ATTI DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA VOLUME XY. 4 GENOVA TIPOGRAFIA DEL R. I. DE’ SORDO-MUTI MDCCOLXXXI ' ATTI DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA ATTI DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA VOLUME XV. GENOVA TIPOGRAFIA DEL R. ISTITUTO DE’ SORDO-MUTI MDCCCLXXXI OMAGGIO AL CONGRESSO GEOGRAFICO INTERNAZIONALE DI VENEZIA SETTEMBRE MDCCCLXXXI GIORNALE DI VIAGGIO DI UN PILOTA GENOVESE ADDETTO ALLA SPEDIZIONE DI FERDINANDO MAGELLANO PUBBLICATO DA LUIGI HUGUES famosa navigazione che, sotto condotta di Ferdinando Ma-lano, aperse alle speculazioni commerciali ed alle ambizioni politiche del-1’ Europa la via più diretta per giungere alle coste occidentali dell’America del Sud e svelò lae sistenza dell’immenso bacino oceanico che divide il continente occidentale dalle parti più orientali del mondo antico , esistono parecchie relazioni, tra le quali è forse la più importante quella dettata dal nostro italiano Antonio Pigafetta compagno dell’ immortale navigatore portoghese, ed uno dei pochi che a bordo della nave Victoria poterono, dopo tre anni di assenza, rivedere 1’ Europa. Al racconto del Pigafetta si aggiungono : il giornale di viaggio regolarmente tenuto dal pilota Francisco Albo e pubblicato nel quarto volume della grande e interessante raccolta di Martin Fernandez de Navarrete ; — la breve relazione di un anonimo portoghese compagno di Duarte (Odoardo) Barbosa ; — una lettera scritta da Massimiliano Transylvano al Cardinale di Salisburgo sotto la data di Valladolid 21 ottobre 1522, e, così, pochi giorni dopo 1’ arrivo della nave Victoria al porto di San Luca de Barrameda; — la relazione pubblicata dal grande storico delle gesta portoghesi , Giovanni di Barros , relazione che molto probabilmente venne scritta dietro il giornale di viaggio dell’ astronomo della spedizione , Andrea di S. Martin , ucciso , insieme con altri compagni del Magellano, tra i quali Y illustre Duarte Barbosa , nel luttuoso fatto dell’ isola Zebù; — una lettera di Antonio de Brito governatore della fortezza di Ternate al Re di Portogallo sotto la data del 1523; — infine le Storie del Castanheda, dell’ Oviedo, di Lopez de Gomara, dell’ Herrera. E qui non ho voluto ricordare che le relazioni o contemporanee o di poco posteriori alla spedizione magellanica, giacché se si trattasse di passare in rivista tutte quelle che furono pubblicate in seguito sullo stesso argomento , e tra esse alcune pregevolissime , la serie ne sarebbe lunga assai. Per altra parte si intende che i documenti dei quali il geografo possa stare a fidanza sono per 1’ appunto quelli più sopra citati , come quelli che, a lato delle cose esposte con tutta la ingenuità che distingue in così alto grado le relazioni originali delle grandi scoperte marittime e continentali del secolo XVI, vanno esenti da quella vana erudizione , sovente unita ad una critica poco rigorosa od ingiusta, che, a vece di rischiarare, confonde e conduce facilmente a poco esatte interpetrazioni. Gli amici della Storia della Geografia debbono pertanto rallegrarsi se qualche zelante raccoglitore di antichi manoscritti giunge a rivelarne qualcuno che possa o migliorare i documenti contemporanei già conosciuti ed illustrati, oppure aggiungervi interessanti notizie. Queste considerazioni mi si offrono spontanee nel momento in cui, aderendo ben di buon grado al desiderio manifestatomi dall’ illustre Cavaliere Luigi Tommaso Bei-grano , mi accingo a trattare di un documento della prima metà del secolo XVI , il quale riguarda per 1’ appunto la immortale impresa di Ferdinando Magellano , ed è di grandissima importanza, perchè scritto da un membro stesso della spedizione , e per giunta italiano, e propriamente nativo , come si vedrà più avanti, della Riviera genovese di Ponente. Questo documento è un Roteiro (gior-' naie di viaggio o itinerario) , assai meno particolareggiato, per vero, del giornale di Antonio Pigafetta o del giornale di Francisco Albo, ma tuttavia preziosissimo sotto ogni aspetto. Di esso si hanno due manoscritti. Il primo fa parte della Biblioteca Nazionale di Parigi: il secondo si conserva nella Biblioteca di San Francisco da cidade in Lisbona, ed apparteneva già alla libreria monacale di S. Bento da Laude, ove era unito con altre opere, il tutto scritto dalla medesima mano e con scrittura del secolo XVI. È quest’ ultimo che venne pubblicato in Lisbona nel-l’anno .1831 nel Tomo 4.0 della Collezione di Notizie Oltramarine , insieme con una breve prefazione e con annotazioni illustrative, in molte delle quali si fanno notare le varianti principali che corrono tra i due manoscritti precitati (1). Il Roteiro del quale mi sto occupando non è il lavoro originale. Di questo ci avverte una nota che si trova al fine dell’ uno e dell’ altro manoscritto, nella quale è detto che quella scrittura venne tratta o tradotta da un quaderno di un pilota genovese. Se ne ha pure una prova nell’ aggiunta fatta al testo dal copista o dal traduttore , circa al-T anno in cui i Portoghesi diedero principio alla costruzione della fortezza di Ternate , per il che rimando il lettore a quanto è detto più sotto nella nota 126. E nemmeno sappiamo in quale lingua sia stato scritto il — IO — lavoro originale, giacché il non trovarsi in esso alcuna traccia nè dell’ italiano nè dello spagnuolo non è ragione che basti per indurci ad affermare che 1’ autore si servisse della lingua portoghese , e per altra parte non è fuori del probabile che il Roteiro , quale si trova esposto nei due manoscritti di Parigi e di Lisbona, sia nello stesso tempo una traduzione dall’ italiano. Vediamo ora se i documenti dei quali può disporre il geografo permettano di giungere ad alcun che di positivo sull’ autore del Roteiro, che la nota poc’ anzi qualifica semplicemente come pilota genovese. Nella lunga lista che il Navarrete (Tomo IV, pag. 12 e segg.) dà dei membri della spedizione magellanica, figura, tra gli uomini dell’ equipaggio della Trinidad, e nella qualità di nostromo (maestre), un Juan Bautista de Punzerol nativo di Cestre (Sestri) nella riviera di Genova. In altre liste egli è detto semplicemente Juan Bautista ? in altre Juan Bautista de Poncero, e lo storico Herrera lo chiama Juan Bautista da Poncevera, con lezione migliore e più appropriata di quella accennata dal Navarrete. Il Barros (Dee. 3/, Lib. 5 cap. 10) menziona Mestre Bautista Genoès, ed afferma che questi, dopo la morte del pilota Joào Carvalho (14 febbraio 1^22 nell’ isola di Tidore), era stato incaricato della direzione della nave Trinidad , il che pare anche risultare dalla Lettera di Antonio de Brito al Re di Portogallo (Navarrete, Tomo IV, pag. 311, Documento Num. 40), nella quale il governatore di Ternate, dopo avere nominato i diciassette dell’ equipaggio della Trinidad che per suo ordine erano stati condotti a Giorgio di Albuquerque in Ma-lacca , aggiunge che altri quattro erano rimasti in Ternate, tra i quali « il maestro della nave, chiamato Juan Bautista , che è il più abile di tutti, e navigò nelle navi di V. A. (cioè del Re di Portogallo) ». Sappiamo anche dalla dichiarazione fatta — poco tempo dopo il suo ritorno in Europa sulla nave comandata da Francesco Perero, e precisamente il 2 agosto dell’ anno 15 2 7 — dal Savonese Leone Pancaldo , uno dei diciassette nominati nella Lettera citata di Antonio de Brito, che, dopo dieci mesi di soggiorno nella città di Cochino , durante il qual tempo egli aveva invano chiesto a parecchie riprese il permesso di imbarcarsi per 1’ Europa, gli era riuscito di fuggire sulla nave Santa Catterina che lo condusse a Mozambico in compagnia di Bautista de Poncero maestro della Trinidad, senza che 1’ uno sapesse dell’ altro; che inoltre, meno fortunato del suo compatriota, Juan Bautista- morì poco tempo dopo il suo arrivo in quella città della costa orientale d’Africa (V. Navarrete, Tomo IV, Documento Num. 40 , pag. 384). Da alcune circostanze pare che si possa dedurre, essere questo Juan Bautista di Sestri 1’ autore del nostro Roteiro. E primieramente il posto distinto che egli occupava nell’ equipaggio della nave capitana, e la sua abilità certamente non comune, se lo stesso Antonio de Brito , giudice competente ed imparziale, non esita, anche in paragone del capitano Gonzalo Gomez de Espinosa , dal dichiararlo come il più abile fra tutti quelli che, a bordo della Trinidad, erano giunti a Ternate. In secondo luogo la cir- — 13 — costanza importante, che il giornale si chiude per 1’ appunto col viaggio della Trinidad da Tidore al 420 parallelo di latitudine nord e col ritorno della medesima nave all’ arcipelago delle Molucche. Ora, stando alla dichiarazione già citata del Savonese Leone Pancaldo, tra i diciassette uomini della Trinidad quattro solo erano del Genovesato , cioè lo stesso Pancaldo , — San Remo, semplice marinaio che nella lista del Navarrete (IV, pag. 12) è designato col nome di Juan Ginovés e in altre con quello di Sanremo Ginovés, — il carpentiere Antonio , e infine Juan Bautista de Poncero che i voti unanimi dell’ equipaggio avevano , poco dopo la partenza dall’ isola di Borneo , scelto, insieme con Sebastiano de Elcano e Gomez de Espinosa, a governatore dell’ armata, in allora ridotta alle due navi Victoria e Trinidad (V. Navarrete , IV , Documenti 25 e 27 , pag. 292 e 296). Queste considerazioni sono di grande valore , ma non ci conducono sino alla certezza assoluta. Un altro genovese può con- — i4 — tendere a Juan Bautista la paternità del Roteiro, voglio dire Leone Pancaldo, in favore del quale si possono addurre, e la dichiarazione fatta da lui medesimo , che i giornali di viaggio caduti in potere di Antonio de Brito , e scritti in italiano, erano opera sua, e quanto racconta lo storico Verzellino, savonese , in proposito di una relazione che sarebbe stata scritta dallo stesso Pancaldo (per vero non si sa se durante la spedizione, o dopo) e quindi smarrita per incuria del possessore di essa (V. Navarrete, IV, pag. 383 e Canale, Storia del Commercio, dei Viaggi, delle Scoperte e delle Carte Nautiche degli Italiani, pag. 373), e infine il titolo che il portoghese Antonio de Brito dà a Leone Pancaldo di pilota della nave Trinidad (Navarrete, IV, pag. 311), nel che tuttavia, come già si è detto più sopra, apparentemente non concorda il Barros. Un altro argomento ci è fornito dalla nota finale del manoscritto di San Bento da Laude in appoggio della opinione , che nessun altro dei genovesi addetti alla spedizione può essere 1’ autore del Roteiro — i5 — all’ infuori di Juan Bautista e di Leone Pancaldo. La nota del manoscritto di San Bento è la seguente : « E isto foy tresladado de hum quaderno de hum piloto genoès, que vynha na dita nào, que escreveho toda a viagem, corno aqui està , e foy pera Portugal ho anno de 1524 com dom Amryque de Me-nezes ». Sono primieramente a notare in queste parole due errori di fatto. Il primo si riferisce al nome del Menezes , il secondo all’ anno. Sappiamo infatti dagli annali storici delle Indie Orientali che Duarte (Odoardo) de Menezes, lasciato il governo dell’ India ai 4 di dicembre dell’anno 1524, partiva alla volta del Portogallo il 20 del gennaio 1525 a capo di cinque navi, quattro delle quali giunsero in Europa , essendosi 1’ altra , comandata da Luigi de Menezes , perduta nel viaggio; che a Odoardo de Menezes succedeva nel governo 1’ illustre ammiraglio e Conte Vasco da Gama, il quale moriva dopo soli 20 giorni ; che infine Enrico de Menezes, successore del Gama, moriva in Cananor il 2 febbraio del 1526, — i6 — compianto da tutti i Portoghesi colà stabiliti (2). É adunque impossibile che il pilota genovese, di cui nella nota finale del Roteiro , giungesse nell’anno 1524 in Europa in compagnia di Don Enrico de Menezes. Tuttavia la chiusa della nota ha una certa importanza, giacche, considerando che in quel tempo molti erano i cavalieri portoghesi addetti alle armate ed agli eserciti dell’india, i quali portavano il cognome di Menezes , possiamo ammettere che il traduttore del documento sia stato indotto a confondere Enrico di Menezes con Odoardo di Menezes , del quale si è parlato precedentemente. Se la cosa fosse così, converrebbe cangiare la data del 1524 in quella del 1525, anno in cui Odoardo di Menezes giunse in Europa. Queste varianti, punto arrischiate, concorderebbero quasi esattamente colla dichiarazione dì Leone Pancaldo, che cioè, poco tempo dopo 1’ arrivo di questi e di Juan Bautista all’ isola di Mozambico, essi furono incatenati per ordine di D. Duarte (de Menezes ?) ed imbarcati sulla nave che, posta sotto il comando di Diego — I? — de Melo, doveva ricondurli al governatore dell’ India (V. Navarrete, Tomo IV, Documento Num. 40 , pag. 384). Se non che, il tempo contrario ad una traversata dall’ Africa orientale alle coste occidentali del Dekhan non permise a Diego de Melo di mettere subito alla vela, ed avendo i due italiani ottenuta la licenza di scendere a terra, quivi morì Juan Bautista, mentre il Pancaldo, come già si è detto più sopra, giunse nascostamente in Portogallo sulla nave condotta da Francesco Perero. Pare lecito conchiudere dalle cose anzi-dette e dalla nota finale del manoscritto di San Bento, che il giornale di viaggio, del quale si tratta, venne portato in Europa nel-1’ anno 1525 a cura di Leone Pancaldo. E non credo di allontanarmi dal vero asserendo essere il Roteiro opera comune dei due genovesi, i quali, per i loro uffizi, 1’ uno di pilota, 1’ altro di nostromo, e anzi, più tardi, di direttore della nave Trinidad, tenevano conto minuto dei particolari della navigazione, e si trovavano, più che ogni altro dell’ equipaggio , adatti alla composi- Società Ligure. St. Patria. Voi. XV. 2 zione di un simile lavoro. Sono assoluta-mente da escludersi quegli altri libri e giornali di viaggio , dei quali parla Gines de Miafra nella sua dichiarazione fatta contemporaneamente a quella del Pancaldo il 2 agosto del 1527 (V. Navarrete, IV, Documento Num. 40, pag. 387): ciò è contraddetto sia dall’anno (1526) in cui lo stesso Gines de Miafra, insieme col capitano Gonzalo Gomez de Espinosa e col nostromo Hans Vargue tedesco già artigliere a bordo della nave Concepcion, giunse in Lisbona, sia dalla circostanza, anco più importante , che a nessuno di questi si addirebbe la qualificazione di pilota genovese che vediamo espressamente indicata nella nota finale dei due manoscritti. Circa all’ importanza del Roteiro per la storia di quella grande navigazione, la semplice lettura del documento è sufficiente per farla conoscere. Tuttavia ho creduto necessario di illustrarlo con molte note, alcune delle quali destinate a chiarire quei punti che mi paiono oscuri; altre a stabilire qualche confronto delle cose dette nel Ro- teiro con quelle che si veggono consegnate negli scritti che trattano del medesimo argomento ; altre a far conoscere quelle varianti tra il manoscritto di San Bento e quello di Parigi che possono servire alla maggiore dilucidazione del testo; altre infine a rilevare alcuni errori, quasi tutti dovuti però alla disattenzione del copista e del traduttore (3). Vi sono però due punti, sui quali desidero già sin d’ ora fissare l’attenzione del lettore. E primieramente, come nella relazione del Pigafetta, e più ancora nel giornale di Francesco Albo, così anche nella scrittura del nostro genovese, i dati relativi alle latitudini sono assai numerosi e, che più monta, assai di rado inesatti, il che permette, in certi casi, di fissare molto approssimativamente quali sieno state le terre visitate nel corso della lunga navigazione. In riguardo del che basti accennare quel tratto del Roteiro, nel quale si discorre ampiamente, sia della traversata da Borneo all’ isola di Tidore , sia del viaggio della sola Trinidad da questa ultima isola alla latitudine nord di 42°. — 20 — In secondo luogo, delle differenze presentate dai due manoscritti, in quanto esse si rapportano a nomi di luoghi, molte sono più apparenti che sostanziali, giacché provengono semplicemente o dallo scambio di una lettera in un’ altra, come della v nella u, della r nella i, o dalla dimenticanza della virgoletta (cédilie), come in Calo, Camafo, Lucori, parole che, scritte colla cédilie (Qabo, Qamafo, Lugon) , suonano , a un dipresso, come Zcibo (Zebù), Zamafo, Luqon. La medesima osservazione si estende eziandio ai numeri, i quali, tanto più se arabi, erano facilissimi a scambiarsi: così, in luogo di gradi che 1’ autore del Roteiro dà per latitudine alla Bahia de ìos trahajos, sulle coste orientali della Patagonia, è probabilmente a leggersi 47 gradi (4). Nella traduzione ho cercato di stare il più letteralmente che mi fosse possibile al testo, e ciò specialmente nell’ intento di conservare al lavoro quella impronta di semplicità che tanto caratterizza tutte le relazioni originali di quel tempo. Non lievi difficoltà io dovetti cercare di > — 21 — vincere nella trattazione dell’importante argomento, e forse non sarò riuscito , in alcuni punti, a corrispondere in modo degno alla fiducia della quale mi furono larghi gli onorevolissimi Membri della illustre e tanto benemerita Società Ligure di Storia Patria, e il suo segretario, il prelodato Cav. L. T. Belgrano. Spero tuttavia che il mio lavoro, quantunque imperfetto, varrà, non fosse altro, ad invogliare gli studiosi della Storia della Geografia a fare nuove ricerche sopra un documento, che per la copia e la esattezza delle notizie può essere classificato tra le più importanti relazioni della spedizione di Ferdinando Magellano. \ NOTE (i ) L' illustre Cav. Cornelio Desimoni, autore di sapienti ed importantissimi lavori riflettenti la Storia della Geografia nel Medio Evo e nel tempo delle grandi scoperte transatlantiche, aveva avuto, a parecchie riprese, notizia della edizione del Roteiro pubblicata in Lisbona nell’ anno 1831. Egli si fece istanza , a mezzo dell’ Abate Angelo Sanguineti, presso il Commendatore Antonio Viale residente in Lisbona e Prefetto di quella Reale Biblioteca, il quale, non avendo trovato disponibile alcuna copia della edizione, si compiacque di far fare a sue spese una copia manoscritta, che gentilmente inviò in dono alla Società Ligure di Storia Patria. È questa la copia che mi servi nel presente lavoro. (2) Maffei, Storia delle Indie Orientali, (Traduzione del Serdonati) Voi. i.°, pag. 436: « Sotto questo Governatore (Enrico de Menezes) parve che la fama del nome portoghese in India in un certo modo rifiorisse; e si conobbe in effetto che tanto vagliono i soldati quanto il Capitano. E nelle cose civili ancora si dice essere stato di molta prudenza ; e , quello che in tal governo è cosa molto rara, alieno dall’avarizia e da ogni vii guadagno ». (3) Ho compreso tra due asterischi quelle note che si leggono nel lavoro pubblicato nel 1831 in Lisbona. (4) Di questa , come di parecchie altre osservazioni, mi professo grato al prelodato Cavaliere Desimoni. NAVIGAZIONE E VIAGGIO DI FERNANDO DE MAGALHAES DA SIVIGLIA l’isola Tenerifa, ove giunsero nel giorno di San Michele, cioè ai 29 di settembre (1). Da questo luogo si diressero alle isole del Capo Verde, e passarono tra queste isole ed il capo (Verde) senza scorgere né le une né l’altro (2). Avanzandosi di tanto quanto la detta costa (3), lé navi si diressero al Brasyll (4), e, giunte in vista dell’altra costa del Brasyll, governarono al sud-est (5) lungo di essa fino al Cabo Frio, il quale si trova a 23 gradi dal lato del sud (6). Da questo capo navigarono all’ovest, ARTIRONO da Siviglia il 10 agosto del detto anno (1519), e dalla imboccatura del fiume (Guadalquivir) ai 20 di settembre : appena furono fuori, si diressero al sud-ovest verso — 26 — per circa 30 leghe, sino al Rio-do-Janeiro, il quale é alla medesima latitudine del Cabo Frio, ed entrarono nel detto fiume il dì di Santa Lucia, 13 dicembre. In questo luogo fecero provvista di legna, e vi stettero sino aH’indomani del Natale (26 dicembre) del medesimo anno (7). Partiti dal Rio-de-Janeiro il 26 dicembre, navigarono lungo la costa per giungere al Cabo de Santa Marya posto sotto la latitudine di 34° 2/3, e, non appena videro questo promontorio, volsero ad ovest-sud-ovest (8) scandagliando ogni passaggio, e giunsero ad un gran fiume di acqua dolce, al quale posero il nome di Rio de Sani Crystovam (9). Questo fiume è posto sotto la latitudine di 340: in esso le navi soggiornarono sino al 2 di febbraio del 1520. Partiti dal fiume di Sam Crystovam il 2 febbraio, navigarono lungo la costa, e più avanti al sud scopersero una punta la quale é sul medesimo fiume, ma più al sud: questa sporgenza, cui fu dato il nome di Ponta de Samt Antonio (10), é sotto la latitudine di 36°. Navigando quindi al sud-ovest per 25 leghe, giunsero ad un altro capo che fu chiamato Cabo de Santa Apeionia, e la cui latitudine é di 36° (11): da questo capo si diressero ad ovest-sud-ovest, e giunsero ad alcuni bassi fondi che furono detti Baxos das Correntes (12) ed hanno per latitudine 390. Navigando quindi in alto mare, perdettero di vista la terra per due o tre giorni, dopo di che si rivolsero nuovamente alla costa, e giunsero ad una baia, nella quale entrati, la percorsero durante la intiera giornata a fine di riconoscere se qualche uscita vi fosse per giungere alle Molucche: se non che, sopraggiunta la notte e — 27 — trovandosi chiusi per ogni lato, se ne tornarono per dove erano entrati. Questa baia, posta sotto la latitudine di 34", venne detta liba de San Mateus (13). Da quest’isola di San Matteo navigarono lungo la costa ed arrivarono ad un’ altra baia, nella quale trovarono molti lupi marini e uccelli : questa baia, cui venne dato il nome di Bahia dos trabalhos (14), è sotto la latitudine di 370 (leggi: 47). In essa poco mancò che per causa di un temporale andasse perduta la nave capitana (15). Partiti da questo luogo e navigando lungo la costa arrivarono, nell’ultimo giorno del marzo 1520, al porto de Sam Juliam che é sotto la latitudine di 490 ■/. (16), e quivi passaron l’inverno, durante il quale ebbero un giorno di sette ore, poco più poco meno (17). In questo porto tre delle navi si sollevarono contro il capitano mór (maggiore) (18), dicendo i comandanti di esse navi che volevano condurlo prigione in Ispagna, giacché li portava tutti alla perdizione. Ma per astuzia e coll’aiuto e favore degli stranieri (19) che aveva seco nella sua nave (la Trinidad'), il capitano generale si recò alle tre navi che si erano ribellate : il capitano di una di esse e tesoriere dell’armata, per nome Luis de Mendo^a, fu ucciso, nella medesima sua nave, a colpi di pugnale e per mano del meyrinho mòr (primo usciere, alguazil maggiore), il quale a questo fine vi era stato mandato da Fernando de Magalhaès in un battello ed insieme con alcuni uomini (20). Ridotte così ad obbedienza le dette navi, di lì a cinque giorni Fernando de Magalhaès fece decollare e squartare Gaspar de Queixada capitano di una di esse, il quale era nel numero dei ribelli (21). — 28 — Nel porto di San Giuliano furono riparate le navi. E il capitano generale nominò Alvaro de Mesquita, portoghese, acomandante di una delle tre navi di cui era stato ucciso il capitano (22). Partirono dal detto porto il 24 del mese di agosto quattro navi sole, giacché nel frattempo si era perduta la più piccola (23), la quale, mandata a fare delle scoperte, era stata assalita dal cattivo tempo e gettata alla costa, ove però si potè salvare, non solo l’equipaggio, ma eziandio le mercanzie, le artiglierie e tutti gli apparecchi. Stettero nel porto, in cui avevano passato l’inverno, cinque mesi e 24 giorni (24) e da esso porto al sud erano 73 gradi meno 10 minuti (25). Partirono dal porto di San Giuliano il 24 del mese di agosto, e, navigando lungo la costa, entrarono in un fiume che chiamarono di Saula Cruz, e cu^ f°ce ^ sotto la latitudine di 50° (26). In questo porto stettero prendendo mercanzie e ciò che veniva lor dato; e l’equipaggio della nave perduta, che era tornato per la via di terra al luogo in cui si trovava Fernando de Magalhaès, fu accolto nelle altre quattro navi (27). Nel far provvista di queste merci stettero il mese di agosto sino ai 18 del settembre (28), in cui fecero raccolta di acqua e di molto pesce che venne pescato in quel fiume (29). Nell’ altro (porto) in cui la flotta aveva passato l’inverno, gli abitanti sono quasi selvaggi, e gli uomini alti da 8 a 10 palmi, e molto ben disposti (30): essi non hanno case, soltanto vanno col bestiame dall’un luogo all’altro, mangiano carne mezzo cruda, sono tutti arcieri ed uccidono colle freccie molti animali. Colle pelli di questi fanno vestimenta: vale a dire, dopo averle ridotte ad essere molto molli e pieghevoli, le lavorano - 29 — dando loro la forma del corpo, e quindi si coprono con esse il meglio che per lor si possa, e se le legano alla cintura. Quando non vogliono coprirsi dalla cintura in su, ne lasciano cadere la parte superiore, e la attaccano inferiormente alla cintola che loro avvolge il corpo. Portano stivali che giungono sino a quattro dita al disopra del collo del piede, e li riempiono di paglia per tenere i piedi caldi. Tra essi non vi ha né ferro nè altro artificio di armi : solo di pietra fanno le punte delle freccie, e così pure le azze delle quali si servono per tagliare, le piallette e le lesine per cucire le scarpe e le vesti. Sono molto leggieri, e non fanno alcun male: vanno (come si è detto) col bestiame dall’ un luogo all’altro, e, venendo la notte, dormono là dove si trovano. Conducono seco le donne e tutto quanto posseggono: le donne sono molte piccole (31), portano grandi carichi sulle spalle, e sono del resto abbigliate come gli uomini. Dei quali ne prendemmo tre 0 quattro, e li portammo alle navi, ma tutti morirono, all’infuori di uno che fu condotto in Ispagna nella nave che giunse in questo paese (32). Partirono dal porto di Santa Cruz il 18 di ottobre (33): navigando lungo la costa scopersero ai 21 del medesimo mese, un capo, al quale posero il nome di Cabo das Vir-gens (Capo delle Vergini) perchè vi erano giunti nel giorno dedicato alle 11.000 Vergini (34). Da questo promontorio, che è situato approssimativamente sotto la latitudine di 52°, giunsero, dopo due 0 tre leghe, alla imboccatura d’uno stretto (35), nel quale entrarono navigando lungo la costa, e dopo qualche poco ancorarono. Da questo luogo Fernando de Magalhaès mandò a indagarne l’interno (36), e furono così trovati tre canali, — 30 — cioè due verso il sud, e uno che attraversava la terra dal lato delle Molucche. Le navi non estesero però la ricognizione di questo canale, e, limitandosi alla esplorazione delle tre imboccature, se ne tornarono con questa notizia a Magellano. Le navi misero alla vela (dalla entrata orientale dello stretto) ed approdarono (successivamente) alle tre imboccature, dopo di che Magellano diede alle due navi l’incarico di estendere oltre la esplorazione delle parti interne del canale (37) : una di esse se ne tornò al capitano generale, e l’altra, comandata da Alvaro Mesquita, entrò in una delle aperture che si dirigevano al sud e non fece più ritorno. Vedendo Fernando de Magalhaès che la nave non veniva, continuò il suo viaggio (38); e l’altro (cioè Alvaro de Mesquita, o piuttosto Esteban Gomes pilota della nave Sant’Antonio) non volle esplorare quegli sbocchi, e, volgendosi al sud, ritornò all’ altro che corre da nord-ovest a sud-est, quarta di est-ovest: Magellano, lasciate nel luogo di partenza alcune istruzioni nelle quali era indicata la strada cui avrebbe dovuto attenersi la nave nel caso di ritorno, entrò nel canale, la cui larghezza è in alcuni luoghi di 3 leghe, di 2 leghe, di una lega, ed in altri solo di mezza lega, e lo navigò finché fu giorno ; venuta la notte, le tre navi sostarono. Spediti poscia in avanti i battelli, questi recarono la notizia che il canale aveva una uscita, e che dall’altro lato si estendeva il gran mare, per il che Fernando de Magalhaès ordinò che in segno di gioia si sparassero le artiglierie (39). Prima di lasciare lo stretto le navi trovarono due isole, la prima delle quali più grande, l’altra più vicina all’uscita ma più piccola: esse — 3i — uscirono poi dallo stretto passando tra queste isole e la costa meridionale, giacché questo spazio era maggiore di quello della parte opposta. Lo stretto ha una lunghezza di cento leghe: tanto la uscita quanto la entrata stanno sotto la latitudine di 5 2° (40). Nel detto canale le tre navi soggiornarono dal 21 ottobre al 26 di novembre (1520), cioè 36 giorni: appena fuori di esso si incamminarono, quasi senza eccezione, ad ovest-nord-ovest, onde trovarono che gli aghi norvestavano di quasi 2/4, e dopo avere così navigato per molti giorni, giunsero (il 24 gennaio 1521) ad un’isola situata approssimativamente alla latitudine di 18 o 19 gradi, e quindi (il 4 febbraio) ad un’altra posta a 13 o 14 gradi, amendue dal lato del sud (41): queste due isole sono spopolate. E così toccarono la linea equinoziale, ove Fernando de Magalhaès disse che già si era sotto la medesima latitudine delle Molucche: se non che, informato che in quest’isole non erano provvigioni, volle spingersi al nord della linea per 10 0 12 gradi (42), e si giunse così alla latitudine boreale di 130. Da questo luogo navigarono all’O. '/4 S. O per cento leghe, dopo di che trovarono, il 6 marzo del 1521, due isole popolate da molta gente, in una delle quali, a 12° di latitudine boreale, approdarono (43). I suoi abitanti sono gente di poca fede: essi vennero a bordo e non erano punto servizievoli, chè anzi, tagliata la fune che teneva lo schifo della capitana legato alla nave, lo portarono a terra, senza che l’equipaggio potesse riuscire a salvarlo. A questa isola fu dato il nome di liba dos Ladrocs (Isola dei Ladroni). Vedendo Fernando de Magalhaès che la scialuppa era — 32 — perduta, mise alla vela per essere già notte, e andò così qua e là sino al giorno seguente : non appena fu giorno, approdò nel luogo in cui gli Spagnuoli avevano veduto portare la scialuppa, e fece apprestare due battelli con 50 o 60 uomini (44), dopo di che fu in persona a terra, e mise a ferro ed a fuoco tutto quel luogo (45). In questo fatto morirono sette od otto persone tra uomini e donne, e fu anche licuperata la scialuppa. Tornati alle navi, gli Spagnuoli videro giungere da 40 a 50 paros (46) dalla medesima terra, i quali recavano molte provvigioni (47). Fernando de Magalhaès non volle stare più a lungo colà, e, mettendo subito alla vela, governò all’O. '/4 S. O (48), e giunse ad una terra posta sotto la latitudine di quasi 11 gradi, e questa terra era un’isola: in essa gli Spagnuoli non vollero approdare, ma sì in un’altra situata più avanti, la quale era visibile dalla prima (49). Il capitano generale mandò la scialuppa a terra per esaminarne la disposizione, ma la scialuppa fu poi richiamata, quando dalle navi si videro uscire due paros. Appena gli uomini che erano imbarcati sopra questi legni si accorsero che lo schifo faceva ritorno alle navi, si allontanarono. E subito la squadra mise alla vela, e giunse ad un’altra isola molto vicina a quella pur ora lasciata, e posta sotto il parallelo boreale di 10 gradi: essa venne chiamata Isola dei Buoni Segnali o Ilha de Bons Synaes (50) perché vi si trovò alcun poco di oro. Mentre le navi erano qui ancorate, giunsero due paros che portavano galline e noci di cocco, e si seppe dagli indigeni che quivi erano stati veduti uomini simili ad essi (cioè agli Spagnuoli?); dal che questi furono tratti — 33 - a presumere che potessero essere lequios o mogores, una nazione cioè che ha questo nome o quello di Chiis (51). Partiti da quest’isola, navigarono più avanti in mezzo a molte isole, cui fu dato il nome di Vali sm pcriguo (52) e anche Sani Labaro e, a 20 leghe dall’isola donde erano partiti (53), la quale ha per latitudine 10 gradi, approdarono ad un’altra detta Macangor (54) la cui latitudine é di 9 gradi. In essa furono accolti molto bene, ed innalzarono una -+- (croce) (55). Il re di Macangor li condusse, al di là di 30 leghe, ad un’altra isola detta Cabo (56) posta a 10 gradi di latitudine: in questa isola, assenzienti gli abitanti, Fernando Magalhaès fece ciò che gli parve bene, ed in un giorno 800 si fecero cristiani : per il che Magellano (volle) che gli altri re vicini (57) facessero omaggio di suggezione a questo re (di Zebù) che si era convertito, ma quelli vi si rifiutarono. In seguito a ciò Fernando de Magalhaès, fatti apprestare i battelli, si recò in una notte a terra, e incendiò i luoghi appartenenti ai principi che non avevano voluto prestare obbedienza (al re di Zebù) (58): fatto ciò, di lì a 10 o 12 giorni mandò ad un luogo distante una mezza lega da quelli che erano stati incendiati, e chiamato Matam (59), il quale è pure un’isola, e ordinò che subito gli fossero rimessi tre capre, tre maiali, tre carichi di riso e tre carichi di maiz pel mantenimento dell’ equipaggio. Essi risposero che quanto egli chiedeva di tre in tre, non gli volevano dare che di due in due ; che se di ciò si fosse appagato, la cosa si sarebbe accomodata, e che altrimenti non gli avrebbero mandato nulla. Siccome (quelli di Matam) non gli volevano concedere quanto era stato richiesto , Fernando de Magalhaès Società Liguri. Si. Pairia. Voi. XV. 5 — 34 — fece apparecchiare tre battelli con 50 o 60 uomini (60), e nella mattina del 28 aprile (61) si recò al detto luogo di Matam, ove trovò radunata molta gente, da 3 a 4 mila uomini (62), i quali combatterono con tanta valentia, che rimase morto Fernando de Magalhaès con alcuni uomini dei suoi (63): e ciò fu nell’anno 1521. Morto Fernando de Magalhaès, i cristiani fecero ritorno alle navi, e quivi si accordarono nello sciegliere due capitani e governatori, ai quali dovessero essere soggetti (64): ciò fatto, furono d’avviso che i due capitani si recassero alla terra, di cui gli abitanti si erano fatti cristiani, e ciò nel fine di chiedere dei piloti che li conducessero a Borneo. Questo ebbe luogo il primo di maggio, ed essendosi i capitani, secondo quanto era stato detto, recati a quella terra, la medesima gente che si era convertita si avanzò armata contro di essi, e, giunti questi alla spiaggia, li lasciò sbarcare sicuramente, come già per lo innanzi. Ma bentosto gli isolani vennero all’ assalto, e uccisero i due capitani e 26 cavalieri (65): gli altri rimasti si raccolsero nei battelli, coi quali ritornarono alle navi, e, trovandosi una seconda volta senza capitani, convennero, essendo morti i principali (membri della spedizione), che un certo Juam Lopez (66), tesoriere generale dell’armata, fosse capitano generale, e l’alguazil maggiore, che aveva per nome Gonzalo Vaz Espinosa (67), fosse capitano di una delle navi. Ciò fatto se ne partirono, e corsero circa 25 leghe colle tre navi che ancora avevano: ma vedendo che dell’equipaggio non rimanevano più che 108 uomini (68), molti dei quali feriti od ammalati, e che perciò non eravi più personale sufficiente per governare le navi, ere- — 35 — dettero bene di incendiarne una, e si radunarono tutti gli uomini nelle altre due, il che fu fatto in mare senza essere in vista di alcuna terra. In questo mentre si avvicinarono molti paros a parlare con essi ; e, navigando per quelle isole, non riescivano ad intendersi gli uni cogli altri giacché (gli Spagnuoli) non avevano più l’interprete il quale era stato ucciso con Magellano (69). Dopo avere navigato più avanti in mezzo ad altre isolette, approdarono ad un’isola che é detta Carpyam (70), nella quale sono miniere d’oro : quest’ isola ha per latitudine 8 gradi. Approdati in questo porto di Capyam (71), ebbero parola cogli abitanti dell’isola, ed entrarono in relazione con essi, e Carvalha (Carvalho) che era capitano generale diede loro il battello della nave incendiata : quest’isola é accompagnata al di fuori da tre isolette (72), ed in essa raccolsero alcuna provvigione (73). Navigando oltre nella direzione di O. S. O., giunsero ad un’altra isola detta Caram, la quale ha per latitudine n gradi (74), e, col mantenere la medesima direzione, toccarono un’isola grande della quale corsero la costa verso il nord- est (75) giungendo cosi sino alla latitudine di 90 '/* (76). Un giorno si avvicinarono a terra coi battelli per fare provvista di viveri, giacché le navi non ne avevano più che per otto giorni (77) ; ma gli isolani non li lasciarono approdare, e tirarono loro addosso delle freccie fatte con canne (78), di maniera che (gli Spagnuoli) furono costretti a ritornarsene alle navi. Vedendo ciò, convennero di andare ad un’ altra isola, della quale avevano avuto alcuna poca notizia, per vedere se era possibile di fare incetta di vettovaglie. Se non che ebbero il vento contrario, ed essendo già ad — 3 6 — una lega dal luogo in cui volevano andare, posero 1 ancora. Mentre se ne stavano quivi ancorati, si accorsero che dalla terra si facevano loro dei segni perché andassero colà: per cui si avvicinarono coi battelli alla spiaggia, e, mentre parlavano con quella gente a segni, che altrimenti non s’intendevano, uno di essi, chiamato Joam de Campos (79), disse che lo lasciassero andare a terra, giacché nelle navi non erano provvigioni di sorta, e torse avrebbe trovato alcun rimedio per sopperire a ciò: aggiungendo che se egli perisse, non avrebbe perduto gran cosa, perché il Signore Iddio si sarebbe ricordato della sua anima ed ugualmente si sarebbe trovato di che mantenere l’equipaggio; che se invece riuscisse a salvarsi, avrebbe trovato maniera di far si che le navi fossero provvedute di viveri. Essendo stata accolta questa proposta , egli fu alla detta terra, e, non appena vi giunse, venne ricevuto dagli abitanti di essa, i quali lo condussero nell’ interno lungi una lega, ove tutti vennero a vederlo e gli davano da mangiare trattandolo molto amichevolmente, tanto più quanto videro che mangiava carne di maiale, poiché quell’ isola era dipendente dai mori (maomettani) di Borneo, i quali non volevano che gli isolani mangiassero di tale carne, nè che se ne parlasse o facesse grida colà. Questa terra si chiama Dyguasam (80), ed ha per latitudine 9 gradi. Vedendo il detto cristiano (Joam de Campos) che era favorito e ben trattato (dagli abitanti dell’isola), diede ad intendere, per mezzo di segni, che portassero viveri alle navi, ove sarebbero pagati molto bene. Nulla eravi in quella terra all’infuori di riso, che era ancora da pestare, e subito gli isolani si misero a pestar riso - 37 — durante l’intera notte, e venendo il mattino presero del riso ed in compagnia del detto cristiano vennero alle navi, ove furono ricevuti con molto onore, e pagati (per la loro provvista). Dopo di ciò se ne tornarono al loro paese, ed essendo quest’uomo (cioè Juam de Campos?) già sceso a terra, vennero alle navi altre persone che abitavano un paese alquanto più avanti, le quali dissero che volessero recarsi colà, ove avrebbero ottenuti molti viveri in cambio del loro denaro. Non appena giunse alle navi l’uomo che avevano mandato, se ne partirono e vennero a porre l’ancora nel luogo di quelli che erano venuti a chiamarli, il quale luogo aveva per nome Vay palay cucara canbam (81). Quivi il Carvalho entrò in amichevoli relazioni col re della terra, e venne stabilito il prezzo del riso in ragione di tre braccia di tela di Bretagna per due misure di riso del peso di 114 libbre (82). Presero cosi tutto il riso che vollero, come pure capre e maiali : e stando quivi, videro venire un moro (maomettano) il quale era stabilito nel luogo di Dy-gancam (83) che é dei mori e di Corti hurcello (84*), come già si è detto, e con quegli si recarono alla sua terra. Approdati che furono nelle vicinanze di questo luogo di Dygancam (85) videro giungere un paro, dal quale scese un negro per nome Bastiano che li richiese di una bandiera e di un cartello per il governatore di Digan-cam, e gli diedero il tutto e più altre cose come regalo. Avendo chiesto al detto Bastiano, il quale parlava abbastanza bene il portoghese come quegli che era stato alle Molucche ove si era fatto cristiano, se voleva andare con essi per insegnare loro ove si trovava Borneo, egli - 38 - disse che molto volentieri li avrebbe accompagnati : ma giunta l’ora della partenza si nascose, e vedendo che non veniva, partirono da questo porto di Diguacam il 21 di luglio (86) per dirigersi sopra Borneo. Nel momento che mettevano alla vela, videro giungere un paro che era diretto al porto di Diguacam ; se ne impadronirono e vi presero tre mori, i quali dicevano di essere piloti e che li avrebbero condotti a Borneo (87). In compagnia di questi mori governarono lungo 1’ i-sola a sud-ovest, ne toccarono due altre all’ estremità di essa, e passarono in mezzo ad esse isole, delle quali la meridionale è bandym e la settentrionale bolyna (88). Navigando quindi ad O. S. O. per 14 leghe, toccarono alcuni bassi tondi, e i mori dissero che si avvicinassero alla costa dell’isola, giacché il mare vi era più profondo per essere questa parte più verso Borneo, e, cosi facendo, già da questi paraggi giunsero in vista dell’ isola di Borneo. In quel medesimo giorno approdarono ad alcune isole che furono chiamate hos ilheos de Sani Paulo, e «ono distanti dalla grande isola di Borneo da due leghe e mezzo a tre leghe, e approssimativamente sotto la latitudine di 7 gradi : nell’ isola di Borneo é una grandissima montagna, alla quale fu dato il nome di Monte de Sani P.° Da questo luogo navigarono lungo la costa del-l’isola al sud-ovest, tra questa ed un’altra isola, e sempre si avanzarono nella medesima direzione, giungendo così ai paraggi della città di Borneo (89), ed i mori che li accompagnavano dissero che quivi era la città di Borneo; ma il vento che era contrario non permise alle navi di giungere sin là. Approdaron (perciò) in un’ isola che era quivi, distante da Borneo 8 leghe. - 39 — Vicino a quest’isola havvene un’altra la quale ha molti susini : e nel giorno seguente si diressero all’altra che é più vicina al porto di Borneo, ma l’incontro di molti bassi fondi li costrinsero a porre l’àncora (90). Furono mandati i battelli a terra coi mori piloti ed un cristiano, e i battelli si avvicinarono alla detta terra, donde (i piloti e lo spagnuolo) dovevano recarsi alla propria città di Borneo che ne distava tre leghe. Di qui furono condotti allo Xabandar di Borneo, il quale domandò chi erano essi, e quello che venivano a fare colle navi : i mori furono poi, insieme col cristiano, presentati al re di Borneo. Dopo avere deposto a terra i detti uomini, quelli che erano nei battelli scandagliarono il mare per riconoscere se alle navi sarebbe stato possibile di spingersi più avanti (91): ed in questo mentre videro tre giunchi (92) che venivano dal porto di Borneo, ma subito tornarono indietro alla vista delle navi. Scandagliando, trovarono il vero canale per il quale si entra nel porto, e subito (le navi) misero alla vela ed entrarono nel detto canale, ove tuttavia posero 1’ àncora, non volendo avanzarsi maggiormente senza avere notizia dalla terra, il che ottennero nel giorno seguente per mezzo di due paros che portavano certe artiglierie di metallo e più di cento uomini in ciascuno, come pure capre, galline, due vacche, fichi ed altre frutta. Essi dissero (agli Spagnuoli) che si avanzassero maggiormente verso le isole che erano li presso, essendo quello il vero posto: e da questo ancoraggio alla detta città (di Borneo) erano tre 0 quattro leghe. Stando così ancorati, entrarono in amichevoli relazioni (cogli uomini dei paros), e convennero che loro si vendesse quanto era nell’isola, — 40 — c specialmente cera, al che risposero che assai volentieri avrebbero venduto quanto si aveva nella terra in cambio del loro denaro. Questo porto di Borneo ha una latitudine di 8 gradi (93). Per questa risposta avuta dal re di Borneo gli mandarono un regalo per mezzo di Gonzalo GomesEspinosa(94) capitano della nave Victoria: il re ricevette il regalo (95) e diede a tutti dei drappi della Cina (96). Essendo già da 20 a 23 giorni che essi si stavano quivi trattando con quelli dell’isola, ed avevano cinque uomini a terra nella medesima città, vennero ad approdare vicino ad essi cinque giunchi all’ora di sera, e stando così quella sera e la notte sino alla mattina del giorno seguente, videro giungere dalla città 200 paros , alcuni a vela, altri a remo. Alla vista dei giunchi e dei paros, parve loro che qui fosse tradimento (97); per il che si diressero verso i giunchi, e non appena gli uomini che erano a bordo di questi li videro a vela, misero pure alla vela, e fuggirono nella direzione che il vento indicava per la migliore. Coi battelli venne raggiunto uno di quei giunchi, il quale fu preso con 27 uomini (98), e le navi posero l’àncora nell’ Isola dei susini col detto giunco legato alla poppa della nave capitana. In quanto ai paros, se ne tornarono alla terra, e venuta la notte, capitò una tempesta da ponente, nella quale il giunco calò a fondo, senza che da esso si potesse trarre alcun profitto. Nella mattina del giorno seguente videro una nave, e furono ad essa e la presero: era dessa un grande giunco comandato dal figlio del Re di Lucam (99) cui accompagnavano 90 uomini. Appena presi costoro , mandarono alcuni di essi al re di Borneo coll’incarico di fargli sa- — 4i — pere che loro inviasse i cristiani da lui tenuti in numero di sette, e che in compenso gli darebbero tutti quelli trovati nel giunco. Il re, dei sette uomini che teneva con sé, ne mandò due in un paro (100): essi gli mandarono a dire che restituisse i cinque che ancora dimoravano colà, ed essi alla lor volta gli avrebbero mandata tutta la gente che era nel giunco. Due giorni, ma invano, aspettarono la risposta ; dopo di che presero trenta uomini del giunco, li misero in un paro del giunco medesimo , e li mandarono al detto re di Borneo, e con 14 uomini dell’ equipaggio del giunco e tre donne se ne partirono (101). Governarono lungo la costa di essa isola al nord-est (102), e tornarono a passare tra le altre isole e quella grande di Borneo (103); ove la nave capitana arrenò nella punta dell’isola e stette cosi per 4 ore ; tornata la marea, la nave potè uscire, dal che si vide chiaramente che la marea era di 24 ore (104). Facendo la strada già detta, il vento voltossi al nord-est , e preso l’alto mare, videro venire una vela, e le navi misero l’àncora, mentre i battelli, andando all’incontro di essa se ne impadronirono: era dessa un piccolo giunco, il quale non era carico che di noci di cocco. Fatta provvista di acqua e di tavole (di legno) si diressero quindi, lungo la costa dell’isola, al nord-est sino a che ne videro la fine, e trovarono un’altra isola piccola, nella quale ripararono le navi (105). Giunsero a quest’isola il di di Nostra Signora di Agosto (106), e vi trovarono un buon porto per riparare le navi : esso venne chiamato porto di Samta Maria de Agosto. La sua latitudine é di 7 gradi (107). Presa che ebbero questa precauzione, se ne parti- rono (108), e governando al sud-est giunsero in vista dell’ isola Fagajam (109) dopo una strada da 38 a 40 leghe: ed appena giunti in vista di essa isola si diressero al sud-est verso un’ isola che ha nome Sc-lopc (no), ed ebbero notizia che in essa erano molte perle: se non che, quando la ebbero in vista, il vento si lece contrario, e non poterono giungervi. Pare chc quest’ isola sia sotto la latitudine di 6 gradi. Nella medesima notte giunsero all’ isola di Quipc, navigarono lungo di essa nella direzione del sud-est, e passarono tra la stessa isola ed un’altra che é detta Tamgym (m)‘ sempre navigando lungo la costa della detta isola , trovarono un paro carico di sagù in pani (112), il quale è un pane fatto di un albero che si chiama cajare, ed in quei paesi si mangia come da noi il pane (113): questo paro portava 21 uomini (114), e il capo di questi era stato nelle Molucche in casa di Francisco Serram (115). Più avanti, lungo la costa della detta isola, giunsero ad alcune altre che hanno per nome Semrrym (116) e stanno approssimativamente sotto la latitudine di 5 gradi. Gli abitanti di questa terra si recarono a vedere le navi, e cosi si venne in relazione gli uni cogli altri: un vecchio che era tra essi disse che voleva condurli alle Molucche (117). Fissato il tempo con questo vecchio, gli diedero per la sua opera una certa ricompensa : tuttavia nel giorno seguente, che era quello della partenza, il vecchio volle fuggire, ma fu arrestato insieme con altri che erano con lui e dicevano di essere pratici piloti, dopo di che le navi misero alla vela. Quelli della terra, vedendoli partire, corsero armati contro di essi : ma dei paros, due sol- — 43 — tanto giunsero alle navi e tanto vicine a queste che le treccie vi giungevano. Favorite da un forte vento, le navi si tolsero però alla vista dei paros: nella mezzanotte di quel giorno giunsero ad alcune isole, e, governando più avanti, videro nel giorno seguente una terra che era un' isola, ed alla quale si avvicinarono di molto nella notte successiva. Calmatosi poscia il vento, le navi furono spinte dalle correnti verso la spiaggia, ed il vecchio pilota, gettandosi in mare, si rifugiò a terra (118). Dopo la fuga di uno dei piloti navigarono più avanti e giunsero in vista di un’altra isola, alla quale si avvicinarono di molto, e l’altro pilota disse che le Molucche erano situate anco più in là, e, così navigando, giunsero nella mattina del giorno seguente in vista di tre alte montagne appartenenti ad una nazione che si chiamava Salabos, e subito videro un’isola piccola, ove ancorarono per far provvista di acqua, nel timore che ciò non fosse loro permesso alle Molucche, ma si astennero dal farlo giacché il pilota moro disse, che in quell’ isola stavano 400 uomini (119), i quali erano tutti re che avrebbero potuto