale ormai guardava a tutto, e delle persone insignite di carattere sacro notava anche le più piccole debolezze (i). Il popolo, quantunque sapesse che i laici non erano migliori dei chierici, domandava a questi di più, come in genere giustamente chiede di più a tutti coloro che tutte in pari loro per le doti grandi che si danno, ne maritano una sola, alla quale danno la parte de tutte l’altre, sì che, per locar lene e altamente quella sola, fanno ingiuria alle altre, che pur sono loro figliuole, perché le cacciano nei monasteri: onde le poverine fanno la penitenza dei loro genitori superbi, avari e crudeli ». Le monache aiutavano i genitori per attirar le fanciulle. Afranio, nell’atto V, se. IX, f. 200, della Stessa commedia, deplorato che la sorella voglia entrare in un chiostro, dice: « Queste monache danno ad intendere alle zitelle che ne’ monasteri è un esser del Paradiso, e che tutto il di stanno a ballar con gli Angioli, che danno loro de’ zuccarini et simili altre cose: onde le povere fanciulle, che non hanno più sperienza che tanto, s’invaghiscono di quella vita ». E da ciò « segue spesso qualche scandalo: del che non ci dobbiamo meravigliare, nè farne tanto romore; perciochè nè la tonaca, nè il velo levano gli stimoli alle monache, che pur sono creature come noi di carne » (Despina nel Barro, atto I, se. VII, f. 24). E naturalmente per soddisfarli non mancano loro vecchie pratiche, che, dopo una gioventù burrascosa, si cacciano come serve in qualche monastero, e vanno « tutto il di a portar ambasciate, et a portar insalatine e simili novelle » (Barro, atto IV, se. II, f. 158). Ved. anche a questo proposito le dotte considerazioni che fa il chiarissimo L. T. Bei-grano nel giornale il Caffaro n. 2, 2 gennaio 1883. (1) Mons. Bossio, nei Decreta generalia tee. Milano 1584, ripete spesso questa verità, ed enumera tutte le azioni in apparenza non censurabili, ma che pure danno nell’ occhio alla geme. Per es., alla p. 27 dell’ ediz. cit., parlando dei regolari, dice: « Illud omnino prohibetur, ne ullo tempore, quod voluptatis otiique » caussa frequenter multi committunt, quodque populo offensionem praebet, in » publico lictore se lavent, aut natandi exercitationem obeant, aut publicas bal-» neas adeant ». - s8i - vogliono sulle masse il primato morale e politico, e si scandalizzava certo trovando queste persone infette dei vizi tutti deplorati nei laici. Difatti, i chierici gareggiavano con questi anche per cupidigia d’ onori e di ricchezze ; ed anzi molti di essi, solo per soddisfare tali brame, avevano presa la via del Santuario (i). E di questo si doleva mons. Bossio, che avrebbe voluti i chierici immuni fino dal sospetto di avarizia, e che per conseguire tale scopo si adoperò zelantemente. Eccone qualche prova. Per evitare che sui chierici di S. Lorenzo non cada il sospetto « turpis avaritiae », vuole che nessuno di essi nei giorni festivi abbandoni la sua chiesa per prestare ad altra 1’ opera sua (2). E trovato che il Capitolo di S. Lorenzo era solito, alla morte d’ un sacerdote abitante nel chiostro, cederne la casa a canonici o cappellani prendendone denari, che venivano divisi fra i preti, proibisce che si continui a fare, oppure facendosi vuole che coi denari s’ acquistino luoghi di S. Giorgio, (1) In ogni parte d’Italia abbondano i fatti, per dimostrare che nei secoli XV e XVI era cresciuto a dismisura il desiderio delle famiglie di avere nel sacerdozio un figlio che aumentasse il decoro e la ricchezza di esse. Per mostrar 1’ opinione che su questo allora si aveva in Genova, e la credenza che onesto fosse darsi alla Chiesa per averne onori e dovizie, ci basterà ricordare che nella commedia citata del Foglietta, Afranio, rifiutando di ammogliarsi e di fare il mercante, dichiara i guadagni del commercio incerti e spesso disonesti a causa del cambio (atto II, se. XII, f. 96), si mostra « piuttosto inclinato agli honori, et più desideroso di ingrandire », ed aggiunge (1. cit. f. 98'): « Parendomi che per ascendere alla grandezza e dignità dove aspiro non vi sia altra via più atta, nè più sicura dell’ ecclesiastica, vorrei, quando con buona gratia vostra fusse, far quella professione ». Il più bello si è che il padre, per dissuaderlo, cerca dimostrargli come si debbano superare gravi difficoltà per ottenere quanto il figlio desidera. (2) Vis. in eccl. S. Laurentii, f. 89. — 5^2 — od altro per accrescere il reddito della chiesa (i). E continuando nella sua visita, ordina che prete Pietro Basso, della chiesa di S. Donato, si astenga cc a negotiis saecularibus » (2); che il parroco di S. Marco non affitti la canonica a laici, e molto meno a banditi (3); che prete Giuseppe Codano, della parrocchia di S. Siro di Struppa, lasci pure gli affari temporali e si curi solo della sua chiesa (4). Altrettanto faccia prete Bartolomeo Bizio di Bargagli (5) e parecchi altri, che dimentichi del gregge loro affidato pensano solo cc temporalibus lucris ». Ordini severi e caratteristici son questi, che fanno riscontro ad altri già dati dalla Sinodo provinciale Pallavicino nel 1567 (6). Né dimentichiamo le raccomandazioni fatte e ripetute perchè si cessi dal sollecitare in maniera sfacciata le elemosine, aspettandole solo dalla pietà dei fedeli, e perché si tolgano dalla porta delle chiese le giovani donne, che in occasione d’indulgenze invitano i fedeli a far 1’ elemosina (7). Ricordiamo pure la strana domanda del clero genovese, che si permettesse (1) Vis. in eccl. S. Laurentii, f. 104. (2) » » colleg. Divae Mariae de Vineis, f. 54. (3) »: » S. Marci, f. 54. (4) » » parroch. S. Siri de Struppa, f. 444. (5) Vis. di mons. Bossio in eccl. plebania S. M. Bargagli, f. 462. (6) Ed. cit. delle Sin. gen. p. 74 e segg. (7) Ved. Syn. Pallav. ed. cit. p. 118. «... . nequa illarum (mulierum) quo-vismodo, vel minime quidem temporis momentum, ad eas mensas, loca, seu vasa assidere, stare aut commorari posthac audeat, ac multo etiam minus ex quovis loco, vel voce quetiiquam appellare, vel nutu, vel significatione ulla invitare ad eleemosynam conferendam ». E la stessa cosa ripete mons. Bossio (Decr. gen. ed. Milano p. 12), aggiungendo"-in particolare quanto alle indulgenze, che il parroco deve insegnare « ad illas consequendas, eleemosynam non esse necessario largiendam ». Ora comumque si usasse il provento delle - 583 — a ciascun chierico di poter celebrare più d’ una messa al giorno; il che per lo meno poteva far credere, che il desiderassero per amore di maggiori guadagni. Com’ è naturale, non mancando i sacerdoti necessari pel servizio delle chiese, il Papa si rifiutò di concederlo (1). E neppure i frati sembrano nemici dell’ avarizia; anzi già abbiamo veduto, che quando si volevano escludere alcuni di essi dal governo dei monasteri di monache, si accusavano di danneggiarne ancora i materiali interessi (2); e mons. Bossio, a proposito di loro, parlava perfino « de turpi lucro in administratione sacramentorum vitando » (3). Per le monache poi le cose non cambiano molto. Lo stesso visitatore non riteneva inutile ricordar loro il distacco dalle ricchezze, di ripetere, che nei monasteri tutto deve essere in comune, « ita ut nullum, aux proprietatis aut usus ius umquam cuiquam moniali. competat (4); elemosine così conseguite, è certo che passando per le mani del clero dovevano recargli la taccia di avarizia, dalla quale, secondo la Sinodo citata, era derivato 1’ uso di metter giovani donne alla porta delle chiese per raccogliere elemosine. (1) Nel R. Arch. di Stato (Lett. di principi ecc. Suppl. 23 C) trovasi copia d’una lettera scritta dal cardinale Maffeo all’ Arcivescovo di Genova il 7 aprile 1583. Ne riportiamo queste parole: « Parimente non si vuole permettere che alcun sacerdote dica più d’una messa al giorno, essendo molto felice chi ne celebra degnamente una, come dice il canone antico ». (2) Ved. in questo stesso cap. p. 574 e segg. Qui ricorderemo anche una lettera, colla quale il 4 settembre 1551 il doge ed i governatori pregano G. B. Doria e G. B. Lomellino di convincere il Papa dei mali d’ ogni genere che alle monache vengono dai frati, e di assicurarlo come più alla Repubblica che ai frati forestieri sta « a core la conservatione et bon governo delle monache di Genova ». (Arch. segr. Litt. reg. n. 64). (3) Decr. gen. cit. ed. cit. p. 97. (4) Id. id. id. p. 118. — 584 — quasi quasi lasciando supporre che, almeno alcune, potessero porgere fondamento all’ accusa di cercarsi dei guadagni, col mandare privatamente fuori di convento doni piccoli per averne di grandi, imitando cc gli agricoltori che seminano poco per raccogliere molto », e mostrandosi cc come i polli che non si satiano mai » (1). E mi pare che di questo basti. Ora si domanda : I chierici che, moralmente lasciavano * * molto a desiderare, potevano in compenso sollevarsi per valore intellettuale, per soda coltura, almeno in cose di religione? Anche a questa dimanda rispondano i fatti. In quel secolo di grande rifioritura classica, si trova a Genova qualche chierico che pretende insegnare il latino senza conoscerlo (2); ma noi non ce ne occuperemo, anzi neanche ce ne meraviglieremo, perché sarebbe forse pretender troppo in ogni tempo, imponendo agli uomini d’ insegnare solo quello che sanno. Ci fermeremo solo alla coltura ecclesiastica, sfogliando anzitutto gli atti della visita di mons. Bossio. Ecco alcune poche cose, delle tante che vi si contengono e che farebbero al caso nostro. Prete Agostino da Masserano, parroco in S. Marcellino, cc doctrinae christfanae rudimenta addiscat » (3). Prete Antonio Caprile, rettore di S. Fede, (1) Comm. il Barro, parole di Orsolina serva di monache, atto IV, se. II, f. 158. (2) Bossio ecc., Vis. in eccl. S.'1 Lucae, f. 75. « Presbiter Julius Gagliardus, cum alios docere profitetur cum ipse nec latinam linguam grammaticalem intelligat, per annum ab eo munere docendi suspenditur, et ulterius donec a R. Vicario, praevio examine, ad id munus probatus sit ». (3) Id. in eccl. Sancti Marcellini, f. 88. - 585 - sia sospeso dal suo ufficio, non avendo saputo neanche « rudimenta fidei recitare » (1). E sorte eguale tocca a prete Battista Migone, della parrocchia di S. Silvestro, « qui latinam linguam non callet, et fidei rudimenta, et ea quae ad poenitentiam et aliorum sacramentorum ad-ministrationem ignoraverit » (2). Prete Giovanni, della parrocchia di S. Croce, ignorando fidei rudimenta ed essendo inetto al suo officio, è sospeso a divinis, finché, previo esame, non sarà riammesso dall’Ordinario (3). Tutti i preti dell’abbazia di S. Matteo, eccetto l’abbate e prete Paolo da Castello, sono sospesi dal ricevere le confessioni, e dall’amministrare gli altri sacramenti, per due anni, e più ancora, finché non siano richiamati dall’Ordinario , previo esame, ac scripto testimonio (4). E per servizio di essi e di altri preti si facciano settimanalmente adunanze nella chiesa di S. Matteo, come s’ è ordinato per S. Lorenzo, ed ivi i sacerdoti recitino anche i rudimenti della fede « cum multi ex ipsis fidei rudimenta ignoraverint » (5). E come ignoranti delle cose di religione erano molti preti della città, così ignorantissimi sembra che fossero i parroci della diocesi. Quasi, quasi non vi é sacerdote che non sia rimproverato d’ignorare i rudimenti della fede, od almeno i casi di coscienza; cosicché le sospensioni fioccano, e fioccano-gli ordini di studiare le cose di religione e di sottoporsi ad esami. Tale sorte tocca (1) ld. in eccl. Sanctae Fidei, f. 88. w (2) » » Sancti Silvestri, f. 90. (3) » » in eccl. par. Sanctae Crucis, f. 100. (4) » » 0 » abbatia nuncupata Sancti Matthei, f. io6r. (5) » » » » » » » » » — 5B6 — a prete Giovanni Garibaldi di S. Martino de Hircis (i); a prete Luca de Ferrari di S. Giovanni Battista in Chiavari (2), a prete Sebastiano della pievania di S. Maria in Voltaggio, quantunque « se doctorem asserat » (3); a prete Giovanni de Cesi di S. Croce in Moneglia (4); a prete Clemente de Rollerio di S. Pietro in Castiglione (5). Vengono pure sospesi i parroci di S. Apollinare in Reppia (6); di S. Lorenzo in Scurtabó (7); di S. Martino in Tribogna (8); di S. G. B. in Recco (9); di S. Apollinare in Sori (10); di S. Martino in Strup-pia (11); di S. Maria in Pasturana (12), e tanti altri che inutile sarebbe qui ricordare. Naturalmente questi parroci erano privi dei libri necessari al loro ministero, dai quali avrebbero potuto conoscere i propri doveri, ed imparare le cose più comuni da insegnarsi al popolo. H quindi il buon visitatore si scalmana» a ripetere a tutti, che almeno abbiano « ho mi-li ar uni summam aliquam probatam, Bibliam, Catechismum romanum, Concilium tridentinum et provinciale » (13); (1) Vis. in eccl. par. Sancti Martini de Hircis, f. 2ior. (2) » » In oppido Clavari, prò par. eccl. Sancti Johannis Baptistae, f. 214. (3) » » » in eccl. plebania Sanctae Mariae Vultabii, f. 250. (4) » » » » » Sanctae Crucis Moneliae, f. 295'. (5) » » » » parr. Sancti Petri Castillioni, f 342. (6) » » » » » Sancti Apollinaris Reppiae, 353'. (7) » » 1, » » Sancti Laurentii Scurtabovis, f. ^77. (8) » » » » » Sancti Martini Treboniae, f. 404'. (g) „ » » » » Sancti Johannis Baptistae Recchi, f. 414. (io) » » » » » Sancti Apollinaris de Sori, f. 420. „ » » » » Sancti Martini Struppiae, f. 446. (12) » » » » » Sanctae Mariae Pasturanae, f. 434. (13) L’ordine che i chierici possedessero tali libri era stato dato anche dalla Sinodo Pallavicino del 1567 (Ved. nell’ ed. cit. a p. 79), ma dopo sedici anni non s’ era ottenuto nulla. - 587 — anzi giunge persino a raccomandare a qualcuno di acquistarsi e di leggere bene « libellum doctrinae chris-tianae » (1). Com è facile a capirsi, questi poveri chierici non potevano insegnare al popolo le massime d’una religione, che essi stessi ignoravano, e quindi, quanto a questo, mons. Bossio non ha i severi rimproveri che usa contro altri, che, pur essendo mediocremente istruiti, trascuravano d insegnare la dottrina cristiana, disobbedendo così anche agli ordini precisi della Sinodo Pallavicino (2). Egli rammenta questa Sinodo, e ad ogni parroco raccomanda che « doctrinam christianam doceat semper festis diebus » (3). Ora si può domandare: Un clero siffatto sarà capace di opporsi efficacemente alla Riforma, se essa troverà alimento in questi paesi? Risponda il lettore, mentre noi passeremo a vedere, se riguardo alle indulgenze si commisero abusi in Liguria. Già la Sinodo provinciale Pallavicino aveva notato che i fedeli accorrevano nelle chiese, anche « ad indulgentias consequendas . . . confidenter et inverecunde », (1) Vis. cit. in eccl. Sancti Apollinaris de Sori, f. 420. (2) Ved. nell’ ed. cit. delle Sin. gen. a p. 26 e 28. (3) Forse gli ordini del Bossio non furono nei primi tempi obbediti più di quelli del Fallavicino. Certo si è, che nel 1588 la Sinodo diocesana del Cardinal Sauli ritiene necessario di ordinare nel capitolo II (ved. nell’ed. cit. delle Sin. gen. a p. 54) « a tutti i Curati della presente Diocesi che debbano pigliare in scritto il nome di tutti i figli della loro parrocchia di quattordici anni in giù quanto agli maschi, et da dodici anni in giù quanto alle femmine, col nome et cognome del padre et della madre; i quali nomi ben descritti in una tabella si conservino in luogo accomodato della chiesa, talmente che ciascuno possa leggerli, et poi facciano intendere a tutti i descritti che ogni giorno di festa dopo il desinare subito si debbano congregare nella chiesa » ecc. - 5 B8 - messa da parte l’antica riverenza, e prendendo la cosa con molta leggerezza (i). Raccomandava quindi il ritorno alla pietà dei maggiori, e proibiva che si continuasse nell’ abitudine « ab omnium radice malorum avaritia profecta », di lasciare donne giovani alla porta delle chiese per raccogliere l’elemosine. E questi ordini ricordava sedici anni più tardi mons. Bossio, imponendone l’osservanza, ed aggiungendo che i parroci avvertissero i fedeli come per conseguire l’indulgenze non fosse necessaria 1’ elemosina (2). Quindi ci sembra temerario il ritenere-che per ignoranza, o per interesse, talora l’indulgenze venissero male applicate con danno della Chiesa, a nome della quale venivano largite. Per altro non risulta che per opera del clero genovese nascessero quei gravi scandali, che a causa dell’ indulgenze e di altro si dovettero invece al commissario pontificio, che i cardinali della fabrica di S. Pietro avevano incaricato di cercar elemosine in Liguria. Questi giunse a Genova nella primavera del 1552, e la Repubblica persuasa dalle lettere del « Rev.m0 Collegio della Fabrica, del cardinale S. Clemente » (3) e dei reverendi G. B. Doria e G. B. Lomellino, « permise che potessi il detto commissario dar principio et andar appresso ». Presto però, concedendo per denari i « confessionali », ha fatto nascere disordini; giacché per tali concessioni han preteso di poter far celebrare messe e nozze in casa, e le donne han cercato di « entrare in clausura (1) Ved. ed. Sin. Pai. nell’ed. cit. cap. De indulgentiis, p. 116 e segg. (2) Decr. gen. Milano 1584, p. 12. (3) Lett. del doge e dei governatori « alli molto reverendi e magnifici signori li signori G. B. Doria e G. B. Lomellini » Ved. in appendice, doc. IV. - S89 — di monasteri » causando scandali e lamenti. Né basta. Il commissario dava « principio a concedere indulgenze plenarie di colpa e pena alla chiesa di S. Rocco et ad un’ altra confratria », eccitando cosi « contentioni supra li confessionali per li morti » ; ed a Sestri proibiva di predicare ai predicatori ordinari, con grande commozione di quei fedeli. Quindi, per evitare mali maggiori, il Governo é costretto a dire « al commissario chel desista » (i), ed a pregare i « Deputati della Fabrica che voglino in 1’ avvenire advertire di non far prova più di simili essationi in questo nostro paese, acciochè volendo edificare lo tempio materiale non si destruasi lo spirituale et insieme diminuissi l’authorità apostolica » (2). L’imprudente commissario, certo senza volerlo, veniva ad aggiunger esca all’ incendio , e dava occasione propizia ad accrescere la sfiducia verso la Chiesa ; alla quale senza dubbio giovò la partenza di lui, dovuta special-mente all’opposizione della Repubblica e del Vicario arcivescovile (3). Ora in tempi in cui simili fatti potevano accadere, con un clero, quale già abbiamo imparato a conoscere, non farà meraviglia, se 1’ antico ardor religioso s’intiepidiva (4), se poco era il rispetto verso la Religione, i suoi ministri e le cose sacre, e se le chiese facilmente (1) Lett. all’illust."0 et rev."° sig.' il sig.' Cardinal di S. Clemente, 27 aprile 1552. R. Arch. di Stato, Litt. reg. n. 65. (2) Lett. del doge e dei governatori alli reverendi signori li signori Deputati della Fabbrica di S. Pietro, 27 aprile 1552, loc. cit. (3) Lett. del doge e dei governatori a mons. G. B. Lomellino, 22 giugno 1552. R. Arch. 1. c. (4) Bossio. Decr. gen. ed. cit. p. 11 « religionis priscus ardor obtepuit ». Atti Soc. Lig. St. Patria. Voi. XXIV, fase. 2.0 58 — 590 — servivano ad un uso ben diverso da quello per il quale venivano erette dalla pietà dei popoli e dei governi (i). Nel 1549 i cittadini di Portovenere recano al Governo genovese, « per pagamento delle spese fatte per il commissario e sua comitiva, calici sachri », destando l’ira e le severe rampogne della Repubblica (2). Per le vie di Genova si rompono le lampade poste dinanzi alle immagini sacre ; e la cosa diventa così frequente, che lo Stato promette un premio di duecento scudi a chi farà cadere nelle mani della giustizia « dictos fractores aut eorum aliquem » (3). Mons. Bossio trova che il Matutino cantandosi la sera si protrae, specie durante l’inverno, in ore notturne dando « multas gravissimorum peccatorum occasiones et scandala in promisqua utriusque sexus frequentia », e quindi ordina che si canti alla mattina (4). Proibisce che si giuochi nell’ atrio della chiesa di S. Maria delle Vigne, o nel cimitero, come usavasi fare molto sconvenientemente (5). Si duole che nella cappella assai oscura del Crocifisso in S. Maria di Castello, entrino promiscuamente uomini e donne, ed avvertendo che « obscuriora quaeque loca: et principis tenebrarum insidiis, et homi- (1) Lett. del doge e dei governatori al Podestà di Portovenere, 12 e 13 aprile 1549. R. Arch. loc. cit. (2) Decreti del Senato. R. Arch. di Stato, manuale 83, 5 giugno 1581. (3) Vedremo ordini precisi per proibire le chiacchiere, e qualcosa di peggio, che si solevano far nelle chiese, non solo con poca riverenza di esse, ma con danno del buon costume. Qui, come prova della indifferenza con cui tali cose si consideravano, riporteremo che nella commedia il Barro, atto III, se. VI, f. 135, il servo Marchetto, diceva come di affar naturalissimo « i padroni il giorno stanno alla predica a vagheggiare ». (4) Op. cit. in vis. eccl. Saneti Laurentii, f. 88. (5) » » » » Sanctae Mariae de Vineis f, 50'. - 59i — num nequitiis maxime patent », assegna le ore antimeridiane alle donne e le pomeridiane agli uomini (i). Per tutte le chiese in generale ordina che si abbattano le logge, su cui solevano stare le fanciulle, perché ormai servivano a metterle in vista ed a eccitare « procacium adolescentum mentes » (2); e vuole che alle cerimonie sacre gli uomini stiano separati dalle donne. Ritiene poi necessari ordini espressi « de evitandis inanibus foedisque colloquiis, profusisque et immoderatis risibus nugis et aliis divina perturbantibus » (3); ed altri pure « de non servanda in eis (ecclesiis) ulla suppellectile, frumento, vino, pane, instrumentis, ad prediorum rusticorum usum comparatis, aut alia re prophana » (4). Nè si credano questi ordini dovuti a mali sorti di recente, o poco diffusi ; in sostanza mons. Bossio rinnovava prescrizioni già fatte dalla Sinodo Pallavicino tante volte citata (5). Quindi è necessario riconoscere, che la religione per (1) Op. cit. in vis. eccl. D. Mariae de Castello Reg. fratr. Ord. Sancti Dominici. f. I2Ir. (2) Decr. gen. ed. Milano p. 76. Dagli Atti ms. risulta che, visitando le singole chiese, ordinava 1’ abbattimento delle logge, le quali peraltro dovettero essere piuttosto modificate in maniera da evitare gli inconvenienti lamentati. Infatti nel « Viaggio di G. B. Confalonieri da Roma a Madrid nel 1592 » (Spicilegio Vaticano, voi. I, fase. II. Roma 1890) a p. 186, dove si parla della chiesa di S. Caterina in Genova, leggiamo: « Nel fine della chiesa vi è un luogo sopra una cappella con le gelosie attorno, dove si ritirano le zittelle, che ivi chiamano le putte nobili, quando vanno alla messa, per non essere viste; e questo ritiramento persimili fanciulle, dove più, dove meno, è in tutte le chiese di questa città ». (3) Bossio, op. cit. p. 77. (4) Bossio, op. e p. cit. — Nella sua visita, fra gli altri, aveva trovato un prete Iacopo Bellino priore di S. Giovanni di Borborino, che ecclesiam nimis indecenter retinuit (reperti enim sunt in ea nidi columbarum et doleum cum vino), e 1' aveva condannato ad una multa. Vedi Vis. ecc. ms. f. 205'. (5) Nell’ ed. cit. delle Sin. Gen. p. 59 e segg. - 592 - ■ molti consisteva in una serie di pratiche esteriori, che, specie nelle maggiori solennità, porgevano ai ricchi gradita occasione di mettere in mostra vesti pompose e preziosi gioielli (i). Il contegno corretto, il culto interno non sembrano tenuti in nessun pregio, tutto dimostra che il cuore di molti, di troppi, non era più infiammato da verace fede, e che, se non s’aveva il coraggio di romperla con la religione, non si sentiva neppure la forza di regolare la vita conforme allo spirito di essa. Certo, specie nella seconda metà del secolo, i Superiori ecclesiastici aiutati dalla Repubblica cercarono con ogni mezzo di render migliori i costumi, e di rialzare il sentimento religioso. Le cose dette finora ce ne assicurano , e quelle che via via ancora diremo, ce ne forniranno prove anche maggiori ; ma il ripetersi degli stessi lamenti, ed il rinnovarsi dei medesimi ordini, ci mostrano pure quanto gravi ed inveterati dovevano essere i mali, come difficile quindi risanarli perfettamente. In simili circostanze con un clero, che, per le qualità morali ed intellettuali, non pareva troppo lodevole, con un popolo, che alla sostanza della religione poco badava, sembrerebbe che Genova, come tanti altri luoghi, si (i) Non mancano decreti del Governo per impedire il lusso e peggio, cui davano occasione, per esempio, le messe novelle e le monacazioni. Una legge del 1516, rinvigorita con conferme ed aggiunte nel 1518, 1526 e 1530, vieta il lusso che si faceva in queste solennità, e si lamenta che le donne vi prendano parte ornate » immodicis sumptibus.... et quod magis detestabile est in ipsis Dei templis, eo praesertim tempore, a iuvenibus non sine vanitate et gravi Dei offensa spectantur » (Statuti dei Padri del Com. della Rep. Gen. pubbl. per cura del Municipio illustr. dall’Avv. C. Desimoni, Genova 1886; p. 191 e segg.). E ordini e lamenti identici li troviamo nella Sin. Palla vicino del 1567 (Ved. ed. cit. p. 40; e segg.). — 593 — trovasse in condizioni favorevoli per una ribellione contro la Chiesa romana, con vantaggio delle dottrine eretiche. Quindi é tempo di vedere ormai se queste veramente vi ebbero fortuna; e lo faremo subito, conducendo il nostro studio nel capitolo seguente fino all’anno 1567, in cui venne arrestato in questa città 1’ eretico umbro Bartolommeo Bartoccio. CAPO SECONDO l’eresia IN GENOVA FINO ALL’ANNO 1567 Prima del 1539 non abbiamo notizie di riformati in Genova, ma in quest’anno, a quel che sembra, per opera di « qualche indiscreto, o mal contento predicatore », comincia a pullulare qualche germoglio di eresia; tanto che la Repubblica, vedendo la timidezza dell’Inquisitore, che per giunta come straniero conosce poco la città, prega il Vicario generale dei Predicatori d’affidare simile ufficio a fra Stefano Usodimare. Essendo questi genovese di nascita, ed avendo sempre dimorato in patria nel convento di S. Domenico dell’ordine d’osservanza, cc conosce bene il paese, e può servirsi delle sue doti egregie per estirpare questa peste, che non vadi serpendo più oltre » (1). (1) R. Arch. di Stato. Protectorum officii Sanctae Inquisitionis filza i. Copia di lettera scritta il 14 aprile 1439 dal doge e governatori « al Rev. P. Francesco da Favenza vicario generale dell’ordine dei Predicatori » Ved. app. doc. V. — S94 ~ La domanda fu accolta, e parecchi eretici vennero giudicati, come risulta da alcuni processi originali, giunti sino a noi, e che si svolsero dal giorno 8 aprile 1540 al 17 maggio 1543 (1). Però abbiamo qualche motivo di credere che questi non fossero i primi. Da una lettera che il doge e i governatori scrivevano a Paolo III il 10 aprile 1540 risulta, che si erano già date condanne anche a pene pecuniarie, contro le quali i colpiti erano ricorsi al Pontefice. Con questa lettera gli scriventi mettono in guardia il Papa contro i condannati, che gli hanno rivolto « false suppliche », perché le loro cause siano commesse « ad altri prelati », dimostrano la necessità delle pene, riflettendo che « per disgrada de moderni tempi si ritrovano nella nostra città molti plebei, quali inclinano nelli medesimi errori », e quindi occorre provvedere energicamente se si vuole impedire il diffondersi dell’ eresia. E questo appunto si sono proposti il governo ed i giudici genovesi, che nelle condanne non hanno « atteso a prender denari, anzi si è andato modestissimamente, e se é accaduto di scoter qualche pena pecuniaria per debito di giustitia, si sono distribuiti a subventione di poveri » (2). Il Pontefice riconobbe giuste queste ragioni, e quindi continuarono i processi cogli stessi giudici e coll’ Inquisitore assistito da quattro gentiluomini di nomina governativa. Quanti processi si facessero é difficile saperlo, non ' (1) Si conservano nel R. Arch. di Stato, Sala 74, n. 255. Fogliazzo del notaro Bernardo Usodimare-Granello, notaro della Curia e del P. Inquisitore. (2) R. Arch. di Stato Proteclorum S. U. filza 4. Ved. app. doc. VI. — 595 — trovandosi più tutte le carte dell’Archivio dell’ Inquisitore genovese, alcune delle quali certo andaron distrutte in un incendio verso la metà del secolo XVI (i), ed altre vennero portate non si sa dove (2), né bastando il sapere che dal 1540 al 1583 furono fatti dall’Inquisitore 366 processi (3), perché tra questi se ne comprendono certo parecchi non dovuti a causa di eresia. Quindi astenendoci dal fissarne il numero, esaminiamo i pochi rimasti. Il giorno 8 aprile 1540 a Giacomo conte Fieschi « peritorum doctor » sono fatti quattro capi di accusa; e cioè di aver detto : I. che le indulgenze sono inutili e inventate per far denaro ; II. che le immagini sacre non si devono venerare ; III. che non devonsi venerare le reliquie dei santi; IV. che non si osservi la quaresima, come difatti in casa sua non si osserva (4). (1) II 3 luglio 1558 « ignis grandis a tumultuantibus populis, ut praefertur, ad domum S. Inquisitionis accensus fuerit.... et ob id maiori parte scripturarum careat recens eius Archivium (Elenchica Synopsis ecc. conventus Divi Dominici Ianuae..... per F. Thomam de Augustinis, p. 213 del ms. del sec. XVII cons. nella Bibi, della R. Università B. VII. 4). (2) Quando il 1797 fu abolito il tribunale dell’ Inquisizione in Genova, poche carte passarono all’Archivio di Stato; le altre presero vie che non abbiamo potute scoprire. (3) Mei R. Arch. di Stato (Arch. Segr. Prot. S. Uff. filza 6), fra carte del secolo XVII v’è una « Nota de processi fattisi nell’Inquisitione di Genova havuta da Roma ». Da questa ricavasi il numero dei processi dato di sopra, e la sicurezza che copia di essi venisse mandata all’Archivio dell’ Inquisizione generale in Roma, come dice il P. E. Masini a p. 63 del suo raro libro favoritomi dall’ egr. M. Staglieno ed intitolato « Sacro arsenale ovcro prattica del-1’ officio della Santa Inquisitione ». Genova 1621. Quindi maggior ragione di fare i voti più ardenti perchè tale Archivio sia aperto agli studiosi. (4) R. Arch. di Stato, Sala 74. n. 255. Fogliazzo del notaro Bernardo Uso-dimare-Granello «Processi fatti dal Vicario arcivescovile e dal P. Inquisitore ». — 596 - Gl’ interrogatori dell’ accusato non si trovano fra le carte da noi vedute, dalle quali peraltro risulta che il 19 aprile teologi e giureconsulti esaminarono il caso del conte, che il 6 giugno l’Inquisitore non trova l’accusato « confessatum nec convictum de heretica pravitate », ritiene che quanto alle immagini abbia inteso dire « praebere occasionem idolatriae idiotis » (1); ma che tuttavia gli é necessaria la purgatio d’ ogni sospetto, alla quale l’accusato si sottopone subito, dichiarando di non aver mai avuta intenzione di allontanarsi dalla Chiesa, nel grembo della quale vuol vivere e morire (2). Dopo questa dichiarazione, ed il giuramento di dieci cittadini, che affermano di « credere quod lacobus Fli-scus iuraverit », (3) il 7 giugno si assegna al conte L’atto di accusa è del giorno 8 aprile 1540; e l’inquisito dice d’aver sapute le mancanze del conte pluries et pluribus personis non malevolis sed fide dignis. (1) Importante pel tribunale dell’inquisizione era l’esame delle intenzioni del- 1’ accusato. Nel libro cit. del Masini leggo a p. 46..... « che la mala credenza contro la fede risiede nell’ animo..... Laonde se il reo havrà giuridicamente confessato, o pur sarà dopo la negativa rimasto legitimamente convinto, d’haver proferito bestemmie hereticali, 0 commesso fatti parimente hereticali, dovrà immediatamente essaminarsi sopra 1’ intentione 0 credenza sua, cioè se ha col cuor tenuto e creduto ciò, che con la bocca ha sacrilegamente proferito, o con 1’opere istesse ampiamente protestato, interrogandolo distintamente sopra ciascuno di quegli articoli che vengono toccati dalle sopradette bestemmie e fatti ereticali ». (2) La dichiarazione del conte vedasi in app. doc. VII. (3) I testimoni venivano fissati dai giudici sopra indicazione dell’ accusato. Sotto vincolo di giuramento dovevano rispondere ad alcune domande dell’ Inquisitore, che ad essi chiedeva quali fossero le loro credenze religiose, se fossero venuti dinanzi al tribunale spontaneamente, se attirati da promesse di compensi, e se capissero l’importanza dell’ufficio che dovevano compiere ecc. Il reo faceva la purgazione dinanzi ai testimoni, poi veniva allontanato; ed allora ciascun testimone giurava che esso aveva giurato il vero (Ved. maggiori partie. nel lib. già cit. del Masini p. 19$ e segg.). — 597 — per carcere la città di Genova, dalla quale per un mese non potrà uscire « sine licentia Inquisitoris nisi forte pro substentatione suae familiae », si obbliga a visitare con candele in mano gli altari di S. Giovanni Battista e S. Gottardo, e di pregare genuflesso dinanzi ad essi; si costringe inoltre a digiuni, e ad obbedire l’Inquisitore (i). Col processo del conte si riconnette quello fatto contro Giorgio Vivaldo-Costa e il farmacista Bartolommeo Alessio. Dagli atti risulta che questi ultimi il 14 aprile erano foggiti > e ciò forse spiega perché la sentenza del primo fu pronunziata separatamente. Le accuse contro il Costa sono su per giù le stesse fatte al conte; l’Alessio invece trovasi più gravato. Si rimprovera infatti di non aver obbedito alle ammonizioni dell’ Inquisitore, che gli proibiva di fare o di lasciar fare nella sua bottega conventicole d' uomini che parlavano d’ eresia (2) ; di aver avuta conversazione ed amicizia con persone sospette, e di non aver riportate all’ Inquisitore le cose da esso udite ; di essere stato fra i primi d’ una società di luterani in Genova, e di avervi tenuto l’ufficio di cassiere (3). (1) La pubblicità della visita era assai comune. Il Masini a p. 169 dell’op. cit. dice che « per esempio degli altri » doveva farsi anche « con l’inscritione della causa, (e) mentre si celebrarà la messa maggiore, et vi sarà anco maggior concorso di popolo ». Ved. la sentenza del conte in app. del nostro Studio doc. Vili. (2) Ecco testualmente le parole che si riferiscono a quest’accusa: « . quod prefatus Alesius delatus est quod non obstante admonitione et prohibitione sibi facta a d. Inquisitore ne faceret vel fieri permitteret conventicola vel concursus hominum suspectorum de tali heresi et de materiis talibus in sua apotecha, ipse non cessatur saepe talia conventicola facere et illis interesse unde reddit de heresi suspectum ». (3) « . . . . esse de quadam societate heresis lutheranae quae habetur in hac civitate, et quod ipse sit de primis dictae societatis et teneat peccunias quas colligunt inter homines dictae societatis pro elemosinis fiendis ». — 598 — Nel giugno dell’anno stesso gli accusati sono di nuovo in Genova : si dichiarano sottomessi alla Chiesa, 1’ Alessio nega d’avere appartenuto ad una società luterana e d’esserne stato il cassiere, ma non vuol riferire che cosa venisse detto nelle conventicole, secondo l’accusa, riunite nella sua bottega. Almeno per quest’ ultimo particolare la cosa diveniva importante, e siamo quindi dolenti che le carte rimaste non ce ne dicano più nulla (i). E passiamo ad un altro processo, pur conservato nel R. Archivio, nel fogliazzo dello stesso Bernardo Usodi-mare-Granello. Il 12 aprile 1540 il notaro G. B. Ponte, accusato di avere proferite contro la religione cattolica molte parole che sanno di eresia « et alios modernos errores », vien condotto nelle carceri arcivescovili. Dall’ esame dei testimoni risulta, eh’ egli ha detto male dei santi e del loro culto, ha affermato che devesi pregare solo Cristo «qui est verus intercessor apud patrem », ed ha lodato Lutero et Melantone. Il Ponte si difende, prima chiedendo di esaminare le precise deposizioni dei testi (2), accusandosi (1) Questo ci rincresce ancora per quanto riguarda la società luterana, a cui l’Alessio nega di appartenere; e forse neppure esisteva, od almeno noi, coi soli documenti che abbiamo, non possiam negarne nè ammetterne l’esistenza: tuttavia il sentire che su essa l’Inquisitore insisteva basta per farci conchiudere, che da lui gli eretici si credevano tanto numerosi da poter formare una società, e tanto amanti dei poveri da raccogliere denari per soccorrerli. E questo è pure qualcosa. (2) In ciò usava di un suo diritto: quantunque il Tribunale dell’Inquisizioue tenesse segreti i nomi dei testimoni d’ accusa e dei denunciatori, « al reo non pienamente convinto, nè confesso, non solamente non si negano avanti la tortura giammai le difese, ov’ egli le domandi, ma spontaneamente anche se gli offeriscono, con assegnare ad esso constituto un termine conveniente di cinque o sei, o più o meno giorni, secondo la qualità della causa, acciocché abbia — 599 — poi di labile memoria, ed infine dopo aver molto pen-sato, giustificandosi con abilità e sottigliezza (i). Ecco le sue ragioni : Ha detto doversi pregare solo Cristo, considerandolo in questo caso come uomo, nel che non intendeva di allontanarsi dalla determinazione della Chiesa. Quanto ai santi diceva che non dovevansi imitare in ciò che essi avevano di riprensibile, come la negazione di Cristo fatta da S. Pietro ; e che non dovevasi rivolgere a loro la preghiera scritta e quella riservata a Dio, né prestare ad essi « adorationem latriam ». Ha poi lodato Lutero e Melantone in quanto essi han predicato Cristo e non in altro; del resto egli si sottomette alle decisioni della Chiesa, ed é pronto a fare piena purgazione canonica a richiesta dei giudici. Questi lo contentano subito, e dopo aver sentite le sue dichiarazioni fatte colle solite formalità, il 14 di aprile lo assolvono, ordinandogli però di biasimare Lutero e Melantone coi seguaci loro, di pregare ogni giorno per un mese continuo nella cappella de’ SS. Giovanni e Sebastiano, e di sottoporsi ai soliti digiuni. Lo stesso giorno 14 aprile incomincia la causa contro Nicolò Casero, il quale, oltreché delle solite cose, é accusato altresì di aver detto: I. che nel SS. Sacramento dell’ altare non vi è il corpo di Cristo « realiter sed tantum in signo »; II. che non esiste purgatorio; III. che gli uomini non hanno libero arbitrio al bene; IV. che il celibato dei religiosi é un errore ed eresia, e che devesi . spatio di poter difendersi, et con decretarli la copia del processo, et deputargli anco l’avvocato o procuratore; ancorché il reo non dichiari quali difese in specie egli voglia fare, o dica solamente di voler'provar la falsità degl’indicii ». Op. cit. del Masini, p. 97. (1) Ved. la difesa in app. doc. IX. — 6oo — prender moglie; V. che pregando non devesi recitare l’Ave Maria; VI. che la sola fede ne giustifica e non sono necessarie l’opere; VII. che la Chiesa non conservava più da molto tempo i riti della religione. L’accusato è in carcere, ed il 4 maggio rispondendo alle interrogazioni rivoltegli, si dichiara fedele figlio della Chiesa romana, cerca provare di non averla mai voluta offendere colle sue parole, ed avverte che se vi fu errore, egli il commise ripetendo in buona fede cose che « audivit a predicatoribus theologis ». Il 24 gennaio 1541 è invitato a udire la sentenza, della quale nulla possiamo riferire non trovandosi fra gli atti. Sembra che tutto si dovesse ridurre nello stabilire se il Casero avesse parlato in buona fede, perché la predicazione di dottrine ortodosse in Genova non può mettersi in dubbio. Infatti appena un anno più tardi e precisamente il 27 gennaio 1542, Prete Marco, vicario arcivescovile, e P. Graziano dell’ ordine dei Predicatori d’ osservanza, e vicario dell’Inquisitore, sapendo che il P. Maestro Tommaso Giacomello dello stesso ordine, dottore di Sacra Teologia, nelle sue prediche e lezioni aveva proferito dottrine sospette di luteranesimo, gli proibiscono di predicare e dare lezioni sotto pena di scomunica (1). In che (1) L’ atto trov. nel fogl. del not. B. Usodimare-Granello, già citato. Eccone una parte: « ... . Attendentes quod vos Magister Thomas Iacomellus, eiusdem ordinis Sacrae Theologiae doctore in vestris lectionibus et in concionibus vestris, multorum fama referente et ad insinuationem fide dignorum, asseruistis et affirmastis multa scandalosa suspecta, tendentia ad heresias lutheranas, nos quibus ex officio incumbit, volentes estirpare talia, et congruum adhibere remedium, vobis imponimus ut de cetero non legatis nec predicetis in ecclesia sancti Dominici vel aliis locis aut ecclesiis civitatis, nec in locis aliquibus dio-cesis ianuensis, sub pena excomunicationis latae sententiae ». — 6oi — che cosa consistessero le dottrine insegnate dal P. Maestro Tommaso, lo dice una regolare denunzia presentata contro di lui circa tre mesi dopo la sospensione, cioè nel- 1 aprile del 15da due frati, Bartolommeo da Varazze e Filippo Cambiaso, e meglio ancora la testimonianza, che quest’ ultimo faceva il giorno 15 dello stesso mese. Dalle esplicite parole di Fr. Filippo, che per la loro impor-, tanza riportiamo integralmente fra i documenti (1), risulta fra altro, che il P. Maestro era d’accordo cogli eretici nella dottrina della giustificazione, e nel ritenere inutili le immagini s^cre. Ci duole che le carte riguardanti il P. Giacomello sieno incomplete, e quindi non ci permettano di conoscere quale sorte gli toccasse per opinioni che non potevano dirsi prive d’ efficacia quando da un Maestro venivano insegnate in maniera da impensierirne i superiori. L’ultimo processo d’ eresia conservato nel fogliazzo del notaro Usodimare-Granello, incomincia l'aprile del 1543 contro Battista da Musasco, maestro d’abbaco. Secondo la denunzia di Battista de Cono, egli avrebbe dette inutili 1’ Ave Maria, l’indulgenze e la confessione, dichiarando che bastava « confiteri coram Deo in aliquo foramine ». Secondo un altro denunziatore, fra Paolo da Borgo S. Sepolcro, de’ predicatori d’osservanza, avrebbe anche sprezzate le orazioni, la venerazione de’ santi, l’offerta di candele «et alia usitata in ecclesia ». Dal processo risulta che l’accusato é religioso e di buoni costumi, solo qualche volta inclina a dire troppe parole, alle quali per altro ora egli cerca di togliere ogni senso (1) Ved. app. doc. X. — 602 — ostile alla Chiesa. Quindi una commissione di canonisti, teologi e giuristi, il 7 maggio 1543, si contenta d’imporgli « purgationem canonicam per divinam manum », la quale egli compie il giorno medesimo, e « flexis genibus » giura di non aver mai credute, né di credere « opiniones super quibus sum infamatus. ... et credere id quod tenet et credit sancta mater Ecclesia catholica ». Questi pochi processi giunti sino a noi, il ricordo di altri che vennero fatti prima, la predicazione per lo meno sospetta del P. Giacomello, ci mostrano che di eresia qualcosa si era saputo anche in Genova, ed i provvedimenti che allora furono presi dimostrano come si avessero timori assai fondati sulla diffusione di essa. Non farà quindi meraviglia, se proprio in questi medesimi tempi, quasi a barriera contro l’irrompere delle dottrine eretiche, si cerca di rialzare il sentimento religioso anche ordinando la severa osservanza dei giorni festivi (1), e si vuole mantenere l’ignoranza delle opinioni anticatto* liche, proibendo con gravi pene la lettura di libri ereticali o sospetti, e specialmente di quelli composti dal senese Bernardino Ochino, che viene dipinto a foschi colori per le sue opinioni sul libero arbitrio, sulle indulgenze, sulle immagini sacre, sul pontefice, e soprattutto per lo scritto: cc in quo de iustificatione nostra per Christum et nonnullis aliis disserit » (2). E neppur farà meraviglia se ordini gravi si pubblicarono contro gli eretici ed i loro favoreggiatori, e contro quelli che col leggere o coll’ascoltare dottrine eretiche (1) R. Arch. di Stato, Sala 74, n. 255, fogl. del not. già cit. (2) Ved. in app. doc. XI. — 603 — 0 sospette possono far credere di inclinarvi. A questo pioposito è importante un decreto, che, per ordine del— 1 Inquisitore, scriveva il 7 febbraio 1543, ii notaro Bernardo (Jsodimare-Granello (1), e che in poche parole riassumiamo. Se gli eretici si presenteranno spontaneamente, mostrandosi addolorati dei propri errori, verranno accolti con grande misericordia dal Padre Inquisitore, il quale invece sarà inesorabile contro coloro che persevereranno nell eresia. Chi conosce eretici è obbligato a denunziarli entro quattro giorni, chi ha libri ereticali 0 sospetti, e specialmente quello dell’ Ochino, deve consegnarli entro lo stesso termine, se non vuole esporsi a gravissime punizioni. Si convincano i fedeli della enorme offesa che fanno a Dio, seguendo 0 favorendo l’eresia, e con ogni mezzo si adoperino per la salute della Chiesa romana, che è poi la salute di tutti i cristiani. Questi in sostanza sono i concetti espressi nell’ ordine citato, che, messo in rapporto coi fatti già esposti, ci induce a deplorare più che mai la dispersione dell’ Archivio dell’inquisizione genovese, che certo ci avrebbe permesso di seguire passo passo lo svolgimento di avvenimenti simili a quelli narrati. Ebbene, cerchiamo di andare avanti come meglio si può. Nel 1549 era nel « loglio di Framura e circumstande un prete fiorentino, che (andava) dicendo... . cose non troppo cattoliche » (2); nel 1551 un frate genovese, (1) È cons. nel fogl. dello stesso notaro, 1. cit. (2) R. Arch. di Stato; Litt. reg. voi. 65. Il 5 aprile 1540 il doge ed i governatori esposto al capitano di Spezia il tatto del prete ed il desiderio ch’aveva l’Inquisitore di arrestarlo, gli ordinano di dare « aggiuto a chi haverà litere del detto Inquisitore per esseguire quanto sua paternità 0 il suo commissionato ricercassi ». — 604 — conventuale di S. Francesco, veniva fermato a Roma, e vi era trattenuto per « doi anni per certe imputationi di eretico » (i). Presso a poco nello stesso tempo un altro frate pur genovese, il P. Chizuola, era « inquisito », ma si ravvedeva tosto, e nel 1554 già « aveva predicato in Roma molto cattolicamente per tre anni », tanto che i cardinali inquisitori ormai si erano « molto bene assicurati di lui » (2). E qui non è da tacere che nel 1553 il Governo chiedeva, e nell’anno appresso otteneva, che la Compagnia di Gesù, nata soprattutto per combattere gli eretici, aprisse sue scuole in Genova, malgrado Topposizione sicura di alcuni ordini religiosi già esistenti e la probabile ostilità d’ una parte almeno del clero secolare. Entrati i gesuiti, che dovevano « con la loro dottrina et esempio istruire la gioventù » e tenerla fedele alla Chiesa romana, ebbero da sostenere non poche lotte per trovare luogo adatto alle scuole, e per acquietare gli oppositori (3). Ricevettero in compenso ampie lodi dalla (1) Il card. S. Clemente in fine ad una lettera mandata da Roma alla Repubblica, il 23 Decembre 1553, scrive queste parole autografe: « Hoggi è stato a trovarmi un frate Loise Boaxio de l’ordine di S. Francesco conventuale, genovese, quale è stato tratenuto qui doi anni per certe imputationi di eretico da quali dice essersi liberato ». R. Arch. di Stato. Lett. di card. m. 6. (2) La Repubblica aveva chiesto come predicatore il P. Chizuola genovese. Il card di S. Clemente parla de’suoi errori d’eresia, del ravvedimento e dice che verrà concesso come predicatore per l’anno 1 5 5 5- lettere scritte in proposito dal cardinale al doge ed ai governatori (cons. nel 1. cit.) sono due, in data del 22 marzo e 5 aprile 15 S4- (3) Ai gesuiti fu anche difficile trovare un luogo adatto per le scuole. Delle varie case, nelle quali successivamente abitarono dal 1554i quando stavano presso S. Maria delle Grazie, fino al 1623, anno, in cui comprarono il luogo dove sorse poi il loro collegio foggi palazzo della R. Università), fa cenno 1 Isnardi nella » — 605 — Repubblica, che il 29 ottobre 1555 per mezzo del doge e dei governatori dichiarava solennemente di averli trovati seguaci della vera religione, pronti nell’ amministrare i Sacramenti, zelanti nell’instillare alla gioventù buoni sentimenti morali e religiosi, mentre li avviano alla scienza (1). Non per questo l’eresia cessò di avere in Genova qualche seguace ; anzi nella seconda metà del secolo XVI i casi d’ eresia sono più numerosi e più gravi, per capire la qual cosa non sarà inutile ricordare lo scandalo causato nel 1552 dal commissario per la fabbrica di S. Pietro (2), e il cattivo esempio dato dai conventuali di Sant’ Agostino, che avevano altresì cura d’ anime, e storia dell’Università di Genova, parte I. c. 20, pag. 254, Genova 1861. Per notizie maggiori su questo, e sulle opposizioni che ebbero i gesuiti, vedi nel R. Arch. di Stato questi documenti: Lett. della Repubblica al Papa, per far cedere ai gesuiti il convento dei teatini a S. Siro, 21 settembre 1551 (Litt. reg. voi. 68); id. al Cardinal S. Clemente colla stessa data (I. cit.); lettera all’Arcivescovo di Genova, 3 marzo 1559 (Litt. filze, n. 3). Lettera del card. Giustiniano a doge e governatori per avvertirli che « S. S. (conforme alla petitione dell’ Ecc. VV.) ha concesso la chiesa delle Vigne alli Padri del Jhesù », 4 maggio 1582 (Lett. di cardinali, m. 9). Id. per annunziare d’aver presentato le rimostranze pel Breve di S. M. delle Vigne, 25 maggio 1582 (1. cit.). Lett. del doge e dei governatori al card. Giustiniano, perchè non si parli più di trasferire i gesuiti alle Vigne, causa il fermento dei parrocchiani, 20 giugno 1582 (Minute di lett. a card., m. 2). (1) È una specie di certificato, copia del quale trovasi nel R. Archivio (Iurisdictionalium et ecclesiasticarum ex parte, filza 1), e che forse fu richiesto dai gesuiti stessi per difendersi contro i loro avversarli. S’insiste nel dimostrare che i Padri della Compagnia sono verae religionis sectatores. Che sogliono « huius civitatis iuventutem tum bonis moribus, tunvliteris graecis et latinis imbuere instituereque ut hac ratione puericia puro pectore cum Christo scientia imbibatur, pauperes aegrotantes ad patientiam hortari et ceteris operibus misericordiae inservire ita ut et nobis et civitati grati et cari siflt ». (2) Vedi indietro cap. I, p. 588 e segg. Atti. Soc. Lig. St. Patri*. Voi.'XXIV, fase. 2.0 39 - 606 — che furono espulsi il 1556, perché « li disordini seguiti da buon tempo in qua in detto monastero, così di heresia come di altri diffetti importanti, furono di cosi gran rilievo che tutta la città ne ricevè scandalo » (1). E vediamo senz’ altro i singoli fatti (2). Nel 1557 prete Pietro dal Borgetto colla sicurtà di 100 scudi potrà essere « rilassato di persona », ma resterà « sospeso a divinis.... donec fuerit absolutus » (3). Nel 1558 il Priore di S. Matteo era citato dinanzi al tribunale dell’ Inquisizione in Roma, dove esso rifiutava di andare adducendo infermità (4). La Repubblica sostenne validamente le ragioni presso i cardinali ed il papa stesso, parlando dei buoni costumi dell’accusato, meritevoli di qualche considerazione, dello scandalo che (1) Lett. del doge e dei governatori al card. B. Lomellino in Roma, 27 settembre 1560 (Litt. filze, n. 1) Vedi in proposito anche quanto fu già detto nel cap. I, p. 577 e seg. Qui aggiungeremo solo che il doge ed i governatori il 17 agosto 1556 scrivevano al Sauli arcivescovo di Genova, che i conventuali avevano anche « ammesso talhora e ricevuto in lo loro convento persone che machinavano contro questa Repubblica» (Arch. di Stato, Litt. reg., voi. 66). Quindi si avrebbe anche un motivo politico da aggiungersi agli altri morali e religiosi, che già conosciamo. (2) Per intendere meglio come in seguito si trovano più numerosi i casi di eresia, riflettasi che l’inquisizione in questi ultimi tempi più fortemente organizzata, si occupava dell’eresia con maggiore severità, e che alla mancanza delle carte dell’inquisizione genovese, a cui male si è supplito fin qui, meglio suppliremo in seguito colle carte dell’Archivio di Stato, perchè via via che l'Inquisizione generale romana acquistava potenza, crescevano anche per la Repubblica i motivi di trattare con Roma, e così noi dalla sua corrispondenza trarremo molte cose utili al nostro Studio. Questa trovasi nel R. Archivio di Stato (Arch. segr.), e nel citarla ci contenteremo, per brevità, d’indicare soltanto il titolo della categoria speciale e il numero d’ ordine. (3) Decr. di fra Girolamo inquisitore generale in Genova, 26 febbraio 1557 (R. Archivio di Stato. Protect S. Off. filza segnata con numero generale '*--)• (4) Lett. del doge e dei governatori al card. Alessandrino, 5 marzo 1558 (Min. di lett. a cardinali, m. 2). — 607 — alla città tutta verrebbe, se il Priore partisse per Roma. Dalle carte dell’ archivio non risulta la fine della questione; risulta però la premura della Repubblica, perchè il giudizio si facesse dinanzi al tribunale dell’inquisizione in Genova, risulta altresì come la condotta morale del Priore fosse incensurabile, e che qui trattavasi soltanto di opinioni religiose (i). Nel 1560 le cose di religione a Scio non andavano secondo le cattoliche intenzioni del Governo genovese, come pare che chiaro risulti da una lettera, che il doge ed i governatori scrivevano, il 17 agosto, al podestà Battista Giustiniano (2). « Ci porge ansietà (dicevano) l’intendere che costì si truovano alcuni, i quali, guidati da poca pietà e maggiore ignoranza, traviino da quella vera strada che conduce a salutifero fine, e per donde nostra intentione è che si camini ; per il che vi commettiamo che, in tutto ciò che può venire da voi, porgiate quel favore, riputatione e braccio secolare all’uffizio della suddetta Inquisizione che si possa maggiore ». Coi quali ordini adempivano alla promessa, che fin dal 24 maggio (3) avevano fatta al cardinale Alessandrino, che, (1) Lett. del doge e dei gov. al card. Puteo Giacomo, 6 apr. 1559. Id. al card. Pacheco; id. al card. Alessandrino (Min. di lett. a card. m. 3). Lett. del card. Alessandrino al doge e ai governatori, 13 aprile 1559 (Lett. di card. m. A 1). Il card, scrive risentito, dicendo « che non si può con ragion nessuna concedere quel che il Priore di S. Matteo ricerca, ancorché potrebbe essere che gl’ inditii che questo santo tribunale ha havuto contro di lui fossero calunnie, il che non si fa credere che siano, salvo che vere imputationi, la continova disubidienza sua di tanto tempo ». (2) Litt. filze, (min. di lett. n. 1). (3) Lett. di card. m. 1. Questa lettera è citata anche a p. 144 del volume di A. Battistella, Ritagli e scampoli, Voghera 1890, nel breve scritto intitolato: « Alcuni appunti sull’ eresia in Italia », dove, riguardo a Genova, si ricordano solo i la- — 6o8 - scrivendo da Roma al doge e ai governatori, si duole perché « il braccio et favore al R. P. Inquisitore Antonio Giustiniano, che ivi rappresenta questa santa sede apostolica, non vien dato secondo che converrebbe efficacemente da quel reggimento della città ed isola di Scio » ; e denunziato il dispregio in cui son tenuti gli ordini del-1’Inquisitore, raccomanda energia. E qui é bene aggiungere che non si ferma a parlare di Scio; si lamenta ancora, perchè in Genova « non si osserva il sacro decreto del-l’indice dei libri proibiti », per non rovinare i librai, avverte dei doveri che ha una città cattolica di mantenersi tale, del pericolo che alla fede viene da simili libri, non lasciando di ricordare che « bene il S.m0 Leone nei sagri canoni escomunica, et vuol che sia infame qualunque vi havrà negotiatione, o comertio in modo alcuno » (i). E il doge e i governatori rispondendo come si è detto, a questa lettera, il 24 maggio 1560 (2), protestano di aver « sempre posto ogni studio e porto bracchio gagliardo contro l’eresia, riconoscono le difficoltà che incontrano per Scio, isola posta nelle fauci d’infedeli », hanno scritto al governatore ordini precisi, come si spera che il cardinale farà col Padre Inquisitore. Più importante è ciò che si riferisce ai libri proibiti, menti della Curia romana per le cose di Scio, e per la poca osservanza del decreto sui libri proibiti. (1) Lo stesso cardinale, già il 30 settembre 1558, si era lamentato che in Scio si trascurava di eseguire alcuni ordini fatti dal «tribunale della santa Inquisizione per conservatione di quei popoli nella fede catolica », e sospettava che ciò avvenisse « in favore d’alcuni che son in quella isola, i quali oltre il resto che di loro si ha, essi da sè medesimi con la loro contumacia vanno dimostrandosi eretici ». Lett. di card. m. cit. (2) Min. di lett. a card. m. 2. — 609 — perchè dimostra una volta di più lo zelo del governo Genovese contro ogni causa che potesse condurre a novità. Odansi le stesse parole della lettera: « Quanto a’ libri prohibiti, ci maravigliamo di quanto ci scrive V. S. 111., sendosene qui fatta dimostrattione forsi delle più ardenti e più severe che sian seguite in Italia, e volesse Dio che vivesse per tutto quella delicatezza, \{ che sia detto senza arroganza, di coscienza che vive qui, se però ne saranno avanzati, che non crediamo, userassi diligenza perché si diano al fuoco ». Dei provvedimenti presi dal Governo contro i libri proibiti in questo tempo non abbiamo altre notizie; ma non stenteremo a credere alle franche affermazioni di questa lettera, se pensiamo alla politica seguita finora da Genova in materia d’eresia, ed alla paura che si aveva d’ una probabile diffusione di essa, tantoché cercasi sempre di .rimuovere qualunque causa, che direttamente o indirettamente possa nuocere alla fede cattolica. I costumi del clero, gli abusi del commissario per la fabbrica di S. Pietro, ogni altro fatto che potesse gettare ombra sulla Chiesa, o sopra i suoi ministri, attirano l’ attenzione della Repubblica. E le occasioni non mancavano. Alle già note aggiungiamo anche queste. Nel 1561 i canonici di S. Lorenzo, essendo in lite colla camera apostolica per il pagamento del quindenio, si erano tirati addosso interdetti e scomuniche. Il Governo interviene, e pur mostrandosi riservato nella quistione di merito, esprime al tesoriere generale pontifìcio il dispiacere che prova nel vedere « i canonici scomunicati ogni volta et interdetti, talché e 1’ honor di Dio, e la maestà del Tempio e 1’ anime christiane ne ricevono — 6io — detrimento notabile, oltre il poco decoro e mal esempio che s’introduce col tener sospeso dagl’ ufficii persone spirituali per cagioni di pretensioni civili, tra che questi ci paion tempi da non corrersi così agevolmente agl’ interdetti ». Vorrebbe quindi che si lasciassero le pene spirituali , seguendo la lite per le vie civili (i). E nello stesso senso riscrive al medesimo tesoriere l’anno appresso (2), dolendosi che sia stata decisa la quistione a danno dei canonici, e pregandolo a far tornare sulla presa deliberazione, facendo prendere « quella provisione, che la qualità dei tempi richiede » (3). Altra prova per dimostrare lo zelo cattolico del Governo genovese, ed il timore eh’ egli aveva dei progressi d’ eretici, 1’ abbiamo nel contegno, eh’ esso tenne rispetto al concilio di Trento, e nelle cure che usò perché i decreti tridentini fossero religiosamente applicati. Anche alla Repubblica, nel decembre del 1560 (4), il Papa direttamente mandava l’annunzio, che si radunava in Trento il concilio, e manifestava la certezza, che n’ avrebbe accolta con lieto animo la notizia e si sarebbe adoperata essa pure per la buona riuscita (5). Ed il 2 agosto 1561 prega il Governo me- (1) Lett. al m. mag. sig. Donato Mattheo Minale, thesoriere generale di S. S. 21 aprite 1561. Litt. filze n. 3. (2) Lett. del 7 feb. 1562. Litt. filza cit. (3) Ved. nel litt. filze n. 3 anche le lettere scritte sullo stesso argomento, e coi medesimi principii al tesoriere stesso, 3 aprile 1562; al card. Pallavicino 7 febbraio e 2 ottobre 1562, e 27 marzo 1563. (4) Arch. segr. Bolle e brevi dei sommi pontefici n. 1. Breve dato in Roma il 12 ottobre 1560. (5) « .... minime dubitantes; quim pro vestro et istius inclytae civitatis studio perpetuo erga religionem catholicam, et laetis admodum animis hunc nun- — 611 — desimo ad invitare i Vescovi del suo dominio, che non sono ancora partiti pel concilio, a mettersi in via, appena cesseranno i calori (i) ; nel che mostreranno diligenza al papa gradita, e degna del loro amore verso la religione e obbedienza verso la santa sede (2). Mons. Sauli arcivescovo di Genova andò al concilio, partendo però con un certo ritardo dovuto alle preghiere del Governo, che volle un poco trattenerlo per dare compimento a certe faccende d’importanza» (3); e da Trento tenne colla Repubblica un’ attiva corrispondenza sugli affari della diocesi e sull’ andamento del concilio, corrispondenza (4) che dimostra la premura dell’Arcivescovo pei suoi diocesani e l’interesse vivissimo che il Governo prendeva per le decisioni tridentine, tanto che era ben grato al Sauli che via via ne dava « piena contezza » (5). cium accepturi, et nobiscum una divinae bonitatis acturi sitis; quae ad hoc perficiendum opus tam opportunum tempus obtulerit ». (1) L. cit. Breve 3 aprile 1561. ... ut ecc. (2) «... . qua in re pia vestra sedulitas vehementer nobis grata, et vestro erga catholicam religionem studio, ac sanctam hanc sedem perpetua devotione digna erit ». Il Cardinal di S. Clemente, inviando il breve pontificio, avverte a nome del Papa che i prelati vadano ad ogni costo: i poveri saranno sovvenuti dai legati, gli ammalati cronici si facciam portare, o rinunzino alle diocesi; ricorda ai Genovesi l’esempio del Re cattolico, che a Napoli d’accordo col Papa ha « cominciati ad inviar li prelati, con sequestri et privatione de fruti ». Lett. di card. m. 5. (3) Ved. Litt. filze n. 3. La lett. del doge e dei governatori di Genova a Cipriano Pallavicino a Roma è in data del 22 agosto 1561. (4) Non ci è riuscito trovare le lettere che da Trento il Sauli scrisse al Governo: però nei Litt. filze n. 3, per gli anni 1562-63, si trovano le minute delle lett. scritte ad esso dal Governo, le quali mostrano assai bene la natura di quella corrispondenza. Ved. specialmente le lett. in data 7 febbraio 1562, e 12 marzo 1563. (5) Litt. filze cit. Lett. al Sauli del 20 marzo 1563. — 612 — Compiuto questo, la Repubblica genovese riceve dal Papa l’invito di pubblicarne i decreti « con quella solennità che si era usata a Venezia » (i), ed essa mostrasi ben disposta, tantoché nel decembre del 1564 il cardinale di S. Clemente crede che il Papa « resterà pienamente sodisfatto della sua religione et devotione » (2). Tutto mostra che il cardinale così scrivendo non faceva un semplice complimento; la fede della Repubblica rive-lavasi sempre forte ed il suo zelo poteva difficilmente desiderarsi maggiore. La città, le riviere, la Corsica, i domini anche più lontani erano gelosamente guardati, ogni cura si poneva per soffocare 0 respingere la temuta riforma (3). E proprio nell’anno stesso, che il concilio tridentino doveva sciogliersi, il Governo genovese, che soli due anni prima aveva dichiarato la Corsica immune da eresia, quantunque scandalizzata dai perversi costumi dei venticinque monasteri d’osservanti esistenti nell’ isola (4), or doveva sentirsi dire che vi si trovavano parecchi sospetti d’eresia, fra i quali il capitano Andrea di S. Pietro, Pietro Maria suo nipote, Iachinello pur di S. (1) Bolle e brevi pont. n. i., 31 ott. 1564. (2) Lett. di card. m. 5., lett. del card, di S. Clemente al doge ed ai governatori in data 8 dicembre 1564. (3) Le esortazioni al Governo, di mostrarsi avverso all’ eresia, gli venivano in ogni occasione. Il 28 febbraio 1564 il cardinale S. Clemente presentando al doge ed ai governatori due suoi nepoti, che si recavano alle loro diocesi di Albenga e di Sagone, raccomanda di concedere ad essi ogni aiuto e braccio secolare per tenere le loro diocesi « sopratutto purgate da ogni sospetto di heresia et ogni altra sorte di lepra, che in questi tempi, segnalatamente per i nostri peccati, si vede il mondo tanto corrotto et infestato ». Lett. di card. m. 5. (4) Ved. pei monasteri nei litt. filze n. 3., lett. del Gov. genovese all’Arciv. di Genova 19 settembre 1-562; id. al Generale degli osservanti. - 613 - Pietro, della diocesi nebbiense, Tomasino di S. Fiorenzo, e Gerolamo di Este soldato in Bastia (i). E dalla Corsica tornando in riviera, l’anno appresso doveva prendere gravi provvedimenti per Levanto, dove era accaduto qualcosa di serio. Il 19 novembre 1565 giunge al Governo una lettera firmata da un « umile servitore et fedele sudito santifigolo », colla quale si avverte che cc da quaranta giorni era comparso a Levanto « uno cert’ huomo, qual si fa chiamare Lucio de Santi di Barletta, e dottore e philosopho..... vestito di veste de 1’ ordine di Santo Domenico, in habito però di mondano, e si é messo a predicare ogni festa nella chiesa catedrale di Levanto senza licentia del suo superiore, mons. vicario di Sarzana, de libero arbitrio et pre- destinatione, et altre cose »....., ed il paese presta fede alle sue proposizioni ereticali. Inoltre « ha cominciato a meter schole e far achademie de giovani et puti, ai quali va ragionando spesso delle cose della fede, et a scolari li va dicendo che Christo ha tre corpi, sotto spetie di dar latini in questo modo : io ho visto tre corpi (1) Bolle e brevi di pontefici, n. i, breve di Pio IV del 30 giugno 1564 « ...... Intelleximus, non sine animi nostri molestia, esse nonnullos in vestra insula Corsicae, qui apud sanctum Inquisitionis almae urbis nostrae officium, de detestabili haeresis crimine multipliciter suspecti exixtunt, inter quos capitaneum Andream de Sancto Petro, et Petrum Mariam eius nepotem, ac Iachinellum etiam de Sancto Petro, nebienses, necnon Thomasinum de Sancto Florentio, et Hiero-nimum de Este militem in terra Bastiae esse, delatum est. ... ». Che cosa avvenisse di costoro allora non sappiamo; ma quattro anni più tardi si trova che la Corsica non era immune da eresia, perchè, il 10 luglio 1569, il cardinale di S. Clemente aspetta di sapere che il Governo abbia ordinato « al commissario di Corsica, che presti ogni braccio et favor al Vescovo di Sagone per gastigo degli heretici ». Lett. di card. m. 5. Ved. anche altra lett. dello stesso, scritta il 29 luglio 1569. — 614 — di Christo ». Racconta d’essere stato al concilio di Trento, poi caduto in mano dei Turchi e quindi, liberato dagli Spagnuoli, essersi dato a predicare (i). Il 26 dello stesso mese, il doge ed i governatori nominano commissario di Chiavari, con pieni poteri, Giacomo Vivaldo (2), ed il giorno medesimo gli ordinano di imbarcarsi a Chiavari sopra una fregata, col bargello e compagnia, di sbarcare a Levanto, arrestarvi Lucio de Santi da Barletta e mandarlo a Genova; giustificano anche la scelta del Vivaldo, dicendo che « questo caso importa » (3). Ma quando furono per sigillare 1’ ordine da trasmettersi al Vivaldo, vennero « avvertiti da bona banda, che il detto Lucio insieme con un altro maestro di scuola pur di Levanto, si erano partiti sabbato passato et andati a Sarzana a raggionar col vicario del vescovo »; quindi gli revocano l’ordine impartito, invitandolo ad inviare persona capace a Levanto per informarsi del ritorno di Lucio, per potere poi cc coglierlo all’ improvviso » (4). E mentre tali pensieri e tante paure agitavano la Repubblica, otteneva la tiara pontificia fra Michele Ghisleri, cardinale Alessandrino, che prendeva il nome di Pio V; e questa nomina, se fosse stato possibile, avrebbe cresciute le premure dei Genovesi contro l’eresia. (1) Ved. doc. xii. (2) R. Arch. di Stato. Secretorum n. i, decreto del 26 novembre 1565 intestato: «Doge e governatori. Per degni rispetti e ragionevolissime cause, havemo elletto...... capitaneo e commissario...... in Chiavari et a Levanto , et dovunque saria bisogno, con quella autorità che havemo noi.... ». (3) Secretorum cit. decr. 26 novembre 1565. (4) Non sappiamo se Lucio tornasse; peraltro è probabile, che odorato il vento infido, preferisse volgere ad altri lidi. - 6i5 - 11 Cardinal di S. Clemente, il giorno 11 gennaio 1566 (1), dopo aver chiamata tale elezione « miracolosa, el. vera fattura di Sua Divina Maestà e dello spirito sancto, mostra la sua ferma credenza che Pio V si mostrerà « bollissimo pastore, et quale sopratutto sarà acerrimo persecutore delli heretici et altri nemici della nostra fede ». 11 cardinale S. Clemente conosceva bene l’Alessandrino, e poteva francamente affermare che non avrebbe più lasciato in pace gli eretici. 11 Governo genovese era sicuro di trovare in lui un aiuto vigoroso in caso di bisogno, era certo che qualunque severo ordine contro 1’ eresia avrebbe ottenuto 1’ approvazione papale. Peraltro ricordiamoci pure l’indole del Papa che ora* veniva creato, ma non dimentichiamo quanto la Repubblica già aveva fatto negli anni precedenti, nei quali non fu mite davvero cogli eretici, e ciò per non dare a Pio V un soverchio peso sulla politica genovese contro gli eretici. Specialmente nella seconda metà del sec. XVI, 1’ energia del Governo era stata continua, e non si stenta a credere che fosse dovuta non tanto ad incitamenti esteriori quanto alla coscienza di un vero e proprio pericolo per la religione cattolica, a cui teneva moltissimo. (1) Lett. di card, m, 5. PARTE SECONDA LA RIFORMA A GENOVA NEL TRIENNIO 1567-69 ED IL CALVINISTA UMRRO HARTOLOMEO BARTOCCIO CAPO PRIMO l’arresto DI BARTOLOMEO BARTOCCIO IN GENOVA E LA CONSEGNA DI ESSO ALL* INQUISIZIONE GENERALE ROMANA il concilio tridentino da tre anni, ap-i i decreti con efficacia più o meno e, si attendeva al miglioramento del e dei costumi, ecoll’accrescere l’istruzione dei chierici si procurava di opporli alla Riforma. La via da percorrersi era lunga, e noi usciremmo fuori del seminato se qui tentassimo solo di trattarne; diremo soltanto, e già si é veduto nella prima parte di questo Studio, che molto era da (arsi anche in Genova, e che in ogni modo i decreti di un concilio, ancorché applicati zelantemente da un vigile Governo, non potevano bastare a togliere ogni occasione all’ eresia, né a rimettere dapertutto quell’ ordine morale eh’ era 1’ aspirazione più cara della Curia pontificia, della Repubblica e dei credenti. t — 620 — Ma veniamo ai fatti. Il giorno 16 ottobre 1567 il cardinale di Pisa, presidente della congregazione cardinalizia del S. Uffizio (1), a nome del Papa inviava al doge e ai governatori l’invito di arrestare Bartolomeo Bartoccio, uomo dai 30 ai 35 anni, nato in Città di Castello, e seguace dell’ eresia. Nel memoriale avverte che esso proveniva dal regno di Napoli (2), che insieme « con un altro compagno 0 servitore chiamato Coletta, et con essi altri compagni, et anco un cavaliere di Malta », erano passati per Roma il giorno undici per recarsi attraverso il territorio genovese « in paese d’ heretici sotto specie di mercantie ». Ne dà i connotati, dicendo che Bartoccio è « di statura honesta, di barba che tira al castagnaccio, né magro né grasso, di viso bianco, con buricco di panno mischio, il Coletta servitore é di statura piccola, di età di anni 45 in circa, magro, con barba negra meschiata di peli bianchi fatta alla napolitana, che si tiene sia napolitano 0 del regno, porta un tabarro negro, et capello di feltro ». Avverte come fra i compagni di Bartoccio, che sembrano in numero di cinque, oltre al cavaliere di Malta, vi debba essere « un Gio. Battisa Benevoglienti senese », e raccomanda di usare ogni diligenza per prenderli, perché cosi faranno un « segnalato favore a S. S. (1) R. Arch. di Stato, Secretorum filza i, lett. del card, di Pisa al doge e ai gov. di Genova, 16 ottobre 1567. Alla lettera era accluso un memoriale coi connotati del Bartoccio e dei suoi compagni e colle istruzioni per 1 arresto. Ved. doc. XIII. (2) 11 Sopraintendente del R. Archivio di Stato in Napoli, da noi pregato di fare qualche indagine su questo viaggio, gentilmente ci compiaceva, e ci avvertiva che ogni ricerca era riuscita vana. Si abbia i nostri ringraziamenti. — 621 — oltre al bene pubblico che ne risulterà alla fede in tutta Italia, ove costoro hano fatto in mille modi infiniti danni » (i). E finisce il memoriale pregando che abbiano cura di levare agli arrestati « libri, lettere, scritture che vi si troveranno et haverne buona cura ». Subito il 20 il doge e i governatori rispondono alla lettera avvertendo, che, ricevuto nel mattino il memoriale, avevano fatte senza risultato tutte le diligenze possibili nella città, avevano dato ordini nei contorni, e « particolarmente a Lerice, Sestri e Sarzana, per esser luoghi di passo e di frontiera, e promettevano di occuparsene ancora zelantemente per la naturale loro religione, per l’ossequio verso il Pontefice, e pel desiderio di servire il cardinale » (2). Peraltro, dopo poche ore, il Bartoccio in Genova veniva arrestato : dei suoi compagni, il cavaliere di Malta era già partito per la Lombardia, il Colletta pare che fosse rimasto a « Roma debole di un piede », degli altri non si sa nulla. Di carte furon trovati al Bartoccio « un libro de’ commentarii di Cesare tradotto in italiano, e qualche papeli di conti pertinenti a negotii di sete » (3). Com’ era naturale, la notizia riesce ben gradita al Pontefice, a nome del quale il Cardinal di Pisa dice al doge e ai governatori (4): S. S. « ha preso tanta consolatione et tanto contento della presa del Bartoccio, (1) Lett. cit. (2) R. Arch. di Stato. Secretorum cit. Lett. del doge e dei gov. al card, di Pisa, 20 ott. 1567. (3) Secr. cit. Lett. del doge e dei gov. al card, di S. Clemente, 21 ottobre 1567. Ved. doc. XIV. « Papeli » in dialetto genovese significa carte. (4) R. Arch. di Stato. Lett. di card. m. 17. Lett. del card, di S. Clem. al doge e ai gov., 24 ottobre 1567. Atti Soc. Lig. St. Patria. Voi. XXIV, fase 2.0 40 — 622 — quanto veramente non mi basta 1’ animo di esprimere in questa carta con qualsivoglia sorte di parole, ma senza comparatione et infinitamente più se n’ ha preso della prontezza dell’ animo loro in servitio d’Iddio e della fede sua santa, donde ha ferma speranza che a quest’hora habbiano nelle mani il cavagliere e qualch’ altro delli nominati nel memoriale ». Nella stessa lettera in un poscritto avverte i Genovesi, che, « frattanto che s’aspetta d’intendere la presa del cavagliere e d’ altri, si risolverà come far venire il Bartoccio e quelli eh’ elle potrano havere di più ». Anche il cavaliere di Malta dette « nella rete, preso dalla diligenza che usò il corriera spedito alla volta di Lombardia, ove egli s’ era incaminato ». Tanto esso quanto « il Bartoccio vengono chiusi nella torre del palazzo ducale, appartati 1’ uno dall’ altro »; le scritture ad essi tolte sono tenute gelosamente, ma però non ve n’é alcuna « che dia sospetto di heresia » (i). I prigionieri presentarono due memoriali, che il Governo mandò al Cardinal di Pisa, perché li giudicasse come credeva meglio. Assicurato in carcere il Bartoccio, il S. Uffizio chiede che si mandi al più presto possibile in Roma sulle navi di Giannetta Doria, e la Repubblica, aderendo a tale richiesta, il 13 novembre 1567 (2), scrive al Cardinal di Pisa, che, mentre terrà in buona custodia il cavaliere francese (3), « consegnerà volentiere il Bartoccio (1) R. Arch. Secret, f. i. Lett. del 9 novembre 1567 del doge e dei gov. al card, di Pisa. (2) R. Arch. Lett. a card. m. 3. (3) Il cavaliere francese, ch’era certo la stessa cosa col cavaliere di Malta, il quale difatti veniva chiamato francese, anche dal doge e dai governatori, in una let- — 623 — alla signora Giannetta Doria, perché venga a dar conto di quel che possa essere imputato per conto di eresia ». E difatti verso il 25 novembre lo inviava sulle navi della Doria, la quale però doveva rimandarlo nelle carceri, non avendo « passaggio pronto per Roma » (1). Cosi scrivevano il doge e governatori al Cardinal di S. Clemente il 28 novembre 1567 ; ma, fatti impreveduti successi tra 1’ arresto del Bartoccio e questo giorno, ci fanno sospettare che la Repubblica cercasse di protrarre la consegna del prigioniero, colla speranza di non eseguirla mai più. Ecco di che si tratta. Bartolomeo, figlio di Giovanni Bartoccio, era di Città di Castello (2), aveva abbandonata l’Italia per motivi ✓ tera al S. Clemente (ved. doc. XV), pare che in principio non premesse molto al S. Ufficio. Il 12 decembre 1567 il Governo domanda al Cardinal di Pisa che cosa devono farne, «perchè il povero huomo si consuma in carcere». A proposito dello stesso cavaliere, il doge e i governatori scrivono al card, di Pisa anche il 18 decembre, e al card, di S. Clemente il 20 dello stesso mese (ved. copia nelle minute di lett. a card. m. 3). Ed il Cardinal di S. Clemente il 19 decembre avverte la Repubblica, che il Cardinal di Pisa gli ha detto « d’ haver scritto... per la consignatione del cavaliere francese » (ved. lett. di card. m. 6). Difatti fu poi consegnato insieme col Bartoccio. (1) Ved. in lett. di card. m. 6. Lett. al card. S. Clemente, 28 novembre 1567. Doc. XV. (2) L’ egregio Sig. Sindaco di Città di Castello s’ è compiaciuto d’interrogare sulla famiglia del Bartoccio gli « studiosi di cose patrie » del suo Comune. Nulla ne ha saputo, ma noi non possiamo dispensarci dal pregarlo di gradire ugualmente i nostri ringraziamenti, per la premura e gentilezza che ha usate nell’ occuparsi di questa faccenda e nel renderci conto delle ricerche con lettera del 6 aprile 1894. Il nome del padre di Bartoccio si ricava dal verbale (diremo così) che la confraternità di S. Giovanni decollato fece il 25 maggio 1569, per la morte del Bartoccio e di altri eretici. È nel « Giornale del provveditore (anni 1566-1571) » , che si conserva nel R. Arch. di Stato in Roma fra le carte provenienti dall’ archivio della confraternita sopra ricordata. L’amico D.r Stracciati si merita la nostra riconoscenza per avercene inviata copia, che pubblichiamo più avanti. Ved. doc. XXXX. — 624 — di religione, e s’ era stabilito da parecchi anni a Ginevra (i), dove aveva moglie e figli e negoziava in sete (2). Ed appena la notizia del suo arresto giungeva nella Svizzera, il senato ginevrino s’affrettava a (1) Nella lettera del governo ginevrino al genovese (ved. doc. XVI), scritta il 6 novembre 1567, si legge: « Bartolomaeus Bartocius qui iam annos plus duodecem est subditus noster » ecc. Peraltro l’ili. sig. L. Dufour-Vernet, archivista di Stato in Ginevra, e che qui preghiamo di gradire vivi ringraziamenti per le ricerche fatte a vantaggio del nostro Studio nell’Archivio ginevrino, ci scriveva che nel « Registre des habitants » si legge: « Les Italiens receuz pour habitants le jeudy 14 d'octobre 15$7. Barlolomé Bartocci de Cita Castelane en Italie». E che nel « Registre de l’Eglise Italienne» (Arch. di Stato in Ginevra, n. 1477 bis des Pièces historiques), si trova: « 1//6, Bartolomeo Bartocci di Città Castello ». Quindi, secondo la lettera del governo ginevrino, il Bartoccio andò a Ginevra fin dal 1555, e secondo gli altri documenti fu iscritto fra i seguaci della chiesa italiana il 1556 e fra gli abitanti della città l’anno successivo. (2) Il Bartoccio certamente si ammogliò a Ginevra, quantunque non se ne trovi notizia nel registro dei matrimoni, perchè, se avesse condotta seco la moglie dall’Italia, ne dovrebbe esser menzione nel registro della chiesa italiana, ed in quello degli abitanti, che invece portano il nome del solo Bartoccio, il primo sotto l’anno 1556 ed il secondo sotto il 1557. Quanto ai figli, sappiamo che ne ebbe tre, un maschio e due femmine. Infatti nel « Registre des Baptlmes et mariages de l’Eglise italienne », conservato nell’Arch. di Ginevra, si legge: « A di 7 ott. (1563) si battezzò una figliuola di m. Bartolomeo Bartocci e di « Madalena sua moglie. Il nome Paula. 11 compare m. Francesco greco. » A di xi (novembre 1565) si battezzò un figliuolo di Bartolomeo Bartocci e di » Madalena sua moglie. Il nome Andronico. Il compare m. Andrea da Ponte. » A di 10 di luglio (1567) si battezzò una figliuola di ni. Bartolomeo Bartocci » e di Madalena sua moglie. Il nome Dianora. Il compare Giulio Cambiago ». Il battessimo di Paola è trascritto cosi nel « Registre de Saint Pierre: Ce mardy cinquieme (octobre 1563) a esté baptisée Paule, fille de Barthélemy Bartozzo et de Magdeleine sa femme, présentée par Fran^oys Portus (professeur de grec à l’académie de Genève) ». Ed in margine: «Baptisée par moy Th. de Besze ». Quanto alla professione del Bartoccio, ecco quanto ci scrive il lodato signor Dufour-Vernet. : 1 Barthélemy Bartocci était à Genève marchand de soie, associé avec Jacques Campagnola. Je trouve un acte notarié (F.* Panissod. I, 124, 18 oct. 1565) ou divers italiens de Genève, parmi Iesquels B. Bartocci, dédarent déposer un testament écrit en italien entre les mains des ministre et collège de l’Eglise italienne ». — 625 — difenderlo, scrivendo in data del 6 novembre 15 67 (1): Voi, dice la lettera dei sindaci e senato di Ginevra al doge e ai governatori di Genova, arrestate nella vostra città Bartolomeo Bartoccio, da dodici anni suddito nostro, mentre dai regni di Sicilia e di Napoli (2) vi approdava per affari commerciali; dimenticate che noi accogliamo i vostri concittadini senza guardare alla religione che professano, e rattristate 1’ animo di noi che vediamo rotta la tradizione di liberi commerci fra le nostre città, e carcerato il Bartoccio, « quem propter singularem probitatem, sinceritatem atque industriam unice amamus non secus si ex antiqua origine civis noster esset ». Cercate di rimandarlo ai suoi, alla moglie, ai figli, specialmente pensando eh’ esso non s’é mai fatto propugnatore di dogmi, nè ha mai contravenuto alle vostre leggi; e così eviterete che vengano rotti i rapporti commerciali stati sempre liberi fra noi, e non vi pentirete mai del beneficio, che liberando il nostro concittadino ci arrecherete. Pochi giorni dopo, anche i consoli ed il senato di Berna (3), invitati dai loro amici ginevrini, e mossi, dicevano essi, dall’onestà del Bartoccio, scrivevano su (1) Si conserva 1’ originale nel R. Arch. di Stato. Lett. di principi m. 6. Doc. XVI. (2) Anche il card, di Pisa diceva che il Bartoccio veniva da Napoli e Sicilia. L’esimio cav. avv. Travali, cui qui facciamo vivi ringraziamenti, pregato a nostro nome dall’ottimo comm. Belgrano, scriveva da Palermo il 10 aprile 1894: «.... le carte della Segreteria viceregia in questo Archivio di Stato cominciano dal secolo XVII; fatte ricerche ad ogni buon fine nei registri della R. cancelleria, nulla ho potuto trovare. Mi sono rivolto alla Biblioteca comunale, consultando attentamente il catalogo dei ms. ivi esistenti, ma con esito negativo : uguale risultamento ho avuto nello Archivio della Curia Arcivescovile ». (3) L’originale è a Genova nel R. Arch. di Stato. Lett. di principi. 17 novembre 1567. m. 18. Doc. XVII. — 626 - per giù nello stesso senso a vantaggio di lui; ricordavano la libertà che i Genovesi godevano nella Svizzera, e li minacciavano di applicare la legge del taglione, quando per soli motivi di religione si volesse trattenere in carcere un uomo probo ed integro come il loro raccomandato. In tali circostanze non farà meraviglia se la Repubblica si sentì assai angustiata : da una parte voleva compiacere il Papa, dall’altra temeva l’inimicizia degli Svizzeri. Espone quindi le sue paure all’ amico Cardinal di S. Clemente in Roma, rammenta la necessità « che tutte le merci e gran parte del contante, che si traffica verso la Fiandra e l’Allemagna, debbano passare per la Svizzera, dove abita una nazione assai incolta di costumi civili », e capacissima di prender quest’ occasione per rompere « il traffico », cagionando così « nocumenti maggiori ». Lo esorta pertanto a dire tutto a S. S., pregandolo che se « il servizio di Dio non fosse per riceverne molto detrimento, degni farci gratia e sodisfarci che possiamo rilassar il detto Bartoccio, e liberandolo di carcere acquetar 1’ alteratione di que’ barbari ». Però, se altro non potrà farsi, Genova sarà sempre pronta a posporre ogni interesse « a quel che possa esser mente di S. S. » (i). E quasi prevedendo che inutile sarebbe stato ogni sforzo per salvare il Bartoccio, lo stesso giorno 28 novembre il doge e i governatori scrivevano alla Repubblica ginevrina d’aver fatto e di far di tutto a questo fine, ma si scusavano di non esser riusciti a contentare la città svizzera, di cui apprezzavano moltissimo 1’ antica amicizia (2). (1) Lett. al card, di S. Clemente, m. 6, 28 novembre 1567, doc. XV. (2) Lett. del doge e dei gov. di Genova al senato e ai sindaci di Ginevra, 28 novembre 1567. Si conserva l’originale nel!'Archivio di Stato in Ginevra — 627 — Il cardinale di S. Clemente adempiva con zelo, invero poco fortunato, al difficile incarico. Pio V ascoltò le ragioni da lui addotte, ascoltò anche i cardinali inquisitori Paceco e Gambara, i quali riflettendo alla religiosità di Genova, suggerivano di fare al Bartoccio quello che « si fece ai tempi di Pio IV d’ alcuni favoriti del duca di Sassonia prigioni in Roma, che si lasciorno andare, per paura che quel duca non facesse amazzare li nostri nuntii che andavano per Germania intimando il concilio »; e poi si riservò di pensarci ancora un poco. Del lungo colloquio rimase mal soddisfatto il S. Clemente, che ne scriveva subito al doge e ai governatori, pregandoli a rassegnarsi ad una risoluzione punto conforme ai loro desideri (1). Nè la lettera ai Ginevrini sortiva miglior effetto; anzi i Bernesi, in questa faccenda zelanti cooperatori di essi, « havevano ritenuto ventiquattro milia scudi spettanti a cittadini genovesi, sotto pretesto che non havessero pagato a certo Dacio », ma in realtà, temevasi a Genova, a causa della « detentione del Bartoccio per dare maggior stimolo a compiacerli » (2). Il Papa ne viene avvertito; il Cardinal S. Clemente, pregato e ripregato dalla Repubblica (3), sostiene le ragioni di essa presso la Congregazione del S. Ufficio; ma Pio V dichiara « che non può senza grande offen-zione di Dio et della coscienza consentire che un eretico (portefeuilles des pièces historiques au n. 1841); la copia inviataci dall egregio Direttore dell’Archivio stesso, la pubblichiamo in appendice, doc. XVIII. (1) Lett. del card. S. Clemente, m. 6, 5 decembre 1567. Doc. XVIIII. (2) Lett. del doge e dei gov. al card, di S. Clemente, m. 6, 5 decembre 1567- (3) Lett. id. id. id. id. 20 decembre 1567. — 628 — sia lasciato andare in perditione dell’ anima sua et con pregiuditio della religione ». Codesto uomo « mandato a posta in Sicilia, Napoli et Roma, et per tutta Italia a seminare eresia », occorre al S. Ufficio; quindi la Repubblica mantenga senz’ altro la promessa che aveva * fatto sin dall’ ottobre, e lo mandi subito a Roma (i). Le parole del Papa erano chiare, ma pure i Genovesi sperano ancora; ed il 20 decembre il doge e i governatori si scalmanano, perché il Cardinal S. Clemente si persuada del cc timore che, ritenendosi il Bartoccio, non possa nascerne maggior disordine che fin qui non è creduto » (2). Il Papa, aggiungevano, ci ha mandato il breve per la consegna, ma prima di obbedire é necessario consultarne il senato. Cosi cercavano di guadagnar tempo ; ma dovevansi presto convincere che resistere oltre era inutile (3); e quindi verso il finire del decembre decidono di consegnare il Bartoccio. Essi stessi dannunziano al Cardinal di Pisa, dicendo che cc il zello della relligione et l’osservanza verso S. Beatitudine ha vinto (1) Lett. di card. m. 6. Il card. S. Clemente al doge e ai governatori, 12 decembre 1567. Doc. XX. (2) Lett. a cardinali, m. 6. Il doge e i governatori al Cardinal S. Clemente, 20 decembre 1567. (3) Il cardinale di S. Clemente, il 19 decembre 1567 (ved. lett. di card. m. 6), scriveva al doge e ai governatori che « nella causa del Bartoccio S. S. persevera nella medesima volontà ch’io scrissi per le ultime mie,et credo sia impossibile farli mutar sentenza ». Queste parole dovettero far perdere ogni speranza alla Repubblica, e farla decidere, prima ancora che le giungesse un’altra lettera dello stesso cardinale, in data del 26 decembre, colla quale diceva che tutto era finito, e che, a suo parere, il Pontefice aspettava solo che il tempo comportasse « di poter havere il prigione » (ved. lett. 1. c.). Ed il giorno stesso il card, di Pisa scriveva al doge e ai governatori di credere che avessero « già fatto consegnare alla sig. Gianetta Doria il Bartoccio et il cavaliere » (lett. di card. m. 17). — 629 — ogni ìispetto humano »; conoscono i danni che ai loro interessi ne deriveranno, ma vi si rassegnano, e godono nell animo loro, vedendo che « 1’ universale dei cittadini genovesi, ancorché palpino e conoschino il risico, lo sprezzino nondimeno, e così alacremente pospongano 1 interesse proprio a quel che possa in alcuna parte offendere il servitio di N. S. Dio, e la mente di S. Beatitudine ». Quindi il Bartoccio verrà consegnato, appena potrà farsi salire sulle navi della Doria (1). Com’ é naturale, non mancarono le lodi e le congratulazioni. Subito il 2 gennaio 1568, appena conosciutasi a Roma la notizia che la Repubblica aveva ceduto, il Cardinal di Pisa tutto contento parla del piacere venutone al Papa ed ai cardinali del S. Ufficio, a nome del Pontefice ricolma il doge e i governatori di ringraziamenti e di benedizioni, e li assicura della protezione divina e pontificia (2). Il cardinale di S. Clemente lodava pure (3) la « chri-stiana et prudente risolutione nella causa del Bartoccio, perché, oltre il servitio de Dio, sarà anche causa di tener in freno quei barbari di non andar girovagando et spargendo il veleno per le terre cattoliche, et sarà certo che N. Si- (1) Lett. di card. m. 3. Il doge e i gov. al Cardinal di Pisa, 27 decembre 1567. Doc. XXI. (2) Lett. di card. m. 17. Il card, di Pisa Scipione Rabiba al doge e ai gov. 2 gen. 1568. Eccone alcune frasi: « Dico dunque solamente che le ringrazia e benedice (il Papa), e ne terrà perpetua memoria accompagnata da desiderio d’occasione in che mostrare qual sia l’animo suo con loro, i quali si possono tener sicuri della protettione d’iddio e di questo buon vecchio in terra vicario suo, mentre servono l’un e l’altro in cosa che non può esser maggiore». (3) Lett. del card. S. Cl. al doge e ai gov. 2 gen. 1568. Nelle Let. di card. m. 5. — 630 — gnore sentirà grandissimo piacere ». Promette di parlargliene il giorno seguente, « con quelle parole (egli dice) che mi parranno opportune, per stringer tanto più il suo affetto paterno verso V.V. S.S. 111. et quella Repubblica ». E mantenne la promessa, cosicché il Papa non solo « ne prese estremo contento » (1), ma si compiaceva « di farne rellatione nella sacra congregatione del santo Ufficio, dimostrando quanto obbligo teneva questa S. Sede di proteggere et favorire la Repubblica per così degni frutti d’obedienza, nonostante ogni pericolo 0 pregiudicio temporale »; ed ordinava al cardinale di rinnovare ai Genovesi i suoi ringraziamenti, e di assicurarli del suo aiuto « in ogni loro occorrenza ». E le medesime assicurazioni rinnovava il Cardinal di Pisa il 10 dello stesso mese, mostrandosi contento che il Bartoccio si consegnasse quanto prima a Giannetta Doria, per mandarlo a Roma (2). Il Bartoccio venne poi consegnato nel modo stabilito, il 29 gennaio 1568 (3). Insieme con lui s’imbarcavano sulle navi della Doria altri due : il cavaliere di Malta, suo compagno, e sin da principio richiesto dal S. Ufficio, ed un vicentino che trovavasi sulle navi della Repubblica condannato per furto (4), e che il (1) Lett. card. m. 5. Lett, del card. S. Cl. al doge e ai gov. 9 gen. 1568. (2) Lett. di card. m. 17. Il card, di Pisa al doge e ai gov. 10 gen. 1568. (3) Lett. al card, di S. Cl. m. 6. Lett. del 31 gennaio 1568. Si dice fra altro: « Il Bartoccio, il cavagliere et il vicentino si consegnarono l’altr’ hieri alla S. Gianetta, e qui inchiuse vengono le scritture che se gli sono ritrovate ». (4) Ved. lett. a card. m. 3. Lett. al card, di Pisa del 2 gen. 1568. Si dice fra altro: «Ben preghiamo V. S. III. che non conporti che sia esaminato in altra materia che di religione». Il vicentino era stato richiesto dal card, di Pisa il 26 decembre 1567. Ved. la lett. relativa del cardinale al doge e ai gov. fra le lett. dei cardinali, m. 17. — 631 — Governo s’indusse a. consegnare, quando fu dimostrato che 1 avrebbero inquisito solo per eresia (1). Degli altri sospetti, che, oltre il cavaliere di Malta, avrebbero dovuto accompagnare l’eretico principale, nulla sappiamo (2), né dalle carte dell’ archivio genovese risulta quale ne sia stata la sorte. L’archivio dell’ inquisizione ci potrebbe dare il modo di rispondere; ma per quanto siasi fatto, anche aiutati dal gentile zelo di amici a cui ci siamo rivolti, non ci è stato possibile penetrarvi (3). Tuttavia riteniamo che il cavaliere fosse proprio quel borgognone, Alberto Boccadoro, condotto al supplizio insieme col Bartoccio e graziato della vita, perchè all’ ultima ora tornò al cattolicesimo (4). Il vicentino crediamo che davvero fosse stato richiesto per delitto d’ eresia, quantunque la condanna, che scontava sulle galere genovesi, ce lo dimostri capace anche di altro, perchè veramente si usava porre in libertà i sospetti di eresia riconosciuti innocenti, ancorché fossero rei di delitti comuni (5). Quanto (1) Il card, di Pisa, il io gen. 1568 (ved. lett. di card.), diceva: «l’assicuro che non sarà ricerco di cosa altra che di pertinente a questo santo ufficio». (2) Il Bartoccio appena arrestato aveva detto che uno dei suoi compagni, il Colletta, era rimasto a Roma, perchè «debole di un piede*. Ved. nei Secret, già cit. n. 1, lett. al card, di S. Clemente, 21 ottobre 1567. (3) Il comm. Belgrano ed il Dr. Stracciati, che si compiacquero di far fare per noi queste ricerche, pur troppo riuscite infruttuose. Si abbiano i più vivi ringraziamenti. (4) Ved. in questo Studio p. 622, nota 3, ed in appendice doc. XXXX. (5) Poco prima dell’arresto del Bartoccio, la Repubblica aveva carcerato, su richiesta dell’inquisizione generale romana, un soldato, Ovidio da Itri. Fatto il processo, risultò reo di delitti comuni, ma non d’eresia, e fu rilasciato. Ved. lett. di card. 111. 17, lett. del card, di Pisa al doge e ai gov. 24 ottobre 1567. Id. al card, di S. Clemente, 21 ottobre 1567 (Secr. I,); si dolgono della voce corsa che Ovidio, già stipendiato e consegnato dal Governo come sospetto eretico, venga condannato per altro ; pregano d’impedirlo. E il 3 novembre, ringraziano lo stesso di aver ottenuta la salvezza dell’ Ovidio. E lo stesso giorno, al card, di Pisa, scrivono nel medesimo senso (ved. Lett. 1. c.). — 632 — al Bartoccio in particolare, molto ci gioverebbe il processo che contro gli venne fatto a Roma, e che devesi conservare nell’ archivio dell’ Inquisizione, ma occorrendo farne a meno, siamo costretti a valerci soltanto delle carte trovate altrove. Fortunatamente sono sufficienti per mostrarci le trattative che si fecero per il Bartoccio, e per conoscere la sorte che gli toccò; e rapidamente le esamineremo, dopo esserci un poco fermati nello studiare meglio le condizioni in cui, rispetto all’ eresia, trovavasi Genova dall’ autunno del 1567 all’estate del 1569, periodo nel quale più o meno il governo genovese ebbe ad occuparsi dell’eretico umbro. Chi poi desiderasse sentir parlare solo di questo, salti senz’ altro al capitolo terzo. CAPO SECONDO l’£RESIA A GENOVA DALL’ARRESTO DI BARTOLOMEO BARTOCCIO (OTTOBRE 1567) ALLA FINE DEL I569 L’essere Bartolomeo Bartoccio capitato a Genova dopo un viaggio a Napoli e in Sicilia, che si diceva fatto sotto colore commerciale, ma che in realtà sembra avvenuto per diffondere la Riforma, fece aprire maggiormente gli occhi alla Curia, inspirata allora da un papa come Pio V; si credette che pure a Genova si volesse vangelizzare, crebbero i pensieri del Governo, crebbero le pressioni di Roma. Gli stranieri che vi capitavano furono maggiormente vigilati, i cittadini vennero tenuti più d’occhio, e - 633 - Roma credette che vi fosse persino il bisogno di eccezionali provvedimenti, ai quali si arrivò proprio nel 1568, mentre più che mai il Governo seguiva gli ecclesiastici, in quella via che gli pareva più sicura, per accrescere il rispetto degli ordini religiosi e per levare ogni occasione che potesse allontanare i fedeli dalla Chiesa. L’applicazione dei decreti tridentini, già fu accennato, venne fatta con vero zelo, e ragionevolmente nessun vescovo, nè la romana Curia potevano di ciò lamentarsi; e quando per avventura nascevano disordini dovuti alla imprudenza di qualche vescovo, 0 ad altro, il Governo interveniva per mantenere alto il prestigio dell’ autorità ecclesiastica. Citeremo un solo esempio. Il vescovo di Ventimiglia, nipote del Cardinal S. Clemente, nell’autunno del 1567 « assai d’improvviso, e fuori dell’ universal costume del paese, proibì il ballare » (1); senza avvertirne la Repubblica, come altri vescovi avevano fatto, per rendere meno grave e più rispettato un ordine così contrario all’ « antica usanza». I cittadini per un mese se ne astennero, ma poi tornarono all’antico, tirandosi addosso, prima una parziale scomunica, poi un vero e proprio interdetto da parte dell’ adirato vescovo , che non volle per niente ascoltare il Governo genovese, il quale cercava dimostrargli che questo disordine offriva « largo campo ai popoli convicini macchiati di heresia, di mormorarne, riguardando per quanta lieve causa fosse discesa S. S. R.ral all’interdetto». Questo fu sospeso per 15 giorni, durante il. giubileo, ed il Governo ne approfittò, perché dopo di esso gli scomunicati « andassero ad humiliarsi (1) Lett. al card. S. Cl. 22 ottobre 1567, m. 6. - 634 — e chiedere perdono al vescovo », il quale peraltro non volle riceverli, dimenticando che male si può « usar della virga ferrea in questi tempi calamitosi, i quali piuttosto desiderano un rivo di carità ardente, che rigidezza di estremo rigore ». Volle inoltre il vescovo « ritenere prigione un cieco laico, che haveva suonato sopra i balli », per cui il capitano genovese, credendo offesa la propria giurisdizione, lo liberò. Il che « dette materia poi al vescovo di pubblicar per scomunicato il capitano, et al capitano di sequestrare in casa il vescovo »: disordini invero gravi, che ai vicini Ugonotti non avranno molto giovato « per ripigliar la vera strada che hanno smarrita ». La Repubblica dolente di questi fatti, d’ accordo col vescovo d’Albenga, pur nipote del S. Clemente, fa ricondurre il cieco in prigione, ordina al capitano di chiedere perdono al vescovo, gli toglie 1’ ufficio e l’esilia per « doi anni, che doverà, oltre il danno, apportargli infamia eterna » (i). Parrebbe che di più non si potesse richiedere. Eppure a un simile Governo non mancano le esortazioni della Curia pontificia, le pressioni dei cardinali, le preghiere dei vescovi, perché volesse zelantemente difendere l’autorità ecclesiastica, e sopratutto mostrarsi inesorabile contro gli eretici. Vedasi dai fatti, se pure ve n’ era bisogno. (i) La questione avea uno strascico. Mandato un nuovo capitano, nella Pasqua del 1568, il vescovo proibì di assolvere « coloro, che potessero havere dato consiglio, aiuto o favore a’dispareri eh’erano seguiti tra S. S. R.