tare alcun male (agli Spagnuoli) per essere i medesimi di poca fede; egli pertanto non li consigliava di andare in quell’isola; d’altronde le Molucche cui essi tendevano, erano già vicine, ed i lore re erano buoni assai, e concedevano di prendere acqua a tutti quelli che giungevano nelle loro terre. Così facendo, giunsero alle vere isole Molucche ,■ ed in segno di allegrezza spararono tutte le artiglierie: approdarono all’isola (di Tvdore) il giorno 8 di novembre dell’anno 1521 , dopo avere impiegato da Siviglia alle Molucche due anni, due mesi e — 44 — venti giorni, giacché erano partiti da Siviglia il io di agosto dell’anno 1519 (120). Giunti all’isola di Tidor, la quale ha per latitudine mezzo grado (121), il re di essa fece agli Spagnuoli tanto onore da non potersi immaginare maggiore, per il che si venne in amichevoli trattative col detto re circa al carico , ed il re si obbligò a dare il carico ed anche tutto quanto era nella sua terra in cambio di denaro , e si convenne che essi avrebbero dato per un bahar di chiovi (di garofano) (122) 14 varas di panno giallo di 27 tem le quali valgono in Ispagna un -4- alla vara (123); egualmente per un bahar di chiovi 14 varas di panno vermiglio, o 30 varas di tela di Bretagna, ovvero otto azze (124). Essendo cosi convenuti i prezzi, quelli dell’isola dissero che più avanti in un’ altra isola era un portoghese, e che da Tidor potevano essere due leghe a quell’isola detta Targateli (125), prima tra le Molucche, nella quale noi abbiamo in oggi una fortezza (126). Subito spedirono lettere al detto portoghese affinché venisse a parlare con essi : al che egli rispose che non osava di farlo, giacché il suo re glielo proibiva; che essi stessi avessero licenza dal re ed immantinenti si sarebbe recato colà. Ottenuto subito questo permesso, il portoghese venne a parlare con essi (127). Avuta contezza dei prezzi che si erano convenuti, egli se ne spaventò molto, e disse che per questo il re gli aveva comandato che non venisse a fine di non sapere la verità circa ai prezzi della terra. Mentre stavano ricevendo il carico, venne ad essi il re di Baraham (128) vicino del re di Tidor, il quale disse che voleva esser vassallo del re di Spagna; che aveva 400 bahares di chiovi, venduti al re di'Porto- — 45 — gallo; che altri ne aveva i quali tutti erano a loro disposizione; alla qual cosa i capitani risposero che li portasse e, quando fossero venuti li avrebbero comprati, e non altrimenti (129). Vedendo il re che non volevano prendere i chiovi, chiese loro una bandiera ed un salva-condotto il quale gli fu dato, sottoscritto dai due capitani. Stando cosi in attesa del carico che loro spettava, parve ad essi che il ritardo frapposto dal re alla spedizione fosse indizio di qualche tradimento: la maggior parte dell’equipaggio cominciò a tumultuare, e disse ai capitani che quel ritardo non era che un tradimento. Parendo a tutti che la cosa potesse essere così, già lasciavano il tutto e volevano andarsene, e mentre erano per mettere alla vela, videro giungere alla nave capitana il re, che aveva fatto con essi il contratto, il quale chiese al capitano perché mai egli voleva partire, mentre ciò che si era tra essi convenuto egli lo teneva come cosa fatta. Il capitano rispose che l’equipaggio delle navi diceva di non voler più rimanere colà giacché era quello un tradimento ordito a loro danno : al che rispose il re che ciò non era punto, ed anzi avrebbe m andato subito per il suo alcorano, sul quale voleva far giuramento che egli non avrebbe mai fatta tal cosa ; e subito fu portato l’alcorano, e il re giurò sopra di esso e disse che stessero pur tranquilli, per il che la gente dell’equipaggio si acquetò e permise che egli desse il carico convenuto prima del dì 15 dicembre 1521 ; il che venne fatto nel detto tempo senza che nulla mancasse (130). Mentre le navi erano già caricate e pronte a partire, nella nave capitana (131) si aperse una vena d’acqua. Il — 46 — re, venuto a cognizione del fatto, mandò dalla terra 25 palombari (132) per togliere l’acqua, ma ciò senza alcuna riuscita (133) : convennero perciò che l’altra nave (cioè la Victoria) se ne partisse, e che la nave capitana fosse liberata di tutto il suo carico, il che venne fatto. E la nave cosi aggiustata, la caricarono di nuovo e determinarono di recarsi alla terra delle Antille distante dalle Molucche 2000 leghe (134) poco più poco meno. L’altra nave se ne partì il 21 dicembre del detto anno, toccò l’isola di Timor, e passò al di dietro (al sud?) di Giava, a 2055 leghe dal Capo di Buona Speranza. Quattro mesi e sedici giorni furono impiegati nell’ag-giustare la nave ( Trinidad) e nel caricarla (13 5). Partirono il 6 del mese di aprile dell’anno 1522, e si diressero alla terraferma delle Antille lungo la via dello stretto (136) per il quale erano usciti, e subito navigarono verso il nord sino a che uscirono dalle dette isole di Ternate e di Tidor (137) e quindi al nord-est lungo l’isola di Betachina (138) per dieci 0 dodici leghe, in seguito al nord-est, e così giunsero ad un’isola che ha per nome Doy^ (139) ed ha per latitudine tre gradi e mezzo. Da questo luogo si diressero ad oriente per 304 leghe, e pervennero in vista di due isole, l’una piccola, l’altra grande : la prima aveva per nome Chaol e la seconda Pyliom (130), e passarono tra la prima di esse e quella di Betachina dal lato di tribordo. Giunsero ad un capo, cui posero il nome di Cabo de ramos, perchè l’ebbero in vista la vigilia della Domenica delle Palme (141). Questo capo ha per latitudine 20 '/2: da esso governarono al sud per giungere a Quimor che è una terra del re di Tidor, e siccome il detto re aveva comandato che ad essi fosse - 47 — dato tutto ciò che in quella terra si aveva, cosi presero maiali, capre, galline, noci di cocco e bevande (142). In questo porto stettero otto 0 nove giorni. Esso porto di Camarfya (143) ha per latitudine i° 3/4. Partirono da questo porto il 20 del mese di aprile (144), e navigarono per 17 leghe nella direzione dell’est (145), ed uscirono per il canale dell’isola Batechina e dell’isola Charam (146): non appena furono fuori, videro che la detta isola di Charam (147) correva al sud-est ben 180 20 leghe , il che non era il loro cammino, giacché la loro strada era all’est, e quarta di nord-est, per cui navigarono in questa direzione alcuni giorni, avendo sempre i venti molto contrarii. Il 3 di maggio trovarono due piccole isole che potevano avere circa 5 gradi (di latitudine) : esse furono chiamate isole di Samt Antonio (148). Più avanti, verso il nord-est, giunsero ad un’isola che chiamarono Leyco (149): questa isola é posta sotto la la-'titudine di 19 gradi, ed in essa approdarono il giorno 11 di luglio (150). Nell’isola di Leyco presero un uomo che condussero seco, e quindi navigarono più avanti bordeggiando dall’una parte e dall’altra per essere i venti contrarii, sino a che toccarono la latitudine nord di 420. In questi paraggi mancò ad essi il pane, il vino, la carne e l’aceto ; non avevan di che mangiare, e solamente riso ed acqua furono il loro nutrimento; il freddo era intenso e non avevano di che coprirsi. L’equipaggio cominciò pertanto a mormorare, e determinarono di prendere la strada delle Molucche, il quale disegno venne subito posto in atto. Ad una distanza di 500 leghe dalle dette Molucche vollero toccare l’isola che ha per nome - 4S - Guamgragam (151): ma, per essere giunti in vista di essa nella notte, non vollero approdarvi ; stettero cosi sino 'allo spuntare del sole e non poterono giungere alla detta isola ; e 1’ uomo che li accompagnava ed era stato preso prima nella detta isola (Leyco), disse che andassero più avanti, che avrebbero trovato tre isole, nelle quali era un buon porto. Quanto diceva il moro era una scusa per fuggire con maggiore sicurezza, come di fatti fuggi: e le dette tre isole, le raggiunsero con molto pericolo, ed approdarono nella centrale che era la più grande, e popolata da 20 persone tra uomini e donne. Questa isola è detta Pamó (152) ed ha approssimativamente 20 gradi di latitudine : in essa fecero provvigione di acqua piovana, giacché altra non se ne trovava (153). Quivi fuggi il moro (154): da essa partirono per arrivare ad una terra detta Camofo (155), ed appena giunsero in vista di questa, sopravvennero le calme, e le cori enti li allontanarono dalla terra, dopo di che venne alcun poco di vento, e si rivolsero alla spiaggia cui non poterono tuttavia raggiungere, per il che disegnarono di ancorare tra l’isola di Domi e quella di Batechina, ed essendo ancorati passarono in un parò alcuni uomini sudditi di un re signore di un’isola detta Geilolo (156), i quali notificarono agli Spagnuoli che i Portoghesi erano nelle Molucche e vi fondavano una fortezza (157). Venuti a cognizione di ciò, mandarono alcuni uomini con lettere al capitano generale di quei Portoghesi, il quale aveva nome Antonio de Brito, acciocché venisse a togliere la nave dal sito in cui era, perché gli uomini dell’ equipaggio erano gli uni morti, gli altri ammalati, di guisa che la nave non poteva navigare. Appena Antonio de Brito — 1 1 1 1 1 — 49 — vide il messaggio, comandò a Don Gonzalo (158) amri-quez capitano della nave San Giorgio, come pure ad una fusta e ad alcuni paros, di andare in cerca della nave, i quali, trovatala, la condussero alla fortezza; e mentre si stava scaricandola venne un tempo dal nord (159) che la lanciò alla costa. Per cui questa nave tornò ad approdare alle Molucche, a 1050 o 1100 leghe dall’ isola (?) poco più poco meno. Sodili Ligure. Si. Pairia. Voi. XV. ' NOTE (1) Il Pigafetta, tanto nella edizione dell’ Amoretti, quanto in quella del Ra-musio (Venezia, Giunti, anno 1554,1, pag. 389) pone l’arrivo della squadra all’isola di Tenerifa nel giorno 26 di settembre, e così pure si legge nella Collezione del Navarrete (IV, pag. 28). Quando si ponga mente alla circostanza, che il giorno dell’ arrivo coincideva con quello che h Chiesa dedica a San Michele, pare meglio ammessibile la data del 29 settembre accennata dal Roteiro. Tuttavia le due date si possono conciliare, osservando che le navi si fermarono in Tenerifa sino al 2 di ottobre : per altra parte, nell’ Herrera (Dee. 2.«, Lib. 4.0, cap. 10) è detto, che nel giorno 29 di settembre esse si recarono al Puerto de Montana Roja nella medesima isola. (2) Egualmente il Pigafetta: « Passammo tra il Capo Verde e le sue isole poste sotto la latitudine di 140 30' » e 1’ Herrera (loco cit). (3) Intendi nella direzione del mezzodi, che è appunto quella delle coste occidentali della Senegambia e della Guinea Superiore sino al promontorio di Sierra Leona. Nel medesimo senso si esprime lo scrittore Vicentino : « Dopo avere navigato parecchi giorni lungo la costa di Guinea arrivammo alla latitudine nord di 8°, ove havvi una montagna detta Sierra Leona ». Da questo luogo la flotta, pure mantenendosi nella medesima direzione, si spinse sino al di là della linea equinoziale. (4) La direzione tenuta dalla flotta nella sua traversata dell’ Atlantico è chiaramente indicata dal Pigafetta: « Oltrepassata la linea equinoziale, mettemmo capo tra il sud e il sud-ovest, e navigammo sino alla terra che si chiama Terra del Verzino per il 230 30' di latitudine Sud ». (5) Qui è manifesto errore : nel manoscritto della Biblioteca di Parigi si legge ao sudueste, cioè verso il sud-ovest, ed è questa la vera lezione, come apparisce dalla direzione generale della costa brasiliana a partire dal capo San-t’Agostino. (6) Non è adunque sotto la latitudine australe di 23° 30' che la squadra del Magellano giunse in vista della costa brasiliana, come a prima giunta parrebbe dal Pigafetta (V. la nota 4.») e dalla carta dell’ Amoretti unita a questa re- - 52 — lazionc. L’autore del Roteiro meglio si accorda col pilota Francisco Albo, il quale pone 1’ arrivo della flotta alla costa brasiliana verso il Capo Sant’ Agostino (V. Navarrete, Tomo IV, pag. 30 e 209). (7) Pigafetta dice: « Passammo 13 giorni in questo porto », Francisco Albo (Navarrete, Tomo IV, pag. 210) pone la partenza al 27 del dicembre. (8) Al di là del Capo Santa Maria la linea costiera si sviluppa in realtà verso 1’ ovest-sud-ovest sino al luogo occupato da Montevideo. (9) Il Rio de Sam Crystovam è il Rio de la Piata scoperto da Juan Diaz de Solis nell’anno 1515. Lo stesso nome di Rio di San Cristoforo è dato alla grande fiumana dell’ America meridionale dall’ anonimo portoghese compagno di Odoardo Barbosa, la cui relazione si legge in Ramusio (I, pag. 4°9)- ^ P‘" gaietta non nomina questo fiume , ma ricorda la sventura toccata al Solis , il quale fu in questo luogo ucciso e divorato, con sessanta uomini del suo equipaggio , dai cannibali sui quali egli aveva posta troppa fiducia. L’ anonimo portoghese dà alla imboccatura una larghezza di 108 leghe: Pigafetta la limita a 17 leghe di quattro miglia ciascuna, e Francesco Albo (Navarrete, IV , pag. 212) a 27 leghe. In generale tutte le distanze e le misure sono , nella prima di queste relazioni, assai esagerate : converrebbe tuttavia conoscere la lunghezza della lega marina adottata dal compagno del Barbosa. (10) Gli Spagnuoli chiamavano in quel tempo il fiume della Repubblica Argentina, o col nome di Rio de Solis o con quello di Bahia de Santa Maria. Questa doppia denominazione ci avverte che gli Spagnuoli non erano ancora esattamente informati della natura di quella grande massa liquida. La circostanza dell’ essere le sue acque perfettamente dolci non era tenuta sufficiente per convincere que’ primi navigatori che si trattava qui di una grandissima fiumana: la dolcezza delle acque poteva di fatti essere cagionata da un gran numero di fiumi tributari di quel bacino marittimo, e non era fuori del possibile che più avanti nelle terre le acque fossero salate come quelle dell’Oceano. Per tale ragione Magellano esplorò minutamente nel mese di gennaio (1520) il grande estuario, ed avendone riconosciuta la natura fluviale dalla profondità che andava sempre più diminuendo di mano in mano che si avanzava nell’interno, decise di procedere oltre nella direzione del mezzodi. Una delle alture che si trovano a settentrione della entrata della foce del Piata ricevette dal grande navigatore il nome di Monte Vidi che si mantiene tuttora in quello della fiorente città di Montevideo. Siccome poi la ricognizione del corso inferiore del Rio de La Piata era stata eseguita dallo stesso Magellano a bordo della nave Sant’ Antonio, cosi è molto probabile che da ciò abbia avuto origine il nome di Punta Sant’ Antonio che vediamo accennato nel nostro Roteiro, come anche nel giornale di Francisco Albo, e col quale si indica il promontorio situato alla entrata meridionale dell’ estuario. Osservo infine che la latitùdine di 340 assegnata dal pilota genovese al Rio de Sam Crystovam, inferiore di 40' a quella del Capo Santa Maria, si riferisce di certo al luogo, in cui il fiume me- - 53 — desimo riveste più decisivamente la natura e l’aspetto di una vera corrente fluviale. (11) Il Calendario Ecclesiastico pone la festa di Santa Apollonia nel giorno 9 di febbraio : resta cosi spiegato il nome con cui 1’ autore del Roteiro, e con esso Francesco Albo, indicano la sporgenza dell’America meridionale che probabilmente risponde al capo Corrientes , la cui latitudine, in 370, è precisamente quella accennata dal secondo degli autori precitati (V. Navarrete, IV, pag. 212). (12) La direzione di ovest-sud-ovest, a partire dal capo di Santa Apollonia (Capo Corrientes), conduce, lungo le coste meridionali del territorio di Buenos Ayres, ai dintorni della Bahia Bianca. Quivi pare che si debbano porre i bassi fondi di cui è parola nel Roteiro : la latitudine di quella baia, che è precisa-mente di 390 , viene anch’ essa in appoggio di questa opinione. Aggiungasi che nella carta di Diego Ribero cosmografo di Carlo V (anno 1529) la baia stessa è detta Baxos Anegados. Cfr. anche il giornale di Francisco Albo in Navarrete, IV, pag. 212. (13) Il manoscritto di Parigi dice esattamente a Bahia de San Mateus in luogo a Uba de San Mateus, come si legge nel manoscritto del convento di S. Bento da Laude. In quanto alla latitudine di 340, essa è evidentemente erronea, certo per colpa del copista. Il nome di Baia di San Mattia ha la sua origine nel fatto che la squadra di Magellano vi giunse nel giorno 24 di febbraio , in cui la Chiesa celebra la festa del Santo Apostolo. Questo addentramento che si apre lungo la costa nord-est della Patagonia venne detto anche Bahia sin fondo (Baia senza fondo), e sotto questo nome è indicata, ad esempio, nella carta già citata del Ribero. (14) Pigafetta, Premier voyage autour du monde: « Fiancheggiando sempre questa terra verso il polo antartico, ci arrestammo in due isole che non erano popolate che da oche e da lupi marini ». Anche nella carta del Ribero è segnata un’ isla de los patos (isola delle oche) dirimpetto ad una baia che, come nel nostro Roteiro , porta il nome di Bahia de los tralajos. Il signor Kohl (Zeitschrift der Gesellschaft fùr Erdkunde \u Berlin, Voi. XI, pag. 362) opina che questa baia dei travagli sia quella stessa che ancora ai nostri giorni è dagli Spagnuoli detta Bahia de los desuelos, e dagli Inglesi Desvelos Bay, cioè Baia della Vigilanza. Tuttavia la latitudine di 470 (e non di 370, come erroneamente è detto nel Roteiro) conviene meglio al Porto Desiderato (Puerto De-stado) che si apre a mezzogiorno del Cabo Bianco. Tale è anche la opinione del Navarrete (Tomo IV, pag. 34). (15) Di questa circostanza è pure cenno in Pigafetta : « In mezzo a queste isole (delle oche e dei lupi marini) provammo un terribile uragano, durante il quale i fuochi di Sant’ Elmo, di San Nicolao e di Santa Chiara si fecero vedere parecchie volte sulle punte degli alberi (delle navi) ». In ciò trova anche la sua facile spiegazione il nome di Bahia de los trabajos, di cui nella nota precedente. — 54 — (16) Pigafetta dà al porto San Giuliano la latitudine di 490 30', Francisco Albo (Navarrete, IV, pag. 214) la latitudine di 490 40'; Massimiliano Transylvano quella di 49.0 (Ramusio , I, pag. 384 e Navarrete, IV, pag. 256), Andrea di San Martin quella di 490 18' che differisce appena di due minuti primi dalla latitudine accennata nel Roteiro, ed è precisamente uguale alla latitudine della parte centrale di quell’ addentramene. Lo stesso San Martin, da parecchie osservazioni fatte durante lo sverno (21 luglio) col metodo insegnatogli in Siviglia dal baccelliere Ruy Falera , dedusse per il porto San Giuliano la longitudine occidentale di 56° (dall’ arcipelago delle Canarie) : la medesima cifra è data nella lettera del Transylvano. « Dissero ancora che la longitudine dalle isole Canarie verso ponente era di circa LVI gradi ». (V. Ramusio, I, pag. 384 e Navarrete, IV, pag. 256}. (17) Il manoscritto di Parigi dice più esattamente « e acharam hum dia pouco mais ou minos de oito horas ». Nel solstizio d’ inverno ai punti del parallelo sud di 490 corrisponde di fatti la notte massima di 16 ore, e per conseguenza il giorno minimo di otto ore. (18) È noto che la flotta si componeva di cinque navi, la Trinidad comandata dallo stesso Magellano, il Sant' Antonio sotto gli ordini di Juan de Cartagena, la Concepcion capitanata da Gaspar de Quesada, la Victoria comandata da Luis de Mendoza, il San Giacomo da Juan Serrano. Ma già per atti di insubordinazione il Cartagena era stato dal capitano generale privato del comando del Sant' Antonio, di cui fu incaricato in sua vece Alvaro de Mezquita. Tre navi, come bene dice 1’ autore del Roteiro, e non quattro, secondo il Pigafetta (Premier voyage au-tour du monde, pag. 36) si sollevarono contro il Magellano, cioè il Sant’Antonio, la Concezione e la Victoria: i capi del complotto erano il Cartagena, il Quesada ed il Mendoza. (19) A bordo della flotta erano 21 portoghesi, 27 italiani (cioè 22 della Liguria e 5 delle altre parti d’Italia), ed altri stranieri, come francesi, greci, tedeschi, fiamminghi, inglesi e normanni. Malgrado le ricerche fatte nei principali porti della Spagna, pochi furono relativamente i marinai spagnuoli che accettarono di prender parte in questa spedizione. (V. Navarrete, IV, pag. 12 e segg.). (20) Il meyrinbo mór od algua%il che per ordine di Magellano uccise il Mendoza era Gonzalo Gomez de Espinosa. (V. Navarrete, IV, pag. 12, 36, 205). (21) Gli atti repressivi cui fu trascinato il Magellano dal contegno dei capitani ribelli non si limitarono a quelli usati verso Luigi di Mendoza c Gasparo de Quesada : una pena anco maggiore della morte venne serbata al Cartagena ed al cappellano Pedro Sanchez de la Reina , quella cioè di essere abbandonati soli e senza alcun appoggio in quella terra lontana e desolata. Se è vero quanto racconta il Barros, i due infelici furono , poco tempo dopo, salvati dal disertore Estevan Gomes, del quale è anche parola nel corso del Roteiro. Noto anche 1’ errore in cui è caduto il Pigafetta confon- - 55 — dendo Gaspare di Quesada col Cartagena. (V. Premier voyage autour du monde, Pag- 37)- (22) Alvaro de Mezquita era cugino di Magellano; prima della partenza dal porto San Giuliano, questi affidò il comando della Sant’Antonio al Mezquita, della Concezione a Juan Serrano, e della Victoria a Duarte Barbosa già uffiziale a bordo della Trinidad. (23) Del naufragio del San Giacomo al quale allude qui il Roteiro è parola nel Pigafetta, nell’ Herrera (Dee. II, Lib. IX, cap. 11) ed in Navarrete (IV, pag. 38). Il San Giacomo, comandato da Juan Serrano, era stato spedito da Magellano ad esplorare la costa a mezzogiorno del porto San Giuliano. A circa trenta leghe da questo porto il Serrano scoperse una baia bella e spaziosa, detta da Magellano più tardi Puerto de Santa Cru%, nella quale gettavasi un fiume largo una lega. A tre leghe al sud di questa baia una furiosa tempesta colse il San Giacomo, ne abbattè gli alberi e lo colò a fondo. (24) In questo passo del Roteiro è qualche equivoco od un errore di copia. Dal 31 marzo, giorno dell’ arrivo della flotta nel porto di San Giuliano, al 24 agosto che fu quello della partenza, corrono solo quattro mesi e 24 giorni. Più vicino al vero è il Pigafetta, il quale dice: « Passammo in questo porto circa cinque mesi » : così pure Massimiliano Transylvano (Navarrete , IV, pag. 263). (2$) Questa cifra di 73 gradi meno 10 minuti sfugge ad ogni interpetrazione. Anche supponendo che a luogo di 73 debbasi leggere 43, la latitudine del porto San Giuliano sarebbe di 46° 50', inferiore di 20 30' a quella data dal Roteiro. (26) Il Pigafetta (pag. 38) dà al Rio di Santa Croce la latitudine di ^o° 40', e 1’ Amoretti, dopo avere osservato che il capitano Cook pose la foce dello stesso fiume a 51° di latitudine sud, ne spiega il nome colla circostanza che le quattro navi vi entrarono il giorno 14 del settembre, dedicato alla Esaltazione della Croce. Il Kohl (Zeitschrift der Gesellschaft fiir Erdkunde \u Berlin, XI, pag. 362) attribusce la proposta di questa denominazione a Juan Serrano, il quale vi era giunto il 3 maggio del 1520, giorno nel quale la Chiesa celebra la festa della Invenzione della Santa Croce. In riguardo di questa parte della Patagonia orientale , vuoisi notare che alcuni egregi osservatori moderni, tra cui il Darwin, il King ed il Fitz-Roy, ritengono come as'Sai verosimile che in tempi antichissimi la baia di Santa Cruz e la valle del fiume omonimo che vi mette foce formassero un canale di comunicazione tra 1’ Oceano Atlantico ed il Pacifico, similmente a quanto è per lo stretto di Magellano. Del resto, anche dopo la scoperta di questo stretto famoso era talmente invalsa l’opinione, che più a settentrione, e precisamente sotto le latitudini australi di 45 e 47 gradi, dovessero i due grandi Oceani comunicare naturalmente tra loro, che ancora nel secolo XVII gli Spagnuoli chiamavano Bahia sin fondo il golfo di San Giorgio. I rilevamenti moderni hanno dimostrato che questo golfo è terminato per tre lati da una spiaggia uniforme : — 56 — non si può tuttavia negare che la configurazione speciale delle rive del Pacifico, frastagliate ad ogni passo da addentramenti che si avanzano profondamente nella direzione di levante , poteva a prima giunta giustificare la ipotesi sulla esistenza di un’altra, o di parecchie altre strade marittime dall’uno all’altro Oceano. (27) Già durante lo sverno della flotta nel porto di San Giuliano era stato accolto, sulle quattro navi che rimanevano, l’equipaggio del San Giacomo naufragato poco lungi, a mezzodì, dal porto di Santa Cruz. (28) Leggi : 18 ottobre, chè in questo giorno la squadra lasciò il porto o rio di Santa Cruz, come si scorge dal seguito del Roteiro, dalla relazione del Pigafetta, dal giornale di Francisco Albo (Navarrete, IV, pag. 215), e da altri scrittori. (29) Pigafetta, Op. cit. pag. 39: Noi ci provvedemmo anche di una sorta di pesce, lungo quasi due piedi e coperto di squame, il quale era assai buono da mangiare : ma non potemmo caricarne tutta la quantità che ci abbisognava ». V. anche Francisco Albo in Navarrete, loco cit. (30) Sono questi gli indigeni, cui gli Spagnuoli diedero il nome di Patagones (uomini dai grossi piedi) e si chiamano, nel loro linguaggio, Tehuelchen o Tsonecas. Dell’alta statura dei Patagoni si occuparono quasi tutti i viaggiatori che, da Magellano in poi, visitarono quelle estreme parti del mondo abitato. Il Pigafetta, parlando del primo selvaggio che si mostrò alla squadra di Magellano nelle vicinanze del Rio de la Piata, dice: « Uno di essi, di figura gigantesca, e la cui voce era simile a quella di un toro » e più lungi, in riguardo degli abitanti delle rive del porto San Giuliano, aggiunge: « Questo era tanto * grande che li davamo alla cintura, haveva la faccia grande e dipinta ». E in- fine in altri luoghi della sua relazione si legge: « Venne uno della statura quasi come uno gigante nella nave capitania.... Fuggendo facevano tanto gran passo, che noi saltando non potevamo avanzare i suoi passi.....Certamente questi giganti corrono più che cavalli .... Ognuno delli due che pigliammo mangiava uno sporto di biscotto, e beveva in una fiata mezzo secchio d’ acqua e mangiava li sorci senza scorticarli .... ecc. Francis Drake (anno 1578) afferma invece che vi hanno degli Inglesi più grandi del più alto fra i Patagoni: Sarmiento de Gamboa (1579) parla di giganti alti metri 2, 5. Tommaso Ca-vendish (1592) limitasi a dire che i Patagoni sono grandi e robusti; nel 1593 Riccardo Hawkins parla di veri giganti; nel 1616 gli Olandesi Le Maire e Schouten assicurano che gli abitanti hanno circa 3 metri di altezza ; nel 1670 Narborough e Wood, osservatori degni di fede, non accennano che ad una statura mediocre, ed in ciò convengono anche i Padri Cardiel e Quiroga (1745). Queste relazioni contradditorie avevano lasciato nella maggiore incertezza la questione relativa [alla statura dei Patagoni: le osservazioni moderne la risolsero compiutamente. Secondo Achille D’ Orbigny la massima statura sarebbe di 1m, 92, la media di im, 73 : queste cifre sono pure ammesse dal capitano King. Le osservazioni del comandante Mayne della marina britannica lo con- — 57 — dussero ai dati seguenti: statura massima 2m, 095: statura media im, 8. Il luogotenente Musters ammette la media di im, 78, e questa cifra è pure data dal Weisbach nella parte antropologica della grande opera sul viaggio di circumnavigazione della fregata austriaca Novara. Il signor E. Ibar, durante il suo viaggio nella Patagonia sud-ovest in compagnia del luogotenente Rogers fanno 1877), deduce da parecchie misure i dati seguenti : statura minima 1”, 75; massima im, 92; media im, 83. La statura media dei Patagoni non supererebbe pertanto quella degli abitanti della Svevia e dei Cafri e dei Polinesiaci, e sarebbe superiore, di circa sette centimetri, a quella degli Inglesi. (31) Cfr. Pigafetta, Premier voyage autour du monde pag. 30. (32) Secondo Pigafetta (pag. 32) gli Spagnuoli, durante il soggiorno della flotta nel porto San Giuliano, avevano condotto a bordo due Patagoni, uno dei quali mori non appena le navi giunsero dallo stretto di Magellano nel Mare del Sud (Cfr. pag. 49). L’ altro indigeno, del quale fa cenno l’autore del Roteiro, giunse in Ispagna, probabilmente sulla nave condotta dal disertore Estevan Gomes. (33) * L’ editore di Pigafetta (cioè l’Amoretti) nota che mentre la flotta era ancorata nel Rio di Santa Cruz alla latitudine australe di 50°40', ebbe luogo agli 11 di ottobre un ecclisse del sole del quale fanno menzione gli scrittori portoghesi e spagnuoli, e registrato nelle Tavole astronomiche, e ritiene che il Ca-stanheda errasse nel porre questo fenomeno ai 17 di aprile, e nello attribuire a Magellano il calcolo della longitudine. Barros accenna pure un ecclisse del sole nell’aprile. È cosa degna di nota che nè il nostro Roteiro nè il Pigafetta notano un fenomeno che ancora in quei tempi non avveniva senza cagionare una qualche impressione, 0 per lo meno senza eccitare la curiosità del pubblico. * L’ Herrera (Dee. II, Lib. IX, cap. 14) menziona un ecclisse del sole che sarebbe stato osservato dall’ astronomo della spedizione, Andres di San Martin, alle 10 ore e 8 minuti del giorno 11 di ottobre. Probabilmente, come osserva il Peschel (Gescliichte des Zeitalters der Entdeckungen, pag. 630 nella nota) tu questa medesima osservazione quella che permise al San Martin di calcolare la longitudine del Porto San Giuliano in 56° ad occidente delle Canarie. V. la nota 16. (54) Il Pigafetta adopera questa denominazione per lo stretto di Magellano (V. pag. 40). Massimiliano Transylvano pone erroneamente la scoperta della entrata orientale dello stretto nel giorno 27 di novembre (V. Navarrete, IV, pag. 264 e Ramusio, I, pag. 386). (35) * È questo lo stretto famoso che anche in oggi si chiama Stretto di Magellano a eterna e gloriosa memoria di quel grande navigatore portoghese che lo scoperse. Il Castanheda dice che Magellano, per esservi giunto al primo del novembre, gli pose nome di Bahia de todos los Santos, e nella risposta che Andres di San Martin diede alle domande fattegli intorno a quella navigazione, 10 chiama egualmente Canal de todos los Santos (Barros, Dee. 3, lib. 5, cap. 9). 11 portoghese anonimo, compagno di Odoardo Barbosa, che già abbiamo citato, e che era nella nave Victoria, dice che sul principio lo stretto venne dai navi- - 58 - ganti chiamato Estreito da Victoria, perchè fu appunto la nave di questo nome quella che per prima lo vide (Ramusio, I, pag. 408). * Il Pigafetta, dopo avere accennato occasionalmente al nome di Stretto delle Undicimila Vergini, dice che Magellano lo chiamò Estrecho Patagonico e che più tardi venne in uso il nome di Estreclio de la Victoria (Vedi Premier voyage autour du monde pag. 40 e 47). La denominazione di Canal de todos os Santos trovasi ripetuta tanto nei documenti pubblicati negli anni 1524 e 1525 prima della spedizione di Garcia Jofre de Loaisa, quanto nella carta del Ribero (anno 1529), quantunque non si possa decidere se in essa carta si voglia con quella denominazione alludere a tutto il canale, ovvero soltanto ad una delle sue ramificazioni. Il Barros afferma che il nome di Canal de todos os Santos era, sul principio, limitato ad un golfo o ad una ramificazione, e che in seguito fu esteso a tutto il canale. Il medesimo nome si trova nelle istruzioni dettate per la spedizione di Sebastiano Cabotto nell’anno 1527, e nella carta costrutta nel medesimo anno in Siviglia per cura del negoziante inglese Roberto Thorne. L’anonimo portoghese, poc’anzi citato, dopo avere ricordato il nome di Stretto della Vittoria, aggiunge: « alcuni gli dissero lo stretto di Ma-gaglianes, perchè il nostro capitano si chiamava Fernando de Magaglianes » (V. Ramusio, I, pag. 408). Infine nell’ accennata carta del Ribero si legge, alla imboccatura orientale dello stretto, il nome di Estrecho de Fernao de Magal-lanes, il quale prevalse definitivamente nella nomenclatura geografica, malgrado le sollecitazioni fatte dall’ ammiraglio Sarmiento de Gamboa al Re Filippo li, acciocché quell’ importante braccio di mare assumesse il nome di Estrecho de la Madre de Dios. In quanto al nome di Fretum Martini Bohemi (Martino Behaim di Norimberga) , dato allo stretto di Magellano da alcuni scrittori, veggansi Hu-gues, Ferdinando Magellano, pag. 29, De Murr , Notice sur le chevalier M. Behaim, e Wieser, Magalhàes — Strasse und Austral— Continent atif dzti Globen des Johannes Schòner. (36) Questo incarico venne affidato dal Magellano alle due navi Concezione e Sant’Antonio comandate da Juan Serrano e da Alvaro de Mesquita. (37) Sono le medesime navi accennate nella nota che precede. (38) * Di questa nave, che fu mandata ad esplorare le imboccature dello stretto e non fece più ritorno, era capitano (come già si disse in una nota precedente) Alvaro de Mesquita, cugino di Magellano e portoghese : il pilota era Estevan Gomes pure portoghese. Questo Gomes era venuto nella pretesa, che l’imperatore Carlo V gli avesse a confidare alcune caravelle per andare a scoprire nuove terre: se non che, vedendo preferita la proposta e la impresa di Magellano, egli giurò a questo illustre navigatore un odio mortale, ed approfittò della opportunità di vendicarsi e di dare corso alla sua rabbiosa invidia. Insieme con altri cospirò contro il capitano Alvaro de Mesquita, e tornossene in Ispagna. Ove giunto, egli disse all’ Imperatore che Magellano era un pazzo, e mentiva - 59 — a Sua Maestà, giacché non sapeva nulla sulla posizione tanto di Banda quanto delle Molucche. Inoltre i ribelli accusarono il capitano Mesquita di avere consigliato il Magellano alla severità ed ai mezzi crudeli da lui usati contro i primi cospiratori. * (V. Lettera di Massimiliano Transylvano in Ramusio, I, pag. 386 ; Castanheda, 6, 8). La nave Sant’Antonio, sotto il comando di Geronimo Guerra, giunse a Siviglia il 6 maggio del 1521. Durante la traversata morì il Patagone, del quale si è detto più sopra: almeno così dice il Pigafetta (Op. cit. pag. 44). Veggasi anche la Lettera del contabile Juan Lopez de Recalde al Vescovo di Burgos, in Navarrete, IV, pag. 201. (59) * La esplorazione preliminare dello stretto, dal Capo delle Vergini ai dintorni della odierna Punta Arenas, era stata affidata da Magellano alle navi Sant’Antonio e Concezione, le quali, dopo avere con grandi difficoltà oltrepassato il Capo del Possesso, incontrarono uni stretta apertura, detta dagli Spagnuoli Primeira garganta (Prima gola), dai Francesi Premier goulet, dagli Inglesi First Narrows, al di là della quale giunsero ad una baia conosciuta col nome di Boucant 0 Boucam (Baia Boucault nella carta del Bougainville e in altre). Un secondo stretto, designato coi nomi di Ségunda garganta, Deuxième goulet e Second Narrows, condusse le due navi ad una baia più spaziosa di tutte quelle che erano state riconosciute precedentemente. Vedendo quivi che lo stretto si allungava sempre più e non cessava dal presentare una via facilmente navigabile, le navi se ne ritornarono colla buona notizia a Magellano che le attendeva alla entrata del canale. Tutte le navi si recarono allora di conserva sino alla terza baia, e siccome in essa sboccavano due canali, Magellano spedì la Sant’Antonio e la Concezione a riconoscere se il canale diretto a sud-est terminava, o non, nel Mare del Sud. Si fu appunto in questo luogo che la nave Sant’Antonio se ne fuggì per far ritorno in Ispagna. Frattanto le altre due navi, cioè la Trinidad e la Victoria, entrarono nel terzo canale, ove per quattro giorni rimasero in attesa delle loro compagne. In questo intervallo Magellano mandò un battello bene equipaggiato alla scoperta del capo, al quale doveva terminare lo stretto nella direzione dell’ occidente : venne difatti scoperto quel promontorio, a seconda di quanto si aspettava l’illustre navigatore, ed essendo il battello ritornato colla buona nuova alle due navi, tutti piansero di gioia, e diedero al capo il nome di Cabo Deseado. La Victoria e la Trinidad ritornarono poscia nello interno dello stretto per ripigliarvi la Sant’Antonio e la Concezione, e, dopo avere lasciati alcuni segni che servissero alla Sant’Antonio nel caso in cui questa si perdesse (giacché Magellano ed anche Juan Serrano ignoravano che essa se ne era fuggita) navigarono lo stretto sino al suo sbocco nell’ Oceano Pacifico. * . Il promontorio che segna la estremità nord-ovest della Terra della Desolazione mantenne per molto tempo il nome di Cabo Deseado datogli da Magellano. In oggi è detto, per la sua forma particolare, Cabo de los Pillares (Capo — 6o — delle Freccie), e nelle carte inglesi Cape Pillar. 11 promontorio che chiude, unitamente al Cabo Deseado, la entrata occidentale dello stretto di Magellano prese dagli Spagnuoli il nome di Cabo Victoria, probabilmente a ricordo della nave Victoria : nelle inglesi è detta Cape Victory una sporgenza assai marcata, che si trova in una delle piccole isole situate ad occidente dell’ arcipelago della Regina Adelaide. (40) È perfettamente conforme al vero quanto dice 1’ autore del Roteiro sulla maggiore facilità che presenta alla navigazione la parte della sezione occidentale dello stretto che si trova immediatamente al nord del Capo Deseado. Rispetto alle dimensioni del canale ed alla sua larghezza variabile, i dati che si leggono nel Roteiro si accordano quasi del tutto con quelli del Pigafetta (V. Premier voyage autour da monde pag. 40) : lo stesso è per la latitudine tanto della entrata orientale quanto della occidentale (Ibidem, pag. $4). (41) Penetrato nel Mare del Sud, Magellano riconobbe che le coste occidentali dell’America del Sud si volgevano, a partire dal Capo Victoria, nella direzione del nord : egli pertanto si diresse nel medesimo senso a fine di avvicinarsi alla linea equinoziale, nelle vicinanze della quale, secondo le informazioni di Francisco Serrao, si dovevano trovare le isole delle Spezierie. Così egli giunse, ai 19 dicembre, alla latitudine sud di 32 gradi (V. Navarrete, IV, pag. 217), probabilmente nelle vicinanze delle isole di Juan Fernandez. Quivi egli incontrò la zona degli alisei: col favore di questi venti si volse ad occidente e al nord-ovest, e attraversò in tutta la sua estensione il Grande Oceano, prima al sud poscia al nord della linea equinoziale, non incontrando in questa lunga navigazione che le due isolette disabitate di San Pablo (24 gennaio) e di Los Tibu-rones (4 febbraio 1521), dette dal Pigafetta Isole sfortunate (Islas desventuradas degli Spagnuoli). Il navigatore vicentino, il pilota Francisco Albo e l’autore del Roteiro non si accordano sulle latitudini di quelle isole. Secondo il Pigafetta, la latitudine di San Pablo sarebbe di 150 sud, e quella di Los Tiburones di 90 sud: Francisco Albo dà alla prima la latitudine di i6615' ed alla seconda quella di io8 40' (V. Navarrete, IV, pag. 52 e 218) : secondo il Roteiro le latitudini sono rispettivamente di 19 gradi e di 13 o 14 gradi. Massimiliano Transylvano non fa cenno , nella sua Lettera al Cardinale di Salisburgo, di questo elemento : egli dice soltanto (V. Ramusio, I, pag. 386) che le due isole furono scoperte dopo attraversato il Tropico del Capricorno. In quanto alla distanza da San Pablo a Los Tiburones nel senso delle longitudini, il Pigafetta la dà in 200 leghe e Francisco Albo afferma che Tiburones si trova a 9 gradi da San Pablo nella direzione di occidente (Navarrete, IV, pag. 218). Alla insufficienza di questi dati provvede in parte l’itinerario, quale si legge nel giornale di viaggio tenuto con grandissima cura dallo stesso Albo. A partire dal luogo in cui erano state vedute, per 1’ ultima volta , le montagne della Patagonia (470 lat. sud), Magellano si diresse prima al nord sino alla latitudine di 30° 30', quindi al nord-ovest, giunse, dopo 71 giorni, al parallelo boreale di — 61 — 12° 20' (25 febbraio), e, seguitando questo parallelo verso occidente, toccò, a capo di 9 giorni (6 marzo), la più meridionale delle isole Marianne. Da ciò risulta che il grande navigatore percorse, al sud dell’ equatore, il canale tra le Tuamotu e le Nukahiva, e, al nord della linea, il bacino che si estende al nord-est delle isole Radak, con che si spiega benissimo perchè in quella lunga traversata non furono scoperte che le isole di San Pablo e di Los Tiburones. Sulla posizione delle quali si può, quasi con sicurezza, stabilire che la San Pablo deve essere cercata nella parte orientale dell’Arcipelago Pericoloso (Tuamotu) e Tiburones nel bacino che si apre a nord-ovest di questo arcipelago : molto probabilmente la prima è l’isola Pukapuka, detta più tardi dall’olandese Schouten Isola dei Cani (Honden Eyland), e la seconda è l’isola Flint nel gruppo delle Manihiki. L’Amoretti pone le Isole Sfortunate nelle isole della Società e propriamente al nord ed al nord-ovest di Tahiti (V.premier voyage autour du monde, pag. 53 nella nota). Nella carta costrutta da D. Josef de Espinosa, e pubblicata in Londra nell’anno 1812, l’isola di San Pablo è sotto la longitudine di I27°J5' ad ovest del meridiano di Cadice, e quella di Los Tiburones sotto il meridiano occidentale di 136° 30'. Il Peschel (Geschichte des Zeitalters der Entdeckungen, pag. 634 nella nota) pone le due isole a sud-ovest delle Nukahiva. (42) Già si è detto nella nota precedente che, stando alle informazioni del suo amico e parente Francisco Serrao, Magellano poneva l’arcipelago delle Molucche poco lungi dalla linea equinoziale. Pare adunque singolare che il navigatore portoghese, in luogo di spingersi direttamente all’ ovest appena toccato l’equatore, aspettasse, per volgersi in quel senso, di avere raggiunto il parallelo boreale di 10 o 12 gradi. Ora ecco che il nostro Roteiro ci porge la spiegazione della determinazione in cui venne il capitano generale, colPavvertire che, secondo le informazioni da questi ottenute, certo prima della sua partenza dalla bocca del Guadalquivir, le isole Molucche non avevano vettovaglie sufficienti per soddisfare ai bisogni urgenti dell’ equipaggio. In altre parole Magellano nutriva ferma speranza che al nord della linea fosse alcuna terra, nella quale la squadra potesse fare abbondante provvista di viveri. (43) Massimiliano Transylvano chiama quest’isola col nome di Ivaguana: probabilmente essa è l’isola di Guaham nell’ arcipelago delle Marianne. Nel 1526 D. Jorge Manrique de Najera, capitano di una delle navi della squadra di Loaisa, trov.ò nell’ isola di Rota, o altrimenti Sarpan, il marinaio Gonzalo de Vigo già addetto al servizio della nave Concepcion. Si potrebbe adunque ammettere a prima giunta che l’isola scoperta da Magellano il 6 marzo del 1521 fosse appunto l’isola Rota : tuttavia, sia per la somiglianza del nome di Guaham con quello di Ivaguana usato dal Transylvano, sia anche per la possibilità in cui era il marinaio della Concepcion di recarsi all’ isola Rota dalla non lontana Guaham, pare più logico ammettere che realmente questa sia stata la prima importante scoperta fatta da Magellano nel Pacifico. — 6 2 — Per la forma particolare delle vele usate dagli isolani nelle loro veloci e leggiere piroghe, quel gruppo di isole prese anche, oltre a quello di Isole dei Ladroni, il nome di Islas de las Velas Latinas. Più tardi esso venne detto Isole Marianne in onore della Regina Marianna d’Austria vedova di Filippo IV e reggente la Spagna durante la minorità di D. Carlos di Castiglia. (44) Pigafetta dice : « Allora il capitano irritato scese a terra con 40 uomini armati ». E l’Herrera: « Mandò due battelli con 90 uomini armati ad un luogo che stava ai piedi di una catena di alture, là dove gli isolani avevano portato lo schifo della capitana » V. Navarrete, IV, pag. 53. (45) Cfr. Pigafetta , Premier voyage autour du monde, pag. 58. Herrera , Dee. 3.a, lib. I, cap. 3 ; Lettera di Antonio Brito al Re di Portogallo in Navarrete, IV, pag. 308. (46) Nei due manoscritti, tanto di Parigi quanto del convento di S. Bento, leggesi sempre paros. Pigafetta scrive praos. È la medesima specie di barca che gli scrittori portoghesi chiamano pardo ; essa è di diverse grandezze, ed è usata molto frequentemente nelle isole del Mare del Sud. Lo scrittore vicentino aggiunge che i paros rassomigliano alle gondole di Fusina presso Venezia. Vedi op. cit. pag. 62. (47) Manoscritto di Parigi : « muyto refresco de fruyta ». (48) La medesima direzione è data da Francisco Albo (Navarrete, IV, pagina 219). La squadra di Magellano lasciò il gruppo delle Marianne il 9 marzo del 1521. (49) Il manoscritto di S. Bento dice « que parecia a primeira »; quello di Parigi, più esattamente « que parecia da primeira » cioè che era visibile dalla prima isola incontrata dopo la partenza dalle Marianne. Le due isole portano nella relazione del Pigafetta i nomi di Zamal e di Humunu (Op. cit. pag. 63 e 64), e nel giornale di Francisco Albo quelli di Yunagan e Suluan. Esse appartengono al piccolo gruppo delle Surigao, il quale si innalza verso la latitudine di io0 nord, dirimpetto al canale del medesimo nome che separa l’isola Leyte da quella di Mindanao. L’isola, nella quale gli Spagnuoli non approdarono, e che Pigafetta chiama Zamal, è assai probabilmente l’isola Samar, a sud-est dell’ isola Luzon. (50) Il Pigafetta chiama quest’ isola Acquada de li buoni segnali, nome che differisce da quello accennato dal nostro autore. La ragione della denominazione usata dallo scrittore vicentino sta in che la squadra aveva trovato • in quell’ i-sola due fontane d’ acqua eccellente, come pure alcuni indizi di oro. Del resto è a notare, come dal contesto del Roteiro appaia essere quest’ isola quella medesima che poco più sopra il pilota genovese dice essere visibile dalla prima. Solo per questo modo si riesce a mettere d’ accordo i due testi del Pigafetta e del Roteiro. Gli isolani chiamano, come già si è detto nella nota precedente, quest’ isola col nome di Humunu, il quale si trova quasi esattamente in quello dell’ isola Jomoniol, una delle Surigao. In quanto all’ isola Suluan, di cui è parola — 63 — nel giornale di Francisco Albo, e che è pure accennata nella relazione del Pigafetta (pag. 67), essa pare che non fosse stata visitata dalla squadra del Magellano, ma si soltanto che gli indigeni, dai quali questi ottenne buona quantità di provvigioni, mentre le navi erano ancorate nell’isola Humunu, fossero nativi della non lontana Suluan. (51) Sopra il popolo dei Lequios 0 Chiis Cfr. i seguenti due passi del Pigafetta. « A nord-ovest (di Matan) è l’isola di Luzon che ne dista due giornate. Quest’ ultima è grande, e ogni anno vi giungono da sei a otto giunchi di gente detta Lequies per commerciarvi » (pag. 134), e « Seguitando la costa della Cina si incontrano parecchi popoli, cioè : i Chiencis che abitano le isole nelle quali si pescano le perle, e si trova anche della cannella; i Lecchiis abitano la terra ferma vicina a queste isole » (pag. 224). Punto arrischiata ci pare la congettura che col nome di mogons, quale si legge nel Roteiro, l’autore abbia voluto accennare ai Mogalli, tanto più che, oltre alla credenza, in cui erano i navigatori, di essere giunti presso le coste della Cina — per lungo tempo soggetta ai Mogolli, di cui dal secolo XIV in poi gli Italiani avevano ampia notizia per ragioni di commercio —» noi vediamo menzionati nel Roteiro il popolo dei Chiis e nel giornale del Pigafetta quello dei Chiencis. (52) Nel manoscritto di Parigi si legge soltanto « as quaes poseram nome 0 arcipelago de Sam Labaro ». È probabile che nel manoscritto portoghese sia qui sfuggito nn errore di copia, e ciò non tanto per la singolarità del nome Vali sem periguo, quanto per essere questo nome assolutamente improprio. Il Pigafetta (Premier voyage autour da monde, pag. 69) dice : « Avendo osservato intorno a noi molte isole nel giorno della quinta domenica di quaresima, detta di Lazzaro, noi demmo a quelle isole il nome di arcipelago di San Labaro. Esso è sotto la latitudine settentrionale di io0 e la longitudine occidentale di 1610 dalla linea di demarcaziorfe ». È noto che nell’anno 1542 il nome primitivo venne cangiato in quello di Ilbas Filipinas in onore di D. Filippo d’Austria figlio di Carlo V, e poi Re di Spagna. (53) Il manoscritto di Parigi dà una distanza di 25 leghe « correvam obra de 25 legoas .... « e cosi pure il giornale di Pigafetta « Essa è a venticinque leghe dall’isola di Humunu ». (54) Mafagnoa nel Mss. di Parigi. È la stessa isola che è detta Massana dal Pigafetta (Op. cit. pag. 87), Magava da Francisco Albo (Navarrete, IV., pag. 220), Masana da Massimiliano Transylvano (Ibidem, pag. 268). Anche Francisco Albo dice degli abitanti di quest’isola: « y la gente es muy buena ». ^55) Si fu nell’ultimo giorno di marzo del 1521 che Magellano accompagnato da cinquanta uomini scese a terra nell’ isola Massana (Limasagua secondo Peschel, Op. cit. pag. 636) per assistere al Sacrificio della Messa, essendoché in quel giorno cadeva la Solennità della Pasqua di Risurrezione. Compiuto il sacro rito, venne innalzata una croce sulla cima più alta dei dintorni. Cosi in Pigafetta (Op. cit. pag. 82) e nel giornale di Francisco Albo (Navarrete, IV, pag. 220). (56) L’isola Cabo del Roteiro, tanto nel manoscritto di San Bento quanto in quello di Parigi, è l’isola Zebù, una delle Filippine, nel gruppo intermedio delle Bissayes. Essa è detta altrimenti Subii (F. Albo), Zubu (Pigafetta), Subutli (Massimiliano Transylvano), Zubò (nella Lettera più sopra citata di Antonio de Brito al Re di Portogallo). (57) Intendi, tanto gli altri capi dell’ isola Zebù, quanto i principi di parecchie isole vicine. Cfr. Pigafetta (Op. cit. pag. 119 e seg.). (58) Mss. di Parigi : « E queimou hum lugar daquelles, que asy nam queriam dar a dita obediencia » cioè « incendiò un luogo appartenente ad uno di quelli che non vollero prestare la detta ubbidienza ». Cfr. Pigafetta (Op. citata pag. 108). (59) Questa piccola isola, che si innalza ad oriente di Zebù, è detta Mauthan dal Transylvano, Matan dal Pigafetta, Matha da Antonio de Brito, Matao dal Castanheda. (60) Pigafetta (Op. cit. pag. 121): « Eravamo quarantanove in tutto, avendo lasciato undici uomini a guardia delle scialuppe ». Herrera in Navarrete (IV, pag. 62) : « Essendo già giorno lasciò alcuni tiomini a guardia dei battelli, e quindi scese a terra con 55 uomini ». V. anche Peschel (Op. cit. pag. 367). (61) Mss. di Parigi : « e foy sobre o dito lugar, e foiz a 27 dias de Abril ». Anche il Pigafetta pone la battaglia di Mactan nel giorno 27 di aprile, e aggiunge che era un sabato. (V. op. cit. pag. 125), e realmente per l’anno 1521 il 27 di aprile cadeva in quel giorno della settimana. (62) Pigafetta (Op. cit. pag, 121) : « Noi trovammo gli isolani in numero di 1500, divisi in tre battaglioni, i quali immantinente si gettarono sopra di noi gettando orribili grida » Massimiliano Transylvano (Ramusio, I, pag. 387): « Il Re di Mathan, vedendo che i nostri si approssimavano, fece venire in ordinanza tremila de’ suoi ». (63) Pigafetta (op. cit. pag. 125): « Otto dei nostri e quattro indiani battezzati perirono con lui (Magellano), e pochi ritornarono alle navi senza essere feriti.....I nostri nemici perdettero quindici uomini » V. anche Transylvano (Ramusio, I, pag. 387). Nel fatto di Mactan rimasero morti, oltre Ferdinando Magellano, Cristobai Rabelo , Francisco Espinosa, Anton Gallego , Juan de Torres, Rodrigo Nieto, Pedro Gomes, Anton de Escevar (V. Navarrete , IV, pag. 66). Nei documenti di quel tempo Cristobai Rabelo è qualificato capitano della nave Victoria. Sappiamo che del comando di questa nave era stato incaricato Duarte Barbosa quando la flotta mise alla vela dal Porto San Giuliano : non si sa in qual tempo, e per quale ragione, al Barbosa venne tolto il comando di quella nave per affidarlo al Rabelo. (64) Pigafetta (op. cit. pag. 126): « Eleggemmo in suo luogo (di Magellano) due governatori, cioè Odoardo Barbosa portoghese, e Juan Serrano spagnuolo » Cfr. pure la Lettera di Antonio de Brito in Navarrete, pag. 308. (65) * Secondo alcuni autori, Duarte Barbosa morì di veleno, ma è questo un — 6S - eirore. Il vero è che i selvaggi attirarono a terra gli Spagnuoli col pretesto di un banchetto (Pigafetta, op. cit. pag. 127 ; Lettera di Mass. Transylvano in Navarrete, IV, pag. 273); ma da ciò non consegue che questi rimanessero vittima del veleno. * Il liansylvano cosi racconta il fatto: v Mentre banchettavano, furono assaliti da molti che erano ascosi, e levossi un gran rumore per tutto , e subito andò la nuova alle navi come i nostri erano stati morti e tutta l’isola essere in arme .... » Nella Collezione del Navarrete (IV, pag. 66) sono notati tutti quelli che morirono il primo di maggio per mano dei selvaggi di Zebù ; tra essi Odoardo Barbosa, Juan Serrano e il valente pilota ed astronomo Andres de San Martin. Juan Serrano non toccò subito la medesima sorte, ma, caduto nelle mani degli isolani mentre i battelli si ritiravano dalla spiaggia, non potè, malgrado tutte le sue preghiere perchè lo si volesse riscattare, essere salvato dai compagni, giacché Joao Lopez de Carvalho, temendo di un nuovo tradimento, diede immediatamente ordine che si mettesse alla vela. Alquanto diversa è la relazione del Pigafetta (Op. cit. pag. 129). (66) Nel manoscritto di Parigi leggesi più particolarmente « hum yoam Lopez de Carvalho ». (67) Mss. di Parigi: « Gonzalo Gomes Espinosa ». (68) Il Barros dice 180 uomini, il che pare più verosimile, quando si tenga conto delle perdite fatte dall’ equipaggio, nella Patagonia, nello stretto di Magellano, nelle due isole di Matan e di Zebù, come anche di quelli che giunsero poscia a Tidore. Forse nel nostro manoscritto sarebbe a cangiare la cifra zero nella cifra 8 e questa in quella. (69) Questo interprete era un certo Enrico, nativo di Malacca e schiavo di Magellano. In Navarrete egli figura tra quelli che rimasero uccisi nel luttuoso fatto del primo maggio. Secondo il Pigafetta (Op. cit. pag. 126 e seg.) fu appunto lo schiavo Enrico che, per animosità contro il capitano Odoardo Barbosa, istigò il principe di Zebù all’ iniquo tradimento. V. anche Navarrete, IV, p. LXXXV. (70) Nel manoscritto di Parigi si legge: « que se chama quype ». Questa terra è quella di Quipit 0 Quepindo sulla costa nord-ovest dell’ isola Mindanao. In riguardo di essa così si esprime il Pigafetta : « La parte dell’ isola che si chiama Chipit è una continuazione della medesima terra alla quale appartengono Butuan e Calagan: essa passa al disopra di Bohol e confina a Massana ». (71) Mss. di Parigi: « de Quype ». (72) Mss. di Parigi : « them dous ilheos » Questa lezione concorda esattamente con quanto si legge nel giornale di Francisco Albo : « y de fuera à la parte del noroeste à lo largo de nos, hay dos isletas que estan en 8 grados ». V. Navarrete, IV, p. 221. (73) Cfr. Pigafetta, Op. cit. pag. 133. Società Ligure. St. Patria. Voi. XV. 5 — 66 — (74) Questa latitudine di u gradi è inconciliabile colla direzione verso O. S. O. indicata nel Roteiro : probabilmente è questo un errore materiale di copia. II manoscritto di Parigi ha invece : « Que ha nome Cacuyam e està em 7 gr. » e ci avverte trattarsi qui dell’ isola o, meglio, del luogo di Cagayan, il quale fa parte dell’isola Mindanao, ed è anche menzionato in Pigafetta (Op. cit. pag. 135), in Francisco Albo che lo chiama Quagayan (Navarrete, IV, pag. 221) ed in altri scrittori contemporanei. Mi pare che lo stesso elemento della direzione del viaggio, e la circostanza indicata dallo scrittore Vicentino, che Ca-gayan trovasi a sole 43 leghe da Chipit (Op. cit. pag. 135) escludano la ipotesi che la Cacuyan del Roteiro corrisponda alle piccole isole Cagayanes situate nel braccio di mare tra l’isola Negros e quella, assai più estesa, di Palawan o Paragua. La direzione tenuta in questa parte del viaggio meglio si converrebbe, in ogni caso, alla isola Cagayan che si innalza a nord-est di Borneo , nella parte sud-ovest del mare di Mindoro. (75) Mss. di Parigi: « do noroeste ». Questa direzione al nord-est, accennata nel Roteiro, lungo la quale le due navi giunsero alla latitudine di 90 30', sempre più conferma 1’ errore già notato precedentemente in riguardo della latitudine di 11 gradi corrispondente all’isola Caram o Cacuyam. (76) Questa posizione pare convenire all’ isola di Palawan, che il Pigafetta (Op. cit. pag. 137) mette sotto la latitudine di 90 20'. Della medesima isola dice Francisco Albo (Navarrete, IV, pag. 221): « Questa costa corre da nord-est a sud-ovest, e il capo dalla parte del nord-est ha per latitudine 90 20', e quella dalla parte di sud-ovest è sotto la latitudine di 8“ 20' ». (77) Cfr. Pigafetta, Premier voyage autour da monde, pag. 135. (78) Cfr. Pigafetta, Op. cit. pag. 137. (79) Juam de Campos figura nella lista dell’equipaggio della flotta come dispensiere a bordo della nave Concepcion. V. Navarrete, pag. 17 del voi. IV. (80) Nel Manoscritto di Parigi si legge: « Se chama De gameào ». E 1’ uno e 1’ altro nome sfuggono ad ogni interpetrazione. Tra gli scrittori di quel tempo il solo Francisco Albo indica un luogo dell’ isola Palawan col nome di Saocao. V. Navarrete, IV, pag. 221. (81) Mss. di Parigi: « Ypalajru cara canào ». (82) Mss. di Parigi: « Que pezavam hum quintali e 14 libras». Il Pigafetta a suavolta ci avverte che il quintale pesa cento libbre (V. op. cit. pag. 173): è adunque perfetto accordo tra i due manoscritti. (83) Mss. di Parigi: « de Digogao ». (84) La vera lezione è quella data dal manoscritto di Parigi : « que he de mouros de Bruneo » cioè « nel luogo di Dygancam che appartiene ai mori (maomettani) di Borneo ». (85) Mss. di Parigi: « no lugar de Digamma ». (86) Il manoscritto di Parigi pone al 21 settembre la data della partenza delle due navi dall’isola di Palawan. Questa data è evidentemente erronea, giacché, - 67 — come dice il Pigafetta (Op. cit. pag. 138), già agli 8 di luglio le due navi tro-vavansi in vista dell’ isola di Borneo. (87) 11 nome di questa grande isola apparisce per la prima volta nella relazione dei viaggi del Bolognese Ludovico Barthema o Varthema (nel primo volume del Ramusio), il quale dall’anno 1505 al 1507 visitò l’Asia meridionale e molti paesi del grande arcipelago asiatico. Borneo , che il Barthema scrive Bornei, è da lui posta a 200 miglia da Moluch nella direzione del mezzogiorno (?) e a 5 giornate di viaggio dall’ isola /di Giava verso il nord. Sotto il nome di Giava maggiore essa è accennata nelle relazioni di Marco Polo, di Niccolò Conti (1424-1449) e nel globo terrestre di Martino Behaim (anno 1492). Giustamente osserva il signor Vivien de Saint-Martin (Dictionnaire de Géograpliie universelle, I, pag. 477) che l’isola di Borneo non ha propriamente un nome indigeno generale : quello che le danno gli Europei non appartiene che ad un territorio e ad un porto della costa nord-ovest (nella sua forma indigena di Bruni). I Malesi la chiamano, a quanto pare, col nome di Buio (isola) Kale-matan: essi usano tuttavia anche i nomi di Brune, Bruttai, Burne e Burnai. Odoardo Barbosa, secondo 1’ annotatore al Roteiro, scriveva Bornebo e Broneho, il Pigafetta scrive Burnè, Francesco Albo Borney, Massimiliano Transylvano Porne (Navarrete, IV, Documento XXIII), Antonio Brito Burneo, etc. (88) Il manoscritto di Parigi ha molto più chiaramente, « e a ilha da banda do norte se chama Boleva e a da banda do Sull Bamdill ». Francisco Albo (Navarrete, IV, pag. 222) non accenna che una sola isola nelle vicinanze del capo dell’ isola Palawan o Poluan. Pare che le due isole , di cui nel nostro Roteiro, corrispondano all’ isola Baldbalc e all’isola Banguey delle carte moderne. (89) Il Mss. di San Bento ha soltanto « em paraje de Borneo ». Io mi sono attenuto alla lezione del Mss. di Parigi: « em paraje do porto de Borneo ». (90) Anche secondo Francisco Albo la navigazione lungo la costa dell’ isola di Borneo, particolarmente ad una certa distanza, è assai difficile. Il pilota così si esprime : « y habeis de saber que es menester ir por cierca de tierra, porque por defuera hay muchos bajios, y es menester andar con la sonda en la mano, porque es muy ruin costa » (Navarrete, IV, pag. 222). (91) Anche nella traduzione di questo passo ho seguitato la lezione del manoscritto di Parigi : « Se podiam as nàos chegar-se mais ». Il Mss. di San Bento ha invece: « se podiam chegar mais ». (92) Sui giunchi degli isolani di Borneo e delle isole vicine, veggasi il Pigafetta (Op. cit. pag. 151), e la nota del Navarrete « Sobre las naves llamadas juncos » nel quarto volume della sua grande opera, pag. LXXXVII. (93) Questa latitudine differisce molto dalla vera, la quale, per la entrata nella baia di Borneo o di Bruni, è di 50 nord. Francisco Albo la dà in 50 25' (Navarrete, IV, pag. 222). (94) Il manoscritto di San Bento ha erroneamente « Gonzalo mendes despinosa ». — 68 — (95) Cfr. Pigafetta, Premier voyage autour du monde, pag. 14° e seg.'Secondo Oviedo, Historia generai de las Indias, parte 2.*, lib. 26, cap. 3 , otto furono gli incaricati dal capitano generale Carvalho di recare i doni al re di Borneo : tra essi Gomez D’ Espinosa comandante della nave Victoria, e , a quanto pare dalla sua stessa relazione, anche il nostro Pigafetta. (96) Pigafetta, Op. cit. pag. 143 : « Ciascuno di noi ebbe in dono delle bro-catelle e dei drappi d’ oro e di seta », (97) Secondo il Pigafetta (pag. 146) ciò avvenne il 29 luglio del 1521, cioè 20 giorni dopo l’arrivo delle due navi a Borneo, il che si accorda perfettamente con quanto si legge nel Roteiro. Anche l’autore vicentino calcola in circa 200 il numero dei paros e dei tunguli (o piccole barche) che, usciti dal porto di Borneo, si diressero contro gli Spagnuoli : Francisco Albo (Navarrete, IV, pag. 222) dice 260. Il Pigafetta aggiunge che, temendo di essere assaliti a tradimento, gli Spagnuoli se ne partirono subito, e con tanta fretta che furono costretti ad abbandonare sul luogo una delle ancore. V. anche la lettera, piìi volte citata, di Antonio de Brito. (98) Mss. di Parigi: « com 17 òmes ». Secondo il Pigafetta (loc. cit.) gli Spagnuoli si impadronirono di quattro giunchi, in uno dei quali era il figlio del re di Luzon , capitano generale del re di Borneo. Francisco Albo invece si accorda coll’autore del Roteiro. Antonio de Brito (Navarrete, IV, pag. 310) dice che gli Spagnuoli si impadronirono di due 0 tre giunchi, e li incendiarono. (99) Col nome di Lucani 1’ autore del Roteiro vuole certamente indicare 1’ i-sola Luzon, la maggiore, coni’è noto, delle Filippine. V. la nota precedente. Il Pigafetta e PAlbo affermano che, senza punto prendere consiglio dal resto dell’ equipaggio, il capitano Carvalho rese la libertà al figlio del Re di Luzon comandante di uno dei giunchi degli isolani di Borneo. (100) Il Mss. di Parigi dice esattamente « dos sete homès »: in quello di S. Bento leggesi invece a hos 7 homès ». (101) Cfr. Pigafetta, Op. cit. pag. 148. Era intenzione dell’equipaggio di condurre le tre donne in Ispagna e farne dono alla Regina, ma il Carvalho le tenne per sè stesso. Lo scrittore vicentino dice che il numero degli uomini era di 16. (102) Anche in questo passo mi sono attenuto alla lezione parigina « por anitre as ilhas e a ilha grande de Borneo ». Il Manoscritto di S. Bento dice sempli-. cernente e con poca esattezza « per amtre as ilhas grandes de Borneo ». (103) Cfr. Pigafetta, Op. cit. pag. 152, e Francisco Albo in Navarrete, IV, pag. 222. (104) Navarrete, IV, pag. 73: « Gli Spagnuoli partirono dalla barra di Borneo sul principio dell’ agosto, e tenendo la medesima strada per la quale erano giunti colà, costeggiarono l’isola in cerca di un porto nel quale potessero aggiustare le navi ; però la capitana arrenò, e per un giorno ed una notte diede __ — 69 — tanti colpi che pareva dovesse spezzarsi ; durante la notte ebbero una tempesta, e sul fare del giorno la nave, col crescere della marea, si rimise ». Questo calcolo della durata della marea, quale si legge nel manoscritto di S. Bento , è inesplicabile: non così però il manoscritto di Parigi, il quale dice invece : « E stette (la nave) così per 14 ore, dopo le quali tornò la marea, dal che si vide chiaramente essere la marea (in quel luogo) di 14 ore ». (105) Pigafetta (Op. cit. pag. 153): « Tra il capo nord di Burné e l’isola di Cimbonbon, ed alla latitudine di 8° 7' nord, trovammo un porto molto comodo per racconciare le nostre navi ». La piccola isola, di cui nel Roteiro , e clic il Pigafetta chiama Cimbonbon, è probabilmente quella che nelle carte moderne porta il nome di Balambangan, e si innalza precisamente al nord della punta più settentrionale dell’ isola di Borneo. (106) Cioè il 15 di agosto. Secondo Pigafetta stettero in questo porto quarantadue giorni. V. op. cit. pag. 153. (107) La latitudine data dal Roteiro per il porto di Santa Maria di Agosto differisce pochissimo da quella del canale che separa Borneo da Balambangan. (108) Prima di lasciare il porto di Santa Maria di Agosto, gli Spagnuoli tolsero al Carvalho il comando della spedizione, e nominarono a capitano della Victoria Sebastiano de Elcano già maestro sulla nave Concepcion (V. Navarrete , IV, pag. 17) e a capitano della Trinidad il già più volte nominato Gomes de Espinosa. Al grado di alto governatore dell’ armata, fu eletto, coi due precedenti, Juan Bautista. (V. Navarrete, Documenti 25 e 27, IV, pag. 292 e 296). (109) Nel manoscritto di Parigi si legge: « Cagamja ». È questa l’isola di Cagayan, di cui in Pigafetta (pag. 156) ed in Francesco Albo (Navarrete , IV, pag. 222) : sulle nostre carte è detta Kagayan Suiti. (110) Mss. di Parigi : « Solloque ». Quest’ isola, che il Pigafetta e l’Albo chiamano Zolo e Solo, è Sulu, seconda per importanza tra le numerose isole che compongono l’arcipelago del medesimo nome, e, come bene è detto nel Roteiro e nel giornale di Francisco Albo, è posta sotto la latitudine nord di 6 gradi. Lo stesso autore e il Pigafetta parlano pure della bellezza delle perle dell’ isola di Sulu. (in) Tamgyma nel Mss. di Parigi, Taghima in Pigafetta (pag. 159), Jagima in Albo (Nav. IV, pag. 222). L’Amoretti identifica quest’ isola con quella di Ba-silan che è la più importante delle isole Sulu : in appoggio di questa opinione viene la latitudine di Jagim'a che Francisco Albo dice essere di 6° 50'. (112) Il Mss. di San Bento dice « sagra em paés »; quello di Parigi più esattamente e con maggiore chiarezza « carregado de sagù em paès ». (113) In luogo del nome Cajare, col quale 1’ autore del Roteiro, secondo il manoscritto di S. Bento, chiama 1’ albero che serve alla confezione del pane presso gli abitanti delle Indie Orientali, il manoscritto di Parigi dice : feyto de hum arvore que se chama sagù ». Nella parte della sua relazione che tratta dell’ i- — 7o — sola di Ghilolo o Halmahera, il Pigafetta cosi si esprime : « Il loro pane (degli indigeni di Gilolo) è fatto , nel modo seguente, col legno di un albero che rassomiglia alla palma. Essi prendono un pezzo di questo legno, ne tolgono certe spine nere e lunghe, quindi lo pestano, e ne fanno del pane cui danno il nome di sagù. Essi fanno provvista di questo pane per i loro viaggi di mare ». (V. Premier voyage autour du monde, pag. 186 e Ramusio, I, pag. 4°4)- Cosi pure si legge nella Epistola di Massimiliano Transylvano (Ramusio, I, pag. 386): « Il pane che loro (gli abitanti di Zebù) chiamano sagù, è fatto di una sorta di legno non molto dissimile dalle palme; di questo poi che è tagliato in pezzi e nèlla padella coll’olio fritto fanno pane ». Il primo Europeo che faccia menzione di questa sorta di pane è tuttavia Marco Polo. V., tra le altre opere, quella di Baldelli Boni , Viaggi di Marcò Polo, Voi. i.°, pag. 165 e Voi. 2.0, pag. 400. (114) È probabile che all’incontro di questo paro alluda il Pigafetta, là ove discorre del viaggio all’ isola di Mindanao da lui detta Maingdanao : « Avendo incontrato sul nostro cammino un bignadai, barca che rassomiglia ad una piroga, determinammo di impadronircene ; ma avendo 1’ equipaggio opposta una certa resistenza , noi uccidemmo sette uomini dei diciassette che formavano l’equipaggio del bignadai ». V. Pigafetta, Op. cit. pag. 158. (115) Sopra Francisco Serrào, portoghese e congiunto di Magellano, veggasi : Pigafetta, Op. cit. pag. 170 e seg. (116) Questa isola porta nel manoscritto il nome di Samyns. Sia per la latitudine, che è data da Francisco Albo in 40 40' (V. Navarrete , IV, pag. 223), sia per il fatto, di cui anche nella seguente nota, che 1’ autore del Roteiro dice accaduto nelle isole Semrrym, non si può a meno che considerare queste ultime come identiche con Sarangani, accennata nelle relazioni del Pigafetta, del-l’Albo, ecc. (117) Herrera, Dee. 3.“, Lib. i.°, cap. 10: « Venne a bordo un signore in un parò, il quale chiese (agli Spagnuoli) per dove erano diretti, e sapendo che volevano andare alle Molucche, disse che in quel luogo eravi un pilota che avrebbe servito loro di guida, ma voleva essere ben pagato ; gli si diede quanto aveva chiesto, giacché voleva lasciarlo a sua moglie. Entrato nella nave si trovò che era fratello dell’ altro pilota che (gli Spagnuoli) avevano seco; parlò un tratto con lui, e subito si mise in un paro per fuggire, ma alcuni Spagnuoli gli furono dietro e lo ricondussero a bordo afferrato pei capelli, per il che gli altri paros che erano colà se ne fuggirono. Poco tempo dopo in numero grandissimo si diressero contro le navi, ma' queste avevano già messo alla vela, e se ne liberarono con alcuni colpi ». (118) L’isola, della quale è qui parola, è designata da Francisco Albo col nome di Sanguin, e più esattamente da Antonio Pigafetta con quello di Sanghir. Il gruppo delle Sangir è composto di molte isole che si estendono nella direzione generale da nord a sud ad oriente del mare di Sulu 0 di Celebes. (119) Il Mss. di Parigi dice 500 uomini. — 7i — (120) Pigafetta, Op. cit. pag. 162 e 163 : « Da 27 mesi meno due giorni noi correvamo i mari visitando una infinità di isole sempre in cerca delle Mo-lucclie .... Il venerdì, 8 del mese di Novembre, tre ore prima del tramonto del sole, entrammo nel porto di un’isola detta Tadore ». (121) Secondo Pigafetta (Op. cit. pag. 204) l’isola Tidor ha per latitudine 27'nord, e trovasi a 16i° dalla linea di demarcazione. Francisco Albo (Navarrete, IV, pag. 224) dice che la latitudine dell’isola è di mezzo grado. (122) Pigafetta (Op. cit. pag. 150 e 151) : «Il cathil è un peso di due libbre, ed il bahar vale 203 cathil ». Dal che si vede che un bahar equivale a 406 libbre cioè a 4 quintali e 6 libbre. Odoardo Barbosa (Ramusio, I, pag. 358) dice che « un bahar vale quattro quintali vecchi di Portogallo, che ogni quintale vecchio vale tre quarti e mezzo di quintale nuovo, ed è di 208 libbre, di 14 oncie per ciascuna ». (123) Con questo segno + è, in molti antichi documenti, indicata la moneta spagnuola detta cru^ado. (124) Nel manoscritto di Parigi il numero delle azze è portato a 30 per ciascun bahar di chiovi di garofano. V. sopra questo traffico nelle Molucche, Pigafetta, Op. cit. pag. 173. (125) Il Mss. di Parigi dice più esattamente « que se chamava Tarnate ». (126) Questa nota relativa alla fortezza nell’ isola di Ternate fu evidentemente aggiunta dopo al testo originale del Roteiro, dal quale venne tolta la copia che stiamo esaminando; giacché la fortezza di Ternate non si cominciò a fabbricare che nell’ anno 1522, e precisamente se ne pose la prima pietra nel giorno dedicato a San Giovanni, essendo governatore lo stesso Antonio de Brito, del quale è parola più sotto nel nostro documento ». Si aggiunge a provare maggiormente che la nota non era nel testo originale la circostanza che se la cosa fosse altrimenti, 1’ autore del Roteiro non avrebbe detto « nella quale noi abbiamo in oggi una fortezza », si bene « nella quale i Portoghesi hanno in oggi una fortezza ». (127) Il Portoghese, del quale si parla in questo luogo del Roteiro, pare fosse Pedro Alfonso de Lorosa, che, dopo la morte di Francesco Serrào, erasi recato da Bandan a Ternate. Del Lorosa parla a lungo il Pigafetta (Op. cit. pag. 171 e pag. 176). (128) Mss. di Parigi: « De Bargào ». Stando al contesto del racconto pare che si tratti qui del re di Bachian, di cui in Pigafetta, Op. cit. pag. 180, 187, 190 etc. (129) Cfr. Pigafetta, Op. cit. pag. 197. (130) Ho adottato la lezione del manoscritto di Parigi « sem faltar nada ». Nell’ altro leggesi « sem nada fazer ». (131) Cioè la nave Trinidad. L’altra nave era già in alto mare, quando l’equipaggio della Trinidad si accorse che in questa ultima si era prodotta una forte vena d’ acqua. — 7 2 — (132) Cfr. Pigafetta, Op. cit. pag. 200. (133) Ibidem, e Navarrete, IV, pag. 80 e 379. (134) Era intenzione del capitano della Trinidad, Gonzalo Gomez de Espinosa, di recarsi alla terraferma che limita ad oriente il mare del Sud, vale a dire all’ istmo di Darien o alla Nuova Spagna. In questo ultimo senso si esprime il savonese Leone Pancaldo nella sua dichiarazione fatta in Valladolid nel mese di Agosto del 1527, come si scorge dal documento 40° pubblicato nel volume 4° del Navarrete, pag. 383. Il Pigafetta (Op. cit. pag. 201) dice: « Durante questo tempo si sarebbe riparata la nave Trinidad, la quale, approfittando dei venti dell’ovest, si sarebbe recata a Darien, paese situato dall’altro lato del mare nella terra di Diucatan (leggi: dello Yucatan) ». (135) Dal giorno dell’arrivo nell’isola di Tidor (8 novembre 1521) a quello della partenza della nave Trinidad (6 aprile 1522) si contano cinque mesi meno due giorni. Il carico della nave, secondo la dichiarazione dell’Espinosa (Navarrete, IV, pag. 379), consisteva in circa 1000 quintali di chiovi di garofano (800 circa secondo Leone Pancaldo , Ibid, pag. 386). L’ equipaggio contava 50 persone (Dichiarazione di Gines de Mafra, Ibidem, pag. 386), tra cui il sopra-detto Leone Pancaldo e Juan Bautista. (136) In quanto allo stremo di Magellano ricordato nel nostro Roteiro, si avverta che il manoscritto di Parigi a vece della espressione « Via do estreyto » ha l’altra assai più chiara e precisa « ou ao estreito », la quale ci permette d’interpretare tutto il passo nel senso, che, quando la nave Trinidad non riuscisse all’ istmo di Darien o alla Nuova Spagna , si sarebbe rivolta allo stretto di Magellano, per mezzo del quale 1’ equipaggio sarebbe cosi rientrato nell’ O-ceano Atlantico. (137) Il manoscritto di S. Bento dice inesattamente « e Tymor ». (138) Quale sia l’isola corrispondente alla Betachina del nostro autore è difficile il dire. Nella Storia delle Indie Orientali di Giovan Pietro Maffei (Voi. i.°, pag. 257) è accennata un’ isola Baiochina situata a sessanta leghe dalle Molucche nella direzione di ponente, ma questo dato non si accorderebbe con quanto è detto nel Roteiro circa alla direzione tenuta dalla nave Trinidad al di là di Tidor. (139) Nelle dichiarazioni dell’ Espinosa, del Pancaldo e di Ginés de Mafra è accennata un’ isola di Doy nelle vicinanze dell’ isola Zamafo, che tutto ci porta a identificare coll’ isola Halmahera o Gilolo, od almeno con una parte di questa. (140) Secondo il manoscritto di Parigi. Quello di San Bento ha: « e houveram vista de duas ilhas, huma grande e outra pequena : a grande chamavam a Por-quenampello ». Al nord-est dell’ isola Gilolo sono due isole, l’una assai piccola, Riduse, l’altra di discreta estensione, Mortai, le quali potrebbero corrispondere alle due accennate nel Roteiro. (141) Cioè il giorno 12 aprile. - 73 — (142) Cosi nel manoscritto di Parigi: In quello di San Bento leggesi e bava in luogo di e agoa: forse si allude ad una bevanda molto usata in quei paesi, e conosciuta col nome di alna (V. Pigafetta , p. 247). (143) Mss. di Parigi: « Este porto de Camarro ». (144) Mss. di Parigi: « 25 do mes abrill ». (145) La direzione dell’est è solo accennata nel manoscritto di Parigi. (146) Il Mss. di Parigi dà a quest’isola il nome di Chao: si intende la medesima piccola isola incontrata dalla Trinidad al di là di Batechina. (147) Il Mss. di Parigi ha in luogo di « ilha de Charam » la espressione di « ilha de Batechina » lezione più accettabile, giacché meglio conforme alla estensione dell’ isola accennata dal Roteiro, nella direzione del sud-est. (148) Nel Mss. di Parigi è detto che quelle piccole isole furono chiamate isole di San Giovanni, e che la Trinidad vi giunse il giorno 6 di maggio. Queste isolette debbono, avuto riguardo alla latitudine di 50 ed alla direzione del viaggio, essere identificate con alcune delle isole Palaos 0 Pelew. (149) Quest’ isola, che nel manoscritto di Parigi è detta Chygoum, appartiene al gruppo delle Marianne : è tuttavia impossibile dire a quale di queste isole essa corrisponda. (150) Il Mss. di Parigi dà, forse più esattamente, la data dell’n giugno. (151) L’isola Guamgraguam è detta Magregua nel Mss. di Parigi. (152) Mss. di Parigi: « Se chama mào ». Lo stesso nome è nella relazione « de la gente que muriò desde el ano de 1522 en la nao Trinidad, de que era capitan Gonzalo Gomez de Espinosa, hasta setiembre de 152$ » relazione che si conserva nell’Archivio generale delle Indie di Siviglia, tra le carte che vi furono trasportate da Simancas. Secondo Oviedo (Historia, parte 2.* libro 20, foglio 3 5), l’isola Mao è la più vicina, nella direzione del nord, a quella di Botaha nel gruppo delle Marianne. (153) Navarrete, IV,’pag. 100: « Il capitano scese a terra, e visitando alcune rupi, trovò sulla cima di una di esse un pozzo, donde attinsero quindici pipe di buon’acqua ». * (154)' Herrera (Dee. 3.“, lib. 4.0, cap. 12): « Quivi fuggirono quattro uomini nel fine dell’agosto 1522, e quantunque il capitano li assicurasse del perdono, uno solo di essi fece ritorno alla nave ». Ciò si accorda col manoscritto di Parigi , nel quale è detto che insieme col moro fuggirono pure tre dell’equipaggio della Trinidad. (155) Zamafo in altre relazioni. (156) È questa la maggiore delle Molucche, detta comunemente Gilolo od Hai-mabera. (157) Ciò è perfettamente conforme al vero. V. la nota 126. (158) Gonzalo de Espinosa, Ginés de Mafra e Leone Pancaldo concordano nel dichiarare che Antonio de Brito mandò in soccorso della Trinidad, prima una navicella comandata da Simon Abreo e da Duarte Rager, quindi una fusta ed ■ m- — 74 — una caravella sotto gli ordini di Garcia Manrique e di Gaspar Gallo. V. Navarrete, IV, pag. ioi, 580, 383 e 386. Il manoscritto di Parigi dice esattamente: « a doni Garcia Manrique ». (159) Mss. di Parigi « da noite », che molto probabilmente dovrà leggersi da norte, per una confusione, assai comune, della i colla r. ROTEIRO DA VIAGEM DE FERNAM DE MAGALHÀES PREFAgÀO a Academia comecado a util empreza de blicar a colleccào de Memorias, e escriptos, que dem dar luz à Historia das nossas navega<;òes, gens, descobrimentos, e dominios ultramarinos, dos que com elles confinào; pareceo-nos que poderia ter algum lugar nessa colleccào o presente Roteiro inèdito da famosa navega^ào de Fernam de Magalhàes, que por copia apresentamos, e òfferecemos d Academia. Dois exemplares manuscritos tivemos d vista ao tirar està copia. O primeiro, que faz parte do codice 7-^ em folh. manuscrito da Bibliotheca do Rei em Paris, foi copiado com escrupulosa exaccao no anno de 1831 pelo nosso-honrado amigo' e doutìssimo litterato o senhor doutor Antonio Nunes de Carvalho , que de nós confiou a sua copia com a franqueza e generosidade, que he propria do homem de letras, e do zeloso amigo da sua patria. - 78 - O segundo acha se manuscrito no Deposito de livros de S. Francisco da cidade, e foi da livraria dos monges de S. Bento da Saude, aonde estava junto a outras obras, e encadernado com ellas em bum livro de folh., todo escripto de huma só mào, e em letra do seculo XVI. O primeiro tem no firn està nota « Este terlado sayo doutro, que sayo de hum caderno de hum piloto genoès, que hia na dita armada, que escreveo toda a vvagem, como aquy està, o quali jd foy pera o rregno ». O segundo tem a mesma nota, mas com alguma differenda. Diz assim: « E isto foy treladado de hum quaderno de hum piloto genoès, que vynha na dita nao, que escreveho toda a vyagem, como aqui està, e foy pera Portugall ho anno de 1542 com dom Amryque de Menezes ». Ambas estas notas parece terem sido escriptas no Oriente, pois dizem do piloto Genovès « que foy pera o rregno » « que foy pera Portugall » e por ellas conjecturamos haverem ambas as copias sido feitas sobre alguma outra, tirada do originai da quelle piloto, no proprio tempo em que a nao chegou as Molucas, ou logo depois: nem julgamos temerario presumir, que seria este Roterio hum dos papeis da viagem, que por occasiào da arribada da nao^ Trindade aTernate, vierào a poder de Duarte de Rezende, entào escrivào da Feitoria portugueza, e sobre que elle escreveo o seu Tratado da navegagào de Magalhàes, offerecido a Joào de Barros, corno refere este mesmo escriptor na sua Dee. 3, liv. 5, cap. 10. Nao temos podido averiguar quem fosse 0 autor do Roteiro, e sómente sabemos pelas notas apontadas que foi hum piloto Genovés, que hia na armada de Magalhàes. Dos escriptores , que podemos examinar, he Barros 0 unico, que no lugar citado faz mencao de mestre Bautista Genoès, dizendo delle, que por morte do piloto Joao Carvalho fora encarregado da pilotagem da ndo Trindade, que foi a que por ultimo acabou em Ternate. Este poderia ser o autor do Roteiro. O que porèm nos parece certo he que o Roteiro foi escripto originariamente em portuguez; porque na sua frase « nào » achamos vestigio algum nem do italiano, nem do casthelano. Como quer que seja, o caracter da letra, e a ortografia de ambos \ — 79 — os manuscritos; a simplicidade da narralo, a coherencia delles entre si, e com as outras rela^òes, que ternos, dos successos da-quella memoravel expedi^ào, nào nos permittem a mais leve duvida sobre a fé, e authencidade litteraria d’este escripto. Diremos pois tamsómente, e muito em breve, o modo, com que procedemos em tirar està copia. Primeiramente, seguimos como texto principal o manuscrito de S. Bento da Saude, por nos parecer menos defeituoso em miudezas de letras ou palavras, que em ambos se achao talvez erradas, corno succede em quasi todas as copias de antigos documentos ou escriptos. Quando entre os dous manuscritos achamos alguma discrepancia hum pouco mais substancial, apontamos em nota a differenda, a firn de que o leitor possa fazer o seu juczo sobre a verdadeira ligào. Neste caso citamos o manuscrito e logo pòmos a variante, devendo sempre entenderse por manuscrito a copia tirada em Paris. Algumas vezes, ou para melhor intelligencia do texto, ou para maior illustralo da historia, comparamos os nossos manuscritos com a Relagao desta viagem por Pigafetta, testemunha de vista de todos os acontecimentos della, e com a Carta de Maximiliano Transylvano, escripta de Valladolid a 24 de outubro de 1522, e dirigida ao Cardeal de Saltzburgo na qual refere 0 que poucos dias antes ouvira, e alcancira dos proprios Castelhanos, que voltàrào a Se-vilha na nao Victoria, unica que escapou, e se salvou dos trabalhos e perigos da expedigào. Para a Relacào de Pigafetta servimo-nos especialmente da edigào de Amoretti, tirada de hum codice da Bibliotheca Ambrosiana de Milào, e impressa na mesma cidade em 1800, em 4.0, tendo tamben a vista a traduegào franceza, impressa em Paris no anno IX, em 8.° e o extracto que se publicou em italiano na colleccào de Ramuzio, tom 1 da 3.“ edicao de 1563 em foi. Para a carta de Maximiliano Transylvano servimo-nos da edigào originai de Colonia, publicada em Janeiro de 1523 em 120 com este titulo : De Moluccis insulis itemque aliis pluribus mirandis, quae novissima Castellanorum navigatio, Sereniss. Imperatoris Caroli V, auspicio suscepta nuper invenit: Maximiliani Transylvani ad Reverendiss. ♦ Cardinalem Salt^burgensem epistola, leclu per quam jucunda. Esta carta foi outra vez impressa em Bazilea no anno de 1536 em foi., e com esta data vem na colleccào intitulada Novus Orbis de Grineo, impressa na mesma cidade no anno seguinte de 1537, e acha-se tambem traduzida em lingua italiana no tomo 1 da colleccào de Ramuzio da 3.“ edicào acima citada. Alèm destas duas obras lèmos 0 nosso Barros, e Castanheda, e talvez aproveitamos alguma noticia por elles referida. Em quanto à ortografia, julgamos dever conservar a do manuscrito, que nos servio de texto, mas nào com tào extremo excru-pulo, que copiassemos quantos hh, quantos yy, quantos II etc. nelle se achào, as vezes bem fora de proposito, corno em rybo, fryhj, havyha etc. em lugar de rio, frio, avia etc. A minuciosa exac^ào nesta materia apenas póde ter lugar nas copias de escriptos scien-tificos, de autores mui conhecidos, ou de papeis, a que se quèr dar hum certo caracter de authenticidade e autoridade. No nosso caso pareceo-nos que bastava fazer aqui esta advertencia : e ainda asim vera o leitor, que nào abusamos da liberdade, que esta nossa opiniào poderia dar-nos. A pontua^ào he em grande parte nossa, e a tivemos por conveniente para facilitar a leitura, e a intelligencia do texto; e pela mesma razào escrevemos com a primeira letra maiuscula os nomes proprios de pessoas, e lugares, que todos nos manuscritos vem em minuscula, como era pratica mui geral nos escriptos antigos. Finalmente acrescentamos na margem algumas notas, que posto que nào sejào absolutamente necessarias para d intelligencia do Roteiro, nem contenhào noticias desconhecidas aos homens in-struidos , servirào com tudo a outro genero de leitores , ou farào menos fastidiosa a leitura deste escripto. Navegasam e vyagem que fez Fernando de Magalhàes de Sevilha PARA MaLUCO NO ANNO DE 1519 ANNOS. Partio de Sevilha aos io dias de agosto da dita hera, e pòs até barra até hos 21 dias do mez de setembro, e tamto que foy fora, governou ao sudueste a demandar a ila de Tanaryfe, e che-garam a dita ilha de Sani Miguell, que hera 29 de setembro (1) e daquy fez sua rota a demandar as ilhas do Cabo-verde, e passa-ram por amtre as ilhas e ho cabo sem aver vista de hum nem do outro. Fazendo-se tanto avamte corno a dita paraje, fez sua rota a demandar ho Brasyll, e tamto que houveram a vista da outra costa do Brasyll, governou ao sueste (2), ao lomgo della té ho « Cabo-frio », que està a 23 gr. da banda do sull (3), e deste cabo governou a loeste hobra de 30 legoas a demandar ho « Rio-de-Ja-neiro », que està em a mesma altura do Cabo-frio, e entraram no dito rio ho dia de santa Lozya, que hera 13 dezembro , em o qual rio tomaram lenha, e estiueram em elle té a primeira hoi-tava do natali, que hera a 26 dezembre do mesmo anno. Partiram d’este Rio-de-Janeiro a 26 dezembre, navegaram ao lomgo da costa a demandar ho cabo de « Samta Marya » , que està em 34 e 2/3 e tanto que delle houveram vista, fez seu caminho a (1) Pigafetta diz qnc a armada sahio de Scvilla a 10 de agosto de 1519, que partio de S. Lucar a 20 de setembro, que clie^ou a Tenerife a 26, e que d*hai continuou viagem a 3 de outubro, navegando para o sul. (2) Manuscrito « ao sudueste » Esta deve ser a verdadeira lifJo. (3) ” Pigafetta » atò que chegamos a huma terra charaada a Terra del « Verzino (do Brazil) aos 23 gr. e 1/a de latit. austral ». Società Ligure Si. Patria. Voi. XV. 6 — 82 — locsnoroeste, cuidando achar pasage pera sua viage, e acharam-se metidos em hum rio de agoa doce, grande, a que se pòs nome ho rio de « Sam Crystovam », e estd em 34 gr., e nelle estiverai!! até 2 dias de fevereiro 1520 (1). Partio deste rio de S. Crystovam a 2 do dito fevereiro: nave-garam ao lomgo da dita costa, e mais avante ao sull descobriram huma pomta, que he 110 mestilo rio mais pera o sull, a que se pós nome a « pomta de Samtanitonio »; que estd em 36 gr., e daqui correram ao sudueste hobra de 25 leguas, e tomaram outro cabo a que poseram nome ho « Cabo de Santa Apeionia », qu estd em 36 gr., e daqui navegaram a loessudueste em huns baxos (2) a que po-seram nome « hos baxos das Correntes », que estào em 39 gr. e daqui navegaram ao mar, e perderam a vista da terra hobra de 2 ou 3 dias, honde tornaram a demandar a terra, e vieram a huma bahia, que entraram e correram tododia por demtro della, cuidando que avia sayda pera Maluco, e vimdo a noyte acharam-se em todo cerrado, e na mesma noyte se tornaram a sair por dotnde entraram, e esta bahia està em 34 gr. (3), chamào-lhe a « ilha (4) de Sam Mateus ». Navegaram desta ilha de S. Mateus ao lomgo da costa até chegarem a outra bahia, domde tomaram muitos loubos marinhos e pasaros: a esta se pós nome a « bahia dos trabalhos », (5) que <^td em 37 gr., homde se houveram de perder a nao capitania coni temporali: e daqui navegaram ao lomgo da dita costa, e chegaram ao derradeyro dia do mez de margo da hera de 1520 ao « pòrto de Sam Yuliam », que està em 49 gr. e '/, (6), e aqui emvernaram, e acharam hum dia pouco mais ou mènos de 7 horas (7). Em este porto se levantaran 3 ndos contra ho capitani mór, (1) Pigafetta denota este rio, que he o da Prata, a 340 e 207 aqui ( diz elle ) foi comido em outro tempo pelos Cannibaes, de quem demasiadamente se fiàra, Jo5o de Solis, capitao hespanhol, com 60 ho-mens, que andavSo a descobrir novas terras, como nós faziamos ». (2) Manuscrito « e acharam-se cm huns baxos ». (3) Manuscrito « està em 24 gr. » O que parece manifesto erro' de copia. (4) Manuscrito « a bahia ». (5) Nào temos achado noticia desta denominarlo da « bahia dos trabalhos » em outro algum escriptor. (6) Pigafetta poe este porto em 490 $o/. O Transylvano em 490 e Va* Barros em 50°, e diz que clie-garJo ali a 2 de abril. (7) Manuscrito « de oito horas v. dizendo hos capitàes dellas que o queriam levar prezo a Castella, que os leuaua todos a perder: homde por industria do dito capitani mór, e ajuda e favor eos estrangeyros, que comsigo leuaua era a sua nào, se foy às ditas 3 nàos, que herani ja levantadas, honde foy morto ho capitani de huma dellas, e tisoureyro de toda a armada, que avia nome Luis de Mendoza, ho quali foy morto no mesma sua nào (1) às punhaladas por ho meyrinho mór da armada, que pera hiso foy mandado por Fernando de Magalhàes em hum batell coni certos homens: e cobradas asy as ditas 3 nàos, daliy a 5 dias mandou Fernando de Magalhàes degollar, e esquar-tizar a Gaspar de Queìxada, que hera capitani de huma das nàos (2), e hera do conto dos que se aviam leuantado. Em este porto corregeram as nàos. Aqui fez 0 capitani‘ mór capitani de huma das nàos, a que aviam morto hos capitàes, Alvaro de Mesquita portugues (3). E partiram deste porto a 24 dias do mez de agosto 4 nàos, porque a mais pequena hera jà per-dida (4), que avia mandado descobrir, e carregou ho tempo, e a lancou à costa, domde se cobrou toda a gente, e mercaderia, ar-tilheria, e aparelhos da mesma nào: e estiveram em este porto, domde envernaram, 5 mezes 24 dias (5), e havia delles ao sull 73 gr. menos 10 minutos (6). E partiram aos 24 dias do mez de agosto da dita hera deste porto de Sani Joliam, e navegaram hobra de 20 legoas ao lomgo da costa, e asy entraram em hum rio, que se chamava de « Samta Cruz » , que està em 50 gr (7), homde estiveram tornando mercaderia, e I10 que mais poderam; e a gente da nào perdida vinha jà em (1) Luiz de Mendoza era capitilo da nào Victoria e thesoureiro da armada. (2) Da nào Conceicao. (3) Alvaro de Mesquita era primo de MagalhSes. (4) A nào, que aqui se perdeo foi a Santiago de que era capitào Jo2o Serrilo. (5) Parece haver aqui alguma equivocatilo, ou erro de copia. Pela ordem da narralo se vè, que tendo os navegantes chegado ao porto de S. JuliSo no ultimo de mar?o, ou na entrada de abril, e sa-hindo delle a 24 de agosto, estivcrilo ali invernando por espa^o de 4 mezes e 24 dias ; e isto mesmo he o que diz Pigafetta « que ali » passArilo perto de cinco mezes, circa cinque mesi. (6) Nilo nos foi possivel entender 0 calculo do escriptor neste lugar. (7) Pigafetta, Partimmo al fine da quel porto, e giunti a /0° 401 de latti, auslr. trovammo un fiume de acqua dolce, etc. A nota do editor a este lugar diz que as cartas de Cook pòem este rio a 510 austraes e o anonymo portuguez , companheiro de Duarte Barbosa, diz que lhe poserào o nome de Santa Crti;, por chegarem a elle a 14 de setembro, dia de Exaltafilo da Santa Cruz. - 84 - has outras nàos, que se tornaram por terra adonide estava Fernando de Magalhàes, e estiveram cm recolher esta mercaderia toda, que ally fìcdra, ho mes de agosto té 18 de setembro, homde tomaram agoa, e muito peyxe, que elles pescavam em este rio: e em ho outro, homde envèrnaram, avia gentes conio selvages, e hos homens sam de altura de 9 até io palmos, muito beni despostos (1), e nani tem cazas, somente andam coni gados de huma parte a outra, e comem carne mea crua, e sam todos frecheiros, e matam muitas animarias coni as frechas, e das pelles fazem vesti-duras, scilicet, fazem as pelles muito masyas, e as feigòes d feygào do corpo, ho melhor que podem, entam cobrem-se com ellas, e hatam-se por a cimta. Quando nani querem cobrir da cimta pera riba, 4exam cayr aquelle meio, que tem da cimta pera cima, ficam pera baixo depimdoradas aquella cimgidura, que tem cemcyda. Trazem gapatos, que lhe cobrem acyma do artelho 4 dedos , de demtro cheos de pallia, pera trazerem hos pés quentes. Anitre elles nani ha ferro, nem outro artefycio darmas, soomente de pe-dernall fazem hos ferros das frechas, e asy hos machados, com que cortam e as emxòs e sovellas, conique cortam e coseni hos capatos, e as vestiduras. He gente muita ligeyra, e nani fazem mali e hasy amdam apòs 0 gado: adonide lhe anoytece ally dorme: trazem as molheres apòs sy coni todo ho fato que tem, e as mo-lheres sam muito piquenas, e trazem grandes cargas ds costas, e hasy mesmo callcam, e vestem como hos homès. Destes homès houveram 3, ou 4, e traziam-hos em as naos, e morrerani todos, soomente hum, que foy a Castella em a nao que pera Ila foy (2). Partiram deste rio de Samta Cruz a 18 de oytubro (3): nave- (1) Pigafetta diz « de estatura gigantesca », « de eslatura de gigante », e acrescenta que hum destes homens era tamanho que « nós (diz) lhe davamos pela cintura ». Estes sào os chamados gigantes, que habitavào a terra firme da banda do norte da bahia de S. Juliào. Magalhaès lhes deo o nome de pata-gues , com que ainda hoje sào conhecidos. (2) Provavelmente em a nào, que fugio do caminho, de que logo se falarà. (3) O editor de Pigafetta nota, que em quanto a armada esteve no rio de Santa Cruz, aos 50° e 40' austraes, houvera a 11 de outubro hum eclipse do sol « de que faz, cap. 8). — 86 — a lugares, 5 legoas, e 2 e 1, e a lugares méa, e foy por elle em tanto que foy dia : conio lieta noyte sorgia : e mandou hos batcs, e as nàos apòs hos batcs, 'e trouxeram nova que avia sayda, que ja viam ho mar grande por a outra banda, por domde Fernando de Magalhàes mandou tirar milita artilheria com prazer (1); e amtes de sayrem deste estreito acharam 2 ilhas a primeira mais grande, e ha outra mais contra a sayda, he mais pequena : e sairào por anitre estas ilhas , e ha costa da banda do sull, por ser mais alto que per a outra parte. Tem este estreyto até a saida ceni legoas: a saida Uà, e a entrada està 52 gr. (2). Fizeram demora em I10 dito estreyto des 21 dias de oytubro até 26 dias de nobembro (3), que sam 36 dias, da dita era de 1520 annos: e tantoque foram do estreyto ao mar fixeram seu caminho, a maior parte delle, a loes-noroeste, homde acharam, que lhes moroesteavam as agulhas cayse 2/4, e depois de asy navegaram muitos dias, acharam huma ilha pouco mais ou menos em 18 , ou 19 gr. e asi outra, que està em 13 até 14 gr. e isto da banda (1) A està esploralo do Estreito forilo mandadas as naos Santo Antonio e Con?cÌ£ào, as quaes com difficuldade poderào dobrar o « Cabo del possesso » , designado con este nome na Carta de Bougainville, e em outras. Entrarlo cm firn por huma estreita abertura, que nas Cartas se chama primeira garganta, e sahirào a outra bahia, a que se da o nome de » bahia Boucant, ou Boucam «. No fundo della entrarao por outro estreito chamado » Segunda garganta » , e passado elle sahirào a outra bahia maior que as precedentes. Entào vendo que o estreito se alongava offerecendo sempre sahida As naos, voltarlo com estas boas novas ao Magalhàes que os esperava, e a cuja vista despàràrào toda a artilharia, e levantarào grandes gritos de alcgria. A armada navegou entào junta até aquclla terceira bahia, e corno achasscm dois canaes, expedio Magalhàes as duas nàos, que dissemos » Santo Antonio » , e Conteifào a examinar se o canal, que se dirigia a sueste, hiria sahir ao mar pacifico. D’aqui he que fugio a nào « Santo Antonio ». adiantando-se para isso à sua companheira. As outras duas nàos «Victoriae Trindade» entràrào entretanto pelo ter^eiro canal, aonde por 4 dias esperàrào os exploradoras. N’ este intervallo expedio Magalhàes hum batel bem esquipado a descobrir o cabo, em que o estreito devia terminar: avistado o qual, e voltando o batel com esta noticia , todos derraraavào lagrimas de consolalo, e derào ao cabo o nome de « Cabo Desejado », que he o que està à sahida do estreito da banda do sul. Voltàrào entào a tràs a buscar as nàos » Concei^ào e Santo Antonio » ; e deixando sinacs pelos quaes està se governasse, caso andasse perdida (pois ainda ignoravào a sua fuga) navegàrào avante até sahirem ao mar pacifico. (2) Manuscrito » em 52 gr. largos ». « Este estreito (diz Pigafetta) tem de comprido no leguas » isto he, 440 milhas ... e de largo meia legoa, jà mais, jà menos .... he bordado de altissimas » montanhas, cobertas de neve: nao podiamos achar fundo senào com a proa em terra, e ahi era de » 25 a 30 bra^os ». (3) Pigafetta nota, que no estreito em que*estavào, e no mez de outubro, era a noute de sòs tres horas: e o Transylvano diz, que no novembro achàrào os navegantes a noute de pouco mais de ciuco horas: e jue em huma das noutes virào à esquerda muitos fogos. D’aqui he que veio darse aquclla terra 0 nome de « Terra do fogo ». — 87 — do sull (i) : sam despovoadas, e correram té que chegaram a lynha, domde dixe Fernam de Magalhàes que ja estava em parage de Maluco. Porterem enformagaon que em Maluco nam avia manti-mentos, dixe que queria hir da banda do norte até dés ou doze grdos, domde chegaram até 13 da banda do norte, e desta parage navegaram a loeste, e quarta de sudoeste hobra de cem legoas, homde tomaram, a 6 dias do mez de marco da era de 1521 , duas ilhas povoadas de muita gente, e sorgiram em huma, que està em 12 gr. da banda do norte, e he gente de pouca verdade, e vieram a bordo, e nam se precataram, saluo quando viram que lhe levavam ho esquife da capitania, e cortaram ho cabo, com que estava amarrado, e levaram- lho a terra sem lhe poderem valer : e a esta ilha poseram nome a dos ladrdes (2). Vemdo Fernando de Magalhàes que 0 esquife era perdido, fez-se d velia por ser ja noyte, e amdamdo asi barlaventeamdo té ho outro dia, e tanto que foy menhàa sorgiram adomde viram leuar ho esquife, e mandou aprestar dous batés com hobra de 50 ou 60 homès, e foy em pesoa a terra, e queymou ho lugar todo, e mataram 7 ou 9 pesoas, anatre homes e molheres, e cobraram ho esquife, e tornou-se ds naos, e estando asy viram vir 40 ou 50 parós (3) que vinham pera as naos da mesma terra, e trou-xeram muito refresco (4). Fernam de Magalhàes nam quis fazer mais demora, e fez-se logo a velia, e mandou governar a loeste, e a quarta de sudoeste, e asy tomaram huma terra; que està em 11 gr. escasos, ha quali terra he huma ilha, e nam quis tornar esta, e foram tornar outra (1) Manuscrito « e asy outras que estavam etc. ». Pigafetta pòe estas duas ilhas a 15°, e a 90 austraes. Sobre a situalo dellas vejase a nota de Amoretti a-pag. 4$, aonde as suppòe no archipelago das « ilhas da Socidade ». Em algumas Cartas vem designadas com o nome de « Infortunadas ». (2) Alguns escriptores notào, que Magalhàes dera a estas ilhas o nome de a ilhas das velas », pelos muitos barcos à vela que observou naquellcs paragens. Comraummente porèm se ficarào charaando dos Ladroes ; e de pois tomArào o nome de « Mariaunas » cm honor da Rainha D. Marianna de Austria, viuva de D. Filippo IV, e Rcgente na menoridade de- D. Carlos 11 de Castella, (3^ Parós: assim escrevem sempre os nossos manuscriptos, Na edi^ào de Pigafetta vem constautemente praós. He a mesma especia de barca, que os nossos escriptores das cousas da Asia denominilo « paraò », a qual he de varias grandezas , e mui frequentemente usada nas ilhas do mar do sul. Pigafetta diz que he cspecie de fusta, ou galeota. (4) Manuscrito « muito refresco de fruyta », — 88 — mnis avamte, que parecia a primeira (i). E mandou Fernando de Magalhàes ho esquife a terra pera verem ha desposigam della; e chegando o esquife em terra, viram das naos sair 2 parós por detrds da pomta: emtam chamaram o esquife. Vemdo a gente dos parós que ho esquife se tornava ds naos, se tornaram os parós atras, e ho esquife chegou as naos, e logo se fizeram a velia, a outra ilha muito perto daquesta ilha, que estd em 10 gr. e puseram lhe nome a ilha dos bons Synaes (2), porque acharam em ella algum houro : e estando asy surtos em esta ilha vieram a elles dous parós, trouxeraml-hes gallinhas e cocos, e digeram-lhe que j’ally aviam visto outros homès corno elles, domde preso-miram que podiam ser lequios, hou mogores (3), huma nagam de gemtes que tem este nome, ou Chiis; e daqui se fizeram a velia, e navegaram mais avamte amtre muitas ilhas, has quaes poseram nome ho vali seni periglio, e asy Sam Labaro (4), e correram a outra 20 legoas daquella (5), domde partiram, que està em 10 gr. e foram sorgir em outra ila, que ha nome Macangor (6), que està em 9 gr., em esta ilha lhes fizeram muita boa companhia, e poseram em ella huma 7 (7). Este rey os levou daqui hobra de 30 legoas a outra ilha que ha nome « Cabo » (8), (1) Manuscrito « que parecia da primeira » isto he, que se avistava da primeira, Veja-se a Relato de Pigafetta da ed. de Amoretti pag. 54, ao dia 16 de marfo de 1521. (2) Pigafetta « nòs a chamamos agoada « dos bons sinaes »; porque tinhamos ahi achado duas fontcs » de excellente agua* e os primeiros indicios de haver ouro 110 paiz ». (3) Manuscrito « ou guoroos ». (4) Manuscrito « as quaes poseran nome 0 arcipelago de sam Lazaro ». Nos suspcctamos que ha aqui no nosso texto algum erro de copia , 11S0 só pela novidade do nome « vali sem periguo », mas tambem pela sua impropriedade. O manuscripto copiado em Paris diz simplcsmente « Arcipelago de S. Lazaro ». Pigafetta tambem diz « lhe po'crSo nome o archipelago de S. Lazaro » por chegarem ahi na quinta dominga de quaresma, que se chama de Lazaro ». Hojo tem estas ilhas a nome de Filippinas que lhe foi posto pelos annos 1542 em honra de D. Filippe de Austria, filho de Carlos V, e depois rei de Castella. Est5o entro a gr. 225, e 235 de longit, occid, da ilha do Ferro, e consequentemente ficav.