“* et il capitano vecchio». Di qui nuovi malumori, in seguito ai quali fu restrinta 1 esclusione a’ soli tre o quattro; ai quali pure il Governo cercò di far perdonare, soprattutto pensando alla « depravata conditione dei tempi », e al fatto che poco simili rigori potrebbero giovare, specie in una diocesi che è sul «confine, a molti popoli che claudicano nella fede ». - 635 ~ I primi di febbraio del 1568, scopertisi in Genova alcuni eretici, otto 0 dieci (a dire del Governo), che avevano preso parte quasi tutti ad una cena all’ uso eretico (i)5 venivano arrestati. Il doge e i governatori 1 annunziavano tosto al cardinale di S. Clemente, dicendogli « per consolatione sua, che la cosa era assai leggiera » (2), ed assicurandolo poi che contro essi « si procederà con quel rigore che conviene alla religione nostra, per purgar ben bene e spazzare compitamente ogni cosa », tantoché il S. Clemente poteva in coscienza impedire, che la fama alzasse « le cose sopra il vero », turbando con esagerazioni l’animo del Papa. Di fatti il cardinale recasi da Sua Santità, il quale aveva « già inteso con molto suo dispiacere la maledictione delli heretici scopertisi nuovamente » in Genova (3), ed era disposto a dare « particolarmente qualche sussidio all’ inquisitore, acciocché tanto più ardito e severamente possa et debba procedere contro tali scelerati». Il cardinale, naturalmente, confida nelle cure del Governo « per procedere con ogni rigore contro i delinquenti, etiam che non sieno relassi ». II timore di esagerazioni era tanto fondato, specie trattandosi di quei momenti e con un papa tanto avverso agli eretici, che il Governo credeva necessario riscrivere allo stesso cardinale, il 20 febbraio 1568, per confermargli che « le novità seguite per conto di heresie sono di assai minor importanza che’l volgo non ragiona»; e per assicurarlo, forse qui attenuando alquanto, che gli (1) Lett. al card, di S. Cl. 27 marzo 1568. — Lett. a card. m. 6. (2) Lett. al card. S. Clemente, 6 febb. 1568. — Lett. a card. m. 6. doc. XXII. (3) Lett. del card. S. Cl. 13 febb. 1568, m. 5. — 636 — eretici non sono « più di quattro 0 sei, tutte persone di bassa consideratione » (1). Certo l’opera del Cardinal di S. Clemente dovette in quel momento giovar assai per calmar il Pontefice, che del resto non potevasi lagnare dei Genovesi, che gli avevano mandato il Bartoccio cogli altri; e prove non dubbie di zelo religioso e di fedeltà alla Chiesa, avevano date cogli ordini recenti ed antichi. Ma utile pure dovette essere il rapporto, che il vicario arcivescovile di Genova inviava al Cardinal Lomellino, il quale affrettavasi a comunicarlo al Papa. Al dire del Lomellino, Pio V, udito come il fatto era successo, e ciò che il Governo aveva compiuto, ne fece le più grandi lodi ; « et io mi avidi (aggiunge il cardinale) che non gli haverei potuto dir cosa che più le fosse stata grata.....et mi disse che delle cose di costà di questa sorte ella non se ne pigliava un pensiero al mondo; et voleva lasciarne la cura tutta alle SS. VV. 111., perché era certissimo eh’ haverebbero fatta da quelli veri cattolici et cristiani signori che sono stati continuamente » (2). Alla sua volta il Cardinal S. Clemente non si stancava di raccomandare al Papa i suoi concittadini, e riferivagli tutto lieto le ultime notizie che alleggerivano « il fatto delle heresie » (3), dando a Pio V buona occasione di far nuove lodi dei genovesi, e di insinuare così di pas- (1) Lett. del doge e dei gov. al card. S. Cl., 20 feb. 1568, ni. 6. (2) Lett. di card. m. 10 — Del Lomellino al doge e ai gov. 20 feb. 1568, doc. XXIII. (3) Lett. di card. m. 5. Il card, di S. Clemente al doge e ai governatori, 27 febbr. 1568. — 637 — saggio, che i Genovesi « havevano ben causa d’esser vigilanti in questa materia, perché, oltre il rispetto della religione, questa peste saria più atta a turbare lo stato et quiete di quella Republica, che niun altro accidente »; cosa di cui anche il cardinale era pienamente convinto tanto che, non solo a nome del Pontefice, ma anche per proprio conto esortava i suoi amici « a usar ogni arte per non lasciarla radicare in casa loro ». Intanto incominciavano i processi (i), ed il Governo dava ogni aiuto perchè riuscissero ad estirpare 1’ eresia, che si era sparsa « in poco numero fra persone di bassa conditione », che vi erano cadute senza considerazione alcuna, formando « una primavera in mezzo al verno, che nel fiorire si estingue » (2). L’ opera della Repubblica contro gli eretici sembrava risoluta, il Papa, al dire dei cardinali, che scrivevano in proposito a Genova, ne era contento, e tutto pareva che dovesse procedere di pieno accordo tra il potere civile e l’ecclesiastico. Però nelle lettere del doge e dei governatori, notasi, come fin dal principio si è avvertito, una grave preoccupazione che si tenta invano di celare, un timore vivo che i fatti d’eresia vengano ingrossati, e quindi ogni lettera contiene raccomandazioni, perché gli amici di Roma insistano nel dimostrare che pochi e di nessuna importanza sono gli eretici. Però, non sappiamo da qual parte, ma probabilmente per opera dei soliti paurosi, che si spaventano sempre d’ogni novità anche piccola, l’eresia vien dipinta a Roma come cosa (1) Leu. a card. ni. 6. Lett. del doge e dei gov. al card, di S. Clemente, 13 marzo 1568, doc. XXIV. (2) Lett. cit. Atti Soc. Lic. St. Patri*. Voi. XXIV, fase i-° — 638 — grave e si accusano i giudici genovesi di eccessiva dolcezza. Il Cardinal S. Clemente, in una lettera del 19 marzo 1568 (1), spiega assai chiaramente le ragioni per le quali il Pontefice non é più contento di Genova, dopo essersi già « quetato con la buona speranza di rigorose dimostrazioni ». Ora, dice il cardinale, con grande dolcezza « si é proceduto e si procede contro calvinisti che hanno fatta la cena all’ eretica » ; tutto il S. Uffitio ne é rimasto commosso, e più che mai essendosi saputa « la liberatione di quel Marsilio che meritava la galea 0 una carcere perpetua ». Quindi s’ é ordinato che l’inquisitore genovese cc non possa risolvere senza l’ordine di Roma, finché si proveda di miglior instrumento, et che con la venuta dell’ arcivescovo si possa prender maggior fede di quel Governo ». S’incolpa poi il tribunale genovese di non tenere molto le cause cc nella debita riputatione et segretezza », il che forse deriva dall’ essere esso cc ancora nuovo et rozzo »; ma che tuttavia impensierisce assai l’inquisizione romana. Come si vede, era questo più che bastante per un pontefice come Pio V, il quale poteva anche credere che tale dolcezza derivasse da inclinazioni del Governo verso l’eresia, forse maggiormente diffusa ; e nella sua mente certo vedeva i pericoli cui si sarebbe andati incontro, trattandosi di una popolazione che per ragioni di commercio aveva tanti rapporti colle altre città d’Italia e dell’ estero (2). (1) Lett. del card. S. Clemente al doge ed ai gov. doc. XXV. (2) Queste osservazioni diverranno anche più chiare, riflettendo che Pii aprile 1568 il card. S. Clemente, annunziando la partenza del commissario straordinario per P eresia in Genova, avvertiva che il Papa teneva molto alla riuscita di quella missione « per essere quella città Janua et porta d’Italia*. Le», di card. m. 5. - 639 — Quindi invano il doge e i governatori scrivevano, che il Marsilio non « era tanto gravato di colpe come si dipinge, percioché egli non intervenne alla cena, anzi disputando talvolta con costoro sosteneva le parti ca-tolice » ; invano si sforzano di dimostrare che tutto procedeva secondo i canoni, e che si « era governata ogni cosa con assidua diligenza, accompagnata da molta gravità » (i). Nulla potè distogliere il Pontefice dal mandare in Genova a commissario straordinario, monsignor Arcangelo vescovo di Teano, prelato domestico pontificio, per esaminare tutte le cause in materia di eresia (2). Sentendo i governanti genovesi che cosa capitava loro addosso, mentre poi credevano che tutto si sarebbe potuto risolvere sollecitamente per le vie ordinarie, dovettero fare di necessità virtù, e scrivere all’amico loro, Cardinal S. Clemente (3), che erano grati dello zelo che il Papa dimostrava cc verso la pudicitia e candor di Genova, e che il commissario era gradito, non solo perché proveniva da S. S., ma ancora cc perchè conoscerà che il male è assai più leggiero di quel che vien gravato dall’opinione e dalla fama ». La decisione d’inviare un commissario straordinario a Genova, era seguita dall’annunzio che l’arcivescovo Sauli, fermatosi a Roma assai per affari privati, tornerà presto alla sua sede, cc per li molti stimoli di S. S. e de’ signori defi) Lett. del doge e dei governatori al card. S. Clemente, 27 marzo 1568. Doc. XXVI. (2) Nel R. Arch. di Stato. Bolle e brevi di Papi, n. 1, vi sono le lettere credenziali di Pio V per mons. Arcangelo Bianchi vescovo di Teano, in data 8 aprile 1568. Doc. XXVII. (3) Lett. a card. ni. 6. il doge e i gov. al card. S. Clemente, 15 ap. 1568. — 640 — putati », e per usare della sua autorità a prò’ della religione (1). Il giorno 10 aprile 1568 partiva da Roma, e si recava a Genova con ampli poteri, mons. vescovo di Teano, ed il Governo l’accoglieva bene, pronto ad aiutarlo efficacemente in tutto, e sicuro che egli sarebbe riuscito a a sgannare il mondo della impressa opinione, che qui sia seguito alcun mal d’importanza, e lieto che dovrà convenire che in eresia eran cadute octo o dieci persone, assai volgari di nascimento, di fortuna e di giuditio, e che (qui) si é provveduto per quei termini che convenivano all’ importanza del caso e dell’ esempio » (2). Siffatta arrendevolezza « recava gran soddisfatione al Pontefice » (3), che in tutta questa faccenda aveva presa una parte principalissima, giacché, a quel che sembra, gli avevano fatto credere che Genova fosse divenuta proprio un covo di eretici. Frattanto mons. di Teano procedeva nella sua missione con diligenza e severità (4), e tendeva a condannare quattro o cinque dei più compromessi alla pena della galera, ed a portare un « habito che suogliono portare (1) Lett. di card. m. 5. Il cardinale S. Clemente al doge e ai gov. 23 aprile 1568. In questa medesima lettera il card. S. Clemente insisteva nel dire che il male dell’eresia era stato «tanto gravato a questo S. Uffitio», e nel mostrare la necessità d’aiutare il commissario per ripararvi prontamente. (2) Lett. a card. m. 6. Il doge e i.gov. al card. S. Clemente, 4 apr. 1568. Della venuta di questo commissario in Genova, parla il marchese M. Staglieno nel breve scritto: Tempi passati. Aneddoti sul S. Ufficio in Genova, inserito nella Strenna dei rachitici per l’anno 1889. (3) Lett. di card. ni. 5. 11 card. S. Clemente al doge e ai gov. 30 apr. 1568. (4) Lett. a card. m. 6. Al card. S. Clemente, 29 maggio 1568. Il card, era pregato di parlarne col Papa, al quale pure i Genovesi avevano scritto. Doc. XXVIII. — 641 — in Spagna » (1). Se ne duole il Governo cercando dimostrare che tanta pubblicità spingerebbe il volgo a voler conoscerne le cause, e la conoscenza dell’ eresia si diffonderebbe con grave pericolo della fede cattolica. Del resto, aggiungeva, non v’ è bisogno di simili pene per tenere a freno « una città tutta zelo, tutta spirito e tutta devotione »; anzi queste punizioni posson anche far nascere negli uomini l’idea che si debba astenersi dal-l’eresia sol per castigo, non per proprio «interesse e per naturai istinto di gloria », come si é fatto finora, e così facilmente vedesi la debolezza di un simile freno ed il maggior pericolo per la religione. Devesi poi evitare pubblicità per mantenere a Genova la stima che gode di città cattolica nell’ interesse stesso della religione, essendo chiaro che meno si stenta a gettar via ciò che già si è perduto nella sola « riputatione ». Inoltre se vi sono o sorgeranno altri eretici, sentendo la gravità delle pene che li aspettano, si terranno più che mai nascosti, e disperando del perdono, si ostineranno nel male e cercheranno anzi seguaci con danno evidente dell’ anima loro e dei cittadini tutti. Con tali e simili argomenti cercò il Governo di smuovere il Pontefice, giacché mons. commissario diceva che da (1) Questa pubblicità teneva in angoscia il Governo, ed anche il 4 giugno, dovendo per altro scrivere al S. Clemente, torna a parlarne dicendo di conoscere « tuttavia più quanta mala soddisfatione seguirebbe in universale a tutta la città, quando introducessero qui habiti 0 galere». Lett. di card. ni. 6. Odasi quanto riguardo all’uso dell’abitello, dice il Masini, nell op. cit., p. 269. « Qualunque non haurà, spontaneamente comparendo, accusato sè stesso, ma sarà denunciato, 0 per altro modo giudiciale, secondo 1’ ordine di ragione, indiciato, inquisito, processato, e colpevole ritrovato d’ìieresia formale, dovrà, pentendosi, abiurare pubblicamente con l’habitello ». — 642 — lui venivano questi ordini. Il Cardinal S. Clemente, non potendo, perché indisposto, recarsi dal Papa, vi mandò il Cardinal Pinello, che pare illustrasse con molto calore, ma con poca fortuna le ragioni dei Genovesi. Il S. Clemente spiega quest’ insuccesso dicendo che ornai l’esperienza, che in caso di eretici si è fatta anche in altre città d’Italia, mostra, giusta l’opinione del Pontefice, « che il rigore sia la vera medicina di questa peste » (1); al più cercherà d’indurre S. S. a « rimetter per questa volta quello spettacolo pubblico degli habitelli », ma quanto alla galera bisogna lasciar fare. Il rifiuto dato dal Pontefice a mons. Pinello, é del resto ampiamente spiegato da un breve del 5 giugno 1568 (2). Lodato in esso lo zelo religioso dei Genovesi, in questo fedeli imitatori dei loro maggiori, Pio V dice, che, per conservare alla loro città l’antica lode, devono lasciar punire gli eretici, come furono puniti a Firenze, a Venezia, a Roma ed in altre città d’Italia. Non si possono dar pene solo ai relassi, perché anzi é necessario opporsi sui principii ; e quanto più si sarà severi contro quelli che cadono la prima volta, tanto più fortemente si spaventeranno gli altri (3). E le stesse cose ripeteva il Papa al cardinale di S. Clemente, negandogli perfino l’esclusione degli abitelli, che ormai riteneva quasi sicura. Lo stesso cardinale con dolore l’annunzia al doge ed ai governatori, esortandoli caldamente « a lasciar correre et ubbidir S. S., come (1) Lett. di card. m. 5. Il card. S. Clem. al doge e ai gov. 4 giugno 1568. (2) R. Arch. Bolle e Brevi pont. n. i, 5 giugno 1568. Doc. XXIX. (3) * Praesertim cum principiis maxime.....obstandum esse sciatis in quibus quanto severius in eos qui deliquerunt animadvertitur tanto caeteri vehementius deterrentur ». — 643 — hano fatto in tante altre cose et massimamente in quella del Bartoccio, che importava più » (i). I Genovesi peraltro non disperano del tutto, e pregano il cardinale di tornare alla carica, ritenendo essi sempre giustissima la loro opinione « fondata sulla notitia della natura degli huomini e paese nostro » (2). Ma erano davvero speranze fallaci: ed il doge ed i governatori, anche prima d’aver ricevuta la risposta del cardinale S. Clemente che si sforzava di mostrare il bene che avrebbero fatto a se stessi dando al Papa cc questa sodisfattione » (3); il 19 giugno decidevano di rimettersi « al prudentissimo consiglio » del Pontefice, credendo cc che tutto debba resultare a servitio del Signore Dio, e mantenimento della vera religione » (4). E difatti così avendo fatto, pochi giorni appresso, il 26 giugno l’annunziavano allo stesso cardinale con queste parole (3): cc Domenica passata si abiurarono li heretici pubblicamente in S. Domenico, e si eseguì ogni cosa conforme a quanto seppe desiderare mons. il Vescovo di Theano, al quale si è dato ogni sorte di soddisfattione in tutto ciò che è occorso, di maniera che nel ritorno suo costì doverà far piena S. B. dell’ossequio e prontezza nostra » (6). (1) Lett. di card. m. 5. 11 giugno 1568. (2) Lett. a card. m. 6. Il doge e i gov. al card. S. Clemente, 12 giugno 1568. (3) Lett. di card. m. 5. 18 giugno 1568: S. Cl. al doge e ai gov. (4) Lett. di card. m. 6. Il doge e i gov. al card. S. Clemente, 19 g'ugn° 1568. (5) Lett. a card. m. 6. Il doge e i gov. al card. S. Clemente, 26 giugno 1568. (6) Quanti precisamente fossero, come si chiamassero gli eretici giudicati da mons. di Teano, e quali opinioni sostenessero, si potrà copletamente sapere soltanto quando verranno in luce i documenti dell’Archivio dell’inquisizione generale, dove si devono trovare di tutto ciò notizie precise. Noi conosciamo solo il nome di due: del medico Contardo e del chirurgo Boero, e possiam dire che dalle allusioni ad una cena dagli eretici fatta a Genova, e che sopra rilevammo, pare si trattasse di calvinismo. - 644 — Fra gli abiurati erano due assai noti ch’ebbero anche la condanna alla galera: cioè il medico Giovanni Agostino Contardo da Levanto, ed il chirurgo Luca Boero di Genova, detto il Luchino. Trattandosi di uomini abili nella loro professione (i) e che, a quanto sembra, si pentirono di aver aderito alla Riforma, la Repubblica ne prese zelantemente la difesa, ottenendo, la commutazione della galera colla prigionia nelle proprie case, che il medico si ebbe mercè il pagamento di 300 scudi (2). 11 Contardo e il Boero furono compresi nel generale perdono, che fu da Pio V concesso il 27 ottobre 1570 agli eretici genovesi (3); ma riguardo al libero esercizio della professione, che chiedevano anche a sollievo della propria miseria, si ebbero recise repulse (4) fino al 1583, nel quale anno (1) Tra vari scritti pubblicati a Genova il 1630, in occasione della peste, tro-vansi questi, che possono dimostrare la coltura scientifica di questi eretici. Il primo è : «17 modo di preservarsi e curarsi dalla peste, di Gio: Agostino Contardo, medico genovese. In Genova, per Giuseppe Pavoni 0. E l’altro: « Trattato delli Buboni, e carboni postilenti, con le loro cause, segni e curationi, composto per il M. Luccbino Boerio, medico chirurgico, ad instanda delli molto illustri e prestantissimi signori conservatori della sanità della Ser. Repubblica di Genova di nuovo stampato. In Genova, per Giuseppe Pavoni 0. (2) Lett. a card. m. 5. Il doge e i gov. al card, di S. Cl. 20 gennaio 1570. Vedi anche lo scritto cit. del march. Staglieno, il quale fa pure qualche cenno di questo. (3) Bolle e brevi di sommi pontefici, ni. 1. Breve di Pio V, 27 ottobre 1570. Doc. XXX. (4) Il 6 luglio 1571, Pio V, rispondendo alla. Repubblica, che gli aveva raccomandato caldamente il Contardo, rifiuta ogni grazia, asserendo che concedendola « omne innocentium et damnatorum discrimen tolleretur », e ricordando di avere riguardo a lui già raggiunti gli estremi limiti della misericordia, a quod homo ob haeresis crimen ultimo supplicio dignus, primo quidem ad triremem damnatus, deinde ea quoque paena liberatus est : quae quidem omnia precibus et intercessioni vestrae data sunt ». — Il breve si trova tra le bolle e brevi pont. 1. cit. Vedi anche la lettera del doge e dei gov. al card. S. CL del 3 febbraio 1570, dove si parla d’ una precedente ripulsa per la stessa grazia chiesta a favore del Contardo e del Boero (Lett. a card. m. 5). - 645 — furono contentati (i). Quanto al commissario, parve che realmente restasse soddisfatto degli aiuti dati dalla Repubblica, tantoché, recatosi a Roma nell’ottobre dell’anno 1568 insieme coll’inquisitore fra Stefano da Finale, ebbe a lodarsi del procedere di Genova in materia d’eresia (2). Infatti aveva ottenuto tutto da un Governo, che era stato sempre largo coll’inquisizione contro gli eretici, anche stranieri (3), e che fu larghissimo con mons. di Teano. (1) La piena riabilitazione del Contardo, fatta dall’inquisitore genovese fra 1 imoteo Botonio, è dell’ 8 agosto, e quella del Boero del 20 settembre 1583. Dei due documenti, che trovansi nel R. Arch. (Protect. S. Ufficii. n. -7-^7), riportiamo solo il primo in appendice. Doc. XXXI, essendo il secondo su per giù identico. (2) Lett. di card. m. 5. Il card. S. Clemente al doge e ai gov. 15 ottobre 1568. (3) Quanto all’ arresto di eretici non genovesi, già vedemmo ciò che avvenne non solo nel caso dei compagni del Bartoccio, ma anche del vicentino'e di Ovidio da Itri; aggiungeremo qui che nello stesso anno 1568 fu quistione per un altro. Stando sempre a Genova mons. di Teano, gli si presentava un soldato veneto dicendosi eretico pentito, ma presto se ne fuggi essendo stato trattato con molto rigore, perchè creduto relasso: ripreso dai baricelli governativi, fu ricondotto al commissario che lo condannò a morte, e pretese che la Repubblica facesse eseguir la sentenza. Si oppose questa, perchè il veneto non aveva commessi errori d’eresia nel dominio genovese, perchè la sua condanna era stata fatta senza l’intervento dei due procuratori governativi, e perchè temevansi rappresaglie (lett. del doge e dei gov. al card. S. Clemente, 6 settembre 1568). Il Papa ordinava che fosse condotto a Roma, e non sappiamo qual sorte poi lo inco-gliesse (Ved. Lett. di card. m. 5. Lett. di S. Cl. al doge e ai gov. 10 settembre 1568; e id. m. 6. Lett. del doge e dei gov. al S. Clemente, 17 ottobre 1568). Tutto sommato, vedendo anche qual contegno avevano tenuto i Genovesi in questo caso del veneto, e nei casi precedenti, può dirsi che la Curia romana non avesse motivi di lagnarsi: quantunque ad uno degli argomenti più solidi, che essi adducevano, di dover, cioè, come altre nazioni cattoliche, « tolerare per mantenere il trafico et il comercio ogni sorta di huomini, purché si tengano le lor opinioni oculte e ben compresse nell’animo, e non commettano di fuoravia cosa che ofenda 0 possa generar scandalo nel volgo » (lett. del doge e dei gov. al S. Cl. 7 settembre 1568), si rispondesse, che si potesse e dovesse « di ragione prendere et castigar l’heretico in ogni parte, dove si ritrova, come traditor di Dio padrone di tutto il mondo; sì come si feria d’un traditor del re in ogni parte del suo regno senza alcun riguardo » (lett. di S. Cl. al doge e ai gov. 10 settembre 1568). — 646 — Partito costui, e rimesse le cose nello stato ordinario , si passò alla nomina del nuovo inquisitore, che, dopo lunghi contrasti, fu scelto di nazionalità genovese, come la Repubblica aveva instantemente richiesto (1). Ed ora torniamo a Bartolomeo Bartoccio. CAPO TERZO Bartolomeo Bartoccio NELLE CARCERI DELL’lNQ.UlSIZIONE GENERALE ROMANA. Vani sforzi per salvarlo. Sua morte Il 29 gennaio 1568 la Repubblica, consegnando il Bartoccio all'Inquisizione romana, non era del tutto tranquilla dell’ impressione che ne avrebbero ricevuta (1) Il card. S. Cl. scrivendo al doge e ai gov. il io settembre 1568 (lett. di card. m. 5), dice d’aver pregato il papa per la concessione d’un inquisitore genovese. Il papa rispondeva che, amando i Genovesi l’imparzialità, non dovrà loro « importar molto che l’inquisitore sia forestiero, come sono gli altri ministri di giustitia, militando anche in lui le medesime ragioni che negli altri offitiali ». Ma, fino dal 6 settembre 1568, saputosi che mons. vescovo di Teano voleva lasciare un frate vicentino, il doge e i gov. avevano scongiurato il S. Cl. perchè si nominasse un ligure, « che meglio conosca i suoi compatriotti e sappia accomodare 1’essecutione et il procedere all’occorrenza dei tempi, delle persone e del luogo, ed abbia maggior dimestichezza e famigliarità coi doi magnifici procuratori deputati ». Ed insistevano in lettera allo stesso, del 17 settembre 1568 (lett. a card. m. 6). Il vicentino restò solo, finché fu assente fra Stefano da Finale, che aveva accompagnato il Teano a Roma (Lett. di S. Cl. al doge e ai gov. 15 ottobre 1568); la qual cosa recava una vera gioia alla Repubblica, che ringraziava 1’ amico con lettera del 22 ottobre 1568 (1. c.), perocché coll’ opera sua aveva cosi contribuito « assai al servitio del Sig. Dio et mantenimento della relligione ». — 647 — gli Svizzeri suoi protettori (i); ma pure alquanto se ne rassicurava, non avendo questi ultimi nulla risposto alle lettere, con cui cercavano di mostrare la necessità di obbedire alle richieste dell’ Inquisizione (2). Ma proprio due giorni dopo tale consegna, e prima che la nuova ne giungesse nella Svizzera, i sindaci ed il senato di Ginevra scrivevano un’ altra lettera al doge e ai governatori di Genova, lettera, che per il rigore del ragionamento e per la energia dei propositi, supera di molto la precedente (3). Ci duole, dicevano essi, che Genova non abbia stimato a dovere la raccomandazione , che le facevamo con lettere affidate ad un uomo sicuro. Quindi dopo lunga meditazione torniamo a scrivere, non permettendoci il silenzio, la carità cristiana, né 1’ amore verso un uomo innocentissimo come il Bartoccio. Ricordate che, se un tal uomo per opera e bontà vostra tornerà a noi, saremo sempre memori del beneficio ricevuto: ma se voi, dimentichi della nostra clemenza e giustizia, vorreste piuttosto compiacere al « Vescovo romano » che a noi, e consegnare ai tormenti questo nostro, ci consoleremo nella speranza, eh’ egli col divino favore si manterrà fermo nella confessione del vero, e che a noi non mancherà l’occasione di potervi quando-chessia rendere la pariglia. E come, se questa lettera non bastasse a mettere in (1) Vedi la lett. dei Ginevrini, 6 novembre 1567, doc. XVI; e la lett. dei Bernesi, 17 novembre 1567, doc. XVIII. (2) Ved iu proposito la lett. del doge e dei governatori ai Ginevrini, 28 novembre 1578, doc. XVII. (3) Ved. doc. XXXII. — 648 — pensiero la Repubblica, ecco che, il 7 febbraio, anche i consoli ed il senato di Berna scrivevano nuovamente al doge e ai governatori di Genova (1). La liberazione del-1’ arrestato, essi dicevano, è facilissima, e nulla vi obbliga a consegnarlo al pontefice ; preferite a tutto 1’ amicizia ormai antica fra Genova e la Svizzera, ricordate la tolleranza che noi usiamo nei nostri paesi verso i cattolici italiani, e sappiate che, se a Genova si vuole sostenere il sistema di arrestare gli stranieri per causa di religione, non avrete poi nessuna buona ragione di lamentarvi se altrettanto si farà nella Svizzera. E dopo tali lettere come regolarsi ? Sperare che l’Inquisizione romana, che tanto aveva fatto per avere nelle sue mani il Bartoccio, si mostrasse clemente, era cosa proprio vana; anzi, se rispetto a Genova qual cosa di nuovo doveva decidere Roma, era un rincrudimento di severità, che pareva più che mai necessaria, dopo la scoperta di nuovi eretici appunto avvenuta in questi ultimi tempi (2). D’ altra parte, se gli Svizzeri tanto gridavano prima di sapere che il Bartoccio era stato consegnato, che cosa avrebbero fatto quando loro fosse giunta la notizia che ciò era avvenuto. I Genovesi sapevano che non (1) Cons. et sen. reip. bernensis, 7 febbraio 1568. L’originale, di cui ci siamo valsi per la pubblicazione del doc. XXXIII, conservasi a Genova nel R. Arch. di Stato (lett. di principi m. 18); una copia trovasi pure nell’Arch. di Stato a Ginevra (Pieces historiques n. 1845), Prova Pur questa degli accordi che riguardo al Bartoccio si erano presi tra Berna e Ginevra, come i Bernesi dichiaravano nella precedente lettera del 17 novembre 1567, scritta al doge ed ai governatori (ved. doc. XVII). (2) Ved. cap. prec. e spec. lett. di S. Cl. al doge e ai gov. 13 febbraio 1568, in lett. di card. in. 5; e del card. Lomellino al doge e ai gov. 20 febbraio 1568, in doc. XXIII. — 649 — minacciavano invano (i), ed ora non potevano certo aspettarsi delle cose molto belle. Era necessario in qualche modo abbonirli, se non si voleva esser sempre in pensiero pei propri connazionali, i quali per ragioni di commercio dovevano attraversarne il paese; e per abbonirli bisognava salvare il Bartoccio. E di qui incominciano trattative lunghe e difficilissime fra Roma e Genova, e questa, che nell’ottobre del 1567 aveva arrestato il Bartoccio su richiesta della romana Inquisizione, che prima era pronta a consegnarlo, che poi se ne rifiutava per 1’ opposizione degli Svizzeri, e che infine cedeva all’ insistenze del pontefice, quando credeva questi quasi calmati, ora da nuove minaccie sorpresa , e da altre molestie angustiata, eccola volenterosa cercare ogni mezzo per evitare ai propri concittadini ed ai propri commerci eventuali danni morali e materiali. Cominciava pertanto a mandare al cardinale S. Clemente le lettere ricevute da Berna e Ginevra, con preghiera di mostrarle a S. S., « perché veda e conosca tutto ciò » e possa trovarci un mezzo buono per « acquetare questa barbarie di gente, » in quantochè, sebbene il Governo genovese stimi solo e caro frutto « il servire a N. S. Dio et obedir al suo Vicario », tuttavia non può nascondere il piacere che proverebbe se il Bartoccio venisse liberato, perché cosi « si estinguerebbe un’ occasione che altrimenti potrebbe et a noi et ad altre nationi apportar travagli e sconcerti d’importanza » (2). Il papa si mostra dolente, perchè ama assai Genova, (1) Ved. parte II, cap. I, pag. 627 di questo Studio. (2) Lett. 23 febbraio 1568 al card. S. Cl. Doc. XXXIV. — 650 — e vorrebbe « poter divertire qualunque disventura » (1). Ma come fare ? Il Bartoccio ha cc confessato tutte l’he-resie del mondo in pessimo genere, né fin qui mostra segno di volersi ritrattare »; solo se, i buoni maestri che gli sono stati dati, l’indurranno all’ abiura, potrà aver salva la vita, come Genova desidera. La cosa invero non é consolante, giacché se il Bartoccio resiste e non può esser salvato, é lecito di temere che gli Svizzeri cc non vengano a qualche rottura, che interrompa poi il traffico e porti seco maggior disordine » (2). Frattanto il processo, aperto subito, viene interrotto al finire del marzo 1568, perché l’accusato era cc stato per morire d’infermità » (3); ed il Governo per un momento ne lascia da parte ogni pensiero, tormentato in quei giorni più che mai dalla quistione del commissario straordinario mandato a Genova, e dalle voci sparsesi in Roma che quanto all’ eresia vi fosse « più male assai di quel che si é scoperto » (4). Ma ai primi di giugno del 1568, quantunque sapesse che il processo del Bartoccio non poteva procedere molto spedito, e per la malattia sofferta dall’ accusato, e per la (1) Lett. del card. S. Clemente al doge e ai governatori, 5 marzo 1568. Doc. XXXV. (2) Lett. a card. m. 6. Il doge e i gov. al card, di S. Cl. 13 marzo 1568. Il testo, invece di Svizzeri, dice proprio « quei barbari ». Frequentemente in questa corrispondenza, sia i Genovesi, sia i cardinali danno agli Svizzeri simile appellativo, e chiamano anche barbare le ragioni loro. Manco a dirlo, in questa lettera si rinnovano le preghiere al S. Cl. per la liberazione del Bartoccio, e si manifesta la speranza che il papa li contenterà, ove « possa farlo senza molta offesa di Dio ». (3) Lett. di card. m. 5. Il card. S. Cl. al doge e ai gov. 2 aprile 1568. (4) Lett. cit. Lett. di S. Cl. al doge e ai gov. n aprile 1568. Ved. anche il cap. prec. di questo lavoro. — 6j i - lentezza solita del tribunale, tuttavia ne chiedeva notizia, e faceva per lui nuove raccomandazioni al cardinale S. Clemente, perché i Bernesi, certo per eccitare lo zelo della Repubblica a vantaggio del loro raccomandato, sembra che tendessero qualche insidia ai cittadini genovesi (i). E il cardinale rispondeva (2), spiegando la lentezza col dire, che il Bartoccio sembra che non voglia « esser abbrugiato, ma instrutto et emendarsi »; con che peraltro dovrà probabilmente adattarsi alla « pena di galea o longa carcere ». L istruzione del Bartoccio andava a rilento, e le speranze dell’ Inquisizione nell’ abiura di lui non erano certo fondate molto bene. Senza dubbio, finché speranze di abiura e quindi della salvezza del Bartoccio vi erano, si cercava di tirare in lungo, anche per compiacere al Governo genovese, che ogni dì più sentiva gli effetti che derivavano dalla consegna dell’ eretico. I mercanti genovesi, al dire del doge e dei governatori (3), non osavano più passare per la Svizzera e neanche per la Germania, dove erano malsicure le strade, tanto che tre cittadini genovesi discosti da Magonza furono « fatti prigionieri »; quindi veniva più che mai necessaria la liberatione del prigioniero, « per vedere di acquettare il rumore di quei barbari ». Ma a quel che sembra, né il tempo passato in carcere, (1) Lett. di card. m. 6. Il doge e i gov. al card. S. Clemente, 4 giugno 1568.... « Del Bartoccio ci sovviene ricordarlo a V. S. 111. sentendosi così pur da coloro che vengono da quelle parti, che si tendevano dai Bernesi qualche insidia à nostri ». (2) Lett. di card. ni. 5. Il card. S. Clemente al doge e ai governatori, 11 giugno 1568. (3) Lett. a card. m. 6. Il doge e i gov. al card. S. Clemente, 8 ottobre 1568. — 6 5 2 — né l’istruzione impartitagli facevano molto frutto, e d’ altra parte il processo aveva messo in luce cose che non si solevano lasciar passare con leggiere punizioni. Infatti gl’ Inquisitori romani riferivano al Cardinal S. Clemente (i), di « haver trovato (il Bartoccio) heresiarca eh’ è stato per tutt’ Italia dogmatizando et procurando d’infettar hor questo hor quello »; oltre di ciò « é talmente ostinato et pertinace nell’error suo, che pensano di farlo abbrucciare, et che la sua sentenza verrà innanzi quella di Natale ; potria forse esser che, quando si vedrà condotto a quel termine, si riconoscesse ». S’immagini quale impressione facesse ai Genovesi una simile notizia, che doveva toglier loro ogni speranza, e che il cardinale accompagnava coll’ esortazione ad essi di vedere se potessero « placare quei barbari per altra via ». E con quali mezzi calmare gli Svizzeri, potevano rispondere il doge e i governatori, questi Svizzeri, che, preso uno spagnuolo, credendolo genovese, l’avrebbero ucciso, sapendosi bene che se esso « non verificava il nascimento col testimonio di doi che lo conoscevano, erano già apparecchiate le pietre per lapidarlo? » (2). In tal caso poteva la Repubblica convenire che l’accusato « merita mille fuochi », ma doveva anche pensare che « la natione genovese restava bersaglio della ferità di quei barbari.... et che in questa guisa molti innocenti et veri christiani riceveranno per 1’ essecutione di cotesto huomo empio, martirio » (3). Doveva pensare inoltre al commercio (1) Lett. del card, di S. Clemente al doge e ai governatori, 15 ottobre 1568. Doc. XXXVI. (2) Lett. del doge e dei gov. al card, di S. Cl. 21 ott. 1568. Doc. XXXVI. (3) Lett. cit. - 653 - de propri cittadini « in quelle parti oltramontane, intendendosi da molti riscontri che tendono del continovo a danni di essi per risentirsi del Bartoccio » (i). 11 Governo genovese avrà forse caricate un poco le tinte, per indurre più facilmente Y Inquisizione romana a salvare il suo raccomandato; ma, comunque, si è certi che non avrebbe tenuto simile contegno, se il suo commercio presso gli Svizzeri non fosse stato compromesso sul serio, cosa più che mai grave pensando che altrettanto poteva dirsi pure della Germania, dove si godeva poca sicurezza, come s’è visto dal fatto di Magonza, e dove i commerci eran già danneggiati anche per le lotte quasi continue che infierivano in quei paesi. Inoltre per credere che in sostanza le offese, che i Genovesi dicevano recate ai loro concittadini in Svizzera, e dei danni che dicevano portati ai loro commerci, fossero veri, basterebbe ricordare che, prima delle minaccie ginevrine e bernesi, la Repubblica era dispostissima a consegnare il Bartoccio, che lo consegnava in un momento in cui gli amici di lui parevano calmati, che le richieste di liberarlo si fecero, dopo le seconde lettere svizzere, e che diventarono sempre più insistenti via via che dalla Svizzera o dalla Germania giungevano notizie gravi per la vita e pei commerci dei Genovesi. Ma se la premura della Repubblica era grande, se trovare altra via per calmare gli Svizzeri era impossibile, che cosa poteva dire a favore degli amici suoi il cardinale di S. Clemente, al quale essi ricorrevano continuamente pregandolo di adoperarsi presso l’Inquisizione ? « Mi (i) Lett. a card. m. 6. Il doge e i gov. al card. S. Clem. 29 ottobre 1568. Atti Soc. Lio. St. Patria. Voi. XXIV, fise. 2.° 42 — é54 — par che habbino ragione per le cause ch’elle scriveno », notava egli il 29 ottobre 1568 (1), « onde mi spiace tuttavia più il dirle eh’ io spero poco di poter ottenere la sua liberatione, sapendo la natura di S. Santità » ; ed aggiungeva di farne parlare ai cardinali dell’Inquisizione, se non fosse potuto recarsi da loro in persona. Manteneva la promessa, ed ai primi di novembre (2) rie-sciva a strappare ad essi l'assicurazione, che avrebbero raccomandato il Bartoccio a S. S., e la « quasi certezza ch’egli non sarà fatto morire, ma ritenuto lungamente in carcere ». Queste due lettere davano di nuovo qualche animo ai Genovesi, che subito manifestano al cardinale la fiducia « di poter indurre il Pontefice a clemenza necessaria alla salute di Genova, perché ogni hora più minacciano quei barbari di lacerare i nostri huomini con loro robe, se passeranno per loro paesi » (3). Ottenendosi di tenerlo lungamente in prigione, potevasi sperare che cedesse assicurandosi la sua salvezza ; e perciò il Cardinal S. Clemente meritava la riconoscenza di Genova, facendo si che i cardinali dell’ Inquisizione, anche ai primi di decembre, rinnovassero la promessa « di trattenere l’eretico prigione più che potranno, per vedere se intanto Dio l’inspirasse a riconoscer et pentirsi dell’ error suo » (4). (1) Lett. di card. m. 5. (2) Lett. del card. S. Clemente al doge e ai governatori, 5 novembre 1568. Doc. XXXVIII. (3) Lett. a card. m. 6. II doge e i gov. al card, di S. Clemente, 5 e 12 novembre 1568. (4) Lett. di card. m. 5. Il card. S. Clemente al doge e ai gov. 3 decembre 1568. Il cardinale però manifesta il timore che l’inquisizione debba perdere la pazienza e sbarazzarsi del Bartoccio. « È ben vero (egli diceva) che perseverando (il B.) nella sua ostinatione, come ha fatto fin qui, dubito che alla fine si perderà la patienza col fatto suo ». - 655 - Giunte le cose a questo punto, dovette sembrar inutile alla Repubblica di trattare ancora per la liberazione; e quindi essa si contentò di guadagnare più tempo che fosse possibile, aspettando l’inspirazione di Dio. Invano 1’ aspettarono fino al maggio del 1569, ed allora, come il S. Clemente aveva temuto fino dal decembre del 1568, si perdette la pazienza, ed insieme con tre o quattro altri eretici « pertinaci et relassi » fu dato alla Corte secolare « il Bartoccio, che, per la sua impenitenza et ostinatione già un pezzo intollerabili a S. S., fu mandato vivo al fuoco » (1). Così scriveva il S. Clemente ai 27 maggio 1569, scusandosi quasi di avere invano cercato di fargli prolungare la vita; e noi possiamo completare le notizie intorno alla morte di questo eretico, che il cardinale annunziava colla frase cc mercoledì fu la sua festa » (2), valendosi del verbale, che ne fece la confraternita di S. Giovanni decollato il 25 dello stesso mese (3). La sera di martedì 24 maggio, nella torre di Nona, furono consegnati alla confraternita quattro eretici condannati a morte: Alberto Boccadoro, Camillo Ragnolo, o Raugiolo, dottore in legge, Bartolomeo Bartoccio e Francesco Vencellaro frate apostata. Uno, il Ragnolo fece testamento nella cappella, ebbe i sacramenti, ed al mattino del 25, verso le nove, ascoltò la messa; degli altri due, il Boccadoro ed il Vencellaro, resistettero ai primi confortatori tutta la notte, poi si lasciarono persuadere dal cc padre Pistoia capuccino e da alcuni altri theologi di Santo Francesco zoccolanti et della compa- (1) Lett. di S. Cl. al doge e ai gov. 27 maggio 1569. Doc. XXXVIIII. (2) Lett. cit. (3) Vedi Doc. XXXX. — 656 — gnia del Iesù », ed ebbero i sacramenti; il Bartoccio invece non volle cedere né alle ragioni dei teologi, né a quelle dei compagni convertiti, e quindi, verso le quindici ore del giorno stesso, lui solo « fu abbruciato vivo pertinace », mentre del Ragnolo e del Vencellaro si abbruciarono soltanto i cadaveri dopo l’impiccagione, e ad Alberto Boccadoro si faceva « gratia della vita, et così fu accompagnato in torre di Nona ». In tal modo finiva, ai 25 di maggio del 1569, Bartolomeo Bartoccio, dopo lunga prigionia, e dopo aver sostenute le sue credenze, solo fra tanti compagni, che già avevano abiurato prima della condanna, o che cedevano dinanzi al rogo. La morte di lui non poteva certo rallegrare la Repubblica, ma questa, che in cose di eresia si era opposta ai voleri dell’inquisizione, per poi cedere sempre, si rassegnò anche questa volta; ed il 3 giugno 1569, pur prevedendo nuove molestie da parte degli Svizzeri, si mostrava rassegnata, contentandosi che fosse « fatta sempre la volontà di S. Beatitudine (1). E gli Svizzeri che fecero? Le nere previsioni della Repubblica si avverarono? Non sappiamo. Veduta tutta la corrispondenza di Genova colla Curia romana, coi cardinali e colla Svizzera, nulla abbiamo più trovato che accenni alle conseguenze di questo doloroso avvenimento; quindi non saremo forse chiamati audaci, se diremo d’inclinare a credere che, finché il Bartoccio fu in vita, gli Svizzeri credettero di poter impegnare efficacemente i Genovesi a salvarlo col disturbarne i commerci, col molestarne le persone, ma dopo (1) Il doge e i gov. al card. S. Clemente. Doc. XXXXL — 6 57 — la morte del loro raccomandato, dovettero anch’ essi convenire che il Governo genovese aveva fatto di tutto per salvarlo, e che sarebbe stata un’ ingiustizia punirlo di colpe non sue, senza contare, che in questo caso la punizione non avrebbe nociuto a Genova soltanto, ma 1’ allontanarsi di uomini attivi come i Genovesi avrebbe recati danni considerevoli anche all’ industre confederazione. CAPO QUARTO Natura dell’ eresia di Bartolomeo Bartoccio. Natura déll’ eresia in Genova Se un giorno, come di cuore ci auguriamo, verrà aperto 1’ Archivio dell’ Inquisizione generale romana, e se, come crediamo, vi troveremo il processo di Bartolomeo Bartoccio, vi leggeremo esposte con chiarezza le dottrine eretiche che egli professò. Per ora, costretti a fare a meno d’un documento di primissimo ordine, ci sforzeremo di conoscere colle sole scritture che possediamo, quali fossero le sue opinioni religiose. Sappiamo che, fuggito per causa di religione dallo Stato Pontificio nel quale era nato, si rifugiava in Ginevra, rocca del calvinismo, ne otteneva la cittadinanza, e vi formava famiglia, prendendovi moglie e procreandovi figli (i); il (i) Ved. indietro capo I, p. 623 e seg. — 65S — che, se non basta, può essere già argomento per dire che egli inclinava alle idee calvinistiche. Arrestato in Genova, Ginevra e Berna lo difendono, parlando del Bartoccio come di un seguace della religione in quelle città professata, ed anzi i Ginevrini nella lettera al doge e ai governatori di Genova, scritta il 31 gennaio 1568, pensando ai probabili tormenti cui verrebbe assoggettato, trovano conforto nel credere che colla grazia divina egli si manterrà fermo nella confessione della verità (1), ben inteso religiosa, che il calvinista Governo ginevrino doveva ritrovare soltanto nelle dottrine di Calvino. Inoltre il cardinale S. Clemente rispondendo ai Genovesi, che gli avevano raccomandato il Bartoccio, scrive di aver parlato al Pontefice del « poco benefitio che ricaverà la christianità di estinguere un ugonotto di più o di meno, che era come ammazzar una mosca in Puglia » (2). Quindi, sebbene non si conoscano per via diretta le opinioni precise di Bartoccio, ci sembra di poter affermare ch’egli apparteneva alla chiesa calvinista. Gli eretici genovesi scoperti fin al 1569, tempo a cui siamo giunti col nostro Studio, non é facile il determinare a qual setta appartenessero. In quei tempi agli eretici solevasi dare il nome dal più noto e temuto dei riformatori, da Martino Lutero, e spesso da uomini poco versati nella teologia, col nome vago di luterane si appellavano dottrine che Lutero certamente non avrebbe accettate. Inoltre, per Genova in particolare, ci manca la (1) . . . consolabimur nos in ea spe, ut in confessione veritatis, divina fa-vente gratia eum permansurum ». (2) Lett. di card. m. 6. Il card. S. Clemente al doge e ai gov. 5 dicembre 1567. Doc. XIX. - 659 — fonte, non dirò più sicura, ma certo più ricca per determinare la natura delle dottrine eretiche, ci mancano quasi sempre i processi, che pei tempi anteriori al 1558 andarono, in parte almeno, bruciati nell’ incendio del-1’ Archivio dell’ Inquisizione in Genova (1), e pei tempi posteriori presero strade che noi non conosciamo. Per altro dai pochi processi che si trovano nel fogliazzo del notaro Bernardo Usodimare-Granello, ed instruiti dal 1541 al 1543, si vede che i genovesi, accusati di eresia luterana e di altri errori (2), non avevano un concetto esatto delle eresie allora in voga, non sapevano precisamente se fosse meglio inscriversi sotto i vessilli di Lutero 0 di altri, sentivano solo di respingere qualche credenza cattolica. Alcuni di essi sembrano assai colti, come ad esempio il notaro Ponte, fors’ anche il maestro d’abaco Battista da Masasco, altri invece non appaiono tali; e di tutti poi pare giusto il dire che, dopo aver ricevute vaghe notizie dell’ eresie d’ oltremonte , accettassero totalmente o parzialmente le dottrine anticattoliche. Parecchi di essi forse ne discussero nella farmacia di Bartolomeo Alessio, ma privi di abili istitutori, perduti in mezzo a popoli cattolici, fors’ anche privi di libri che esponessero le dottrine eretiche, non riuscirono a formarsi di queste un chiaro concetto. Ed altrettanto, se non erriamo, si può ripetere degli (1) P. 121 dell’opera intitolata:«Elenchica Synopsis,ideststrictum ac verum compendium fundationis incrementum obligationis et redditus celeberrimi conventus D. Dominici Januae ... per Fr. Thomam de Augustinis eiusdem coenobii alunnum ». Comp. nel sec. XVII, cons. ms. in carat, dello stesso sec. nella Bibi, della R. Un. B. VIII. 4- (2) Ved. p. 1, cap. 2. — 66 o — eretici, che abbiamo trovato nei vari tempi, non solo in Genova, ma negli altri paesi della Liguria. Nota speciale però merita il gruppetto scoperto verso il 1568, il processo dei quali fu instruito dal commissario straordinario pontificio mons. vescovo di Teano, processo che dormirà con tanti altri sonni tranquilli nell’ Archivio dell’ Inquisizione generale romana. Sappiamo che essi erano accusati di aver fatta la cena all’uso calvinista, cosicché, nel tempo che il calvinista Bartoccio capitava a Genova, v’ erano in questa città uomini che conoscevano e praticavano qualche rito della chiesa calvinista. Se poi ne seguissero tutte le regole, ne accettassero tutte le dottrine, ovvero, come i loro confratelli dei tempi anteriori, si accostassero anche ad altra eresia, non risulta dai documenti che abbiamo potuto esaminare. E gli eretici quanti furono? Risposta precisa la daremo , compiute tutte le nostre ricerche in Liguria , e meglio ancora quando saranno aperti gli Archivi del-1’ Inquisizione romana, dove speriamo di vedere, se non i processi, che dovevansi conservare nell’antico archivio dell’Inquisizione genovese, almeno la copia delle sentenze ed abiure che solevansi quasi sempre mandare a Roma (1). Intanto, allo stato delle cose, può dirsi che se non moltissimi, né molto tenaci nelle loro opinioni , furono però tanti da indurci a riconoscere che le dottrine eretiche non erano del tutto spregiate in Liguria, ma erano talora professate, non solo da qualche persona colta, come si crede che in genere fossero i pochi eretici d’Italia, ma anche da persone incolte, come (1) Masini, op. cit., pag. 269. — 661 — si vede dai processi del 1541-43, dalle notizie posteriori intorno ad eretici in Liguria, e dalle lettere che la Repubblica scriveva per gli eretici del 1568, lettere che certo esagerano quando dichiarano tutti gli eretici d’allora persone volgari, perché fra essi v’ erano pure un medico ed un chirurgo, ma che provano sempre la mancanza di coltura nel maggior numero dei codannati in quel-1’ anno. Riteniamo non la scienza, non gli studi, non P amore alle speculazioni, facessero nascere gli eretici liguri, sibbene il contatto con eretici di altri paesi, che si trovavano in Liguria stessa, dove per tanti motivi, uomini diversi capitavano, 0 che essi stessi avevano occasione di conoscere fuori, quando per ragioni di commercio partivano dalla patria. Se poi alcuno chiedesse perchè P eresia non attecchì a Genova, risponderemmo, che in questa città , come su per giù in ogni terra italiana, Roma stessa compresa, si potevano trovare tutti 0 quasi tutti i mezzi, che ai riformatori nordici valsero tanto per far insorgere le masse contro la Chiesa cattolica. Era piccolo il rispetto alle chiese ed ai monasteri (1), poco lodevole era la condotta dei sacerdoti (2), ignoranti delle più elementari massime della fede (3) erano molti parroci, tutti poi poco zelanti e studiosi d’insegnare al popolo le dottrine cattoliche per preservarlo dall’ eresia, per tenerlo unito alla Chiesa romana (4) ; e qui pure si ebbero gli scandali dovuti al commissario delle indulgenze, scan- (1) Ved. addietro parte I, c. i, pag. 589 e segg. (2) Id. p. 570 e segg. (3) Id. p. 584 e segg. (4) Id. p. 587 e segg. — 662 — dali, che non potevano tenersi nascosti, ma che commovevano ed irritavano il popolo (i). Né si dica che Genova fu conservata cattolica dall’ energia dell’ Inquisizione, dallo zelo della Repubblica: per credere questo, bisognerebbe dimostrare prima di tutto che contro le idee basta la forza brutale, e poi dimenticare che la Riforma trionfò in tanti altri luoghi, dove Governi assai più forti del genovese la combatterono energicamente, anche perchè ritenevano l’unità della fede un forte vincolo politico. La Riforma a Genova non poteva attecchire, nè attecchì, un poco per le medesime ragioni che valgono per l’Italia tutta, un poco per ragioni tutte sue. Per la Riforma si richiedeva un popolo pieno di fede, un popolo che nella famiglia ed ovunque curasse le cose religiose, che, mentre dubitava d’una credenza, si occupasse di trovarne un’altra, che pensasse e fortemente pensasse ad essa, che spogliasse la sua religione di ogni esteriorità, che si librasse nelle regioni dello spirito, che con libera indagine scrutasse i dogmi. Ora nulla ci dice che il popolo genovese del secolo XVI avesse tutte queste disposizioni. Occupato nei suoi traffici, in rapporti continui con popoli diversi per nazionalità e per religione, assuefatto a frequentare le chiese pur comportandovisi con molta leggerezza , e vivendo poi un pochettino a modo suo, non trovava certo il tempo di pensare a nuove dottrine religiose, né aveva motivo alcuno per cambiare la religione ricevuta dagli avi, per stillarsi il cervello nella lettura della Bibbia, nelle ricerche di altre credenze più o meno ap- (i) Id. p. 586 e segg. - 663 — prezzabili. Nulla gli impediva di continuar come prima a frequentare le sue chiese, di seguire le pratiche religiose, nessun filosofico pensiero tormentavane l’animo, già troppo occupato da altre cure, per seriamente pensare all’ abbandono di un sistema trasmesso dai maggiori. Per scotere una fede durata dei secoli, occorre un pensiero profondo e vigoroso, e questo mancava. Tali, allo stato presente delle nostre ricerche, le condizioni religiose di Genova fino al 1569. Abbiamo scritto, se non erriamo, un breve, ma nuovo capitoletto di storia genovese e diremo quasi italiana, lo rimpolperemo, gli daremo forse un compagno, se le persone colte non riterranno inutile il nostro lavoro. DOCUMENTI I. Lettera del doge e dei governatori di Genova a mons. Sauli in Roma a proposito dei frati di Sant*Agostino.-Minuta nel R. Archivio di Stato (Litterarum filze i). n Settembre i$$6. R.m0 monsignore Hier mattina assai per tempo havemo le due di vostra signoria reverendissima, le di mons. Benedetto Lumellino, e li tre brevi di nostro Signore diretti a noi, al reverendo suo vicario, et al generale vicario de’ frati osservanti eremitani della congregatione di Lombardia. Letto il nostro e le di vostra signoria, subito mandammo a domandare il suo vicario, il quale, vista la commissione di Nostro Signore stretta, gagliarda, santa e da vero pastore del gregge di Christo, coll’ aiuto e favor nostro, s’indirizzò al monastero di S. Agostino, e col mezzo di buoni e cauti ordini dati s’impossessono della chiesa e convento, fece inventario di tutto ciò che apparteneva alla detta chiesa e sacristia, se ne prese il possesso, acciò non sinistrasse un pelo non solamente dalla chiesa stessa e cose spettanti a quella, ma ancora di doi membri di doe altre chiesole poste qui vicino ad uno o doa miglie incorporate et annesse al detto monastero, in modo tale, che in ispatio di tie hore la santa volontà di Nostro Signore, si come ci ha comandato per il brieve, fu interamente compita. Essecutione certamente santa e catolica, e che ha da produrre tanta utilità alla Santa Chiesia di - 668 - Christo, quanta nissun’ altra die si sia fatta da molto tempo in qua. Si pose benissimo ordine per la conservatione di quello onde si è preso il possesso, sopravenendo la notte, acciochè i frati conventuali, che non harebbono saputo ove raccorsi la stessa notte seguente, non designassero cosa alcuna a giovamento loro, non tolerando il tempo a potervi incontanente introdurre i frati eremitani osservanti, il che però si farà ben hoggi, havendo dato al loro priore il brieve di Nostro Signore, dettogli di apparecchiare dieci frati dei loro per introdurlivi hoggi a buon’ hora. Et in tutto questo negotio et essecutione il vicario di vostra signoria reverendissima si è diportato tanto bene e con tanta patienza e sollecitudine, quanta dire si possa, in modo che la volontà di Nostro Signore, il desiderio nostro, 1’ honor di Dio, che prima dir dovevamo, hanno havuto intera essecutione, di che sia la Santità Sua e vostra reverendissima signoria sommamente lodata. Hora, nostro mons. reverendissimo, vorressimo com’ è debito nostro, che fosse datta subito noticia a Sua Santita dell’ essecutione, et in quella forma e con quelle parole che per la sua molta prudenza, potendo ella (che questo sarebbe il desiderio nostro) in propria persona, le ne rendesse quelle maggiori gratie che si possono, baciandonele humilmente i santissimi piedi. Nè in questo ci stenderemo, peichè senza dubbio erraremmo, poiché consapevole ella del bisogno e di quel ci comviene a noi, farà quest’ ufficio da se stessa benissimo. Ometteremo ancora dirle che la signoria vostra reverendissima ha fatto l’ufficio da prudente et affetionatissimo alla sua patria, peichè offenderessimo lei e noi insieme, havendone noi fatto molte piove, e sapendolo lei per se stessa; basta che non haressimo saputo desiderar meglio; e Dio, che ha voluto favorire questa santa opeia, ha proveduto di cossi ottimo adminicolo, come è quello di monsignor Benedetto Lumellino, il quale invero ha aneli egli operato da buon cittadino coi ricordi di lei, essendo ella impedita da podagra. Non mancheremo già di dirle che questa così caritatevole opera ha pure havuto un poco di contradittione, come suole avvenire in tutte le cose buone, essendo comparso il molto reverendo fra Fabiano Chiavano, il quale haverebbe desiderato il soprastarsi, come quello che ha havuto cura dal loro generale della riforma — 669 — del detto monastero, allegando che i canoni vogliono e le costitu-tioni che simili essecutioni non si facciano che di consulta e consenso del reverendissimo lor protettore e generale; et harebbe voluto che noi stessi havessimo loro scritto ; e ricusando noi, ha pure replicato chel breve era uscito da Nostro Signore a nostra richiesta, che Sua Santità bisognava fosse informata. Non ha mancato di fare prottesti nel fare dell’essecutione, in modo tale che ci era mestiere di usare le diligenze passate, e ben Nostro Signore prudentissimo ha conosciuto che il negocio bisognava di celerità, e per questo facciamo giudicio che habbi ordinato di scrivere nel nostro breve come non era per accettarsi iscusa se pigramente fossimo proceduti. E qui bisogna ridire quanto Sua Santità sia zelante del culto di Dio e quanto debito li habbi questa patria, e non temere ancora che quantunque esso reverendo fra Fabiano habbi fatto 1’ ufficio sudetto, non per questo manchiamo di conoscere essergli stato tirato dal peso dell’ufficio che tiene, e cotale rispetto che harebbe egli desiderato che si fosse havuto al loro reverendissimo protettore e generale, et a certe loro costi-tutioni fratesche, che a noi non son punto venute a consideratione, non essendo questa la mente di Nostro Signore, nè di bisogno nostro, al quale sarà in molto proposito che le ne faccia noticia, affine che quando tentassero alcuna cosa Sua Santità sia prevenuta e resti avvertita che queste tali riformationi conventua-listiche non sono di verun frutto, essendosi detti frati di S. Agostino reformati, cioè mutati più volte, e sempre stati peggiori gli ultimi che i primi ; e così sarebbe seguito adesso, di maniera che altro rimedio non era ad estirpare queste così cattive herbe, che col presto ubidire a Nostro*Signore, alla Santità del quale siam certissimi che altro non bisogna che avvertirla, e cosi diciamo a vostra signoria reverendissima, perchè al rimanente colla sua prudenza saprà antivedere qualunque periglio per impedimento di così buon’opra si apparecchiase, e ripararlo.......... (Parla d’ altro). Atti Soc. Lig. St. Patria. Voi. XXIV, fase. 2.° 45 — 670 — II. Lettera del doge c dei governatori di Genova a mons. Benedetto Lomellino in Roma, riguardo al frati di S. Agostino. Minuta nel R. Archivio di Stato (Litter. filze 3). 27 Settembre 1560. Molto reverendo e magnifico Se conforme all’ avvedimento del vostro consiglio fosse riuscito il fine del negotio di S. Agostino, ci appogiaremo a più ferma speranza del rimanente che ha da seguire, perciò che fra tre deputati sarebbe mons. illustrissimo e reverendissimo San Clemente, la cui somma prudenza et auttorità agevolmente harebbe sostenuto l’empito di tal movimento; ma, come sapete, pendono altronde gl’ avvenimenti, e pur che propongano gl’ huomini secondo la ragione, come havete fatto voi, altro non è che aspettare si debba da loro. Non è dubbio che 1’ esservi il Montepulciano protettore dè conventuali ci porge affanno, e rende assai languida quella speranza che fin qui viva viveva in noi, essendo verisimile che sua signoria reverendissima, come tinta di affetto e di passione, porrà ogni studio per condur gl’ altri due in sua ragione, i quali agevol cosa si è che si pieghino al desiderio e volontà di un altro cardinale. E nondimanco, perchè qui si gioca e 1’ honor di Dio e la salvezza delle anime, et oltre ciò l’intiera sodisfattione e parte della riputatione nostra, siamo ogn’ hor più fissi in questo proponimento di reggere quanto si può perchè questa facenda non cada, et a fin che possiate voi farvi incontro alle difficoltà e spianarle, vi narreremo come seguì il fatto della permuttatione. Li disordini seguiti da buon tempo in qua in detto monastero, così di heresia come di altri difetti importanti, furono di così gran rilievo, che tutta la città ne ricevè scandalo e ridusse a tale, che molti mancavano di frequentare la chiesia, di che se ne puotrà far fede, e se ne conosce parte per la lettera scritta dal generale di quell’ ordine al duce nostro di quel tempo, e della quale vi si inchiude copia; ove fu risposto che la Illustrissima Signoria pie-starebbe ogni favore al priore che la portò perchè si rassettasse il — 671 — monastero, e si riducesse all’ habito primiero di vera e perfetta religione, conoscendo che il riformarlo riguardava 1’ honor di Dio e la salute delle anime scandalizate, le quali essendo nate e vissute in una città così religiosa, e cosi casta di mala semente, dannosa cosa riputavamo il non saldare quanto prima la piaga, per divertire che 1’ humor peccante non penetrasse più oltre, e che esse anime schiette e sincere, non si ingombrassero le menti vergini di altre openioni che delle antiche vere e christiane ove son nate. Così domandato il priore che ordine pensava di mettervi, rispose che intendeva di rimuover tutti li frati genovesi che traviavano dal religioso, e metterci forestieri di vita esemplare; li fu risposto per il duce, doppo molte pratiche occorse, e persuaso a non abbracciar tanto in un colpo, e che era meglio levare i più discoli, e poi gl’ altri di mano in mano secondo che strigneva la necessità. Gli affermò detto priore esser quasi tutti di tal sorte che era necessaria la mutatione, et assai presto porrò li nomi di essi frati qui inchiusi con particolar mentione e noticia di molti di loro. Nè passò gran tempo che ritornato esso priore, si dolse che per aver voluto procedere contro dè frati era stato per vendeta accusato di heresia al vicario nostro archiepiscopale et inquisitore, domandando aiuto acciochè per esser forastero non ricevesse alcun torto ; intorno a che li fu risposto che stesse di buon animo, e che non dubbitasse quali’ hora che egli fosse innocente. Onde poi in processo di puoco tempo scuoprendosi tuttavia esser macchiato, fu stretto in detto monastero e poi condotto in torre, ove fu convinto in molli capi di heresia, et abiurato nella chiesa di Nostra Donna delle Vigne in publico, durante il quale tempo fu processo contra diversi di essi frati, così di heresia, come di altri enormi diffetti, dè quali ne fu posto uno alla galera, che confessò delitti e suoi e d’ altri frati tanto enormi, così di heresia come altri vicij, che chi sente convien che vergogni di udirli; si come il tutto si può vedere per la confessione , la quale essendo bisogno si manderà. Assai presto poi capitò dinanzi la Signoria Illustrissima il padre maestro Fabiano mandato dal generale per riformare il monastero, il quale fu visto volentieri e promessogli aiuto e favore, e scritto al Generale in risposta di quanto haveva scritto egli, si ordinò al maestro Fabiano — 672 — che fosse col duce sopra i particolari; col quale havendo a lungo ragionato, et inteso 1’ intentione sua essere di levar buona parte de’ fratti che si ritrovavano in esso monastero e mettervi altri di buona fama, gli fu risposto da esso duce dubbitar molto che essa provisione non fosse tela di aragna, perchè siandosene stata cosi da lui come da altri tenuta tal forma molte altre volte, l’esperienza facesse conoscere che assai presto ritorneria il convento nel proprio e peggiore stato, perchè sottentravano detti frati, o altri che facevano pegio di prima, e che credeva fosse il sicuro ordine di esso monastero metergli frati di osservanza. Al che rispose detto maestro Fabiano che lo vederebbe volentieri, ma che non vi era forma, perochè pensava provedergli di persone da bene, e metterli tale ordine e provision che recarebbe giovamento e riforma. Ne si entrò in altri particolari ; bensì vero che havendo il duce comunicato il tutto cò magnifici governatori, e conoscendo così per confessione di detto frate convinto et altri pur rei e confessi, come per delatione che ebbero dal vicario et inquisitore vedendo che I’ infamia dello scandalo restava di maniera impressa e fissa negl’ animi dè cittadini, che d’altra provisione faceva mestiere, che di quella che modellava il maestro Fabiano, fatti chiari et accorti per tante esperienze occorse che le provisioni leggiere e delicate non operano agevolmente, come forzate da persone più soggette al lungo habito , rissolsero che la forma proposta dal maestro Fabiano dovesse riuscir fallace conforme alle passate, massimamente havendo penetrato con industria che da molti anni in qua vi erano stati otto 0 dieci priori convinti di heresia. Per il che propossero esser necessario ricorrere a Sua Santità, e supplicarla a provedere in maniera che i frati conventuali fossero per tanti loro difletti rimovuti et in luogo loro sottoporvi frati del medesimo ordine di osservanza, de quali habbiando preso informatione, ritrovarono che le dua congregationi ubbidienti al generale non erano a proposito, stante che quella di Liceto non ha che sei o sette conventi e non sono tutti insieme più di settanta frati; e quella de Battistini non sono più di quindici in sedeci monasteri, tra quali questo di Consolatione di Genova è il principale, e la maggior parte nella rivera di Genova di poca importanza, et il numero de frati da 150 in circa. Quel che della con- — 673 ~ gregatione di Lombardia non si può dir cosi, che ha settanta monasteri, dè quali trenta in più sono pervenuti in detta congregatione per riformatione de’conventuali nelle principali città d’Italia, e sono da millecento frati in più, di dottrina per una buona parte conosciuti, così in questa nostra come in altre città di nome e di riputatione, oltre che hanno in questa città cura di tre monasteri di monache di santa vita, et nel monastero di San Pier d’Arena hanno conversato per più di cento anni, senza un minimo scandalo, anzi con buonissimo esempio. Di maniera che, avuta la provisione da Sua Santità, dal vicario archiepiscopale eletto commissario con autto-rità della Signoria Illustrissima, ne furono essi frati di Lombardia intro-dutti, dà quali essendo uscititi buoni frutti così gustevoli et odoriferi di buoni esempi e di rette opinioni, tanto nel conversare pieno di humile et accesa carità, quanto nè divini ufficii, confessioni e prediche, ne restano presi e sodisfatti i cittadini, che, quando avvenisse che si facesse novità intorno ciò, seguirebbe senza dubbio di molto scandalo, e perturberebbe sommamente gli animi di tutta la città, la quale, havendo conosciuto per prova quanto sia stata giovevole detta mutatione, restarebbe malcontenta e peggio impressa, e noi poco sodisfatti che presso a Nostro Signore non fosse esaudita una richiesta tanto accomodata ali’ honor di Dio e salvezza delle anime, massimamente che, per esser tuttavia tanto zelosa della religion christiana et ubbidiente alla Sede Apostolica, parebbe a noi non meritare minor credito da Sua Santità, che l’habbino havuto altri principi e signorie, che hanno procurato et impetrato reformationi di monasteri spinti da caggioni assai più leggiere, tuttoché siano stati perturbati da chi mira alle volte più 1’auttorità propia che il zelo della religione christiana, della quale in questi tempi è necessario che si tenga più conto. Nè si può dire che detti frati manchino di fare ufficio di carità a tutti li frati che li capitano, avvenga che siano conventuali, tenendo di ciò, sicome terrano sempre, quella ragione che si deve. E vive memoria in molti che per il passato esso padre Fabiano rimesse alcuni dè frati Battestini, li quali o se ne andarono assai presto o ne furono mandati. Ci è parso di seguire i nostri ricordi e di scrivere le inchiuse a’ tre cardinali, con pregarli che non comportino che si innovi — 674 — intorno a questo negocio cosa alcuna, poiché vi veggono espresso il diservizio di Dio et il detrimento delle anime, le quali, tutto che questa città hicci professione di esser fra le altre obbedienti ubbidientissima, nondimeno temeremmo assai che non potrebbero acquetarsi così di leggiero a quel che conoscessero non essere servizio di Nostro Signore e danno delle loro anime, e che la ragione vuole e la religione di lor Signorie Illustrissime ci conforta a credere che ameranno assai più di conservare questa Republica e questo popolo casto et credente verso la religione christiana, e di tenerlo tuttavia diritto nelle antiche pedate di loro religiosissimi passati, che di introdurre alcuna spetie di persone, le quali, o con gl’effetti o con 1’ aparenza, potessero produrre tanta rovina; ma per il che conchiudiamo poi la lettera in vostra credenza gioverà che glie le presentiate, e che diate loro per compagnia la prudenza e destrezza vostra. Si scrive parimente a nostri illustrissimi e reverendissimi San Clemente e Araceli, non già così a lungo, dovendo voi partecipare ogni cosa con loro Signorie Illustrissime e Reverendissime. V’inchiudiamo rinchiusa fede dell’inquisitore dè difetti di heresia dè frati conventuali: con quest’altro ordinario vi si manderà copia e fede d’altri difetti enormi e scelerati così contra lo Stato come contra buoni costumi, afìnchè si conosca quanto fu pia e necessaria la provisione che vi fu presa presso la Santità di Paolo. Di Genova, alli quattro di ottobre 1560. III. ^ P* generale di Sant’Agostino al doge e ai governatori di Genova, a proposito dei conventnali espulsi dal convento di Sant’Agostino in Genova. R. Arch. di Stato (Litt. filz. 3, anno i$S9*6°)» Lettera del 18 dicembre 1560. Illustrissimi Signori sempre osservandissimi. Quanto debbo et posso ringratio le Signorie loro Illustrissime, quali si sono degnate rispondere alle mie, indegne di risposta, di un — 675 — tanto grave et sapientissimo senato. Ma molto mi dispiace, et dolmi infino al core, che quelle habbino così sinistro concetto dè Irati conventuali, solo per alcuni che sono stati non religiosi, come conveniva alla professione loro, et così habbino il medesimo delle congregationi, quali sono otto, nelle quali sono molti huomini letterati et da bene, tra le quali in cotesta della Consolatione, della quale è il venerabil maestro Fabiano nostro procuratore dell’ordine; quale congregatione anco ha due studii, nè quali sono giovani molto atti alle lettere. Supplico dunque quanto posso quelle, che non si vogliano diffidare che frati conventuali, quando fossero rimessi, non habbino da portarsi bene, essendo che la confusione patita gli darà intelletto, e farà che siano nel vivere più cauti et oculati, et viverano sotto titolo et con effetto di osservanza, et quando non lo faccino, si possi far mutare secondo il lor desiderio in altra congregatione dell’ ordine. Spero che quanta mala satisfatione hanno havuto per il passato, tanto maggior contento haranno per 1’ avenire. Raccomando la causa del monastero di Sant’Agostino quanto posso, et quando mi fosse data buona risolutione per loro gratia, non mancarei subito, lassando ogni altro negotio, venire costì a fare riverenza alle signorie vostre illustrissime et ringratiare quelle. Alle quali come humil servidore me gli raccomando Di Roma. Alli xvm di decembre mdlx. Di Vostre Signorie Illustrissime Deditissimo Il Generale di S. Agostino. IV. Il doge e i governatori di Genova ai monss. G. B. Doria e G. B. Lomellino in Roma, a proposito del commissario per la fabrica di S. Pietro. Minuta net R. Arch. di Stato (Litt. registri, voi. 65). 27 aprile 1552. Molto reverendi e magnifici signori. Ancorché havessimo quasi per certo, che permettere al commissario della fabrica esseicire le — 677 - trices. Ht seria (crediamo) andato appresso, se noi non l’havessimo advertito che ne pareva indecente et in contempto dell’authorità del Papa. Non sono mancate persone di argomentare et intrare in contentioni sopra li confessionali per li morti, se Vauthorità del Papa s'intende essere sopra la terra soltanto, o passi sino al purgatorio. È nato qualche disordine circa il farsi assolvere alcuni, in virtù di detti confessionali, da escomunicatione incorsa per non haver propalato e revellato ciò che sapevano in virtù dè monitorii generali dell ordinario et altre escomunicationi giudiciarie. A Sestri di ponente, dove fece cessare il commissario di predicare alli ordinarii predicatori, e predicato egli per doi giorni, sono pur seguite delle mormorationi in quel popolo. Ha deputati soi sostituti alcuni sfratati che venivano a restare essenti dall’ ordinario, con ordinatione che chi da tali voleva cosa alcuna andassi da lui, uno del li quali era stato dal vicario del reverendissimo arcivescovo sospeso dall ufficio di predicare, et in virtù di detta commissione predicava di nuovo, se da noi non fussi stato proveduto. L’istesso commissario n’ha detto, che quando s’havessi persuaso eh’el mettersi ad essercire la suddetta facoltà havessi causato le mormorationi e scandali, eh’ ha visto, non haverebbe dato principio. Per le quali cose n’è parso necessarissimo dirli, come s’è fatto, eh el desista qui et in li loghi della riviera, dove già haveva dato principio, dubitando troppo che non crescino tanto le mormorationi e scandali chi causasino poi delli dissordini che troppo ne doleria, chi si vedeno hoggi essere in altre parti, dalle quali nasccria dimi-nutione dell authorità apostolica, total materia di scontentezza e roina delle anime del popolo. La Santità di Nostro Signore, quel- 1 illustrissimo colleggio et ogniuno doverà restar molto conoscente della ubbidienza, prontezza et intentione nostra, bona sempre dove sie dalle signorie vostre fatt’ intendere, le quali saranno contente particolarmente dar parte all’ illustrissimo e reverendissimo Cardinale di San Clemente et alli compagni di Sua Signoria reverendissima, alli quali succintamente scrivemo in credenza di vostra signoria, et insieme, con rimostrare quanto s’è detto, si daranno luogho di farli ben conoscere che non è bene a modo alcuno pensare di provar più nel paese nostro simili essationi, perchè molto — 676 — facoltati che ricercava in questa città e dominio dovessi generare del ! i scandali et apportare più danno che utile, è tanto il desiderio che tenemo e pronta volontà d’ubbidire a tutto ciò che vien ordinato dalla Santità di Nostro Signore, che alla ricevuta della lettera del reverendissimo colleggio della fabrica, del reverendissimo et illustrissimo Cardinal San Clemente, e delle Signorie Vostre, si permesse che potessi il detto commissario dar principio et andar appresso come ha fatto, e così, come ne resta sodisfat-tione d’haver rimostrato l’osservanza nostra verso Sua Beatitudine, così anchora all’incontro n’ha dato dispiacere non poco le mormorationi e disordini eh’ havemo veduto seguire. Questo nostro popolo, per Dei gratia, è stato sempre molto osservatore della fede catholica et ubbidiente alli ordini della Santa Chiesa; studiamo con molta diligenza di conservarglielo, e troppo ne doleria vedere alcun principio di dimostrattione del contrario. S’ è osservata in questa città indifferentemente la quadragesima, et se alcuno decrepito 0 infermo bisognava di dispensa, haveva ricorso dal molto reverendo vicario, etiam li primarii della città. In le hostarie non se poteva dare a mangiare di grasso, eccetto in caso di infirmità, e con espressa licenza del prefato vicario. Li confessionali che questo commissario ha dato con denari, ha intorno alli suddetti boni ordini causato del disordine assai. Per reverentia del Sacratissimo Sacramento non era chi facessi, come non conviene, dir messa in casa, se non in caso di grandissima necessità con espressa licenza del vicario, hora parrà forse lecito a molti valersi di quella dispensa con minor riverenza. Già le donne cercavano d’entrare in le clausure di monasteri di monache, dicendo esserli ciò concesso in virtù delli confessionali, il che saria tornato non solamente in gran disordine e danno, ma in rovina di dette clausure, se noi non havessimo riparato con vietarglielo. È stato chi, in virtù di delti confessionali, ha data la benedittione a sposi e spose in casa, ha-vendoli il commissario detto estendersi a questo in forza d’ essi confessionali. Haveva il commissario dato principio a concedere indulgenze plenarie di colpa e pena alla chiesa di San Rocco et ad un’ altra confratria, cum clausula modo christifideles manus porrigam adiu- — 678 — tememmo, quando ciò se permettessi, che n’ havessino a seguire qualche eccessivi danni, come Vostre Signorie per la loro prudenza deveno conoscere, e molto bene saperano farneli capaci. . . . (Segue d’ altro argomento). V. Il doge e i governatori di Genova al vicario generale dei predicatori, per chiedere come inquisitore fra Stefano Usodimare. Min. nel R. Arch. di Stato (Protectorum Officii Sanctac Inquisitionis). 14 aprile 1559. A tergo : Al reverendo padre Francesco Augusto da Favenza vicario generale dell’ ordine dei predicatori. Intus. Molto reverendo padre vicario Perchè sentiamo pullular qualche germoglio di eresia in la città nostra, che ha havuto origine da qualche indiscreto o mal cauto predicatore, esendo l’inquisitore ordinario persona ancora che da bene, fredda alquanto e timida, e per avventura anche più, per essere forestiere. Desiderosi provedere al nascente male, et estinguerlo e resecarlo prima chel pigli vigore, e per mantenere incorrotta quella fede, che da che l’habbiam presa mai si è violata in la nostra città, vogliam pregare la Vostra Reverenda Paternità si contenti darci per inquisitore il venerabile fra Stefano Usodimare dell’ordine d’osservanza, il quale per la bontà di vita, costumi, dottrina et autorità, et per prattica che come cittadino ha delli humori della Terra, giudichemo molto atto et idoneo in questo ufficio. E se ostasse al compiacerci che la inquisitione è consueta a conferirsi a conventuali, sia contenta Vostra Reverentia eleggerlo almeno per un anno solamente, e più e meno, secondo che le parerà, tanto che si sterpi questa peste, che non vadi serpendo più oltra, poiché al presente nel convento di San Domenico non é persona per questo bisogno così accomodata. Qui si agita la causa di Christo e della fede, e non è gran fatto passar un poco 1’ or- - 679 - dinario, quando son anche fuori dell'ordine queste novità. Vostra Paternità in questo, come più le esporrà in nostro nome il reverendo mons. d’Aleria, farà cosa accetta a Dio e degna di sè per il loco che tiene, e gratissima a noi, li quali in ogni suo commodo si offerimo di buon cuor pronti. Di Genova, a di 14 d’aprile del 1539. Di vostra reverenda paternità Duce e governatori. VI. Copia di lettera scritta dal doge e dai governatori alla Santità di Paolo III, sotto li 10 aprile 1540, segnata num. A, intorno ad alcuni processi d’ eresia. R. Arch di Stato (Prot. Off. Sanctae Inquisi- 3 c 4 \ tioms. n. -1 1404 / Santissimo e Beatissimo Padre Averno novamente inteso alchuni abitanti in questa città, quali per suoi pochi cattolici parlari e malcostumi erano stati processati da monsignor vicario del reverendissimo nostro arcivescovo e padre inquisitore dell’ eretica pravità, esser comparsi à piedi di Vostra Santità, e con false suppliche avere da quella impetrato lettere in forma di breve, per quali Vostra Santità le caose loro commette ad altri prelati; il che ne è stato molestissimo intendere, pensando indubitatamente che se Vostra Santità fosse stata del tutto informata, non avria tali lettere concesse, e benché Vostra Santità tal caose commetta, come sempre fa, prudentemente a persone qualificate, nondimeno, per disgrazia de moderni tempi, si rittrovano nella nostra città molti plebei, quali inclinano nelli medesimi errori, li quali con tutte le nostre forze con la solita cura delli detti vicario et inquisitore si sforziamo estirpare, quali prenderanno ardire, et al tutto non si sbatteriano, corno è nostro gran desiderio e principal intento per onor di Nostro Signor Dio e — 68o — quella Santa Sede; per il die con ogni instanza supplichiamo Vostra Santità si vogli degnare di rinovare le sopradette lettere, anzi strettamente alli preditti vicario et inquisitore imponere che con ogni sollecitudine diano opera all’estinzione de simili insolenti, a finché tutti conoschino che quello che faranno in onor di Dio sia ancora in beneplacito e per comandamento di Sua Santità, e così si faccia maggior frutto. Nè si creda Vostra Santità che contro di questi si sia processo, nè in avvenire s’ abbi a procedere se non secondo li termini di giustizia con ogni carità; sia per essere li prefati magnifici vicario et inquisitore persone di tal sorte che non faccian altrimenti, sia etiam perchè tutto si fa con l’assistenza di quattro nostri gentilhuomini molto virtuosi. Nè creda Vostra Santità si sia atteso a prender denari, anzi si è andato modestissimamente, e se è accaduto scoter qualche pena pecuniaria per debito di giustizia, si sono distribuiti a subventione de poveri, talché non è pervenuto un denaro, dal che vostra Santità può comprendere questi giotti (sic), con qual coperti di buggia armati siano devanti Vostra Santità comparsi. VII. Purgatio di Giacomo conte Fiesco processato per eresia. R. Arch. di Stato (Sala 74. n. 25$. Fogliazzo del notaro Bernardo Usudimare-Granello). 6 giugno 1540. Ego Jacobus conte Fliscus, civis Genuae, constitutus coram vobis reverendo domino J. Stephano Ususmari, apostolico inquisitore, ac reverendo domino Matteo de Mortario, canonico ecclesiae ca-thedralis genuensis, locumtenente reverendi domini vicarii archiepi-scopalis in hac parte. Iuro super ista sancta Dei evangelia quod id quod confessus sum in actis coram vobis, quod me suspectum de haeretica pravitate vehementer coram vobis reddebat, non dixi animo recedendi a determinatione sanctae matris ecclesiae et a comuni usufidelium, nec taies opiniones vel alias contra sanctam ecclesiam tenere intendo, sed semper in fide catholica vivere et mori. - 68i — Item iuro quod, ut supra restat, quod alia de quibus coram vobis infamatus sum, videlicet quod indulgentiae sanctae matris ecclesiae sint furfantariae inventae ad colligendas pecunias, et quod nihil prosunt. Item quod reliquiae sanctorum non sint venerandae in ecclesia, sed cum aliis ossibus mortuorum sub terra sepeliendae, non dixi nec tenui, nisi forte dixi refferendo dictum illius praedicatoris de corporibus sanctorum, ut constat in actis. Sic me Deus adiuvet et haec sancta Dei evangelia. VIII. Sentenza pronunziata dall’ inquisitore e dal vicario arcivescovile in Genova contro Giacomo conte Fiesco, il 7 giugno 1540. R. Arch. di Stato (8^1a 74, n. 255. Fogliazzo del not. B. Usodimare-Granello). .... Et primo, quod assignatur ei prò penitentia ut prò mense maneat in carceribus, ex misericordia assignatur ei dicta civitas Ianuae prò carceribus, qua non licet ei egredi sine licentia inquisitoris, nisi forte pro substentatione suae familiae. Item teneatur genuflexus vixitare altaria, videlicet sancti Iohannis Baptistae et sancti Gotardi, et coram eis accedere candellas (sic) et genuflexus orans. (Si obbliga poi ad altre pene minori, come digiuni, obbedienza all inquisitore, ecc.). IX. Ultima parte della difesa del notaro Giovanni Battista Ponte, accusato di eresia. R Arch. di Stato (Sala 74. Fogl. del notaro B. Usodimare-Granello, n. 2$>), anno IS40. Supradictus Iohannes Baptista Conte, extra revocationem sui procuratoris, comparens coram predicto reverendo domino inquisitore, magnificis consultoribus assumptis. Dixit quod ipse diu multumque cogitans super eis, tandem rediit de infrascriptis in memoriam. et primo, quantum ad adorationem Christi, se dixisse quod solus Deus — 682 — est orandus et Christus (est potens aliquo modo considerari ut homo) prout homo est solum orandus, ut intercedat pro nobis ad patrem, et tamen in hoc nec per hoc intelligebat recedere a determinatione santae matris ecclesiae, nec si erraret in errore persistere, nec etiam ad aliquo quod tunc dixerit; quantum verum de non imitandis sanctis, nec adorandis, nec orandis, nec invocandis, dixit contrarie verba quae dixerunt testes et ita consistere deplano ; non tamen ea dixit intentione et sensu heretico, sed sua mens erat haec: primo de imitatione sanctorum, quod sancti non erant imitandi ob hoc, quoniam in eorum vita poterant reperiri alique actiones non laudabiles, ut negatio Christi in sancto Petro. Quantum etiam de orandis sanctis, sua mens erat de oratione proprie scripta et illa qua utimur ad Deum, et sic de invocatione propria scripta, et quibus utimur ad Deum, et de non adorandis sanctis intelligebat de adoratione latria. Quantum etiam quod laudaverit Melantonem et Martini filium (sic) quod solum Christum predicare, et verum quia nec dignius, nec nobilius, nec maius, nec certius exemplar potest nobis proponi ad imitandum quam Christus. Quod Martinus non esset hereticus id dicens ex illo rumore qui ortus, quod ipse ad fidem redierit, et in predictis et in aliis omnibus ipse semper in veritate se submittere et ita submittit determinationi sanctae matris ecclesiae, et ita habet et vult semper habere, et quisque sit ipse se offert de predictis facere purgationem canonicam de iis in titulo de purgatione canonica ad omnem vestram simplicem requisitionem. X. Deposizione del domenicano Filippo Cambiaso contro il padre maestro Tommaso Giacoracllo, i$ aprile 1542. R. Arch. di Stato (Sala 74, n. 2$$. Fogl. del notaro B. Usodimare-Granello). Dominus frater Filipus de Camblaxio, ianuensis, ordinis predica-torum, comorans in conventu sancti Dominici, amen. Manifestando dixit se tantum scire, quod dum magister Thomas Jacoinellus publice legeret in ecclesia sancti Dominici Ianuae, audivi ab ore legentis — 683 - quod sola fides iustificat et quod opera sunt fructus fidei, sed nihil prosunt ad iustificationem. Item quod bona opera non faciunt hominem bonum, sicut nec fructus faciunt arborem bonum. Item quod illa fides, de qua loquitur Paulus in secunda epistola ad Co-rintios, in qua dicit quod si habuero tantam fidem ut montes transferam, et premit nunc manent fides, spes, caritas, quod Paulus loquitur de sola fide operativa miraculorum, et non de fide iustifi-cante. Item quod fides qua credimus articulos fidei et alia contenta in scripturis sacris dicitur fides istorica, que est comunis nobis et bonis et malis et etiam demonibus. Item quod fides iustificans est illa qua credimus nobis peccata dimitti. Item quod fides iustificans est dicenda fides non sed magis spes, sed quia Christus et apostolus eam vocant fidem, ideo et nos possumus sic nominare. Item quod quando omnis confessus est et obtinet absolutionem a sacerdote, tenetur vere et indubitanter credere peccata esse sibi remissa, alio-quin sibi non remittantur. Item si quis credit sibi remitti peccata propter Christum, illi tunc dimittuntur. Item quod debemus credere nobis peccata remitti non curando an ex parte non sit aliquod obstaculum, seu impedimentum, quoniam hoc est hipochritarum. Item quod qui non credit modo supradicto, facit iniuriam divinae promisioni. Item quod dubitavit de remissione peccatorum et provenit ex infidelitate et ita peccat. Infidelitatis peccamus. Item quod Deus non curat de imaginibus quae illi venerantur. Item quod locus non confert oranti. Item quod ecclesiae non sunt constructae, nisi ob quamdam civilitatem. Item quod gentes ac omnes idolatrae erigentes sibi statuas in deos, non crediderunt eas deos esse. Item quod Deus nullum dedit auxilium antiquis partibus ut servarent legem. Item quod lex decalogi est abrogata per evangelium, et in evangelio eadem lex precipiatur alio modo. — 684 — XI. Sententia pro Inquisitone contra libellum fratris Bernardini. R. Arch. (Sala 7-1, n. 25$. Fogl* dei not. B. Usodimare-Granello) 27 gennaio 1543. In Christi nomine, amen. Nos Marcus Cattaneus, archiepiscopus Collocensis, vicarius archiepiscopalis ianuensis, et frater Agapitus de Fino, ordinis predicatorum, vicarius generalis reverendi domini inquisitoris in toto dominio genuensi. Considerantes nihil aeque efficax esse ad obnubilandum catholicae fidei splendorem, quam si quispiam doctrina et opinione apud fidelem populum prestans pestifera dogmata, pretextu pietatis et evangelii disseminet. Quum in manus nostras incidisset libellus quidam, titulo Bernardini Ochini senensis, diu in Italia celeberrimi concionatoris inscriptus, ex partibus ubi moram trahere dicitur datus, in quo de iustificatione nostra per Christum et nonnullis aliis disserit, totumque diligenter evoluissemus, comperimus prefatum libellum multis repletum erroribus, etiam nonnullas continere propositiones, nedum scandalosas, etiam piarum aurium offensivas. Verum etiam de heresi lutherana suspectissimas utpote que arbitrii libertatem; opere iusticiam ac meritum labefactent, necnon indulgentias, sanctorumque imaginum venerationem, aliaque id genus multa derideant, preter ea que de Romanae Sedis antistite ingenti obsequitur dedecore, qua in re cupientes ut orthodoxae fidei puritas illibata servetur, et omnia perfidie et impietatis seminaria de agro dominico penitus precidaretur, ac populus genuensis in pristina fidei ac religionis sinceritate de-votioneque perseveret, habito prius super hoc maturo peritissimorum theologorum consilio, sedentes in loco isto, quem locum...... Condemnamus libellum predictum tamquam hereticum, et de multis articulis pessime sentientem, quem ob iniurias fidei in eo con-temtas, igni tradendum adiudicamus, eiusque lectionem tamquam pervitiosam omnibus in civitate genuensi et toto dominii eius districtu existentibus inhibemus, mandantes ne quis predictos libellos pene se habeat, et siguis ex eis hactenus habuerit, teneatur intra dies sex a presentimi! publicatione eos ad nos deferre. Prohibemus - 685 “ etiam nequis ex libellis ipsis aut aliis eiusdem Bernardini titulo impressis, sive imprimendis, in civitatem vel districtum deferat, vendat, seu deferri ac vendi faciat, sub pena excomunicationis late sententiae quam ferimus in his scriptis, unica, pro trina canonica monitione premissa, sub pena etiam scuti unius pro singulo libello irremissibiliter auferendi ab eis qui contrafecisse supradictis omnibus inventi fuerint. XII. Denunzia contro Lucio de Santi da Barletta, predicatore d’ eresia a Levanto. R. Arch. (Secretorum, filza i) 19 novembre Eccellentissimo e serenissimo duce et illustrissimi signori et padroni osservandissimi. Sicome è ufficio di fedele et amorevole suditto avertire il suo Prencipe di quelle cose che ode in pregiuditio della maestà di quello esser dette, così, parendomi esser ufficio d’un fedele et buono christiano di dar raguaglio a quelle persone, a cui spetta difender l’honor di Christo, delle cose che senta esser dette et fatte in pregiuditio della maestà divina, mi è parso prima a Vostre Signorie Illustrissime, alle quali s’aspetta con ogni diligenza dar opera che nel suo dominio non schaturischa zinzania alchuna di heresia contra la fede catholica ; dipoi al molto reverendo Padre dell’inquisitione della fede catolica donar aviso, qualmente è già circa quaranta giorni che uno cert’huomo, qual si fa chiamare Lucio de Santi di Barletta e dottore e philosopho e theologo, è gionto qua vestito di veste de l’ordine di santo Dominico, in habito però di mondano, e si è misso a predicare ogni festa nella chiesa catedrale di Levanto senza licentia del suo superiore, monsignor vicario di Sarzana, de libero arbitrio et predestinatione, et altre cose di maniera tale che ha solevato tutto il populo, et li vien prestata tanta fede et autorittà, che anchorchè per nome pubicamente nelle sue prediche dica un tale è heretico, e se non fusse per rispetto di questo t-i- Atti. Soc. Lig St. Patria. Voi. XXIV fase. 2. 44 — 686 — tadino e di quello ne darei raguaglio all’inquisitore, niente di meno tutto el populo resta mutulo e non ardisce di dirli contra, como se fusse un San Paulo mandato dal cielo in terra. Costui poi ha cominciato a metere schola e far achademie de giovani et putì, ai quali va ragionando spesso delle cose della fede, et a scolari li va dicendo che Christo ha tre corpi, sotto specie di dar latini in questo modo: io ho visto tre corpi di Christo. Le qual cose parendomi abhorrende, e dubitando che non va diseminando qualche zinzania, la quale non si possa poi così facilmenie estinguere, mi è parso far parte del debito mio avertir quelle in compagnia del molto reverendo padre inquisitore delle sudette cose; e tanto più perchè è quasi commune opinione, che questo sia stato frate. Se gli agionge poi che, essendo stato interrogato da molti, come, essendo egli philosopho e theologo, sia capitato in habito così mendico, ha risposto egli essere stato presente al Concilio Tridentino, et poi de lì a mesi esser stato preso schiavo et menato in Costantinopoli, e de lì essere venuto con l’armata turchesca a Malta, et essere stato presente alla presa di San Termo, et poi il suo padrone de lì a giorni havere ottenuto licentia dal generale dell’armata turchescha d’andare in Bascha con sette galeote, et essere state quelle prese dalle galere di Spagna in Minorica; la qual cosa è giudicata quasi da tutti essere falsa, non essendosi quest’ anno tal cosa mai sentuta, le quai cose fanno che l’huomo venga dubitar male di esso ; e per non esser più prolisso, faccio fine. Et a Vostre Signorie Illustrissime, quale piacia al Nostro Signore Dio conservare in sua buona gratia sempre con perpetua quiete del suo stato, et augumento, humilmente mi raccomando. Di Levanto, alli 19 di novembre 1565. Di Vostre Signorie Illustrissime humile servitore fedele sudito Santi Figolo. Extra: Al eccellentissimo signor duce et illustrissimi signori governatori della eccellentissima Repubblica di Genova, signori et padroni suoi osservandissimi. In Genova. — 687 — XIII. Memoriale inviato alla Repubblica dal cardinale di Pisa per 1’ arresto del Bartoccio. R. Archivio di Stato (Secret, f. 1) 16 ottobre 1567. Parteno, et, per quel eh’ habbiamo inditio per Genevra, un Bar-tholomeo alias Bertoccio da Città di Castello, con un altro compagno 0 servitore chiamato Coletta, et con essi altri compagni, et anco un cavalliere di Malta, che forse è di età di 50 anni in circa, con barba bianca, et vengono dal regno di Napoli, et sono passati per Roma, et detto Bertoccio va in paesi d’heretici sotto specie di mercantie con li predetti altri; et perchè importa molto al santo officio haverli ne le mani per molti rispetti, essendo grandemente inditiati di heresia, si tarda fare dilligenza di trovarli et pigliarli prigioni con tutta la compagnia che si troverà insieme col detto Bertoccio, che dubitamo siano sei in tutto, et con buona custodia ritenerli ad- instanza di questo santo officio. Et per poterli havere più facilmente, i contrasegni di Bertoccio sono questi: che è di età di anni 30 overo 35 in circa, di statura honesta, di barba che tira al castagnaccio nè magro nè grasso, e di viso bianco, con un buricco di panno mischio; il Coletta servidore è di statura piccola, di età di anni 45 in circa, magro, con barba nigra meschiata di peli bianchi fatta a la napolitana, che si tiene sia napolitano, 0 del Regno, porta un tabarro negro et capello di feltro. Si tiene che in compagnia di detto Bertoccio ci sia un Giovanni Battista Benevoglienti senese. Il detto Bertoccio tiene amicitia con Ascanio hoste di Torriniero di qua di Siena, et in Siena con un Battista Velettano. Partirno di Roma sabbato di mattina, che fu il di xi del presente. Saranno avertiti a levarci subito libri lettere scritture, che vi si troveranno et haverne buona cura. Detto Bertoccio fa professione di mercante, et ha litere adosso di cambio con contrasegni dela sua persona, che alcuni dicono che sia di barba negra et altri castagnaccia. — 688 — XIV. Lettera del doge e dei governatori al cardinale di Pisa sull* arresto del Bartoccio. R. Ardi. (Secret. filza i) 21 ottobre 1567. Illustrissimo et Reverendissimo Monsignore, Le diligenze usate di ordine nostro hanno partorito frutto: il Bertùccio è stato preso et è in prigione, ove si tiene ben custodito, nè fin qui vi si truovano scritture d’importanza; investigandolo tuttavia li ministri nostri e truovandosene alcuna, si custodiranno. Il cavagliere di Malta d’un’hora prima, che si aprissero le lettere di Vostra Signoria Illustrissima, si era partito per Lombardia, alla quale volta si è spedito un corriere incontanente, con ordine che sia fatto prigione; tuttavia non si è potuto odorare, nè haver riscontro alcuno de’ nominati nel detto memoriale. Habbiam perciò dato ordine che, sotto bel modo e con destrezza tale che non porga sospettione, s’investighi a tutte l’hore se costoro capitassero, o si potesse scuoprire vestigio alcuno de’ casi loro, per assicurarsene e farli prigioni, conforme a quanto Vostra Signoria Illustrissima ce ne scrive. Il medesimo ordine habbiam dato nel contorno, e particolarmente a Lerice, Sestri e Sarzana, per esser luoghi di passo e di frontiera, ove facilmente possono dar nella rete; et tali diligenze la naturai nostra religione, l’ossequio che a Sua Santità portiamo, el molto desiderio che vive in noi di servire a Vostra Signoria Illustrissima ci spingono in maniera, che ogni altro stimolo rimane soverchio presso di noi. Se il disegno ci riuscirà, e di quanto si è successo, deremo aviso a Vostra Signoria Illustrissima e Reverendissima, quando porti la sorte che ancor si truovi sulla nostra giurisdittione. Il Colletta, per quanto narra il Bertoccio, è rimaso a Roma debbile di un piede, per il qual disagio mancandogli modo di cavalcatura, haveva in animo di fermarvisi alcuni pochi giorni per rinforzarsi al travaglio del camino. Servitori fin qui non se ne scuopre alcuno, da un savonese in poi, che si è accompagnato col Bertoccio di camino. La diligenza si usa tuttavia per scuoprir gl’ altri, e di quanto succederà di mano in mano daremo - 689 — aviso a Vostra Signoria Illustrissima, alla quale preghiamo ogni contento. Di Genova, a xxi di ottobre 1567. Poscritta. — Fra le sue scritture si è ritrovato un libro de commentarii di Cesare tradotti in italiano, e qualche papeli di conti pertinenti a negotii di sete. Al servitio di Vostra Signoria Illustrissima e Reverendissima Il duce e i governatori. XV. Lettera del doge e dei governatori al cardinal S. Clemente sulla consegna del Bartoccio c le raccomandazioni di Ginevra e di Berna. R, Archivio (Lett. a card. m. 6) 28 novembre 1567. Illustrissimo e Reverendissimo Monsignore, Possono essere due mesi che Monsignor Illustrissimo di Pisa, in nome di Sua Santità e di cotesto santo officio, ci fece per letere molta instanza, capitando qui un Bartholomeo Bertoccio di Città di Castello, come sospetto di eresia, fosse arrestato e messo prigione. Il che da noi inteso, incitati da quel zello che vive in noi verso il mantenimento della religione, e dalla osservanza particolare che a Sua Beatitudine portiamo, si fece usare diligenza tale che il Bertoccio assai presto dette nella rete, et così fu posto prigione ; e datane aviso costì al sudetto Monsignor Illustrissimo, rispose, in nome di Sua Santità e del detto santo ufficio, che lo dovessimo far consegnare alla signora Ginetta Doria, per imbarcarlo sopra le galere che si apprestavano per Civitavecchia. Così ritenutolo in carcere presso due mesi, e con molta diligenza riguardatolo, tre dì sono che lo mandamo a consignare alla detta signora, nella quale, per esserle stato revocato 1’ ordine dell’ andata delle galee, trovamo difficoltà nè volerlo ricevere per non haver lei passaggio pronto a poterlo inviar costì; e così si è rimesso in carcere. Assai presto sopragionse un messaggiere dell’ università — 690 — di Genevra e del cantone di Berna con la coppia delle litere clic inchiodiamo alle presenti, le quali in vero ci hanno dato altera-tione, considerata la natura degli huomini, e li molti interessi che habbiamo ne’ loro paesi, per dove passeno forzatamente tutte le merci, e gran parte del contante, che si traffica verso la Fiandra, Lione e l’Alemagna. Ci ha anco perturbati l’essere quella natione assai incolta di costumi civili, e poco usata a regolarsi con la ragione, e non meno avida che debole di facoltà; il che ci fa tanto più temere, che, spinti da questa occasione quantunque nefaria, non trascorrino a qualche disordine, e rompendo il traffico per essere il negotio, coni’ella ben sa, cosa gelosa, non ne risultino nocumenti maggiori. Dall’altro canto, quando così importi alla religione e prema a Sua Santità che questo prigione le sia pure inviato costì, siano forti consentir a noi stessi esser ragionevole che il servizio della religione e la mente di Sua Santità si anteponga ad ogn’ altro humano rispetto. Egli è vero che quando, senza molto detrimento, si potesse rilasciar costui e mandarlo in quelle parti di Helvetia, dove habita da anni in qua, non possiam negar che non lo vedessimo volentieri, per fugire l’occasione di non urtare con quella barbarie di gente incapace di ragione. Habbiam perciò risoluto di scriverne a Sua Santità in credenza di Sua Signoria Illustrissima, la qual preghiamo che resti servita narrar distintamente a Sua Beatitudine ogni cosa, e sopplicarla in nome nostro, quando già non premesse altrimenti e che il servigio di Dio non fosse per riceverne molto detrimento, che degni farci gracia e sodisfarci che possiamo rilassar il detto Bertoccio, e liberandolo di carcere acquettar l’alteratione di que’ barbari, coi quali schiviamo volentieri ogni occasione di disconcerto per le ragioni di sopra allegate. Non lassando però dire a Vostra Signoria Illustrissima, che, quando altrimenti paia a Sua Beatitudine, noi siamo per pigliare sempre in molto grado quel che a lei occorrerà che convenga, e per posporre sempre ogni nostro risico et interesse a quel che possa esser mente di Sua Santità e servizio della vera religione. Vostra Signoria Illustrissima è non men pia che prudente, conosce Tesser nostro, onde si assicuriamo che governerà questo negotio con quel riguardo e delicatezza che conviene, non — 691 — mancando di vivere in qualche ansietà, che di tal fatto non possa essere che ne risulti qualche disturbo al traffico. Fin di all’ hora, o poco di poi che fu preso il Bartoccio, fu preso anco per simil conto un cavaliere di Malta francese, del quale, essendosene dato aviso per due volte al detto Reverendissimo Monsignor di Pisa, non n’habbiam più qui ricevuta altra risposta. Sarà perciò contenta Vostra Signoria Illustrissima ragionargliene, a fine che sapiamo quel che dell’ uno e dell’altro se ne doverà disporre, perchè non segua confusione. Sotto il vello delle letere di Sua Santità, Vostra Signoria Illustrissima conoscerà quale è la privata in credenza sua per conto del Bertoccio ; e Nostro Signore la consoli. Di Genova, a 28 di novembre 1567. Di Vostra Signoria Illustrissima e Reverendissima Deditissimi Il duce e i governatori. XVI. Lettera dei sindaci c del senato dilla città di Ginevra riguardo al Bartoccio. R. Arch. (Lett. di principi, mazzo 6). 