ìo emtre os 195 e 205 da linha de demarcalo. (5) Manuscrito « correram obra de 25 legoas daquella .... etc. «. (6) Manuscrito « mafaguoa ». (7) Parece que esta cruz foi collocada na ilha de Massana, aonde no ultimo de mar^o, que nesse anno foi domingo de Pascoa se celebrou missa, A ilha he dcnotada por Pigafetta a 90, e 40' editor a pOe a 190° de long, occid. da linha de demarcalo. (8) Està ilha, que em anibos os manuscritos se nomea, e sc escreve Cabo, he a ilha Zebù, huma das Filippinas, que outros escrcvem « (Jabu, Zabu, Subsuth, Zubut, Cubo, Subo e Zubo » que de todo estcs modos achamos em differentes escriptos. — 'n -89- que està em 10 gr., e em esta fez Fernando de Magalhàes o que quis, por consentimento da terra, e tornaram-se em hum dia 800 cristàos homde por iso quis Fernam de Magalhàes que os outros reys a este comarcante (1) lhe fosem so-geytos a este que se avia tornado christào: hos quaes nam quise-ram dar a tali hobediencia. Vemdo Fernam de Magalhàes isto, fez-se huma noyte com os seus batés prestes, e foy Ila, e queyr-mou hos lugares daquelles que asy nam queriam dar a dita oba-diencia (2), e despois disto feyto a obra de 10 ou 12 dias mandou a hum lugar hobra de meia legoa do que avia queimado, que ha nome « Matam » (3), que he tambem ilha, que loguo lhe mandasem 3 cabras, 3 porcos e 3 fardos de arroz e 3 fardos de milho, pera marcimento das naos, e ho que responderam, que de cada adigam a sua que de todo lhes mandava pedir de 3 em 3 , lhe queriam mandar de 2 em 2, que se diso fose contente que loguo o compriam, se nam que fose corno elle quisesse, e que ho nam aviam de dar : e porque asy nam quiseram conceder ho que lhe pediam, mandou Fernando de Magalhàes aparelhar 3 batés com hobra de 50 ou 60 homès (4), e foy sobre ho dito, que foram a 28 dias de abrill polla menham (5) domde acharam muita gente, que seriam bem 3 mill, ou 4 mill homès, que pelejaram de tam boa mente, que aly foy morto ho dito Fernando de Magalhàes coni le homès dos seus (6), na era de 1521 annos. Semdo morto Fernando de Magalhàes, recolheram hos cristaòs, as naos, domde houveram por bem que se fizessem 2 capitaàes, e governadores a que hobedecessem (7), e temdo isto feyto, to- . (1) Manuscrito « a este comarcòes ». (2) Manuscrito « e qucimou hum lugar daquelles, que asy nam queriam dar a dita obcdiencia ». Na Relafào de Pigafetta se diz « queimou vinte, ou trinta cazas do lugar ». (3) O Transylvano escreve Mautham ; Pigafetta Matan, Castanheda Malao. (4) Pigafetta « eramos 60 homens armados : 48 sahirio em terra com Magalhàes, os 11 ficario na » guarda dos batés ». (5) Manuscfito « e foy sobre 0 dito lugar, e foiz a 27 dias de abril ». Pigafetta « tambem p5e este » successo a 27 de abril, e nota que era sabbado, 0 que na verdade se verificou naquelle anno a 27, e » nòo a 28 de abril ». (6) Pigafetta « com 8 homens dos nossos perecerilo 4 indianos dos que se tinhào feito christios , e » tivemos muitos feridos, sendo eu hum delles. « Dos inimigos morremo sómente 1$ homens ». (7) « Elegemos entào (diz Pigafetta) em lugar do capitio a Duarte Barbosa, portuguez , seu parente 0 e a ]o5o Serrilo, hespanhol. 0 primeiro ficou governando a nào capitania » etc. — 90 — maram conselho que tosoni hos 2 capitàes a terra, domde se aviam tornado jcristàos, a pedir pilotos, que hos leuasem a Borneo, e isto foy ao primeiro dia de maio do dito anno, e hindo hos 2 capitàes consertados pera o que dito hera, a mesma gente da terra, que aviam feyto cristàos, tinham armada sobre elles, e tanto que achegaram a terra, leyxaram-hos desembarcar seguramente conio de anites o fizeram. Emtam deram em elles, domde mataram 2 capitàes, 26 homès cavaleiros (i) e a outra genite que ficou se recolheo aos batés, e tornaram-se às nàos, achando-se outra vez sem capitàes acordaram, por quanto a principal gente era morta, que hum Joam Lopez (2) que hera I10 tezoureiro mor darmada fose capitani mor, e I10 meyrinho alferes mòr darmada fose capitani de huma das nàos, I10 quali se chamava Gongalo Vàz Despinosa (3). Feito isto fizeram-se à velia , e correram hobra de 25 legoas com 3 nàos, que aimda tinham, e contaram-se, e hacharam-se por todos 108 homès (4) em todas estas tres nàos, e muito delles feridos e doentes, pelo quali nani se atreviam navegar has tres nàos, e houveram por bem que se queimase a huma dellas , e a que mais tose pera iso (5), e que se recolhesem às duas os que ficaram, ho que fizeram no mar, sem terem vista de nenhuma terra. Homde isto faziam chegaram muitos parós a falar com elles; e navegando por aquellas ilhas, em aquclla parage heram (1) Manuscrito « mataram os 2 capitàes, e asy 26 omés com elles ». Nesta occasiào he que foi morto Duarte Barbosa, portuguez, e cunhado de Magalhàes, que hera hum dos dois capitàes de que aqui se fala. Alguns nossos escriptores tem dito, ou conjecturado, que Duarte Barbosa fora morto coni veneno: mas he hum erro. Os barbaros attrahirùo na verdade os castclhanos a terra com pretexto de Ihes dar hum banquete; mas d’aqui nào se segue que os envenenassem. O. Transylvano diz que intcr epulandum, ab iis, qui in insidiis collocat fuerant, opprimuntur. Fit clamor, undique nuntiatur protnus in navibus nostros occisos etc.....Vej. Barros 3,5, 10. O outro capitilo, que era Joilo Serrilo, nào foi morto; mais ficou vivo em poder dos barbaros ao tempo que os batcis se retiràrào ; porque nilo obstante as lastimosas supplicas, que de terra fazia , para que o resgatassem , Joào Lopez de Carvalho, temendo outra trailo, mandou levantar ferro. (2) Manuscrito « hum Yoam Lopez de Carvalho ». (3) Manuscrito « Godalo Gomez despynosa ». (4) Barroz diz 180 homens, e isto parece mais verosimil, attendendo ao numero dos homens, que forilo na armada, dos que até entilo se podiào ter perdido, dos que depois se perderlo, c dos que ainda por ultimo chegaram a Ternate e a Europa. ($) Gueimarào a nào Concedilo, Pigafetta. — 9i — muitos (i), que se nam entendiam hos huns aos outros, que nam tinham lingoa, que lhaviam morto com Fernando de Magalhàes: e navegando mais avamte por anitre ilheos, foram sorgir a huma ilha, que se chama Carpyam (2), homde ha asas d’ouro, e esta ilha està em 8 gr. largos. E sorgindo em este porto de Capyatn (3), houveram fala de gemte da ilha, e trataram pazes com ella, e Carvalho, que era capitani mór, lhes deu batell da nào, que aviam queimado; e esta ilha tem tres ilheos (4) de fora, e haqui tomaram algum refresco da terra, e navegaram mais avamte a loes-sudueste, e toparam coni outra ilha, que ha nome Caram, que està em n gr., e desta foram mais avamte a loes-sudueste (5) , e toparam huma ilha grande, e correram<10 longo da costa da dita ilha ao nor-dcste (6), e chegaram te 9 gr. '/2 (7) domde foram hum dia em terra coni os batés esquipados, a buscar mantimentos, que em as nàos nam nos avia jamais que pera 8 dias. Chegando a terra, a gente della lha nam leyxaram tornar, e tiravào-lhe con frechas de canas (8) tostadas, de maneyra que se tornaram para às nàos. Vemdo isto, acordaram-se de hir pera outra, domde aviam avido alguma pouca pratica, a ver se podiam tornar mantimentos. Entam lhes deo ho vento contrario, e himdo jà hobra de huma legoa domde queriam hir, sorgiram, e estamdo asy surtos, viram que de terra lhes esta'ram capeando, que fosem Uà; homde foram coni os batés, e estando falando com a dita gente por sinaes, que de outra maneyra nani se entendiam, arreceando-se chegar a terra, dixe hum homem darmas, que chamavam Joam de Campos, que o leyxasem hir a terra, pois que em as nàos nam avia mantimentos, e que poderia ser averiam algum remedio pera mantimentos, e que se ho matasem, que em elle nani perdiam tanto, porque (1) Manuscrito « que em aquella paragem ha muitas », (2) Manuscrito « que se chama Quype ». (3) Manuscrito « de Quype ». (4) Manuscrito « tem dous ilheos ». (5) Manuscrito « que ha nome Cacujam, e està em 7 gr., della foram mais avantc alloesnoroeste ». (6) Manuscrito « ao noroeste », (7) Esta posilo parece indicar a ilha de Palao-am, que Pigafetta pòe a 90 e 20/. (8) Manuscrito « com frechas e canas ». Deos se alembraria da sua alma; e tambem se achase mantimentos, que se ho nam matasem, que daria maneyra com que se trou-xesem as naos, ho que asy houveram por bem. E foy a dita terra, e tamto que a ella chegou, o recolheram hos da terra, e ho levaram por a terra demtro huma legoa, e sendo no lugar, a gente toda o vinham a ver, e lhe da vani de corner, lhe fizeram milita boa companhia maiormente quando viram que comia carne de porco; porque em esta ilha tratavam coni hos mouros de Borneo, e porque case a terra e a gente era sofreganha, faziam-lhes que nào comesem porco, nem hos criasem em a terra. Esta terra se chamava Dygiiasain (i) e està em 9 gr. Yenido ja o dito cristào que da gente era favorecido e bem tratado, por seus sinaes lhe deu a entender que ìevasem mantimentos as naos, que se lhe pagaria muito beni. E111 a terra nani avia, soomente arróz por pilar, e entam se meteo a gente a pilar toda a noyte, e vimdo a manham tomaram do arróz, e o dito cristào, e vieram as naos, domde lhes fizeram limita honra, recolheram o arróz e pagaram-lhes, e tornaram-se pera terra; e sendo este homen ja llancado em terra, vieram as naos outra gente de outro lugar, mais avamte hum pouco , e diseram que fosem a seu lugar, e que lhe dariam muito mantimento por seu dinheiro; e tamto que asy chegou 0 dito homen que aviam mandado, se fizeram a velia, e foram sorgir ao lugar dos que os vieram chamar, que se chamava Vuy paìay cticara canbam (2), homde I10 Carvalho fez paz com el rey da terra, e fizeram preco do arróz e davatn lhe 2 medidas de arróz, que pesavam 114 ar-rates (3), por tres bracas de lemco de Bretanha, domde tomaram quanto arróz quizeram, e cabras e porcos, e estando no dito lugar, veio ter ahy hum mouro, que estiverà no lugar de Dygancam (4), que he de mouros e de boni uccello (5), corno acima he dito, e com este se foy pera sua terra. (1) Manuscrito » se chama De gameìo », (2) Manuscrito v ypalajru cara canào ». (3) Manuscrito « que pezavam hnm quintali e 14 libras ». (^) Manuscrito « de Digo£3o ». (5) Assim parece ler-se no texto. O manuscrito de Paris tem « que he de mouros de Brunco ». — 93 “ Estando asy junto deste lugar de Dyguacam (i) surtos, veio ter hum parò com elles, domde vinha hum negro, que se chamava Bastiam , pedimdo huma bandeyra, e hum cartaz pera o governador de Diguacam, e deram-lhe todo, e mais outras cousas de presente. Perguntaram ao dito Bastiam, que falava rasoadamente portuguès, porque avia estato em Maluco, domde se avia feito cristào, se queria hir com elles a lhes ensinar Borneo, e elle dixe sv de muita boa vomtade, e vindo a partida, esconde-se, e vemdo que nam vinha, se fizeram d velia deste porto Dyguacam a 21 dias de julho (2), buscar Borneo; e em partindo veio ter com elles hum parò que vinha pera ho porto Diguacam, e tomaram-ho, domde tomaram 3 mouros, que deziam ser pilotos, e ques hos levariam a Borneo. Tendo asy estes mouros, governaram ao lomgo desta ilha ao sudueste, toparam com 2 ilhas ao cabo della, e pasaram por méo dellas, e da bamda do norte se chama bolyna, e da bamda do sull bamdym (3). Navegando a loes-sudueste até hobra de 14 legoas, toparam con fundo branco, que heram huns baxos, debaxo dagoa, e hos negros que le.uauam, lhes dixeram que se chegasem a costa da ilha, que era mais fundo porque hera esta parte mais pera Borneo, porque ja desta parage viam a ilha de Borneo. Este proprio dia chegaram a sorgir a humas ilhas que lhe poseram nome hos ilheos de Sam Paulo, que estam da ilha grande de Borneo hobra de duas legoas e ‘/2 té 3, e asy estam em 7 gr. pouco mais ou menos ao sull destas ilhas (4) : em a ilha de Borneo estd huma grandissima montanha a que pòs nome monte de sam p.°, e daqui navegaram ao lomgo da costa da ilha de Borneo ao sudueste por anitre huma ilha, e ha mesma ilha de Borneo, e foram sempre avamte por ho dito rumo, e chegaram em paraje de Borneo (5), e hos mouros, que consiguo levavam lhes dixeram qne ally era Borneo, e ho vento hos nào (1) Manuscrito « no lugar de Digamma e logo abaixo outra vez de Dig3(3 ». (2) Manuscrito « deste porto de DygamfKo a 21 dias de junho ». (3) Manuscrito « e a ilha da banda do norte se chama Boleva, e a da banda do sul Bamdill ». (4) Manuscrito « em 7 gr. pouco menos ao sull destas ilhas ». (5) Manuscrito « em paraje do porto de Borneo ». — 94 — lexou chegar Ila por ser contrario. Sorgiram em huma ilha , que haly estd, e haverd della a Borneo 8 legoas. Junto desta ilha esta outra que tem muitos mirabolanos: e lio outro dia se fizeram a vella pera a outra ilha que estd mais perto do porto de Borneo; e himdo asy viram tantos baxos, que sorgiram, e mandaram hos batés a terra em Borneo, levaram hos ditos mouros pilotos a terra, e foy hum homem cristào com elles, e chegaram os batés a deytalos em dita terra, homde aviam de hir a propria cidade de Borneo , que eram 3 legoas, e dally foram levados ao dabandar de Borneo, e perguntou que gente heram, e ha que vinham nas naos, e foram apresentados ao rey de Borneo com ho cristào : e tamto que asy hos dos batés poseram hos ditos homens em terra, sondaram com hos batés para ver se poiiam chegar mais (1): e nisto viram 3 juncos (2), que vinham do porto de Borneo, da dita cidade pera ho mar, e tan-toque viram as naos se tornaram pera demtro, e todavia asy som-damdo acharam ho proprio canal por domde entraram pera o porto, e loguo se fizeram a vella, e entraram por ho dito canal, e sendo asy no canal, sorgiram, nam quiseram hir mais demtro até nam saber recado da terra, ho que veio ao outro dia com 2 parós, e traziam certos bercos de metall, e mais ceni homens em cada parò, e traziam cabras e gallinhas, e 2 vacas, e figos, e asy outras frutas, e diseram que entrasem mais pera demtio comtra as ilhas que estam hy perto que hera 0 verdadeiro posto: e deste pouso a dita cidade averia 3 ou 4 legoas, e estando asy surtos trataram pazes, e asentaram que vendesem ho que avia hy em a terra, especialmente séra, ao que responderam que de boa vontade lhe venderiam todo 0 que houvese em a terra por seu dinheiro. Este porto de Borneo està em 8 gr. (3). (1) Manuscrito « se podiam as nàos chegar-se mais ». (2) « Os juncos (diz Pigafetta) sào as suas grandes naos, fabricadas desto moJo : o fundo todo, até a » altura de dois palmos acima da agoa, he de taboas cavilhadas entre si com cavilhas de pao , e muj' » bem fabricado. D’ ahi para cima s3o de cannas muito grossas que sahem fora por contrapezo. Hum » destes juncos leva tanta carga corno qualquer das nossas naos : os mastos s3o de cannas (bambù), e » as vellas de casca de arvore » etc. (3) No Frécis de Geogr. Univers., de Malte-Brun, tom. 1. edic. de 1831, pag. 612, se diz, que só em 1530 he que os Portuguezes derSo o nome de Borneo a està ilhq, e que Magalhàes a chamara Binine. Nao sabemos donde o autor tomou esta noticia, nam como lhe constou o nome que Magalhàes — 95 — K por està reposta asy avida do' dito rey lhe mandaram hum presente por Gonzalo Mendes Despinosa (i), da nao Victoria capitani, ho quali el rey recebeo ho presente, e lhes deu a todos panos da China: e havendo jà 20 ou 23 dias que ally estavam tratando coni os da ilha, e tinham Ila 5 homens em terra, na mesma cidade vieram sorgir em a propria barra, junto delles 5 juncos a horas de vesporas, e estando asy aquella tarde, e ha noyte, té ho outro dia polla menham, viram vir da cidade 200 parós, delles a velia, e delles a remo. Vendo asy hos 5 juncos, e parós, lhes pareceo que podia ser treycam, se fizeram a velia pera hos juncos, e tanto que a gente dos juncos hos viram d velia, se fizeram tambem d velia, e fogiram pera domde 0 vento lhes milhor servia, e alcancaram hum delles com os batés, e tomaram-ho com 27 ho-mes (2), e foram sorgir as nàos a par da ilha dos marabolanos coni o dito junco amarrado por popa da capitayna, e hos parós se tornaram a terra, e vimdo a noite, veho huma traboada de ponente, domde 0 dito junco se foy ao fundo abordo da capitayna seni se aproveitar nada delle. Ao outro dia polla menham viram huma velia e foram a ella, e tomaram-ha, a quali hera hum junco grande, domde vinha por capitani I10 fillio del rey de Lucani, e trazia comsigo 90 homès, e tanto que hos tomaram, mandaram a el rey de Borneo certos delles , e lhe mandarajn dizer por hos mesmos, que lhe mandaseli! os cristàos que Ila tinham que heram 7 homès, e que lhe dariam toda a gente que no junco tomaram, por ho quali lhe mandou ho rey hos 7 homès (3) que llia tinlia 2 delles em hum parò, e tornaram-lhe mandar dizer que lhe mandase hos 5 que ahimda lhe ficaram, e que lhe mandariam toda a gente, que do junco tinham. dava a Borneo. O que sabemos de certo he que, pelo menos, em 1521 jà os Portuguezes a denominavSo com este nome, que muita veses vem repetido em ambos os manuscritos do nosso Roteiro. No outro manuscrito de Duarte Barbosa, que tambem temos presente, se lè constantem ente Doriuho: cBroneho: e Pigafetta , na editilo de Amoretti, escreve sempre Burnì, (e nao Brune) ; sendo muito de presumir, que os navegantes da armada de MagalhSes j;\ davilo à ilha 0 nome portuguez Borneo, que Pigafetta o escreveo em italiano com mui pequena alteralo. (1) Manuscrito « Gonzalo Gomcz Despinosa ». Vei a not. 47. (2) Manuscrito « com 17 omes ». (3) Manuscrito « doj sete homes «. - 96 ~ Esperando 2 dias por a reposta, nam lhe veo recado nenhum: entam tomaram 30 homès do junco, e meteram-hos em hum parò do mesmo junco, e mandaram-hos ao dito rey de Borneo, e fizeram se d velia com 14 homès daquelles que tomaram, e 3 rno-lheres, e governaram ao lomgo da costa da dita ilha ao nordeste pera trds, e tomaram a pasar por anitre as ilhas grandes de Borneo (1), domde a nao capitayna tocou na pomta da ilha, e esteue asy por davante 4 horas, e tornou a mare, e sayo, homde se vio craramente, que a mare hera de 24 horas (2). Fazendo ho caminho jd dito, saltou ho vento ao nordeste , e toram em a volta do mar, e viram vir huma velia, e as ndos sorgiram, e foram a ella hos batès, e tomaram-ha, que era hum junco pequeno, e nam trazia outra cousa senam còcos, e fizeram aguada e tomaram 0 tavoado, e fizeram-se d vella ao longo da costa da ilha ao nordeste até ser na firn da dita ilha, e acharam outra ilha pequena, homde recorreram as naos. Chegaram a esta ilha ho dia de nosa Senhora de agosto, e nella acharam muito bom porto pera por ds naos em monte, e poseram-lhe nome porto de Scimta Maria de Agosto, e esta em 7 gr. largos. Tanto que vieram ao dito resgate (3) se fezeram a velia , governaram ao sudueste até ver vista da ilha que se chama Fa-gajam (4) e he ròta de 38 té 40 legoas: e tanto que houveram vista da dita ilha, governaram ao sudueste, xe tornaram a demandar huma ilha que ha nome Selope (5) e houveram noticia, que havia nella muitas perllas: e ja avendo ha vista da dita ilha, saltou-lhe ho vento por proa, e nam ha poderam tornar polla navegagam que fizeram, e lhes pareceo, que podia estar em 6 gr. Esta mesma noyte chegaram a ilha de Quype, e correram ao longo della ao sueste; e pasaram amtre ella, e outra ilha, que se chama Ta-tngim (6), e sempre correndo a costa da dita ilha, e vimdo asy (1) Manuscrito « por amtre as ilhas, e a ilha grande de Borneo ». (2) Manuscrito « e esteve asy per obra de 14 horas, que tornou a marè esqua^a, onde se vyo crara-« mente, ser a marè de 14 horas ». (3) Manuscrito a rcsguardo ». (4) Manuscrito «c CagamjA ». ($) Manuscrito a Solloque ». (6) Manuscrito « Tamgvma ». - 97 — asy, acharam lumi parò carregado de xayra (i) em pàes, que he hum pào feyto de hum arvore que se chama cajare, que junto com aquella terra comem por pào (2), ho quali parò trazia 21 homès, e ho principali delles avia estado em Maluco em caza de Francisco Serram (3), e levados mais ao longo da dita ilha chegaram àbilltam de humas ilhas que ham nome Stmrrytn, e stani em 5 gr. pouco mais ou menos (4). A gente desta terra veo a ver as nàos, e asy vieram à falla hos huns com hos outros, e daquella gente hum velho dixe que os queria levar a Maluco. Estando asy avido prazo (5) do dito velho, se fez concerto com elle, e deram-lhe certo prego por isso; e vindo ao outro dia, que avia de partir, ho velho quisera fogir, e entenderam-ho, e prenderam a elle, e a outros, que coni elle estavam, tambem diziam que sabiam de pilotos, e fizeram-se à velia ; e tanto que a gente da terra hos vio hir, armaram pera hir apòs delles : e destes parós nani chegaram às nàos mais que 2, e chegaram tafn perto, que lancaram demtro nas nàos freschas, e ho vento hera fresco (6), e nam poderam ter coni elles : e à mea noyte daquelle dia hou- (1) Manuscrito « carregado de sagù em pies ». (2) O manuscrito de Paris , em lugar do nome cajare, que aqui se dà à arvore de que se fazia o pio, repete « que se chama sagù » Pigafetta, falando dos usos da ilha de Geilolo diz « o seu pio he » feito do lenho de huma arvore semelhante à palmeira, e 0 fazem deste modo : toman hum pedalo » desto lenho: tirao lhe hum espinhos negros e compridos, que tem, e depois o machucào , e fazem » delle pio, que chamio sagù. Deste pilo fazem provisdes para as viagens do mar. 0 E em outro lugar » falando dos povos do Brasil, diz ». Fazem hum pio redondo e branco do miòllo , ou ante? da casca » interna, que està entre a cortina e 0 lenho de huma arvore, e parece requeijio, ou nata « sobre o que » reflecte Amoretti que ». Bougainvillc, c quasi todos os navegadores falào do pa 0 lirado do miòllo de » huma palmeira, chamado Sagù ». Vej. Barros, Decad, 5, liv. $, cap. $. (5) Este Francisco Serrani era portuguez, grande amigo, e compadre, ou parente de Magalhies, e foi sem duvida quem o induzio a emprehender aquella viagcm, tanto em desservifo da sua na£ào. « Quando a armada chegou a Maluco (diz Pigafetta) ilio havia ainda oito mezes, que Francisco Serrani » tinha fallecido cm Ternate. Era elle capitio generai de el Rei de Ternate quando este fazia guerra » ao de Tidorc ; c tanto trabllhou que o de Tidore se vio obrigado a dar sua filila poi muchcr ao de » Ternate, e em refens quasi todos os filhos dos principacs senhorcs de Tidore, e entào se fez a paz. » O Rei de Tidore porèm nunca perdom em seu coragao ao Serrani ; e tendo este liido depois de » muitos annos a Tidore, ao contrato do cravo, 0 Rei 0 fez cnvenenar nas folhas do betle, de mancira » que apenas sobreviveo quatro dias » etc. Assim, nem Magalhies, nem Serrani chegaram a ver o firn , e o fructo de sua empreza. (4) Manuscrito « chegaram A vista de huns ilheos, que ham nome n Samyns, e estam.... etc. *>. (5) Manuscrito « prazmo ». (6) Manuscrito « ftraquo ». Società Ligure St. Pairia. Voi. XV. 7 - 98 - veram vista de humas ilhas, e governaram mais» adiante, e ao outro dia viram huma terra que hera huma ilha, e d noyte, que daquelle dia se seguia, se acharam muito perto della, e vindo a noyte lhes acallmou ho vento, e as correntes hos langavam muito a terra, domde ho piloto velho se langou ao mar e acolheo-se a terra. Navegando asy mais avamte depois de lhe ser fogido hum dos pilotos, houveram vista de outra ilha, e chegaram junto com ella, e outro piloto mouro dixe que ahimda Maluco estava mais avamte, e hasy navegando ao outro dia polla menham houveram vista de 3 montes altos, que heram de huma nagam de gemtes, que chamavam os Salabos (i), e logo viram huma ilha pequena, domde sorgiram pera tornar alguma agoa, e por aver medo que em Maluco lha nam leixasem tornar ; e dexaram de fazer, por ho piloto mouro dizer que em aquella ilha avia huns 400 (2) homens, e heram todos muitos roìs, e imdo lhe poderiam fazer algum mali, por serem homès de pouca vertude (3); que lhes nam dava tali conselho, que a dita ilha fosem : e asy tambem que Maluco , que elles buscavam, hera ja perto , e que hos reys delles heram bons homès (4), e que aguasalhauam a toda genero de homès em suas terras : e imdo em esta paraje (5) , viram as proprias ilhas de Maluco, homde por festa tyraram toda artelha-ria, e chegaram a ilha (6) a 8 do mez de nobrembre de 1521, e asy que poseram de Seuilha até Maluco 2 annos, 2 mezes, 28 dias, porque partiram a 10 de agosto de 1519 annos (7). Tanto que chegaram d ilha de Tidor que estd em meò grao (8), ho rey della lhes fez muita homra, que nam podia ser mais, domde trataram paz com o dito rey pera sua carga, e o rey se (1) Manuscrito « os Calibes (2) Manuscrito « 500 ». (3) Manuscrito « de pouca verdade ». (4) Manuscrito 0 heram muito bons homès ». (5) Manuscrito « e vmdo cm estas pratyquas ». (6) Manuscrito « 4 ilha de Tidore ». (7) Pigafetta: « sexta feira 8 de novembro de 1521, 3 horas antes do pór do sol, entramos no porto » de huma ilha chamada Tadore ..... Tinào-se passado 27 mezes, menos dous dias, que buscavamos » Maluco ». (8) Pigafetta pòe esta ilha a gr. 0.27'. — 99 — lhes obrigou a dar a carga, e asy todo o que ouvese em terra por seus dinheiros, e asentaram que davam por ho habar de oravo (i) 14 varas de pano amarello de 27 tem (2), que valem em Castella hum -+- a vara (3) : de pano vermelho da mesma sorte dés varas ; e asy davam 30 varas de bretanha, co usa destas (4) lhe davam hum habar de oravo: asy mesmo por 30 ma-ohados 8 bahares (5) : e tendo asy asemtado hos ditos pregos acima decrarados , lhe deram novas a gente da terra, que mais avamte em outra ilha dahy perto estava hum homem portuguès, que podia ser dally 2 legoas aquella ilha, que se chamava Targateli (6), que hera principal de Maluco domde nós aguora temos a fortale^a (7). Entam espreueram cartas ao dito portuguès, que viesem a falar com elles, ao que lhes respondeo que nam hou-sava, porque 0 proprio rey da terra lho defendia ; que housevem elles licenza de eli rey et que loguo hiria, a quali licenza loguo houveram, e veo 0 portuguès a fallar com elles (8). Dando lhe conto dos precos, que tinham asemtados, do que elle bem se espan-tou , e dixe que por iso lhe mandara el rey que nam viese por nam saberem a verdade dos precos da terra : e estando asy tornando carga, veo a elles ho rey de Barabam (9), que he d’ahy perto, e dixe que queria ser vassallo dell rey de Castella, c que asy tinha 400 bahares de cravo, e que ho venderà a el rey de Portugall, e que ho tinham comprado, e que ho nam tinha aimda (1) <1 Hum bahar, diz Pigafetta,, sio quatro quintaes c seis libras, c cada quintal tem loo libras <1 Duarte Barbosa » Hum bahar sào quatro quintaes velhos de Portugal ; cada quintal velho sio tres » quart:s c mei.o de quintal novo, e he de 128 arrateio, de 14 onjas cada hum », A respeito dos precos das mercadorias confira se Pigafetta. (2) No manuscrito de Paris falta està palavra « tem ». (3) Com este sial -f- se aclia muitas vezes designado em antigos documentos o rru~ado. (4) Manuscrito « e por cada coratia destas ». . (5) Manuscrito « por 30 machados outro bar », (6) Manuscrito « que se chamava Tarliate ». (7) Esta clausula parece ter sido acrescentada ao texto porquem tirou a copia ; porque a fortaleza de Ternate sòmente se comefou a edificar 110 anno de 1522, cm dia de S. Joio, scudo capitilo Antonio de Brito. (Castanheda L. 6, cap. 12). (8) Este Portuguez. de que aqui se falla, pare ce ser Pejro Alfonso de Lourosa, que trahio os Por-tuguezes e se passou aos Castelhanos, segundo a Retatilo de Pigafetta. Pòde ver-se na edic. de Amoretti pag. 137 e segg., c pag. 153. (9) Manuscrito « de BargSo ». entreque, e que se ho quisesem que Ilio daria todo, ao que os capitàes responderam que trazendo-ho a elles, e vimdo, que o comprariam, que de outra maneira nam : e vemdo el rey que Ilio nam queriam tornar ho oravo, lhes pedio huma carta, e huma bandeyra (i) ha quali lhe deram asynada por hos capitàes das naos. Estando asy pera lhes darem sua carga, pareceo-lhes que por a tardanca do despacho, que ho rey hordenava alguma treycam contra elles, e ha maior parte da gente das naos se alvoracou , e deziam aos capitàes que se fosem, que aquella demora, que ho rey com elles amdava, nani hera salvo alguma treycam, parecendo à todos que podia ser asy, deixavam ja todo, e queriam se hir, e estando para desferir as vellas, veo ter com elles ho rey , que thina com elles feyto ho concerto, a nao capitayna, e perguntou ao capitani porque se queria hir, porque ho que hera concertado antre elles, que o queria comprir corno ficara. O capitani respondeo, que a genite das naos deziam que se fosem , que nam estiuesem mais, que aquillo nam era saluo treycam que lhe armavam : ao quali respondeo el rey, que tali nam era, e que por hysso loguo mandava por seu alcoram, em que elle queria fazer juramento, que lhes nani fose tali feyto: ho quali alcoram luogo trouxeram, e nelle fez juramento, e dixe, que sobre elle descansasem, dos que as gentes das naos deseansaram, e prometeo que lhes daria sua carga fasta 15 dezembro 1521, ho qual comprio no dito tempo sem nada fazer (2). Estando as duas naos ja carregadas pera desferir as vellas, a nao capitayna (3) abrio huma muito grande agoa, e temdo isto el rey (4), da terra lhes mandou 25 amergulhadores pera tomarem agoa, ho que nam se podera fazer ()), acordaram que a outra se fose, e que aquella se tornase a descarregar de todo, e que lhe desem descargagam ; poisque nani podiam tornar hagoa que lhes (1) Manuscrito * lhes pedio huma bandeyra, e hum cartaz de seguro ». (2) Manuscrito a sem faltar nada ». (3) A nào capitania era a « Trindade ». Veja-se adiante a not a no. (4) Manuscrito « e sendo sabido isto por el rey ». ()) Pigafetta diz que o Rei lhes mandàra 5 mergulhadores , e depois mais outros tres, que nào poderao veJar a agoa. — 101 — dariam todo quanto lhes fizese mester, ho que asy fizeram, e deram descarregagam a dita nào capitayna : e ha dita nao asy cor-regida, tomaram sua carga, e detriminaram hir tornar a terra das Amtilhas, que era da ròta da Maluco a ella 2000 legoas pouco mais ou menos. A outra nao, que primeiro se partio, pardo a 21 dezembre da dita era, e saio por Teymar (1) fora, e cortou por detras da Java, 2055 legoas (2) ao Cabo de Boaesperanfa (3). Corregeram a nao, e tomaram ha carga em 4 mezes, 16 dias: partiram a 6 do mes de abrill da hera de 1522, e tomaram sua ròta pera terra firme das Amtilhas, via do estreyto (4), por domde aviam saido, e logo navegaram ao norte té sairem das ditas ilhas' de Ternate e Tymor (5), e depois navegaram ao lomgo da ilha de Betachina ao nordeste (6) dés ou onze legoas, e despois governaram hobra de 20 lego*as ao nordeste, e asy chegaram a huma ilha, que ha nome Doyi (7), que està em 3 gr. e '/2 da banda do sueste, e daqui navegaram a leste 3 ou 4 legoas, e houveram vista de dùas ilhas, huma grande, e outra pequena: a grande chamaran a Porquenampello (8), e pasaratn por antre ella e Batechina, que lhes ficava, da banda de estibordo. Chegaram a hum cabo, a que poseram nome Cabo de ramos, porque houveram vista delle bespora de ramos. Este cabo estd em 2 gr. e ‘/2 : e daquv governaram ao sull a demandar a Ouimor (9), que he terra del rey de Tydor, e mandava ho dito rey que lhe mandasem todo o que em a terra houvese por seu dinheiro, e ally tomaram porcos, e (1) Manuscrito « por Timor ». (2) Manuscrito « 2050 legoas'». (3) O leitor se lembrarà, que das cinco nàos, que Magalhàes levou na sua expedicào, huma se perdeo 110 porto de S. Juliào ; outra fugindo, voltou a Hespanha; e a terceira foi queimada perto da ilha de Zebù. Restavào tamsómente as duas Trindade e Victoria. Esta foi a que sahindo das Molucas era de-zembro del 1 $21, tomou o caminho do Cabo da boa esperan^a, e veio*a Sevilha em setembro de i$22. Nesta foi, e veio Pigafetta. A Trindade, depois de concertada, tornou o caminho opposto e dirigia-se a Yucalan, ao isthmo de Darien que aqui se diz a terra das Antilhas r.jnais vio-se obrigada a voltar arri-bada às Molucas, e estando a descarregar cm Ternate para se reparar, ahi deo à costa (4) Manuscrito « ou ao estreito ». (5) Manuscrito « e Tydore ». (6) Mauuscrito « noniordeste ». (7) Manuscrito « ha nome Domy ». (8) Manuscrito « e a grande à nome chàol; a pequena pyliom ». (9) Manuscrito « a Quemarre », — 102 — cabras e gallinas e còcos, e bava (i); estiveram no dito porto 8 ou 9 dias. Està este porto de Camarfya (2) em'hum gr. ?/4. Partiram deste porto a 20 (3) do mes de abrill, e governaram até 17 legoas (4), e sairam por ho canali da ilha de Batechina, e da ilha do Charam (5), e tanto que foram fora, viram que a dita ilha do Charam (6) corria ao sueste bem 18 ou 20 legoas, e nam hera o seu caminho; porque ho seu caminho era alleste (7) e quarta de nordeste, domde navegaram no dito rumo huns dias, e acharam sempre hos ventos muito ponteiros pera seu caminho. E aos 3 de mayo tomaram duas ilhas pequenas, que podiam estar 'em 5 gr. pouco mais ou menos, a que poseram nome as ilhas de Samtamtonio (8). Daquy navegaram mais avamte ao nordeste, e ja chegaram a huma ilha que chamam Cyco (9), que està em 19 gr. largos, e tomaram aquella ilha 11 de julho (10). Desta tomaram hum homem, leuaram comsygo, e daquy navegaram mais avante tornando bordos de huma banda e da outra por terem hos ventos contrarios, até que chegaram a 42 gr. da banda do norte. Sendo em este paraje, lhes faltou o pam, vinho, e carne, e azeite: nam tinham que corner, sómente aguoa e arróz sem outro mantimento, e ho frio era grande, e nam tinham com que se cobrir : comencou-lhe a gente de morrer, e vendo-se asy detremi-naram de arribar caminho de Maluco, ho que loguo poseram em hobra, sendo della obra de 500 legoas, quiseram tornar a ilha que ha nome Quamgragam (11), e por aver vista della a noyte a nam quiseram tornar: pasaram asy até ho outro dia amanhecendo, e nam poderam tornar ha dita ilha; e o homem, que levavam, que antes aviam tornado na dita ilha, lhes dixe, que fosem mais (1) O manuscrito de Paris tem « e agoa » ; mas ha va ou avia he huma bebida usada naquellas terras. (2) Manuscrito « de Camarro ». (3) Manuscrito « a 25 ». (4) Manuscrito « e governaram alleste 17 legoas ». (5) Manuscrito « de chao ». (6) Manuscrito a ilha de Batechina ». (7) Manuscrito « aloeste ». (8) Manuscrito a as ilhas de Sam Joam » e diz que as tomaram a 6 de maio. (9) Manuscrito « Chyquom ». (10) Manuscrito « 11 de junho ». (11) Manuscrito « quiseram tornar a tornar a ilha, que hi nome magregua ». - io3 — avamte, que tomariam 3 ilhas, homde tinha bom porto, e isto que ho negro dizia, hera pera nellas fogir, com de feyto fogio ; e arribando as ditas 3 ilhas, as tomaram com asaz periguo, e sorgiram no meo dellas em 15 bracas, as quaes ilhas a huma delhas, que hera a mais grande, povoada de 20 pesoas, amtre homès e molheres, esta ilha se chama Pamd (1) està em 20 gr. pouco mais ou menos, e aqui tomaram agoa de chuva, por nao aver outra na terra. Em ista ilha fogio ho negro (2): e daquy partiram a demandar huma terra de Camafo, e tanto que a viram, tiueram callmarias, e as correntes hos arredavam da terra, e despois lhes deu hum pouco de vento, e demandaram ha terra, e nam a po-deram tomar ; homde quiseram (3) sorgir antre a ilha de Domi e Batechina, e semdo surtos, pasaram em hum parò por elles huns homès que heram de hum rey de huma ilha que se chama Gei-lólo (4), e deram-lhes novas que estavam Portugueses em Maluco fazendo fortaleza. Sabendo asy isto, mandaram logo 0 esprivam da dita nào com certos homès (5) ao capitani mór daquellas Portugueses, que avia nome Antonio de Bryto pera que viese e leuase a nào adomde elles estavam; porque a gente da nào hera a mais della morta, e ha outra hera doente nào podia navegar a dita nào. E tamto que Antonio de Bryto vio a carta e recado, mandou a dom Gondalo (6) Amriquiz, capitam do navio sam Gorge (7), e asy huma fusta com certos parós da terra e foram asy em busca da nào, é achando-a trouxeram a fortaleza, e estando-a descarregando veo do norte (8) hum tempo, que a langou d costa. Domde està nào tornou arribar pera Maluco, 1050, ou 1100 leguas da ilha pouco mais ou menos. (1) Manuscrito « sc chama mio ». (2) Manuscrito « ho negro, e tres cristios », (3) Manuscrito « homde quizeram, c foram sorgir ». (4) Manuscrito n Gelolo ». (5) Manuscrito « con certos homès com cartas ». (6) Manuscrito « a dom Garcia » Garcia e nilo Gonzalo era o nome desto fidalgo. Vej. Barros c Castanheda, que se deverà ler sobre estes ultimos successos da expedi{io. (7) Manuscrito « Sam José ». (8) Manuscrito o de noite ». — 104 — E isto foi tresladado de hum quaderno de hum piloto Genoès, que vinha na dita nao, que espreveo toda a viage corno aqui estd. E foi pera Portugal ho anno de 1524 com dom Amriqui de Menezes (1). Deo gracyas. [Extrabido da Coll, de Not. Ultram. Tom. IV. pag. 145 a 176]. (1) Està nota bem se vè que n3o pertence ao Roteiro, e que foi acresccntada por quem o copiou : e tambem jà notamos a differenza que havia entre ella, e a outra semelhante do manuscrito de Paris. Parece-nos que quem a escreveo tevc alguma equivoca^ilt), nascida acaso de haver naquelle tempo na India muitos fidalgos do appellido de Mcue^cs. Castanheda diz que D. Duarte de Menezes,, acabando de governador da India a 4 de dezembro de 1524 partira para Portugal depois de 20 de janeiro de 1525, com cinco nàos : que huma dellas, em que vinha seu irmSo D. Luiz de Menezes , desappareccra no caminho; e que D. Duarte, chegando a Portugal com as outras quatro, se perderà em Cezimbra , aomde a sua nào deo à costa (liv. 6, cap. 77 e 78), A D. Duarte succedco o Conde Almirante Dom Vasco da Gama , que logo falleceo : e aberta a primeira successào , ficou por ella governando a India D. Hen-riques de Menezes: por onde se vè, que nilo podia este D. Amrique de Menezes vir para o reino em 1524. corno diz a nota. Este benemerito Governador falleceo cm Cananor, com sentimento de todos os bons Portuguezes, em dia da Purificac5o de N. Senhora do anno de 1526 (ib., cap. 133). INTORNO AL FIORENTINO GIOVANNI VERRAZZANO SCOPRITORE IN NOME DELLA FRANCIA ui REGIONI NELL AMERICA SETTENTRIONALE STUDIO SECONDO l‘ER IL SOCIO CORNELIO DE SIMONI GIOVANNI VERRAZZANO SCOPRITORE DI REGIONI NELL’ AMERICA SETTENTRIONALE el Periodico francese la Revite Critique d’Histoire e l de Littéralure (gennaio 1876) , il signor Enrico Harrisse diede la notizia e 1’ analisi d’ un libro del, signor H. Murphy di Brooklyn intitolato: The Voyage of Ver radano, New York, 1875. L’Autore di questo libro tratta di favola e d’impostura la finora generalmente ammessa lettera del Fiorentino Giovanni Verrazzano, con cui questi nel luglio 1524 riferisce al Re Francesco I il risultato del suo viaggio , e la sua scoperta della costa orientale dell’ America del Nord. Un nostro articolo: il Viaggio di G. Verranno, stampato nel-l’Archivio Storico Italiano (Firenze, agosto, 1877) si propose^di combattere i ragionamenti del signor Murphy, per quanto si potea conoscere dall’ analisi della Revue sovra un libro che non è in — io8 — commercio. E mentre lamentavamo che 1’esser privi dell’originale non ci consentisse di meglio esaminare certi punti più difficili o pretesi più solidi, ci pareva che già ne risultasse abbastanza, grazie ai nuovi documenti prodotti dallo stesso critico, la. conferma della Relazione del Verrazzano ; donde si poteano ritenere specialmente provati i quattro punti seguènti : 1.° Che veramente Giovanni Verrazzano avea ricevuto dal Re Francesco ordini per intraprendere una simile spedizione; 2.° Che realmente nell’ intervallo fra gli ordini del Re e 1’ esecuzione del viaggio di scoperta vi fu un corso del Verrazzano contro gli spagnoli che diede un ricco bottino. 