6 novembre 1567. Illustrissimi ac excellentissimi domini. Bartolomaeus Bartocius, qui iam annos plus duodecim est subditus noster, cum ex Sicilia atque Neapoli rediens, quo ad emenda serica atque alias merces se contulerat, et ad urbem vestram appulisset, conficiendi etiam cuiusdam negotii causa, ad mercaturam spectantis, ut accepimus, a vobis captus est, et in carcerem coniectus. Et cum non possimus suspicari ullam aliam ob causam id ei evenisse, quam religionis nomine, maximam nobis admirationem adtulit, praesertim cum nostri homines antehac iam diu in nostra urbe versari atque negotiari semper libere consueverint, nunc repente, nulla prius indicatione facta, quo minus id illis amplius haud licere appareret, ut apud omnes gentes moris est, et ut omne ius et fas postulare — 692 — videtur, eo statim ventum sit ut nostrates capiantur et in carcerem coniiciantur solo religionis nomine. Quod quidem cum per se nobis maxime molestum sit, propterea quod commercium et negociatio, quae adhuc inter nos semper libera fuit, hoc modo prohiberi et tolli videtur; tum ipsius Bartocii causa, quem propter singularem probitatem sinceritatem atque industriam unice amamus, non secus ac si ex antiqua origine civis noster esset. Propterea certum hominem hisce cum literis ad vos mittendum decrevimus, quibus illum vobis quam fieri potest, maxime et diligentissime commendamus petimusque et rogamus suppliciter clarissimam atque amplissimam Rempublicam vestram, ut nobis hunc hominem subditum nostrum, quem summopere amamus, et cupimus salvum atque incolumem ad nos et ad coniugem liberosque redire e carcere liberum curetis ; praesertim cum is nec dogmatizaverit umquam, nec ulla in re, quod sciamus, vestris unquam legibus ac decretis adversatus fuerit, et potius ut velitis id commercium quod adhuc inter nos semper liberum atque inviolatum fuit, servare , quam ut huiusmodi offensionibus tollatur, quod quidem nostris repusbu-blicis nec privatis utilitatem, nec beneficium ullum afferre potest. Quod si a vestra amplissima atque clarissima Republica impetramus ut speramus, et maiorem in modum supplices petimus, pollicemur vobis perpetuam apud nos tanti beneficii memoriam retenturos, et vobis parem vel maiorem gratiam relaturos, si occasio aliquando se obtulerit, ut id efficere valeamus quod cupimus, nec commissuros unquam ut vos poeniteat beneficii in nos collati. Valete. Datum Genevae, vi novembris 1567. Vestrae Amplitudinis studiosissimi Syndici et Senatus civitatis Genevae. - 693 — XVII. Lettera della repubblica di Berna alla repubblica di Genova intomo al Bartoccio. R. Arch. (Lett. di principi, m. 18). 17 novembre 1 $67. Illustrissimi excellentissimique viri Cogimur propter morem nostrum vobis litteris nostris esse molesti, sed speramus vos pro dexteritate vestra in bonam partem omnia interpretaturos, cum nihil a vobis petamus quod nos ab hominibus nobis (ut speramus) amicissimis obtinere diffidamus; nempe liberationem Bartholomei Bartocii, civis clarissimorum nostrorum confoederatorum urbis Genevensis, quem post ipsius ex Sicilia atque Neapolis reditum (quo ad emenda serica atque alias merces se contulerat) cum ad urbem vestram appulisset, conficiendi etiam cuiusdam mercatorii negotii causa, in carcerem coniectum fuisse resciverunt, non aliam ob causam, ut suspicantur, quam religionis: rogantes propterea ut ipsorum hoc nomine ad vestram dominationem scriptas literas favore nostro comitari dignaremur. Quod illis, cum propter vinculum necessitudinis ex foedere, tum ob predicti Bartocii nobis cognitam probitatem et integritatem denegare non potuimus, obnixe a vobis petentes ut causam Bartocii in gratiain nostri commendatam habeatis, eumque salvum et incolumem ad coniugem liberosque redire, et a carcere liberare curetis. Idque ut faciatis vel sola haec ratio vobis persuadere debet, quod vestris mercatoribus et mercibus inter nos hucusque, per totam nostram iurisdictionem et foederatorum nostrorum, liberrimus est semper commeatus, neque ullo modo in religionem eorum vel saevitur vel inquiritur. Quod si pergatis nos religionis, ergo nostros fae-deratos insectari, cogitandum nobis de talionis lege est, quam nisi lacessiti hactenus exercere antiquam statuimus: neque hoc nobis remedio opus esse speramus, confisi vestra mutua clementia et mansuetudine commixta cum magna prudentia, que honestatem civilem et modum in rebus omnibus pulcherrimum suo magisterio — 694 — fovent et gubernant. Valete, viri illustres nobiles et magnifici no-bisque plurimum honorandi, intercessionis nostrae pro Bartocio memores. Bernae, 17 novembris 1567. Consules et Senatus Reip. Bernensis in Helvetia. XVIII. Lettera del doge e dei governatori di Genova alla repubblica di Ginevra sopra 1’ arresto del Bartoccio. Arch. di Stato in Ginevra (Piéces historiques, 11. 1841). 28 novembre 1567. Extra: Illustrissimis dominis Sindicis et Senatui civitatis Geneve, amicis nostris charissimis. Illustrissimi domini. Amavimus quidem semper studia erga nos vestra, et singularem fidem quam in omni actionum genere pre-statis. Mercatores etiam ipsi nostri, qui ad vos commeare atque illae iter facere consueverunt, nihil vestris finibus tutius, nihil vobis ipsis amantius fieri posse praedicant. Quae quidem res in eam nos mentem multis abhinc annis adduxit, ut vobis obsequi omnibus in rebus, si se det occasio, magnopere cupiamus. Quod vero ad Bar-tholomeum Bertocium pertinet, cum eum italum esse videremus, qui in civitate Castelli ac summo pontifici subditus natus esset, ut Bertocius ipse apud nos fassus est, litterasque a Sanctitate Sua accepissemus qui diceret ac magnopere a nobis contenderet, Bertocium natione italum ac sibi subditum in carcerem trudi, paruimus, certioremque Sanctitatem Suam fecimus de Bcrtocio capto, ut quid nos facere vellet ostenderet. Atque ille captum esse hominem laetari, affirmare etiam nosque obtestari, ut hominem primo custodiendum, deinceps vero Romam vehendum primo quoque tempore traderemus, quod factum esset, si importuna navigandi tempestas hactenus non fuisset. Interim vero vestre nobis littere redduntur, quibus Bertocium civem genevensem effectum esse demonstratis captumque doletis. Qui quidem nuncius parem nobis - 695 — molestiam animique moerorem attulit, non enim in manu iam nostra est, vobis obsequi Bertociumque missum facere, qui ad arbitrium Pontificis servetur, ipsiusque nomine custodiatur. Quod si suscipere volueritis partes nostras remque quo pacto se habuerit cogitatione vestra animoque complecti, reperietis profecto, neque nos Pontifici maximo deesse potuisse, qui italum hominem et sibi subditum posceret, neque iccirco amicitie nostre commercioque quod inter nos viget aliquam a nobis iniuriam esse factam. Interim vero, ut cognoscatis nullum nos genus officii praetermittere, quo Bertocium sublevemus vobisque, ut cupimus, si fieri possit, obtemperemus, litteras ad Pontificem Maximum dandas esse decrevimus, ac summo ei studio supplicare ut fidem hac in re nostram liberet nobisque permittat ut voluntate sua Bertocium in libertatem vindicemus. Quod si impetramus, gaudebimus uterque nostrum ac magnum quiddam assecutos nos esse existimabimus ; sin minus, dolebimus certe summum in nobis vestri obsequendi studium a summa itidem difficultate impediri. Bene valeant illustrissime dominationes vestre, et quo maiora quaeque fuerint eo fidentius a nobis et postulent et expectent. Datis Genue, xxvm novembris MDLXVII. Illustrissimarum DD. VV. studiosissimi dux et gubernatores reipub. genuensis. XIX. 11 cardinale S. Clemente al doge e ai governatori sulle premure fatte per liberare il Bartoccio. R. Arch. (Lett. di card. m. 6) $ dicembre 1567. Poi, a parte, io presentai l’altra litera per conto di detto Ber-tocci, et esposto il caso a Sua Beatitudine in quella miglior maniera che seppi, et dimostratoli il gran pericolo che correva la — 6y6 — nostra natione che di continuo havea da passare per quelli paesi con suoi denari et merci preciose, et il poco benefitio che riceveva la christianità di estinguere un ugonotto di più o di manco, che era come ammazzar una mosca in Puglia , massime non essendo costui teologo, atto a persuadere et pervertire, ma più presto mercante, per quanto ho compreso, per le copie di quelle litere, con altre ragioni che per brevità non riferisco. Nondimeno è tanto il zelo di questo Santissimo Pontefice, et lo stimulo perpetuo intorno alle cose della religione, et l’odio verso li heretici, che si mostra durissimo et severissimo senza apena volermi lasciar finir di parlare, non volendo a modo alcuno lasciarsi persuadere di liberare o rilasciare un heretico di prigione, nè parendoli poterlo far con buona coscienza, con dir ancora, che Vostre Signorie Illustrissime potevano molto bene scusarsi appresso a quelle brigate che costui era vassallo del papa, et che ultimamente era stato in Roma, et cercato di sedurre alcune persone nella sua mala strada, et che Sua Santità lo havea domandato a Vostre Signorie Illustrissime, qual glie l’havevano concesso, et messolo su le galee del re catolico per condurlo a Roma, et perciò non potevano mancare della concessione et parola loro; et che quando elle fossero libere, volentieri l’hariano rilasciato. Et replicando io che quelli barbari non restariano capaci di queste ragioni, ma fariano facilmente qualche bestialità verso i nostri negocianti, quale non si potria rimediare, se non forse con molta indignità et mala sodi-sfattione della nostra città tanto cattolica et devota di Sua Beatitudine, ella, en quel punto, fece chiamare li reverendissimi inquisitori , de quali si trovorno solo doi, cioè Pacecco et Gambara, et narrato loro il caso, le Loro Signorie Illustrissime, già prevenute da me, fecero buon’ offitio, rappresentando a Sua Santità li molti meriti et ubidienza della nostra repubblica, et la sincerità di tutto quel dominio, del quale non era il più cattolico in tutta Italia, come vedemo tutto il giorno per isperienza, et che si saria potuto far essaminar costui per intendere qualche complice, et particolari, et poi lasciarlo scappare nella mal’ hora, come già si fece in tempo di Pio quarto d’alcuni favoriti del duca di Sassonia prigioni in Roma, che si lasciamo andare per paura che quel duca non fa- - 697 — cesse amazzare li nostri nuntii che andavano per Germania intimando il concilio; et che cosi Sua Beatitudine dovea haver riguardo che la nostra città non riportasse qualche pregiuditio notabile della sua icligione, ma conservarla, accio ch’ella non si raffreddasse in altre simili occasioni. Sua Santità a questo rispose che non ci era pericolo che per questo coloro dovessero violar le strade et impedire il comertio, et quelle litere erano prò forma et si davano ad ogn uno. Al che fu risposto che quelle litere erano molto seriose , et non mostravano d’ esser mendicate. ma che la cosa li premesse molto; fu anche ricordato che si saria potuto lasciarlo andare et farlo poi prendere nello stato di Milano, et sua Santità rispose eh’ egli non haria presa tal strada, ma quella di Piemonte o di Ptovenza, et all ultimo si restò di pensarci alquanto, riveder meglio le litere et quest’ altro ordinario dar risposta a Vostre Signorie Illustrissime. Pero invero io ci spero molto poco, vedendo Sua Beatitudine tanto ardente et rigorosa in queste materie. Non mancarò di far altri uffitii col Reverendissimo di Pisa et alcuni consultori, per disponer, se si potrà, T animo di Sua Santità a levar \ ossignorie Illustrissime di questo travaglio, et saranno avisate del successo, esortandole, in ogni caso, a prender in buon grado la riso-lutione che farà Sua Beatitudine sorretta dallo Spirilo Santo. Et con dire alla terza litera loro in favore del provinciale di San Francesco, che io non li mancarò, come non ho mancato per il passato d’ ogni buon’ offitio maggiormente per servitio di quelle, ma che la via di cacciarlo di travaglio saria che Vossignorie Illustrissime li facilitassero il mandare quel frate prigione da Lerici a Pisa, farò qui fine per non tediarle più; et di tutto cuore me le offero et raccomando. Di Roma, li 5 di decembre 1567. Di VV. SS. Illustrissime Deditissimo Il Cardinale di S. Clemente. — 698 — XX. 11 cardinale San Clemente al doge ed ai governatori intorno al Bartoccio. R, Arch. (1. c.), 12 4>cembre IS67. Illustrissimo et Eccellentissimo et Illustrissimi Signori Per le mie con l’ordinario passato Vossignorie Illustrissime hanno inteso quanto io havevo trattato nella causa del Bertoccio con Nostro Signore, et la renitenza di Sua Santità al desiderio di quelle, et poi la dilation presa insino al giorno d’ hoggi a darmi la riso-lutione della volontà sua. Et se bene tutta questa settimana io non ho cessato d’informare questi illustrissimi signori della qualità di questo caso, per poter col mezzo loro disponer 1’ animo di Sua Beatitudine a sodisfar Vossignorie Illustrissime, et più fatto veder a quella il capitolo dell’ ultima loro de cinque ricevuta hieri, nondimeno tutti li conati et travagli sono stati vani, resistendo Sua Santità in dire che ella non può senza grande offensione de Dio et della conscienza consentire che un heretico sia lasciato andare in perditione dell’ anima sua et con pregiuditio della religione , facendosi il Sant’Uffieio gran capitale d’haver quest’huomo nelle mani, qual’ 6 stato mandato a posta in Sicilia, Napoli et Roma, et per tutta Italia a seminar questo veleno, et far pestiferi uffitii per se-dure simili persone, come particolarmente ha fatto in Roma, et quei tali sono prigioni, et perciò si pensa con la presenza di costui qui scoprire del male assai, et le altre seduttioni che egli ha fatto in tutto questo suo viaggio, per poter rimediare che li suoi conati non habbino effetto. Pare anche tuttavia a Sua Beatitudine che Vostre Signorie Illustrissime, per la religione loro et perpetua professione che hano veramente fatto di cattolici prencipi, dove si tratta di pregiuditio della fede, non habbino a mirare ad alcuno interesse particolare di temporalità, ma sperare in Dio conservatore de tutti i stati che non li lasciarà patire di questa loro devotione et obe-dienza verso il suo vicario; massime potendosi Vostre Signorie Illustrissime molto bene iscusare con quei barbari, che inaliti la - 699 - ricevuta delle loro litere il Papa havea mandato a far ritener costui, quale restava prigione di Sua Santità, et che Vossignorie Illustrissime non potevano nè dovevano levarli il suo prigione, massime essendo lui vassallo di Sua Beatitudine et havendo presunto di dogmatizzare et sedur catolici in tanti luoghi, et in Roma istessa sugli occhi di Sua Santità. La quale insomma è risoluta voler costui ogni modo nelle mani, et fa scrivere questa sera a Vostre Signorie Illustrissime che voglino consigliarlo alla signora Ginetta Doria, che haverà cairico di mandarlo qua, com’ elle vederanno per il breve di Sua Beatitudine et litera del Reverendissimo di Pisa. Et pur questa sera di notte (essendo io restata hoggi in letto per un poco d’indispo-sitione, 1 illustrissimo cardinale di Gambara, come uno dei reve-rendissimi inquisitori, è venuto personalmente di volontà di Sua Santita a dirmi questa ultima risolutione fatta hieri in congregatione della Santa Inquisitione, et confirmata questa mattina in consistorio. Io non mi estenderò in replicare a Vostre Signorie Illustrissime le ragioni et fondamenti allegati a Sua Beatitudine per divertirla da questa opinione, cosi da me come da alcuni di quelli illustrissimi signori, per non tediarle, et havendole toccate in gran parte nella litera mia passata: solo le avertarò aver scorto in Sua Santità una buonissima volontà et grande inclinatione verso quella republica, et in questo particolare molto sentimento di non poterla gratificare per le cause sopradette; al che s’aggionge il zelo suo perpetuo et infinito in questa materia della religione, che Io rende inessorabile in cosa alcuna, benché minima, che possa pregiudicare, et tanto più in questa che non si può negare esser di molta consideratione. Et perciò le essorto et prego quanto più posso a prender in buona parte questa deliberatione di Sua Santità, ^t risolversi di abbracciarla con tutto l’affetto dell’animo, come cosa dettata dallo Spirito Santo, massime essendoci stata Sua Santità otto giorni sopra et consultata bene; et in somma, con la solita devotione et ubidienza loro verso Sua Beatitudine et questa Santa Sede essequir la volontà di quella, rendendosi sicure che ella lo riceverà per gratissimo servitio, et per segno indubitato delia lor devotione et osservanza, per doverne tenere buon conto et grata memoria in tutte le occasioni che se li offriranno a benefìtio di — 700 — quella repubblica, oltre il merito che acquistaranno appresso a Dio di opera così lodabile et pia; senza stendermi più oltre per non mostrar diffidenza, come non ho, della molta bontà, et prudenza loro. .......................(parla d’altro). » XXI. 11 doge e i governatori al cardinale di Pisa intorno al Bartoccio. R. Arch. (Lett. a card. m. 3). 27 dicembre 1567. Illustrissimo e Reverendissimo Monsignore Può tanto in noi il zelo della relligione et 1’ osservanza che portiamo a Sua Beatitudine, che ha vinto agevolmente ogni rispetto humano, essendo noi ben rissoluti di correre ogni fortuna per servire a Dio et ubedire a Sua Santità, et tutto che temiamo assai a casi nostri, sì per la natura di quei barbari poco capaci di ragione, come per esser noi nati al traffico et al commercio, che ci costringe a cadere nelle mani di quella gente, non di meno presupponiamo sì grande utile in somigliare a noi stessi nel zelo della relligione, che possa et debba risarcire ogni danno che sia per rissultarcene. Onde godiamo negli animi nostri nel vedere che l’universale de nostri cittadini, ancor che palpino e conoschino il risico, lo sprezzino nondimeno, e così alacremente pospongano P interesse proprio a quel che possa in alcuna parte offendere il servitio di Nostro Signor Dio, e la mente di Sua Beatitudine. Si consegnerà donque il Bertochio et il cavagliere insieme, alla signora Ginetta D’ Oria, con la prima occasione che si presenti di passaggio: sicuri che Sua Beatitudine gradirà piamente il zelo della relligione nostra; et così resterà servita Vostra Signoria Illustrissima di darlene parte in nome nostro, che sarà il fine di questa con raccomandarci et offerirci a Vostra Signoria Illustrissima e Reverendissima di tutto cuore. Di Genova, li 27 di decembre 1567. — 70i — XXII. Il doge e i governatori al card. S. Clemente sugli eretici scoperti a Genova nel 1568. R. Arcb. (Lett. a card. m. 6) 6 febraio 1568. Illustrissimo e Reverendissimo Monsignore Habbiam sentita molta sodisfattione che Sua Santità si sia acquetata alle ragioni che si addussero per conto del Petricciolo, e ne rendiamo a Vostra Signoria Illustrissima molte gratie, per il travaglio che ha preso di rendernela capace. Haverà forse inteso di qualche beretici che si sono scuoperti qui, ma perchè spesse volte la fama et il grido alzano le cose sopra il vero, ci è parso per consolatione sua dirle che la cosa è assai leggiera, sì perchè non è in sè di molto mala natura, sì anco perchè si tiene l’auttore di questa peste, e per non essere i complici persone di molta consideratione e non più d’otto in dieci, contro i quali si procede con quel rigore che conviene alla religione nostra per purgar ben bene, e spianare compitamente ogni cosa. Se Vostra Signoria Illustrissima sentirà ragionarne, potrà informarne Sua Santità, quando ella ne vivesse in pensiero. E con tal fine, a Vostra Signoria Illustrissima e Reverendissima ci offeriamo e raccomandiamo. Di Genova, n di febraro 1568. Di Vostra Signoria Illustrissima e Reverendissima Devotissimi Il duce e i governatori. Atti. Soc. Lig. St. Patria. Voi. XXIV fase. 2.0 45 — 702 — XXIII. 11 cardinale Lomellino al doge ed ai governatori, sulla sodisfazione provata dal Pontefice per il contegno tenuto dalla Repubblica contro gli cretici. R. Ardi. (Lett. di card. ni. io) 20 febbraio i$68. Eccellentissimo et Illustrissimi Signori miei osservandissimi. Essendo io di partita per Sarzana, come già avvisai questi giorni passati le Signorie Vostre Illustrissime, andai l’altro dì a licentiarmi da Sua Santità, et con quella occasione le feci vedere un capitolo d’ una lettera che da monsignor vicario costì dell’arcivescovado mi veniva scritta, intorno alla captura fattasi delli heretici nuovamente scoperti in cotesta città. Il quale sì per esser molto particolare del modo come è passato questo fatto, et sì anco per le provisioni et diligenze che diceva essersi usate et usarsi per le Signorie Vostre Illustrissime, le piacque tanto, clic non poteva satiarsi di comendarnele, nè a bastanza esprimere la consolatione che sentiva di veder che in questo male cosi bene et santamente procedessero, et mi avidi in vero che non gli haverei potuto dir cosa che più le fosse stata grata; perchè, se bene da altra parte della medesima captura era stata avvertita, gustò però assaissimo et udì con molta atentione l’aviso mio, et mi disse che delle cose di costì di questa sorte ella non se ne pigliava un pensiero al mondo; et voleva lasciare la cura tutta alle Signorie Vostre Illustrissime, perchè era certissimo eh’haverebbono fatta da quelli veri catholici et christiani signori che sono stati continuamente. Et di qui essa entrò a dirmi come per questo haveva sempie amato cotesta città come sua propria patria, et tenutasi proprio genovese, et desiderato la quiete et bene della repubblica nostra al pari di noi stessi genovesi; et in questo proposito seguendo largamente, mi commise che come mi trovassi con le Signorie Vostre Illustrissime, le facessi fede di tutto il sopradetto. P«iò, havendole io non pure promesso di esseguir il suo comandamento, ma ancora fatto benissimo testimonio che alle Signorie Vostre Illustrissime io darei la miglior nuova del mondo, non ho voluto - 703 - tardar al tempo che haverò da essere costà per dirglielo, ma mi è parso scriverglielo sin da hora, afinchè elle comincino a sentir la contentezza che debbono per vedersi tanto amati et in gratia del santissimo vicario di Christo; et perchè anco sia questo loro un nuovo ricordo di haver ad usar ogni sorte di esquisita et possibilissima diligenza per estirpar a fatto di costì tutta questa mala semenza, perchè tanto la Beatitudine Sua si promette et spera dalla bontà et religione delle Signorie Vostre Illustrissime, et anco perchè è causa così congiunta col honor di Dio come alla salute particolare della città. XXIV. Il doge e i governatori al cardinale di S. Clemente sui processi d’eresia fatti nel 1568. R. Arch. (Lett. a card. m. 6) 13 marzo 1568. Illustrissimo e Reverendissimo Monsignore. Habbiam visto quel che ci scrive Vostra Signoria Illustrissima intorno al Bertoccio, e, quantunque sia soverchio, la preghiamo a pigliarsi carico della liberatione sua fin dove honestamente si potrà condonare a suoi delitti, temendo noi assai che quei barbari non vengano a qualche rottura, che interrompa poi il traffico e porti seco maggior disordine ; ma Sua Santità saprà discernere meglio di ogni altro ove più consista il servitio di Dio, e però, dove possa farlo senza molta offesa, si assicura la sua paterna benivolentia che vedrà di consolarci con levarci d’intorno questo travaglio. Le novità seguite qui in materia di heresia han dato sempre a noi poca alteratione, essendo sparsa in poco numero fra persone di bassa consideratione seguita a caso e senza fondamento alcuno, e, come ben dice Sua Santità, l’infermo che vuole esser curato, è quasi guarito, giontovi poi li rimedii facilmente si risana; nè noi per questo intendiamo essersi punto maculata quella castità che habbiamo sempre mantenuta nell’ intiera e inviolabile osservanza — 7°4 — della religione, riputando quest’ accidente una primavera in mezzo al verno, che nel fiorir si estingue. Questi signori dell’inquisitione hanno atteso et attendono alla cura con soma diligenza , e noi habbiam questo negotio per principale, e porgiamo tutta l’autorità et aiuto possibile per estirpare a fatto la radice di questo male, per renderne ben purgata la città nostra, onde ne risulti il vero servitio di Dio, in molta sodisfattione di Sua Beatitudine a salute e gloria nostra. Et a questo fine mirando, si va governando la cosa con quel riguardo che conviene per non lassare star adietro appendice alcuna, che possa in alcun tempo giamai dar matteria de qualsivoglia minimo errore, e tanto ci reputiamo debitori a ben aprire et purgare questa piaga, che però per se stessa con molta facilità va risanando, che Sua Santità può molto ben riposarne; e questo diciamo per vostra sodisfattione, sicuri che Vostra Signor^ Illustrissima riceverà a molto contento ecc. XXV. Il cardinale di S. Clemente spiega al doge ed ai governatori perchè il Papa non ò più contento del-1’opera di essi contro gli eretici. R. Arch. (Lett. di card. m. $) 19 marzo 1568. Illustrissimo et Eccellentissimo et Illustrissimi Signori In risposta della di Vostre Signorie Illustrissime de xii, li dirò prima che io non manco in ogni occasione di ricordare a Sua Santità il caso del Bertoccio, acciochè quanto prima sia spedito et restituito a quelle; et si bene Sua Beatitudine non mi ha voluto promettere, nondimeno dalle sue parole ho concetto buona speranza, quale tuttavia terrò viva, acciò si conduca un giorno a fine come intenderanno a suo tempo. Le novità seguite costì di heresia, si bene sono spiaciute assai a Sua Santità, pur si era quietata con la buona speranza di rigorosa dimostratione datali anche in nome di Vostre Signorie Illustrissime. Però, esendosi inteso la dolcezza grande con la quale si è proce- — 705 — duto e si procede contra calvinisti, die hano fatta la cena all’he-retica, che non si può dir peggio, ha causato alteration grande a tutto questo santo officio, di modo che, per quanto ho inteso, hanno legate le mani a quell’inquisitore che sia tenuto consultar ogni cosa, et non possa risolvere senza l’ordine di qua, finché si proveda di miglior instrumento et che con la venuta dell’arcivescovo si possa prender maggior fede di quel governo. Et per dir a loro il tutto, la liberatione di quel Marsilio che meritava la galea o una carcere perpetua, ha causato tutto questo romore, et è mancato poco che non se sia fatto venir qua per rivangar la sentenza. Scriveno poi di costi che quelle cause non si tengono nella debita riputatione et secretezza, come cause pecuniarie, et sono raccolte da huomini et donne senz’alcun freno, diversamente da quello si deve far di ragione et si osserva in questa corte, dove niuno ardisce parlarne. Io attribuisco il tutto all’essere il tribunal di costi ancora nuovo et rozzo, che Dio voglia sia così longamente. Però ne ho voluto dar avviso a Vostre Signorie Illustrissime, acciochè elle possino applicare a questi disordini quelli rimedii che le detterà la molta prudenza loro. Quanto alle monache il concilio di Trento ne affida la cura all’ordinario, ma a Genova questi s’accomoderà a godere la compa-gnia di quello venerabile offitio delle monache, quale gli sarà di molto aiuto ecc. (Si parla d’altro indifferente). XXVI. Il, doge e i governatori giustificano presso il cardinale S. Clemente il contegno da essi tenuto verso l’eresia. R. Arch. (Lett. di card. m. $) 27 marzo 1368. Illustrissimo e Reverendissimo Monsignore Rendiamo gratia a Vostra Signoria Illustrissima della memoria che tiene del Bertoccio, havendo noi ricevuta molta consolatione della buona speranza ch’ella havea concetto delle parolle di sua — 706 — Beatitudine, la quale confidiamo che per sottrarci dall’imminente travaglio arriverà benignamente fin dove comporterà un moderato rispetto. Le novità seguite qui di heresie sono state esagerate costì più del dovere, che, sicome essendovi gli errori è cosa molto dovuta e necessaria l’estinguerli; così non conviene macchiar le cose più di quel che veramente sono. Nè qui vi si è proceduto o procede con quella dolcezza che si dice, e serebbesi consultata e regolata ogni cosa con tutti quei riguardi e circostanze che le qualità del delitto ricerca, e li sacri canoni dispongono. Nè il Marsilio era tanto gravato di colpe come si dipinge, perciochè egli non intervenne alla cena, anzi disputando talvolta con costoro, sosteneva le parti catolice, sicome li processi mandati potranno render pieno testimonio. Gli altri che hanno peccato più, sono ancor priggioni, e doverà risolversi il caso loro con quella rigorosa dimostrattione, che parrà convenevole: e noi vi haveremo parimente quella consideratione che conviene al servitio del Signore Dio et alla fermezza dell* esser nostro; si che Vostra Signoria Illustrissima può sostenere honoratamente il modo del procedere tenuto fin qui dal-1’inquisitione, et altri che intravengono in detto officio, essendosi governata ogni cosa con assidua diligenza, accompagnata da molta gravità; ringraziamo però Vostra Signoria Illustrissima degli amorevoli ricordi che ella ci dà............ XXVII. Credenziali di Pio V per monsignor Arcangelo Bianchi vescovo di Teano. R. Arch. (Bolle e brevi pontificii, m. i) 8 aprile r $68. Pius PP. V. Dilecti filii salutem et apostolicam benedictionem. Cum nihil nobis magis curae sit, quam ut pernitiosa damnatarum haeresum semina ex omnibus christiani orbis partibus, et praesertim ex ista inclyta civitate, quam in visceribus gerimus paternae dilectionis, - 707 - omni qua possumus solicitudine evellantur et extirpentur. Idcirco mittimus ad vos venerabilem fratrem Archangelum, episcopum theanensem, praelatum nostrum domesticum, virum eximia prudentia, doctrina, et catholicae religionis zelo praeditum, nobisque magnopere gratum atque probatum, qui causas omnes ad haereticam pravitatem quovis modo pertinentes istic iatn motas, et. in futurum quam diu ibi fuerit movendas, audiat, cognoscat, reassumat, et prout iustitia suaserit, ac iuxta sacrorum canonum constitutiones finiat, terminet atque decidat, quemadmodum ex aliis nostris literis ei directis latius vobis constare poterit. Quare licet non dubitemus vos pro singulari vestra sapientia, et erga catholicam religionem studio, quin sponte vos eidem Archangelo episcopo circa mandata nostra exequenda omnem opportunum favorem et auxilium prompte atque libenter praestaretis, cum potissimum id ad vestram populorumque vestrorum quietem ac salutem praecipue pertineat: tamen his nostris literis vos plurimum hortamur in Domino, et maiori quo possumus animi nostri affectu requirimus, ut in cunctis quae idem Archangelus episcopus a vobis pro praemissorum executione nostro nomine postulaverit, vestrae auctoritatis ac potestatis opem et operam ei alacriter exhibere velitis. Quod quidem cum praestanti vestra pietate ac prudentia maxime dignum, tum nobis, qui pro ovibus curae nostrae divinitus commissis fideliter custodiendis et conservandis assidue laboremus, maiorem in modum erit gratum et acceptum. Datum Romae, apud sanctum Petrum, sub annulo Piscatoris, die viii aprilis 1568. Pontificatus nostri anno tertio. XXVIII. Il doge ed i governatori si lamentano col cardinale S. Clemente delle pene inflitte da mous. di Teano, commissario pontificio, ad alcuni eretici in Genova. R. Arch. (Lett. a card. m. 6) 29 maggio i;68. Illustrissimo e Reverendissimo Dall’inchiusa copia di lettere che scrivemo a Sua Santità, vedrà Vostra Signoria Illustrissima l’alterazione in che viviamo per conto — 708 — dei casi occorsi qui in materia d’inquisitione, o, per meglio dire, del novo inusitato genere di castigo, che il vescovo, commissario di Sua Santità, ha in animo di volere dare ai rei, che in numero non son però più di quattro in cinque, avendo li altri peccato assai più leggiermente, per dove restano esclusi da sì rigorosa censura. Le ragioni che causano le habbiamo succintamente espresse nelle lettere a Sua Santità, come che in vero non pienamente, nè altro ci cade in consideratione che il mero servitio del Signore Dio, non essendo dubbio che quando seguisse qui una dimostratione tanto severa, o di galera o di quelT habito che suogliono portare in Spagna, ne seguirebbe scandalo nel volgo, e si darebbe materia alla moltitudine di maravigliarsi; e maravigliandosi, d’entrar incuriosita di saper le cause e gli articoli ove havessero peccato quei tali. Onde verrebbe facilmente l’imperita moltitudine a malitiarsi, et allentare a poco a poco quella schiettezza e sincerità di cuore, derivata dai maggiori nostri, tutta fondata in spirito, e tanto accetta a Nostro Signore Dio, quanto Vostra Signoria Illustrissima ben sa. Nè qui milita un’oggettione che puotrebbe esser fatta incontrario, che anzi la grandezza del castigo con più agevolezza verrebbe a tenere in freno il rimanente : vivendo noi qui in una città tutta zelo, tutta spirito e tutta devotione, avezza al bene non per isferza o per castigo, ma per uso, per istinto e per natura. Nella quale concorre anco una pietosa ambitione di conservare scrupolosissimamente quella filma e veri affetti di religione, che gli antichi nostri con molto espargimento di sangue hanno guadagnata e trapassata in noi; e, si come fin qui per proprio interesse di gloria, e per naturai istinto verso la catholica fede, sono stati i nostri huomini continentissimi e religiosissimi, così all’ incontro sarebbe da temere che, vedendosi punire di casrigo poco conveniente a quella professione eh’ han fatto sempre di molto catholici, non si reputassero per Tinanzi obligati a loro stessi, ma al castigo solamente di non trascorrere in materia d’ inquisitione; freno assai men forte e men gagliardo, di quel che possa essere la propria volontà accompagnata da un habito per infiniti secoli continuato nel bene, e da quella semplice fede che camina sempre inanzi, senza che trovi giamai scontro che la ritardi, essendo queste materie, com’Ella ben sa, - 709 — delicatissime, quando nel trattarle si travii dall’ uso antico, et non si maneggino con quel riguardo o leggierezza che conviene. E come in una donna giova assai a preservarla l’oppenione d’esser pudica, così in una vergine, come siam noi, rileva sommamente che et nelli effetti et nell’oppenione la verginità si conservi, riputandosi assai più ubligato alla natura humana a conservare quel che possede, che quando n’ha già fatto giattura o nell’ effetto o nella reputatione. È anco molto considerabile quella ragione e quel danno che seguirebbe da queste così severe dimostrationi, quando gli erranti, spaventati dall’asprezza del castigo, tenessero per l’innanzi occulto il veneno, nè ardissero di presentarsi spontaneamente, come hanno fatto questi rei, e confessar eglino stessi le colpe loro per esser benignamente ricevuti, come s’ è sempre osservato sin qui. Onde a questo modo, tenendo celato il peccato, verranno a pigliar habito nel male, e così più .difficilmente a sollevarsi; oltre che, disperati del perdono, s’ingegneriano di contaminare altrui; et a questo modo, in processo di tempo, puotria nascosamente questa peste pigliar tanto campo, che scoprendosi ben mal’ agevolmente et con estrema fatica, puotrebbe a fatto estirparsi. A che proposito dunque voler mettere la sanità in compromesso, vivendo noi per gratia del Signore Dio in una città la più catholica, a dir così, che si possa desiderare, ove non si vede, non si sente et non si teme cosa alcuna che porga a noi una minima ombra di pensiero, et che anzi non spiri perfetto odore di vera et catholica fede? Tutte queste cose havendole noi appresentate qui a monsignor il vescovo, s’è egli ristretto nelle spalle dicendo ch’ha così commes-sione espressa da Sua Beatitudine. Alla quale sia servita Vostra Signoria Illustrissima presentare rinchiuse, accompagnandole di quelle parole che lo Spirito Santo le dettarà, per rimover Sua Santità da così severa dimostratione, pregandola che sia servita dar fede a noi che meglio conosciamo la natura degl’huomini nostri, e con che mezzi si possino mantenere nella via del bene, comandando qui al vescovo che moderi il castigo a questi rei, secondo la consuetudine usitata qui, poiché con tali mezzi si siamo per grazia d’Iddio conservati sin qui sani et incorrotti da questa peste; non lassando di dire a Vostra Signoria Illustrissima che a noi non è mancato di — 7 io — passare per la mente di por noi la mano a qualche sorte di moderato esiglio, se così ci parrà eh’ il servitio del Signor Iddio et il buono essempio lo ricerchino; non dovendo a noi premere alcuna cosa più che di veder bene netto il paese da questa contagione, ma per termini che non possono causare un maggior male. Perchè il vescovo si tratiene qui lino a nova risposta di Sua Beatitudine, restarà servita Vostra Signoria Illustrissima, se così lo consentirà la Sanità Sua, di darci quanto prima avviso de la mente di Sua Santità. (Parla di altro). XXIX. Pio V esorta il doge e i governatori a punire severamente gli eretici in Genova, come si è fatto a Firenze e a Venezia. R. Arch. (Bolle e brevi pontificii m. i) $ giugno t$68. Pius PP. V. Dilecti filii salutem et apostolicam benedictionem. Ex literis vestris intelleximus, quod tamen dubium nobis non erat; optime vos meminisse, quam egregia maiorum vestrorum merita erga religionem catholicam: quae nobis quoque et omnibus aliis nola sunt: ac statutum vobis esse eorum vestigiis ingredi; id quod ad hoc tempus magna cum laude ostendistis, quod cum ita sit, non solum nos enixe in Domino hortamur, sed ipsorum maiorum vestrorum exempla excitare vos debent, ut tam insignem vestrae inclytae patriae laudem incolumem conservetis; et permittatis eos, qui Divinam Maiestatem tam graviter laeserunt, et quamtum in ipsis fuerit, vestrae civitatis gloriam polluerunt, eo supplicio affici, quo caeteri ob simile crimen Florentiae, Venetijs, in hac urbe et aliis Italiae locis affici consueverunt. Quod tamen eorum delicto levius esse nemo inficiare potest, qua in re cum non Dei solum honos agatur, sed vestrae civitatis, praeter existimationem et dignitatem, etiam quies atque tranquillitas: sicuti pro vestra pru- - 7ii - dentia intelligitis : non modo recusare non debetis, sed etiam cupere, ut tantum delictum quam severissime puniatur, praesertim cum principiis maxime obstandum esse sciatis; in quibus quanto severius in eos, qui deliquerunt, animadvertitur, tanto caeteri vehementius deterrentur. Quod cum in rebus temporalibus servari debet, tum multo magis in eis, quae ad religionem, ac cultum Dei, et ad salutem animarum pertinent, quae sunt rebus omnibus temporalibus, praesertim a viris tali pietate praeditis .merito anteponendae. Datum Romae, apud Sanctum Petrum, sub anulo Piscatoris, die v iunii 1568. Pontificatus nostri anno 111. Antonius Florebellus. Lomellinus. XXX. Pio V annuisce alla preghiera de’ Genovesi per il condono della pena di quelli, che dopo essere caduti nell’eresia si riebbero. R. Arch. (Bolle e brevi di sommi pontefici m. i) 27 ottobre 1570. Pius PP. V. Dilecti filii salutem et apostolicam benedictionem. Cum ipsum dolorem, quem ob homines istius civitatis in haeresim lapsos, et laetitiam, quam ob eosdem ad pristinam sanitatem revocatos, maximam vos accepisse significatis literis vestris septima die octobris ad nos datis, tum multo etiam magis eiusdem doloris laetitiaeque causa in Domino vehementer commendavimus. Nisi enim, Deo cordibus vestris revelante, persuasum haberetis, nulla de re homini christiano aeque ac de animarum vel pernicie vel salute aut do-lendum aut laetandum esse, non tantopere vos hominum vestrorum vel error afflixisset, vel resipiscentia delectasset. Quocirca etsi nos ipsi quoque vestro dolore, ob tam piam iustamque causam comcepto doluinius, gavisi tamen sumus eo desiderio, quod in vobis flagrantissimum esse perspeximus, ut civitatem vestram ab omni haereticae pravitatis labe puram atque integram conservetis. Quamvis autem pauculi quidam fuerint, ut scribitis, vestra e civi- — 712 — tate homines, qui in haeresim lapsi sunt, tamen meminisse debetis modicum fermentum totam massam corrumpere , et facilius esse nascentem morbum extinguere, quam eumdem corroboratum tollere, quod autem a nobis eisdem literis suppliciter petitis, ut in eos ipsos homines, satis iam, ut scribitis, suppliciorum passos, clementes esse velimus: nos et beniguitate nostra commoti, et precibus vestris adducti, illud deeorum paena minuenda statuimus, quod in eiusmodi criminibus recte statui posse iudicavimus. In quo non debetis existimare nos commendationis vestrae parvam habuisse rationem, sed potius de illo iure, quod in talibus rebus servari solet, non parum vestra causa decessisse. Quod eo etiam libentius fecimus, ut vos ipsi quoque, quem admodum speramus, in his rebus, quae ad sanctum haereticae pravitatis Inquisitionis officium adiuvandum pertinent, ea faceretis : quae vestra erga Deum omnipotentem pietate, et erga nos, sanctamque hanc sedem apostolicam devotione digna sunt. Datum Romae, apud sanctum Petrum, sub annulo Piscatoris, die xxvii octobris 1570. Pont. n. a. quinto. T. Aldobrandinus. XXXI. L’ inquisitore di Genova, fra Timoteo Botonio, riabilita il medico Contardo condannato il 1568. R. Archiv. ^Protect. S. Ufficii n. *^2') ? agosto 1 $83. In nomine Domini, amen. Nos Thimotheus Botonius, peruginus, ordinis predicatorum, professor sacrae theologiae, inquisitor generalis contra hereticam pravitatem in toto dominio Serenissimae Dominationis Genuae totaque Liguria, et a Sancta Sede Apostolica specialiter deputatus, prothonotarius apostolicus et notarius sancti officii, et reverendissimi domini Cepriani Pallavicini, Dei gratia et Sedis Apostolicae archiepiscopi ianuensis, iudices causarum vertentium in santo officio inquisitionis, scientes spectabilem dominum Iohannem Augustinum Contardum phixicum, anno 1568 uti - 713 — hereticum abiurasse in santo officio inquisitionis, et ob ipsam abiurationem cecidisse in infamiam iuxta dispositionem legum et canonum, et eius liberos et successores cecidisse etiam in infamiam. Et certiores facti dictum ipsum dominum Iohannem Augustinum adimplevisse penitentias sibi impositas, attentis mullis gratiis a sancio officio habitis, et a dicto tempore citra continuo perseverasse in fide catholica cum multa devotione et fidei zelo, et intel-ligentes requisitionem ipsius factam per dictum spectabilem dominum Iohannem Augustinum, qua petit etiam ex gratia liberari et purgari a dicta infamia et similiter eius liberos, heredes et successores, restituendo omnes et singulas personas in eum statum, gradum et qualitates in quibus erant antequam ipse dominus Iohannes Augustinus cecidisset in aliquam heresim, et volentes eumdem Iohannem Augustinum et eius liberos, heredes et successores gratia et favore prosequi, sedentes ete..... omni meliori modo.... dictum spectabilem dominum Iohannem Augustinum et eius liberos, heredes et successores, liberamus et purgamus ab infamia et labe quibus quo modo libet affecti fuerunt ob praedicta, abstergentes ab eis et unoquoque eorum omnem et quamcunque maculam, et omnes et singulos reddentes in eum statum, gradum et qualitates in quibus erant ante incursum in dictas hereses, et sicut declaramus dictum spectabilem dominum Iohannem Augustinum omnesque et singulos supradictos esse habiles ad honores dignitates ecclesiasticas et seculares et officia, et alia prout ceteri Christi fideles, nulla heresis macula nullaque heresis suspictione affecti, prout ipsos non esse nec indicari debere affectos declaramus, concedimus et elargimur omni meliori modo. Actum Ianuae, in sala sancti officii inquisitionis in monasterio sancti Dominici, anno divine nativitatis millesimo quingentesimo octuagentesimo tertio, pontificatus vero sanctissimi domini nostri Gregorii, divina providentia pape tertii-decimi, anno eius duodecimo, indictione decima secundum Ianuae cursum et die vm augusti.... Fratre Iusto de Ugubio et iratre Vincenzo de Genua, ambobus conversis professis ordinis praedicatorum, testibus ad haec vocatis specialiter et rogatis. — 714 ~ XXXII. 1 sindaci c il senato di Ginevra al doge e ai governatori di Genova per la liberazione del Bartoccio. R. Ardi. (Lett. di principi m. io) 31 gennaio 1568. Illustrissimi et Excellentissimi domini. Superioribus diebus, cum accepissemus Bartolomeum Bartocium, subditum nostrum, qui ad vos negotiamdi causa diverterat, vestro iussu captum et in carcerem coniectum fuisse, certum ad vos hominem misimus, cum literis nostris, quibus maiorem in modum a vobis petebamus, ut ipsum Bartocium, qui nullius criminis reus esset nec leges aut decreta vestra ullo umquam tempore offendisset, e carcere dimittendum iuberetis. Quod si fecissetis, nobis qui illum pro eius singulari probitate et integritate unice diligimus, longe gratissimum futurum, et maximi beneficii loco accepturos polliciti fuimus, huiusque petitionis nostrae, nos facile compotos (sic) sperabamus, cum ob rei aequitatem, tam ob egregium studium et singularem voluntatem quam erga Republicam vestram et vestros omnes et habuimus et ostendimus semper. Ad eas literas cum ita respondissetis, ut apparet intercessionem nostram parvi aut nullius apud vos ponderis fuisse, sane id nobis qui longe maiora de vestra erga nos voluntate, et speravimus et praedicavimus, permolestum fuit. Quamobrem diu nobiscum deliberavimus nunc iterum ea de re ad vos scriberemus. Verum tum nec christiana cliaritas, nec singularis amor quo Bartoccium amplectimur, patiatur ut innocentissimi et optimi viri salutem negligamus, omnino iterum ad vos scribendum duximus. Rogamus itaque vos, illustrissimi domini, et quam maxime fieri potest obsecramus et per Deum optimum maximum obtestamur, ut hominem hunc nobis condonetis, et cum animis vestris cogitetis, atque ita apud vos statuatis, nos nunquam solicitos fuisse nec ita anxie pro cuiusquam salute et incolumitate laborasse, aeque ac pro Bartocii salute atque incolumitate laboramus. Non furem, non latronem, non sicarium aut flagitiosum aliquem ex vinculis mitti postulamus, sed virum bonum et innocentem, cuius - 715 - salus tanti a nobis omnibus fit, ut si is vestra opera et benignitate incolumis ad nos redeat, pollicemur aeternam huius beneficii memoriam apud nos futuram. Quod si clementiae et iustitiae vestrae obliti, qua vos praeditos esse existimavimus semper, in animum induxeretis velle potius Romano Episcopo gratificari quam nobis, et miserum hunc nostrum ad cruciatus et ad durissima quaeque perferenda tradere, consolabimur nos in ea spe ut in confessione veritatis, Divina favente gratia, eum permansurum credamus, et nobis occasionem non defuturam qua vobis aliquando paria referre possimus. Valete. Genevae, pridie calendas febrarii 1568. Vestrarum dominationum studiosissimi Syndici et Senatus civitatis Genevensis. XXXIII. 1 consoli ed il senato di Berna al doge ed ai governatori di Genova per la liberazione del Bartoccio. R. Ardi. (Lett. di principi m. 18) 7 febbraio 1568. Illustres excellentes, clarissimi et prudentissimi domini, et amici colendissimi. Speramus vos memores esse intercessionis nostrae recentis pro liberatione Bartolomei Bartocii, civis genevensis, neque alienum fuit a significatione vestrae erga nos benevolentiae, quod ea de re proxime respondistis, quamquam alioquim parum conforme in effectum petitioni nostrae. Quod enim causamini Romano Pontifici esse summum ius in eum, non arbitramur tam necessario fueri quam vos praetendetis, cum multa sint quae vos, excusare hoc iure apud Pontificem possunt. Itaque obnixe vos denuo oramus, ut plurimum apud vos sit ista communis nostrarum Rerumpubli-carum coniunctio, et libertas comeatus, quam illa nimis civilis excusatio. Neque enim hactenus nos, aut confoederari nostri quemquam virorum religionis causa vexamimus, utcumque sciremus — 716 — religionis diversae sectatorem esse; sed in summa libertate versantur omnes exteri, apud nos, ncque religionis causa ullo modo funestantur. Idque unum in votis nobis est, nequis nobis occasionem obyciat mutandi sanctam istam et civilem societatem, cum syncero amore vicinarum gentium et omni benevolentia coniunctam. Quod si tanti apud vos non erit nostra, pro Bertocio foederatorum nostrorum subdito, intercessio, quin ea spreta omnino illum Pontifici tradatis, ne salvus ad uxorem et liberos redeat, homo alioquin multorum testimonio, innoxius nisi quod conscientiae suae annixus, diverso cultui Dei se devovit, quam pontificii sequantur, (qui tamen tuti inter nos et sine discrimine agunt), certe nemo nos poterit atrocitatis aut iniuriae insimulare, si, tali exemplo provocati, eiusdem inhumanitatis legibus utemur in exteros, qui ex Italia ad nos comeantes, de religione et cultu divino a nostro dissidente , erunt suspecti, quos alioquin mallemus, solito favore prosequi, sine respectu discriminis in religione. Quam hoc futurum sit mali exempli et vestris hominibus magis quam nostris intollerabile, nemo est qui non praevideat. Qua de causa vos magnopere rogamus, ne tanti mali hoc Bertocii negotium semen sit, et materia. Id quod pro vestra prudentia, speramus, vos optimis rationibus, et quibus commode potestis, apud Pontificem deprecaturos et preventuros. Si hoc fiat, pollicemur vobis omnia mutuae amicitiae officia. Valete, illustres et clarissimi viri, et pro rei de quo agitur conditione literas nostras boni consulite. Bernae Helvetiorum, 7 februari) 1568. Consules et Senatores Reipublicae Bernensis. — 717 — XXXIV. 11 doge e i governatori inviano al cardinale S. Clemente le lettere scritte da Ginevra e da Berna a prò del Bertoccio, e raccomandano la salvezza di lui, mostrando i mali che verrebbero ai Genovesi se questa non si potesse ottenere R. Arch. (Lett. a card. m. $) 23 febbraio 1568. Illustrissimo e Reverendissimo Monsignore Credevamo haver acquetati que’ due cantoni di Svizzeri con la sodisfattione che dettimo loro per lettere intorno al Bertoccio, havendo essi massimamente tardato tanto a rispondere, ma come per natura et per il reprobo senso ove vivono sono incapaci di ragione, così si sono resi molto restivi e duri al discarrico e sodisfattione nostra, havendoci risposto nella maniera che dalle proprie lettere potrà vedere Vostra Signoria Illustrissima e Reverendissima, che qui inchiuse le mandiamo. Et avvenga' il servire a Nostro Signore Dio et ubidir al suo Vicario sia solo e caro frutto che stimiamo , et ove tireremo sempre tutte le attioni nostre, tuttavia, quando il Bertocio reuscissi poco colpevole, lo vederiamo volentieri, e per l’effetto in sè, e perchè ci assecureriamo da que’ travagli che per tal conto possono soprastarci. Fia dunque servita Vostra Signoria Illustrissima mostrare a Sua Santità le lettere, perchè veda e conosca tutto ciò che possa, e possa haverci quella consideratione che le parrà che convenga, non essendo dubbio, quando con sodisfare al servitio di Dio, et in gran parte all’esempio, si potesse acquetare questa barbarie di gente, che si estinguerebbe un’occasione che altrimenti potrebbe et a noi et ad altre nationi apportar travagli e sconcerti d’importanza. Tuttavia rimettiamo (come conviene) ogni cosa al prudentissimo e religiosissimo giuditio di Sua Santità, in servitio della quale e di santa religione non saremo mai nè tepidi nè restivi in qualsivoglia fortuna. Egli è vero che quando la natura de delitti del Bertoccio portasse che dovesse esser rilassato, riceveremmo noi a molta gratia, quando fosse set-vita Sua Santità, che fosse riconsegnato in poter nostro, per poterne poi racquetar questa gente et uscir di travaglio, per il continovo traffico che gli huomini nostri fanno in que paesi..... Atti Soc. Lig. St. Patriì. Voi. XXIV, fase. 2.° 4« — 718 — XXXV. Il cardinale S. Clemente riferisce al doge ed ai governatori intorno alle premure da lui fatte per la liberazione del Bertoccio, dopo la lettera da essi scritta il 23 febbraio. R. Arch. (Lett. di card. m. 6) 5 marzo x $ 68. Illustrissimi Signori Con P ordinario di Lione accusai la ricevuta della lettera di Vostre Signorie Illustrissime de 23 con quelle de Svizzeri, quale ho fatto vedere et leggerea Sua Santità, et in invero ne ha mostrato gran molestia per il zelo paterno che ha di quella repubblica alla quale desidera ogni bene et poter divertire qualunche disventura. Li dispiace bene che si tratti d’ una materia tanto gelosa che non se li possa far alteratione alcuna senza offesa de Dio, et carrico di Sua Beatitudine. Costui è arrivato qua, et essaminato confessa tutte l’heresie del mondo in pessimo genere, nè fin qui mostra segno di volersi ritrattare. Pure ha detto ch’egli pensa perseverare in esse se non gli è mostrato il contrario, et perchè non li man-caranno buoni maestri si può sperare che egli habbia da abyurare et salvarsi la vita; et in tal caso ho proposto a Sua Santità ch’ella potria compiacere Vostre Signorie Illustrissime di mandarglielo a Genova: ma non me l’ha voluto promettere, perchè ternaria a Ginevra burlarsi di noialtri. La cosa andarà un pezzo in longo, secondo il solito di questo sant’ officio, et io mi darò luogo d intendere i suoi progressi, per procurar detta gratia se fia possibile, o altra che tenda in scarrico di Vostre Signorie Illustrissime a quei barbari; quali pare a Sua Santità ch’elle potriano quietare con mostrarli la impossibilità della restitutione, et prometterli di far ogni buon officio per la salvatione di costui...... - 719 — XXXVI. Il cardinale S. Clemente informa il doge e i governatori delle disposizioni che si hanno in Roma riguardo al Bartoccio, nonché intorno ai rapporti di monsignor di Teano, ed alla nomina del nuovo inquisitore in Genova. R. Arch. (Lett. di card. m. 6) i$ ottobre 1568. Illustrissimo et eccellentissimo et illustrissimi signori Per risposta alla di Vostre Signorie Illustrissime de 8, gionse il vescovo di Thiano con l’inquisitore fra Steffano da Finale, coi quali ho ragionato a longo sopra l’inquisitore di costì, e fatto officio acciochè disponessero Sua Santità a contentarsi eh’ egli sia della natione, conforme al desiderio di quelle; et mi hanno affermato ambedue che Vostre Signorie Illustrissime resteranno compiaciute, et che in breve tornerà costà esso padre Steffano, quale mi dice che quel vicentino non esercitarà l’officio se non durante questa sua poca assenza. Si che elle possono starsi con l’animo quieto, non mancando dirle che detto vescovo et inquisitore, per quanto ho compreso dal ragionamento loro, si lodeno assai del procedere di Vostre Signorie Illustrissime in queste materie d’ inquisitione, et spero habbino a farne buona relatione a Sua Beatitudine. Solo si doleno che a quelli dispiaccia che li heretici forastieri siano presi nel dominio loro, dovendo preporsi il servitio de Dio e il benefitio publico a qualunque rispetto 0 interessi particolari; et in specie hanno ponderato il caso df quello di Finale, che, essendo così perverso et ribaldo, Vostre Signorie Illustrissime habbino hor-dinato al lor podestà di Savona che lo mandassi fuori del dominio, et non fattolo ritenere, essendo si può dir del paese. Io non ho mancato di scusarle con le ragioni già scrittemi da quelli, chè essendo quasi ogni parte infetta di questa peste, et li nostri cittadini costretti a praticar per tutto, si può temere che non siano molestati, et mi parve che restassero assai capaci del tutto. Quanto al Bertoccio, mi dispiace non poterle dar speranza della sua liberatione, perchè havendo mandato da questi illustrissimi signori inquisitori per saper a che termine stanno le cose sue, mi hanno fatto intendere haverlo trovato heresiarca, eh’ è stato — 720 — quasi per tutt’Italia dogmatizando et procurando d’infettar hor questo hor quello; oltre di ciò, è talmente ostinato et pertinace nell error suo, che pensano di farlo abbrusciare, et che la sua festa verrà inanzi quelle di Natale. Potria forse esser che, quando si vedrà condotto a quel termine, si riconoscesse, ma non si crede: onde essorto Vostre Signorie Illustrissime a veder se possono placar quei barbari per altra via. Di nuovo il Re Christianissimo ha mandato a Sua Santità doi editti stampati li 28 del passato, et pubblicati da Sua Maestà per tutto il suo regno, nè quali si contiene che ogn’ uno debba vivere secondo la religione catholica romana, altrimente li dà termine r5 giorni di sgombrare il paese sotto pena della vita et dando licenza a ogn' uno di amazarli. Ha anche rimesso tutti gli offitiali ugonotti, et fra gli altri il gran cancelliere, et diputato in suo loco il presidente Birago ch’era governatore di Lione. II che tutto ha meritamente portato gran consolatione a Sua Beatitudine et a tutta la Corte; et essendo, come scriveno, buona intelligenza tra quella Maestà et il Duca d’Alva d’aiutarsi l’un l’altro a destruttione di questi tristi, si ha da sperare le cose della religione pigleranno buona piega, che così a Dio piaccia, quale conservi et prosperi le Signorie Vostre Illustrissime come desiderano. Di Roma, li xv d’ottobre 1568. Di Vostre Signorie Illustrissime Deditissimo Il Cardinale S. Clemente. XXXVII. 11 doge e i governatori al cardinale S. Clemente sulle rappresaglie fatte per causa del Bertoccio. R. Arcb (Lett. di card. m. 6) 22 ottobre 1568. Illustrissimo e Reverendissimo Monsignore Da Vostra Signoria Illustrissima e Reverendissima nascono tuttodì offitii giovevoli alla repubblica, et questo ultimo, che ha fatto — 721 — col vescovo di riano, è stato non meno utile et opportuno che a noi grato. Amando noi che possa importare assai al servitio del Signore Dio et mantenimento della relligione, che l’inquisitore sia nostrate, per la notitia che può havere maggiore delle occorrenze et degli humori, ci è anche giovato intendere che di qualche mala sodisfatione, che dimostrava il signor vescovo, l’autorità et prudenza di Vostra Signoria Illustrissima ne l’havessero acquetato. Ci spiace all’anima del Bertoccio, non per lui che merita mille fuochi, ma per la natione nostra la quale resta bersaglio della ferità di quei barbari ; che se quello spagnuolo non verificava il nascimento suo col testimonio di doi che lo conoscevano, erano già apparechiate le pietre per lapidarlo, et in questa guisa molti innocenti et veri christiani riceveranno, per l’essecutione di cotesto huomo empio, martirio, se la prudenza di Sua Beatitudine non ci ripara. Noi di più restiamo quasi interclusi dal comercio di Germania, che dall’una parte le guerre correnti et dall’altra lo disdegno di Bernesi ci contendono il camino. Preghiamo perciò Vostra Signoria Illustrissima che vogli aprir ben gl’ occhi dell’ intelletto suo a tanti mali che possono ressultare se il Bertoccio muore, et non mancare di far tuttavia giovevole ufficio alla salute sua, non come sua, ma come tale che può divertire una assai maggiore persecutione de christiani, et in spetie della natione nostra, per esser noi corsi col dovuto zelo alla retentione di cotesto huomo, senza mirare ad alcuno nostro interesse privato, dove, hor che si vede il disordine che può seguirne, e già se ne vede per isperienza nostra, possiamo credere che Sua Santità debba coll’ infinita prudenza sua discernere bene ogni cosa et antiporre il minore al maggior male, acciochè la giusta pena dell’uno non apporti ingiusto martirio a molti. Preghiamla donque di nuovo a non abbandonare questo pensiero di vedere et di discorrere come meglio si possa soccorrere a tanto disordine che soprastà. Di Genova, li 22 di ottobre 1568. Il cardinale S. Clemeute annunzia al doge e ai governatori di aver indotto i cardinali inquisitori a rac-conlaudare il Bartoccio al Papa. R. Ardi. (Lett. di card. ni. 6) 5 novembre 1568. XXXVIII. — 722 Illustrissimi Io ho fatto informare questi illustrissimi signori dell’ Inquisitione molto apieno del pericolo grande che soprasti alli particolari della nostra natione nel paese de Svizzeri per la retentione del Bertoccio, et del caso seguito a quello spagnuolo, et appresso quanto il pericolo si faria ogni dì maggiore quando detto Bertoccio capitasse male per giustizia; et insoma detti signori tutti la intendono bene, e prometteno di far ogni gagliardo officio con Sua Santità ponendo mente alla vostra obbedienza verso questa Santa Sede, et alla prontezza di ritirare et consignare costui al santo offitio. Però si come della liberatione non mi hanno dato alcuna speranza, così mi hanno dato grande intentione et quasi certezza eh’ egli non sarà fatto morire, ma ritenuto longamente in carcere. Fra tanto potria esser che costui si disdicesse, e che Dio porgesse altra occasione alla sua rilassatione. Il che è quanto fin qui s’è potuto impetrare. Quando mi sarà lecito uscir fuora, il che spero sarà fra otto giorni, con mediocre miglioramento, terrò sempre viva questa pratica così con Sua Beatitudine, come con detti signori, con dar aviso per giornata a Vostre Signorie Illustrissime del successo. Il cardinale S. Clemente annunzia al doge ed ai governatori l’abbruciamcnto del Bartoccio. R. Arch. (Lett. di card. m. 6) 27 maggio 1569. Domenica abyurorno alla Minerva alcuni heretici, et tre o quatro pertinaci e relassi fumo dati alla Corte secolare, uno de quali fu 1 M XXXIX. - 723 — il Bertoccio che, per la sua impenitenza et ostinatione già un pezzo intollerabili a Sua Santità, fu mandato vivo al fuoco. Io non mancai per li rispetti che già scrissero Vostre Signorie Illustrissime, di far prima offitii con Sua Beatitudine, acciochè si prolongasse ancor più la vita a costui, ma non fu possibile ottenerlo, et così mercore passato fu la sua festa. Che è quanto mi occorre dire a Vostre Signorie Illustrissime in risposta della loro de xx, offerendomele e raccomandandomele al solito di tutto cuore. Di Roma, li 27 di maggio 1569. Di Vostre Signorie Illustrissime Deditissimo Il Cardinale di S. Clemente. XL. Verbale fatto dalla confrateraita di S. Giovanni decollato in Roma, per la morte di Bartolomeo Bartoccio e di altri eretici. R. Archivio di Stato in Roma (Giornale del provveditore dall’ anno 1566 all’ anno 1571, proveniente dall’Archivio della confraternita di S. Giovanni decollato f. 144-145) 25 maggio 1569. Martedì sera a dì 24 di maggio a hore tre di notte andando al mercordi fu intimata la nostra compagnia per andare in torre di Nona, perchè si havevano da giustitiare li sottoscritti heretici; et così in quella hora si chiamorno li nostri confortatori, et ragu-nati in Santa Orsola a hore cinque di notte andammo in torre di Nona, dove ci forno consignati per dover morire Alberto Boccadoro figliolo di Christiano borgognone, Camillo Ragnolo dottore di lie°,c,e faentino, Bartolomeo di Giovanni Bartoccio da Citta di Ca- !• stello, Francesco di Galeazzo Vencellaro della Chiarella, diocesi di Milano, sacerdote aposteta del ordine minore, chiamato altamente fra Iacomo. Disse il detto m. Camillo Rangiolo che voleva che fosse dato per grada della robba sua, scudi 0,50, a Andrea dal Poggio — 724 — di Furlì, oltre al suo salario del servitio fattoli in tutto il tempo della sua prigionia; nel quale tempo disse havere ordinato al padre compagno che teneva li sui denari li desse scudi 0,14 in due volte, cioè una scudii 0,8 et l’altra scudi 0,6, quali crede che li siano stati dati, ma non lo sa certo, che il dicto ricordo disse hauerlo fatto un’ altra uolta in prigione et lassatolo nelle mano di messer Antonio canonico mantovano, quale è prigione al’inquisitione. E più lassò il ferraiolo che haueua intorno, alla nostra compagnia, la quale lo dessi a Andrea sopradetto suo servitore. Dipoi il detto messer Camillo, essendosi con gran diuotione et cattolicamente confessato dal nostro messer Iosia pregato anchora li fussi dato la santissima Eucharistia, confessando credere fermamente tutto quello che teneua la santa madre Chiesa nostra Cattolica Romana, dimandando perdono a tutti quelli che lui hauesse offeso, et così lui perdonaua a tutti quelli che hauessero offeso lui, fece fine. Li altri tre, cioè Alberto, Bartolomeo et Francesco perseuerando nella ostinatone, et uenendo il dì si teneuano fuora della cappella, afinchè si potesse celebrare la santa messa, la quale intorno alle noue hore si celebrò , et si comunicò con diuotione messer Camillo Ragniolo faentino di sopranominato. Et continuando l’ostinatione delli tre sopranominati, la nostra compagnia udendo in tutto sotisfare all’opra della charità a torno alla salute delle anime loro, mandorno per il padre Pistoia cappuccino, doue uenuto lui, et alcuni altri theologi di santo Francesco zoccolanti et della Compagnia di Iesù, disputorno con li detti heretici ostinati sopra le loro oppenioni per sino alle 13 hore in circa, et con l’aiuto del Spirito Santo si conuerti Alberto Borgognone et Francesco Vencellaro, et così si confessorno con grande humiltà da un padre di Araceli, et Bartolomeo, da essi Alberto et Francesco essendoli fatto nedere il suo errore, non nolse mai accosentire alla uerilà. Et intorno alle 15 hore forno condotti in ponte, doue fu impiccato Camillo Ragniolo et Francesco Vencellaro confessando sempre la nostra cattolica fede, et Alberto borgognone fu condotto in su la forca, et di poi che lui hebbe confessato che moreua uolentieri nel gremio della nostra Santa Romana Chiesa, li fu fatto gratia della uita; et così - 725 - fu ricompagnato da quattro delli nostri fratelli in torre di Nona, et Bartolomeo Bertoccio fu abbruciato nino pertinace; et così forno abbruciati li corpi di Camillo et Francesco sopradetti, et sempre forno accompagnati precessionalmente dalla nostra compagnia cantando sempre le letanie. * Li confortatori forno questi, cioè la notte forno presenti : M. Pietro Aldobrandini M. Giovanni Battista Italiani, et M. Giovanni Mazzoppini per aggiuto M. Giovanni Battista Perini M. Lucantonio Orlandi M. Francesco da Carmigniano M. Giovanni Manzuolo et M. Bastiano Caccino il Proueditore con li sagrestani M. Angelo del’ Orso et il prete. M. Marietto de Rossi Spese fatte per detta giustitia Alli sagrestani et al fattore.........scudi 0,45 Per greco...............scudi 0,4 Per portare uia le cenere a Bernardino facchino . . scudi 0,45 Per scope et acqua pagati al detto per due uolte . . scudi 0,3 XLI. Il doge e i governatori scrivono al cardinale S. Clemente di essersi rassegnati alla volontà del Papa riguardo alla morte del Bartoccio, quantunque prevedano nuove molestie da parte degli Svizzeri. R. Arch. (Lett. a card. m. 5) 3 giugno 1569. Al Bertoccio è stato dovuto il supplitio che ha patito, se però dell’ error suo non ne porterà altri ingiusta pena. Intenderebesi che quella barbaria di gente non aspettava altro che il successo di questo huomo, per incrudelire sempre più quando alcuno gli si — 726 — pari dinanzi; pure sia fatta sempre la volontà di Sua Beatitudine, e resti quieto Nostro Signore Dio concedere a Vostra Signoria Illustrissima ogni contento. Di Genova, a tre di giugno 1569. Di Vostra Signoria Illustrissima e Reverendissima Deditissimi doge e governatori. « GENVA » POEMETTO DI GIOVANNI MARIA CATANEO CON INTRODUZIONE E APPENDICE STORICA A CURA del Socio GIROLAMO BERTOLOTTO STiTuiTA, per R. Decreto del 17 maggio 1888 la R. Commissione Colombiana, col mandato di preparare quella colossale Raccolta di studi e documenti relativi al Sommo Navigatore, la quale oggi appena si può dir compiuta, il prof. Guglielmo Berchet si accinse ad un ampio studio, pubblicato nella III parte della Raccolta stessa, nel quale si propone di dimostrare « quali siano le fonti italiane contemporanee, per la storia delle scoperte occidentali dalla prima spedizione di Colombo all’ epoca in cui si è potuto precisarne l’ampiezza e l’importanza ». E cosi, raccogliendo queste fonti ordinatamente dai testi originali, se inedite, 0 dalle più antiche e rare edizioni, se già pubblicate, doveva naturalmente far tesoro di tutte le testimonianze che, direttamente o indirettamente, toccano di Colombo. — 730 - Fu allora che il march. Marcello Staglieno, altro dei collaboratori della Raccolta, mise a disposizione del suo collega un libretto oltremodo raro da lui posseduto: era una copia del Geriva di Giovanni Maria Cataneo, il quale, celebrando appunto le lodi della nostra citta e dei suoi abitatori, giunto al punto di dover parlare dello ardimento marinaresco dei Liguri, non poteva non trovare acconcio un breve cenno al più grande dei marinai genovesi, « scopritore di quel mondo che pure era rimasto ignoto agli antichi Fenici, ai Romani dominatori del mondo ed agli Egizi stessi » : Quod neque Phoenices primum, quod nulli vetustas Non quondam rerum domini novere Quirites Quaeque Hamm<£j>ne satumlatuere, exacta Columbi Deprehendit Liguris virtus et reddidit orbi. Le sillabe del penultimo verso, che qui abbiamo chiuse in parentesi angolate, mancano nell’ esemplare del march. Staglieno; ma desiderando il Berchet supplire con sicurezza tale lacuna, dopo aver fatto inutilmente ricerca di un secondo esemplare nelle pubbliche biblioteche d’Italia, dovette da ultimo ricorrere ad una copia esistente nella biblioteca del British Museum di Londra. Ce ne avverte il Berchet stesso in una nota, ove dice che il Genua é un poemetto rarissimo, senza nome di stampatore, nè data, la quale per altro si rileva dalla dedica del poemetto stesso fatta a Stefano Sauli, proto-notario apostolico, nel i.° febbraio 1514: ed aggiunge che del poemetto non si conoscono se non due esemplari, quelli già citati dello Staglieno e del British Museum, e che un terzo esemplare esisteva nella domestica libreria di Samuele Barlow in Nuova York, venduta ai pubblici - 731 ~ incanti nel 1889, come si rileva dal catalogo compilatone da J. Osborne Wright nello stesso anno (1). Ebbi io stesso tra mani, per cortesia del proprietario, la copia del marchese Staglieno : non vidi né l’esemplare di New York, nè quello di Londra; ma è stata per me una ben gradita sorpresa l’aver potuto rinvenire nella nostra civica Biblioteca Beriana un nuovo esemplare del rarissimo poemetto. E tanto più viva è stata la mia soddisfazione, quando, dopo un’ attenta collazione della copia novella, vidi che, mentre l’esemplare di Londra e quello dello Staglieno mancano delle note tipografiche, la copia da me scovata nella biblioteca genovese porta chiaro e tondo il nome dello stampatore, che fu il Mazo-chio, di Roma: non ha lacune di sorta, e porta qua e là corretti da mano sincrona alcuni errori tipografici, che vedo essere rimasti non tocchi da penna nella copia dello Staglieno (2). Ecco un’ esatta descrizione del prezioso volumetto : (1) Cfr. Catologue of thè American Library collected by thè late Samuel Latham Mitchill Barlow, prepared by J. Osborne Wright, New-York, 1889, p. 68, n. 475. (2) Devo ad un caso fortuito il rinvenimento dell’ esemplare della Beriana. Esso è riunito, in rilegatura del secolo XVI, insieme a due altri lavoretti dello stesso Cataneo, e precisamente alla traduzione latina del Panegirico d’Isocrate, e dei Lapiti di Luciano, dei quali parleremo poi. Siccome, pochi mesi avanti m’ero occupato appunto di studi Lucianei e m’ era capitato fra mano anche la traduzione del Cataneo, avendo data un’occhiata al resto del volume, m’aveva fortemente colpito lo strano frontespizio dell’ultimo scritto ivi raccolto, che è precisamente il Genva: frontispizio che mi ritornò a mente subito che ebbi sott’occhio l’esemplare dello Staglieno. Credo anzi che altre copie del raro poemetto debbano esistere nelle biblioteche italiane; forse giacciono ignote, non tanto per trovarsi (probabilmente come la nostra) in mezzo a delle miscellanee, ma anche per la diversa grafia del nome che deve servire di parola d’ordine: Cattaneo e Catanaeus. — 732 — nel frontespizio ha impresso un frontone sorretto da due colonne, con due delfini soprastanti e altri (regi svolazzanti ai lati, e in mezzo il titolo così disposto : I O: M A ria* Calcinaci (Sfattila. È in 4.0 di cc. 11, con 24 linee nelle pagine piene. Comincia : (L IO. MARIA CATAN^VS. D. STE/ PHANO SAVLI PROTONOTA/ RIO APOSTOLICO SALV. e finisce a carta n.av. dopo la linea 12: LAVS DEO. (E Impreffum Romae apud Iacobum Mazo/ chium Ro. Acad. bibliopolam. Le note tipografiche mancano invece, come ho detto, negli altri esemplari fin qui conosciuti. Curiosa davvero é la sorte toccata al poemetto del Cataneo: giacché, mentre presso gli antichi ebbe fama e notorietà, cosicché ne trovi cenno nel Foglietta, nel Ciaconio (1) e in parecchi scrittori dei secoli XVII e (1) Il Foglietta ne parla nella edizione degli Elogia fatta in Roma nel 157 ♦ e nel 1587 parlando di Bendinello Sauli, cosi: lo. Maria Catanaeus, qui in beri gratiam, urbem Genuam eleganti proemate descripsit et laudavit. Le stesse parole furono trascritte dal Ciaconio nella vita del medesimo Cardinale. È da avvertirsi però che nella prima edizione degli Elogia, latta dal Biado in Roma, queste parole non si trovano. — 733 - XVIII (i), nel secolo nostro invece neppure i più rinomati bibliografi, come il Brunet e il Graesse, conoscono 1’ esistenza di quel libretto. Il solo Davide Bertolotti, eh’ io sappia, nel suo Viaggio in Liguria (2), volendo lodare le virtù nautiche dei Liguri, riferisce questi sei versi: Cum nulla in toto terrarum fortior orbe Aut animis, aut arte vagum gens naviget aequor: Navita non alius, tantas a littore puppes Deducat: nemo melioribus instruat armis: Quas magnas veluti miratur fluctibus urbes Neptunus rapidas ventorum ferre procellas. Il Bertolotti non indica però donde li ha tratti, anzi li dà come epigramma di un Maurizio Cattaneo: segno che egli non sapeva come quelli, lungi dall’ essere un componimento che stia da sé, fanno parte di un poemetto di 466 versi, sono insomma i vv. 92-98 del Genua, che il Bertolotti non dovette mai aver avuto davanti agli occhi, perchè il nome dell’ autore dei versi eh’ egli riproduceva era non Maurizio ma Giovan Maria, come subito dal frontespizio chiaramente avrebbe potuto rilevare (3). (1) Un copioso indice degli autori che fanno menzione, più o meno breve, del Cataneo, puoi vedere in Cotta (Lazaro Agostino), Museo Novarese (Milano Ghisolfi, 1701 in 4."), n. 396. (2) Bertolotti (Davide), Viaggio in Liguria, voi. II, p. 121. (3) Che il Bertolotti abbia fatto, come si suol dire, di seconda mano la citazione, vien dimostrato da quanto aggiungeva: « Se lo scrittore di questi versi è quel Maurizio Cattaneo, che con tre sole navi ruppe tutta l’armata navale di Maometto II e portò il soccorso all assediata Costantinopoli, egli avea ben diritto di asserire ciò che dimostrato avea vero nel fatto con quella sua impresa che fa tanto ammirare gli storici ». C’é dunque equivoco di tempi e di persone. Atti Soc. Lig. St. Patria. Voi. XXIV fase. 2.0 47 - 734 — Accennato così brevemente alla varia fortuna del poemetto, di cui a tutt’oggi si conoscono soltanto quattro copie, vediamo chi sia il suo autore. Non parlano affatto del nostro Giovan Maria Cataneo né il Soprani, né Michele Giustiniani, né lo Spotorno (i); ma non é da farsene alcuna maraviglia, giacché occupandosi essi di scrittori liguri, non erano in obbligo di far oggetto del loro studio uno scrittore che era nato, come vedremo, fuori dei confini della Liguria, benché probabilmente imparentato colla nobile famiglia dei Cataneo , che diede alla repubblica genovese non pochi cittadini egregi, e che stese propaggini per tutta l’Italia. Stando al Giscardi (2) e ad altri genealogisti genovesi, che attingono al Roccatagliata, la famiglia sarebbe ori- (1) Il Tiraboschi menziona un Gio. Maria Cataneo, che fu medico, e perciò da non confondere coll’ autore del Genua. (2) Giscardi (Fr. Giacomo de’ Filippini in Genova), Origine e fasti delle nobili famiglie di Genova (Ms. della Beriana), II, p. 392. « Cattanei. — Nobili ed antichi cittadini Genovesi traggono origine da Lerice, » come dice il Roccatagliata. Sono venuti ad abitare in Genova prima del 1100. » Questo cognome Cattaneo non è propriamente di famiglia, ma dell’Albergo « così appellato, e che in Genova fu composto di più famiglie nobili l’anno 1301, » come dalla lapide che si legge sopra la porta laterale della chiesa di san Tor-» pete, che è parrocchia gentilizia de’ signori Cattanei. Le famiglie che compo-» sero l’Albergo Cattaneo furono: Della Volta, Mallona, Bustarina, Marchiona, » Stancona, Dufferia, Ingoila e Libertina, ... ; delle dette otto famiglie più non » esistono che due, cioè quelli della Volta ed i Malloni. Le altre sono estinte . . • La lapide sopracitata, che si legge sopra la porta di san Torpete, è in carattere gotico, del tenore seguente : ANNO • DOMINICE • INCARNATIONIS • M.C.LXXX • DIE • XII1I • AUGUSTI . HAEC • ECCLA • FUIT • CONSECRATA • PER • VENERABILEM . PATREM • DNM • HUGONEM • ARCHIEPISCOPUM • SECUNDUM • IAN • QUE . PRIUS • EDIFICATA • FUERAT • PER . ALBERGUM • ILLORUM • DE • VOLTA • AD • HONOREM • DEI • ET • BEATI • TORPETIS • QUI • DE • VOLTA M.CCCC • VIIII • FUERUNT • CATANEI • NOMINATI • - 735 ~ ginaria di Lerice e i Cattaneo sarebbero venuti ad abitare in Genova prima del iioo; ma di questo parere non si mostra l’autore del Genua, il quale, col pretesto di parlare della Sicilia (vv. 362-63), trova il modo di far menzione di Catania, allo scopo evidente di accennare all’origine siciliana della sua famiglia: .....Catane........ Unde domus Catanaea amplum diffusa per orbem. Comunque sia, affermano tutti i biografi che il nostro autore è nato a Novara, in anno non ben determinato, ma probabilmente poco dopo il 1480, giacché Paolo Giovio che ne scrisse 1’ elogio (1) — e dovette essere ( 1 ) Quest' elogio vien riferito tradotto nel già citato Museo Novarese di Lazzaro Agostino Cotta, num. 396, dove dice di Gio. Maria Cattaneo (sic) : La riverenza che professo al gran Paolo Giovio, m’ obbliga a tradurre l’Elogio ch’egli formò a questo ecclesiastico e patrizio novarese, dicendo: «Gio. Maria » Cattaneo Novarese, discepolo di Giorgio Merda e Demetrio Calcondila let-» tore in Pavia, giunto eh’ ei fu alla perfetta cognizione delle lettere greche e » latine, con erudito commento interpretò l’Epistole di C. Plinio Cecilio il » giovine, ed acquistatosi con ciò fama di non mediocre erudizione, si portò a » Roma, ove, servendo al Cardinale Bandinello Sauli in qualità di secretario, » tradusse in latino tre Dialoghi di Luciano scritti in tre stili: nel tenero Gli » amori poco onesti: nel giocondo Lapita: e nel grave quello che dà regole agli » Istoriografi, e come confacente alla mia professione me lo dedicò. Qual tra-» duzione (essendo entrato il Cattaneo nell’Accademia) fu grandemente lodata » da Scipione Carteromaco. Descrisse finalmente Genova in versi, ad instanza » del suo padrone; e quindi, sendo già vecchio, s’invaghì della poesia, sospinto » da tardo e però poco felice desiderio; poiché, non avendo in sua gioventù » atteso a far versi, diedesi in vecchiezza a tormentar le muse. Laonde egli » cantò alla meglio che seppe l’impresa di Terra Santa fatta da Gottifredo Bo-» glioni, intitolandola Solymidos; nel qual poema il lettore d’orecchio non » molto delicato, talora si maraviglierà di certe figure, e nuovi modi di dire » molto giocondi, posti nel suo oggetto, se pure non sarà per approvare l’asprezza » 0 scorciatura del verso. Offrì il Cattaneo quest’ opra alla censura del Bembo » (sendovi io presente), il quale, subito eh’ ebbe letto il titolo, con allegra cor- — 736 — legato con lui d’amicizia, se ne accettò la dedica della traduzione latina dello scritto lucianesco De conscribenda historia — dice che « dopo essere stato discepolo di Giorgio Merula e di Demetrio Calcondila lettore in Pavia (i), giunto che fu alla perfetta cognizione delle lettere greche e latine, interpretò con erudito commento le Epistole di C. Plinio Cecilio il giovane ». Doveva aver già tocco adunque i venti anni, perché la i.“ edizione del suo Plinio fu fatta o a Venezia nel 1500 o 1505 (2), o a Milano nel 1506; tale opera lo fece conoscere per tutta l’Italia, ed egli si condusse a Roma, dove la sua riputazione l’aveva preceduto. Il Cardinale Bendinello » tesia rivolgendosi al Cattaneo gli-disse: non mi sarei già mai imaginato che »’ tu, quantunque degno di molte lodi per la cognizione d’ambe le lingue, » avessi tanto valuto nel poetare che tanto mi diletta; poiché nel tuo volto » severo e marziale non si vede alcuna di quelle grazie, alle quali sogliono le » muse favorire. Piccatosi il Cattaneo da questo motto, rispose argutamente: » Dunque nè anco tu, o Bembo, mi pari buon fisonomista, avendoti ingannato » quel brutto mostaccio, quei mascelloni asineschi, ed il naso incavernato di » Filomuso, poeta oggidì cotanto da te favorito. Risero altamente li circostanti » per questa risposta, imperochè Filomuso da Pesaro, poeta lirico assai gustoso, a e compagno del Bembo, era d’ un tal visone di busso, che pareva d’un vecchio » beccamorto. Ma il Cattaneo, abbandonando quest’opera, ritornò alla prosa, » non disperando di riconseguir gl’encomi già acquistatisi, e scrisse due eruditi » Dialoghi, cioè Della polenta e del corso del Sole e della Luna, l’altro De » Giuochi Romani, quali però non finì, sorpreso da mortale infermità. Mori in » Roma l’anno 1531 (ossia 1529), nel tempo che papa Clemente s’ era portato » a Bologna per incoronarvi Carlo V imperatore; ma fu tenuta celata la sua » morte, acciò frattanto li suoi benefici fossero impetrabili. E perchè gli Acca-» demici si credevano eh’ci fosse andato alli bagni di Toscana, fu seppellito » senza onor funerale ». (1) Dell’insegnamento del Calcondila nei diversi luoghi d’Italia, parlano A. Badimi Confalonieri e F. Gabotto nelle Notizie biografiche di D. C. inserite nel Giornale Ligustico (1892 p. 263 segg.). Dei suoi allievi in Pavia, e precisamente del nostro Cataneo, ivi p. 323 segg. (2) Vedi la descrizione di questa ed. a pag. 739. — 737 — Sauli lo prese per suo segretario, gli fece conferire gli ordini sacri ad ottenere un benefizio. A Roma pubblicò traduzioni di vari opuscoli di Aftonio, d’Isocrate e di Luciano. Anzi la versione dei Lapiti lucianeschi fu dal Cataneo dedicata a quel Giovan Coricio, di cui fa menzione il Sadoleto, in una lettera (i) da lui scritta da Carpentras nel 1529 a Angelo Colocci, poeta coltissimo e splendido mecenate dei dotti, nella cui casa soleva convenire l’Accademia Romana. Essa raccoglieva il fiore dei più leggiadri ingegni italiani, i quali vivendo insieme in amichevole società sovente si radunavano, or nella casa di alcuno dei loro splendidi mecenati, or in qualche ameno giardino, ora alla sponda del Tevere 0 all’ ombra dei folti boschi; e col proporre erudite questioni, col recitare a vicenda le loro poesie, e coll’ intromettere alle une e alle altre scherzi piacevoli e soavi ragionamenti, passavano lietamente i giorni e le notti (2). E che anche il Cataneo sia stato del « bel numero » uno, si può arguire subito dalle parole del Giovio, con cui ricorda di lui la traduzione del De conscribenda Historia di Luciano e le lodi date da Scipione Carteromaco al traduttore, « entrato nell’ Accademia ». Scrisse molte opere, tanto in prosa quanto in versi, ma é meno riuscito in quest’ ultimo genere. Ha lasciato un poema latino in lode della città di Genova, che egli compose per gradire al cardinale, suo padrone. Ne aveva intrapreso un altro più considerabile, sull’argomento trattato poi del Tasso con tanta supremità, la presa di Gerusalemme ; ma non (1) Sadol. Epist. famil., t. i, ep. 106, p. 309, ed. Rom. (2) Tirabosciii. Storia della letteratura italiana (Firenze 1809) VII, 141. — 738 — l’ha terminato. Dicesi che la sua morte, avvenuta nel tempo che papa Clemente VII era a Bologna, fosse tenuta segreta da que’ che aspiravano a suoi benefìzi, e che egli fosse sepolto senza pompa veruna: allude a tale circostanza il suo epitafio latino, composto da Pietro Mirteo o Myrtaeus, e riferito da Paolo Giovio nell’elogio del Cataneo. Eccolo : Vide, Viator, quanta jactura occulti Esset sepulcri, tic ingenii sui claris Pcremnioribusque monumentis tectus Adhuc ubique viveret Catanaeus (i). Su Giovan Maria Cataneo deve esistere qualche cenno nel Mazzuchelli, nella parte rimasta manoscritta (2); ma benché n’abbia sollecitato un estratto, questo non m’ é (1) Cfr. Moreri (Louis), Le grand dictionnaire etc. (1740), voce Catanie. (2) Il conte Giammaria Mazzuchelli pubblicò, com’è noto, nel 1753 i due primi volumi, che abbracciano gli scrittori il cui cognome comincia per la lettera A. In altri quattro volumi, usciti alla luce tra il 1758 e il 1763, diede le vite degli scrittori, il cui cognome ha principio con la lettera B. Aveva già stese le vite per la lettera C e ne stava approntando là stampa, quando Io colse, non ancor sessagenario, la morte. Invano il Tiraboschi augurava ai figli del Mazzuchelli la gloria di compire, coi materiali lasciati dal padre, una fatica « a cui non avrebbero potuto le nazioni straniere contrapporre 1’ eguale ». Quei preziosi manoscritti restarono per altri cent’ anni inutile ingombro di privata biblioteca. Finirono anzi coll’essere trasportati fuori d’Italia, per opera del conte Giovanni, pronipote di Giammaria, che, eletto presidente della corte di giustizia a Brùn in Moravia, si trascinò dietro le carte del bisavo; e senza, che nessuno potesse trarne profitto, rimasero più anni prigioniere aneli’ esse là a piè dello Spielberg. Ma, consigliato dal principe don Baldassare Boncompagni, ne fece poi dono alla Biblioteca Vaticana, ove a pubblico vantaggio si trovano dal 1866, comprese in undici volumi e venticinque buste, distinte col numero d’ordine progressivo che corre dal 9260 al 9294. Cfr. Relazione di G. Sforza, negli Atti del V Congresso Storico llal., p. 116 e segg. - 739 — giunto. Del resto le notizie del Mazzuchelli non aggiungerebbero molto, m’immagino, a quanto ci hanno tramandato gli altri biografi sull’ autore del Genua. E veniamo alle sue opere delle quali ho compilato il seguente cataloghetto, in ordine cronologico : I. [1506] Commentarii alle Epistole di Caio Plinio Cecilio Secondo. Benché Corrado Gesner (1) assegni all’ anno ijoo e il Cotta al 1505 la i.& edizione di quest'opera, ignota al Brunet, e che io non ho potuto vedere, e però da credersi che venisse in luce la prima volta a Milano nel 1506, come affermano il Fossio (2) e il Graesse (3), che così la descrive : 1) C. Plinii Caec. Sec. epistolarum libri novem. Libellus epistol. ad Traianum cum rescriptis ejd. principis. Panegyricus Traiano (1) Gesner (Corrado), Bibliotheca etc. Tiguri, Froscliover 1583, p. 470: « Ioannis Mariae Catanaei in C. Plinii Caecilii Sec. epistolarum lib. 10 ad Pane-» gyricuni, enarrationes impressae Venetiis 1500. Idem Aphtbonii progymnasmata » ex graecis latina fecit: Joan. Frobenius excudit Basileae 1521 et Wechelus Pali risiis anno 15 31. Eiusdem poemata Genua et Gothifredi ac Boemuudi expeditio 0 seu bellum sacrum a Gyraldo commemorantur. Claruit anno 1500 ». (2) Vossius, De historicis latinis, libro III, p. 612 (Lugduni Batavorum 1628): « loannes Maria Catanaeus Novariae natus fuisse dicitur a Leandro in Lombardiae » Transpadanae descriptione. Hic, praeter eruditos in Plinii epistolas & panegy-» ricum commentarios (qui primum Mediolani prodiere cid idvi) etiam versu » heroico Christianorum expeditionem ad bellum sacrum panxit: ut ibidem Leander » ait. De eodem sic Lilius Gyraldus dialogo priori de sui temporis poetis : n Nonnihil promovit, id quod plane eius Genua declarat, et ingens illa quidem quam » diu parturit Gothofredi el Boemontis expeditio quae Christi sepulcrum et barbarorum » manibus assertum est. (3) Graesse (G. T.), Trisor de livres rares et pricitux etc., voi. V, pag. 545 col. a e b. — 740 — dictus (cura enarrationibus Jo. Mar. Catanei). Mediol. apud Alexandrum Minutianum 1506 xv Cai. Februar. in fol. (2 ff. non eh. de prél. 228 ff. ch. 3 ff. non ch. d’ index. 3 ff. non eh. d’errata). Première éd. incorrecte, mais aussez rare de Cataneo, dans laquelle ce dernier a corrigé le texte sans consulter des mss. — Il Cotta nel citato Museo Novarese ricorda inoltre: I. Commentaria ad Plinium Iun. in Panegyr. ad Traianum, Ve- netiae 1505, Milano 1506. II. Commentaria ad Epist. Plinii Iun. Venetiae 1505, Genevrae 1671. III. Vita Plinii Iunioris, Venetiae 1505. Ma i nn. I e III sono la stessa cosa dell1 editio princeps citata dal Graesse, il n. II è la ristampa di Ginevra, che cito più sotto al 11. 7. Dell’ edizione del 1506 si hanno molte riproduzioni di cui ricordo le principali, perchè esse sono una giusta conferma della grande fama e del grande onore che godette per molto tempo il commento del Cataneo : 1) Venet. per Joannem et Bernardinum fratres de Lisona, 1510 die XIV m. Decbr. in fol. 2) Ibidem, per Joa. Rubeum, 1519 die XV Decbr. in fol. 3) Epistolarum libri X, Ejd. Panegyr. Traiano dictus. Cum commentariis Jo. Mar. Catanaei multis epistolis cum illarum interpretationibus adiectis, (Paris). Veneunt Jod. Badio et Joa. Roigny. In fine: Ex chalcogr. Jod. Badii Ascens. m. Jan. 1533, in fol. [Il testo e ritoccato in vari luoghi]. 4) Epistolarum LL. X, una cum ejusdem panegyrica oratione Traj. Imp. Aug. dicta: quae omnia doctiss. ac luculentiss. Jo. Mar. Catanaei comment. hucusque depravatissime editis nunc autem integritati suae restitutis explicata sunt. Eiusdem de uiris in militari et administranda republica illustr. liber, Conr. Lycosthenis enarrationibus illustr. Bas. per. Hier. Frober et Nic. Episcopium 1552, in fol. 5) Epistolarum LL. X. Ejd. Panegyricus Trajano dictus. Cum comment. Jo. Mar. Catanaei. Multis epistolis cum illarum interpret. adiectis. Adjuncti sunt alii ad alios Caesares panegyrici ad fidem vetusti exempl. emend. Excud. Paulus Stephanus 1600 (0 1601) in 4.0 6) Panegyricus Traj. dictus: cum doctiss. Jo. Mar. Catanaei - 741 - comm. quibus adiungere visum est et alios veterum panegyricos, ib. eod. in 4.0. 7) Epistol. LL. X. Ejd. paneg. Trajano dictus. Cum comm. Jo. Mar. Catanaei, Genevae, Chouet 1625, in 4.0. Ristampalo (cum aliis ad alios Caesares panegyricos ad fidem velt. exempl. emend.) Genevae apud Pe. et fac. Chouet 1643, in 4.0 ib., Sam. Chouet 1671, in 4.0. 8) Epistol. LL. X ut et ejd. Plinii nec non Eumenii Pacati, Mamest. in Nazarii et aliorum Panegyr. XII impp. dicti. Cum varr. lectt. et notis Hr. Stephani, Is. Casauboni, Casp. Barthii et Atig. Buchnerii nunc rursum junctim editi et praefatione insuper atque binis indicibus, ut et vita Plinii atque argumentis Jo. M. Catanaei in Epist. conscriptis aucti, cura D. A. R. (Andr. Rivini) P. P. in acad. Lips. Frcft. ad V. sumpt. Melch. Klossmann 1650, literis vero Casp. Freyschmids. in 8.°. 9) Epistolae LL. X, notis integris Is. Casauboni. Jan. Gruteri, H. Stephani, Ang. Bachneri, Casp. Barthii, Jo. Fr. Gronovii selectiss. Jo. M. Catanaei, Rittershusii et alior. insertis suo loco integris commentariis Frc. Balduini, Conr. Rittershusii et Gerh. Jo. Vossii in relationem seu consultationem Plinii et ad hanc rescriptum Trajani Imp. de Christianis illustrati et accurate recensiti a Jo. Veenhusio, Lugduni B. et Roterod. ex off. Hack 1669 in 8.°. 10) Epist. LL. X, cum notis selectis Jo. Mar. Catanaei, Jac. Schegkii, Jac. Sirmondi, Is. Casauboni, Henr. Stephani, Conr. Ritteshusii, Cl. Minois, Casp. Barthii, Ang. Buchneri, Jo. Schefferi, Jo. Frid. Gronovii. Chph. Cellarii aliorq. Recens, suisque animadvert. illustr. Gotti. Cortius et Paullus Dan. Longolius, qui etiam universum opus indd. locupletiss. instr. Amst. apud Ianssonio-Waesbergio 1734, in 4.0. 11) Panegyricus interpret. et notis illustr. Jac. de la Baune ad usum, sereniss. Delphini. Huic ed. adduntur quaedam notae selec-tiores Lipsii, Liuinei, Catanei, Rayani, Baudii, Ritterhusii et aliorum. London, Bowyer 1716, in 8.°. - 742 — II. [1509] Isocratis Okatio Panegyrica PER IoANNEM MARIAM CATANAEUM LATINITATE DONATA. Ho polulo vederla, perche sta nella citata miscellanea della Beriana. Ecco il titolo preciso : Isocratis oratoris prestantissimi oratio pane || gyrica | omnium eius orationum elegan- || tissima: & doctissima nuper per Io-1| annem Mariam Catanaeum in || latium summa celeritate & || pari indicio translata. Nel verso del frontespizio si legge questa lettera: Ioannes Maria Catanaeus. D. Petro Forti Scriptori apostolico. S. Perfeci quod optabas, Petre iucundissime, totidem fere diebus latinum Isocratis panegyricum, quot ipse annis graecum, et perfeci in hoc urbis discursu; sed tua in me spectata benivolentia facile impetravit ut aliquod succissivi temporis studiis impartiremur; atque in hoc tuum iudicium mihi pro consilio fuit: quamquam etiam prudentia, multiplex doctrina, ingenium sagax, in rebus gerendis experientia, summa in amicos observantia, non modo me, qui tuae humanitati totus sum addictus, verum etiam alienum etiam ad eadem duxissent, praesertim in hoc bellorum tumultu, quem sedare posset haec oratio, modo non obsistinatis (sic) (1) et surda aure christiani principes tanti auctoris oracula negligerent. Hortatur enim Graecos, ut, deposita domestica seditione, ac inter Lacedaemonios et Athenienses partito principatu, Persarum Regi bellum inferant, clademque intestinam in Asiam transferant. Neque tamen aut potui aut debui semper easdem dicendi figuras servare, sive, quod verissimum est, eloquentissimo rhetori longe dispar, sive latinitatis gravitas graecanici schematis impatiens, vel tumultuaria (1) Errore tipografico, non rilevato dal Cataneo neppure nell’ indice degli errori di stampa, da lui posto in fine dell’opera. Leggi: obstinatis. - 743 — editio vel omnia simul. Satis enim habui, quantum latino licuit ct occupato, sensus transferre, proque virili mea studere, ne obsoletis verbis candidissimum oratorem macularem, et si plerumque contraria non inverti, non paria neglexi, similiter cadentia non turbavi, non periodos destruxi, non gravitatem orationi dempsi, non membra et numeros semper infregi, non denique omnem venerem decussi. Haec si tibi placluerint placebunt et bonis : tanti iudicium tuum lacio. Bene vale. Romae xv kal. aprilis MDIX. E in 4° di cc. 20 con linee ]0 nelle pagine piene. Ha in fine la tavola degli errores ab impressore facti e le note tipografiche: Impressum Romae per Iacobum Mazochium [| Romanae Academiae bibliopolam anno || salutis M.D.IX • Die • XXV • Maii. Conosciuta dal Graesse, che però sbaglia il nome del tipografo (Marockium, invece di Mazochium). III. [1510] Carmina ad Pasquillum etc., Romae 1510. Opera ed edizione citata dal Cotta (Mus. Nov. ib.). lo non l’ho potuta avere, nè l’ho vista citata da altri. IV. [?] Dialoghi di Luciano. Il Colta li cita così: Luciani dialogi in latinum translati, mentovati da Giacomo Gad-dio, de Scriptorib. non Eccl. Iit. L. Luciani opusculum de componenda historia latinitate donatum. Venetia, 1522. Sono entrambi sconosciuti tanto al Graesse quanto al Brnnet, e io non ho visto nè I' uno nè l’altro. Il secondo é però la traduzione dello scritto Lucianesco retùg osi taxopfov au^piep-tv, che il Giovio ricorda come dedicatagli dal C.alaneo. Cfr. p. 735 nota e p. 737. — 744 — Ho potuto invece- esaminare coi miei occhi, perchè legato nella citata miscellanea della Beriana, il seguente-. Luciani Convivium || sev lapithae || Omnium eius Dialogorum Vrbanissimus: et Sua- || uissimus, Ioanne || Maria Catanaeo | interprete. Ha in principio, nel verso del frontispizio, la seguente epistola: Io Maria Cataneus • Io • Coritio • S. (i). Scio te tamquam alterum Aristaenetum eruditorum consuetudine oblectari, neque minus laute quam ille doctos invitare, qui etsi Romano sale sint conspersi tamen verendum ne aliquis Alcidamas vel Hetoemocles interdum vestra relaxamenta interturbet. Quare ut sub exemplo praecaveres, Luciani convivium e graeco tibi latinum feci, et dedicavi. Vale. E di carte 12 con linee 26 nelle pagine piene. Non ha data nè note tipografiche, ma l'identità dei tipi ci convince che possa riferirsi al già citato stampatore romano Giacomo Macchio di Roma. V. [I5I4] Genva Vedine la descrizione a pag. j}i. (1) Di questo Concio, o Gorizio, fa menzione il Tiraboschi (Storia detta lett. ital., Firenze 1809, voi. VII, p. 143), parlando delle adunanze che si tenevano nell’Accademia Romana. Soleva il Goricio imbandir cene agli eruditi, singolarmente nel giorno sacro a sant’Anna : ne abbiamo notizie in una lettera di Cristoforo Longolio a Delio Massimo, che non ha data, ma dev’ essere scritta in uno degli ultimi anni di Leone X, in cui gli chiede se il Gorizio abbia in quell’anno celebrato il suddetto giorno col solito convito, o se n’abbia interrotto il costume per non so quale contesa nel precedente anno insorta; o se, facendo il banchetto, abbia lasciato d’invitare gli Accademici, « benché, » die’egli, sapendo io bene quanto sia splendido il Goricio in tali occasioni, » e quanto piacciano agli Accademici cotali cene, io credo certo che si sara » dimenticato ogni antica inimicizia » (Longol. Ep. I. } p. 269 ed. Lugd. if43)-Il Gorizio era di nazione tedesco, ed avendo fatto fabbricare, circa il 15 Mi una magnifica cappella nella chiesa di S. Agostino, molti poeti si unirono a celebrarne coi loro versi la pietà e la munificenza. Le loro poesie furono pubblicate in Roma nel 1524 da Blosio Palladio e intitolate Coriciana. Cfr anche Tiraboschi, op. cit. VII, 1365. - 74) ~ VI. [r5 x7] I « Progymnasmata » di Aftonio. Il Cotta ne ricorda un’ edizione del 15io col seguente titolo: Progymnasmata Aphtonij latine reddita partim etc. Venetia, 1510. Io non V ho vista, ma credo cervellotica tale indicazione : il Graesse segna la prima edizione datata, così : Aphthonii Sophistae, Praexercitamenta interpr. Jo. M. Cataneo Romae 1517, in 8.