3-° Che, mentre si hanno di quel Navigatore notizie in Europa fino al giugno o maggio 1523 e di nuovo dal luglio ed agosto 1524 in poi, manca ogni notizia di lui durante il tempo intermedio che deve essere occupato appunto nei preparativi e nell’ esecuzione del viaggio, in conformità della sua lettera; 4.0 Che Verrazzano in Dieppe ove abitava e alla Corte di Francia godeva fama di ottimo Piloto , e fu incaricato del comando a viaggi lontani; tanto dall’Ammiraglio di Francia quanto dai primi Armatori del Regno. Mentre si correggevano le bozze del nostro articolo , ci pervenne il libro del sig. Murphy: The voyage of Ferravano ; a chapter in thè early History of maritime discovery in America: Nuova Jorch, 1875. L’ebbimo per cortese comunicazione dal dotto Geografo, il signor Gabriele Gravier di Rouen; tosto lo scorremmo avidamente, ma ci bastò appena il tempo per porre alla fine della stampa una: nota, dicente: che la nostra opinione dopo quella lettura non solo non era mutata, ma che anzi ci trovavamo nuovi argomenti, per consolidare sempre più la veracità del Verrazzano e la realtà della sua scoperta. Sono queste le considerazioni che ci persuasero a dettare questa nuova Memoria che presentiamo al dotto Congresso degli Americanisti, non senza esitanza per la debolezza delle nostre forze, ma colla piena convinzione che l’onore e la gloria del Navigatore fiorentino rimarranno tanto più incontrastabili, quanto più fieri, ingegnosi e studiati furono gli assalti del suo contraddittore. — 109 — I. Il sig. Murphy ci regala il fac-simile di uno schizzo che il Piloto francese Giovanni Alfonse inserì nella sua Cosmographie, scritta verso il 1545 e conservata in ms. alla Biblioteca Nazionale di Parigi (francesi n. 676). Delineando 1’ Alfonse parte della costa orientale d’America dal Capo Raso in giù, perviene ad un fiume e ad un capo , da lui chiamato Norvebergue o Noroveregue (certamente corruzione del più noto nome di Norumbega) (1); nome che qui il Critico giustamente per nostro avviso (ma contro altra sua opinione come vedremo) interpreta per l’odierna Baja Penobscot. Continuando lo schizzo all’ ingiù, Alfonse segna un Capo col nome di de la Franciscane che il critico traduce pel Capo odierno Anne nel Massachusset. Alfonse segue a dare lo stesso nome di La Franciscane, alla costa che cominciando da quel Capo si prolunga indefinita verso la Florida. Io non voglio qui giudicare se sia giusta l’attribuzione al Capo Anne; mi preme soltanto di far risaltare che nel concetto d’Alfonse, anzi nel concetto stesso del Murphy, la Terre Franciscane non è insù verso il Nord e il Capo Breton, ma comincia a mezzogiorno della Norumbega e si stende da un qualche punto del Massachusset all’ ingiù verso la Florida. Quale è la spiegazione, l’origine di quel nome la Franciscane? Il dotto critico sorvola su tale domanda alla pag. 36 ove si presentava così ovvia, ma vi ritorna a pag. 88 a proposito di altro nome Francesca di cui tosto parleremo. Colà afferma che entrambi questi nomi devono la loro origine ai pescatori francesi che accorrevano per la loro industria alle coste della Nuova Scozia e della Nuova Inghilterra, come farà vedere pia tardi. Anche noi ci ritorneremo più tardi per esaminare su quali fatti sia fondata la pretesa importanza e frequenza delle pescherie nella prima metà del secolo XVI; ma affermiamo fin d’ora non esservi alcuna prova che tali pescherie si stendessero a mezzogiorno fino a comprendere la Nuova Inghilterra. — 110 — IL Tanto più fa difetto la prova che que’ pescatori sieno discesi anche più a mezzogiorno fino alle coste della Nuova Iersey. Eppure il critico pretende spiegare alla stessa maniera e col medesimo pretesto la leggenda el viages de Frances che si trova, secondo lui stesso, in una carta di Battista Agnese dell’anno 1536. Tale leggenda, egli la descrive a pag. 100, come indicante una traccia di viaggio che partendo dal Nord della Francia finisce sulla costa d’ America alla latitudine boreale di 40 o 41 gradi, presso un istmo di cui parleremo. Ma sarebbe una espressione impropria applicare il nome di viaggi all’esercizio delle pescherie : ancor più improprio, anzi a controsenso, sarebbe applicarvi la parola usata da Alfonse, Terre de la Franciscane. È evidente che questa leggenda indica terra e non mare, possesso e signoria, non mestiere eventuale; ed accennando, sebbene in modo indefinito, alla volta della Florida implica 1’ approdo e la parte iniziale dell’ esplorazione di Verrazzano. La parola Franciscane, come la parola Francesca, pajono indicare qualche cosa di più che semplicemente la Francese; aver cioè relazione col nome del Re Francesco I, ordinatore della scoperta. Infine se fosse anche vero che già nel 1536 quando Agnese faceva la Carta, tali coste fino alla Nuova Iersey fossero già così frequentate, come pretende il critico, da pescatori francesi che abbiano dato nome anche alla costa e terre interiori, ciò implicherebbe una scoperta francese di parecchi anni prima. Ma di simili scoperte non si ha alcuna traccia all’infuori di quella del Verrazzano. III. * Il nome di Francesca, osserva il sig. M. (p. 104), si trova in una Tavola delle Nuove Terre, inserita da Sebastiano Munster nella sua edizione di Tolomeo (Basilea per Enrico Pietro 1540). Ma, secondo lui, tale nome è collocato al disopra del Capo Breton, anzi sopra del parallelo di 50 gradi: perciò non vi deve essere stato — Ili — posto, se non per indicare il golfo e fiume di S. Lorenzo, ossia le scoperte francesi del Cartier nel 1534-35. Ma ^ S. M. s’inganna. Io non possedo l’edizione del Munster 1540, ma ho sotto gli occhi quella del 1545, che, insieme alla sua cosmografia dell’ edizione 1550, presentano tavole di eguale fattura. Ebbene io guardo ivi il nome di Francesca e lo trovo collocato nel centro di una gran regione, i cui confini tutto all’intorno sono il fiume San Lorenzo e un lago 0 mare che ne discende in giù, il Capo Breton, la Florida e 1’ Atlantico. Essa è dunque la terra che frappoco vedremo essere chiamata la Francese dal Capitano di Dieppe; e che Alphonse vedemmo aver diviso in due regioni, chiamando l’una Noroveregue 0 Nurumbega e 1’ altra la Franciscane. Ma, con pace del S. M., questa seconda denominazione fu posta da Alfonse alla metà meridionale soltanto ove Cartier non fu mai, ne’ altri fino a’ que’ tempi; perciò non vi è speranza di poter attribuire l’origine del nome a queste ultime spedizioni. IV. Fra altri argomenti che nel mio articolo precedente avevo recati in difesa di Verrazzano, entrava il racconto del Capitano di Dieppe. Io lo credeva un argomento nuovo giacché il sig. Harrisse non ne fa cenno ; ma ora vedo che il Critico lo conosceva (e mi parea strano che no ) e si prova a confutarlo. Premette che tale racconto non si trova che nel Ramusio e che è bensì autentico nel suo complesso, ma può essere stato alterato dall’ editore secondo la stia pratica per conciliarlo con altre notizie. Ciò posto il Critico intende sostenere che appunto il passo relativo al Verrazzano vi fu interpolato a guisa di una parentesi; e per rendere chiara la dimostrazione, riferisce quel passo per disteso, scrivendo la parentesi in caratteri corsivi (pag. 86-7, 137). Ottimamente fatto! E per rispondere io non ho che a pregare i lettori a rileggere attentamente tutto il periodo riferito dal Critico; e a voler riconoscere, se, tolte le parole che a lui sembrano una parentesi introdottavi pensamente, il senso letterale e grammaticale corra liscio ed intero, come correva prima di quella mutilazione. — ri2 — E sostengo che il periodo non corre più sulle sue gambe ma resta campato in aria e che dunque la pretesa interpolazione deve essere una fantasia del sig. M. Il Capitano di mare di Dieppe, nel 1539 ponendo mano a descrivere tutta la costa americana dell’Atlantico dal paralello 6o"w in giù, comincia a parlare dell’isola di Terranova ed avverte che il tratto dal Capo di Bonavista al Golfo delli Castelli (stretto di Bellisle) e più in su fu scoperto dai Brettoni e Normanni ; il tratto da C. Bonavista in giù fino al Capo Raso per 70 leghe fu scoperto dai Portoghesi. Dal Capo Raso al Capo Breton la costa muta direzione, e corre da levante a ponente per roo leghe a 46 gradi di latitudine e fu scoperta 35 anni fa (cioè nel 1504) dai Brettoni e Normanni, per la quale ragione vien denominata Capo dei Brettoni. Al di là del C. Brettoni la costa corre fino alla Florida per 500 leghe; «la quale costa (qui comincia la pretesa parentesi od interpolazione) la quale costa fu scoperta da Messer Giovanni da Verrazzano in nome del Re di Francia e di Madama la Reggente (e qui finisce la parentesi secondo il Critico) , la quale terra è chiamata da molti la Francese, e parimente dai Portoghesi stessi.... e finisce verso la Florida a 30 gradi di latitudine Nord». Leggendo tutto insieme questo passo per afferrarne il senso, si capisce che la costa dal C. Breton fino alla Florida o a 30.0 fu scoperta due volte, cioè e da Verrazzano e parimente dai Portoghesi stessi (che già avean scoperto parte dell’ìsola di Terranova). Ma se noi togliamo le parole : fu scoperta da Messer Giovanni Verrazzano...... le altre parole e parimente dai Portoghesi non hanno più capo nè legame nel periodo; non si capisce più come ci stieno e che cosa vogliano dire. Dunque quelle parole precedenti non possono essere una interpolazione, ma parte integrante del discorso. Si aggiunga che, come apparisce dalla descrizione sovrariferita, il Capitano di Dieppe indicava mano mano chi erano gli scopritori ed anche l’origine della denominazione, dove lo poteva; laonde il detto da lui che quella terra era stata scoperta in nome del Re di Francia colla giunta la quale terra 'e da molti chiamata la Francese, fa comprendere abbastanza che essa è detta appunto così, perchè scoperta in nome di quella nazione. D’altra parte tale denomina- - n3 — zione non si può applicare alle scoperte di Cartier (come il Critico vorrebbe) perchè si tratta di una regione diversa affatto, ciò che fi sopra osservato; la posizione della costa qui descritta dal Capitano di Dieppe combina invece perfettamente con quella scoperta da Verrazzano. Mi piace pigliarne occasione per chiedere conto al S. M. di una sua affermazione che non intendo bene. Egli rimprovera d’ inesattezza il racconto del Capitano di Dieppe, che alle parole scoperta d’ ordine del Re aggiunse e di Mada?na la Reggente: secondo lui, (p. 27), Francesco I non nominò Reggente sua madre Luisa se non l’ottobre 1524, dunque dopo il ritorno di Verrazzano. L’accusa veramente non tocca Verrazzano 0 il preteso suo falsario, cosicché potrei passarmene; ma leggo nel Sismondi (XVI, 188) che nell’ottobre 1524 il Re non fece che riconfermare a sua madre quel titolo datole un anno prima. Il più curioso si è che entrambi, il sig. Murphy e il Sismondi, citano a loro fonte Isambert , antiche leggi francesi XII, 230. Come una sola fonte può dare due affermazioni contraddittorie? Sta dunque ciò che abbiamo scritto nella nostra prima Memoria, che la scoperta di Verrazzano era confermata dalla testimonianza del Capitano di mare di Dieppe; sia poi lui stesso Giovanni Par-mentier in persona che abbia scritto il suo viaggio fatto fino a Sumatra nel 1529; sia Pietro Mauderc l’astronomo di una delle sue navi, come crede Estancelin; sia (come crede D’Avezac) l’amico e compagno di Parmentier nella spedizione, il Poeta Crignon che abbia scritta tale relazione nel 1539; essendoché son tutti amici o dipendenti da Ango, il celebre Armatore e Visconte di Dieppe ; e questo stesso Ango insieme a Chabot Ammiraglio di Francia nel marzo 1526 erano in relazione di affari e di stima con Giovanni Verrazzano. E se Ribault, dettando la relazione de’ suoi viaggi, parlò di Verrazzano come se copiasse Ramusio stampato nel 1556, anch’egli però era di Dieppe, e viaggiando nel 1562-63 alle stesse coste ove era approdato il Fiorentino, non avrebbe mai concesso a quest’ultimo l’onore della scoperta per privarne se stesso e la sua patria, se il fatto non fosse stato vero. Lo stesso si dica di Laudonnière compagno di viaggio del Ribault Società Ligvro di Si. Pairia. XV. — n4 — e che ripetè la relazione del Verrazzano. A quel tempo erano ancora in Dieppe, se non i conoscenti personali di Verrazzano , i figli e gli eredi di que’ conoscenti, armatori, piloti, marinai, i quali non avrebbero lasciato correre senza protesta una favola lanciata tanto impudentemente nel loro stesso paese. V. Il sig. M. (p. 112) trae da una cronaca di Dieppe la notizia che Verrazzano avea già viaggiato fin dal 1508 a Terra Nuova insieme alla spedizione di Tomaso Aubert rammentata dallo stesso Capitano di Dieppe. A dire il vero, Giovanni nato, secondo il suo Biografo, verso il 1485 ci pare troppo giovane nel 1508 per comandare una delle navi di quella spedizione; d’altra parte il Des Marquets che inserì la notizia nelle sue Memorie di Dieppe è considerato non molto sicuro in fatto di critica e di date; tuttavia il nostro contradditore non è lontano dall’ accettare quel fatto come buona moneta, ma se ne vale per la sua tesi; argomentando che dunque Verrazzano è un bugiardo quando scrive, nella lettera al Re nel 1524, che ha scoperto testé quella terra in cui era già stato nel 1508. Ora, secondo una massima proclamata altrove due volte dal Critico, chi è provato bugiardo in un solo particolare, non merita più alcuna fede in tutto il resto, la parte falsa involge la vera e tutto cade con essa, (pag. 82). Risponderemo a suo luogo sulla strana e pericolosa conseguenza che il Critico vuol dedurre dalla sua teoria d’una bugia sola; riserviamo pure a più tardi la quistione, come possa Verrazzano dire che ha scoperto la prima volta nel 1524 al di là del Capo Breton. Qui basti rilevare dalle notizie della Cronaca di Dieppe un’altra conferma che Giovanni Verrazzano avea lasciato fama colà di navigazioni da lui fatte nell’ America. VI. Le informazioni che direttamente attingiamo dal libro del sig. M., pp 109-12, ci spiegano i particolari della carta presentata da - II5 — Verrazzano al Re d’Inghilterra, meglio di quello che sapevamo dagli scrittori precedenti. Ora è certo che lo scopo di tale carta era di mostrare ad Enrico Vili la possibilità di un viaggio più diretto al Catajo, cioè all’ Asia orientale per la via di ponente. Era questo infatti lo scopo di tutti i navigatori di quel tempo da Colombo a Caboto, a Gomez, a Vespucci, a Magellano. E che anche Verrazzano avesse tale scopo lo confessa qui l’Hakluyt, parlando del disegno presentato dal Fiorentino ad Enrico Vili ; eppure l’Hakluyt non conosceva i tre documenti che ora abbiamo alle mani e che confermano questo punto; cioè, i.° Verrazzano stesso nella parte comografica della sua lettera; 2° Fernando Carli nella lettera che accompagna quella del suo concittadino; 3.0 il dispaccio del 23 aprile 1523 spedito al Re di Portogallo da Silveira suo ambasciatore alla Corte di Francia. Ilakluyt parla anche di altra carta e di un globo antichi, eccellenti che si conservavano a suoi tempi e che parevano fattura dello stesso Verrazzano; quindi a proposito della probabilità d’un passaggio pel Nord-ovest, concepito dal Fiorentino, aggiunge che questi è stato 'tre volte su quella costa. Il Critico, che ci fa conoscere queste notizie, non è lontanò dall’ accettarle; il viaggio da Verrazzano in Inghilterra specialmente egli lo assegnerebbe con ragione agli anni 1525-26, quando, Re Francesco essendo prigione dopo la battaglia di Pavia, la guerra e gli affari restarono sospesi in Francia fino alla liberazione di lui. Il Navigatore rimasto allora in ozio si sarebbe rivolto co’ suoi progetti ad Enrico Vili, con tanto più di speranza in quanto è noto che quel Re nutriva simili disegni, ne avea fatto parlare già nel 1519 a Sebastiano Caboto dal cardinale Volsey , e tentò ancora nel 1527 di porre in esecuzione il passaggio al Catajo per mezzo della spedizione del capitano inglese Giovanni Rut. Ma il Critico anche di questa confessione si giova, obbiettando che, se Verrazzano fu veramente due altre volte su quella costa, è un bugiardo vantandosi averla scoperta la prima volta nel 15 24. E noi ritorniamo a rispondere, negando la conseguenza che il dire una bugia (se bugia vi fu) cancelli tutto il racconto : la parola quella costa potea intendersi in generale costa d’America e simili: — 116 — resta ad ogni modo confermato da nuovi fatti e da un uomo grave, come era l’Hakluyt, che Verrazzano giunse all’America con un progetto suo proprio per passare in Asia. • VII. Insomma, grazie alle operose ricerche, sebbene mosse da scopo contrario, del sig. Murphy e del suo predecessore Buckingham Smith , Giovanni Verrazzano ha acquistato una forma perfetta di persona viva e vera ed operante una scoperta: della quale, se non si dubitava prima di loro, si avevano però soltanto magre notizie (2). Se mai fosse vero che, in tempi quando l’erudizione era scarsa e i documenti inediti e gli archivi chiusi, un falsario sia riuscito a comporre di proprio capo un racconto che la critica odierna armata di tutto punto non ha fatto che sempre più raffermare, questo falsario deve essere un miracolo d’uomo a cui i suoi concittadini farebbero bene ad innalzare un monumento, dedicandolo all’Ingegno ignoto. Egli, scrivendo (come si pretende) verso la metà dèi secolo XVI a Firenze, sapeva che Francesco I era stato aspettato a Lione pochi giorni dopo il 4 agosto 1524, la quale notizia non potemmo trovare negli storici di Francia a noi noti, nè certamente il preteso falsario 1’ ha potuta attingere dalle pubblicazioni uscite ai nostri giorni che la confermano; gli Siate papers, e i Documenlos ineditos. Egli sapeva che Verrazzano interruppe la sua spedizione per andare in corso contro i nemici della Francia, e che ne trasse profitto ; mentre i suoi contemporanei Herrera , Martire ecc., parlano in quel caso di un corsaro .Giovanni Fiorino di Dieppe 0 della Rocella, come di persona creduta da loro diversa da Giovanni Verrazzano , non identificata difatti che da studi più recenti e primo di tutti dal Barcia nell’ Ensayo chronologico. Egli indovinò la precisa forma della sottoscrizione di Janns Vcrra^anus (con una sola z) come è ora confermata dal documento originale di Rouen pubblicato dall’Harrisse, dopo che il sig. Murphy vi aveva sparso sopra i consueti suoi dubbi (3). Il falsario deve essere riuscito a penetrare nell’ Archivio della Torre del Tombo in Portogallo per sorprendervi il dispaccio dell’ambasciatore Silveira - Hy — che parla del disegnato passaggio al Cataio, o piuttosto sarà egli stesso il falsario che lo ha furtivamente introdotto in quell’ archivio , come avrà introdotto negli Archivi di Francia quell’ altro progetto di società pel passaggio alle Indie nel 1526 che fu contratta fra il Verrazzano, Ango e l’Ammiraglio Chabot; contemporaneamente avrà introdotto nell’ Archivio di Rouen, come prove accessorie, i due documenti, con cui Verrazzano essendo di partenza per quel viaggio fa procura a suo fratello Gerolamo. Con questo il falsario ha ottenuto un altro vantaggio; indovinò i. documenti che hanno dato corpo e persona a questo Gerolamo, che non si sapeva alllora chi fosse nè quale vincolo di parentela avesse con Giovanni; lo si. sapeva soltanto autore di una carta constatante la scoperta della Verravano, 0 Nova Gallia. Egli avrebbe indovinato un’isola triangolare nella baia di Narraganset, la quale sarà esagerata ma vi è, nel mentre le carte del secolo XVI, se non si rannodano alla lettera di Verrazzano, non ve ne pongono afflitto. Ha indovinato l’amena posizione, e l’acqua che forza la sua via fra colli' ripidi e divien profonda alla foce; particolari che, a confessione stessa del sig. Murphy, segnano indubbiamente Nuova Iorch col fiume Hudson. Dicasi lo stesso di altre descrizioni di luoghi e di costumi, la cui verità il Critico non disconosce ma pretende che possano essere attinti da altri libri ed informazioni (4). Il falsario ha saputo così ben condurre la sua trama che per confessione del sig. Harrisse non si ha una prova dell’ alibi durante il preteso viaggio di Verrazzano, mentre si trovano notizie di lui in Europa poco prima e poco dopo di questo viaggio. E infine per amore di esagerato patriottismo fiorentino egli è riuscito a render complici della sua impostura, più 0 meno innocenti, Annibai Caro nel 1537 al servizio di monsignor Gaddi di Firenze, e Eu-frosino Ulpio nel 1542 col suo globo dedicato al Cardinal Cervino, e Ramusio che veramente, quale veneziano, a que’ tempi non avea di che esser tenero del patriottismo fiorentino, e Ribault nativo di Dieppe la seconda patria di Verrazzano, e il Capitano dì Dieppe col suo scritto che pare al sig. M, uscito dallo stesso scrigno fiorentino. In quest’ultima supposizione egli probabilmente si appone al vero, ma appunto per questo tanto più è autorevole la congiunzione sua colla lettera di Verrazzano; autentico l’uno, autentica 1’ altra. Hakluyt e Locke inglesi, colle carte c globi e progetti di passaggio attraverso l’America da loro indicati, sopravvengono a coronare 1’ opera del falsario indovino del secolo XVI. Ebbene questo indovino, questo falsario che finora ci parve dotato di tanto ingegno o raggiro che dir si voglia, lo vedremo per altri capi e deduzioni del Critico diventare pochissimo avveduto e poco meno che un imbecille. VIII. Lasceremo di ciò il giudizio ai lettori ; ma giacché il sig. M. volle giovarsi del silenzio di Francesco I e della stampa francese per negare il viaggio di Verrazzano, risponderemo qualche cosa anche su questo punto. In primo luogo anche la Relazione del Ribault, inviato dall’ Ammiraglio Coligny, non si trova in originale e fu raccolta soltanto nella traduzione inglese della collezione Hakluyt, come quella di Verrazzano nell’ italiano della collezione Ramusio; perciò coi criterii del sig. M. se si cancella l’una si dovrà cancellare anche l’altra. In secondo luogo è nota la confusione che succedette nella Francia dopo il ritorno di Verrazzano per la invasione d’Italia, la prigionia del Re e gli imbarazzi continuati anche dopo la sua liberazione. In terzo luogo, se anche Francesco I o la Reggente lasciarono pubblicare le brillanti scoperte straniere ad emulazione de’ francesi, però la gelosia di stato a que’ tempi riservava al proprio gabinetto la cognizione delle vie nuove tentate dai Nazionali; e gli Archivi non ancora sufficientemente esplorati possono un giorno aprirci questa ed altre notizie, come ce ne hanno aperte da tempo recente. La Spagna, il Portogallo non operarono diversamente, lasciando pubblicare storie ed estratti soltanto fino al punto che la censura consentiva; e si cerca tuttora invano quella Relazione del viaggio di Gomez tanto magnificata dal Critico e su cui egli vuole modellata la lettera di Giovanni Verrazzano. Qui, p. 23, il sig. M. canta le lodi di Francesco I padre delle lettere e si zelante promotore dell’ onore nazionale ; il quale senza - II9 — fallo appena uscito di prigione avrebbe rammentato la spedizione di Verrazzano, ordinatone la pubblicazione, e rinviato il navigatore ad una seconda spedizione. Ma il Critico, che non è un semplice letterato, prima di accettare quelle lodi senza benefizio d’inventario, avrebbe dovuto studiare un po’ meglio il carattere di Francesco I. Rilegga per esempio il Sismondi e vedrà come quel Re, leggero, incostante, sensuale , appena uscito di prigione sostituendovi i propri figli, cercò di rompere i patti stipulati con Carlo V inviluppandosi in nuove brighe che doveano richiedere tutta la sua attenzione di Re e di Padre; e tuttavia trascurò tutti questi doveri e brighe, dopo esserne stato lui la cagione, per abbandonarsi nelle braccia d’ una nuova favorita. Che se io avessi potuto prender per buona moneta le lodi di Francesco I, ne avrei tratto un bell’ argomento per provare il contrario di ciò che ne deduce 1’ Autore. Se il Re, direi, era così vago dell’ onore nazionale anche sotto il rispetto delle scoperte di terre ignote, e se era tenace de’ suoi propositi, non può non avere inviato Verrazzano al viaggio di cui si parla, dappoiché è ora noto che lo stesso Re avea dato gli ordini relativi e che nel fiorentino vi era il solo uomo capace a simile spedizione, riconosciuto come tale dagli Ammiragli e dai più grandi armatori di quel Regno. Ma perchè mai (insiste il Critico), Francesco I nel 1533 affidando a Cartier 1’ esecuzione di un nuovo viaggio, lo inviò al Golfo di San Lorenzo per terre sterili ed inospite, invece di rimandarlo alla costa pingue ed amena già descritta da Verazzano? Il perchè è chiarissimo : non si trattava nè si era mai pensato a piantar colonie ma soltanto a cercare il desiderato passaggio al Cataio (5): e questo, appunto per essere stata visitata 1’altra costa da Verazzano, si era riconosciuto impossibile da quella parte; laddove il lungo fiume di San Lorenzo, la sua direzione e i' laghi internantisi all’ infinito pareano dover aprire la via al Mar Pacifico. IX. Invertendo un argomento recato dal Critico a suo prò’ (pag. 84) noi diciamo : se le risposte fin qui recate riuscirono a provare che — 120 — la notizia della scoperta di Verrazzano non può aver origine spuria, ma deve essere fondata sul vero, in tale caso le obbiezioni più appariscenti del S. M. non potranno intaccare la sostanza del Racconto ; le sue imperfezioni accidentali potranno scusarsi per diversi motivi; un po’ d’esagerazione naturale in tutti i Viaggiatori, un suo errore o mala intelligenza forse anche inevitabile, lo stato del mare e del cielo, la fretta, se si vuole, con cui sarà stato fatto il viaggio con andata e ritorno per una via nuova e senza stazioni intermedie, laddove gli Spagnuoli rinfrescando alla Florida si trovavano come in casa propria; la fretta con cui deve essere stata fatta la Relazione dal Verrazzano fra il ritorno ed un nuovo bottino in corso, che sappiamo essere avvenuto nello stesso mese. Donde egli deve avere scritto di memoria e in digrosso, ma nella Relazione si è riservato di inviare al Re il giornale di bordo colla indicazione di altri particolari e delle latitudini e longitudini. Ma poniamo anche che Verrazzano abbia detto bugie con piena conoscenza: oh! è appunto questo che il Critico non può tollerare, pp. 82, 97; e, come vedemmo, gli basta un solo particolare, che sia o egli creda di poter dimostrare falso, per fargli esclamare : bugiardo in questo, bugiardo in tutto. Una sola falsità involge l’integrità del tutto, l’uomo è discreduto, discredited. Io non contrasterò l’immoralità del dir bugie per uno scopo qualunque : ma se il cogliere un viaggiatore in fallo, una sola o poche volte sotto questo aspetto, bastasse a togliergli fede in tutto, povera storia geografica come sarebbe ridotta ! Povera la storia specialmentc delle scoperte dell’America del Nord, della quale il S. M. ha inteso di dare il primo Capitolo in questo suo libro e ne applicherà naturalmente i criterii nelle sue elucubrazioni seguenti. Già nella mia prima memoria sul Verrazzano accennai che anche Cartier viene accusato dal Charlevoix di descrizioni non solo esagerate ma anche non vere. E Robertson sosteneva che la prima descrizione un po’ esatta delle coste e delle produzioni di questa stessa regione è stata fatta dallo Smith nel secolo XVII, essendoché gli antecedenti Navigatori sono pieni di bugie e d’inesattezze, nè per questo gli storici si sono mai sognati di gettare que’ viaggi tra le favole (6). Si capisce che, oltre 1’ esagerazione naturale in tutto ciò che si descrive la prima volta, un Navigatore ha interesse a vantare i vantaggi della regione da lui scoperta. Cosi quegli che vide la prima volta la Groenlandia, le diede il nome di Terra verde (Green Land) perchè pensava : se io non assegno un bel nome a quel clima ghiacciato e bianco dalla neve, nessuno vorrà venirci. Ma il critico replicherà che negli altri casi vi saranno soltanto alcune bugie, o magre o indefinite descrizioni, mentre 4a lettera di Verrazzano è piena di tali difetti. Egli certamente non ha tralasciato nulla per sostenere questo assunto : vi ha guardato dentro col microscopio , ad ogni rilievo qualunque vi ha lavorato intorno per farlo comparire sotto tutte le sue faccie; e per . dare tutto il colore di solidità al suo edifizio ha adottato una forma di procedimento nelle idee e nell’ ordine degli argomenti che ricorda 1’ antico metodo scolastico. Nè sarò io quegli che voglia appuntarlo per ciò: è troppo il bisogno oggidì di sostituire al facile e sbrigliato cicaleccio le forme severe della logica: ma vorrei che alla forma esterna corrispondesse lo spirito interno : vorrei che non bastasse pronunziare assiomi scolastici e in latino e formare alternative e dilemmi, aggiungendo di qui non si scappa (pp. 23, 97); mentre un lettore un po’ avveduto passa facilmente tra quelle corna spuntate, e si può valere di questi stessi assiomi per ritorcerli contro il Critico e può tirarne conseguenze che distruggono tutto il suo lavoro presente ed anche il suo lavoro avvenire; posto che questi voglia continuare cogli stessi criterii e collo stesso metodo. Vorrei infine che alla forma scolastica, sobria di sua natura, non si mescolassero certe maniere di dire enfatiche, tutte proprie dello stile giornalistico; per cui una affermazione 0 notizia non basta dirla falsa semplicemente ma falsa interamente, non solo vuota ma vuota affatto e simili. Il più curioso nella polemica di questo libro si è che gran parte di esso, sebbene presentata, come tutto il resto, sotto le apparenze della logica più rigorosa, ha trovato un demolitore nella stessa persona di un Concittadino ed anche suo parziale, il già lodato Harrisse; il quale £olla nota sua franchezza e brevità sconfessa due volte le pretese prove d’interi capitoli, dicendo che non gli — 122 — sembrano provati : altri argomenti gli sembrano più solidi, ma in fine dell’analisi del libro del S. M. conchiude non credere che l’assunto del Critico in complesso sia riuscito provante , benché serrò la quistione de très-près. Nella foga della polemica il S. M. non ha nemmeno badato a non contraddirsi; che se ci avesse riflettuto non avrebbe scritto che il silenzio sul Verrazzano, tenuto dall’ anonimo e poco stimato Autore dei Voyages aventureux d’Alfonse, è una negativa quasi contemporanea , stampato come fu nel 1559: laddove il Ramusio stampato tre anni prima e il Ribault del 1572 sono bensì testimonianze favorevoli al Verrazzano ed anche positive, egli lo confessa, ma le crede troppo lontane dagli avvenimenti del 1524. Parimente il Thevet è per lui un bugiardo e solito a dare l’incerto per certo, il falso per vero con sicurezza mirabile ; ma tosto che Thevet stando, come dice , sei mesi presso Cartier non fa menzione se lo abbia mai sentito parlare di Verrazzano ; oh allora Thevet fa testo anche col solo silenzio; è chiaro (dice il S. M.) che nemmeno Cartier sapea nulla di Verazzano, poiché non ne ha mai discorso con Thevet, pp. 30, 39. X. Se il Critico avesse rimondato il suo libro da questo ingombro di osservazioni sottili ma sofistiche e che non reggono a un esame un po’ serio, avrebbero reso servizio ai suoi lettori, al sig. Har-risse, a se stesso. La quistione posta ne’ suoi veri termini era se Giovanni Verrazzano abbia lasciato dubitare di se e del suo viaggio, non pel solo silenzio su cose curiose a sapersi (7), nè per errori ed inesattezze, inevitabili in un primo e breve viaggio a luoghi lontani, ma bensì per un complesso di falsità che riguardino la stessa sostanza del viaggio. Ora le cose dette da noi e da altri, anzi anche dagli stessi contradditori, bastano ad esuberanza a chiarire da qual parte sia la ragione; tuttavia vogliamo ancora passare a rassegna certe difficoltà che il Critico presenta come insolubili. Prendiamo le notizie sull’ etnografia degli indigeni e sulle loro produzioni. Il S. M. ci accumula dapprima più dubbii, ma infine — 123 — ne sceglie due,i quali, secondo lui, conducono a certosa, assoluta quelle falsità di che i ragionamenti suoi precedenti non avessero abbastanza persuaso il lettore. Bene! lasciamo dunque da parte le obbiezioni minori e sperimentiamo la forza di quelle due che devono condurre a certezza assoluta, pag, 76, 79. Ma qui è duopo premettere che vi sono due testi della lettera di Verrazzano, quello che sappiamo stampato nel Ramusio e l’altro proveniente dalla Magliabecchiana e stampato neir Archivio Storico Italiano. Questi due testi in generale concordano, ma a quando a quando sono diversi nello stile e due 0 tre volte anco nella sostanza. Il buon senso pare suggerisca che sia da preferire come originale, 0 più vicino all’ originale, quel testo che mostra il senso più giusto, più naturale, ma pel S. M. la cosa deve essere in ordine inverso ; il testo originale sarà quello che è più oscuro, più contorto, anche monco nel periodo; il testo derivato sarà quello che deve essere stato rimaneggiato per dargli l’aria di verità. L’ Autore confessa che tale rimaneggiamento, fatto (come egli crede dal Ramusio), bastò per rendere alla lettera di Verrazzano 1’ apparenza di vera e per confermargli V autorità per ire secoli: finché cioè non è giunto lui a far conoscere che il testo originale è quello dell’ Archivio storico. Quest’ultimo lo chiameremo con lui per brevità il testo Carli perchè accompagnato da una lettera (anch’ essa finta secondo lui) , sottoscritta da un Fernando Carli in data di Lione, 4 Agosto 1524. Su questa teoria del S. M. che già da per se stessa si presenta come strana per lo meno, ritorneremo più avanti per tastarla a fondo ; per ora la citiamo in quanto è da lui applicata a condurre a certe^a assoluta le obbiezioni meno convincenti, pp. 76-79. XI. Il testo del Ramusio, parlando del colore degli indigeni in parte della costa percorsa da Verrazzano , dice che essi sono di colore berrettino (cioè rossiccio come il berretto 0 fez degli Arabi) et non molto dalli Saraceni (Arabi) differenti. Salendo più a tramontana s’incontrano altri popoli che il testo ramusiano indica di colore- — 124 — bronzino; altri pendono più in bianchezza, altri al giallo. Il Critico non avrebbe nulla a ridire su tali caratteri etnografici; se non che, secondo egli pensa, que’ passi furono rimaneggiati dal Ramusio a bella posta perchè troppo disforme dal vero era il testo originale Carli; il quale suona nel modo seguente: pel primo passo quegli indigeni sono di colore nero non molto dagli etiopi disformi; pel secondo tratto : sono di colore bianchissimo, alcuni pendati (sic) più in bianchezza, altri in colore flavo. In seguito si mostrerà da noi che il testo Carli è precisamente quello che si è voluto rimaneggiare da un ignorante che credeva d’abbellirlo con sostituirvi parole eleganti simili a quella che già qui vediamo di flavo per giallo; credeva pure di renderlo più erudito con sostituire per esempio il nome di quarto elemento al fuoco, di pomo luculliano alle mele appiè ecc. Sullo stesso metro si capisce che egli ha creduto fare del-1’erudizione sostituendo etiopi ai Saraceni e nero a berrettino. Vedremo pure che egli non capiva spesso quello che leggeva: ma già fin d’ ora si osservi la frase surriferita : que’ popoli sono di colore bianchissimo ; altri pendano pili in bianchezza > altri al flavo. Una tale frase è evidentemente goffa, è un controsenso. Se il color generale è il bronzino (color di bronzo) va bene che alcuni individui tirino più al bianco, altri più al giallo; ma se il color generale è bianchissimo, come vi potranno essere individui ancora più bianchi ? Non si può supporre che siasi così scritto in originale da un uomo di mediocre buon senso, tanto meno da un falsario che vedemmo dover essere dotato di tanto ingegno. Ciò capì anche 1’ Americano sig. Greene quando pubblicò per la prima volta il testo Carli, e scrisse che il bianchissimo, invece del bronzino del testo di Ramusio, era un equivoco evidente. Ma basti del primo dei due argomenti, 1’ etnologico, che secondo il Critico dovea dimostrare la falsità con certezza assoluta. Passiamo al secondo che riguarda le produzioni naturali. XII. Verrazzano trovò fra aprile e maggio, in uno dei paesi da lui •visitati, dell> \ — 142 — che potrebbe ridurre al nulla i loro monopolii. D’ altra parte Verrazzano non era un pirata privato, un ladro di mare per proprio conto, ma un Corsaro per conto del Re e in guerra dichiarata contro i nemici della Nazione : in tale caso era stato anche corsaro l’Ammiraglio stesso di Francia Casenove detto Colomb, e specialmente a que’ tempi nulla si trovava in ciò che offendesse la dignità della persona (16.) Ma I’ idea della pirateria, ossia il bisogno di meglio armare la propria tesi, perseguita tanto il S. M. che gli fa vedere un pretesto nei fatti più naturali. Re Francesco ordina a Verrazzano la spedizione al Catajo e la fa poi interrompere per la ricca preda che gli offriva il tesoro mandato da Cortez a Carlo V ; ebbene il Critico scorge nel primo fatto (1’ ordine del Re) un pretesto per colorire il secondo (la pirateria); e non s’avvede che egli stesso avea provato con documenti ufficiali che 1’ ordine della spedizione era una verità che inquietava il Portogallo. Un altro fatto è pel S. M. un pretesto chiarissimo (in realtà falsissimo) per colorire la pirateria. Vi è un documento di società commerciale pel viaggio alle spezierie delle Indie verso il 1526; società contratta, cornee noto, fra 1’ Ammiraglio di Francia Filippo Chabot, Giovanni Ango il celebre armatore e Visconte di Dieppe , e Giovanni Verrazzano piloto principale al comando della spedizione. La logica trascina 1’ Autore a mostrare altrettanti Corsari in tutti e tre, Verrazzano, 1’Ammiraglio, il Visconte di Dieppe, (pp. 146-7) quasi quest’ultimo e il padre di lui abbiano con tal mezzo abituale acquistate le grandi ricchezze, onde ospitarono più volte i Re con trattamento da pari loro. Il S. M. non nega che fossero in uso simili contratti di Società per viaggi alle Indie; ma egli vuol vedere il vero scopo della Società presente nascosto sotto un articolo del contratto , in cui si prevede una possibile divisione di bottino da farsi sui Mori 0 altri nemici della fede 0 del Re. Ora chi conosce un po’ la storia di que’ tempi sa che questo articolo cade naturalissimo, farebbe meraviglia se non vi si trovasse. Le ostilità dei Mori al passaggio delle Indie sono tanto notorie che non fa bisogno spendervi parola: le possibili rotture di guerra, le tregue male osservate, l’incertezza del domani fra i Sovrani dell’Europa occidentale — T43 - sono altrettanto notorie ; l’Autore stesso ne ha dato un saggio col riferire le trattative dell’ Ambasciatore Silveira col Re di Francia. Non era dunque conveniente per non dir necessario che , posti tali casi di offesa e difesa e con ciò di guadagno sperato sui nemici , se ne dovessero regolare anticipatamente le condizioni di ripartizione, come-si fa in ogni Società a prevenire discordie avvenire ? XXII. Il S. M. si vuol pure dimostrar moderato verso Ramusio, sebbene questi le abbia fatte un po’ marchiane. Non lo appunta di mala fede ma-di credulità (pp. 135, 149) cioè di dabbenaggine per essersi lasciato persuadere da chi ha detto tante sciocchezze e falsità: alle quali tentando rimediare con cambiamenti, a dir vero , troppo arditi, talora non riesci che a rendere anche peggiore il risultato. Eppure si trattava di un Ramusio Segretario di Stato della Repubblica di Venezia, un uomo lodato fin qui per gravità , dottrina, instancabilità di ricerche; un uomo che aveva saputo, secondo lo stesso Critico , racconciare una favola piena di tante assurdità in guisa da guadagnarle 1’ accettazione generale ; un uomo che sebbene avesse stampato soltanto nel 1556 la lettera di Verrazzano (perchè così portava l’ordine della sua Raccolta) era però allora settuagenario, avea già preparata da tre anni la Prefazione, e, nato lo stesso anno col Verrazzano , si era occupato tutta la sua vita in corrispondenze coi più celebri Navigatori e Geografi a raccogliere materia pel suo grande lavoro; un uomo infine che il Sig. Humboldt, che se ne intendeva un poco, chiama il sempre giudizioso Ramusio. Bel giudizio che avrebbe mostrato nel nostro caso, attingendo a fonte così impura senza avvedersene, trasponendo 0 cambiando per far dire al testo il rovescio di ciò che diceva, affine di conciliarlo con altri fatti a lui noti, talora anche guastando di più colà dove volea rimediare ! Ma Ramusio (obbietta il critico) ha ben creduto chi gli avea dato ad intendere che Verrazzano, in un viaggio seguente, era caduto in mano dei Selvaggi e mangiato arrosto, il che ora è di- — 144 — mostrato falso. Noi non troviamo affatto inverosimile che la famiglia fiorentina del Navigatore, passandogli la lettera e (pare anche) il manoscritto del Capitano di Dieppe, abbia dato al Ramusio tale versione della sua morte, non desiderando naturalmente che si sapesse la vera fine del congiunto loro, di sangue patrizio; nè chi riceveva la notizia aveva alcun motivo per dubitare in contrario. Ma Ramusio (replica il S. M) si è permesso altre volte simili alterazioni nei testi, come ne lo appuntano, per esempio, pel Marco Polo il Zeno (Annotazioni al Fontanini) e pel viaggio di Pigafetta 1’ Amoretti. Il Zeno e 1’ Amoretti però non lo accusarono mai di tradire un testo al modo come avrebbe fatto nel nostro caso , ma soltanto di compendiarlo o altrimenti mutarne 1’ esposizione un po’ troppo alla libera, ed anche questa taccia crediamo ingiusta. Ramusio nelle sue Prefazioni si lagnava che i testi gli pervenivano talora molto scorretti; era quindi suo diritto e dovere scegliere il migliore o emendarlo quanto possibile, ma senza fargli dire nero per bianco contro le regole della verità e dell’ onestà. In tempi che la stampa era solo da poco introdotta, le copie esistenti o che si continuavano a fare d’ un testo erano spesso assai differenti tra se'; ognuno che pretendesse a poco più che amanuense, si pigliava la libertà di compendiare , aggiungere, cambiare secondo i gusti o l’interesse. Sappiamo quante sono le varianti per esempio del viaggio del B. Odorico del Friuli ; la prima decade di Pietro Martire a inscienza del suo Autore fu tradotta compendiata, raffazzonata e stampata. Non può credersi dalla onestà ed intelligenza di Ramusio che anch’ egli facesse lo stesso, ma sì piuttosto che egli ricevesse in tal modo compendiati o raffazzonati i testi che stampava non avendo di meglio. Ad ogni modo qui non si tratta di compendii o raffazzonamenti ma di alterazioni di senso che si vorrebbero fatte pef uno scopo preconcetto. Ma (insiste il Critico) io provo che il testo originale è quello della Magliabecchiana ossia del Carli (dell’Archivio Storico Italiano'): dunque Ramusio ricevendolo da Firenze e pubblicandolo alterato in modo tanto notevole e per uno scopo evidente, deve essere lui e non altri che abbia fatto quelle alterazioni (pp. 14-16). — H 5 - Or come prova il S. M. che il testo originale è quello della Magliabecchiana ? (Originale così per dire, perchè sta in un volume di Miscellanee di viaggi, tutto scritto da una sola mano verso la metà del secolo XVI). Perchè, risponde egli, in questo testo vi è la parte cosmografica, che manca nel Ramusio. D’ altra parte Ramusio dovea conoscere quella parte cosmografica, perchè ne staccò un dato che trasportò nella lettera, il dato del 50mo grado, estremo limite del viaggio di-Verrazzano; dunque fu egli che copiò ed alterò. — Per mio avviso ciò non prova nulla. Non avrebbero potuto copiare entrambi da altri testi più antichi, uno dei quali, intento solo agli aneddoti del viaggio, omise quella parte più scientifica che non capiva, facendo caso soltanto del particolare del 5omo grado che compiva i dati del viaggio medesimo ? Vi è tutto da scommettere che Ramusio, giudice più competente, non avrebbe mai tralasciato di stampare un pezzo che è, malgrado i suoi errori, curioso e che mostra la coltura di Verrazzano. Ma vediamolo, una volta, un po’ addentro questo testo, il solo preteso originale. Già osservai che, generalmente parlando, originale- o più vicino all’originale si suppone quel testo il cui "senso corre più diritto e con meno spropositi; perchè è facile copiando, a chi poco sa, mettervi degli spropositi del suo sacco, ma è molto difficile anche per chi sa, trovare il modo di raddirizzare gli spropositi altrui ; tanto più se nella copia mancano parole o anche mezze frasi, tanto più se la parola che manca accenna ad un fatto avvenuto che non si potrebbe supplire senza una profonda cognizione delle circostanze di esso fatto. Ora ammette anche il Critico che il testo di Ramusio è di tanto migliore che bastò a coprir le magagne dell’ originale e a dare autorità alla lettera di Verrazzano. Che nel testo Carli o della Magliabecchiana manchino non solo parole ma mezze frasi necessarie al perìodo, ne è prova il fatto che 1’ Arcangeli editore del testo stesso ha dovuto supplire a quelle mancanze per mezzo del Ramusio, come ha avvertito, ponendo in corsivo le parole aggiunte. Che vi manchi una parola che accenna ad un fatto accaduto, ne è prova 1’ aggiunta che ha il testo Ramusio del profitto fatto dal Verrazzano nell’ andare in corso : profitto che non si sarebbe indo- Società Ligure di St. Patria. Voi. XV. . io — 146 :— vinato fino ai nostri tempi quando si potò identificare Verrazzano col Fiorino Pirata francese, e il profitto del primo si trovò coincidere col tesoro di Cortcz predato dal secondo. Il Critico ha tentato evitar la punta di un simile argomento con una uscita spiritosa. Si vede, dice egli, che Ramusio subodorava in Verrazzano il Pirata (rover) ; ma non 1’ avrebbe potuto subodorare senza trovare la parola nel manoscritto , egli che ignorava quello che or sappiamo noi di più altri colpi ben riusciti al Fiorentino. Appressiamoci ancora più al confronto fra i due testi. Sarebbe da esaminare dapprima se essi non fossero due traduzioni differenti dall’ originale francese. Veramente se la relazione fu fatta al Re Francesco da Dieppe e da chi, sebben Fiorentino, abitava in Francia da anni e comandava navi francesi, si dee credere che anche in quella lingua dovesse essere scritto 1’ originale (17); è naturale invece che il Critico prendendo la lettera per una impostura fiorentina la supponga scritta in italiano. Noi per ora non ci occuperemo della quistione , sebbene certe parole specialmente nel testo Carli, abbiano una chiara fisonomia francese; tormenta per tempesta, riviera in senso di fiume e la parola obligo che interpreteremo frappoco. Un Italiano che raffronti i due testi si avvede presto del carattere generale che costituisce la loro differenza. Quello del Ramusio è scritto alla buona, da uno chiaramente che non mette studio nel dire, parlando di nautica e de’ suoi affari. Il testo Carli al contrario è di uno che la pretende all’ eleganza (male intesa): non dice mai caccia ma venatione ; non ponente, levante, maestro, ma zefiro, subsolano, coro ecc. ; in luogo di eccellenza pone pul-critudine ! Fin qui poco male, ma gli è che mentre va in venagione di parole eleganti, più volte non capisce il senso ; omette, come avvertii, delle parole che sono complemento necessario della frase e trasforma perfino la parola materiale che ha sott’ occhio : per esempio scrive et fiure dove Ramusio ben pone effigie; edificio ove dovea scrivere artifizio (di attrezzi e manovre); provincie invece di pianure piene d’alberi: territorio in luogo di surgitore (in mare!), verdure o verdure, ove dovea scrivere, come Ramusio, rivolture delle valli che producono i corsi d’acqua. Lascio le parole soltanto — 147 — sciocche, come rigare nel senso di percorrere la costa, lineare per riguardare una persona, guardare le sostante della nave cioè, come in Ramusio, gli apparati e i fornimenti; pomi luculliani, e P attributo siciliano aggiunto al pianto. Basti quest’ultima eleganza: Ramusio dice alla buona che per fare un canotto d’ un sol tronco di legno, gli indigeni ajutansi col fuoco ardendo tanta parte del legno quanto basti alla concavità. Ma 1’ altro testo, che vuol far 1’ erudito, sostituisce ajutansi del quarto elemento del legno tale parte quanto basti ecc. Ma vi è ben di peggio in certe frasi che diventano senza senso e porgono 1’ idea più meschina della intelligenza del copista. La nave di Verrazzano posta in luogo ben coperto da venti, secondo Ramusio , nel testo Carli si dice situata in buono oblilo ; (copia spropositata di una parola non toscana abrigo che indicherebbe 1’ originale francese abri). Parimente Ramusio ben distingue : gli archi Janno di duro legno, le frezze (fanno) di calamo (di canna) : ma il testo Carli confonde il tutto a controsenso; finisce un periodo precedente colla parola archi, poi prosegue: fanno di duro legno le frezze di calamo : cioè le freccie di canna le fanno di legno ! Questo è 1’ originale di cui la copia ramusiana secondo il S. M. dee considerarsi un pervertimento, perversion (p. 57). Giudichi il buon senso dei lettori ; per parte nostra non avremo tutti i torti sé attribuiamo alla stessa mancanza d’ intelligenza, alla stessa affettazione d’erudizione storica, i saraceni trasformati in etiopi, il berrettino in nero e il bronzino in bianchissimo pendente al più bianco ancora. Se Ramusio avesse voluto a bella posta cambiare per accomodare i guasti, non avrebbe soppresso i Lusitani quando pose nel suo testo i Bretoni, dappoiché gli uni e gli altri erano compresi dal Capitano di Dieppe nella-scoperta della costa più settentrionale: sovratutto si sarebbe guardato dal trasportare dalla parte cosmo-grafica in altra parte della lettera quel 50.mo grado, che era un errore se alludeva proprio a una scoperta vera che Verrazzano avesse fatto nel 1524 anche sino a quelle coste estreme. Ecco uno dei casi, in cui Ramusio, secondo il Critico, col desiderio d’emendare ha guastato anche più, (pp. 67-68). Ma il Segretario — 148 — veneziano non era di così dura cervice da non vedere le sciocchezze e le falsiti grossolane se vi erano; nè era così disonesto da tenere il sacco a gloriole fiorentine che tanto meno erano glorie per la sua ombrosa patria: nè così ozioso da darsela briga di correggere il testo Carli anche quando è innocente e arcadico, sostituendo caccia a venazione, ponente a zefiro e va dicendo. XXIIl. Quale era dunque il bisogno , quali le prove per imaginare un falsario, ispiratore del testo Carli, abboccato e rimesso sulle grucce dal Ramusio? Il quale falsario, talora prudente a non compromettersi e tal’ altra imprudente a scrivere il contrario di quello che copia, talora ingegnoso, avveduto e anche indovino e tal’ altra volta così grosso da sorbirsi il bianco più del bianchissimo e i grappoli maturi in maggio, ha poi altri difetti secondo il Critico. È cosi sfornito d’imaginazione che non saprebbe capire senza suggeritore che ai selvaggi piacciano i sonagli e le minuterie luccicanti; e senza un plagio da Pietro Martire non avrebbe potuto inventare la scena dei due Re e del Re e della Regina che vanno a far visita al Navigatore (18). Il falsario si diverte a far scrivere al preteso Carli certa lettera a suo Padre, in cui gli parla di certe cose che esso Padre già sapeva, era dunque superfluo il dirle, (p. 20-21) (vedete fin dove si mischia la critica). Fa inoltre inchiudere in quella lettera una copia colla Relazione ufficiale di Verrazzano al Re, prima che questi 1’ abbia ricevuta, o se ricevuta, ne abbia permesso la pubblicazione. Oh! questo è impossibile; sarebbe un tradimento, poco’meno che un delitto di lesa Maestà, esclama il Critico. Pure ci vuol pazienza: anche Vespucci mandava al Medici 0 al Soderini un sommario dei proprii viaggi, mentre altra relazione sua era ancora nelle mani del Re. Il mondo era avido di quei Racconti (tanto più i Concittadini) e l’amor proprio del navigatore riversato sulla patria facea commettere abusi di tal fatta non raramente. Accennai più sopra i primi racconti su Colombo furtivamente presi e stampati; la sua stessa prima lettera al Re di Spagna sulla scoperta d’America ebbe l’onore di otto o — M9 — dieci edizioni fra il 1493 e il 94, le più di esse senza data di stampatore e di luogo. Non è vero che Carlo V fosse più liberale di Francesco I nel permettere certe pubblicazioni sulle scoperte spagnole. Basta pensare all’ ombroso procedimento generale di quel gabinetto e molto più agli interessi più vitali che si rannodavano al monopolio di quelle strade e scoperte. Le Carte di Cristoforo Colombo non si trovano, la Relazione di Stefano Gomez non si trova e fu soltanto oscuramente descritta dai Cartografi ufficiali. Perciò convengo col Dott. Kohl che le c.’rte del 1527 e 1529 , come destinate dai Cartografi imperiali al Consiglio delle Indie 0 forse anche ad uso personale di Carlo V, e da questo portate a Bologna nel 1530, debbano essere state copiate e stampate solo abusivamente nel 1534 a Venezia; quivi appunto si vegliava colla più grande attenzione intorno a questo per lei vitale soggetto. Ma frattanto, ripeto, in Italia, con 0 senza il consenso regio, si stampavano e si facevano copie delle relazioni, lettere, carte e simili. E da un cenno del Ramusio si può dedurre che fu il sacco di Firenze ia causa, onde andò a male tutto quello di migliore, che pare si preparasse, a compiuta illustrazione del viaggio di Giovanni Verrazzano. Il quale, appartenente a famiglia patrizia, segnalata per altri soggetti di merito lungo i secoli, dotato certamente di grandi qualità d’ ingegno e di coraggio, non ebbe troppo amica la fortuna in vita, tanto meno in morte, e poco mancò che non lo soffocasse al tutto l’obblio della posterità; tuttavia gli studi fattivi intorno , specialmente dai più recenti e particolarmente dagli stessi suoi più accaniti contraddittori, hanno guadagnato allo scopritore fiorentino una fermezza di fama e di gloria che, confidiamo, non morrà. XXIV. Del quale è tempo ormai di raccogliete, compendiati, la vita e i fatti che il bisogno di rispondere a critiche incrociate e minute ci avea costretto a frastagliare fastidiosamente (19). Verrazzano è tuttora un villaggio in vai di Greve nel Casentino , donde gli antenati del nostro Giovanni trassero origine e — i)-o — vi ebbero lunga signoria. Noi non risaliremo col debole critico Cosimo della Rena lino a rannodare questa famiglia coi Marchesi e Conti di Toscana di stirpe longobarda; ma certo è che già nel 1292 i Verrazzani erano fra quei Nobili o Grandi che gli Ordinamenti di Giustizia di Giano della Bella umiliò, privandoli anche del diritto comune (20). Le lotte politiche di Firenze colle città e regioni vicine tennero poi quella Repubblica quasi sempre legata alla parte guelfa e alla Casa Reale di Francia. Oltre ai celebri, artisti come il Vinci o poeti come l’Alamanni, che ebbero da quel re protezione e stipendii, numerosi emigrati e legioni intere da Firenze si ricoverarono in Francia per sottrarsi al giogo del secondo ramo dei Medici, peggiore del primo. Più di settemila di loro militavano colà sotto il comando di Lorenzo Orsini (Renzo da Ceri), ed ancora nel 1522, sebbene ridotti a quattromila, sostennero ad un tempo l’onore italiano e il servizio regio, difendendo Marsiglia assediata dalle armi cesaree. In questo medesimo anno una congiura fu ordita a Firenze pel riacquisto della libei tà, partecipandovi Jacopo da Diacceto, Zanobi Buondelmonte e Luigi Alamanni cugino del poeta omonimo. Questi furono scoperti e puniti del capo, mentre Luigi Alamanni il poeta potè a tempo salvarsi sotto l’ala di Francesco I. Altri, sospetti di avervi tenuto mano furono citati e, non essendo comparsi, fu dato loro il bando come ribelli, e furono Nicolò Martelli, Giambattista della Palla, Bernardo Verrazzano. Ecco qui di nuovo il cognome , onde specialmente ci occupiamo, potremmo anche dire il nome, giacché un Bernardo era pure 1’ avo paterno del'nostro Giovanni; di guisachè, secondo le note consuetudini delle famiglie, la ripetizione dello stesso nome, porge buono indizio di stretta parentela; e non è improbabile che il bandito del 1522 sia corso anche esso in Francia, ove si vedono altri Verrazzano nel medesimo secolo. Alcuni di questi rimasero a Firenze, dove la fiducia cittadina li chiamò più volte agli uffici pubblici più alti e più delicati. Il Varchi nella Storia fiorentina ne indica due Bernardo e Nicolò; i quali, come figli di un Pier Andrea da Verrazzano, furono molto probabilmente fratelli fra di se e dei nostri Giovanni e Gerolamo — *5! - di Pier Andrea di Bernardo. Nicolò fu dei signori del Quartiere di S. Spirito, indi dei Dieci della libertà nel 1529; e nel medesimo anno Bernardo die rinnovava il nome dell’ avo fu capitano della milizia, assistette al contratto della condotta di Malatesta e fu inviato a lui oratore. Perduta 1’ anno seguente la libertà cittadina i due Verrazzano, come sospetti di troppo liberi sensi, furono