° E, dopo aver ricordata la riproduzione di Colonia i;2j in 8° (in una miscellanea di Wratislav. 1689) il Graesse cita anche la seguente, senza data : Progymnasmata, Gr. et Lat. J. M. Cataneo interprete, s. 1. (Venet.?) e s. d. in 8.°. E aggiunge: « Il existe nombre de réimpressions de cette traduction. V. Hoffmann, Lex. bibliogr. voi. I, p. 212 segg. ». Fra queste ristampe dev’essere compresa anche quella citata dal Cotta così : Parigi 1531, Bibi. Ambros. V. Novaria, Misceli. Novar. 5. A queste opere vanno aggiunte, oltre una Epistola dopo del primo tomo di Vegeto colle note di Steuvechio, anche le tre seguenti che, come già dice il Cotta ed altri, restarono imperfette, cioè : a) Solimide in S.1 rima, citata dal Giovio. b) De potestate et cursu Solis et Lunae (citato dal Giovio 0 da Giulio Cesare de Solis). c) De Ludis Romanis. Fra tutte queste opere del Cataneo noi dobbiamo di proposito occuparci ora solamente del Genua, del quale faremo anzitutto un rapido esame. — 746 - Al poemetto va innanzi una breve lettera dedicatoria a Stefano Sauli (i), protonotario apostolico, datata da Roma il i.° di febbraio 1514, dalla quale traspare subito l’intendimento del Cataneo di voler celebrare la città di Genova più da storico che da poeta, e, tralasciando da parte le grandi glorie navali, militari e commerciali dei Liguri, descrivere invece l’aspetto ed i costumi della loro superba capitale. La traduco: « La città di Genova, dice egli, e quante cose, fuori » od entro, sonvi da lodare, più da storico che da poeta, » senz’alcun esempio di antichi, brevemente ho descritto: » niuno infatti sino al tempo nostro é ricordato, il quale » cosa sifatta abbia mai compiuta; a questa difficoltà » s’ è aggiunta la aridezza montana del paese e la spiag-» già del mare, per natura, importuosa : le quali cose » parevano apportare come una certa asprezza al verso » in materia già di per sé arida, e sottrar tutta quella » grazia di cui le poesie s’adornano. Benché involti in » coteste difficoltà, tuttavia più ardentemente ci sentivamo » attratti verso questo campo, dappoiché meritano pre-» cipuamente lode coloro i quali col lavoro e coll’ in- (1) Sauli Stefano, patrizio genovese e nipote del Cardinale Bendinello, fu protettore dei buoni studi e dei letterati. Trattennesi per lungo tempo a Padova, conoscendovi il Longolio che poi sempre onorò : cosi pure protesse Marcantonio Mureto. Verso il 1518 andò all’isola di Lerius per farvi la conoscenza di Gregorio Cortese, poi cardinale, che ne fa soventi menzione nelle sue lettere (Venetiis, Frane. Sen. 1573). Anche Paolo Manuzio loda molto un’opera del Sauli, intitolata De Homine Christiano, che il Cardinal Polo soleva pareggiare a qualunque più pregevole opera degli antichi. Fondò anche in Genova una Accademia, la quale, sebbene di breve durata, fu dal Tiraboschi posta meritatamente fra le più illustri. Di essa parla lo Spotorno, Storia letteraria delia Liguria, voi. IV, p. 255. Cfr. anche il mio scritto: La a Fontana dell'amore » e gli Umanisti Genovesi, Genova 1894. - 747 — gegno, hanno superato la malignità della natura. Ché, per tale rispetto, fra le più celebri città d’Italia Genova a buon diritto devesi annoverare. Le insigni imprese n’abbiamo pensatamente tralasciate, ché sarebbe stato lavoro d’altra lena e d’altro ingegno, e n’ appariva richiedere una penna più elevata. Riversandosi adunque il frutto di tal lavoro e in pubblico e in privato sulla tua famiglia,, questo libretto, affinchè viemaggiormente tu fossi infiammato per la celebrazione della tua patria, al tuo nome ho voluto dedicare : a te che, lasciate da parte le cure inani degli affari, ne sei andato a Bologna a perfezionar l’animo tuo nelle buone lettere, con tanto amore agli studi che stai per raggiungere fra poco la massima altezza ». Ecco il contenuto del poemetto, riassunto nei suoi momenti principali : v.v. 1-6, Protasi ed invocazione. Il poeta si propone di descrivere l’aspetto di Genova e i suoi costumi, se i santi tutelari di Genova lo assisteranno, e specialmente quel supremo Architetto dell’ Universo (ilìe opifex summus rerum) che ha fatto così bella e svariata l’Italia, v.v. 7-13. Breve descrizione dell’Italia, per la quale il Poeta si è inspirato a quella, stupenda, che troviamo nel II libro delle Georgiche di Virgilio (v. 136 sgg.). v.v. 14-25. La Liguria e i Liguri. La natura è qui stata invece noverca: chi guardi i brulli monti e le roccie tagliate a picco sul mare, direbbe che questa regione non è fatta per alcun consorzio umano, e che mal sicuro asilo troverebbe in questo porto una nave agitata dalla tempesta, v.v. 26-46. La tenacia dei liguri vince però la asprezza naturale del suolo, costretto dall’ industre colono a produr viti e ulivi, biade c frutta nostrane ed esotiche. - 748 - 47~6S. Viticultura e industria dell’olio. La vite el olivo (Bacco e Pallade) si contendono le colline genovesi: descrizione delle varie specie di uve e di ulive. 69-102. Arti marinaresche. Non solo i genovesi esercitano la loro energia su campi e vigneti, ina nessuno al par di loro sa costruire ed armare navi, che poi mandate nei porti più lontani accresceranno l’opulenza dei liguri (v. 72-91). C’è in questo tratto una vivace descrizione di un varo, che meriterebbe una buona traduzione poetica. 103-126. Le due riviere: sono cosparse di superbe villeggiature, dove i palazzi rivaleggiami con quelli di città e gli orti gareggianti con quelli di Alcinoo si succedono con tanta continuità, che un forestiero a guardar quella fila non interrotta di case direbbe che : 124-125. Da Quarto a Sestri Genova sia tutta una città. A Quarto ad Sextum transcurrens advena credet Incipere a Quarto Genuam, subsistere Sexto. L’ espressione, come si vede, è poco diversa da quella che usò poi anche l’annalista Agostino Giustiniani (vedi Appendice). 127-134. Abitanti. Bellezza e amabilità delle donne: giovanotti : padri : vecchi. 135-167. Passatempi. Canzoni, giga, il meriggiare, fiori, bagni, sotto i portici: il getto delle melarancie: amori: loggie: merende mattutine e vespertine sulle alture. 168-177. Il porto ed il molo: descrizione della folla acca! cantesi sui ponti ad abbracciar i ritornanti, con sparo di mortaretti e suon di corno, ecc. : pesca : nuoto : sui gozzi (lembos), ecc. - 194-218. Il faro e la cittadella. Panorama di Genova. 219-243. Le case e le strade : queste sono strette e tortuose per ragioni strategiche: la città (v. 243), se assediata, si potrebbe prendere soltanto sopprimendo 1 uso del vicino fiume. 244-247. Il Feritor (o Bisagno) : senza le sue acque non basterebbero in tempo di assedio quelle dei pozzi; ma anche - 749 — a ciò l’arte ha supplito alla natura, colla costruzione di numerosi serbatoi artificiali, v.v. 248-255. Le Cisterne: descrizione della loro struttura, v.v. 255-263. Acquedotto e Fontane Pubbliche: tocca in questo punto una questione di toponomastica, quella cioè della vera denominazione dell’ attuale Piazza Fontane Marose, di cui discorrerò più a lungo nell’ Appendice, v.v. 264-278. Templi, Palazzi e Loggie. v.v. 279-286. Elezione del Doge. v.v. 287-320. Religione. Le ceneri di San Giovanni Battista — il Sacro Catino, v.v. 321-324. Istituzioni di pubblica beneficenza. v.v. 325-334. Pontefici e Cardinali Genovesi: onde trae occasione di fare un’apostrofe al Cardinal Bendinello Sauli, suo padrone e protettore, v.v. 335-349. I Genovesi all’estero: per ogni parte del mondo i genovesi emigrano ogni anno dalla patria; se tutti ritornassero ad un tempo al paese nativo, non varrebbe a contenerli il troppo angusto spazio circoscritto dalla Macra, dal Varo e dal Po. v.v. 350-400. Traffici: a somiglianza degli antichi Romani, i genovesi importano dalle varie regioni del mondo quanto manca alla madre patria: traffici con Brittania, le Canarie, la Spagna, la Gallia, Provenza, la Sicilia, la Enotria, l’illirico, l’Epiro, 1’Eliade, Creta, Tracia, Ponto Eusino, Calcide, Mitilene, Cipro, Chio, Cilicia, Tauride, Beyrouth, Alessandria, Mar Rosso, Damasco, Mauritania, Arabia, ecc. v.v. 404-407. Genovesi Scopritori: qui parla di Colombo nei quattro versi che abbiamo riferiti a pag. 730, e trae occasione per fare un’ invettiva contro quelli che, oltre i confini dell’ u-mano intelletto, si danno agli studi del cielo, mentre i Liguri, più pratici, congiungono colla navigazione le parti del mondo tra loro per natura divise, conoscono i costumi dei più strani popoli, e arricchiscono sè ed i proprii nepoti, v.v. 415-424. Imprese militari: vengono solo accennate per preterizione, v.v. 425-430. Costumi lodati. Atti Soc. Lig. St. Patria. Voi. XXIV, fase. i.° 4* — 750 “ Termina il poemetto (v.v. 430-446) con l'augurio che da un’antica e magnanima famiglia illustre sorga qualche Principe, il quale scuota i cittadini allo studio delle armi con cui il Popolo e il Senato restituiscano alla patria gloriosa l’impero del Ponto e le città dominate già un tempo fino all’ Eusino, e gli incliti trofei degli avi. Si augura che il Cardinal Bendinello suo mecenate divenga Pontefice, e che, d’accordo coi Genovesi, muova guerra ai Maomettani. Dal lato artistico, il poemetto non é certo gran cosa: se il Cataneo si era rivelato buon grecista ed erudito colle sue versioni e commenti a classici greci e latini, come poeta fu men che mediocre, e già ce ne ammoniscono le seguenti parole che si trovano nel citato elogio del Giovio: essendo già vecchio, s’invaghì della poesia, sospinto di tardo e però poco felice desiderio ; poiché non avendo in sua gioventù inteso a far versi, diedesi in vecchiezza a tormentare le muse. Il Cataneo del resto si mostra egli stesso di ciò ben conscio, dichiarando nella lettera di dedica al Sauli che nel Genua egli ha voluto far della storia in poesia. Egli ha voluto descriverci — historice magis quam poetice — l’aspetto della Superba e le costumanze dei suoi abitatori, ed in ciò presenta delle singolari concordanze con quanto ne hanno scritto il Petrarca, l’Astesiano ed il Filelfo (1). (1) Petrarca, 1. XIV, fatti. — Antonii Astesani, De varietate fortunae, in Murat. S. R. I. XIV, col. ioi 5. — Fr. Philelphi Satyrarum etc. Mediol. 147^ (Valdarpher): Cfr. Braggio (F.) Iacopo Brucelli e V Umanesimo dei Liguri, p. 3* e 266 sgg. - 751 — Tra costoro ed il Cataneo c’ è però — o io m’ inganno — una notevole differenza: nella descrizione dei tre primi noi abbiamo l’impressione tumultuaria del touriste : nel Cataneo invece 1’ osservazione serena, meditata, tranquilla dell’ uomo che ha vissuto a Genova, e che ha della città stessa e dei suoi costumi una minuta conoscenza, acquistata nelle gite che a più riprese doveva farvi, accompagnandovi il Cardinale suo padrone, e frequentando il circolo di dotti ed eruditi che convenivano nelle splendide sale della famiglia Sauli. E dovette pure trovarsi spesso nei dotti convegni di Stefano Sauli, quello stesso a cui il Genua è dedicato, e che fondò in Genova — come si è detto — una Accademia, la quale il Tiraboschi disse degna di essere tenuta tra le più insigni. Certo è che nel Genua noi sentiamo quasi l’eco ancor fresca di impressioni e di tradizioni colte sul luogo. Il poemetto, in cui non scarseggiano le reminescenze virgiliane, se ha il difetto di una soverchia erudizione mitologica, ha però qua e là delle descrizioni vivaci, come la descrizione del varo, delle serve alle fontane, ed altre che il lettore potrà facilmente rilevare ed apprezzare. . IO: MA riae Catanafi •Gftuia. — 755 — Io. Maria Catanaeus. D. Stephano Sauli PROTONOTARIO APOSTOLICO SALVTEM. Urbem Genuam breviter, quaeque foris intusque sunt laudanda, historice magis quam poetice, metro complexus sum, nullo antiquorum exemplo: nemo enim hactenus circumfertur, qui tale aliquod absolverit. Accessit ad hanc difficultatem regionis montana sterilitas et a natura importuosa maris ora: quae veluti in arida materia duritiem quandam numeris afferre et omnem gratiam, qua poemata condiuntur, elevare videbantur. His licet difficultatibus inclusi, ardentius tamen ad hanc provinciam accendebamur : quoniam illi in primis laudem mererentur, qui naturae malignitatem labore, et ingenio superassent. Ideoque inter celeberrimas Italiae urbes Genuam merito recensendam. Res autem praeclare gestas consulto omisimus: quod erant alterius et otii et ingenii grandioremque stilum exigere videbantur. Cum igitur huius rei fructus, et publice et privatim, in domum tuam refunderetur, ipsum opusculum, quo patriae tuae celebratione magis, atque magis accendereris, tibi nominatim dicare volui : qui spretis negotiorum inanibus curis Bononiam ad animum tuum bonis litteris excolendum te contuleris, tanto studiorum ardore ut brevi maxima sis consecuturus. Data Romae calendis Februarii. M.D.XIIII. . 10. MARIAE CATANAEI GEN VA (i) Qui Genuae mores, facies quae digna superbis Sedibus aggredior, pia si modo numina ab hoste Quae quondam eripuit diro, vitaque redemit Vrbs eadem, timidae nostrae dent vela carinae: Praecipue optatos si nobis tangere portus Annuat ille opifex summus rerum, alpibus arva Itala qui aeriis, pelagoque ambivit aperto, Flumina quique iugis decurrere fecit, ut inter Obstreperent agros, crebrisque virentia rivis Prata alerent, densasque infudit saltibus umbras, Et frugum genus omne, et pomorum genus omne Indigenas legere, ac pretiosum haurire lyaeum Iussit et inventas vitam excoluisse per artes. Aspra quibus dedit idem opifex invertere saxa, Ingenio hos sublimi homines, animosaque corda (t) Per la presente ristampa del poemetto di Gio. M. Cataneo, mi sono attenuto fedelmente alla copia che ho trovato alla Beriana. Noto a piè di pagine le correzioni in essa fatte da mano sincrona e le discrepanze tipografiche colla copia del marchese M. Staglieno. — Non ho creduto bene conservare certi idiotismi ortografici, come preciosus, cìaementia, orli (= horti), cataphratto, fomina, raetes e depratndit etc., ed ho sciolti costantemente — per ragioni tipografiche ed estetiche ad un tempo — tutti i compendii paleografici, aggiungendo o togliendo i dittonghi in conformità dell'ortografia moderna; ma ho rispettato quasi sempre — come cosa di maggior momento — la interpunzione originale. — 758 — Viribus invictis peperit, durisque lacertis. Nam siquis Genuae cautes, exaesa iugorutn Fragmina metitur, si quis vada caeca profundi, Et maris immensum turbata per aequora murmur, « Non haec terra hominum coetu est habitabilis ullo, Non est tuta rati statio exoriente procella » , Diceret: usque adeo procurrit inhospita Tethys Per scopulos alte sese tollentibus undis: Ordea ferre negant, ct prata comantia valles, Atque infoecunda consurgunt arbore montes: Et tamen ars hominum naturam evicit iniquam. Nam quo vix dubio capreae vestigia saltu Fixissent scopulo, vites pretiosa lyaei Munera, palladiasque oleas Ligur inserit acer. Demissos per funem alta de rupe colonos Arboribus videas felicia carpere mala, Aut baccas legere, et suaves de vite racemos. Verum ubi sabatiis campis natura noverca Non penitus fuerat, delecta legumina putri Mandavit sulco, redivivaque semina legit: Induxitque agris rivos, et florea rura Iussit habere solum, ac foetas producere plantas. Belgica de teneris decerpit persica ramis Villicus, et biferas ficus, et caerea pruna. Omne ibi praecipuum cum caelo cura reponit. Ingratae mensis alibi si gramina pastae Haec fuerint pecudes, nemo fragrantia tantum Viscera torrebit tristi spoliata sapore: Sic velut Italiae mutat nutritus in oris Barbarus ingenium, nostri clementia caeli Hesperio cuius perfundit pectora gustu. Hic certant magnis inter se viribus Evan Et Pallas, vincit neuter. Semeleius heros Collibus incumbens una cum virgine montes Scandit in immensum duros, victorque per oras Transcurrit choreas agitans, comitantur ovantem - 759 - Capripedes Satyri, et pando Silenus asello. Nunc facili rate transmittit mare, Corsica regna Invisens, largis ubi vina canalibus alba Pampineo praecincta haurit vindemia serto: Nunc Genuam repetens sese hinc ad dulcia transfert Musta Padi curas genti pulsura sequaces Huc, ubi rex Ligurum celeber confinia Cycnus Protulit imperii quondam, coeloque ruentem Deflevit Phaetonta, rogi post tristia busta Seque nova miserum stupuit canescere pluma. Sic variat, mutatque locos cum Pallade Bacchus. Ipsa viret colle aprico, populosque per omnes Funditur. Ingaunis cedit Picena trapetis, Appulaque Illyricos quae spectat oliva recessus: Quaeque noto exposita est Sicano proxima ponto Brutia, vel Thusco quae felix littore gaudet, Et quam altum mittit romanas Tibur ad arces. Nec tantum cultu terrae, nec dulcibus uvis, Atque olea Ligures: mira deducere naves Verum arte excellunt, maloque aptare rudentes. Nam si forte ingens oneraria pistris in aequor Deducenda venit, tum non vicinia ruris Sola: sed urbs pileo defensa Hyperionis astro Matres, atque viri, pueri, innuptaeque puellae Spectatum veniunt excelsam in littore molem. Illa autem trabibus suspensa, et funibus alte Eminet instar equi troiani proxima supra Tecta, subinde rotae celeri vertigine adacta Paulatim adsultat ripae: tum libera freno Non velis adiuta ullis, ullove magistro Proxima supremo procurrit in aequora saltu, Exoriturque una concursu puppis, et undae Fumea caligo, tegitur qua pontus et aether: Multarum resonatque tubarum clangor ad auras. Illa autem ad portus humili religata triremi, Quam circum innumerae cymbae comitantur ovantes, — 760 — Ducitur, alta velut Barum ad praesepia Maurus Rector agit laeta populi stipante corona. Sic placidos invecta sinus, sic omnibus armis Instruitur domino Liguri emolumenta datura. Cum nulla in toto terrarum fortior orbe Aut animis, aut arte vagum gens naviget aequor : Navita non alius, tantas a littore puppes Deducat : nemo melioribus instruat armis : Quas magnas veluti miratur fluctibus urbes Neptunus rapidas ventorum ferre procellas: Materiamque rati aedificandae suggerat apto Proxima silva loco: non multo ut tempore possis Littore subiecto ingentem componere classem Hic, ubi porrigitur vicus, qui tramite recto Usque ad Porciferam Pharia procurrit ab arce. Namque urbis dextra, ac laeva de parte frequentes Consurgunt villae, melius praetoria dicas Regia magnificis manibus fabricata Cyclopum. Usque adeo ad summam pervenit fabrica laudem. Ut se ipsam superasse putes, ubi villa superbit Non minus ac urbana domus: si culmina celsa Tectorum, parium si contemplabere marmor. Ornarunt Charites, variae pinxere Napaeae, Et Dryades viridem circumposuere coronam : Urbanos etiam cultus mirabere ruri Fulcra, toros, aurum, mensas, aulaea, tapetes, Quaeque lari faciunt amplo decora alta colendo. Ac prope vitiferos arcus pomaria Cyri Ditis, et Alcinoi cernas, laticesque reclusos De saxo eduro, substructaque labra repleri: Unde horti, piantaeque bibant, cum Sirius agros Urit, et ad trepidos manes terra alta fatiscit. Tempore quae certo villae plebemque, patresque Secessu oblectant: has si comprenderis omnes Urbem ipsam spatio vincent: ita iuncta domorum Perpetuo facies hinc, inde ad littora fulget. — 761 — A Quarto ad Sextum transcurrens advena credet Incipere a Quarto Genuam, subsistere Sexto. Tantum cura potest Genuensium, ut unde solebant Ferre gradum ccleres Fauni, Venus aurea mallet Dilectae praeferre Cyproque, Cnidoque, Paphoque, Et volucer properaret Amor, properaret Adonis. Idaliae matris favor hic: ea suada loquendi Matronis, vultusque decor, tanta insuper ipsis Mundities, hic tantus honos, ea gratia formae: Tum iuvenum species miranda, patrumque, senumque: Sanctaque maiestas vestitu adiuta decoro. Atque ibi Nereidas cythara resonante videbis Ad numeros variare pedes : hinc carmina dulci Voce canunt, gyrum bene dum chorus omnis in unum Vertitur, absolvitque alios, atque implicat orbes. Saepe iuvat fessos artus fovisse sub umbra, Aut tenero ungue rosas, et purpureos hyacinthos Colligere, ac violis componere lilia gratis: Nunc lassum gelida corpus restringere lympha: A silvis ad aquas spatiari, a vite per hortos: Vel se in porticibus dilectae ostendere pubi: Malaque ab Hesperidum arboribus collecta propinquis In iuvenum pectus iaculari: sed graviora Spicula luminibus calida in praecordia vibrant. Illi autem pariter non tela minora retorquent, Dictaque formosis addunt placitura puellis. Blanditiisque incassum habitis ad iurgia surgunt, Moxque preces adhibent humiles, veniamque precantur. Interea patres vacuis stationibus aestum Mille modis, longumque diem traducere curant. Mutua quin etiam interdum frugalia laeti Femineo recubante parant convivia coetu Hic, ubi sub dio coenatio prominet apta, Unde mare immensum, longoque in littore amoenas Despectare licet villas, caeloque sereno Liberiore frui prospectu, et cernere adusque — 762 — Cymaei montana soli iam subdita pridem Imperio ligurum, meliori et vescier aura Seu matutino sub Phoebo, aut sole cadente; At cum tristis hyems, aerque aquilonibus horret, Excipere algentes media de luce calores. Sin a secessu pulchram revocaris ad urbem, Et placet ire mari tranquillo, littoris oram Linque: ratemque tuam deflecte ad cornua portus Huc, ubi ne decima classis quateretur ab unda Brachia de solido porrexit marmore apertum In mare, et obiecit moles, quibus unda refracta Concidat, et tuta maneant statione carinae. Navigii genus omne sinum subit, idque refertum Mercibus exultant cives procul aere sonoro Bombardae, lituique aditus penetrare secundos. Pontibus, aut mole ingenti stat turba suorum, Expectans reditum, et satagit coniungere dextras. Nec procul inde alius piscandi captus amore Rete trahit, videas salientia corpora ponti Carceribus tentare fugam, et perrumpere nodos. Quae metuens doctus sinuosa volumina pandit Littore piscator sicco, praedamque fugacem Consequitur, praenditque manu, sportisque reponit. Hinc alii studio nandi dant corpora saltu In mare : submersos credas, mox aequore summo Apparent, delphinum instar tolluntur in altum: Ordine mox longo nantes placida aequora verrunt. Saepius et patres post dura negotia lembos Cum consorte tori scandunt: nunc littora remis Perstringunt: procul a terris nunc puppe vehuntur: v. 167 .... ad tua cornua portu. Cosi la slampa: nella copta della Beriana tua i cancellato da mano sincrona, che aggiunse anche un s a portu facendone un portus, onde vien restituito rettamente verso e senso. v. 168 .... ab un da. Cosi la copia della Beriana, in cui però la solita mano sincrona attacca con un tratto di penna le due ultime sillabe. Bene la copia dello Staglieno ab unda. - 763 “ Perque amplum laeto portum clamore vagantur, Nautarum exhilarat quos nuda licentia tandi : Nunc pelagus tentare iuvat, transque ostia portus Provecti laevam cymba vertuntur ad undam. Parte alia summo in scopulo stat turris ad auras Quae vocet errantes nocturna lampade nautas Huc, ubi celsa sedens portum tutatur, et urbem Arx munita recens, tanquam e duro insula saxo Excisa ad montes: ingens quam nulla hominum vis, Ingeniumque valet refringere, nulla domare Dira fames, nemo admota concludere classe. Non alios tantum miraberis aequore portus, Quos natura dedit curvatos fusa per arcus. Conspicua urbs, collem cum primum ascenderis arcis Quae posita in scopulo est: oculis nam tota repente Obvia concurret laetis, ridensque recurvo Littore fulgebit, seque in tua lumina sistet: Et modo suspicies geminas in montibus arces, Mox Genuam, portum, pelagus, dein cuncta recurrens Iisdem oculis, unoque remensu cuncta videbis: Quales splendenti cernuntur sole colores Conspicuam per cristallum tribus ordine pinnis: Quascumque in partes convertas lumina, rident Omnia tantarum varia sub imagine rerum. Ipsa sedens veluti demissa e colle per ima Opposuit firmos a tergo provida montes, Tuta foret pennis atri ut pernicibus Euri. Caeruleum occurrit spatiosa a fronte profundum: Hinc latere a gemino procurrit in aequora collis. Exteriora domus candent, albentque penates. Fornice substructo per vicos pensilis omnes, Coctilibus plateae, et fora sunt instrata, viaeque, Cum pluviam effundunt nubes, in proxima ponti Eluitur, facili decurrens pendula cursu. Quodque magis stupeas, minus intra moenia tutus Hostis, et armatae cataphracto milite turmae. — 764 — Sic via in angustos astringitur undique calles, Dirrigere ut nequeant acies, non cornua certo Ordine : subsidiis tormenta aut cingere firmis : Non conferre manus, aut signa inferre maniplis: Vel nudare aciem: et caesos spoliare iacentes. Usque adeo anguste pugnandum: ita sidera pulsant Culmina tectorum : munita est ianua ferro, Est paries solidus: mittendi tela facultas Tanta, loco ut valeant famulae delere cohortes Desuper e tuto, et victores vincere capti : Oppressit dextra Aeacidem velut ante senilis Irrumpentem Argos, cladem victoque ferentem. Haud aliter quam si magnorum turba Leonum Dentibus armata, atque ungue includantur arena, Imaque sint firmo clatrorum carcere septa, Exercent iras frustra, frendentque minaces Contra tela furentes, et moriuntur inulti. Sola urbis ratio capiendae, si foret usus Vicini obsessae demptus Feritoris ab hoste: Cum non hauriri puteis vis posset aquarum Tanta, sitim toti ut populo sedaret anhelam. Reppulit arte malum hac ergo, et providit abunde. Aedibus in mediis large tellure cavata Firma domus struitur: firmusque obducitur arcus Desuper, ima loci pura sternuntur arena, Sola fenestra patet, summo de culmine tecti Per longos flumen tubulos decurrit aquarum: Mox defaecatum sensim destillat in imum, Sic gratos latices pluviali colligit unda. Quin et ab acclivo monte est deductus in urbem Limpharum fluvius crebros suspensus in arcus. E castellorum modulis per compita fontes Dispositi varios urbanae plebis ad usus Sufficiunt populo numeroso: ubi ludere servas Spargendo sese puro laetabere rore, Et dulci iuvenum risu: blandoque susurro: - 7^5 - Inter quos pennatus amor, genitrixque pererrat: Maximus accepit fons hic cognomen amoris. Templorum peragam formas, substructaque iniquis Fundamenta locis? quaeque alta palatia priscis Aemula Romanis vel maiestate decora, Vel positu, membrisve suis, vel marmore Tusco? Quodque alibi rarum, magis hic laudabile tanto est, Coniunctas struxere aedes domus inclyta quaevis: Et templum et plateam sibi cum statione dicarunt, Ad quam post parcas epulas, operumque labores Conveniunt primi vicino e poste tribules Huc, ubi res agitant varias: nunc publica curae Sunt illis: modo privatos vertuntur ad usus: Seria nunc ludo miscent: dum fallere tentant Aut hiemis noctes, aestumve levare sub umbra. Publica res autem, vectigal scilicet usus Cunctorum spectans nullo subiecta tyranno est. Ac sancti vobis semper sunt iura senatus Libera: namque ducem facitis, quem ponere vestro Arbitrio soliti, ne longo facta tyranni Induat imperio: ne libertate licenti Stringatis gladios per mutua vulnera cives. Tale urbi regimen sine clade, et caede parentum Mentibus imposuit quondam: talemque tenorem Divinus voluit cultus servare nepotes. Numina namque Iovis, falsas quoque Apollinis artes Ut sprevit Genua, et verum te pectore cepit Christe, Redemptorem, nunquam tua sacra reliquit. Sed constans nunc vota facit, nunc construit aras : Corpora sanctorum redimit nunc sanguine iusto. Verum inter veneranda magis te maxime divum, Dum redit a Solymis Gotofredo principe victrix, Transtulit a Myrrha Cilicum Baptista potenti. v. 281. La stampa ha soluti, completa rovina del verso e del senso ha corretto nella copia della Beriana la solita mano sincrona, soliti. Atti. Soc. Lio. St. Pitti*. Voi. XXIV fcsc. s ” — 7 66 — Atque iterum tessis Balduni spicula rebus Dum mittit, forteque operam navat, alta capescens Moenia Caesariae miro cratere potita est : Quem solum ex omni delegit divite praeda. Sive illum accepit virtutis praemia captam Ob Malacam, quando classem victricibus armis Instructam contra Mauros transmisit Ibero. Utcunque acciderit, dicam cratera vel ipsum Esse Dei, vel naturae in terris opus unum. Hinc populo certis anni admirante diebus Monstratur viridi lucens splendore smaragdus. At Praecursoris cineres, venerataque Mauris Ossa etiam : argenti loculo quae condita fldo, Cum mare turbatur, fluctusque ad sidera tollit, Et ratis armamenta gemunt, stridentque rudentes, Nec spes ulla salutis adest in turbine tanto, Ad portum nivea indutus fert veste sacerdos. Mox omnes resident fluctus, placidumque per aequor Intrat securo puppis laeta ostia cursu. Haec duo tam magni faciunt populusque, patresque Dona Deum, nihil ut credant pretiosius orbe. Hinc potius ferrent seque et sua pignora ab hoste Deleri, rumpique locis aeraria certis (Omnis quamquam hominum inde ordo vitalia carpant Subsidia, et duris in rebus se tueantur) Haec duo quam sinerent penetralibus abdita tolli. Urbs eadem caris quae sunt viduata maritis Corpora alit sine labe, orbataque pignora nutrit, Publica privato reditu discrimina tollens. Talibus officiis, et religione minores Haec tot pontifices peperit, rubroque galero Spectandos Roma longo dedit ordine patres: Teque adeo, o Sauli, quo non praestantior alter Fortunae perferre vices: sub pectore cuius Lucet inextincto felix prudentia lychno, Bendinelle, tulit rebus succurrere nostris. - 7^7 — Hinc regimen toties Romana potentia rerum Delegit: rectorque poli concessit habenas. Urbs, cui religio cordi, cui cura sacrorum, Quo cultu, et pietate Deum coluisse legeris? Quin etiam e gremio Genuae prodire quotannis Iam numerosa solet pubes, populique frequentes, Ut si gens Ligurum, terras quae sparsa per omnes, Unica quaeque potest transcripta colonia dici, Qua sol perpetua mortales lampade lustrat Partibus e cunctis revocata coiret in unum, Saxa, vel arva situ multo maiora teneret, Quam loca, quae Varus cum Macra limite longo, Ht Padus, inde aequor spatio breviore cohercent. Qualis apum soboles, doniibusque emissa iuventus Cum varios volat ad flores, atque insidet arvis, Iam numero proprios duplici transgressa parentes : Conveniant si forte omnes, alvearia bina Vix capient prolem ingentem, populosque frequentes. Hinc facile quae dura parens alimenta negabat, Arida quae tellus, variis transvexit ab oris Incola caeruleas ingenti puppe per undas: Non secus ac quondam victor Romanus ad omnes Pervenit regiones, atque inde optima quaeque Transtulit in patrias ad publica commoda sedes. Orbe alio inclusi fortes misere Britanni Quaeque fluens, refluensque vehit mare commoda vitae. Insula nectareo generosa Canaria succo Dulcia divitibus spargit bellaria mensis. Praebet et Hispanus linguaque manuque paratus Sponte sua quae proveniunt, sive arte reperta. Gallia dein merces: Cererem Provincia portat Docta legit Catane et siculas quae dona per urbes, Unde domus Catanaea amplum diffusa per orbem : Ac frugum mater variarum oenotria tellus: Illyricusque vagus, domitrixque Epirus equorum Olim armis, animisque potens pelopeia cocco — 768 — Purpureo insignis nunc gens, et vellere multo: Fergoribusque boum praestans sua munera mittit: Et quos Creta legit dulci de vite racemos. O quales certant rerum transmittere acervos Threicia immani nunc sceptra obsessa tyranno. O quantas exportat opes Euxinus ab arctis Vorticibus, fortisque diu, generosaque Chalcis. Te sileam lyrico Mitilene cognita cantu? Sabatio nota est Cyprus illustrata metallis: Ac Genuensis adhuc patiens Chios inclyta freni. Sunt Cilicesque croco praestanti, atque intima Tauri. An te praeteream Beruti moenia ditis ! Et quam Pellaeus claram dux condidit urbem, Mercibus emporium ? si lusitana quiescant Vela peregrinas rubro res ducere ponto. Serica texentem vel te celebrata Damasce ? Cuius ab exemplo bombicum vellera pectit Doctior Ingaunus: sparsas quoque littore moros Lanivomis gratas animalibus intulit escas. Oppida Maurorum Hesperiis contraria regnis, Quasque Atlas tegit umbra urbes Titanis in ortu Commoda dant, Rubrumque mare, et felicia rura Dant orientis opes Arabum, sua dona Sabaeus. Aurea quin etiam Ligures peninsula ditat. Dum nova Taprobane casiam, thus, cinnama, gemmas, E pleno fundis cornu, festinat amoeni Accola Porciferae, Feritoris et accola pulchri. Nec satis est illi Ingaunas vexisse per oras Mercem orbis cunctam, nisi per vada caerula, et urbes Naturae bona partiri, et commercia curet. Quin etiam ignotos audaci puppe recessus, Caecaque in extremo dum navigat aequora ponto, Pertentatque novos aditus, gentesque repostas, Appenninicola duce, nobis agnitus alter Est orbis, miranda canam, penetratur ad Indos Occeano monstrante viam, qua Bethica Phoebum - ih - Occiduis Calpe spectat dum mergitur undis. Quod neque Phoenices primum, quod nulla vetustas, Non quondam rerum domini novere Quirites, Quaeque Hammone satum latuere, exacta Columbi Deprehendit Liguris virtus, et reddidit orbi. O vani quorum astra animos, caelumque fatigant ? Qui supra captum humanum caelestia regna Quaeritis, at terram quae vos producit alitque Nescitis, solum nebulas captatis inanes. Sabatii melius, qui per commercia partes Divisas orbi iungunt ad commoda vitae. Oppida quique hominum et mores novere videndo, Quid tot victores magna ornamenta nepotum Insignes iusto pro capta classe triumpho: Quid pugnas, quid bella camim? an qui cuncta domabat Alciden memorem telorum nube repulsum? Aut fortes aquilas, castra aut praetoria capta, Occisosque duces summos? Turcasne peremptos, Obsessosque diu Venetos, et dicere Iberos Cum tria Tyrrheno diademata capta profundo, Aggrediar ? Mauros felici an milite victos ? Oppida littoribus constructa Proponitidis addam ? An sat erit castos mores, victumque modestum Tangere? et e parca senium laudabile vita? Quando nulla magis regio scelus omne nefandum Odit, et exagitat, bellum gestura profanos Contra homines vitiumque nocens: namque aspera turpes Laesa ut Cecropii de maiestate senatus Convictos, aut crudeli de caede parentum Et ferro, et flammis, et amaro carcere punit. Cumque olim dites agros, mensasque superbas Effugiens, tuto posuisset vita recessu Parca domum, firmam Frugi dea condidit arcem Montibus in Ligurum; quam rerum copia dulcis, Expugnare ullis non viribus advena posset. Ergo gulae frena imponens sacra limina divae — 770 — Ipsa vigil servat vivendi norma Latinis: Quae luxus pariter nimios, quae liquerat arva, Regalesque toros, sese hos veneranda Senectus Transtulit ad patrios montes, longumque per aevum Firmatura larem multo sibi castra locavit Nestore subsidiis reparans vires, nova semper Agmina coniungens : vocat in certamina Seres Macrobios, nixuque pari confinia tangit. O gestis clara, o virtutibus inclyta tellus, Quae loca senta sitii, et cultu durissima vinci Excolis, attollens tanta in miracula moles: Marmore velivolo quae totum circuis orbem : Et vehis humanae, revehis quoque commoda vitae; Imperii cuius monimenta Propontis adorat, Sis felix ! tua relligio, pietasque perennis, Te casti servent mores sine labe, dolove, Hostilique furore et noxia cuncta repellant. Iamque aliquis clarus veterum de stirpe parentum Magnanima exurgat Princeps, qui publica civem Excitet ad studia armorum, populusque, patresque Imperium Ponti quondam, regnataque longe Oppida ad Euxinum, et maiorum clara trophaea Restituant patriae Illustri. 0 te, maxime, Serto BENDinelle decus virtutum, tempora terno Aspiciam redimitum. O aurea tempora quando Tu concors Genua, atque in terris Maximus ille Cingetis gladios ad belli munera iustos, Et Maumetanos contundet uterque furores. LAUS DEO. 0" Impressum Romae apud Iacobum Mazo/ chium Ro. Acad. bibliopolam. APPENDICE Ho creduto bene aggiungere, come commento storico a parecchi passi del poemetto di G. M. Cataneo, alcuni raffronti con altri scrittori, che, avendo trattato la stessa materia, ci hanno lasciato preziosi accenni sui costumi e sull’aspetto della città di Genova nel secolo XVI e nei secoli anteriori. Devo però dichiarare che la maggior parte di queste note illustrative è tratta dal libro del comm. Belgrano, La vita privala dei Genovesi (II ed., Genova 1875): vera miniera di notizie, da lui per la massima parte ricavate da documenti dei nostri Archivi. : (Versi i-j) « Numina ». Anche gli Annales Genuenses di Giorgio Stella cominciano con una simile invocazione ai Santi prottetori di Genova. La riferisco, vuoi perché non è improbabile che ad essa siasi ispirato il Cataneo, vuoi perché serve a determinare quali sieno codesti numina del v. 2 : « De potentis Italiae Urbe lamia, Iannuensiumque actibus » hoc tractabitur opere. Quod sit in trini et unius aeterni. » Dei nomine Genitricisque ipsius simul et Virginis, et » venerandi archiprophetae B. Iohannis, cuius ossium sacra-» tissimorum reliquiae creduntur ipsa Urbe quiescere, levitae » quoque et martyris venerandi S. Laurentii, sub cuius » sancto vocabulo lanuensis ecclesia structa est, et almi » martyris triumphantisque militis Beati Georgii Ian-» nuensium vexilliferi, turbaeque totius Beatorum super-» nae » (1). Serve pure di commento al verso 2 e 3, quanto dice il Cataneo stesso nei v.v. 291-320 del suo poemetto. ''i) Muratori, R. I. S., tom. XVII. — 774 - (Verso f$) Confini. Con questa reminiscenza mitologica, il Poeta vuol dire semplicemente che i confini della antica Liguria si estendevano sino al corso del Po. Come si sa, Cicno, figlio di Stenelo, re di Liguria, fu talmente commosso della morte di Fetonte, suo parente ed amico fulminato da Giove, che abbandonò i suoi Stati per venire a piangerlo sulle sponde dell’Eridano, alleviando i suoi dolori con canti lamentevoli. Cfr. Ovidio, Metamorf. 1. II. v. 367; Virgilio, Eneide, 1. X. v. 189. Vedi anche lo scritto che va sotto il nome di Luciano, col titolo; itepl toù TjXéxxpou ?j xò)v x'jxvwv. (Ver 10 IO}) « PORCIFERA » Un’ ampia descrizione, quasi sincrona al Cataneo, della vallata di Polcevera (Porcobera, Porcifera, Portifera), 1’ hai in Giustiniani (1) ; ivi pure é ricordata la torre del Capo di Faro (Lanterna) (Pharia... ab arce). Vedi più sotto al verso 194. (1) Ann. I, 51. - 775 ~ (Vini ioj-nS) Le Ville e il Villeggiare. « 11 rapido scadimento della integrità del costume, osserva il Belgrano (i), sbandi l’austerezza del prisco vivere cittadino; talché le dovizie, un tempo acquistate a prezzo di sangue, si profondevano ora negli spassi e negli agi. In ogni stagione e per ogni dove erano allegrezze di suoni, di balli e di canti, e il giorno si facea corto ai piaceri. Più giocondo e grasso vivere non sariasi potuto immaginare altrove che a Genova. Nella estate poi non era chi volesse dimorare in città: manomettevano le faccende, disertavano gli uffici, davan commiato alla mercatura; e trasportavano nelle adiacenti campagne tutte le corruzioni del lusso e della mollezza. Da Sestri a Nervi, lungo il lido marino, e nelle valli di Bisagno e della Polcevera, sino a Pontedecimo, sorgeano altissime torri, egregi palazzi, edifici mirabili, giardini suntuosi, e ville che porgeano grandissima dilettazione ». Già il Petrarca, che visitò più volte la nostra città (2), ha parole di ammirazione per i superbi palazzi di villeggiatura (3). (1) Op. cit. p. 439. (2) Il Petrarca fu in Genova certamente due volte: la prima nel 1313, quando fanciullo di nove anni vi si fermò breve tempo prima d’imbarcarsi alla volta di Marsiglia; la seconda nel 1347, allorché incamminato a Roma, ivi ristette all’ annunzio della fallita impresa di Cola da Rienzo. Cfr. anche Celesia, Petrarca in Liguria. (3) Putrarca, Lettere tradotte da Giuseppe Fracassetti; Firenze, Le Monnier; lib. XIV delle FamigUari, lett. V. — E nell’Itinerario, parlando sempre di Genova, scrive: Videbis ergo imperiosam urbem lapidosi collis in latere, virisque — 776 - Anche Antonio Astigiano, primo segretario ducale nella sua patria, capitato a Genova nel 1431, encomia, nel Carme edito dal Muratori (1), le ville dei genovesi: In quibus egregias aedes, hortosque decoros Et pene omne genus fertilitatis habent. Non desunt uvae, non deest viridantis olivae, Citrullique arbor tempus in omne Jerens ; Non desunt lauri, non apta papavera somno, Non desunt hortis cerea pruna suis; Non deest praestantis cucumer, nec melo saporis, Non deest ullum oleris suave bonumque genus : Non pulchrae violae, non candida lilia desunt, Non deest narcistis, flosque hyacintus ibi; Ne vager ulterius, non ulli denique flores, Ullaqtte non desunt poma, nucesque sibi. Non deest aspectus Pelagi jocundus aperti, Omne voluptatis hic reor esse genus. Giovanni d’Auton loda poi in modo particolare le ville d’Albaro, e celebra « les beaux jardins de plaisance, pleins d’orangers et de grenadiers, et autres fructiers de toutes espéces »; e conclude: «somme, est un ternen paradis » (2). Similmente Benedetto Portuense, contemporaneo di Giovanni, e cancelliere della nostra Repubblica nel 1502, descrivendo l’arrivo in Genova del re Luigi XII, rileva I’ ammirazione speciale di quel monarca per una sontuosa villa che Lorenzo Cattaneo avevasi di et moenibus superbam .... Valles amoenissimas interlabentes rivulos, colles asperitate gratissima et mira fertilitate conspicuos, atque aureatas domos quocumque te verteris videbis sparsas in littore. Et stupebis nrbem talem decori suorum rurium delitiisque succumbere. (1) Rerum ital. script. XIV. 1015. (2) Chroniqties de Jean d’Auton pnbliées par Paul L. Jacob (La Croix), Paris, 835, voi. II, p. 110. - 777 _ recente fatta murare in Terralba: dove il re ebbe accoglienze oneste e liete (i). Ora appartiene ai marchesi Imperiale dei Principi di Sant’Angelo. E del pari il Foglietta scrive : Gran ville hemmo dattorno a rà cittè Re que vensan con l’arte ra natura, Chi han sempre belle scioi, frute e verdura, E pareixi teirestri son ciamè; E in queste ville hemo paraxi asse Grendi, e ben feti per architettura, Con de fontanne belle otra mezura De marmaro scorpie, e naturè (2). Inauguravasi la stagion villereccia col Ferragosto e protraevasi fino a mezzo il novembre, intorno la festa di S. Martino; e solennizzavasene la chiusura e l’apertura con lauti conviti fra gente stretta insieme per vicinanza dì abitazioni 0 per medesimezza d'albergo. (Vino 124) Comodità Domestiche Le case erano dotate d’ogni comodità. Avevano sale e retrosale, camere e retrocamere, mezzani e rimezzani, (1) Cfr. Jaligny (Guglielmo de), Histoire de Charles Vili (Parigi, 1617), p. 361 sgg. (2) Rime ecc., pag. 62. Ai tempi del Foglietta, Galeazzo Alessi aveva di già innalzati i palazzi dei Giustiniani, dei Grimaldi, degli Imperiali, ecc.; la fonte del capitano Lercaro fuori la porta di san Tommaso, il lago e l’isola d’Adamo Centurione a Pegli. Lo stesso poeta ha pure un sonetto (Rime, pag. 74), il cui principio è questo: Da Zcna parto quasi disperaò Perché da paro me no posso su, Cbc paraxi da Re se gh* usa fà. — 778 — il gineceo o appartamento delle donne, e gli andromti ossia l’appartamento degli uomini; né mancavano di caminate ove far fuoco in inverno, e che soleano con peculiar cura adornarsi; perocché ivi eziandio que’ buoni antichi riceveano tavolta o convitavano. Per atto del 1250, Baldovino Fornari promette ad Jacopo Riccio di dipingergli una camera a fondo vermiglio con rose bianche, ed una caminata a fondo e rose vermiglie. Nel 1368 il Comune, avendo fatto ristaurare ed abbellire il palazzo che sorgeva nel borgo di san Tommaso, e che poi fu de’ Fregoso (1373), vi fece dipingere la cappella per mano d’Antonio Vacca d’Albenga, la caminata da un maestro Giannino di Francia, da Emanuele Vacca la camera maggiore, e da Oberto di Moneglia cinque camere ed un solaio. Oltre ciò vi fe’ ritrarre gli stemmi di Carlo IV re di Boemia ed imperatore dei romani, e di Venceslao di lui figlio e collega nel regno; dei quali augusti il Doge avea titolo di vicario. Ma il gentil vezzo del fregiare con dipinti le stanze de’ privati, venne sempre più sviluppandosi nel Quattro-cento; e per queste opere in ispecie vidersi allora, dai patrizi più illustri per sangue e per coltura artistica, cercati un Gasperino dell’Acqua da Lodi ed un Cristo-foro Della Torre da Rezzonico, due maestri notati nella nostra matricola dei dipintori, e dei quali dobbiam preziose notizie all’ indefesso Alizeri. L’ usanza degli ornamenti murali prosegue anche con onore nel secolo XVI, traendo però un po’più al moderno. Numerose poi erano le case provvedute di cantine sotterranee, d’ orti pensili e terrazzi, di forni e di bagni (1). (1) Belgrano, Op. cit. pag. 40-44. - 779 - (Vino nj) Suppellettile delle Case Signorili. Quanto alle suppelletili e masserizie, poche città ne avevano forse come Genova cosi ricche e preziose ; talché Luigi XII di Francia ebbe poi a dire, in forma quasi di rimprovero, che le case dei genovesi erano più doviziose e meglio fornite della stessa sua reggia. Ira gli oggetti che nei signorili appartamenti spiravano maggior lusso, trionfava il letto, fiorito di bei dipinti, adorno di sculture e di fregi, coperto di ricchi drappi e ricche pelliccie, e sormontato da un padiglione di seta guernito di pizzi d’ oro e di nastri, cui sorreggevano colonne maestrevolmente intagliate. In occasione di puerperio le ricche dame facevano pompa di belle coperte, né insolito era (anche tra principesse) il chiederle a prestanza, né in ciò si conosceva allora vergogna e riserbatezza. Cosi si trova pure spesso negli inventari memoria di ricche coperte e di lenzuoli, di coltri, ecc. (i). L’uso delle tappezzerie e degli arazzi fu dapprima ristretto ai monasteri ed alle chiese, ma già fin dal secolo XII prese a farsi comune anche fra i nobili e ricchi cittadini. Eccellenti tappezzerie si fabbricavano allora a Bahnesa, città dell’Egitto, ed erano già in allora rinomate le manifatture di Fiandra, che nel secolo XVI presero sviluppo grandissimo sino a toccar 1’ apogeo nel secolo seguente. I prodotti di Arras furono sopra tutto (i) Belgrano, Op. cit. p. 82 sgg. — 780 — così apprezzati, che se ne mandarono anco in Levante. In Italia vive ancora la denominazione di araTjj non per altro che per designare le belle tappezzerie, che vengono di Fiandra o d’ altre parti. Notevole è il famoso « Pallio » che si conserva al Municipio di Genova (attualmente al Palazzo Bianco). Notevoli sono pure i panni serici e dorati, i tappeti dipinti di cui Niccolò da Curbio, testimonio oculare, ricorda addobbata Genova nel duplice ricevimento di papa Innocenzo IV nel 1244 e 1251, e tralascieró altri di cui parla il Belgrano. Di tappezzerie è menzione frequentissima nei registri delle confische di beni ai ribelli intorno al 1390-95. E il Belgrano soggiunge: « Non » crederei di errare, asserendo che non tutte queste tap-» pezzerie ci vennero di Fiandra. Anche in Italia si » ebbero fabbriche riputatissime di tali prodotti, e special-» mente nei ducati di Milano e d’ Urbino, a Firenze e » Ferrara, Mantova e Venezia, e in Genova stessa » (i)- (Vini 124-12/) Da Quinto a Sestri. Anche il Giustiniani (2) ha un pensiero quasi simile a quello del Cataneo, là dove rileva che « da Nervi » insino a Sesto, e per tutta la valle di Polcevera » insino a Pontedecimo, e per la valle di Bisagno, tutto » era pieno di mirabili edifici, di giardini e di ville, sì (1) Op. cit. p. 57 sgg. (2) Annali, II, 49 e altrove. - 781 — » chc il loro assieme porgeva grandissima dilettazione e » dava aspetto di una sola città ». — Si direbbe che tanto il Cataneo quanto il Giustiniani siano stati quasi profeti, e ciascuno abbia intraveduto già nell’ età sua quell’ ingrandimento a cui è fatalmente chiamata Genova. Di fatti, se oggi la città non va propriamente da Quarto a Sestri, è noto che fin dal 1873 il Comune, valicando il Bisagno e spingendo i propri confini al torrente Sturla e a Staglieno, raggiunse in parte i limiti dell’ antichissima parrocchialità di Genova, quando la giurisdizione ecclesiastica si conformava alla civile e politica, quando la cattedrale di S. Lorenzo in ianuensi civitate tantum baptismalis erat, come insegna una bolla di papa Innocenzo II del 1134, di cui ha trattato il Belgrano in questi Atti stessi (1). A quando, domanda il Belgrano (2), un altro ingrandimento, che é nel pensiero di tutti e che i fatti quotidiani avvicinano sempre più al suo compimento ? (l'ino 1)4) Il Vestire. Nel secolo XII gli uomini vestivano una lunga tunica (lo si vede dalle miniature che adornano il codice parigino di Caffaro), la quale ricadeva in isfarzose pieghe, (1) Voi. II, parte I, pag. 409 sgg. (2) Vedi l’articolo Genova nel secolo XV e nel secolo XIX, con cui si aprono le Cronache Colombiane, pubblicate, a cura del Municipio, in ricordo delle feste solenni per il IV centenario della scoperta dell’America (pag. 44). Aiti Soc. Lio. St. Patria. Voi. XXIV, fase. 2.° — 782 - ed era di panno bianco per coloro che tenevano la suprema dignità del Consolato o coprivano le altre magistrature del Comune: di panno bigio pei semplici cittadini. Verso il cadere del secolo medesimo lo scarlatto ebbe la preferenza; ma allora le vesti si raccorciarono fino ai ginocchi, e se ne sminuirono in pari tempo i larghi panneggiamenti. I poveri stringevano alla persona la rozza tunica mercé una correggia di cuoio; se l’adattavano gli agiati con una cintura di bel marrocchino o d’ argento, adorna in più maniere. Gli abiti bastavano allora l’intiera vita, e tramandavansi ad un’ altra generazione. Bartolomeo Scriba ricorda che nel 1241, dopo la rotta toccata ai genovesi nelle acque di Portovenere dalla squadra di Federico II, indossaronsi vestimenta listate e frappate coi colori de’ guelfi. Nel 1248 troviamo infatti che Dugno Lanzavecchia legò una tunica virgata; e nel 1257 Sl ricordano cinque braccia di panno listato. II sott’ abito era violaceo nelle dignità primarie, e nella cittadinanza d’altri colori, ma vaghi comunemente; non era gran fatto lungo, ma sporgeva alquanto dal colletto e dalle maniche. 11 berretto avea foggia di coccola; le calzature erano di panno ora rosso e ora nero, poiché di quei giorni non usavano maglie, e 1’ arte di lavorar calze coi ferri, che oggi nessuna fanciulletta ignora, fu tardi conosciuta; le scarpe piuttosto basse, puntute, e sul davanti allacciate. Quando occorrevano solennità 0 ceremonie, i magistrati sovrapponevano un largo manto alla tunica. Per quanto riguarda il vestire delle donne, abbiamo una lunga e particolareggiata descrizione nell’ opera di Ce- - 78? — sare Vecellio(i). « L’abito antico di Genova, delle donne (dice egli), era che portavano due vesti, una delle quali era corta fino alle ginocchia, aperta dai fianchi; cinta sotto al petto; l’altra era più lunga, senza busto, di seta tutta listata di velluto di diversi colori. Usavano ancora alcune un grembiale davanti del medesimo, o di tela sottile con altre liste simili. Le maniche delle vesti erano molto larghe e crespe fino al gomito, ma da quello in giù fino alla mano erano strette ed aperte, dove pendevano le maniche della camicia, che per essere tanto larghe facevano alcune crespe. Portavano i capelli sparsi giù per le spalle, ma pure alquanto involti et legati, che del tutto non cascavano alla distesa, e in mano un cappello per difendersi così alle volte dal sole come anco dalla pioggia». Ma al sopraggiungere dell’inverno portavano aneli’ esse il cappuccio, che era comunemente di velluto o di seta. Raccomandavano ad una assai larga cintura di seta, di marrocchino ovvero di preziosi metalli e di gemme, un coltellino guarnito d’argento appeso ad un nastro, ed una borsa della stoffa anzidetta, di velluto o di cuoio, ricamata, e chiusa da anelli d’oro, in cui solevano custodire il denaro, le forbici d’argento, 1’ astuccio ricamato con entro le spille ed altri oggetti per lavori donneschi. L’instabile moda per altro esercitava in ispecie, così a quei tempi come al dì d’oggi, il suo tirannico impero sul sesso gentile; il quale mutava per tanto rapidamente acconciature, abiti e fogge, secondo che lo dimostrano i documenti, le storie e le opere d’arte. (i) Vecellio, Haliti antichi i mod., n. iSj. — 784 — Antonio Astigiano, nel 1431, rimase ammirato della frequenza e ricchezza del pubblico passeggio nei dì festivi. Le persone di qualità gli parvero tanti senatori romani vestiti di porpora, le donne tante divinità dell’Olimpo. Anche i paltonieri ed i mendici voleano allora scialare ; accattavano dai rigattieri un abito vecchio di seta, e, sparpagliandosi per le colline dei dintorni, attendevano a darsi tempone, sbevazzando le mercedi o le limosine con diligenza e costanza carpite all’ altrui commiserazione lungo la settimana. Ad de quod in festis gratum est et dulce diebus Cernere, quas pompas sexus titcrque facit. Ditibus et longis ornatum vestibus omnes Cives: quique solent hic habitare viri. Et si forte aliquis tantum sit pauper, ut ipsi Non sit judicio vestis honora suo, Commodat huic praetio vestem usurarius amplam Qua tantum festa fungitur ille die. Si videas cives, ut fit plerumque, coactos, Et teneat multos una platea viros, Esse senatores romanae dixeris urbis, Quos apud antiquos fama fuisse refert. Quid de matronis dicam, tenerisque puellis? Sil modo fas, omnes dixeris esse Deas. Tantum formosas, tam pulchris vestibus illas, Talibus et comtas moribus esse puta. Anche il vestire delle donne andò soggetto a notevoli mutazioni coll’ inoltrarsi del secolo XVI. Portavano un busto, o giubbone, di seta bianca o di broccato finissimo, listato a trine di seta ed oro, con maniche aperte lungo il braccio, e legate da cordicelle seriche od auree. Le vesti non molto lunghe e di seta a vari colori, con ricami - 785 — pur d’ oro, stringevano alla vita coll’ usata cintura, donde continuava a pendere 1’ elegante scarsella ; e sovr’ esse annodavano con borchie di gran valore un serico manto, o sbornia, il quale ricadeva in bei partiti di pieghe. Sulla lronte arricciavano i capegli, rinchiudeano le trecce nella reticella, oppure in veli trasparenti di seta, vergati d’oro e di giallo; e, farneticando come ringrandire la persona, si veniano con questi formando sul cucuzzolo una punta, lasciando che il resto bellamente aleggiasse sulle candide spalle. Le popolane coprivano la testa di un sottil panno d’ormesino o taffetà di più colori; indossavano un giubbone chiuso sul davanti da una fila di bottoni di seta, alto di collo e serrato sotto la gola, cui ornavano d’ alcune lattughette di camicia; le maniche erano aperte, ma da serici cordoncini allacciate; la gonna virgata, e corta cosi da lasciar vedere le pianelle alte ben quattro dita. Portavano anch’esse al fianco la borsa, ma v’ ag-giugneano l’acoraiolo; ed in mano teneano continuamente dei fiori (1). (Verso 144) Portici. Le abitazioni signorili avevano a pian terreno ampi porticati, i quali mentre davano aspetto di sveltezza alle fabbriche, venivano in aiuto delle vie ora strette ed ora tortuose della città, dove i carrobii o carrubei (dial. carruggi') erano i soli per cui potevano transitare i carri. (1) Belgrano, Op. cit, pag. 194, sgg. m — 7S 6 — Al di d’oggi, oltre gli avanzi di Sottoripa, si hanno traccio di portici, sebbene più recenti, nella via superiore ed inferiore dei Giustiniani, la quale è fama che nella stagione d’inverno tosse la passeggiata prediletta dei nostri vecchi e specialmente della nobiltà. Altre traccie di porticati sono nella contrada di San Luca, e nei numerosi viottoli che da essa scendono al mare. Quivi in buona parte degli edilizi miransi ancora gli archi quasi sempre di sesto acuto e di ampia voluta, sorretti da robuste colonne, con capitelli ora intagliati ed ora di pietre semplicemente corniciate. Da tali porticati si ricavarono poscia botteghe e magazzini (i). (l'irsi 14S) Il Getto delle Melarancie. Rileva il Belgrano (2) come dietro 1’ es«mpio delle donne correano le fanciulle, che, mutato stile nel contegno degli occhi, della bocca, della fronte, delle vestimenta, faceano mostra di sé ai balconi, con ostentazione della loro bellezza più assai di quello che a pudiche donzelle sarebbe convenuto; e, galanteggiando alla presenza delle madri, gittavano ai passanti e frutta e fiori, e detti ora dolcemente mordaci, ora carezzevoli. Anche Antonio Astigiano (1431), nel già citato Carine, accenna a tale usanza. (1) Belgrano, Op. cit. p. 14. (2) Op. cit. pag. 455. — 787 — Ornatas omnes in festa luce fenestras Nobilibus nymphis cernere quisque potest : Quae stant ut spectent, quae stant spectentur ut ipsae, Arridet juveni quaeque puella suo, Et jacit ex alto flores, aut poma nucesve Aut aliud, quod sit pignus amoris ei; Milleque blandicias et verbis jocantia dicit, Et ludos tantos efficit alque jocos, Ut quicumque senex incendi posset amore. L’uso o, piuttosto, l’abuso di gittar melarancie contro le persone, specialmente di carnovale, si trova proibito in parecchie gride. (Verso 1 ff) Il Mangiare. Il Belgrano (1) ci dà notizie curiose di ciò che meglio e più comunemente piaceva ai palati dei nostri vecchi. Due pasti facevano essi, il pranzo e la cena. Carni di bue, cinghiali, caprioli, montoni, agnelli, castrati di Corsica e Piemonte, pollame, pesca, cacciagione, erano le sostanze che s’imbandivano alle loro mense ; e ser-vivansi parte schiette, arrostite 0 lesse, e parte inorpellate con torte o galantine, 0 rotte in salse, nelle quali spiegavano tutto 1’ ardore il pepe e il pepe lungo, il garofalo, la noce moscata, la cannella, il gengevero, la galanga, il macis, il cubebbe e simili altre delizie. L’uso delle quali era cresciuto a dismisura dopo le prime cro- (1) Op. cit. p. 1 s t sgg. - 738 — date; e d’alcune fra esse, come del pepe, si può dire che facevasi allora lo stesso consumo che oggi si fa dello zucchero e del caffè. Qui però il Cataneo accenna propriamente al merendare, ossia a quel pasto che è tra il desinare e la cena, e che i genovesi del secolo XV amavano di fare in certe ricorrenze, e, di preferenza, in luoghi aperti, come vediam farsi dai nostri contemporanei ai terrapieni, al Santuario del Monte, ecc. (Verio 170) Il Molo. Il molo era stato accresciuto e riparato, appunto pochi anni prima che il Cataneo pubblicasse il suo poemetto. Narra infatti il Giustiniani (1), sotto l’anno 1501, che, perseverando la città sotto la signoria dei francesi, per diligenza dei Padri del Comune, Ieronimo degli Illioni, Peliegro Rebuffo, Agostino Lomellino e Oberto Interiano, « fu accresciuto il mole dalla parte superiore vinti cu-» biti, e vinti dalla parte inferiore. E furono riparati i » fondamenti di quella parte del mole che si continua con » questo mole nuovo, e furono gettati i fondamenti per » potere accrescere questa fabbrica, e le pietre si condu-» cevano col pontone con non troppa difficoltà dalla cava, » quale é in Carignano ». (1) Ann. II, 600. - 789 - (Veni iSy) 1 « Gozzi » Lembo (Lembus, Aé[i(k:). Palischermo leggiero degli antichi, ripetuto nelle cronache e documenti del medio-evo, come se toccasse appena, nel galleggiare, l’estremo lembo dell’acqua: che scorresse e libasse a fior d’ acqua. Da questa voce è venuto Limbo, Libo e Allibo, cioè barca minore, destinata ad allegerire il carico della maggiore. Così il Guglielmotti nel suo Vocabolario marino e militare. Il Cataneo però adopera evidentemente la voce lembos per indicare i nostri go^i, o barche da diporto. (Veni 194) La Lanterna. La costruzione della Torre del Capo di Faro risale ad epoca remotissima, e forse è contemporanea del Comune genovese. Da un decreto del principio del XII secolo e da un altro del 1193 viene fatto cenno di questo faro, sotto il nome Torre di Capo di Faro. Nel 1318 venne strenuamente assediata dai Ghibellini, indi messa su puntelli con meraviglioso artificio e fu presso a rovinare, se i Guelfi che la tenevano non si fossero arresi, il che fecero, spaventati dal sovrastante pericolo (1). Nel 1323, narra il Giustiniani, il Capo di Faro (l) Ann. II, 21. - 790 - fu molto fortificato dai Guelfi, fu cinto di muraglia e da una parte affossato, e il piede della torre fu cinto di rivellini (i). Nel 1506 Luigi XII di Francia vi fece sotto fabbricare un fortino (2) — arx munita rccens — che il Doge Ottaviano Fregoso distrusse nel 1514 (3), l’anno appunto che il Cataneo pubblicava in Roma il suo poemetto. (Verso 219 e stgg.) Case e Palazzi. Nel secolo XII le case dei genovesi erano per la maggior parte costrutte in legno: perciò si spiega come un incendio distruggesse in breve ora, nel n22, la contrada di S. Ambrogio, nel 1179 quasi tutto il quartiere di Palazzolo (che sorgeva fra la chiesa di San Nazario ed il Molo), e nel 1213 più che cinquantaquattro edifizi, in Mercato vecchio, nei banchi dei cambiatori. Ad evitare codesti disastrosi incendii era dovere del Cintraco, o banditore del Comune, di andare intorno pel castello, la città ed il borgo, nei giorni in cui spirava il vento d’ aquilone, ammonendo ciascuno perchè invigilasse al fuoco (4). Anche nel secolo successivo trovansi ricordate le case di legno, forse perchè ne esistevano ancora alcune inalzate nei secoli anteriori. Tuttavia i nobili e gli agiati (1) Ann. II, 57. (2) Ann. II, 633 «.... comandò (il Re) che in presente li fossero pagati quaranta mila scuti per la fabbrica della fortezza, che ordinò che fosse fatta al Capo di Faro... ». (3) Ann. II, 661. (4) Belgrano, Op. cit. p. 5 segg. — Libtr Iurium, I, 78. — 791 - cittadini dovettero edificarsi più comode e solide abitazioni, fino dallo stesso secolo XII, come risulta da documenti (i). Ma nel secolo XVI, quando il nostro Cataneo visitò Genova, le case si alzavano per lo più a quattro o cinque palchi compreso il terreno: onde il nostro poeta così si esprime (v. 231 e 232): ......ita sidera pulsant Culmina tectorum...... Erano comunemente costrutte in pietre fino al secondo piano, quindi in mattoni sino al tetto : ciò perché, prima dell’ uso della polvere pirica, era troppo costosa la pietra che poi si ricavò dalle cave a Capo di Faro, nel colle di Carignano ed in Albaro (2). Le case genovesi di quel secolo sono cosi descritte da Giovanni Marot d’Auton, cronista del re Luigi XII, che nel 1502 accompagnò a Genova il monarca francese: « Les maisons son toutes à » quatre ou à cinq etages de hauteur, fermées et closes » de grosses portes de fer (cfr. Genua, v. 2)2\ munita » est tanua ferro) et vóulées de pierre, pour obvier » au danger du feu, et dessus toutes pavées, de manière » que l’ou peut aller et cheminer par amont, jusques au » bout de la rue, aussì à l’alse comme par la nef d une » église bien carrcléc de grosses pierres de faix et de cail-» loux; de barres de fer, de lances et de dards, et de » touts harnois son celles maisons garnies à suffire » (3). (*) BtLGRANO, Op. CÌt. p. 6. U) Op. cit. p. 7, nota 2. (?) Gir. Chroniqtus ile. voi. II, p. 200. — 792 — (l'trsi 221-2)0) Vie e Strade. Fra le vie della città alcune erano costrutte in pendio, altre affatto piane, e, per la maggior parte selciate in mattoni, talché, narra il Giustiniani (i), quando piovea, la città restava netta come se fosse stata lavata a posta. E sotto l’anno 1509 (2) lo stesso scrittore riferisce che i Padri del Comune « ripararono in molti luoghi le vie della città; e fecero silicare quelle di mattoni, che fu grande ornamento della città ». Un atto del 1314 portava già che i frati del monastero di santo Stefano dovessero fare ari%orari de lateribus feriolis stratam sive viam publicam ab archis, qui sunt in dieta via, usque ad macellum Murini (3). Giova anche ricordare, perché si riferisce davvicino all’epoca descritta dal nostro Cataneo, quello che si trova nelle Costituzioni dei Padri del Comune sotto la data del giugno 1447: Quod quaelibet persona habitans in civitate et suburbiis Januae, omni hebdomada saltem, debeat el cum effectu teneatur facere scopari et mundari rumentam et petunt ante domum suam sive quam habitat quilibet usque ad medietatem car rubei, et ipsam rumentam et {etum facere deferri ad talem locum quod non noceat portui, sub poena soldorum quinque (4). Inoltre fino da quei giorni (1) Ann. I, 75. (2) Ann. II, 637. (3) Cfr. Poch, Miscellanee storiche [Ms. della Beriana]; Belgrano, op. cit., pag> I7' (4) Constitutiones Patrum Communis, Codice membr. dell’Archivio Civico, car, 4; Filza Pratiche diverse, ann. 1439 'n I59^> *v’* - 793 ~ erano aperti sotterranei condotti o cunicoli per lo sfogo delle acque, le quali per mezzo delle chiaviche si scaricavano in mare; ed una multa di 100 soldi si comminava a coloro che si fossero attentati di chiuderne gli sbocchi (i). (Vmi 244) Il « Feritor » A proposito dell’antica denominazione del torrente Bisagno, mi piace riferir qui un’opinione dell’insigne umanista Giacomo Bracelli, Descriptio orae ligusticae: « Urbis orientale latus Ferior (sic) amnis praeterfluit, » quem nunc Bisamnem appellamus. Nec tamen vetusti » nominis usquequaque facta videtur oblivio. Namque am-» nem minorem e proximis montibus praecipitatum, qui se » maiori violentius immiscet, Ferixanum dicimus. Hic si » fluvio quondam, ut coniecturis creditur, nomen dedit, ex » Feriore (sic) in Ferixanum versus, quattuor priores anti-» qui nominis litteras adhuc servat ». Veni J//-1/Ó L’ Acquedotto. Per l’acquedotto cfr. Bertolotti (D.), Viaggio in Liguria, II. 205; Banchero (G.), Guida di Genova e delle due riviere, pag. 553 segg^; Podestà (F.), L’Acquedotto {I) Ibidem, car. 8. — 794 — di Genova, Genova, Sordomuti, 1879; Bruno (Ing. Nicolò), nella prefazione alla sua monografia su VAcquedotto de Ferrari-Galliera (Milano, Hocpii, 1893), voi. I, p. 1, 2. « Io ho, dice il Giustiniani all’anno 1355 (1), con » diligenza investigato il tempo che si principiò la nobil » fabbrica dell’acquedotto, e sono andato nella villa di » Trenzasco, dove comincia la fabbrica e dove è la prima » fontana che entra in esso acquedotto, e non ho trovato » cosa alcuna che mi abbia potuto certificare né del tempo, » nè dell’ autore: solo nella villa di Staglicno, vicino alla » casa di Adam di Bongiovanni, in una pietra riposta in » esso acquedotto ho ritrovato scritto come appresso ». ►£< HOC • OPUS • COMPLETU • FUIT • M • CCC • L || V • DE • PECUNIA • COIS • IAN • ESISTENTIBUS || MASSARIIS • DNIS • ODDOARDO • DE • MA || RCHIONIR • DE GAVIO • ET • GULLO ■ DEN-TUTO • ET II SCRIBA • CUM • IPIS • LEONARDO • DE • BEREGERIO • NOT. Questa iscrizione è qui data secondo la lezione degli Atti della Società Ligure diStoria Patria, voi. III, pag* cxxviii, più corretta di quella riferita dal Giustiniani. (Versi 2$6) Gli « Archi ». Ci avverte già il Giustiniani (2) come la porta « maestra » della città, prossima alla chiesa di S. Stefano, venisse nominata dell'Arco, ossia degli Archi, (1) Ann. II, 95. (2) Cfr. Ann. I, pag. 6i sgg. - 795 - per cagione di certi archi di muro, che per antico erano fuori della città in quelle circostanze; « né par dubbio, dice il Belgrano (i), che siffatte costruzioni rappresentassero i monumentali resti di un acquedotto romano, del quale abbiamo pure qualche notizia ». Certo essi non erano ancora del tutto scomparsi nel secolo XVII; perocché sembra ricordarli un documento del 1663, il quale dà a quelli avanzi il nome di « teatro », forse perché, a motivo della loro imponenza, cosi li appellava il popolo nel suo figurato linguaggio. Forse ne sono un avanzo anche quelli che recentemente (1894) vennero in luce nei lavori di sterro per il nuovo Ponte degli Archi, verso via Ugo Foscolo. (Verti 26;) Fontane Amorose, Morose o Marose? La località designata qui dal Cataneo, come appare dall’ ordine del suo descrivere che segue la direzione dell’acquedotto, è quella che oggi si chiama delle Fontane Marose. Nel breve spazio di un trentennio, il nome di questa piazza ha subito tre cambiamenti, secondo che le Autorità delle varie epoche hanno tenuto conto ora della tradizione, ora dei documenti, ora invece di qualche lapide venuta alla luce. Cosi i nostri vecchi ricordano ancora la iscrizione che portava la dicitura Fontane Amorose: noi tutti abbiamo potuto legger, fino a pochi anni fa, una (1) Belgrano, in Cronache Colombiane, pag 41. — 79 6 — lapide che portava scritto Fontane Morose: oggi ne leggiamo un’ altra colla intitolazione Fontane Marose. Ecco, in breve, le ragioni che stanno pro o contro ciascuna di codeste denominazioni. a) Quelli che sostengono essere legittima 1’ ultima trasformazione in Marose, ordinata dal R. Commissario Garroni, si appoggiano sull’autorità, certamente grave ma non indiscutibile, di una iscrizione marmorea molto antica, prima scomparsa, e da pochi anni rinvenuta (i). Non se ne contentano gli etimologisti, i quali, come già il Banchero nel 1868, trovano che la denominazione di Marosa (2), data ad una fontana, s’avrebbe a tener in conto di una iperbole grottesca e fuor di luogo. b) Quelli che vollero difendere la lezione di Fontane Morose, fondavano le loro considerazioni sopra la grafia che il Fons Morosus ha in varii documenti, e cercavano di spiegare codesta denominazione supponendola derivata dall’ intermittenza dello zampillo. Più ingegnosamente il Banchero sosteneva che lo appellativo di Morose era derivato al luogo dalla famiglia dei Morosi o Moroxn, giacché in un documento del nostro Archivio civico si fa menzione appunto di una Paolina di Pietro Moroso, che (1) L’iscrizione (che è ora murata in un angolo del palazzo Pallavicino prospettante via Interiano) è scritta in caratteri gotici e reca la data del 1206. Notevole parrai la dizione Opus fontane marose antiquitus appellate: quell’avverbio antiquitus lascia vedere come la fabbrica della fontana (opus) non sia sincrona all’ appellazione del luogo. Perciò l’iscrizione stessa non toglie affatto ogni dubbio che il nome avesse già subito qualche corruzione. (2) Alcuni credono che il nome possa avere la sua etimologia dal genovese maoxo (maroso), supponendo che 1’ acqua della fontana, precipitando dall’ alto dell’ acquedotto, sgorgasse fuori a ondate, a marosi. Credat Iudaeus Apella. — 797 _ possedeva un viridarium o giardino in contrada Lucoli (i). Che il nome di una famiglia sia spessissimo diventato 1’ eponimo del luogo dove essa aveva 1’ abitazione e i possedimenti, è un fenomeno tanto comune di toponomastica da non aver bisogno di dimostrazioni ; e basti citare i nomi dei Boccanegra, Saivaghi, Fatinanti, Cicala, Lavagna e via dicendo, che diedero il nome a varii punti della città. Ma a me pare che dal documento, riferito dal Banchero, non si possa affatto arguire che i Morosi avessero nella citata località dei possessi così importanti o così estesi, da giustificare come il nome dei proprietarii possa esser divenuto quello del luogo. c) La denominazione di Fontane Amorose dura ancor viva sulle labbra del popolo, e già si è detto che sino ad un trentennio fa era riconosciuta ufficialmente. Fino ad oggi, cioè prima che venisse tratto dal lungo oblìo il poemetto del Cataneo, coloro che si studiarono di spiegare la ragione di quell’epiteto, pensavano che le fontane avessero preso lor nome, per eufemismo, da certi luridi ritrovi del vizio che si sarebbero trovati lì presso. 11 Banchero obbiettava che i lupanari non erano permessi dalle leggi imperiali, e soltanto introdotti in Genova ai tempi di Carlo Vili di Francia, e regolati da speciali capitoli nell’anno 1459> quailtl era governata da Giovanni duca d’Angiò, luogotenente i quél Re. Ed osservava che i suddetti ritrovi, prima che fossero trasportati in Castelletto, non erano tanto \icmi al luogo dove sorgeva la Fontana dell Amore (2). (;) Banchero G. U P* * (2) Cii, è quanto afferma il Ba»che»o, ™ deUe leggi 11 Belgrano (Vita privata dei genovesi, II ed., p. 4 9) P Atti Soc. Lio. St. Patma Voi. XXIV, fuc. ». — 798 — Documenti venuti in luce più recentemente hanno modificato codesta asserzione del Banchero : e perciò forse cresce la probabilità della spiegazione pòrtaci dal Cataneo. Secondo lui, il luogo era cosi chiamato perché vi erano varie fontane: a queste fontane convenivano insieme alle donne del popolo anche le serve ad attingere acqua e a far l’amore.... come le serve di tutti i tempi. Leggendo i versi 255-263 del Genua, i quali costituiscono un grazioso quadretto, par di vederle ancor oggi le procaci servotte del 400 e del 500, mentre 1’ acqua va empiendo le loro brocche, far l’occhio di triglia ai loro spasimanti, e questi alternare (se mi é lecito di stor piare un bel verso del divin Poeta) « alle sorrise parolette brevi » baci, pizzicotti e siffatte carezze proprie degli innamorati (1). Sta il fatto che oltre la lapide del 1206, molti atti notarili portano la grafia marosus, marosa. Ma che se ne deduce? Che il luogo cambiò nome a più riprese. Se emanate dalla Signoria (1375-1498) per organizzare le prostitute e dare un governo severissimo al bordello di Castelletto o Montalbano. Cosi chiamavasi il colle su cui sorse da tempi antichissimi la torre e poscia la fortezza di Castelletto. I lupanari, onde già si trova menzione nel 1336 (Poch, Miscellanea M.S. della Beriana), erano situati alle falde del monte, e distendcvansi dalla chiesa di S. Francesco alla località delle Fontane, e da ultimo tino alla chiesa della Maddalena. Un decreto emanato il 1.° settembre 1445 dal Doge e dagli anziani, moti honestis causis, stabiliva quod quidam vicus situs prope fontem morosum claudi possit pro honestate vicinorum ibidem commorantium et aliorum civium transitum facientium per vicum rectum Fontis Morosi (Archivio di Stato, cod. Diversorum ^•j 97®i 1445)" nel 1551 s’ circoscrissero alle sole alture di Castelletto. (1) Che il luogo stesso fosse chiamato Fontana Amorosa ed avesse la brutta riputazione di convegno licenzioso, si desume altresì dalla commedia inedita di Paolo Foglietta (Barro, atto V, scena 6) scritta nella seconda metà del secolo XVI, e che vede ora la luce per cura del prof. M. Rosi nel seguente volume degli Atti. — 799 — noi prendiamo gli atti notarili rogati fino ad un trentennio fa, quando devono ricordare il luogo, lo chiamano Fontane Amorose: se prendiamo invece quelli rogati dal 1860 circa fino al 1888 hanno Fontane Morose: quelli redatti dai notari degli anni 1889-94 avranno già, e non tutti, Fontane Marose. Ora, se fra cinque o sei secoli si volessero addurre come autorità codesti atti, non si potrebbe dedurne altro che questo: che ci fu un’ epoca in cui si diceva Fontane Amorose, un’ altra in cui si diceva Morose, una terza in cui si tornava a ridire Marose. Ma quale sia stato il titolo originario 0 genuino si ignorava in ciascuno dei tre periodi accennati. Del resto un « morosus » o « marosus » di un documento scritto 0 scolpito ha, non lo nego, il suo valore; ma quante volte un nome proprio è stato storpiato da uno scriba 0 da un quadratario? Invece l’esametro del Cataneo non lascia adito a sospettare corruzione nel testo : e ciò, per le stesse leggi metriche che governano e costringono il verso. Ma c’ è di più ! 11 Cataneo non era un idiota, nè un uomo volgare, qualunque. S’é già visto come, benché nato a Novara, egli dovette aver legami di parentela colla nobile famiglia del Cattaneo di Genova. Discepolo di Giorgio Merula e di Demetrio Calcondila, aveva composto, ancor fresco degli studi, un commento sopra Plinio il giovane, che ebbe poi 1 onore di parecchie ristampe, e che fruttò al suo autore fama tale, che a Roma il Cardinale Bendinello Sauli, genovese, lo prese per suo segretario, gli fece conferire gli ordini sacri ed un benefizio. E il poemetto Genua è stato — 8oo — appunto scritto dal Cataneo per ordine del suo padrone, e delle cose genovesi assai intelligente. l:d è pure da notare che ad un altro Sauli, nipote del Cardinale genovese, a Stefano Sauli, ò dedicato il poemetto e indirizzata la lettera di dedica, in cui dice che il suo opuscolo doveva tornar come omaggio fatto in pubblico e in privato alla nobile famiglia dei Sauli. E lecito sospettare che il Cataneo scrivendo il verso 263 rispecchiasse l’opinione dei suoi protettori, in lui indotta forse nella consuetudine dei quotidiani parlari : in caso opposto, avrebbero naturalmente avvertito il Cataneo di correggere il suo giudizio e il passo del poemetto. E la correzione non sarebbe stata difficile. Bastava torre via il famoso verso: Maximus accepit fons hic cognomen Amoris. Il resto stava da sé, senza bisogno di toccare una virgola. Ora se noi pensiamo come la casa dei Sauli fosse il convegno di tutti i dotti di Genova e dell’ Italia, e nelle sale di quella si tenessero sempre eruditi ragionamenti, noi possiamo facilmente arguire che per tutti costoro la Fontana d Amore era intesa allo stesso modo che l’intende il Cataneo. Giacché il suo poemetto, dettato per ordine di Ben-dinello e dedicato a Filippo, in quelle splendide sale dovette esser letto, commentato, discusso. Oltracciò Stefano Sauli, come abbiamo già visto (1), protettore dei letterati, e dotto uomo egli stesso, che si (1) Vedi sopra pag. 746, nota. — 8oi — esercitava negli studi della seria ed amena letteratura, si era bensì recato a Padova per coltivarli con maggior quiete ; ma tornato a Genova, vi fondò uri Accademia che il Tira-boschi ricorda e che dice meritare di essere posta tra le più illustri. Fatti venire di Bologna i più insigni letterati, come Marcantonio Flaminio, il Delio ed altri, e condottigli in una sua villa suburbana, andava, con loro e con altri dotti forastieri e genovesi, intrattenendosi in eruditi parlari. A così fatti convegni é lecito sospettare che di rado mancasse il Cataneo, il quale mostra, come ho detto, di avere fatto un buon soggiorno a Genova, dappoiché ce la descrive tanto minutamente. Anche in questi ritrovi di accademici il libro dedicato al nobile anfitrione doveva essere noto, nè diversa la loro opinione sulla Fontana dell’A more. E così il verso del Cataneo, se non scioglie neppure esso la tanto dibattuta questione del vero titolo della piazza, serve però a dimostrare l’antichità della tradizione che battezzava la località dal nome dèi' Amore. Giacché, per lo meno fino dal 400, le fontane già da un pezzo non erano più marose e non erano ancor diventate morose, ma erano semplicemente amorose. Cfr. la conferenza da me tenuta il 25 maggio nelle sale della Società di Letture e Conversazioni Scientifiche, sul tema « Lei fontana dell’Amore e gli Umanisti Liguri », Genova, Ciminago, 1894 [estratto dal Giornale della Società suddetta]. — 802 — (Verso 2 6j) Palazzi. « Di codeste costruzioni grandiose ne rimangono tuttavia non poche, le quali valgono a ritrarci il robusto ed ornato costume di que’ giorni. Sono fra queste due palazzi in via Luccoli, nel vicolo degli Indoratori e nella contrada di san Bernardo, quelli donati dalla Repubblica a Lamba e Andrea D’ Oria sulla piazza di san Matteo, e quello de’ Serra, oggi Podestà, nel vico del santo Sepolcro. Nel quale ultimo sono a notarsi 1’ elegante scala colla bella ringhiera di marmi traforati sullo stile teutonico del secolo XV, nonché le imposte delle finestre sui cui vedonsi intagliali alcuni togli di membrane bizzarramente risvoltati ; perocché tal genere di decorare non di rado s’incontra nelle antichità di Francia. Ma sopra tutti notevole é il palazzo che prospetta la piazza delle Fontane Amorose, o come or si dice Marose, e venne da Jacopo Spinola edificato sullo imbasamento della torre di sua famiglia, smantellata nell’epoca . . . del 1309. Sono quivi in bene ornate nicchie cinque statue; e ritraggono, oltre la figura di un armigero, alcuni illustri personaggi di quel casato » (1). (V. vorso 269) Case dei Nobili. Le case dei nobili non erano disseminate qua e là, ma disposte quasi a gruppi in dati punti della città. (1) Belgrano, 0/>. cit. pag. 30. — 803 — Ricordiamo: i Castello e gli Embriaci, sulle alture del colle di Macagnana fino alla chiesa di S. Nazario (ora Santa Maria delle Grazie): gli Zaccaria, nella contrada da essi denominata e nella contigua Piana lunga: i Saivago, in vicinanza di San Donato, donde ancora piglia nome una piazza, su cui esiste tuttora un palazzo il cui portico è sormontato da due figure marmoree di selvaggi, allusivi al casato di cui dovevano sorreggere lo stemma, statue che ricordano il fare robusto di Gian Giacomo e Guglielmo Della Porta (i). I Giustiniani stavano nella contrada di Chiavica, a cui diedero poscia il proprio nome : ivi pure i Marchesi di Gavi, e presso il Mercato di San Giorgio le case dei Vento, dei Volta (poi Cattaneo) (2). Lungo il Canneto, i Baliano, gli Scotti, i Sauli. Presso San Lorenzo fino a S. Donato i Fieschi, che avevano, come i Sauli, larghe proprietà anche sul colle di Caligano. . Presso San Lorenzo avevano pure loro case 1 1 Negro (3), i De Marini, gli Usodimare; presso Campetto gli Imperiali, i Piccamiglio, i Da Passano, attorno a San Matteo i D’Oria; presso Luccoli e Banchi gli Spinola e i Grimaldi, i Pallavicino, i Cahi, i Falamo-nica; presso la basilica di San Pancrazio i Gattilusio, e nella via omonima i Lomellino, e nell adiacente del Campo gli Zerbi, i Ghizolfi e i Cibo (4)- (1) Varm, Delle opere dei Della Porta, in Atti, voi. IV, p. 47- S* « «9 — » parve che 1’ arte superasse la natura. E fu eziandio » Cesarea chiamata Flavia da Vespasiano, il quale la » fece colonia dei Romani ; e a me pare verosimile che » questo Vaso sia delle reliquie del detto re Erode, ov-» vero di qualcun’ altro di quelli antichi re. Alle ric-» chezze dei grandi, chi vuol comparare i tesori dei » principi moderni, troverà che sono strazze et ru-» menta ; et non si creda alcuno che questo impreciabil » Vaso fosse a quel tempo unico al mondo, perchè ap-» presso degli antichi, come si legge nel libro di Plinio, » si ritrovavano smeraldi fabbricati e non fabbricati in » più toggie, di molto maggior grandezza e non manco » fini che sia questo, il quale, non di meno, se fosse » quello dell’agnello pasquale di Cristo, la qual cosa » non nego nè affermo, ovvero che in essa da quel » evangelico Nicodemo fosse stato riposto al tempo » della Passione il prezioso sangue del Salvatore nostro, » come pare, secondo alcuni, che si legga negli annali » degli Inglesi, saria da preporre a tutti gli smeraldi » etiam coadunati insieme, e a tutte le altre gioie e » tesori che mai si trovassero nel mondo ». * * * La maggior parte degli antichi storici genovesi ha creduto che il Catino fosse veramente di smeraldo, quantunque i dubbi non mancassero, benché timidamente esposti, già nel secolo XVI e XVII. Così Carlo Clusio (i), nel secolo XVII, opinava che il Catino di Genova tosse li) Obserw. c. 52, fol. 222. — 8io — composto con « una specie di diaspro verde, del quale si fanno vasi di murrina, chiamata porcellana, e questi son tanto verdeggianti, che si rassomigliano allo smeraldo ». Nel secolo XVIli dotti viaggiatori, come il Keyssler, Barthélemy, La-Condamine, sospettarono a loro volta che potesse essere di vetro colorato. Ma quando, sotto Napoleone I, il Catino venne tolto al Tesoro della Metropolitana e trasportato a Parigi, il dubbio si cambiò in certezza. Rottosi durante il viaggio, la Giunta dei membri dell’ Istituto di Francia, deputata ad esaminare i pezzi, sentenziò che erano appunto di vetro colorato. 11 Millin reputò il Catino lavoro orientale dei bassi tempi. Genova chiese che le fossero restituiti i cocci del Vaso, la cui importanza storica non diminuiva per ciò. E nel 1816 il Catino ritornò alla città, che gelosamente lo avea custodito per oltre settecento anni: nel 1827, per deliberazione dei Sindaci, l’orefice Semino riuni i pezzi in modo che il Catino si presenta nell’ intera sua forma (1). (f'mo ;<*7) La Cassa del Precursore. La Cassa delle ceneri di San Giovanni Battista risale al 1433. Il Doge e il Consiglio degli Anziani, desiderando che le sacre ceneri del Precursore comparissero nelle pubbliche processioni in arca degna della preziosa (i) Per maggiori notizie vedi Cervetto (L A.) Il tesoro della Metropolitana di Genova, Genova, Sordomuti 1892, p. 27-37. - 811 — reliquia (argenti loculo condita fido, come dice il Cataneo), stanziarono, addì 20 maggio dell’anno suddetto, la somma di liie cinquecento genovine, come concorso a tal lavoro, che ebbe largo contributo di privati cittadini, e la cui esecuzione richiese quindici anni di lavoro. Essa è opera di due valenti argentieri, provenienti dalla Liguria occidentale, Teramo de Danielis, che fece l’ossatura della cassa, e Simone Caldera, che ne cesellò la parte decorativa. Questa cassa veniva portata solennemente per le vie della città nella domenica in Albis, in una processione votiva così descritta da Davide Bertolotti (1): « Le croci argentee, le auree paramenta, i gonfaloni da va-» lenti mani dipinti, tutto infine il corredo della ricchezza » largamente profusa nelle pompe del culto, la fa rassomi-» gliare a religioso trionfo. 1 balconi sono coperti di ma-» gnifìci tappeti, alcuni de’ quali, sopra un fondo di vel-» luto purpureo, spiegano trapunte in oro le armi gentilizie » di quelle illustri famiglie che già diedero alla repubblica » i Consoli e i Dogi ». Anticamente interveniva alla processione il Doge coi Serenissimi Collegi in gran pompa, si recava sino alla punta del molo vecchio, ed ivi, deposte le reliquie del Precursore sopra di un altare, cantati parecchi inni sacri c recitate alcune preghiere, con esse si benediceva il mare (cfr. Genua v. 311), tra lo sparo delle artiglierie delle navi ancorate in porto e ornate a festa. Caduta la Repubblica, sotto il governo di Casa Savoia, la Processione continuò a farsi intervenendovi il Consiglio Municipale; ma verso la metà del secolo presente (l) Br.RT0i.0rn (D.). Viaggio nella Liguria marittima, li, 293. — 8 12 — il Municipio non intervenne più, la Processione riuscì più modesta ed ora non si fa più nemmeno pubblicamente (i). (Ferii )l6-)20) Il Catino a Pegno. Più volte, quando la Repubblica si trovava in disagi economici, il Sacro Catino venne dato a pegno. Come appare da un atto stipulato il 16 ottobre 1319» dato in pegno al cardinale Luca Fieschi per la somma di lire 9500, a condizione però che il sacro pegno servisse per ipoteca, ma restasse in San Lorenzo nel suo sacrario, custodito dai clavigeri espressamente eletti. Nel secolo XVIII, a causa delle guerre con la Corsica, il medesimo Catino tu dato più volte a pegno a ricchi ebrei, e fu allora che ebbe termine 1 annua cerimonia, solita farsi il primo giorno di quaresima, nella quale il Catino veniva mostrato al pubblico affollato nella cattedrale. Questo pignoramento fu tenuto celato al pubblico il quale però, dubitando della cosa, più volte tumultuo, e il governo dovette assicurare i cittadini che la preziosa gemma faceva sempre parte del 1 esoro della Metropoli-tana (2). (1) Per maggiori notizie vedi Cervetto, Op. cit. p. 47"S2, (2) Cfr. Cervetto, Op. cit. p. 34, 55- - 813 (Verti 3)1-349) Liguri all’Estero. Ben ossem il Belgrano (i): « Dei genovesi sareb-besi potuto dire, anche con maggiore sembianza di verità, ciò che Bonifacio Vili ebbe a sciamare de’ fiorentini, esser eglino il quinto elemento; e però un nostro poeta giustamente cantava: E tanti sun li Zenoexi E per lo mondo si deslexi, Che unde li van o stan Uri atra Zenoa ge fan. Erano essi così edotti dello stato di quei lontanissimi paesi, che alla loro mente balenò perfino il concetto di navigare all’ Indie costeggiando 1’ Africa, almeno venticinque lustri innanzi che il magnanimo don Enrico guidasse i suoi portoghesi a scoprire; e già sui primordi del 1300 Benedetto Vivaldi e Percivalle Stancone aveano stabilita in que’ luoghi una ragione o società di commercio ». I genovesi erano pure assai sparsi nell Asia minore ; ed il prof. Heyd (2) osserva che i turchi di quelle contrade amano di attribuire loro tutti gli avanzi del medio evo che ivi esistono ancora. Così a Brussa di Bitinia è tradizione che sieno opera di vasai genovesi le mattonelle verniciate bianche e verdi, delle quali è rivestita la grande moschea edificata da Maometto I e quasi distrutta (1) Op. cit. p. 191. (2) Le colonie degli Italiani in Oriente nel medio evo, voi. I, p. 313. Atti Soc. Lig. St. Pitru. Voi. XXIV fise, a.® 5* — S14 — dai terremoti del 1869. Gli odierni abitatori della Cilicia raccontano, a proposito dei boschi d’ ulivi ora inselvatichiti per trascurata coltivazione, che gli stessi in origine furono colà piantati dai genovesi. Soggiunge il Langlois (1), che più località dove s’incontrano simili boschi nella Turchia ed anche nella Grecia si chiamano Zcìthoun, parola d’origine araba equivalente ad oliveto. Il signor Michele Calvi, sacerdote della Congregazione delle Missioni, avendo dimorato molti anni nel Libano, fece l’interessante scoperta degli avanzi di una città e di un castello colà fabbricati dai genovesi, che tuttora conservano il nome di Genova. Sapendo egli che la ligure Repubblica ebbe possesso di una parte di quelle marine di Siria, e che aveavi pure innalzato una fortezza, ne fece ricerca, interrogò le tradizioni tanto conservate in Oriente, finché alcuni vecchi lo accertarono che presso il capo Giuni già esisteva una città chiamata Genova, e pronunciarono chiaramente anche la consonante v che manca nella lingua araba. Altri la dissero Caiwriè, ossia fortezza; e vedonsi ancora gli avanzi della città e del forte, che pare fossero innalzati sopra antiche fabbriche fenicie. Ed altri molti preziosi avanzi di genovese memoria rimangono per quei lidi; varie famiglie che si credono d’ origine ligure nelle città d’Acri, Seida, Giebel, Trabalos; altre di nome Benedetti ed una antica chiesa di San Giorgio nell’ indicata Genova, ed armi della Repubblica nella chiesa di Giebel e nelle porte di Ruad (2). (1) Les Armeniens de la Turquie etc. p. 2 e 17. (2) Cfr. Alti dell’ottava riunione degli scieniiati italiani, Genova, 1847, p. 722. - 8i5 - (Veni }S4) L’ Arte della Seta. L’ arte del tessere la seta portata dalle Indie a Costantinopoli, e passata per opera degli arabi nelle Spagna, fu tratta in Palermo dal re Ruggero nel 1148. Di qui non tardò molto a diffondersi nell’ Italia superiore ; ma lenti ne furono poscia i progressi, ed il commercio non potè ritrarre in quei principi considerevoli giovamenti dalle fabbriche nazionali. Nel 1154 l’annalista Caffaro ed Ugone Della Volta arcidiacono, inviati dal Comune di Genova a Federigo Barbarossa in Roncaglia, presentavano l’imperatore di una cassa di serici drappi venuti da Lisbona (lavori per materia e per arte sconosciuti ancora in Germania) ; v’ ag-giungeano parecchi struzzoli e papagalli, e in due grandi gabbie ferrate due bei leoni dell’Africa. Del 1253 Nicolò e Simone Grillo imprestavano al principe Ozir d’ Oriola (l’odierna Orihuela tra Murcia ed Alicante) la somma di 3705 bisanti; e ne riceveano in pegno delle perle preziose, non che un panno ricamato di oro e di seta. La seta in natura, oppure filata, derivavasi a Genova il più frequentemente di Spagna, Scozia, Calabria e Scio ; ma in città si tingeva anche da tempi assai remoti; quindi se ne tessevano velluti, sciamiti, ossiano tele a sei licci, baldinelli o baldacchini, zetani, cendati, damaschi, taffetà e camocati, nella cui fabbricazione imitaronsi poscia quelli di Venezia, i quali, essendo più lucidi e forti degli altri, vantavano ricercatori in maggior copia. Tra i velluti riputatissimo era quello di terzo pelo. Nel 1432 i tessitori di panni serici raccogli e vansi a formare una speciale corporazione, e commetteano ai più chiari giureconsulti 1’ incarico di compilare gli statuti della nuova società ; i quali venivano quello stesso anno approvati da 01-drado di Lampugnano governatore ducale. Né poco fu il beneficio che 1’ arte ritrasse da tali provvedimemti, cui si vogliono aggiungere i metodi più acconci di lavorazione, saggiamente introdotti da quegli espertissimi che furono Antonio, Bartolomeo, Giacomo fratelli Pei-roleri. Disponevano fra 1’ altre cose i detti statuti che niun fabbricante potesse giovarsi delle opere e figure che fossero state disegnate per altri; nè alcun pittore osasse colorire a comodo di più artefici una medesima composizione. Avverte poi l’Alizeri che i più antichi maestri, i quali soleano fornir modelli ai tessitori, erano toscani ; e nota come fra essi degnissimo si riveli un Baldo da Lucca (1414-47), col quale si veggono spesso nominati un Dado di Bettino lucchese ed un Giovannetto fiorentino. Con varii decreti si tentò regolare la tessitura dei ca-mocati e damaschi, ed impedire che le frodi menomassero di stima i prodotti delle nostre fabbriche; tuttavia 1 arte del tessere si diffuse appunto per 1’ opera dei nostri in molte parti, nonché d’Italia, di Europa : e ciascun regno e signoria gareggiò nel concedere ospitalità e favori ai maestri che venivano di Genova. Dove le tradizioni dell’ evo medio ci dicono che fossero i più abili filatori di oro, e dove i monumenti s’ accordano ad insegnarci che 1’ oro filato costituiva un importante e vasto ramo ! — 817 — del patrio commercio, e per conseguenza un cespite considerevole della pubblica finanza (i). (Vino }9i) CEYLAN. Taprobane o Taprobàna é il nome latino della ben nota isola dell’ Oceano Indiano, all’ ingresso del golfo del Bengala, chiamata dai Francesi Ceylan e dagli Inglesi Ceylon. I Greci la chiamarono Simundi o Palai-simundi, gli Indi Lanca, i Maomettani Serendib, gl’indigeni Singala, da cui sembra derivato quello di Ceilan, adottato dagli Europei. Le conquiste di Seleuco Nicanore spingendo i Greci sino alPestremità meridionale dell’ India, fecero loro conoscere 1’ esistenza di Ceilan. L’ anno 50 dell’ E. V., il re di Ceilan mandò ambasciatori a Claudio imperatore, e Plinio riferisce che, secondo i racconti di quelli ambasciatori e le tradizioni del paese, quell’ isola racchiudeva allora 500 città. Nel 1505 il comandante portoghese Lorenzo Almeida, che trovò Ceilan in preda alle devastazioni degli arabi, offri al re dei cingalesi il suo soccorso, mediante un tributo che fu in prima di 250,000 libbre di cannella. Quindi cominciò a dipendere dagli Occidentali, e di qui forse l’epiteto datole dal nostro Cataneo di Nova. La metà meridionale della costa occidentale è fertilissima, e vi si trovano le foreste e le piantagioni di cannella, vi si coltiva anche il riso e la canapa che vi è abbondantissima e di qualità eccellenti; (1) Belgrano, Op. di., pag. 200. — S i s — vi sono gli alberi del cocco, déiY areca, del caffè, del sapan (legno che serve alla tintura). Nella costa orientale crescono 1’ ebano, il legno di ferro ed altri alberi proprii all’ebanisteria, il thè, il cotone, il cardamomo, il pepe (i). ( Verso 400) Colombo. Da questo verso in cui Colombo è chiamato montanaro (appennicola) e dal verso 406 in cui è detto Ltgur, si potrebbe dedurre che il Cataneo non ritenesse Colombo nato nella città di Genova, ma in qualcuna delle tante terre liguri, che ancora al di d’oggi laboriosamente contendono a Genova, Smirne novella, 1’ onore di aver dato i natali al Sommo Navigatore. (1) Cfr. il Dizionario del Falconetti (A. F.), v. Ceyìan. INDICE DEL VOLUME VENTIQUATTRESIMO DEGLI ATTI DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA (ottavo della seconda serie) Un nuovo contributo alla Storia dell' Umanesimo Ligure, di Ferdinando Gabotto...... Pag. / Capo I. Mecenati e Studiosi..... » 9 Capo II. Cancellieri e Grammatici a Genova . » 33 Capo III. Umanisti a Savona..... » 68 Capo IV. Liguri fuor di patria .... » 126 Appendici....... » 183 I. Documenti di Prospero da Camogli » 1S7 II. Documenti e Poisie di Giovan Mario Filelfo » 219 III. Scritti di Venturino de’ Priori .... !> 2/7 IV. Lettere di Bartolomeo Fa fio .... » 27; V. Alcune relazioni di Pur Candido Decembrio con Genovesi....... » 25/ Ìndice delle persone....... » 323 Documcttls pour l’bistoire de l’élablissement de la dominatici! frati (ai se a Génes (1498-1500), recueillis par Lton-G. Pòlissier........ » 333 Appendice I. Documents sur les relations de Gènes et de la Provence en 1498 el 1499..... » 5*3 Appendice II. Quelques documents pour l'histoire de la do-mination franfaise à Génes sous Louis XII (1499-1 //5) » 530 — 820 — La riforma religiosa in Liguria e l'eretico umbro Bartolomeo Bartoccio. Ricerche storiche condotte dall’ apparire dell'eresia in Liguria nella prima metà del secolo XVI all’anno 1569, da M. Rosi.....SSS PARTE PRIMA. LE CONDIZIONI DELLA RELIGIONE CATTOLICA IN LIGURIA E L'ERESIA FINO AL I567. Capo I. Le dottrine cattoliche, il clero e il popolo genovese » 569 Capo II. L’eresia in Genova fino all'anno ij6j . . n S93 PARTE SECONDA. LA RIFORMA A GENOVA NEL TRIENNIO 1567-69 ED IL CALVINISTA UMBRO BARTOLOMEO BARTOCCIO. Capo I. L’arresto di Bartolomeo Bartoccio in Genova e la consegna di esso all*Inquisizione generale romana Capo li. L'eresia a Genova dall’arresto di Bartolomeo Bartoccio (ottobre ij6y) alla line del Capo III. Bartolomeo Bartoccio nelle carceri dell’Inquisizione generale romana. Vani sforai per salvarlo. Sua morte....... Capo IV. Natura dell' eresia di Bartolomeo Bartoccio. Natura dell’ eresia in Genova...» Documenti .... • « Genua » Poemetto di Giovanni Maria Cataneo, con introduzione e appendice storica a cura del socio Girolamo Bertolotto........ Appendice......... » 619 » 6}2 » 646 » 657 » 665 » 727 » 111