confinati, e riconfinati di nuovo trascorso il primo termine. Ma il nostro Giovanni dovea già essere a Dieppe di Normandia fino dal 1508, se dice il vero una cronaca di quella città che lo fa compagno di Tomaso Aubert nella scoperta del Capo Breton, lo fa anzi capitano di una delle navi scopritrici di colà partite (21). Forse anche si ha da porre in quegli anni fra il 1508 e il 1521 i viaggi del Verrazzano al Cairo e all’alto Egitto, in Siria ed altrove: ai quali accenna il suo concittadino Fernando Carli nella lettera , di cui dicemmo e diremo più avanti. Checchenessia Giovanni era certo a Dieppe dal 1521 al meno, e vi guadagnò fama per forti fotti. Nell’ottobre di questo anno, rottasi aperta la guerra fra Carlo V e Re Francesco, erano state concesse, come di consueto, le rappresaglie contro il nemico. Verrazzano ne ^profittò, catturando una nave dell’imperatore proveniente dall’isola Spagnola avente a bordo 80,000 ducati d’oro, 4,800 oncie in peso di perle e arrobe 2000 di zucchero. Ma egli non operava come semplice privato, sì come capitano d’una flotta al comando del Re, posta appunto di crociera per intercettare i ricchi convogli che dalle Indie nuovamente scoperte accorrevano alla Spagna. A disposizione di lui stavano tre navi e cinque galeoni del contenuto dì 564 tonnellate con 500 uomini a bordo e buona provvista di viveri e munizioni. Una di quelle navi era già il frutto del corso contro gli spagnuoli (22). Ma nell’anno seguente 1522 Pietro Martire d’Anghiera, che conosceva ed avea narrato la presa testé descritta, presentiva un nuovo e maggiore disastro sulle navi spagnuole per opera del fiorentino, ed esprimendo i suoi timori esclamava: Dio ci dia la buona ventura! (23). Infatti Alonzo Davila e Antonio Quinones , con tre caravelle venivano dal Messico col tesoro di Montezuma e colla parte del tributo che Fernando Cortez inviava all’ Impe- — 15 2 — ratore. Temendo il corsaro francese, quei due lasciarono ben custodito il prezioso deposito all’ Isola di Santa Maria delle Azore , e continuarono il viaggio a darne avviso e a chiedere rinforzo. Con questo rinforzo d’ uomini ritornarono alle Azore ove giunsero il 15 maggio 1523, e i medesimi Avila e Quinones si rimbarcarono col tesoro alla volta di Spagna. Frattanto Verrazzano con sei navi procedeva verso il Capo di San Vincenzo , e scontrati i nemici entro dieci leghe dal Capo attaccò la lotta , nella quale Antonio Quinones fu ucciso, Alonzo Davila preso col tesoro e portato prigione alla Rocella. La terza caravella soltanto potè fuggire con una tigre a bordo ed alcuni ricchi oggetti di Montezuma. Di questa seconda preda fa relazione lo stesso Davila in una sua lettera a Carlo V, dalla sua prigione di Rocella il 17 giugno 1523 , ma ne parlano pure Pietro Martire e lo storico Herrera; il bottino fu di più di 600,000 ducati, ossia un milione e mezzo di dollari (24). Si confrontino queste notizie colla lettera di Verrazzano in cui questi li otto luglio 1524 racconta a Francesco I il suo viaggio di scoperta; e vi si aggiungano , il dispaccio del 25 aprile 1523 del Silveira ambasciatore di Portogallo al suo Re , e un brano della Cronaca di Don Giovanni III scritta dell’Andrade (25). Dallo insieme si fa chiaro: che Verrazzano aveva offerto a Francesco I di scoprire terre incognite verso la Cina, impegnando in suo favore 1’ Ammiraglio di Francia Bonivet; che il Re Francesco prestava facile 1’ orecchio e preparava la flotta, ma dissimulando, per essere amico del Re di Portogallo : che i Portoghesi residenti in Francia avvedendosene ne resero accorto il loro Re il quale spedì espressamente Silveira allo scopo di stornare 1’-impresa. Tuttavia Verrazzano era riuscito a partire per la scoperta con quattro navi, ma una gran tempesta gliene mandò due a picco e guastò le altre, obbligandolo a ricoverarsi alle coste di Bretagna. Racconciatele, si rimetteva in cammino, quando gli venne notizia dello avvicinarsi del tesoro di Montezuma, e potè compiere l’ardito colpo con grande successo e profitto. Ciò fatto volle ripigliare il suo viaggio ma sopravvenne ancora la discordia fra i suoi uomini, forse per la divisione del bottino ; se già non era sorta prima , come pare risulti dal dispaccio di Silveira: attalchè il suo concit- — !53 — tadino Alderotto Buondelmonte se ne separò; ma (dice Fernando Carli dopo la scoperta) questi vorrà ben pentirsene come saprà la buona riuscita del viaggio di Verrazzano. Finalmente il 17 gennaio 1524 con una sola nave, la Delfina, e 50 uomini, Giovanni scioglie da uno scoglio presso Madera, e nella prima settimana di marzo, corse 1200 leghe, giunge alla terra incognita (26) che fu poi la Carolina settentrionale, presso ove è ora Wilmington; risale per 700 leghe 0 16 gradi da 340 a 50° lat. bor., passando pei luoghi ove fu poi Nuova Jorch, l’isola Block, Newport, la Baja Penobscot, C. Breton ecc. Consumate le provi-gioni ritorna, e li 8 luglio lo troviamo a Dieppe intento , a scrivere pel Re la relazione della sua scoperta. Egli si proponeva di far seguire tale relazione da un particolareggiato Diario di viaggio e naturalmente colla Carta relativa; frattanto mandava copia di quella al suo concittadino Fernando Carli abitante a Lione, perchè la facesse comunicare agli amici di Firenze. Egli stesso si apparecchiava a recarsi a Lione, ove sapeva doversi recare il Re ai principii d’agosto, per abboccarsi con lui e prendere gli accordi e gli ordini per una nuova spedizione. Il viaggio da Dieppe a Lione conta 380 miglia e per mare si fa costeggiando la Francia settentrionale, indi la Spagna e il Portogallo e di nuovo la Spagna e la Francia meridionale. Sia che Verrazzano fosse ancora a Dieppe, sia che tosse già in viaggio, ebbe notizia oppure incontrò sul suo cammino , al Capo di San Vincenzo, una nave portoghese in via alle Indie con valori per più di 180,000 ducati e se ne impossessò; ce ne lascia notizia Pietro Martire in una sua lettera del tre agosto 1524 (27), dunque dopo ventisette giorni dalla data della relazione di Verrazzano a Francesco I. Giunse egli a Lione ancora in tempo da abboccarsi col Re? Quali furono le pratiche che ne seguirono? Noi lo ignoriamo; ma frattanto ardeva fiera la guerra fra Carlo V e Francesco, l’Ammiraglio Bonivet era in Italia soprastando all’ armata francese, ivi scendeva anche il Re; e dopo le liete speranze la battaglia di Pavia il febbraio 1525 disfaceva i francesi, uccideva Bonivet e rendeva Francesco prigione all’ Imperatore. Certamente sono queste le cause onde il disegno del fiorentino andò in turno, l’attenzione dapprima — 154 — distratta dai preparativi e dalle mosse dell’armata, la prostrazione poi della Francia e la necessità di pensare alla liberazione del Re, allo assestamento del Regno. Ma, prima che il disastro accadesse, Verrazzano dovea aver delineato la sua carta, solo o in compagnia del fratello Gerolamo; egli sognava le future vittorie della regia armata e volea immortalarle nel suo lavoro, accoppiare agli affetti di patria e alla riconoscenza pei suoi benefattori. Perciò lo vediamo cominciare la nomenclatura coi due nomi di Dieppe e di Livorno, le città marittime della patria antica e della nuova, paga poi il tributo d’ ossequio all’Annunziata e all* Impruneta i due più cari santuarii di Firenze, l’interno e l’esterno; saluta due volte il Monte Morello che s’erge gigante in Toscana fra la patria Val di Greve e Val diSieve; passa alla Francia e dà il nome di Luisa, la madre del Re e reggente, ad un’isola; consacra a capi e golfi i celebri nomi d’ Angolemtne, di San Germano, dei più illustri capitani francesi , i Duchi d"Orleans di Longueville, di Vendome. del Re di Na-varra; ripetutamente v’inscrive il suo protettore 1’Ammiraglio Bonivet, di cui già festeggia la male sperata Vittoria imponendone il nome sulla carta ; bada a non obbliare nemmeno i capitani italiani militanti in quell’ esercito, il Pallavicino e il San Severino. La pace fra le due potenze fatta in gennaio 1526, mentre chiudeva la via al corso marittimo, non era abbastanza solida per riappiccare le pratiche dei viaggi di scoperta. In tale stato di cose è giustificata la supposizione di chi attribuisce al 1525-6 l’andata di Verrazzano in Inghilterra e la presentazione ad Enrico Vili del suo progetto di passaggio al Catajo per l’occidente, con carte e globi ivi costrutti a tale uopo dei quali parla 1’ Hakluyt. Ma anche di là pare ritornasse inconcluso; poiché lo vediamo nel maggio 1526 occupato a Rouen di preparativi per altro viaggio alle Indie, di cui avea accettato la condotta come pilota maggiore, e ne’ cui profitti sarebbe stato partecipe in società con Filippo Chabot 1’ ammiraglio successore al Bonivet, e con Giovanni Ango il famoso armatore di Dieppe (28). Pria di partire, appone la sua firma ad un atto in cui lascia procuratori a rappresentarlo ne’ suoi interessi il fratello Gerolamo e un Zanobi de Rucellai (de Rousselay), senza dubbio suo concittadino. — i55 — Ma di nuovo il silenzio si chiude su di lui, finché al principio d’ottobre 1527 un dispaccio del Giudice Giles all’imperatore lo informa che Giovanni Verrazzano fu preso in mare da una squadra biscaglina, con tutto il suo equipaggio di 130 uomini circa ed alcuni gentiluomini avventurieri. Egli offerse per riscatto 130,000 ducati, ma non lo si udì; come non si vollero udire le offerte di grosse somme che fecero portoghesi perchè lo si lasciasse alle loro mani. Carlo V ne ordinò il trasporto da Cadice verso Madrid, ma giunto il prigioniero a Colmenares, fra Toledo e Salamanca, per altro ordine imperiale del 13 ottobre venne giustiziato (29). Fine infelice e certamente inglorioso, destino inclemente del povero Verrazzano, troncamento di grandi scoperte che avrebbero perpetuato il nome suo e di Firenze nella storia della Geografia; laddove per poco non ne rimase affatto sepolta la memoria. Ma se si considerino i costumi di quei tempi, se si badi che le sue prede furono fatte in giusta guerra, con navi regie, non v’ è nulla che ne deturpi la fama agli occhi degli imparziali. Ed a cagione della sua reale ed indubitata scoperta, a cagione della sua bravura, ingegno ed alti disegni di circumnavigazione, egli è un titolo di gloria all’ Italia che lo nudrì, alla Normandia che lo ospitò lungamente, alla Francia in genere che gli affidò parte della sua difesa da nemici, e cui egli contraccambiò colla scoperta di una delle più importanti regioni d’America. ■ ’ ' . NOTE PRESENTATE AL 3.0 CONGRESSO NEL 1879, MA COMPILATE DOPO IL TESTO E AGGIUNTE DOPO LA LETTURA DEGLI ARTICOLI DEL MaJOR E DEL De COSTA IN DIFESA DEL VERRAZZANO. (1) Il sig. Murphy lesse qui sulla fede del Brevoort Noroverege e Norombegne, siccome il ms. d’Alfonso è molto difficile a deciferare; ma ci va letto proprio Norombegue. Così avverte il Ch. Beauvois: Les Colonies europèennes du Markland el de 1’ Escociland au XVI siède nel Compie Renda de la seconde session du Congrès ìnternalional des Amèricanistes, Luxembourg, 1877, I, 219. Un altro errore di lettura nel Murphy è segnalato dal medesimo Beauvois 1: dal De Costa ; invece di 45 gradi pel Capo della Franciscane si dee leggere 410, é questa correzione è più favorevole a noi perchè trasporta ancora più a Sud la regione Francesca o Francese. Oltre il passo a cui qui si allude, riferito in lezione più corretta che quella del Murphy, il sig. Beauvois ivi stesso pagg. 215-26 disserta eruditamente sul nome Norumbega e sulla idrografia di quella regione. Alcune delle sue discissioni si avvicinano al nostro soggetto, ma non si possono trattare in una nota, tanto più che non influiscono sulla critica del nostro contradditore. (2) Alle notizie su Verrazzano e sulla sua fama corrente in patria si aggiunga la seguente che ebbi cortesemente dal dotto mio collega il Cav. Bongi Direttore dell’ Archivio di Stalo in Lucca: Nelle Lettere di Nicolò Martelli edite nel 1546 « a car. 87 ve n’è una a M. Dino Compagni il giuniore, fiorentino, studioso » di Cosmografia e di Matematiche, quello stesso cui è dedicata da Fra Mauro » fiorentino la Sphera volgare del 1537. Il Martelli si rallegra col Compagni » d’ essersi liberato da non so quali noje che lo avean tenuto per qualche tempo » impedito dagli honorati studi dell’ alta Cosmografia, della vaga Geografia et » della mirabile Idrografia per meno delle quali col Principe Tolomeo , col Ve-u spaccio, col Verrazzano, et più nuovamente col Giov. Pietro Appiano ale-» manno e astrologo sapientissimo discorrevi il mondo. Si vedono nello stesso — i58 — » Martelli molte lettere relative ad un Gio: Battista Verrazzano fiorentino che » stava alla Corte di Francia e' che nel 1544 ebbe 1’ ufficio importante di » Maestro de’ Corrieri. » Che questa famiglia seguisse volontieri la parte di Francia ne è prova anche quel Bernardo Verrazzano (omonimo dell’avo dello scopritore) che nel 1522 insieme a Nicolò Martelli (lo stesso di cui sopra?) fu bandito da Firenze, come sospetto complice della congiura contro i Medici, che cagionò la decapitazione d’ alcuni e la fuga in Francia del poeta Luigi Alamanni. (Ammirato Istorie fiorentine, libro 29.0). (3) Il facsimile della sottoscrizione di Verrazzano preso dall’ Archivio del Parlamento di Rouen fu stampato dal Rev. B. F. De Costa nel terzo -de’ suoi articoli sul Verrazzano: 'l'he Magatine of American History. Nuova Jorch, agosto 1878 pag. 450. Nel secondo di essi articoli (maggio 1878 pp. 260-1) De Costa rileva acutamente un’ altra concordia fra testimonii lontani e indipendenti. L’ Ambasciatore Silveira scrive al suo Re che Verrazzano non è ancora partito alla scoperta fra altri motivi per cagione di differente fra lui e i suoi uomini. Dall’ altra parte Fernando Carli nella sua lettera, annunziando‘al padre la scoperta, aggiunge: Alderotto Brunellesclii che partì con lui e per fortuna (tempesta) tornando indietro non volsi più seguire, come dì costà (da Firenze) lo intende, sarà malcontento. Sarà anche questa la ragione per cui Verrazzano partito con quattro navi e per tempesta ridotto a due, finalmente continuò il viaggio con una sola nave la Delfina. (I tre articoli del De Costa nel Magatine tutti del 1878 sono intitolati: il i.° The Letter of Verrazano febbraio pp. 65-81 : il 2.0 The Voyage of Ferravano, maggio pp. 257-77; 3-° The Verranno Map. agosto, pp. 449-69). (4) La verità di parecchie notizie del Verrazzano a descrizione dei luoghi è ben posta in chiaro dal De Costa nel predetto secondo articolo pagg. 264-272, citando esempi di altri Viaggiatori e le confessioni degli stessi avversarli Murphy e Buckingham Smith; ad esempio, la costa, dove mancante di pietre, dove bassa e sabbiosa o eminente, ripida , scogliosa ; le case circolari, la cura delle malattie col fuoco, i costumi diversi. E ponendo tali notizie a confronto con quelle che ne sognavano in quello stesso secolo i più dotti, come Benzoni, Bordone, Thevet ecc, fa meglio risaltare la conoscenza personale del Verrazzano. Vedi anche sotto i giudizi del Maior e del Kohl. (5) De Costa nel suo primo articolo (febbraio 1878 p. 66) risponde anch’ egli che non era il clima che si cercava, ma 1’ assicurazione del passaggio. Perciò Spagna fortificava lo stretto di Magellano e Frobisher si ostinava nelle acque del più lontano Nord. V Illustre Major (art. Ferravano nel Geographical Magatine, Londra, luglio 1875 p. 87) dice che la scoperta di un passaggio al Catajo pel Nord-Ovest e il Nord era il gran desideratum dopo il ritorno della spedizione di Magellano. (6) Anche Major loc. cit. dice: noi non vediamo ragione per cui la prima descrizione di un paese sia la sola che si pretenda e si aspetti libera da in- — 159 - formazioni. De Costa prova in più luoghi che anche i Viaggiatori dopo Verrazzano caddero negli stessi difetti sugli stessi luoghi: per es.; non videro la gran Baja Chesapeake o la Delawarc,non videro o non notarono generalmente nelle carte la grandissima ma nebbiosa Baja Fundy ecc. (art. di maggio pp. 264-5 ; 272-4). Si vedano ivi altre spiegazioni, dove dopo fatta un po’ di parte all’ esagerazione, è chiaro restarvi ancora quel fondo di vero che richiede la vista personale : la costa del Maine Orientale è ben assomigliata a quella dell’ Adriatico : la descrizione sovra accennata, dello sbocco fra i colli df 11’ Hudson nella baia di Nuova Jorch, viene lodata dallo stesso Avversario Buckingham Smith ; la pietra viva all’ entrata del porto di Newport è probabilmente Goal Islatid ove sta ora il Faro (pp. 271-2). Ma certe impossibilità 0 alte improbabilità sono sogni del Critico. Così Major ben lo rimbecca nei due punti seguenti: t Da Dieppe a Lione vi sono 380 miglia ; sarebbe un miserabile Corriere quegli che non potrebbe percorrere tale distanza in ventisette giorni (tra li 8 luglio e il 4 agosto), per recare la lettera di Verrazzano al Re che dovea recarsi in quest’ ultima Città. Ma in questo frattempo, secondo Pietro Martire, Fiorino ossia Verrazzano compiè un’ altra corsa sulla costa del Portogallo, predando una nave con 180,000 ducati che andava alle Indie. Il S. M. trova questo intervallo come il precedente insufficienti a compiere tali fatti, perciò falsa e inventata la lettera del Verrazzano e del Carli (pp. 23, 145). Il Major, come avea risposto alla prima pretesa impossibilità, risponde alla seconda con un esclamazione. « Impossibile, per un Corsaro attratto dall’offa di 180,000 ducati, compiere l’impresa in tre settimane ! Tanto più che Verrazzano, venendo da Dieppe a Lione per vedere il Re, si trovava proprio sulla strada e alla costa di Portogallo ove dovea passare la nave da predare. » Infine fossero, se si vuole, impossibilità; De Costa p. 463 osserva che Popham scriveva nel 1607 dal Maine che ivi nascevano noci moscate e cannella, ambra grigia e tintura del Brasile, e che si era vicini al mare pacifico. Altrove (p. 265) dice: Fernando Cortez fa bere a Montezuma del vino dalle cantine, colà ova non erano nè vini né cantine. Dovremo dunque cancellare dalla storia i viaggi di Popham e perfino Cortez ? (7) Il silenzio, già si sa, è un indizio soltanto negativo e debolissimo. De Costa (pp. 270-71) reca esempi di cose anche più importanti taciute dai Viaggiatori. Il Tabacco e il Wampum di cui fa tanto caso il Critico, non sono menzionati « nè da Ribault (1562) nè da Ingram (1568) nè da Barlow (1585) nè » da Pring (1603), nè dal giornale di Popham (1607). Peggio ancora, Marco » Polo non dice nulla del tè in Cina », ed, aggiungo io, non dice nulla della gran muraglia, sebbene sia menzionata dai contemporanei di lui, Abulfeda e Ibn Batuta. In quanto al silenzio sul bark-canoe alla costa del Massachusset, pure rimproverato dal Murphy, De Costa risponde che questo anzi è una prova d’ autenticità della lettera. Il bark-canoe (il canotto leggerissimo di cortecce d’alberi - — i6o — o betulle cucite con vimini o simile) era una consuetudiue soltanto di Terra Nuova e luoghi vicini, perchè ivi gli alberi vengono sii piccoli e stentati. Nella Nuova Inghilterra, ove si trovava Verrazzano allora e dove gli alberi cresceano grossi, fu in uso il log-canoe (il canotto di un sol tronco di albero) incavato col mezzo paziente ma economico del fuoco; finché l’introduzione degli utensili di ferro non rese più focile la costruziune della barca di più pezzi. De Costa cita altre simili descrizioni di Champlain e di Lescarbot : egli ne avea già ragionato in articoli predenti, cominciando la lotta col Sig. Murphy: cioè nel giornale The American Church Review, Nuova Jorch luglio 1876 (The Voyage of Verrà£■ sho), e in altro grazioso articoletto (anonimo) : Verrazzano a motion for thè stav of Iudgement, Nuova Jorch, 1876. Il silenzio ossia la mancanza di documenti autentici non è ammessa come prova dall’ Harrisse medesimo, come nè dal Major, nè dal De Costa. E vedasi in proposito di simili casi il mio dotto Amico il sig. Gabriele Gravier di Rouen, nella erudita Memoria presentata al Congresso internazionale di Geografia : Les Navigations Europiennes faites au moyen-dge aux còtes occidentales d’ Afrique. Paris 1878, pp. 36, 37. (8) Qui mi soccorre appunto De Costa (p. 265) citando Hudson il quale nel 1609 dice che le uve passoline (dried currants) che gli Indiani portarono, erano dolci e buone. Vedasi anche a p. 262-63, come De Costa interpreta la difficoltà del colore degli Indigeni, ad ogni modo mostrando errori analoghi commessi da altri viaggiatori. Io credo però, su questo punto del colore, più appropriata la mia risposta. (9) De Costa, p. 257-9 ed altrove , nota altre contraddizioni tra la lettera di Verrazzano e la Carta Ribero. Colà dove il fiorentino crede trovarsi indizi d’ oro, una leggenda di Ribero dice al contrario: no han alla do oro. Colà a 41° 40 circa, dove la lettera dice che arrivò per mare in direzione da ponente a levante, Ribero a ponente ci pone terra invece di mare: La terza corsa in uno dei documenti diventerebbe la quinta nell’ altro, il grado 41 0 40 diventerebbe 44° ecc. (10) Anzi Major dice, ed è vero, che nella Carta di Ribero non vi è divisione di corse la quale è puramente imaginata dal Murphy; manca dunque uno dei termini pel raffronto. (11) Major ben compendia le risultanze dell’esame di confronto fra Ribero e Verrazzano. « La lettera di Verrazzano contiene particolari che » non poteano » essere raccolti da nessun altro racconto o da carte preesistenti. » Il Dott. Kohl 5 (continua egli) giudice imparziale e competente pubblicò a Portland nel 1869 » per la Società Storica del Maine la sua History of thè Discovery of thè East » C.oast of North America, nella quale potè dedicare venti pagine alla spiega-» zione della lettera di Verrazzano, verificando al lume della scienza moderna » i differenti punti di essa lettera con soddisfazione, e ne dà la sentenza se-» guente. È questa 1 impresa maritima più interessante sù questa nostra costa » nella prima metà de! secolo XVI; perchè durante quel periodo essa è 1’ unica — ié I — » che contenga un rapporto scritto, pieno, composto da un teste oculare, ben » istruito e capitano della spedizione. 11 racconto quindi è inapprezzabile. « Ecco che cosa invece dice il Kohl della carta di Ribero considerata come » la spiegazione del viaggio di Gomez. Noi non riesciamo a determinarvi la » strada che Stefano Gomez segui nell’Oceano. Non ci fu conservato niun » giornale di bordo scritto da lui o da suoi compagni ; e gli storici Spagnoli » Oviedo, Herrera e Gomara, che possono aver veduto il giornale, sono » brevissimi nel racconto di quella spedizione ; quantunque essa avesse un in-» teresse particolare per la Spagna, essendo la sola officiale spedizione inviata » da quella Nazione alle parti nordiche della nostra costa orientale». La pretesa costruzione della lettera di Verrazzano sulla Carta di Ribero è qualificata dal Major il Climax, il non plus ultra, delle imputazioni costruttive del sig. Murphy, e dice che non merita altro nome che quello di un assurdo. Conchiude (d’ accordo col De Costa) che tutta 1’ accusa del Murphy « è fondata » in non altro che in una serie di supposizioni arbitrarie, non solo non confermate » dai fatti, ma in contraddizione diretta coi fatti ammessi dal Murphy medesimo ». E mi pare che basti. (12) Kohl, Die beiden àltesten generai Karten von America, Weimar, 1860; pagg. 59-60. Anche tutte le altre citazioni del Kohl nel testo mio vengono da questo libro, non avendo io alle mani il suo lavoro più recente citato dal Major ved. nota precedente). Sul senso della parola scoprire ved. De Costa p. 274 ove è citato Barlow che nel 1584 dice aver scoperto parte della regione ora detta la Virginia, e gli Olandesi nel 1611 dicono avere scoperto le terre fra i gradi 40 e 45 Nord, mentre non ignoravano essere state queste più volte visitate e delineate in carte. (13) Sulla bandiera francese e suoi colori ved. De Costa p. 454 che cita Vernouel , Les couleurs de la France. (14) Una nuova prova di maggiore antichità della Carta di Gerolamo Verrazzano è nella menzione che egli fa soltanto della esplorazione di Francesco Garay ( 1521), ignorando ancora quella del Licenziato Aillon sebbene avvenuta prima della sua Carta (1523) De Costa, p. 452, c’ informa della leggenda scritta da Gerolamo sul preciso limite della scoperta di Garay, limite pure segnato nello schizzo annesso alla Reai Cedola in favore di questo scopritore (Ved. Navarrete, Viajes y Descubrimientos III. 148). La leggenda di Gerolamo è la seguente : Qui cominciò a discoprir Frane de Garra : ultima della Nova Hispania. Del resto, dice De Costa (p. 462) Frobisher sognò d’aver veduto e pose nella sua carta un mare aperto conducente al Cataio che copriva 12 a 15 gradi di latitudine. Simili fantasticherie sorgono non raramente da viaggi reali. (15) Vedo ora che io avevo indovinato la professione del sig. Murphy, poiché lo scritto sopraccennato, anonimo ma credo del De Costa : Verravano, a Mo-tion for thè stay of Iudgement p. 4 dice, che « il libro del sign. Murphy è » oscurato (overshadoved) dall’ influenza dell’ abito professionale, e vi si discopre Socitlli Ligure di St. Patria. Voi. XV. 11 — 162 - » non soltanto lo storico in cerca della verità ma il procuratore che si scalda » per giungere a strappare il verdetto » (attorney warmly reaching out to grasp thè verdict. (16) A proposito della professione di Corsaro rinfacciata a Verrazzano, 1’ inglese Major dice: « noi crediamo che non si possa attribuire qualche cosa di » molto meglio ad alcuni dei nostri proprii esploratori dei tempi della Regina » Elisabetta. » (17) De Costa pp. 73-81, reca i passi del dotto bigliografo spagnolo Leon Pinello, nella sua Epìtome de la Biblioteca Orientale ecc. Madrid 1627, e dello spagnolo Alcedo nella inedita sua Biblioteca Americana: i quali citano entrambi la relazione di Verrazzano come scritta in francese, e tradotta in italiano da 1 Ramusio. Ivi è citata pure una traduzione spagnola di un certo Taxandra. Delle differenze e malintesi che possono venire da due traduzioni diverse De Costa p. 68 cita più esempi; uno di questi è dalla traduzione di Alfonse fatta da Hakluyt, che ha fatto dire al suo originale che i fichi nascono nel Canadà ; mentre colà era detto che il Canadà si stende fino alla terra Figuier, provincia de Hygueras della Carta di Ribero, corrispondente alla regione che si stende dall’isola di Cozumel al Golfo di Honduras. E come qui il Figuier e il Canadà divennero il paese dei fichi, cosi il Perù per altri traduttori fu la regione delle pere. Anche il sig, Murphy si piace delle sole traduzioni dei nuovi documenti da lui recati, ed Harrisse a ragione deplora questo costume che può dar luogo ad inconvenienti gravi e in ogni caso non rende mai così chiaro il senso dell’originale. (18) Riguardo ai due Re, De Costa pp. 267-8 dimostra luminosamente col-1’ autorità di Roggero Williams, che gli Indiani del Narraganset, ancora un secolo dopo, vivevano proprio sotto un simile governo di due Re, un vecchio e un giovine, zio e nipote. (19) Qui finisce lo scritto presentato nel 1879 al terzo Congresso degli Americanisti a Brusselles ; la ricapitolazione che segue a chiusa fu compilata posteriormente. (20) Si veda per le notizie sulla famiglia Verrazzano 1’ elogio di Giovanni fra gli Elogi d’uomini illustri Toscani ed. 1770, II, p. CCCXXII e segg. Ivi è anche il suo ritratto che venne ribubblicato dal De Costa insieme agli articoli sovra lodati. (21) Tale Cronaca è riferita dal Desmarquets, Mèmoires chronologiques pour servir à l’ liistoire de Dieppe, Paris, 1875, I, 100 e in Murphy p. 112. (22) Da un documento nell’ Archivio delle Indie a Siviglia, riferito dal Murphy: The Voyage of Verranno, p. 165. Append. IV, n. 2. (23) Petrus Martyr, Epistolarum ed. 1670, 19 novembre 1522 n.° 771 e ir giugno 1523, n.° 779, e le sue Decadi V. cap. 8. (24) Lettera del Davila riferita dal Murphy loc. cit. Àppend. IV n.° 1, p. 164. Herrera, Hist. de los echos dos Caslilhanos, Decad. III. Lib. IV cap. 20. — 163 — (25) Riferiti dal Murphy, p. 160-62, Append. Ili, il Dispaccio del Silveira e 1 brano della Cronaca d’ Andrade. (26) Ved. la lettera di Verrazzano al Re in Ramusio, Navigationi e Viaggi, III, 420. ed. 1556. e in Archivio Storico Italiano Voi. IX. Append. n.° 28, 1853. Ivi anche la lettera del Carli di cui più volte è discorso. (27) Epistolarum, n.° 800. (28) L’ atto di Società è riferito dal Murphy p. 158, Append. II, riveduto sul ms. perciò più corretto della copia stampata dal Margry. Gli atti seguenti di procura sono tratti dall’ Archivio del Parlamento di Rouen e riferiti dall’ Har-risse, The Voyage of Vetra^ano, nella Revue Critique, Gennaio 1876; e questi due li riproduciamo nell’ Appendice II. (29) Questi due documenti sono riferiti dal Murphy nell’ Appéndice V. pp. 167-168. ! - - * . i I APPENDICE I. Alla Memoria precedenze sul Ver radano, in cui si tratta più specialmente della nomenclatura della carta di Gerolamo Verranno, riveduta e corretta. La Memoria precedente era già stata presentata al secondo Congresso degli Americanisti tenuto a Lussemburgo nel 1877, ma nel Compte-rendu di quella sessione ne fu stampato soltanto un breve sunto. Sono io che ho desiderato che si facesse così, siccome contavo di poter migliorare il mio lavoro con nuove fonti, specialmente con un viagggio che mi ero proposto. Circostanze indi-pendenti dalla mia volontà mi impedirono l’esecuzione di tale disegno : d’ altra parte gli Uomini più a fondo instrutti nelle cose storiche della Toscana, ai quali mi sono rivolto e che son persuaso nulla hanno trascurato e per gentilezza propria e per amor patrio, non hanno potuto somministrarmi alcuna indicazione nuova intorno al Verrazzano, salvo un cenno nelle lettere di Nicolò Martelli, che ho posto in nota. Si può dunque considerare perduta ogni speranza per parte degli Archivi e fonti toscane ; ma rimane sempre a compiere la ricerca negli Archivi francesi che ancora recentemente ci diedero buoni saggi su questo argomento. Nel frattempo venni in cognizione dell’ articolo in difesa di Verrazzano scritto dall’ Illustre R. H. Major, uno dei Conservatori del Museo Britannico. Il Rev. B. F. De Costa di Nuova Jorch, autore di dotti ed acuti articoli geografici in varie Riviste, mi — 166 — comunicava con liberalità squisita i suoi scritti che riguardano il Navigatore fiorentino. In tale stato di cose rimasi in dubbio se non valeva meglio sopprimere la mia Memoria del tutto, oppure rifarla da capo interamente profittando di que5 lodati studi. Ma io aveva data parola di ripresentare il mio scritto al terzo Congresso a Bruxelles. Poteva forse essere più gradito agli studiosi formarsi da se un giudizio finale; e frattanto vedere, come da persone diverse ed indipendenti una dall’ altra veniva considerato uno stesso soggetto e si scioglievano le numerose obbiezioni sollevate dal signor Murphy. Fondendo in un scritto al tutto nuovo le risposte già mie con quelle dei detti codifensori , nonostante la delicatezza che avessi usato nelle citazioni, avrei potuto lasciar dubbio nei lettori , che io mi volessi far bello dell’ ingegno altrui. Queste ragioni mi persuasero ad adottare una via di mezzo: ripresento il mio scritto al terzo Congresso, migliorato forse alquanto nella redazione, essendo stato scritto la prima volta un po’ in fretta, ma identico nella sostanza e indipendente dalle cognizioni acquistate dopo; aggiungo qua e in là, ma in note a parte ed in fine della Memoria, quelle osservazioni de’ dotti Codifensori che mi paiono confermare il da me detto, o illustrare altre parti da me trascurate; e riservo la presente Appendice a dare un saggio più particolareggiato degli studi del signor De Costa sopra un aspetto nuovo della quistione; cioè l’influenza della Carta di Gerolamo Verrazzano sovra altre carte dello stesso secolo XVI, e la nomenclatura delle coste scoperte dal fratello di lui; la quale nomenclatura fu dal De Costa, per la prima volta e a suo grande onore, ricavata dall’originale della Propaganda di Roma. L’ articolo del sig. Major, benché breve, è un tocco da maestro, succoso ed incisivo; ma il Rev. De Costa prende a corpo a corpo il sig. Murphy e non gli lascia posa nei suoi quattro o cinque articoli pieni d’erudizione e di vena. I tre specialmente che inserì nel Magatine of American History dal febbraio all’agosto 1878 considerano la quistione sotto tutti gli aspetti ; esaminandosi nel primo la lettera di Giovanni Verrazzano, nel secondo il viaggio di lui, nell’ultimo la carta del fratello Gerolamo. Nella rassegna che — 167 — l’autore fa delle carte marittime contemporanee e dello stesso secolo dei Verrazzani, spiega una cognizione di tali rari cimelii, mirabile per uno che sta dall’altra parte dell’Atlantico ; e ha reso i suoi scritti ancor più preziosi pei fac-simili e disegni aggiuntivi, che pongono il lettore in grado di giudicare con miglior cognizione di causa. Vi troviamo non solo ripetute imparzialmente le carte comparative del Murphy, ma vi è un nuovo disegno della carta di Gerolamo Verrazzano più accurato e colla intera nomenclatura : e vi hanno frammenti delle carte dal Reinel, dell’ Hakluyt o Locke, della Tolemaica del 1513, della Ramusiana del 1556, in quanto possono giovare alla quistione: c’ è uno schizzo di altra carta alla Propaganda che è imitazione della carta di Ribero, c’è infine un bellissimo fac-simile del Globo d’ Ulpius che De Costa illustrò eruditamente con un più recente articolo nello stesso Magatine of American History (gennaio 1879). Noi stessi, parecchi anni addietro, avevamo veduto a Venezia , a Firenze , Bologna , Parma e a Parigi e Londra gran numero di carte e porto lani degli Autori citati dal De Costa o di altri il cui studio sarebbe giovato alla nostra quistione; ma a quel tempo (oltre ad altro genere di ricerche storiche) il nostro scopo era rivolto in particolare alle scoperte e forme di coste fino al solo secolo XV ; in generale poi ci proponevamo di raccogliere, e abbiamo raccolto in fatti la serie possibilmente compiuta dei Cartografi italiani e dei loro lavori, come anche dei lavori simili di stranieri che si conservano in Italia. Non avevamo dunque nulla di preparato di carte manoscritte pel nostro studio presente; meglio possiamo giudicare delle stampate nelle edizioni tolemaiche del 1548 e 1561 e in quelle del volume terzo della celebre raccolta del Ramusio, le quali si dicono fattura del Piemontese Gastaldo, rinomato a que’ tempi. In quelle carte non si può a meno di riconoscere, come afferma il De Costa, non solo un tipo affatto diverso dalle solite imitazioni del Ribero, ma ancora una reminiscenza, per quanto imperfetta, d’ una scoperta francese. Già il nome di Angolemme trasportato in quelle coste ha una chiara allusione al titolo originario del Re Francesco I. La carta nel Ramusio dal 1556 in poi, oltre al conservare lo stesso nome, battezza a dirittura coll’ altro di Nuova Francia tutta — 168 — la regione da Angolemme a capo Breton, in conformità della carta di Verrazzano, e aggiungendovi il sinonimo di Norumbega conforme al Capitano di Dieppe. Quel nome di Nuova Francia, collocato nel corpo di una vasta regione, più o meno isolata dalle acque, conferma tanto il nome di Francesca dato alla stessa ragione dal Miinster e dall’Alfonse quanto la leggenda el viages de Frances dell’ Agnese, ai quali il De Costa aggiunge la Francesca del Lau-donnière. L’altra carta, che segue nello stesso terzo volume del Ramusio, ha intorno all’isola di Sumatra tre isolette nominate la Louis:, la Marguerite, la Forinetie, corruzione quest’ ultima di Parmentier che sappiamo ora essere il nome del Capitano di mare di Dieppe , non conosciuto da Ramusio. Da questi esempi si vede essere stata intenzione di que’ scopritori o francesi o per conto della Francia (come del resto era uso generale) di onorare la madre, la sorella, gli appannaggi del Re, la Nazione e lo stesso scopritore. Ciò posto vi è buon indizio a riferire a simile intenzione anche altri nomi meno chiari, come sarebbe il Porto reale, Flora e persino il Paradis che 1’ erudizione del De Costa ha riscontrato nell’ allora famoso Padovano, invitato da Francesco I a professare scuola d’ebraico in Francia e maestro , aggiunge egli, della sorella del Re. Ciò viene tanto naturale, che, come notò il De Costa p. 467, anche Botero nelle sue Relazioni Universali (Parte i.a Libr. v. art. Norumbega) scrisse che erano stati imposti dai Francesi questi nomi di Porto del Rifugio, Porto Reale, Paradiso, Flora, Angolemma. Guardando ancora più posatamente le carte del Gastaldo, per quanto ne sia imperfetto il disegno, vi si scorge un fondo che , come osserva il De Costa, si può richiamare alla carta di Gerolamo Verrazzano, almeno in uno dei punti più importanti. Si vede anche • qui la costa della Longisland fra due gc^lfi esagerati e l’isola triangolare (specialmente nella carta del 1548) a levante della Longisland seguita da un Porto del Rifugio che accenna al rifugio di quindici giorni di Giovanni Verrazzano, dopo passata 1’ isola Luisa. Ma ciò che è più conveniente ancora è 1’ acuto e verissimo rilievo del Rev. De Costa p. 460. L’isola triangolare ha nome Brisa nel Gastaldo, nome chiaramente corrotto da Luisa male inteso dal — 169 — copista. Quest’ isola e la Longisland e il Porto del Rifugio, a dire il vero sono fuori di luogo , perchè la carta li pone verso i gradi 45 di latitudine e poco al di sotto del Capo Breton, che è nella giusta posizione di 46°; ma appunto tale errore prova la dipendenza della Carta Gastaldo da quella di Gerolamo Verrazzano. Quest’ultima carta assumendo l’erronea base della Florida a 38.", disegnò tutta la costa della Verranno, troppo in alto , e specialmente l’isola Luisa e luoghi vicini, precisamente collocò a 45 gradi, facendo risalire in su a proporzione il Capo Breton. Ma Gastaldo che lavorava molti anni dopo, quando era conosciuta la giusta latitudine del Capo Breton , tirò questo nome più basso che cosi rimase vicino all’isola Luisa, il cui errore geografico non si sapeva correggere. Il Mercatore nella sua gran carta del 1569, volendo riunire tutti i dati pervenuti a sua cognizione, e cosi anche la lettera di Verrazzano, vide che mancava l’isola colà ove dovea essere e ve la po.Te col nome erroneo di Claudia che designava la moglie e non la madre di Francesco I, e nello stesso tempo mantenne a 450 l’isola Brisa che trovava nel Gastaldo. Per tal guisa credendo completare faceva una duplicazione d’una medesima isola ; come duplicò per simile errore e separò le Feroe dalla Frislanda, la nomenclatura dei Zeno dalle scoperte più moderne. Il Rev. De Costa passa ad esaminare la Carta di Gerolamo Verrazzano in se stessa e nella sua nomenclatura per la parte che ci riguarda. Egli ci fa sopra osservazioni ingegnose, ma che noi non possiamo accettare che in parte; persuasi però che la difesa non ne trarrà danno ma piuttosto vantaggio. Conveniamo con lui dapprima sulla importanza del nome inscritto in essa carta di Orambega (forse da leggersi Norambega, la cui prima lettera non sia stata ben distinta): così sarebbe qui il più antico esempio di un nome poi ripetuto e quasi divenuto famoso. Il nome di pescherie intorno al Capo Breton indica che, o scarse o frequenti, i Verrazzano le conoscevano già. Anche più importante è il finto che la nomenclatura nuova ed italiana si ristringe fra gli stessi limiti occupati dalle tre bandiere tra la Florida e il Capo Breton : nuovo segno evidente clic i Verrazzano distinguevano accuratamente le vere loro scoperte dalle terre soltanto esplorate; — 17o — eglino adottarono, al di sotto e al di sopra, la nomenclatura estera già in uso nelle altre carte. Ma la lezione del De Costa in più luoghi ci è sembrata meritevole di nuovo esame: il che non può sorprendere chi sia pratico delle difficoltà paleografiche, specialmente nella lettura di nomi proprii. Perciò ci siamo rivolti alla gentile operosità e dottrina del Dott. Giacomo Lumbroso di Roma, il quale volontieri si aggiunse il dottissimo Canonico Fabiani ; entrambi diligentemente raffrontarono 1’ originale della Propaganda colla nomenclatura additata dal De Costa, tenendo conto dei dubbi da noi proposti qua e là; e c’inviarono ie correzioni che in fine di questa Appendice daremo a fianco della nomenclatura medesima. Si vedrà per esempio che al nome spagnolo di mucha gente è sostituito mai a gente; il che, oltre ad essere più proprio della nomenclatura italiana, è anche più conforme alla lettera di Verrazzano ed al carattere di que’ selvaggi notato anche dal Capitano di Dieppe ed altri. Parimente al Capo della bussa viene sostituito il Capo delle basse , denominazione propria e viva delle basse e scogli intorno alla penisola del Capo Cod. L’Impruneta e 1’ Annunziata ripetute più d’ una volta nella carta di Gerolamo, per chi conosca un poco Firenze, segnano, a non dubitarne, due famosi e veneratissimi Santuarii , l’Annunziata gioiello d’ arte entro la Città, e fuori la Madonna miracolosa dell’ Impruneta, non lungi dal feudo nobile dei Verrazzano la quale si trasporta a gran pompa a Firenze per ogni occasione di disastri temuti o sopravvenuti. Non fa bisogno di provare l’intenzione dei Verrazzano nel dare il nome di Luisa la Madre del Re all’ isola triangolare. Nemmeno abbiamo motivi per rifiutare 1’ attribuzione che fa il De Costa d’ Angolemme, San Germano, San Francesco, forse anche il Belvedere, la foresta e la selva dei Cervi, considerandoli come richiami più o meno vicini o solo probabili della Corte del Re, patrono dei Verrazzano: sebbene alcuni di questi possano anche alludere a scene naturali presentatesi lungo la navigazione; come ben osserva l’Autore che la Punta dei Calami risponde all’ odierno Canaveral nel significato e nella posizione. I nomi di San Luys, e di To- — i7i — lonvilla hanno pure una connessione evidente colla Francia e anche più i nomi d’ Orleans, di Longavilla e di Vendome. Ma se io convengo in ciò, vi è qualche cosa in cui dissento dal De Costa: cioè sul senso che ha inteso dare il cartografo ai tre ultimi nomi francesi. L’ autore pensa che Verrazzano ha voluto alludere alle città che egli ben conosceva; le più essendo lungo la strada che da Dieppe conduce alla llocella ritrovi ordinarii di lui. A me pareva che tale ragione non bastasse a perpetuarli in una carta di scoperte: capisco bensì che vi ponesse Dieppe e Livorno; l’uno il suo porto di Normandia, l’altro il porto della sua Toscana (e anche qui mi discosto un poco dall’ Autore). Ma una filza di nomi entro terra trasportati sul mare , senza un motivo apparente, non mi persuade. Così mi sorse un dubbio che, proposto da me a que’ cortesi Signori, fu riconosciuto una giusta previsione e sembra porgermi la chiave d’ un senso più appropriato pei nomi predetti Le parole che il De Costa legge una volta Lamuettc e al trove Bomuefte (riconoscendo egli però che sono un identico nome) nel mio modo di vedere, fondato sulle norme paleografiche, devono suonare Bonivetto ; e così fu riconosciuto per entrambe esse parole nella revisione. In tal caso il nome deve alludere all’ Ammiraglio Bonivet che capitanò l’armata francese, scesa in Italia nel 1525. Giovanni Verrazzano come capitano di mare era sotto la dipendenza dell’ Ammiraglio e sappiamo anzi dalla cronaca dell’An-drade che fu col favore degli Ammiragli e per la dissimulazione del Re Francesco che si stava covando il progetto di scoperta 0 passaggio al Cataio: come più tardi, succeduto che fu a Bonivet l’Ammiraglio Chabot, anche questi meditava con Giovanni un nuovo viaggio alle Indie. Il Fiorentino partiva per la scoperta d’ America al principio dell’anno 1524, quando Bonivet era in Italia, e ritornava in luglio ; molto prima dunque che le pazzie dell’Ammiraglio e del Re conducessero alla morte del primo e alla prigionia del secondo nella funesta battaglia di Pavia il febbraio 1525. Nulla di più naturale che Giovanni Verrazzano, e nel tempo e subito dopo la scoperta, intendesse onorare il suo Ammiraglio con imporne il nome più volte ai punti della costa veduta, anzi ne preconizzasse già come certa la Fittoria, nome anche questo figurato ripetutamente nella sua carta. Ciò posto si capiscono pure i nomi sovraccennati ed altri che faceano splendida mostra o nell’ armata o alla Corte del Re; il Duca di Vendome a cui in quel tempo fu affidata la difesa di Parigi da attacchi possibili del nemico; il Duca d’Orleans di Longueville; il giovane Re di Navarra che presto sposerà Margherita la sorella di Francesco I: e, se ben vedo, vi è anche Lescuns il Maresciallo di Foix che i signori revisori pur dubitando avean già cominciato a correggere in Cascuno (ved. il n.° 14 della nomenclatura). Nè mancano gli Italiani che nel tempo medesimo seguivano le bandiere di Francia con'titoli d’onore meritato; i Pallavicini e i San Severino fra i quali ultimi Galeazzo, grande scudiere del Regno. Ed è curioso che tali nomi di guerrieri si trovano più d’una volta accostati 1’ uno all’altro e alla Fittoria, come se fossero pronti in fila di battaglia. Le Fittorie augurate andarono in fumo. Gian Ludovico Pallavicini che correva a raggiunger 1’ armata cadde ucciso in un’ imboscata; il Duca d’ Orleans di Longueville rimase ucciso nell’assedio di Pavia ; la funesta battaglia data ivi stesso agli Imperiali recò la prigionia del Re Francesco e la morte al Maresciallo Lescuns, a Galeazzo San Severino e all’Ammiraglio Bonivet; il quale cadendo valorosamente come gli altri, scontò almeno in parte la colpa dell’ essere stato egli la causa principale del disastro. Il Duca di Fendome rimasto primo Principe del sangue corse a Lione a raggiungere la Madre del Re per avvisare con lei ai mezzi di salvezza del Regno. Questi fatti storici mi persuadono che una tale nomenclatura deve essere stata inventata proprio da Giovanni Verrazzano e scritta dunque sopra una carta originale di lui; il parlare di Vittorie e di Bonivet dopo e quasi fresche ancora le sciagure della Francia, e voler immortalare certi nomi sulla’ carta di una scoperta, non potea più farsi in un originale francese ; potea però copiarsi dal fratello insciente dello scopo o indifferente, e in un lavoro italiano. Segue la nomenclatura secondo la lezione del de Costa, colle — 173 — variazioni dirimpetto, secondo la lezione emendata dai signori Lumbroso e Can. Fabiani, avvertendo che, dove sono concordi, la seconda colonna tace. 1. Terra Florida 2. Dieppa 3. Livorno 4. Punta de Calmo 5......... 6. Palamsina 7. p. daraptor 8. Comana 9. Santia . . . 10. Punta de ca no (qui un istmo colla leggenda) Da questo mare orientate si vede il mare occidentale : sono sei miglia di terra infra V uno e V altro 11. C. d’Olimpo 12. Olimpo. 13. la Victoria 14. Casino (?). 15. Santanna 16. Lanutiata 17. Lamadra (?) 18. Sansiano 19. Palamsina 20. Lamprunera 21. Lanuntiata 22. Lungavilla 23. Lamuetto 24. San germano 25. La Victoria 26. Santa m 27. Lamprunela 28. c. d’ olimpo 29. Angolesme (Correzioni) Livornno punta de Calami punta delulmo Palavisina p. daraFlor Santiago de ce tue? infra 1’ uno et 1’ altro C. dolimpo la uictoria ansuino (?) cascuno (?) lamaina (?) lamacua (?) Sanfranc.0 palavisina lampruneta boniuetto Sangermano la victoria Santam.» lampruneta Angolemme — 174 30. tolomella 31. Vendomo 32. Luisa (l’isola) 33. navarra 34. M. morello 35. G. del refugio 36. C. del refugio 37. Palamsina 38. S. Severino 39. Lounn. prò Montorium 40. C. della bussa 41. La foresta 42. Selva de Cervi 43. palma 44. Sangiorgio 45. C. de San Luis 46. Santanna 47. Or ... . m. (?) 48. C. de monte morello 49. La foresta 50. Monte morrello 51. bel videre 52. Lungavilla 53. Vendomo 54. Bomuetto 55. San Semano (?) 56. le figla d . nivarra 57. Oranbega 58. La pescaria 59. Santanna 60. C. Grosso 61. Rio della pescaria 62. La Foresta 63. terra onde mucha gente 64. La Formoso (Correzioni) tolouilla navarro palavisina Iouim prò montorium c. delle basse palaia Orlean. c. de monte m. morello belvedere bonivetto Sanseverino le sigle (sic) de navarra terra onde he mala gente Può formose (?) — r75 — 7i- 72. 73- 74- 75- 65. Santa m San marti 66. plaia 67. C. de Bretton 68. c. grosso 69. baia 70. Rio Santant baia di Sancta Ioanni angra (?) plaia? pescaria (?) maria (?) 76. c. de paelas 77. c. Raso 78. C. de Spera 79. Farilhan . 80. baia de consepcion 81. Rio de consepcion 82. Bachalaos 83. Baia de ciria 84. isla de san luis 85. Rio Iordan 86. 87. C. das ihasas 88. Monte de trigo 89. C. d 90. Ylla do fuoco 91. Rio das bassas 92. Rio do freo 93. Isla des aves 94. R. formoso 95. abaia 96. C. formoso 97. isla fortuna 98. Terra nova sive le molue 99. Terra laboratoris 100. Questa terra (laboratoris) fu discoperta da inghelesi inghilesi (La leggenda sopra è) Hyeronimus De verrazano (sic) faciebat. Rio di Santant.0 de Sancto plaia angra parana ? camboa despada Farilham baia de coricam rio de San Ioanni Bachaliaio baia da steria Rio Iordam Rio dosramo C. das basas C. da scanaga Illa dp fuoco Rio dosno Ylla dos avas Ylla de fortuna (Correiioni) — 176 — (Correzioni) I Ver racana sive nova gallici quale discoprì Nova Gallia 1 $ anni fa giovanili da verrazano fiorentino sive Iucatanet f per ordine et Comandamento del Cristianissimo \ Re di Francia. N. B. Le bandiere sulle coste della Verrazana sono azzurre senz’ altro, ma a fianco di quelle, sopra il capo Lebretton, è la bandiera della Brettagna. Non pare che vi sieno giunte, pentimenti o ritocchi nella Carta. Cosi mi scrive il dott. Lumbroso. APPENDICE II. Come saggio di ciò che si potrebbe fare per una raccolta compiuta dei documenti riguardanti i Verrazzano , ripubblichiamo qui i due, che il signor Harisse trasse dall’ Archivio del Parlamento di Rouen e stampò nella Revue Crilique sovra nominata. Ma, se si vogliano (e si dovrebbe voler) pubblicare anche quelli che il signor Murphy trasse dall' oblio , bisognerà badare a riaverli nella loro lingua originale. Sovratutto importerebbe ripubblicare la Carta di Gerolamo Verrazzano con tutta esattezza e il finito che 1’ arte permette, concordando prima i dotti sulla vera lezione della nomenclatura. <( Du vendredi on%e mai 1J26. Noble homme Jehan de Varasenne, capitarne des navires esquip-pez pour aller au voyage des Indes, lequel fist, nomma, ordonna, constitua et estably son procureur generai et certains messagiers especiaulx cest asscavoir Jerosme de Varasenne son frere et he-ritier et Zanobis de Rousselay en plaidoirie et par especial de re-cevoir tout ce qui au dit constituant est, sera, peult et pourra estre deu par quelque personne et pour quelque cause ou causes — lTi — que ce soit ou puisse estre tant à raison du dit voyage des Indes que autrement, du dit deu ensemble de ses descords et procez traicter, composer et appoincter par tels prix moiens et conditions que les dits Jerosme et de Rousselay pourront et de receur et bailler quictance et descharge telle que mestier sera et generalement promettre, tenir et obliger biens et heritages — presents mcl Gales et Nicolas Doublet. Janus Vehrazanus ». Sur le me me feuillet: « Da samedi dou^ieme jour de mai 1526. Noble homme Messire Jehan de Varasenne, capitarne des navires esquippez pour aller au voiage de Indes, confessa avoir commis, constitué et estably Adam Godefroy, bourgeois de Rouen auquel il a donne et donne par ces presentes pouvoir et puissance de faire pour le dit de Varrassane (1) en ung des dits navires nommé la Barque de Fescamp, du port de quatré vingt et dix tonneualx ou cnviron dont est maistre, aprez Dieu, Pierre Cauuay pour oui-celluy navire faire traffiquer et negossier par le dit Varrassenne en toutes choses pour le dit voiage des Indes ainsi que par le dit de Varrassene sera baillé par articles et memoires soubz son seing audit Godeffroy. Et pour ce faire le dit de Varrasene a promis payer au dit Godeffroy pour sa peine et vaccation de faire et accomplir les dits articles et memoires a son pouvoir en faisant le dit voiage de la dite barque la somme de cinq cents livres tournois et icelle somme payer au retour du dit voiage a quoi faire le dit de Varassene a obligé et oblige tous ses biens meubles o o et heritages et iceulx prendre par execution incontinent le dit retour. — Et aussi le dit Godefroy s’est submis faire le dit voyage et deuement et loyaument servir le dit de Varassenne et accomplir (1) Les mots « en sa charge de capitarne es dit navires », sontici rayés dans l’original, et l’on a ajoutè en marge ceux-ci: « et pour le dit Godeffroy ». Società Ligure di St. Patria. Voi. XV, i* - i7S — à son pouvoir les dits articles et memoires qui ainsi lui seront baillez par le dit de Varrassenne. — Et est ce sans préjudice des biens, deniers et marchandises que le dit Godeffroy aura et pourra mettre es dits navires pour faire le dit voiage, lesquels lui et les siens auront avec eux emportez pour le profit d’iceulx oultre la dite somme de cinq cents livres tournois pour le dit voyage et a ce tenir obligent par 1’ un et l’autre chacun en son regard leurs biens et heritages. — Presents Jehan Desvaulx et Robert Bouton ». Henry Harrisse. INTORNO * A GIOVANNI CABOTO GENOVESE SCOPRITORE DEL LABRADOR E DI ALTRE REGIONI DELL’ALTA AMERICA SETTENTRIONALE DOCUMENTI PUBBLICATI ED ILLUSTRATI DAL SOCIO CORNELIO DE SIMONI / ' . ■ ♦ » LIBRI CONSULTATI DIRETTAMENTE DALL’ AUTORE E CITATI NELLE NOTE ALLA PREFAZIONE PIÙ COMPENDIOSAMENTE 1. Angleima (Petri Martyris ab), De rebus oceanicis et uovo orbe, Decadcs tres, Colonia, 1574. 2. Avezac (D’), Les Navigations Terre-neuvicmes de Jean et Sebastien Cabot. Parigi, 1869, di pp. 20. Estratto dal Bulletin de la Sociètè de Géograpliie; 1869, 2.° semestre. 3. Idem, Examen critique d'un ouvrage intitulè: The remarkable life..... of Sebastian Cabot of Bristol, by I. F. Nicholls (ved. sotto, n.° 17) — Parigi, 1870, di pp. 7. Estratto dalla Revue Critique d’hist. et de littcrat.; 1870, 23 avril. 4. Idem, Considèrations géographiques sur l'histoire du Brésil. Parigi, 1857. Estratto dal Bulletin de la Sociétè de Géographie, 2° semestre. 5. Bertelli (P. Timoteo), Sulla Epistola di Pietro Peregrino di Maricourl e sopra alcuni trovati e teorie magnetiche del secolo XIII. Memorie due, nel Bulli tlino di Bibliografia e di Storia delle Sciente Matematiche e Fisiche, dell’ illustre Princ. Boncompagni. Roma, T. I, 1868. 6. Idem, Intorno a due Codici Vaticani della Epistole di Peregrino di Maricourl ed alle prime osservazioni della declinazione magnetica, Ibidem. Tom. IV, agosto 1871. 7. Bullo (C), La vera patria di Nicolò de Conti e di Giovanni Caboto. Studi e documenti, Chioggia, 1880. Ivi sono i documenti, tratti dagli originali in Venezia, che erano stati pubblicati in traduzione inglese da Rawdon Brown, Ca-lendar of State papers and manuscripts relating to english ajfairs existing in thè archives and collections of Venice and in other libraries of Northern Italy. Londra, 1864-73, 3 volumi. 8. Cartwright (W. C.), Gustave Bergenroth, a Memorial Sketch. Edimburgo, 1870. 9. Cordeiro (L.), L’Amérique et Ics Portugais; sur la part prise par les Por-tugais dans la dccouverte de YAmèriquc (negli Atti del Congrès international Amèricaniste, i."e Session. Nancy-Parigi, 1875, 2 voi). — 182 — Il Ch. Reumont cita altra edizione di Lisbona, 1876. 10. Desimoni (C.), Sugli Scopritori genovesi del medio evo e sul modo come essi furono recentemente giudicati dai Dotti stranieri ; inserito nel Giornale Lign stico, Genova, 1874. Ivi di Giovanni Caboto, pp. 308-316. 11. Fracastori (Hieronymi), Naugerius sive de Poetica, Dialogus ad Io: Baptistam Ramusium, in Naugerji (A) Opera. Padova, Coniino, 1718. 12. Gomara (F. Lopez de), la Historia generai de las Indias. Anversa, 1554, cap. 39. 13. Hugues (Prof. L.), Le Navigazioni di G. e S. Cabolto, Roma, 1879. Estratto dalle Memorie della Società Geografica Italiana, I, part. 3.“. 14. Jomard, Les Monuments de la Gèograplne ou Recueil d’Anciennes Cartes en facsimile de la grandeur des originaux. Parigi, 1844? 15. Mìniscalchi Erizzo (Conte F.), Le scoperte artiche, Venezia, 1855; con parecchie citazioni del libro pregevole di R. Biddle di Pittsburg in Filadelfia : A Memoir of Sebastian Cabot, Londra, 1831 e 1832. 16. Navarrete (M. F. de), Viages y Descubrimientos, Madrid, I, 1825; III, 1829. 17. Nicholls (I. F.), The remarkable life, adventures and discoveries of Sebastian Cabot of Bristol, Londra, 1869. Comunicatoci dal Conte Riant e giunto ancora in tempo per giovarsene nelle note; (ved. sopra, n.° 3). 18. Peschel (O.), Geschicbte Der Erdkunde, 2." ediz., Monaco, 1878. 19. Idem, Gescb. Des Zeitalters der Entdcckungen. Stoccarda, 1858. 20. Ramusio (G. B.), Delle Navigationi et Viaggi. Venezia, Giunti, I , delle edizioni del 1563, 1606, 1613; III delle edizioni, 1556, 1565, 1603. 21. Reumont (A.), I due Caboto, Cenni storico-critici (Arcbiv. Stor. Italiano 1880, dispensa ultima; 1881, disp. prima). 22. Romanin, Storia documentata di Venezia, Venezia, 1855, IV. 23. Rymer (Th.), Foedera... Anglia ; Hagae comitis, 1741, V, part. 4.J. 24. Sanuto (Marino), Diarii; pubblicazione della R. Deputazione Veneta di Storia; Venezia, 1879, I. 25. Zurla (Ab. P.), Di Marco Polo e degli altri Viaggiatori Veneziani, Venezia, 1818. II. ivi Cap. X, di Sebastiano Caboto. 26. Zeri (A.), Giovanni e Sebastiano Caboto (Rivista Marittima Italiana, Roma 1881, I, con Carta), p. 577-585. i Giovanni Caboto (i), ignorato quasi non ha molti anni, la persona e i meriti vanno facendosi più vivi di giorno in giorno e guadagnano ognor più 1’ attenzione degli studiosi della storia geografica. 11 figlio di Giovanni, Sebastiano , famoso per lunga carriera marittima e per alti uffizi, aveva come concentrate in se anche le scoperte del padre, che pure lo avea guidato lungamenle sulla via e ne avea percorsa la parte più difficile e paventosa. Quindi Giovanni ne era rimasto offuscato già negli scritti, poco meno che contemporanei, di Pietro Martire e di Giam- (1) Prefazione ai documenti, letta all’Assemblea generale della Società, il 14 agosto 1881, per la chiusa dell’anno accademico. Io scrivo Caboto e non Ca-botto, perchè Sebastiano stesso così ha posto nella leggenda o titolo al suo Mappamondo del 1544 ; ved. docum. IV. — 184 — battista Ramusio; tanto più in tempi a noi vicini e nei Biografi che si travagliarono intorno a Sebastiano, i signori Biddlle e Nicholls; l’ultimo de’ quali tenta perfino strapparlo da Venezia facendolo nato nella sua Bristol (1). Ma i documenti ufficiali, sieno pure pochi, vegliano inesorabili a restituire a ciascuno il suo; e questi documenti, se finora soltanto sparsi per varie e rare pubblicazioni pure riuscirono già ad acquetare i meglio intendenti in istudi siffatti, è da confidare che guadagneranno il consenso universale allorché sieno riuniti e compiuti, per guisa che ogni lettore possa formarsene un giudizio da se. Tale appunto è il compito che ci siamo proposti; di far parlare cioè quanto sia possibile 1’ antico ed originale linguaggio delle carte; sostituendolo a ragionamenti, i quali maneggiati con ingegno e dottrina paion talora convertire il nero in bianco, il quadrato in rotondo, ma sfumano come nebbia allo apparire della nuda verità. Dei documenti che seguono raccogliendo la somma, vediamo che Giovanni Caboto intorno al 1460 si recò ad abitare a Venezia; e dopo quindici anni, profittando d’una legge di colà che favoriva queste naturalizzazioni, chiese il titolo e i privilegi di cittadino veneziano, e li ottenne il 28 marzo 1476 dal Doge e Senato unanimi (2). Vediamo che egli sposava una veneziana e nel 1496 aveva tre figli Ludovico, Sebastiano e Santo; donde la posizione di Sebastiano in mezzo ai fratelli, secondo (1) D’Avezac, Examen critique, p. 3. (2) Romanin, IV, 453 — Bullo, p. 59 — R. Brov'N , Venelian Calendar, 1864, I, 136. — i85 — T uso in ispecie di que’ tempi, ci fa quasi sicuri che egli era il secondogenito. Sappiamo che Sebastiano fu trasportato dal padre in Inghilterra pene infans : ce ne istruisce Pietro martire d’Anghiera che ebbe agio di conversare con lui (i). E sulla età concorderebbe l’inglese Eden, contemporaneo egli pure di Sebastiano, che . dice essere stato questi di quattro anni allora; senonchè Eden rovescia il fatto, asserendo trasportato il fanciullo non da Venezia a Bristol, ma da Bristol a Venezia. E, che è peggio, asserisce questo come dettogli a bocca da Sebastiano ; sul che il sig. D’Avezac (2) gli dà una meritata lezione, mostrando come Eden alteri scientemente altri testi. D’altra parte Sebastiano stesso all’Ambasciatore Veneto Gaspare Contarmi dichiarò « io naqui a Venezia ma sum nutrito in Ingelterra (3) ». Secondo le stime del Sig. D’Avezac (4) e del Conte Miniscalchi Erizzo (5), questo figlio di Giovanni poteva avere ventitré a venticinque anni al più nel 1498, quando partiva per un viaggio di scoperta di cui parleremo. Se così è, Sebastiano sarebbe nato intorno al 1473 o 75, e partito col padre per Bristol verso il 1477 a 79. Ed ecco nel 1480, in quella città e porto, avviene un fatto che deve aver commosso tutta la popolazione, e che ci viene un po’ vagamente riferito da Guglielmo Botoner, appellato anche Worcester. Il 15 luglio di quell’anno (1) Ab Angleria, Decas III, lib. VI, p. 267. (2) Examen critique, pp. 23. (3) Dispaccio ddl’Ambasciatore presso Carlo V alla Signoria di Venezia, 31 dicembre 1522. (Bibliot. Marciana, ital. Class. VII, cod. 1009, cart. 291-83 — Bullo, p. 64. (4) Navigations Terre-neuvièmes, p. 14. (5) Pag. 126. — r 86 — due navi, una delle quali del contenuto di ottanta botti armata da Jay il giuniore, salpano da Bristol per andare in cerca dell’ Isola del Brasile all’ Occidente ; il 18 settembre giunge notizia clic dopo infruttuosa navigazione le tempeste avean costretto la spedizione a scendere in Irlanda. Il comando di quelle navi era stato affidato a un Magister navis, marinarius scientificus totius Anglie. Chi era egli? Il Sig. D’Avezac sospetta nascondersi sotto questi titoli il nome di Giovanni Caboto; ed invero la ricerca della leggendaria isola del Brasile, vedremo poi, aver diretti i primi e ripetuti passi di lui nel più grandioso disegno concepito dalla sua mente. Sappiamo inoltre che l’Inghilterra, come il Portogallo e la Spagna, accoglievano a gran festa i marinai italiani, talora anche loro affidando i destini della propria marina; il porto di Bristol era uno dei più importanti del-l’isola e il più adatto a simili disegni per la sua postura occidentale; nulla vi era di più naturale che affidarsi in ciò ad un genovese venuto da Venezia. Tuttavia, avendo ora noi sotto gli occhi il testo di Botoner, sebbene mutilo e pare anche guasto nello stesso originale, dobbiamo confessare che la supposizione dell’ illustre Francese non ci sembra correre così liscia, come ci pareva prima, (i). (i) Ved. il nostro Documento III, invano cercato dapprima nella più nota Cronaca, Rerum Anglicarum, di Guglielmo Botoner, alias Worcester (nato a Bristol 1415, morto 1484, Botoner era il cognome materno «la lui preferito). Quel nome di Thlyde avanti a est magister navis, nel brano del documento III, è una incognita: sappiamo che il eh. Nicholls di Bristol opina doversi sciogliere la parola in Th(omas) Lyde ; una famiglia, egli dice, nota a Bristol per que’ tempi. Giovanni Jay, seniore, era Bailivo di Bristol nel 1456; il giuniore ne fu Sceriffo nel 1472. Conserviamo queste notizie per chi ami tentare di più. — 187 — Sia come vuoisi, almeno dall’anno 1491 certamente, comincia Giovanni Caboto la serie delle sue escursioni marittime verso Occidente; ce ne assicura Pietro d’ Ayala Protonotario e Legato del re Ferdinando di Spagna alla corte di Enrico VII d’Inghilterra. Egli con dispaccio del 25 luglio 1498 informa il suo Re che già da sette anni quei di Bristol vanno armando ogni anno due, tre, quattro caravelle per andare in cerca del Brasile e delle Sette Città, scaldati dalla fantasia di questo Genovese (si ponga mente a queste parole) (1). Il quale genovese era già stato a Siviglia e a Lisbona chiedendo aiuti e favori al suo disegno. Altre preziose notizie intorno a Giovanni Caboto, prima delle sue scoperte, ci fornisce un dispaccio , pure uffiziale, dell’Abate Ramondo de’ Raimondi di Soncino, ambasciatore alla Corte di Londra pel Duca di Milano (2). Il quale ai 24 agosto 1497 informa Ludovico il Moro che Giovanni Caboto è un marinaio distinto e di molta capacità nelle scoperte di nuove isole ; in altro dispaccio del 18 dicembre seguente (3) ripete che questo popolare Venetiano chiamato Messer Zoane Caboto è di gentile ingegno e peritissimo della navigazione; aggiunge che Giovanni era già stato alla Mecca ed avea colà veduto giungere le gioie, le perle e le spezierie con carovane venute da assai lontano. Interrogò quegli arrivati sul luogo d’origine di tali merci ; essi risposero che lo ignoravano e che riceveano queste da altre carovane venute anch’esse da assai lontano; e che anche quelle carovane (1) Ved. Docum. XIV. (2) 1> » X. (3) » » XI. — iSS — ignoravano il luogo d’ origine, ricevendo le merci da altre carovane di remote regioni. Di che, presupposta la rotondità della terra, il Caboto argomentava che più breve doveva essere il cammino, per arrivar colà, pigliando la via di ponente con direzione inclinata a settentrione. Giovanni cosi (prosiegue l’Ab. Raimondi), dopo scoperto il Brasile e le sette Città, pensa inoltrarsi riva riva sempre più verso il levante, tanto che sia all’ opposito di un isola da lui chiamata Cipango (il Giappone) clic crede posta nella regione equinoziale e dove crede nascano le gioie e le spezierie. Forse egli trovò fredda accoglienza a Siviglia e a Lisbona, dove il terreno era già preoccupato da Cristoforo Colombo. Forse se ne rimase egli stesso non amando intralciare i simili disegni del suo connazionale; pare anche che, per la stessa ragione della forma del globo terrestre, preferisse partir dal settentrione come via più breve, senza troppo badare ai climi, terre e mari più inospitali che colà avrebbe trovato. Ma io porto ferma opinione che Caboto o a Siviglia o a Lisbona abbia conferito con Colombo, i cui disegni erano noti, non che a quelle Corti, all’ universale. È anche possibile, come suppone il Sig. D’Avezac, che Cristoforo navigando alla Frislanda e facendo scalo a Bristol abbia qui salutato Giovanni (i). Una notte perpetua copre quei conversari che Pimaginazione commossa ama rifare e quasi indovina; non credo però che fin d’allora i due genovesi possano essersi intertenuti sulla declinazione dell’ ago magnetico. (i) D’Avezac, Année vèritable de la naissance de Cbr. Colomb, 1873, p. 44; ed anche nel Bulletin de la Socièté de Gèograph. 1872, 2.° semestre — Fernando Colombo, Historie ... di suo padre, cap. IV. » — 189 — La prima osservazione di questo fenomeno, storicamente provata, ebbe luogo nella famosa notte del 13 settembre 1492, lungo il primo viaggio di Colombo alla scoperta del Nuovo Mondo: le variazioni della declinazione, é pur noto, essere state osservate da Cristoforo nel secondo suo viaggio, e già fin d’ allora averne egli dedotto l’applicazione delle variazioni alla determinazione delle longitudini. Di Giovanni Caboto non sappiamo nulla intorno a ciò e se di Sebastiano fin dal 1588 si celebrava il segreto per la conoscenza delle longitudini, egli può averlo ritratto dalle osservazioni proprie o del padre, ma non si può attribuirgliene la prima invenzione (1). Lo scopo principale di Giovanni, pari a quello di Cristoforo, era, come vedemmo, di scoprire non una isola o terra qualunque ma sì un passaggio pel mare libero alla Cina e alle Indie, donde venivano le merci e le ricchezze tanto ammirate dagli Europei. Si è perciò che Sebastiano raccontando all’Anonimo del Ramusio (2) uno de’ suoi viaggi (che era pure viaggio di suo padre) dice che si rammaricò incontrando terra troppo presto, laddove sperava aperta la via ad inoltrarsi a ponente ; si fece allora a costeggiare verso tramontana ma gli toccò (1) Navarrete, I, p. 8, nel Giornale di navigazione di Colombo. — Fernando Colombo, capp. 17, 19, 63. Ved. in ispecie il P. Bertelli che ha difeso pienamente la priorità delle osservazioni di Cristoforo, dalle obbiezioni del Libri e del D’Avezac; unendovi la bibliografia più compiuta e l’esame delle carte nautiche più antiche. Non si negano con ciò i meriti di Sebastiano, della cui carta (perduta) sul polo magnetico, ved. Peschel , Erdkunde, 431; ivi citati i Documenlos ineditos para la Hist. de Espana, Madrid, III, 515. Conf. Peschel, Zeitaltcr, pp. 166, 281, ove citato il Cosmos di Humboldt e Pietro Martire ; ma, per Livio Sanuto, Gilbert, Formaleoni, Zurla ed altri, ved. il sovralodato Bertelli. V. Bullo p. 60. (2) Voi. I, ed. 1563 e 1613, c. 374 v." e del 1606, c. 414 v.°. — 190 — di peggio perchè ivi la terra piegava anzi a levante. Di che disperato voltò la prora a mezzodi e scese lungo la costa fino alla terra che fu poi detta la Florida, sempre cercando il passaggio ma inutilmente, finché il manco di vettovaglie lo costrinse al ritorno. Tuttavia non era meno necessario scoprire dapprima in mare, fra 1’ Europa e il paese delle spezierie, una stazione o scalo intermedio ; come conforto al lungo corso, riposo e deposito che assicurasse la continuazione dei lontani commercii. Questa stazione era già stata indicata, come è noto, da Paolo Toscanelli in un’ isola Antilia, detta anche le Sette Città. Le carte nautiche dei secoli XIV e XV figuravano sotto questi nomi una isola grande e quadrilunga; le leggende narravano che, per le conquiste dei Mori sulla Spagna, al principio del-l’Vili.0 secolo ne erano fuggiti un Arcivescovo e sei Vescovi con una gran parte del loro gregge e si erano ritirati colà, fondandovi una città per ciascuno; ma le discordie sopravvenute fra loro e i disastri aveano poi resa deserta e dimenticata quell’ isola. Era così spiegato in qualche modo il nome di Sette Città; ma donde l’isola assumesse pure l’altro nome d'Antilia, non concordano i dotti finora. Vi fu chi pensò che provenga da corruzione del nome arabo Al-Tinnin ( isola dei Serpenti) citata da Ibn al Wardi; ma la più comune opinione è che Antilia indichi un isola avanti le altre isole più note e meno occidentali (i). (i) Il eh. Hugues nel suo dotto opuscolo: Sui Caboto, p. 3, indica, meglio che altri, le carte antiche che segnano l’Antilia. — Sulle leggende relative ved. un altro dotto mio Amico G. Gravier, Presidente de la Sociètè Normande de Géographie, nella sua bella pubblicazione : Le Canarien, livre• de la conquéte...... — I9I — Più a settentrione dell’ Antilia le carte nautiche figuravano una od anche più minori isole, appellate del Brusir o Brasile; e nemmeno sulla origine di questo nome andrò cercando la conciliazione fra le varie opinioni. Noterò soltanto che, come dopo la scoperta di Colombo delle prime isole, rimase a queste determinato il nome leggendario delle Antille, cosi dopo la scoperta di Cabrai nel 1500 rimase affisso a quest’ultime terre il nome di Brasile (1). Ecco il perché già nel 1480 il marinarius scientificus totius Anglie andava in cerca del Brasile; e perchè Caboto, trovata che ebbe terra finalmente, fu detto aver discoperto il Brasile e le sette Città (2). Ed invero l’ardore e la tenacità di Giovanni, non ismentita dai bravi marinai di Bristol, ebbe un primo premio il 24 giugno 1494 alle cinque del mattino, quando lavedetta dall’albero della nave esclamò : terra terra ! Due anzi erano le terre presentatesi agli avidi sguardi; un’ isola che Caboto battezzò col nome di San Giovanni dal Santo des Canaries, Rouen, 1874, pag. 1. — Sull’ etimologia Ved. Peschel, Erdkunde p. 242, e Zeitalter pp. 127, 129, 616. (1) L’isola del Brasile è nominata già nell’Atlante Mediceo 1351. D’Avezac (Notice des découvertes 1845, p. 33) dice che colà risponde alla Terzera delle Azore, e che il nome viene, dacché ivi, come anche nel Brasile d’America, abbonda il legno rosso di tintura omonimo. L’ isola del Brasile è però segnata altre volte nell’Atlantico anche molto più in su, a ponente dell’ Irlanda, e perfino in tre luoghi diversi, come nelle carte parmensi del Pizigani (1367) e di Beccario (1436). Perciò altri legavano quel nome colla brace e la poneano in relazione coll’ isola dell’ inferno (Teneriffa) delle Canarie ed in genere colla leggenda di S. Brandano. L’ isola del Brasile è figurata pure nelle carte, Catalana (1373), di Fra Mauro (1459), di Andrea Bianco (dell’Ambrosiana, 1448), di Grazioso Bc-nincasa (ibid.), ed ancora nel secolo XVI in Gio. Martines, in Commino ecc. (2) Ved. i Documenti III, X, XIV. Io credo che anche in quello di Puebla (il XIII,") la parola, letta ivi vicinitades, nell’ originale sarà sepie citades. — 192 — in quel giorno celebrato; un’altra di faccia all’isola e che parea continente alla quale fu posto nome di Prima vista. Questo nome infatti si legge nel gran Mappamondo fatto nel 1544 dal figlio di Giovanni, Sebastiano. Egli stesso in una delle leggende che stanno ai lati del Mappamondo narra il fatto, dicendosi aneli’ egli presente. Un esemplare delle edizioni dell’ Opera di Sebastiano si conserva nella Biblioteca Nazionale di Parigi , ove si possono constatare e questi fatti e la firma che prova essere proprio lui l’autore dal Mappamondo. Il sig. Jo-mard ne ha fatto trarre un bel facsimile pel suo Atlante dei Monumcnts de la Géographic; ma, rimasto questo incompiuto, mancano ancora le leggende esterne che si riferiscono ai richiami interni della carta (1). Tutto questo ci dichiara il Sig. D’Avezac (2); il quale ci spiega inoltre, come in altre edizioni viste da antico e poi scomparse si leggesse proprio la stessa data 1494 e da quelli stessi che stamparono poi 1497, probabilmente per errore tipografico. Quali erano queste terre scoperte nella prima spedizione? Negli anni addietro comunemente si pensava che fossero l’isola di Terranuova ed il continente di rim-petto. Il sig. D’Avezac non si spiega su questo punto, e confesso che il primo accenno alla soluzione 1’ ebbi dal sig. Harrisse (3). L’ isola scoperta deve essere quella del Capo Breton (a 460?). Infatti Sebastiano Caboto, che vi era presente, pone nel suo Mappamondo del 1544 la leggenda, terra prima vista, all’ incirca rimpetto a questa (1) Carta al num. provvisorio, 64-65. (2) Navigations, p. 10-12. — Considérations, pp. 180-85. (3) Vedasi il brano dell’Harrisse qui sotto, p. 217. — 193 — isola (i); dopo ciò il dubbio non mi sembra più consentito. Al disopra della leggenda medesima vi è un’altra isola col nome di Sani Joan, ed è quella che tuttora cosi si chiama, sebbene più nota col nome di Principe Edoardo. Certamente da questi stessi motivi partì Harrisse per formare il suo giudizio; dalle stesse ragioni sarà stato mosso Federico Kydder nel 1878, il quale pose appunto a Capo Breton 1’ approdo di Giovanni; di dove, secondo lui, sarebbe passato, circumnavigando l’isola, al Golfo di S. Lorenzo, navigando tra le isole del Principe Edoardo e di Terranuova, poi salendo a tramontana fino ad uscirne per lo stretto di Bellisle (520) che separa il Labrador dall’ isola di Terranuova (2). Reso più ardito e focoso dal primo successo, il nostro Navigatore implora dal Re d’Inghilterra aiuto e privilegi per le future spedizioni. Condiscendendo alla istanza Enrico VIII, il 5 marzo 1496, emette una Reale Patente in favore di Giovanni Caboto e de’ suoi tre figli Ludovico, Sebastiano e Santo; concede loro la facoltà di navigare a tutte le parti, contrade e mari del-1’ Oriente, Occidente e Settentrione sotto bandiera inglese con cinque navi; di prendere possesso di tutte le (1) Oltre il facsimile del Jomard , si può vedere il disegno di questa parte del Mappamondo di Sebastiano nella Carta unita all’ articolo di A. Zeri citato da me a p. 212 ; il quale però si è dimenticato di por le cifre alle linee di longitudine. (Anche il Nicholls ha questo brano di Mappamondo e allo stesso modo, ma tratto direttamente dalla incisione della Biblioteca Parigina). (2) Ved. Reumont 1881, p. 63 , che cita la Memoria del Kydder intitolata: Discovery of America by Jolm Cabot, ed inserita nel New England hisiorical and genealogical Register, Ottobre, 1878. (Vedo ora dal Nicholls, p. 63, che anche egli opina essere Capo Breton il primo approdo di Caboto; crede inoltre che l’isola da costui intitolata di Sau Giovami sia la medesima che ò ancora oggi cosi chiamata). Società Ligure di St. Patria. Voi. XV. *3 — 194 — Città, Castelli, Isole, che si scoprissero, nella loro qualità di Rappresentanti del Re e con partecipazione al quinto del profitto che fosse per risultarne (i). Per quell’ anno pare che nuli’ altro siasi fatto, ma pel seguente 1497 sappiamo che Caboto partì in maggio con diciotto uomini in una nave di Bristol, il Mathews; dopo tre mesi lo troviamo di ritorno. Il Re del danaro della sua cassetta privata il 10 agosto regala dieci lire di steriini a Colui che trovò la nuova isola (2). 11 23 dello stesso mese il veneziano Lorenzo Pasqualigo scrive da Londra ai suoi fratelli Alvise e Francesco rimasti in patria ; loro annunzia che un veneziano che si chiama Giovanni Calbot (Caboto), partito da Bristol con una nave in cerca di nuove isole, é ritornato dicendo aver trovato terraferma 700 leghe lungi di qui, averla corsa per 300 leghe; non avervi trovato abitatori, ma segni ed indizi certi che la terra era abitata. Si pretende che quello é paese del Gran Chan (della Cina). Ivi ha piantato una gran croce e due bandiere, quella d’ Inghilterra e quella di San Marco di Venezia. Nel ritorno ha visto due Isole ma non vi discese, dovendo affrettare il ritorno per difetto di vettovaglia. Il Re gli ha promesso per una nuova spedizione dieci navi armate a suo piacere, gli ha concesso che vadano con lui, come ha chiesto, tutti i prigionieri, salvo i rei di Maestà, gli ha dato frattanto denari per far buona ccra colla moglie (1) Documento VI. f (2) Documento VIII. Miniscalchi, p. 125, dice giustamente che L. 10 erano un dono poco da re; si sa, e lo dice Raimondi (docum. XI), ebe Enrico VII taccagno. Ma forse ha ragione Peschel (Zeitalter, p. 276) che ha pensato che il regalo era non per Giovanni ma per colui che sulla nave o dalla gabbia avvistò terra pel primo. •- I95 — veneziana e co’ figli fino alla partenza ; egli già si fa chiamare gran Ammiraglio, veste di seta, gli si fa grande onore e questi inglesi gli vanno dietro come pazzi; ne avrebbe quanti volesse con se, anche molti de’ nostri furfanti (i). All’ indomani 24 agosto é la volta dell’ Ambasciatore del Duca di Milano alla Corte di Londra, quegli che abbiam già veduto nominarsi Ramondo de’ Raimondi, Arciprete della Pieve di Soncino. In quella data anche egli annunzia a Ludovico il Moro il ritorno di un veneziano, distinto marinaio e che avea molta capacità nello scoprire nuove isole. Mandato dal Re d’ Inghilterra a questa spedizione ha scoperto due isole fertili molto grandi, avendo del pari scoperto le Sette Città, 400 leghe dall’ Inghilterra di verso ponente. Il Re intende mandarlo di nuovo con quindici 0 venti bastimenti (2). Lo stesso Abate Raimondi con dispaccio del 18 dicembre successivo riparla al Duca di quella scoperta con più ampi particolari. Messer Ioane Caboto popolare veneziano di gentile ingegno, peritissimo della navigazione, ha voluto emulare gli scopritori d’isole incognite che erano partiti dal Portogallo e dalla Spagna. Salpando da Bristol, con privilegi avuti dalla Corona, passò a ponente dell’Irlanda, indi si alzò a tramontana che lasciò a man destra; andò vagando assai finché capitò in una terraferma, ne prese possesso, vi piantò la bandiera del Re ed altri segnali e ritornò. Ha fatto la descrizione del paese scoperto in una carta piana ed anche in globo. Si dice che quella terra é optima e temperata; che vi (1) Documento IX. (2) Documento X. — 196 — nasca il brasile c le sete; che in quel mare abbondino i pesci, specie i stochofissi, per cui il regno non avrà più bisogno della Islanda. Ma Caboto ha un più vasto disegno (è quello di cui sopra abbiamo parlato), di giungere alle Indie e alla Cina per via più breve, per ritrovar l’origine delle spezierie. A Caboto alienigena e povero non si crederebbe, ma i suoi compagni, quasi tutti inglesi e di Bristol, affermano lui dire il vero e i principali di colà, che sono grandi marinai, gli danno animo e forze. Il Re stesso, che è savio e non è poi prodigo, gli crede, gli assegnò buona provigione ; pel nuovo anno gli fornirà navi, gli consegnerà i malfattori ; si andrà a fare una colonia in corrispondenza con Londra, da poter qui stabilire un fondaco di spezierie maggiore di quello che è in Alessandria d’ E-gitto. Un Borgognone, che fu compagno di viaggio al Caboto, conferma al Raimondi la verità della scoperta e dice che vuol tornare colà, perché Giovanni gli ha già donato un’ isola; e un’ altra 1’ ha donata a un suo barbero eli Castione genovese. Entrambi già si reputano Conti, e 1’ Almirante non si stima meno di un Principe. Andranno con lui alcuni frati italiani ai quali ha promesso vescovati. E l’Ab. Raimondi, se volesse, essendo amico dello scopritore, ne avrebbe l’Arcivescovado, ma egli pensa che sieno cosa più sicura i benefizi che il Duca gli ha riservati (1). Passiamo al 1498; nel quale anno, il tre febbraio, esce una seconda Patente di Enrico VII in favore di Giovanni Caboto 0 di chi sarà debitamente deputato per lui. Il Re gli dà facoltà di armare sei legni inglesi, condurli (1) Documento XI. — r97 — alle terre ultimamente scoperte da lui a nome e per comando del Re, ricevere in esse navi maestri, marinari, paggi ed altri sudditi che volessero andare con lui senza che alcuno vi possa fare ostacolo (i). Si sa che la spedizione parti, ma Giovanni ne era egli il Capitano? Si o Signori; ce ne assicurano documenti ufficiali, parte inediti fino a noi, parte pochissimo noti; questi documenti provengono dagli Archivi di Simancas e sono scritti da due contemporanei che esercitavano le funzioni diplomatiche a Londra pei Re di Spagna; gli Ambasciatori, Dott. Ruy Gonzalez de Puebla e il Prono-tario Don Pedro de Ayala. Una lettera del Puebla non ha data, ma evidentemente essa è dell’ anno medesimo di quella dell’Ayala, raccontando gli stessi fatti ed esprimendo entrambe la speranza del prossimo ritorno in settembre della spedizione (2). Ora Don Pietro d’ Ayala scrive al suo Re Ferdinando il 25 luglio 1498, gli dà le notizie da noi sovra accennate dei tentativi settennali condotti da Bristol colla fantasia di un Genovese, e delle scorse che questi avea latto a Lisbona e a Siviglia in cerca d’ aiuto ai proprii disegni. Aggiunge che questo anno quei di Bristol sono andati a riconoscere certe isole e terre che aveano scoperto l’anno scorso sotto la condotta di questo inventore che è un altro Genovese come Colombo. Il Re d’Inghilterra certificato della scoperta concorse alia impresa presente, partirono cinque navi vettovagliate per (1) Documento XII. (2) Documenti XIII e XIV. (Vedo ora dal Nicholls, p. 83, clic la spedizione non era nemmeno ritornata nell’ ottobre di quell’ anno. Ciò risulta da un passo dell’ Annalista Stow che segue a quello da noi riportato sotto, come Documento XVI). — 198 — un anno; è già arrivata notizia che una di quelle navi per tempesta si ruppe e que’ che vi eran dentro dovettero fermarsi in Irlanda. Ma il Genovese continuò il suo cammino, e si spera che sarà di ritorno in settembre. Il Protonotaro teme che i paesi trovati facciano parte di quelli nei quali la Spagna ha diritto esclusivo ; ha visto la carta fattane dallo scopritore, ma per suo avviso quella carta è falsa, fatta a bella posta per dar ad intendere che si tratta di tutt’ altre terre. Egli ne ha parlato più volte al Re d’Inghilterra esponendo i suoi timori, ma Enrico non ama questi discorsi e ripete che spera gran profitto dalla scoperta (1). Questo dispaccio era rimasto negli Archivi di Spagna senza essere diciferato fino al 1860, quando il Sig. Gustavo Bergenroth, ricercatore intelligente ed indefesso, lo ebbe scovato e lo tradusse in lettere. Egli aggiunge che l’incaricato di deciferare presso il re Ferdinando, il D’Almazan, non si curò di far ciò, ma soltanto ne riprodusse le parole «un altro genovese come Colombo » (2). Certamente però fu letto il dispaccio al Re, il quale vi scrisse a tergo che Enrico VII si dovrebbe guardare da certi uomini, mandati dalla Francia a distrarlo dagli affari serii. Ferdinando parve dunque che non curasse l’avviso dell’ Ayala, ma chi conosce il carattere di quel Re capisce che non fu cosi. Difatti egli avea ricevuto un avviso simile dall’ altro suo ambasciatore a Londra, Ruy Gonzales de Puebla (3); e rispose, dandogli ordine di (1) Documento XIV. A. Si è aggiunta la versione italiana che il Ch. Reumont ne fece dalla traduzione inglese del Bergenroth, ma completandola perchè vi mancava il line. Ved. Documento XIV. B. (2) Docum. XIV. C. (3) Documenti V, VII. — 199 — far rappresentanze ad Enrico VII su queste spedizioni che potean recar pregiudizio ai diritti della Spagna e del Portogallo ; ed anche qui faceva le mostre di attribuirne la colpa principale al Re di Francia tendente a distrar l’Inghilterra da altri affari. Questo terzo dispaccio sembrerebbe dunque del medesimo anno 1498; pure la data che vi si trova nel titolo é del 28 marzo 1496 e pare vi si risponda ad una lettera del Puebla in data 21 gennaio. Se tali cifre sono esatte, è d’ uopo dedurne che i timori degli Spagnoli e le rappresentanze relative aveano avuto luogo già prima del viaggio di Giovanni nel 1497, però sempre dopo la precedente sua scoperta del 1494. Tutti coloro che scrissero dei Caboto fino a ieri, compreso l’illustre d’Avezac e il sig. Reumont, asserirono che nella spedizione del 1498 Sebastiano prese il comando e partì solo; il padre essendo o impedito o più probabilmente morto dopo ottenuta la Reale Patente. Ma i dispacci spagnoli che qui analizzammo, sebbene non contengano alcun nome di Capitano, dicono però e ripetono che questi era un Genovese come Colombo e che era lo scopritore dell’ anno scorso. Ciò prova che il partito in quell’anno e non ancora ritornato è Giovanni Caboto; naturalmente il figlio Sebastiano era con lui. Morì forse quegli in viaggio o poco dopo il ritorno, accorato per l’esito infelice delle sue ricerche sul passaggio libero? Noi l’ignoriamo; Sebastiano, ad eccezione della leggenda nel Mappamondo sovra indicata, non fa menzione del padre, narrando i proprii viaggi; ma almeno da uno de’ suoi racconti possiamo formarci qualche concetto sulle avventure di questo del 1498. Il Milanese Pietro Martire d’ Anghiera (i), il celebre storiografo del Nuovo Mondo, ebbe agio alla Corte di Spagna di conversare lungamente con Sebastiano nel 1515. Costui gli parlava della terra da lui scoperta alla quale pose il nome di Baccalaos, dalla abbondanza di tali pesci ivi trovati (vedasi sopra 1’ Ab. Raimondi). In uno di questi viaggi Sebastiano armò due navi a proprie spese, e navigando per tramontana giunse fin dove le notti erano molto lunghe ; vaste masse di ghiacci nuotavano per mare e la terra era coperta di gelo ma liquefatto; onde costretto a ritornare navigò lungo la costa pel mezzodi, e discese fino a raggiungere la latitudine di Gibilterra (36° ossia la Baja di Chesapeake), con una longitudine pari a quella di Cuba che aveva a mano sinistra (740? Ovest da Gr.). Lopez de Gomara (2) scrive aneli’ egli che Sebastiano armò due navi ed aggiunge che avea con se trecento uomini. Prese la volta dell’ Islanda al di sopra del Capo di Labrador ai 58 gradi di latitudine boreale; trovò freddo in luglio, giorni grandissimi e notti molto chiare ; voltò di là per mezzodi, discese fino ai trentotto gradi (Baia Chincoteague nel Maryland?) indi tornò in Inghilterra. Terzo viene un Anonimo già sovra accennato che Giambattista Ramusio (3) introduce in conservazione nella Villa Caffi di Gerolamo Fracastoro, sul Veronese, a cavaliere del lago di Garda. Secondo la narrazione, che (1) Pag. 268. Sul nome di Bacalilo ved. la erudita nota di Reumont, loc. cit., 1880, p. 420-21. (2) Pag. 51. (5) Edizione 1563 e 1613, pag. 374, v. . — 201 — quegli udiva da Sebastiano stesso alcuni anni prima, costui cominciò a navigare al principio della state (fine di giugno), volgendo a maestro ove pensava non trovar terra fino a toccare il Cataio (la Cina). Ma troppo presto dovette disingannarsi ; chè una costa gli chiuse il passo, cercando girarla continuò a salire fino a 56 gradi (forse fino a 58, secondo Gomara lungo il Labrador), ma perdette ogni speranza trovando che la terra piegava, anzi che a ponente, a levante. Si rivolse a tentare la costa a mezzo giorno e discese fino alla terra che più tardi fu detta la Florida (latit. 290?) ma per difetto di vettovaglie dovette ordinare il ritorno. Ciascun vede che queste tre versioni collimano sostanzialmente in un solo e medesimo viaggio, non ostanti le differenze nella quantità dei gradi percorsi secondo 1’una o l’altra versione; nè bastano nemmeno a far dubitare di quella identità le per altro gravi ragioni del Zurla (1) e del Miniscalchi (2), che trovano insufficiente il grado 56 ed anche il 58° e il 6o° alla descritta lunghezza dei giorni e a quelle masse glaciali. Eglino vorrebbero sostituire a questo del Ladrador lo stretto di Davis, vale a dire quel grado 67 ‘/2 che traggono da un altro luogo del Ramusio ; ma quello, come a suo tempo accenneremo, appartiene ad un altro viaggio, aneli’esso ben accertato nel complesso delle sue circostanze; un viaggio fatto da Sebastiano nel 1517. Quando manca la guida sicura della relazione ufficiale, si sa quanto sia facile rinvenire negli Storici simili variazioni : d’altra parte (1) II, pag. 276. (2) Pag. 128. — 202 — l’Anonimo ramùsiano ripeteva di memoria il racconto di Sebastiano dopo più anni, e Ramusio jesso pure lo raccoglieva dall’ Anonimo di memoria e lo ripeteva più mesi dopo. Ciò può anche dar ragione della differenza di data, giacché l’Anonimo dice che fu nel 1496, ma in questo anno non pare esservi stato alcun viaggio ; nel seguente 1497 le informazioni, che abbiamo, accennano ad un viaggio di ricognizione di terre altra volta scoperte ma ora costeggiate più a lungo ; la ricerca del libero passaggio, secondo 1’Ab. Raimondi, appartiene al disegno di una spedizione prossima ventura, dunque al 1498. Giacché ebbimo ad occuparci dell’ Anonimo ramu-siano, rileveremo un grave errore insinuato la prima volta dall’inglese Eden fin dal 1555, e che continuò a ripetersi, fra altri, dal Portoghese Luciano Cordeiro nel 1875, anzi accenna a durare ancora in questi ultimi anni. Si pretende che quell’Anonimo é il bolognese Gaetano Bottrigari Nunzio Pontificio in Ispagna, ma già dall’ anno 1869 il S. D’Avezac (1) notava che il Bottrigari era morto un trenta anni prima. Notava pure che l’Editore del Ramusio Tomaso Giunti ha aggiunto la qualità di mantovano a quell’anonimo (2); ed ora vediamo ciò con- ' fermato, e siamo lieti di avere anche il nome e cognome suo; grazie alle ricerche fatte instituire dal Ch. Bullo (3), per mezzo dell’ Illustre Sovrintendente dell’ Archivio di Stato in Venezia. Nella Biblioteca Imperiale di Vienna (1) Examen, p. 3. (2) Examen, pag. 2, la qualità di Mantovano lu aggiunta all’Anonimo per la prima volta nell’edizione di Ramusio del 1613. (3) Pag. XXXVIII. — 203 — si conservano i codici manoscritti di Marco Foscarini, ed ivi nel Codice n.° 6142 é scritto che quell’ anonimo è Gian Giacomo Bardolo mantovano; rimandandosi chi più ne desidera, al Dialogo del Fracastoro : Naugerius sive da Poetica (1). Ed invero noi ci siamo ricorsi, e fra quelle eleganti e ghiotte conversazioni di dotti, ci si presentò viva l’effigie del Matematico, astronomo e filosofo, ritrattoci dal Ramusio. Le scoperte dei Caboto fatte a nome dell’Inghilterra fino al 1498 vennero figurate già nel 1500 nella Carta del Piloto di Colombo, il Biscaglino Giovanni Della Cosa; furono poi riprodotte in più altre carte, specie nelle due dell’anno 1529, di Diego Ribero Spagnolo e del Fiorentino Gerolamo Verrazzano. Arrestiamoci, come al più antico, al Mappamondo del Della Cosa, di cui abbiamo il facsimile intero nel Jomard e tre frammenti al nostro uopo nell’ Humboldt (2). Ivi si scorge la bandiera inglese che sventola lungo le terre scoperte, come già avevano annunziato Pasqualigo e l’Ab. Raimondi. Sulla più alta parte del disegno a tramontana é scritto a fianco Cabo de Ynglaterra, ed ivi è una bandiera; un’ altra è segnata un po’ più a mezzogiorno presso un Capo di San Giovanni e un’ìsola della Trinidad; altre tre continuano giù lungo la costa fino a un capo descubierto e alla leggenda: mar descubierto por Ingleses. L’estremo limite meridionale di tutto quel tratto parrebbe toccar quasi la latitudine delle Canarie (290 N?). (1) Pag. 230. (2) Jomard, le carte ai nn. provv. 17-22. — Humboldt, Examen critique de l’Hist. ile la Géographie du Nouveau Continent. Parigi, V, le carte in fine. — 204 — Il sig. D’Avezac (i) che crediamo il primo a rilevar questo fatto importante, ricapitolando distingue tre spedizioni dei Caboto, ben provate e ben definite per particolari che non le lasciano confondere insieme; i.° una prima vista nel giugno 1494 constatata dalla carta di Sebastiano del 1544; 2° tra il maggio e i primi d’agosto del 1497, c°Ma nave Mathews e diciotto uomini, una ricognizione delle terre scoperte tre anni prima ed inoltre un costeggiare per trecento leghe; 3.0 con cinque navi e trecento uomini nel 1498 un viaggio in cui sulla fine di giugno o principii di luglio si alzarono a circa 58 gradi e discesero fino forse a 35 di latitudine boreale. Noi ammettiamo il numero e la qualità di tali viaggi con sole due differenze. Vedemmo che nel 1498 vi era presente e capitano, non iF solo Sebastiano, ma anche il padre, Giovanni Caboto; inoltre, quanto a noi, il secondo viaggio (1497) non comprenderebbe ancora la lunga discesa a mezzodì come stima l’illustre Francese. I ragguagli, invero magri, del Pasqualigo e dell’ Ab. Raimondi non ci parlano che di terre ed isole o scoperte o riconosciute ; il nuovo e più ampio disegno di cercare il passaggio libero è annunziato dall’ Ab. Raimondi per l’anno prossimo e deve essere stato appunto effettuato nel 1498, sebbene infelicemente. Quindi io anche distinguerei nella Carta del Della Cosa due come periodi che pare aver egli stesso distinto con leggenda diversa: un capo più a levante col nome di Cabo de Ynglaterra e colla sottoposta isola; e una serie di terre e un mare più a mezzogiorno-ponente colla leggenda: (1) Navigations, p. 19. — Considcralions, pp. 186-89. — 205 — Mar descubierta por Yngleses. La quale seconda parte, ben dice il D’Avezac, che é ciò che trenta anni dappoi gli spagnuoli presero a chiamare Tierra de Estevan Gomez, dal nome di colui che più o meno la costeggiò nel 1525; ma avrebbe potuto aggiungere che fu riscoperta, percorsa e descritta, un anno prima che dal Gomez, da Giovanni Verrazzano. Il Sig. D’Avezac ha fatto ancora un bel rilievo. I Diplomatici Spagnoli del 1498 ci dicono che Giovanni Caboto parti con cinque navi; Pietro Martire d’ An-ghiera (1) scrive che Caboto ne allestì due a proprie spese. E le altre tre? Ci dà il nome dei loro tre armatori il Registro dei conti della cassetta privata del Re; essi sono Lancellotto Thirkill, Tommaso Bradley e Giovanni Carter (2). Per tal guisa si conferma sempre più che il viaggio descritto da Pietro Martire e a cui si allude anche da Gomara e dall’anonimo ramusiano é del 1498, e si supplisce in qualche modo alle relazioni dei Diplomatici Spagnuoli che ci annunziano la partenza senza più nulla dirci del ritorno. Quindi innanzi non si trova più traccia di Giovanni Caboto; e dello stesso Sebastiano è silenzio fino al 1515 quando lo vediamo alla Corte di Spagna con Pietro Martire, preparandosi per l’anno seguente a una spedizione per conto di quel Re ; la quale, andata a vuoto, si cambiò in un’ altra pel 1517 sempre a nome dell’ Inghilterra. Vi fu bensì chi sospettò d’ altri viaggi nel 1499 e 1500, ma questi non hanno altro appoggio che una notizia assai (1) Navigations, p. 14. (2) Ved. il nostro Documento XV. — 206 — vaga. Nel luglio del 1500 Alonzo Hojeda era inviato dalla Corona di Spagna Governatore di Cochibachoa (Venezuela), con incarico di riconoscere le coste vicine e seguitare quella già da lui scoperta che corre da levante a ponente come pare, perché essa giunge fino alla parte donde si è saputo che scoprivano gli Inglesi. Hojeda ha ordine di porvi di mano in mano gli stemmi regii o altri segnali, perchè si conosca chi ha scoperto, e si tronchi agli inglesi lo scoprir per quella via (1). Ma ciò per mio avviso non significa che si tratti di scoperte inglesi recenti, tanto meno che Hojeda stesso nel 1499 e 1500 si sia scontrato cogli inglesi; il vago nei limiti delle scoperte reciproche e l’ignoranza delle vere posizioni geografiche potea far sospettare Ferdinando che già nel 1498 i Caboto si fossero avvicinati a quella costa che correva levante-ponente ; e quel Re continuava a vegliare e a dar istruzioni ai suoi Rappresentanti per la tutela dei diritti della corona. Lasciando ad altri la cura di continuare la illustre carriera di Sebastiano Caboto, dobbiamo però accennare ancora alla sua spedizione del 1517. Il Ramusio (2) indefesso raccoglitore di simili notizie, oltre alla conversazione dell’ anonimo inserita nel primo suo volume, cita nella prefazione del terzo una lettera scritta a lui stesso da Sebastiano; nella quale questi gli scrive avere in un viaggio raggiunto il grado 67 '/2 di lat. boreale li undici giugno ed aver trovato il mare libero, cosicché (1) Navarrete, III, 86. — Washinghton Irwing, The Cotnpanions of Columbus. Parigi, Baudry, p. 42. — Peschel; Zeitalter, p. 316. (2) III, ediz. 1556, cart. 4, e delle edizioni 1565 e 1603, carta 3." verso non numerata. — 207 “ era sicuro di poter giungere finalmente alla meta; se-nonché la malignità del padrone e de’ marinai sollevati lo costrinsero a tornare indietro. Riccardo Biddle, il Biografo di Sebastiano Caboto, ben vide la connessione di questo racconto con altro del sovranominato Eden e con un altro di Roberto Thorne; pei quali rimane certo che siffatto viaggio ebbe luogo nel 1517; che i patroni erano Sebastiano Caboto e Sir Thomas Pert; e che la viltà e debolezza di quest’ ultimo, di faccia alla sollevazione de’ marinai, fu causa dell’insuccesso (1). Non si vede ragione per cui il dotto Conte Miniscalchi (2) abbia potuto dubitare della identità del fatto nei racconti di Ramusio e degli Inglesi; così anche si capisce il grado 67 '/2 essere connesso col viaggio di Sebastiano in società col Pert e coll’anno 1517, ; non potersi perciò confondere colla spedizione del 1498, come tentò confonderlo il Card. Zurla (3). Questi, o Signori, sono i viaggi e le scoperte dei Caboto avanti all’anno 1500; accertate da documenti contemporanei, ufficiali; confermate dalle carte nautiche pure contemporanee 0 assai vicine di tempo. Chi ima-ginerebbe dopo ciò che un recente scrittore, che la pretende a critico e a riformatore della storia geografica, parli ripetutamente di un preteso, d’ un supposto viaggio dei Caboti avanti al 1500, d’una loro impresa forse supposta, in ogni caso infruttuosa; d’ una pretesa scoperta, d’ una pretesa narrazione di Caboto stesso, d’ un sedicente (1) Navigalions, p. 17. (2) Pag. 131. (3) II, pag. 285. — 2o8 — viaggio, d’ una sedicente priorità di Caboto, d’ una gloria che oggi si vuol loro dare ma che non fu loro concessa dai contemporanei: cotalchè tutto ben considerato, si potrà pretendere che la scoperta di Caboto è una mistificazione simile a quella di Vespucci? (i). Ma che? torse non si conoscevano ancora i documenti nell’anno di grazia 1875, quando l’autore accumulava sulla testa dei Caboto questi poco lusinghieri attributi? Certamente io non credo fare opera inutile col presente lavoro; riunendo tutto ciò che se ne conosce in extenso e nel testo originale quanto sia possible; avendo anche la fortuna di potervi inserire due documenti inediti. La persona di Giovanni, confido, si farà più viva nella mente dei lettori, forse anche ne riescira meglio chiarito 1’ ordine dei fatti ed i singoli particolari. Ma la sostanza di essi fatti e la certezza della scoperta erano già messe fuori di contestazione dai dotti. Non parlerò del libro del Conte Miniscalchi stampato nel 1855, né dei Ca-lendars of State papers del 1864-73 di R. Brown; l’essere da lui ignorate queste pubblicazioni é tanto quanto scusabile in uno straniero; tanto meno accennerò al mio lavoruccio, sugli Scopritori Genovesi inserito nel Giornale Ligustico del 1874. Ma il signor D’Avezac fino dal 1869 e 1870, con due scritti brevi, ma al suo solito condensati e decisivi, avea fatto uso di quasi tutti i documenti qui uniti; ne aveva tratto il sugo con tale chiarezza e fermezza, che, come si é sopra veduto, restò a noi poco da aggiungere: anzi lo stesso illustre francese già dal 1857 ne avea poste le basi che più ampiamente e con nuovi (I) Cordeiro, pp. 291, 310, 313, 317, 321 , 470, 471, 472, 473. 476, 477, 478 : talora due volte in una pagina. — 209 — documenti raffermava nei più recenti suoi scritti. Può egli un autore che si occupa di storia geografica, che scrive in francese, fa leggere e stampa in ‘Francia, ignorare il Bullettino della Società Geografica di Parigi e la Revue Critique, in cui tali Memorie sono inserite? (i). Questo Autore, come già si saprà, è il Portoghese Luciano Cordeiro, che presentò nel 1875 al Congresso degli Americanisti a Nancy il suo scritto: L’Amérique et les Portugais (2). Per innalzare i meriti de’ suoi connazionali (che niuno nega nè vuol menomare) egli crede dover abbassare Colombo e Caboto, e togliere a quest’ ultimo la priorità di scoperte di cui vuole onorare il suo Gaspare Cortereal. Eppure egli conosceva almeno il suo connazionale Antonio Galvaò che ne parla come di cosa non dubbia; egli stesso rimprovera i portoghesi, come di fatto indegno e irragionevole, d’ aver tenuta nascosta questa testimonianza in favore di Caboto; ma poi rimedia in qualche modo alla propria imprudenza, notando, che Galvaò era un dilettante, non uno storico, e che forse anche quel passo fu da altri inserito nel libro di Galvaò, stampato nel 1567, dieci anni dopo la sua morte. Noi reputiamo inutile intraprendere la contutazione dello scritto di Cordeiro; per quanto riguarda gli appunti da lui fatti a Colombo, nelle nostre sedute serali avete udita l’energica risposta dell’ egregio socio, il professore Prospero Peragallo ; in quanto al Caboto i fatti parlano da se, li conosca prima e li confuti poi, se può. (1) Les Navigations terre-neuviintes — Examen critique, più volte citati. (2) Veti, sopra, nella serie dei libri da me consultati, il n." 9. Società Ligure di St. Patria. Voi. XV, *4 \ — 2 f O — Ancora una quistione ci resta a trattare intorno a Giovanni Caboto, la sua patria; ma anche su questo il signor D’Avezac ci ha lasciato poco da aggiungere. Giovanni è comunemente chiamato veneziano e giustamente, come partecipe dei diritti e privilegi di cittadino di quella gloriosa Repubblica. Ma questa cittadinanza egli ottenne soltanto nel 1476 dopo quindici anni d’ abitazione a Venezia; dunque non vi era nato. Donde proveniva egli ? Di questi giorni il eh. Carlo Bullo di Chioggia si propose il nobile intento di rivendicare alla sua citta due illustri viaggiatori, Nicolò de Conti e Giovanni Caboto. Come a me pare eh’ ei sia riuscito pienamente nella prima parte del suo assunto, cosi avviso che non sia punto riescito né possa riescire nella seconda. Lasciando, da parte le ingegnose supposizioni ond’ egli s’ industria di corroborare il suo argomento, questo argomento è un solo, le parole: Caboto nato in Chioggia, gittate là alla sfuggita, senza un qualche conforto di citazioni o d’ indizi; e ciò in un Calendario o Annuale Veneto stampato nel 1786. Il cav. Bullo (1) dice che quel libercolo fu giudicato veritiero ed esatto dal fine criterio di Emmanuelle Cicogna: io trovo soltanto (2) che Cicogna dice, quelli Annuari essere interessanti per le varie notizie che contengono; il che mi pare non significhi la stessa cosa. Ad ogni modo quell’ unico argomento fu riconosciuto debole, insufficiente senza altro appoggio, dagli stessi amici e benevoli del sig. Bullo; che sarà dagli imparziali? E siccome si desiderava-una (1) Pagg. XXI, XXXI, XXXII. Annuale Veneto istruttivo . .. N. i per l’anno i8y6. Venezia 1786. (2) Cicogna, in Bullo, p. 74, nota 1. — 211 — qualche traccia d’ una famiglia Caboto a Chioggia o nel Veneto, ha tentato supplire ingegnosamente il eh. Federico Stefani, proponendo sciogliere quel cognome in Cha Botto, come chi dicesse casa o famiglia dei Botto all’ uso veneziano (i). Ma noi abbiamo prove di ben altro valore e fermezza, per tenere che Giovanni Caboto era genovese o ligure almeno. Genovese e altro genovese come Colombo lo chiamano ripetutamente i Diplomatici Spagnoli alla Corte di Londra, Ruy Gonzales de Puebla e Pietro d’ Ayala; due personaggi gravissimi, uffiziali che parlano di cose presenti, sono pienamente in grado di conoscere le persone che bazzicano alla Corte ed hanno l’incarico di riferire fedelmente al loro Re le novità del giorno. Anche il cronista inglese Stow, come già accennò D’Avezac (2), dice Sebastiano Caboto figlio di un genovese (a genoas sonile); e, se egli vi aggiungeva 1’ errore di credere il figlio nato a Bristol, è scusabile, attenendosi all’Eden che vantava aver ciò udito dalla bocca di Sebastiano stesso. Cosi si capisce pure il perché l’Ab. Raimondi ad uno dei compagni di viaggio di Giovanni dia il nome di un suo barbero de Castione genovese (3); erano entrambi di Genova 0 della Liguria. Questi documenti sono abbastanza convincenti perchè qualunque imparziale giudichi da qual parte stia la ragione; e noi a dire il vero ci siamo meravigliati vedendo il sig. de Reumont, di cui tanto apprezziamo il carattere e la dottrina, rimanere indeciso come se i pesi (1) Marino Sanuto, Diarii, loc. cit., I, 807, in nota. (2) Ved. Documento XVI. — D'Avezac, Exameu, p. 4. (3) Exameii, p. 4 ; e ved. il Documento XI. — 212 — fossero eguali nella bilancia (i); mentre egli stesso dice di niun valore, per se sola, la citazione dell 'Annuale Veneto, e d’ altra parte conosce e pubblica uno di quei nostri documenti che non ammettono replica (2). Noi non contrasteremo alla regina dell’ Adriatico il più celebre dei Caboti Sebastiano; ma col critico francese D’Avc-zac (3), col severo tedesco Dott. Peschel (4), col non meno severo americano Harrrisse (5), coli’Ammiraglio Jurien de la Gravière (6); cogli italiani, ma non genovesi, Prof. Luigi Hugues e A. Zeri (7); infine col genovese Prof. Morchio (8) faremo di Giovanni Caboto una nuova perla per la già splendida corona che stoiicamente adorna la Signora del Mare Ligustico. Dalle parole dell’ abate Raimondi: suo barbero de Ca-stione genovese, D’ Avezac (9) fu tratto a supporre che Giovanni fosse nato forse a Castiglione sopra Chiavari nella Riviera di Levante: anch’ io ho agitato la quistione delle famiglie dei Caboto genovesi e credo utile qui riferire il brano che inserii nel citato mio scritto del 1874; sugli Scopritori Genovesi, pp. 314-16. (1) I due Caboto, 1880, p. 416; 1881 , pp. 62-63. Reumont giustamente osserva che non ve n’ è traccia nelle ricchissime Raccolte Foscariniane : delle quali sei Codici manoscritti a Vienna versano in ricerche sui Caboto, fi questa una risposta indiretta allo sperpero della fine del secolo scorso lamentato dal Ch. Lanza, in Bullo, p. 90. (2) Ibid., p. 417. — Ved. Documento XIV, B. (3) Navigations, p. 8; Examen, p. 4. (4) Erdkunde, p. 287. (5) Ved. sotto, p. 216. (6) Revue de deux Mondes, 1676, 15 giugno; Sebastien Cabot. (7) Hugues p. 3 ; Zeri p. 577. (8) Il Marinaio Italiano; Genova, 1879, P- 104. (9) Navigations, p, 8. — 213 — « Si chiederà naturalmente se ne’ nostri documenti si trovi traccia di tali avvenimenti, persone e famiglie. Sventuratamente nulla o lo stesso che nulla ci avvenne di trovare sui fatti; tuttavia ecco alcuni barlumi almeno nei nomi di famiglia. Il sig. D’Avezac sospetta che Giovanni sia nato nella terra di Castiglione genovese nella Riviera orientale presso Sestri di Levante ; e certo egli cosi sospetta vedendo che 1’ ambasciatore milanese chiama suo barbero de Caslione il compagno di viaggio di Giovanni. Io non dubito punto che le famiglie di cognome Castiglione non provengano da quella terra; si per regola generale; si perchè tuttora io conosco famiglie di tal cognome le quali pure domiciliate ab antico in Genova hanno colà possessi e consanguinei. Ma d’ altra parte memorie genovesi ricordano di frequente persone dello stesso cognome, ed in ispecie dottori in legge, in medicina e chirurgia che lasciarono in città nome onorato. Dapprima io chiesi a me stesso, se non si asconda forse tra que’ chirurghi il barbero de Caslione ; visto che sotto tale denominazione di barbiere si comprendevano anche gli operatori di bassa chirurgia, e non solo presso il volgo, ma anche nelle leggi, come in quella aggiunta nel 1595 al nostro Statuto criminale. Sia come vuoisi, ecco che io trovo fra i libri di conti f privati trasfusi, non si sa come, nell’Archivio di San Giorgio, uno già spettante ad un dottore Antonio de Ilice, il quale nel 1508 e 1512 accenna ad un suo inquilino magister Abraham de Caslilione barberius. Non credo sarà questi il compagno di Giovanni nel 1497; nè lo sarà forse, benché più vicino ai tempi di lui, quell’altro, maestro Giacomo Da Castiglione barbiere, il quale è indicato tra i Oumdam il 9 gennaio 1512, in un atto della sua vedova Clareseta Chiavari, in Giovanni Costa notaro. Ma non ho voluto tacere di tali documenti, come quelli che, se per sè stessi significano nulla, riuniti assumono aspetto sempre maggiore di verità e porgono il filo ad ulteriori investigazioni (1). » In quanto al cognome ed alla patria dei Caboto, io mi rivolgerà piuttosto alla sorella di Genova, a Savona, già illustre per arditi navigatori. In quella città trovo due cognomi, uno dei quali (1) Criminalium Jurium Rcip. Genuensis ; Genuse, 1669, pag. 90; Remondini, Estratti notarili, Ms. alla Civico-Beriana, voi. XI. pag. 101. / — 2I4 -- poco dissimile, l’altro quasi eguale a quello che io cerco: cioè la famiglia patrizia dei Gavotto, chiara per uomini di lettere e tuttora fiorente; e la famiglia popolare, ora forse estinta, dei Cabuto. Del primo di que’ cognomi io ho sotto gli occhi più documenti che parlano di patroni di mare e delle loro navi nel secolo XV : un Bernardo nel 1454, un Lorenzo colla sua nave Gavotta nel 1496, un Nicolò di Varazze ma in Savona nel 1439-1448, un altro Nicolò mercante di Savona ma che si trovava a Valenza nel 1492. » Dei Cabuti, sebbene meno noti, troveremmo già traccia in Genova nel secolo XII se a loro si possono applicare il Rubaldtis Cabulius e il Guilielmits Cabutius tra i genovesi che giurarono nel 1157 l’alleanza col Re di Sicilia e nel 1188 la pace pisana. Questi stessi Rubaldtis e Guilielmus compariscono in un atto notarile di Giovanni Scriba del 2 luglio 1160, ma qui più correttamente scritti Cabutus', ed un terzo, Joaunes Cabutus, è testimonio nello stesso notaro il 17 novembre 1162 (1). » Ma una notizia più importante e vicina ai tempi che discorro mi è fornita dal Calendario savonese per V anno 1S00; opuscolo indicatomi dal cortese e colto amico avv. Enrico Ludovico Bensa (2). [vi è notato che alli 7 gennaio 1478, in notaro Angelo Corsaro, Giacomo Cabutto savonese, fabbricatore d’ artiglieria, si obbligò di consegnare a quel Comune quattro bombarde nei modi e alle condizioni specificate nel contratto. Nello stesso Calendario sono citati altri atti appartenenti ai Cabuto del 1495, e v* sono nominati verso il 1528 cannoni di bronzo e tre maestri fonditori: Domenico Fiorito, e Bernardo e Sebastiano Cabutto. Finalmente il Garroni nella recente ma interrotta pubblicazione del» Codice della Liguria a pag. 274 reca in estratto, da un minutario notarile del 1563, un Sebastianiis Gabutus Iienrici de loco Sancti Benedicti Vallis Bcrbi che ha certe differenze coi monaci olivetani di Finale. Questo nome di Sebastiano ripetuto per un secolo non pare egli che dia ansa a rannodarvi i Caboto d’Inghilterra ? E la trasformazione (1) Moniwi. Uhi. PalrU, Aug. Taurin. 1854; Cliartar. 11, coll. 663, 825; Ani della Società Ligure, I. 297, 376. (2) Anche questo è un Calendario, ma cita bravamente i suoi fonti clic si possono facilmente con ul-t.irc nel ben conservalo Arc'iivio notarile, presso il Municipio Savonese. - 2I5 - del cognome Cabutus in Gabnlus non pare egli che porga un barlume, per cui, come non è cosa insolita, i due cognomi a poco • * a poco abbiano assunto una consistenza diversa di famiglia, ma abbiano forse comune l’origine? ». Aggiungerò ora la notizia di quattro documenti riguardanti un’ altra famiglia Cabuto di Porto Maurizio, che il mio collega ed amico l’avv. Doneaud scoprì in questo Archivio di stato e cortesemente mi comunicava. Un Bonanato Cabuto il 7 maggio 1252 é ammesso alla cittadinanza in quel Comune: il 12 agosto 1434 un Giorgio Caputo (sic) della stessa città è scrivano a Calvi in Corsica; Antonio figlio di quel Giorgio Cabuto (sic) è nominato in due atti del 16 marzo e 3 giugno 1441 (1). Non chiuderò senza adempiere ad un mio, al tempo stesso, desiderio e dovere : quello di ringraziare dal più vivo del cuore gli illustri uomini che con tanta benevolenza ed efficacia cooperarono a render meno imperfetto il mio lavoro. Lo stesso sig. Reumont coi suoi scritti intorno ai Caboto mi poneva sulla via di conoscere libri ignoti, o fonti donde attingere di prima mano le cose già note. Il comm. Barozzi colla già sperimentata sua cortesia poneva a mia disposizione 1’ opusculo del cav. Bullo: non fa bisogno di dire con quanta sollecitudine e copia di schiarimenti Cesare Cantù rispondeva alle questioni propostegli da questa Presidenza, e faceva rivedere sull’ originale il documento dell’Ab. Raimondi del 18 dicembre 1497. Ma ^L1C personaggi non italiani furono singolarmente benemeriti di questa pub- (1) Archivi di Stato in Genova. — Sezione Notarile, Liber Emmanueìis Lochi, Not. 1252. — Sezione di Governo, Diversorum CanceìlerU, filze n.° 26 e n.° 32 1434-1441* \ 1 — 2l6 — blicazione; i signori Conte Riant ed Enrico Harrisse. Essi da più anni arridono .ai lavori della Società nostra, inviandole copia delle loro prestanti pubblicazioni ; somministrandole aiuti, indicazioni di fonti, copie di documenti rilevantissimi, nostri ma a noi ignoti. Ora essi nulla risparmiarono per soddisfare ai nostri desiderii forse anche un po’ indiscreti ; cosi viene da loro il più nuovo ed il meglio che offriamo qui ; documenti nel loro testo originale, alcuni inediti, gli inglesi dal Conte Riant, gli spagnuoli dal sig. Harrisse; e viene da loro la comunicazione di libri e notizie bibliografiche che non mai o difficilmente si troverebbero nelle biblioteche italiane. Sia detto a conforto e un poco anche ad onore della Società Ligure (parliamo in famiglia); nel suo modesto cerchio è 1’ amore della patria storia in modo speciale, ma é anche 1’ amore di concordia in sè e fuori, e 1’ amore flella scienza che é patria universale. Il signor Harrisse nel comunicarmi i tre documenti spagnuoli mi avvertì che gli avea da lungo tempo preparati per far parte della sua prossima e nuova pubblicazione sovra Cristoforo Colombo colla genealogia colombiana fino agli ultimi tempi e con documenti inediti e numerosi. È giusto perciò che anche i lettori ne sieno avvertiti; acciò non si creda che il Ch. Autore, stampandoli dopo, li abbia copiati dal mio lavoro. Egli mi ha pure cortesemente comunicato un brano di quella sua pubblicazione; ove riassume i principii della navigazione di Caboto , tocca la quistione fra esso e Colombo sulla priorità della scoperta del Continente americano e accorda a Caboto questa priorità. Io mi reco ad onore d’inserire qui appresso il brano, come saggio ed annunzio di un nuovo, rilevantissimo libro di questo indefesso ed acuto scrutatore delle -—---- — 217 — cose colombiane; ma per quanto riguarda alla priorità di fatto nella scoperta della terraferma, 1’ ho già ammessa aneli’ io; soggiungendo che ad ogni modo la gloria, il merito principale era dovuto a chi,, guadato l’intero mare, avea scoperto le prime isole americane, nel 1492. (Vedasi la mia Memoria sopracitata: Sugli Scopritori Genovesi, p. 37. En résumé, les documents que nous avons analisés, — et, à notre connaissance, il n’y en a pas d’autres, — ne permettent que le canevas chronologique suivant: Sous l’impulsion de la première découverte de Chri-shophe Colomb, aprés l’annèe 1493, et par 1’initiati ve de Giovanni Cabot, génois naturalisé vénitien, fixé en Angleterre, les gens de Bristol tentent plusieurs voyages à l’ouest pour trouver un passage au Cathay. Ils écho-uent et reviennent sans avoir atterri nulle part. Giovanni Cabot propose néanmoins l’entreprise à Henry VII vers la fin de l’année 1495. Aprés bien des hésitations provoquées par les bulles papales de mai 1493 et le traité de Tordesillas, le roi d’Angleterre se décide à accepter; et le 5 mars 1496, des lettres patentes sont octroyées à Giovanni Cabot et à ses fils. Pour des raisons que nous ignorons, l’expédition ne mèt à la voile qu’au printemps de 1497. Elle revient en Angleterre aprés un voyage d’environ trois mois, au cours du quel Giovanni Cabot découvre l’ile du cap Breton et les cótes du Labrador. Pour le sujet qui nous occupe, il importe peu, du reste, que le critique fasse remonter à l’année 1494 la — 218 — première découverte accomplie par les Cabot. Christophe Colomb n’a atterri à la terre-ferme qu’en aoùt 1498. Giovanni Cabot a ègalement reconnu le continent. Que ce soit en 1494 ou seulement en 1497, la prioritè de sa découverte lui est toujours acquise sans conteste. DOCUMENTI I. Cittadinanza data a Giovanni Caboto. 1476, die 28 martij. (Brown, Voi. I, N. 453). Quod fiat privilegium civilitatis de intus et extra Ioani Caboto per habitationem annorum XV, iuxta consuetum De parte 149 - De non o - Non sinceri 0 (Senato Terra 1473-77,, Voi. VII pag. 109 tergo, Archivio di Stato in Venezia). II. Privilegium Civilitatis de intus et exira per habitatione Annorum XV. Aluisij Fontana, olim de pergamo. 1472, 11 augusti, ibidem. Nicolaus Tronus Dei gratia Dux Venetiarum etc. Universis et singulis tam amicis quam fidelibus, et tam praesentibus quam futuris, presens privilegium inspecturis, salutem et sincere dilectionis affectum. Notum vobis fieri volumus per praesentem paginam, quod cum inter cetera, que in mente nostra revolvimus, attendamus precipue nostrorum subditorum et fidelium devotorum tractare propensius comoda et utilia salubriter procurare. Cum hoc Excellende nostre — 220 — decus aspiciat et fidelium devotio utilius per tractata in nostrae fidelitatis et devotionis constantia ferventius solidetur. Duximus volentes beneficia recompensare pro meritis statuendum : Quod quicumque annis XV vel inde supra, Venctiis continue habitasset ; factiones et onera nostri dominij ipso tempore subeundo, a modo civis et Venetus noster esset; et Citadinatus Venetiarum privilegio et alijs beneficiis , libertatibus et immunitatibus, quibus alij Veneti et cives nostri utuntur et gaudent perpetuo et ubilibet congauderet. Unde cum providus vir, Aluisius Fontana, olim de • Pergamo , nunc habitator Venetiarum in contrata Sancti Juliani , sicut legitimis et manifestis probationibus per provisores nostri Comunis diligenter examinatis , nobis innotuit annis XV Venetiis continuam habitationem habuerit, erga nos et ducatum nostrum , fideliter et laudabiliter sub devotionis integritate se gerens et subiens continue factiones et onera nostri dominij , digna renumeratione prosequentes, eundem ipsum Aluisium Fontana consiliorum et or-dinamentorum nostrorum, necessaria solemnitate servata, in venetum et civem nostrum de intus et extra recepimus atque et recipimus, et Venetum et civem nostrum , de intus et extra , fecimus et facimus, et pro Veneto et cive nostro in Venetiis et extra, habere et tractare, ac haberi volumus, et ubique tractari Ita quod singulis libertatibus , beneficis et immunitatibus, quibus alii veneti ct cives nostri de intus et extra utuntur et gaudent, idem Aluisius in Venetijs et extra , libere gaudeat de cetero et utatur. Intelli-gendo, quod per mare, et in fontico theotonicorum, seu cum tlieotonicis, mercari ; seu mercari facere non possit, nisi de tanto quanto fecerit imprestita nostro dominio in anno. In cuius rei fidem et evidentiam pleniorem, presens privilegium fieri jussimus et bulla nostra plumbea pendente muniri. Datum in nostro ducale Palatio, Anno domini incarnationis , millesimo quadringentesimo septuagesimo secundo, mensis Augusti die undecimo indictione Quinta. Simile privilegium factum fuit Joani Caboto sub die supra-scripto. 1476. (Tratto dal libro Privilegi: voi. II, pag. 53, Archivio predetto). (Il pregevole libro del Cav. Bullo contiene riuniti per la prima — 221 — volta tutti i documenti veneti dei Caboto nel loro testo originale con altre utili notizie). III. Tentativo per iscoprire il Brasile. 1480. Itinerarium Willelmi Botoner, dict. de IVorcestre. MS. in bibl. Coll. Corp. Christi, Cambridge n.° 210. (Stampato a Cambridge nel 1778 in un volume intitolato: Itineraria Symonis Simeonis et Willelmi de Worcestre, edidit I. Nasmyth). p. 267. Johannes Jay secundus maritus Johannoe sororis mese obiit die 15 mensis maii anno Christi............ filius Roberti Ash, quasi astatis . . . annorum obiit 19 die septembris, et sepelitur in ecclesia Sancti Thoma.*. 1480 die 15 julii, navis . . . . et . . . . Jay junioris ponderis 80 doliorum inceperunt viagium apud portum Bristollise de Kyngrode usque ad insulam de Brasylle in occidentali parte Hibernice, sulcando maria per......... et Thlyde est magister navis scientificus marinarius tocius Anglice; et nove venerunt Bristollise die luna; 18 die septembris, quod dictae naves velaveruct maria per circa 9 menses, nec invenerunt insulam, sed per tempestas (sic) maris reversi sunt usque portum . . . . in Hibernia pro reposicione navis et marinariorum. (Comunicazione contemporaneamente fattaci dalla non mai abbastanza lodata liberalità e cortesia dei signori Conte Riant ed Enrico Harrisse, col corredo delle notizie di cui facemmo uso nella Prefazione). — 222 — IV. Mappamondo di Sebastiano Caboto. 1S44- leggenda laterale n.° 8. Terram hanc olim nobis clausam aperuit Johannes Cabotus venetus, nec non Sebastianus Cabotus ejus filius , anno ab orbe redempto lM.CCCC.XCIIII, die vero 24 junii hora 5 sub diluculo; quam terram primum visam appellarunt et insulam quamdam ei oppositam insulam divi Joannis nominarunt, quippe quae solemni die festo divi Joannis aperta fuit. leggenda n.° /7. Sebastian Caboto, capitan y piloto mayor de la Sacra Cesarea eatolica majestad del imperador don Carlos quinto deste nombre y rey nuestro sennor, hizo està figura extensa en plano, anno del nascimento de nuestro Salvador Jesu Christo de M. D. XLIIII annos. (pei fonti si vada la Prefazione p. 192). V. Dispaccio di Ruy Gon^ales de Puebla al Re Ferdinando di Spagna. 1496, 21 gennaio. (Questo dispaccio mancay ma si deduce la sua esistenza, e in parie il contenuto, dalla risposta del Re al Puebla iti data 28 inarco seguente. Ved. Documento VII). — 223 — VI. A. Supplica al Re di Giovanni Caboto a nome anche de’ suoi tre figli. 1496. Pubih Record OjJice (Archivio pubblico a Londra). Chancery signed Bill, n, Henr. VII, n.° 51. (Il Bill, Sigillalo in Cancelleria, dell’ anno 11.m° del Regno d’ Enrico VII n.° /1 comincia come segue'). Memorandum quod quinto die marcii anno regni regis Henrici septimi undecimo ista bilia deliberata fuit domino Cancellario An-gliae apud Westmonasterium exequenda. To thè kyng our souvereigne lord Please it your highnes of your moste noble and haboundant grace to graunt unto John Cabotto citezen of Venes, Lewes, Se-bestyan and Sancto his sonneys your gracious lettres patentes under your grete seale in due forme to be made according to thè tenour hereafter ensuyng. And they shall during their lyves pray to god for thè prosperous continuance ot your moste noble and royale astate long to enduer. R(ex) omnibus ad quos etc. salutem. Notum sit et manifestum quod dedimus etc., (come nel seguente, VI. B). (Inedito). VI. B. Concessione del Re a Caboto per lettere patenti. 1460, $ marzo. Public Record Office, Frencb Roll. li, Henr. VII, membruti. 3). Pro Johanne Caboto et filiis suis. Rex omnibus ad quos etc. salutem. Notum sit et manifestum quod dedimus et concessimus, ac per praesentes damus et conce- — 224 — dimus, pro nobis et heredibus nostris, dilectis nobis Johanni Ca-botto civi Venetiarum, ac Lodovico, Sebastiano et Sancto, filiis dicti Johannis, et eorum ac cujuslibet eorum haeredibus et deputatis, plenam ac liberam auctoritatem, facultatem et potestatem navigandi ad omnes partes, regiones et sinus maris orientalis, occidentalis, et septentrionalis, sub banneris, vexillis et insigniis nostris, cum quinque navibus sive navigiis, cujuscumque porti-turae et qualitatis existant, et cum tot et tantis nautis et hominibus, quot et quantis in dictis navibus secum ducere voluerint, suis et eorum propriis sumptibus et expensis, Ad inveniendum, discooperiendum et investigandum quascumque insulas, patrias, regiones sive provincias gentilium et infidelium (quorumcumque, c qui inserito nel testo del chancery Bill) in quacumque parte mundi positas, quee christianis omnibus ante haec tempora fuerunt incognitae. Concessimus etiam eisdem et eorum cuilibet, eorumque et cujuslibet eorum heredibus et deputatis, ac licentiam dedimus affigendi praedictas banneras nostras et insignia in quacumque villa, oppido, castro, insula seu terra firma a se noviter inventis. Iit quod prenominati Johannes et filii ejusdem, seu heredes et eorum deputati quascumque hujusmodi villas, castra, oppida et insulas a se inventas, quae subjugari, occupari et possideri possint, subjugare, occupare et possidere valeant, tamquam vasalli nostri et gubernatores, locatenentes et deputati eorundem, dominium, titulum et jurisdictionem eorumdem villarum, castrorum, oppidorum, insularum, ac térrae firmae sic inventorum, nobis acquirendo; Ita tamen ut ex omnibus fructubus, proficuis, emolumentis, commodis, lucris et obventionibus, ex hujusmodi navigatione provenientibus, praefati Johannes et filii, ac heredes et eorum deputati teneantur et sint obligati nobis, pro omoi viagio suo, totiens quotiens ad portum nostrum Bristolliae applicuerint, ad quem omnino applicare teneantur et sint astricti , deductis omnibus sumptibus et impensis necessariis per eosdem factis, quintam partem totius capitalis lucri sui facti sive in mercibus sive in pecuniis persolvere. Dantes nos et concedentes eisdem suisque heredibus et deputatis — 225 — ut ab omni solutione custumarum omnium et singularum bonorum ac mercium, quas securn repórtarint ab illis locis sic noviter inventis, liberi sint et immunes. Et insuper dedimus et concessimus eisdem ac suis heredibus et deputatis, quod terrae omnes firmae, insulae, villae, oppida, castra, et loca quaecumque, a se inventa, quotquot ab eis inveniri contigerit, non possint ab aliis quibusvis nostris subditis frequentari seu visitari, absque licentia praedictorum Johannis et ejus filiorum, suorumque deputatorum, sub paena amissionis tam navium sive navigiorum quam bonorum omnium quorumcumque ad ea loca sic inventa navigare praesumentium. Volentes et strictissime mandantes omnibus et singulis nostris subditis, tam in terra quam in mare constitutis, ut praefato Jo-haani et ejus filiis ac deputatis bonam assistentiam faciant, et tam in armandis navibus seu navigiis, quam in provisione commeatus et victualium pro sua pecunia emendorum, atque aliarum rerum sibi providendarum, suos omnes favores et auxilia impar-tiantur. In cujus etc. T(este) R(ege) apud Westmonasterium quinto die marcii. (Si trova lo stesso documento nel Chancery Signed Bill n Henr. VII, n.° 51, che è quello di cui or ora (docum. VI. A) abbiamo dato il principio e la supplica che lo precede. Una copia del medesimo è negli atti dell’ anno 4.0 d’ Edoardo VI. (Palent Roll. 4 Edward VI, Part. 6, membr. 10). (Il Rymer, Foedera, non fa che accennarlo, loc. cit., p. 85 ; il Nicholls, p. 24, lo dà soltanto tradotto in inglese, ma il testo latino è ora stampato in Barretts, History of Bristol, 1879, p. 171). Società Ligtirt. Si. Pairia. Voi. XV. ‘5 — 226 — VII. Copia de parrafo de minuta de carta de ìos Reyes Catolicos al Doctor• Puebla fecha en Tortosa à 2S de Marzo de 1496. Archivo generai de Simancas, Capitulaciones con Inglalcrra ; Legajo (Mazzo di fogli mobili, ciascuno a sè). 2.0, f.° 16. Quanto a lo que desis que alla es yda vno corno colon para poner al Rey de ynglaterra en otro negocio corno el de las yndias syn perjuysio de espaiìa ni de portogai sy asy le acude a el corno a nosotros lo de las yndias bien librado estara crehemos que esto vera echadiso del Rey de frangia por poner en esto al Rey* de ynglaterra para le apartar de otros negocios. mirad que procureis que en esto ny en lo semejante no Resciva engano el Rey de ynglaterra que por quantas partes pudieren trabajaran los franceses de gelo hazer. y estas cosas semejantes son cosas muy ynciertas y tales que para agora no conviene entender en ellas. y tan bien mirad que aquellas (1)......no se puede entender en esto syn perjuricio nuestro 0 del Rey de portogai. (Inedito, salvo un periodo, e comunicatoci dal sig. Harrisse il quale aggiunge: le n ai plus la première phrase « Fai recu votre lettre du 2i janvier). (i) Qui dice il Ch. Harrisse: lacune dans Voriginai. Il sig. D’Avezac Navigations p. 12, che cita questo solo periodo, vi pone senza lacuna partes} forse per induzione. — 227 — Vili. Regalo del Re a colui che scoprì la nuova isola. 1497, 10 agosto. Dal M.S. del Museo Britannico, Additional, 7099, stampato negli Excerpta Historica, or Illustrations of English History published by S. Bentley, Londra, 1831, p. 113 Fol. 41 (anno) 12 Henric VII, 1497. August. 10. To hym that founde thè new Isle, L. 10. o. o. (Questo e il seguente Documento XV si trovano in una Collezione di estratti dai conti della privata cassetta del re il cui originale non fu ancora scoperto nell’ Archivio pubblico di Londra. Il Miniscalchi, p. 125, già lo avea citato dal Biddle. Anche Nicholls lo cita, a pag. 50, dagli Excerpta historica). IX. Copia de uno capitolo scrive in una lettera Ser Lorenzo Pasqua]igo fio di Ser Filippo, da Londra adi 23 Agosto , a Ser Alvise e Francesco Pasqualigo suo fradeli in Veniexia. Rixposla adi 2} Setembre 1491' 1497, 23 agosto. « Broun, Voi. I. N. 752, L’è venuto sto nostro Venetiano che andò con uno naviglio de Bristo a trovar ixole nove, e dice haver trovato lige 700 lontani de qui Teraferma, ze el paexe del gram cam, e che andato per la còsta lige 300, e che desmontato e non a visto persona alguna, ma a portato qui al re certi lazi eh’ era tesi per prender salvadexine, e uno ago da far rede e a trovato certi albori tagiati, si che per questo indicha che ze persone. Vene in mare per dubito et e stato mexi tre sul viazo e questo e certo , e al tornar al dreto a visto do ixole ma non ha voluto desender per non perder tempo che la vituaria li mancava. Sto re ne habuto grande piacer e dise che le aque e stanche e non hanno corso come qui. El re le ha promesso a tempo novo navil X e armati come lui vorà ed ali dato tutti i presonieri da traditori in fuora che vadano con lui come lui a rechiesto e ali dato danari fazi bona ziera fino a quel tempo e che con so moier venitiana e con so fioli a Bristo El qual se chiama Zuam Talbot (r) e chiamasi el gran armirante e vienli fato grande honor e va vestito de seda e sti Inglexi li vanno driedo a mo pazi e pur ne volese tanti quanti navrebbe con lui e etiam molti de nostri furfanti. Sto inventor de queste cose a impiantato suli terreni a trovato una gran f con una bandiera de Ingeltera e una de San Marco per essere lui Venetiano, si che el nostro confalone se steso molto in qua. (Marin Sanudo, Diarii Voi. I. fol. 374 v.°, Ms. alla Biblioteca Marciana, ora stampati per cura della R. Deputazione Veneta, 1879, I. p. 806-7 — Bullo p. 61, e già dal 1855 nel Miniscalchi, p. 128). X. Notizie ricevute questa mattina dall’Inghilterra per lettere datate il 24 del mese d’Agosto (1497). 1497, 24 agosto. Brown, T. III. N. 759. ......Oltre a ciò alcuni mesi dopo S. Maestà mandò un Veneziano che è un distinto marinajo, e che aveva molta capacità nelle scoperte di nuove isole, ed è ritornato salvo, ed ha scoperto due isole fertili molto grandi, avendo del pari scoperto le sette (1) Ben dice la nota a! documento stampato: che dee leggersi Cabot e che nel testo sanutiano il nome .apparisce posteriormente rifatto. 229 — città quattrocento leghe dall’ Inghilterra dalla parte verso occidente. Questi tosto esternò a S. M. l’intenzione di mandarlo con quindici o venti bastimenti....... (Lettera di Raimondo di Soncino ambasciatore del Duca di Milano alla corte di Enrico VII. Agosto 1497. Archivio Sforza, Milano). (Cosi il Cav. Bullo a p. 60. La lettera non si potè collazionare perchè ora 1’ originale manca nell’Archivio di Stato a Milano donde 1’ ha copiata il Brown. Notizie di Raimondo di Soncino, come ci avverte l’illustre Cesare Cantù, si hanno nel libro di Francesco Galantino: Storia di Soncino, 1869, I 318, 332, 338-39. Altri dispacci di questo ambasciatore, ibidem, III. 327). (Nicholls , pp. 48 e 64, dice stampati questo e il precedente documento nel Venetian Calendar, p. 260). XI. Seconda lettera dell’Ab. Raimondi. 1497, 18 dicembre. Archivio di Sialo in Milano ; Potenze Estere, Inghilterra 1497, dicembre. Illustrissimo et excellentissimo signor mio. Forsi che tra tante occupatione de V. Ex. non li sarà molesto intendere come questa Maestà ha guadagnato una parte de Asia senza colpo de spada. In questo regno è uno populare Venetiano chiamato messer Zoanne Caboto de gentile ingenio, peritissimo dela navigatione, el quale visto che li serenissimi Re prima de Portugallo poi de Spagna hanno occupato isole incognite, deliberò fare uno simile acquisto per dieta Maestà. Ed impetrato privilegi regij, che lutile dominio de quanto el trovasse fossi suo, purché lo diretto se reserva alla Corona, cum uno piccolo naviglio e XVIII persone se pose ala fortuna, et partitosi da Bristo porto occidentale de questo regno et passato Ibernia più occidentale, e poi alzatosi verso el septentrione, comenciò ad navigare ale parte — 230 — orientale, lassandosi (fra qualche giorni) la tramontana ad mano drita, et havendo assai errato, infine capitoe ili terra ferma, dove posto la bandera regia, et tolto la possessione per questa Alteza, et preso certi segnali, se ne retornato. Al ditto messer Zoanne, como alienigena et povero, non saria creduto, se li compagni chi sono quasi tutti inglesi, et da Bristo non testificassero ciò che lui dice essere vero. Esso messer Zoanne ha la descriptione del mondo in una carta, et anche in una sphera solida che lui ha fatto et demostra dove è capitato, et andando verso el levante ha passato assai el paese del Tanais. Et dicono che la è terra optima et temperata, et estimanno che vi nasca el brasilio et le sete, et affermanno che quello mare è coperto de pessi li quali se prendenno non solo cum la rete, ma cum le ciste, essendoli alligato uno saxo ad ciò che la cista se impozi in laqua, et questo io lho oldito narrare al dicto messer Zoanne. Et ditti Inglesi suoi compagni dicono che portaranno tanti pessi che questo regno non havera più bisogno de Islanda , del quale paese vene una grandissima mercantia de pessi che si chiamanno stochfissi. Ma messer Zoanne ha posto 1’ animo ad magior cosa perche pensa , da quello loco occupato andarsene sempre a Riva Riva più verso el Levante, tanto chel sia al opposito de una Isola da lui chiamata Cipango, posta in la regione equinoctiale , dove crede che nascano tutte le speciarie del mundo et anche le gioie, et dice che altre volte esso è stato alla Meccha, dove per caravane de luntani paesi sono portate le speciarie, et domandati quelli che le portanno, dove nascono ditte speciarie, respondenno che non sanno, ma che venghono cum questa mercantia da luntani paesi ad casa sua altre caravane, le quale ancora dicono che ad loro sono portate da altre remote regioni. Et fa questo argumento che se li orientali affermanno ali meridionali che queste cose venghono lontano da loro, et cosi da mano in mano, presupposta la rotun-dità della terra, è necessario che li ultimi le tolliano al septentrione verso 1’ occidente. Et dicello per modo che non me costando più corno costa, ancora io lo credo. Et che è maggior cosa, questa maesta che e savia et non prodiga, ancora, lei li presta qualche fede, perchè do poi chel è tornato, li dà asai bona prò- — 231 — visione come esso Messer Zoanne me dice. Et a tempo novo se dice che la Maestà prefata armarà alcuni navilij, et ultra li darà tutti li malfatori et andarano in quello paese ad fare una colonia, mediante la quale sperano de fare in Londres magior fondaco de speciarie che sia in Alexandria. Et li principali dell’ impresa sono de Bristo, grandi marinari li quali hora che sanno dove andare , dicono che là non è navigatione de più che XV giorni, ne hanno mai fortuna come abbandonano Ibernia. Ho ancora parlato cum uno Borgognone compagno di mess. Zoanne chi aiferma tutto, et vole tornarci perche lo armirante (che già messer Zoanne così se intitula) li ha donato una Isola; et ne ha donate una altra ad un suo barbero da castione Genovese, et intrambi se reputanno Conti, ne monsignor Larmirante se estima manco de principe. Credo ancora andarano cum questo passaggio alcun poveri frati Italiani li quali tutti hanno promissione de Vescovati. Et per essere io fatto amico de Larmirante, quando volessi andarvi , haverei uno Archivescovato, ma ho pensato chel sia più secura cosa li benefici] quali V. Ex. me ha reservati, et perhò supplico che quando vacassero in mia absentia la me faccia dare la possessione, ordenando fra questo megio dove bisogna, che non me siano tolti da altri, li quali per essere presenti possono essere più diligenti di me, el quale sono redutto in questo paese ad mangiare ogni pasto de X 0 XII vivande, et stare tre hore ad tavola per volta ogni giorno due volte per amore de’ Vostra Excellentia. A la quale humilmente me recomando. Londoniae XVIII Decem. 1497. Eccelentiae Vestrae. Humilis simus Servus Raimundus. (DAYAnnuario Scientifico ... del 1865, Milano, 1866, p. 700; ma coliazionato coll’ originale per cura cortese di quella Sovranten-denza). Seconda supplica di Giovanni Caboto seguita della concessione del Re per lettere patenti. 1498, 3 febbraio. Public Record Office, Chancery signed Bill, 13. Henr. VII, 11.c 6. Memorandum quod tertio die februarii anno regni regis Henrici septimi xiij ista bilia deliberata fuit domino Cancellario Angliae apud Westmonasterium exequenda. To thè kynge Pleas it your Highnesse, of your moste noble and habundaunt grace, to graunte to John Kabotto, Veneciane, your gracious let-tres patents in due forme to be made, accordyng to thè tenor hereafter ensuyng, and he shai continually praye to god for thè preseruacion of your moste noble and roiale astate longe to endure. H(e»)R(/c»5) JKex. To all men to whom thies presentis shall come send greting; knowe ye that \ve of our grace especiall and for dyvers causis us moving we have given and graunten and by thies presentis yeve and graunte to our well beloved John Kabotto Venician sufficiente auctorite and power that ne by hym his deputie or deputies sufficient may take at his pleasure vj Englisshe shippes in any poorte or portes or other place within this our realme of lngland or obeisaunce to that and if thè said shippes be of thè bourdeyn of CC tonnes or under with their apparaill requisite and necessarie for thè safe conduct of thè seid shippes, and theym convey and lede to thè Londe and Iles of late founde by thè seid John in oure name and by oure commaundemente, payng for theym and every of theym as and if we should in or for our owen cause paye and noon otherwisc. — 233 — And that thè seid John by hym his deputie or deputies sufficiente maye take and receyve into thè seid shippes and every of theym all suche maisters maryners pages and our subjects, as of theyr owen free wille woll goo and passe with hym in thè same shippes to thè seid Londe or Iles withoute any impedymente lett or perturbance of any of our officeis or ministres or subjectes whatsoevir they be by theym to thè seid subjectes or any of theym passing with thè seid John in thè seid shippes to thè seid Londe or Iles to be doon or suffer to be doon or attempted. Ye-ving in commaundement to all and everv our officers ministres and subjectes seying or herying thies our lettres patents, withoute anye ferther commaundement by us to theym or any of theym to be geven, to perfourme and socour thè seid John, his deputie and all our seid subjectes to passynge with hiin according to thè tenor of thies our lettres patentis. Any statute, acte or ordenaunce to thè contrarye made or to be made in any wise notwithstan-ding. (Questo documento che si trova come sopra è detto tra i Bill suggellali in Cancelleria, Tanno 13 d’Enrico VII, n. 6, non è poi più reperibile nei Rotoli dello stesso Archivio di Londra, dove dovea passare dopo essere stato sigillato; mentre abbiamo veduto in entrambe le categorie quello del 5 marzo 1496. Forse ivi è perduto, ma anche questo è ufficiale. Esso è pure riferito in disteso dal Nicholls, pp. 70-73, e dal Biddle, p. 76-77, ma con alcune varianti che furono corrette sull’ originale). XIII. Lettera del DJ Puebla ai Re Cattolici, Ferdinando e Isabella. 1498. El Rey de Inglaterra embio cinco naos armadas con otro ge-noves conio Colon a buscar la Isla de Brasil y las vicinidades, fueron provey dos por un ano. Dicen que seran venidos para al el septiembre. Vista la derrota que llevan allo que lo que buscan es — 234 — lo que Vuestras Altezas poseen. El Rey me ha fablado algunas veces subrello esperà haver muy gran interesse. Creo que no hay de aqui alla cccc leguas. (Inedita e comunicata dal Ch. Henrico Harrisse; e, come ci avverte, da lui copiata dalle carte di Bergenroth, non direttamente dagli archivii di Simancas. Non vi è scritta la data, per cui vedi la prefazione, pag. 197). XIV. A. Lettera del Protonotaro Pietro de Ayala ai Re Cattolici. 1498, 25 luglio. Bien creo, vuestras altezas an vido, corno el rey de ynglaterra ha fecho armada para descubrir ciertas islas y tierra firme que le han certificado hallaron ciertos que de Bristol armaron ano pas-sado para lo mismo. Yo he visto la carta que ha fecho el inven-tader que es otro genoves corno Colon que ha estado en Sevilla y en Lisbona procurando haver quien le ayudasse a esta invencion. Los de Bristol, ha siete anos que cada ano an armado dos, tres, cuatro caravelas para ir a buscar la isla del Brasil y las siete ciudades con la fantasia deste Ginovés. El rey determino de enviar porque el ano passado le truxo certenidad que havian hallado tierra. Del armada que hizo que fueron cinco naos fueron avital-lados por un ano. Ha veindo nueva, la una en que iva un otro Fai (sic) Buil aporto en Irlanda con gran tormento rotto el nairo. El ginovés tiro su camino. Yo, vista la derrota que llevan y la cantitad del camino hallo que es lo que han hallado o buscan lo que Vuestras Altezas capo por la convencion con Portugal. Sperase seran venidos para el setiembre. Haso lo saber a Vuestras Altezas. El rey de Ynglaterra me ha fablado algunas vezes sobre elio. Spero aver muy gran interesse. Creo no ay quatro cientos leguas. Lo le dixe, creya eran las halladas por Vuestras Altezas, y aun le dia la una razon no lo querria. Porque creo, V. A. ya - 235 — tendran aviso de todo lo y asymismo al carta o mapa mundi que este ha fecho, yó no la enbio agora, que a qui la ay, y a mi ver bien falsa por dar a entender, no son de las islas dichas. (Copiata dalle carte di Bergenroth e comunicataci dal Sig. Harrisse. Ne conoscevo solo il periodo : Los de Bristol ecc. fino a deste Ginoves, stampato dal Sig. D’Avezac, Navigations p. io. Ora vedo dal Nicholls, p. 31, che essa è stampata nei Caleudars inglesi, la parte raccolta da Bergenroth: Spanisi'1 State papers, I. 177). La versione inglese del Bergenroth ricavata dalle sue carte fu stampata dal Cartwright nel libro: Gustave Bergenroth, a Memorial Sketch. Edinburgo 1870, p. 76-77, libro avuto dalla cortesia del Conte Riant). XIV. B. Ai 25 di Luglio 1498 Don Pedro de Ayala ambasciatore spagmolo presso Arrigo VII, scrive ai sovrani suoi nei seguenti termini, e in cifra : Suppongo la Maestà Vostra aver di già sentito che il Re di Inghilterra ha fitto armare un naviglio all’ uopo d’ esaminare certe isole e continenti, scoperti già, secondo egli era stato avvisato, da certa gente di Bristol, la quale noleggiò l’anno scorso vari bastimenti con siffatto scopo. Ho veduta la mappa disegnata dallo scopritore, che è un altro Genovese al pari di Colombo, e il quale è stato a Siviglia e a Lisbona cercando assistenza per le sue indagini. Gli abitanti di Bristol hanno spedito, durante gli ultimi sett’ anni, annualmente tre 0 quattro caravelle in cerca dell’ isola di Brasile e delle sette città (?), dando retta alle fantasie di questo Genovese. Il Re determinò di fare la suddetta spedizione, 1’ anno scorso essendosi avuta la nuova certa della scoperta di terra. Il naviglio era composto di cinque bastimenti con provvisioni per un anno. Si dice uno di questi bastimenti, con un frate Bu il a bordo, essere tornato in Irlanda con grave pericolo essendo molto rotto. Il Genovese ha continuato il viaggio. Ho esaminato sopra — 236 — una mappa la direzione presa e le distanze , e credo ciò che essi cercano, o di già hanno trovato, far parte dei possedimenti delle Vostre Altezze. Il loro ritorno aspettasi a settembre. Scrivo questi particolari, il Re avendomene più volte parlato, credendo Vostre Altezze essere per provarne gran sollecitudine (1). Suppongo la distanza non oltrepassare un quattrocento leghe. Esposi al Re , secondo la mia opinione quel paese appartenere di già ai domini delle Maestà Vostre, ma quantunque gli spiegassi le mie ragioni, esse non gli piacquero. (Reumont, I due Caboto, 1880, p. 417. — A questa traduzione manca la chiusa che è nell’ originale e nella versione inglese del Cart-wright ed è del tenore seguente: Perchè credo che le vostre Altezze già saranno informate di tutte ciò ed anche della Carta o Mappamondo che quest’ uomo ha fatto, io non la mando ora (la carta) che ho qui; per mio avviso essa è ben falsa per dare ad intendere che non si tratta delle stesse isole. XIV. C. Aggiungiamo qui traducendole dall’ inglese del Cartwright, p. 77, le osservazioni che il Bergenroth sottopose alla copia del dispaccio. Queste linee furono diciferate la prima volta nel dicembre dell’anno 1860! il segretario a cui incumbeva quest’uffizio ed era il d’Almazan medesimo, non credette importante abbastanza tale paragrafo per essere tradotto in lettere. Egli si limitò a una breve nota riguardo all’« altro Genovese come Colombo » e Ferdinando (il Re) vi scrisse a tergo « Enrico (il Re d’Inghilterra) si dovrebbe guardar da certi uomini che gli sono mandati dal Re di Francia per distrarlo dagli affari serii. G(ustavo) Bergenroth) ». (1) Questo passo è assai oscuro nell’originale che dice semplicemente: spero aver muy gran interesse, ciò può essere pel Re d’Inghilterra stessa o pei Re di Spagna; nella mia Prefazione io I’ho intesa nel primo senso, Reumont nel secondo. Nel docum.^XIlI 6 detto: esperà. — 237 — XV. A. Imprestiti del Re ai tre armatori delle navi in viaggio alle nuove Isole 1498, 22 marzo c l.° aprile. (Dagli estrati dei conti della sua cassetta privata come al docum. VII). fo. 4/. 12 Hen. VII 1498. « March. 22. To Lanslot Thirkill of London upon a Prest for his shipp going towards thè new liande, L. 20. — Item delivered to Launcelot Thirkill going towards thè new Ile in Prest, L. 20. Aprii i.1' Item to Thomas Bradley et Launcelot Thirkill going to thè new Isle, L. 30. To John Carter going to thè newe Ile in reward 40. 5 ». (cioè L. 2). [Excerpt. Hist. pp. 116, 117]. (Citato anche dal Nicholls, p. 73, come preso dallo stesso fonte). XV. B. Pagamento di Lire 20 fatto al Re da Lancellotto Tirkill il 6 giugno 1501, che potrebbe essere relativo all’ imprestito precedente. (Dal Ms. al Museo Britannico, additional 21,480, che è il Registro originale dei conti della cassetta privata del Re per gli anni 15 a 20 del regno di Enrico VII, 149^-1/05, foi. v.) (1). Termino Hillarii a.0 xvij0 [1501]. Launcelot Thirkill, Thomas Par, Walter Strikland and Thomas Mydelton ar bounden in ij obligations to pay at Whitsontyde next (1) Questo ms. apparteneva prima a Mist.r Orde, il Signore che ha copiato gli estratti che furono poi stampati negli Excerpta historica di cui sopra: la forma e lo stile degli Excerpta è affatto simile a quelli di questo codice che è originale, perciò si può prestar piena fede anche ai documenti precedenti VII e XV. il cui originale pare perduto. — 238 — comyns xx li (brs), and that day twelvcmoncth xl mares for lyverye of Flemynges landcs. Una nota al margine dice: Sol (vit) xx li. anno xvij, vj die Junii. Rem. xl mares (1). (Inedito). XVI. (Annals or a great Chronicle of England begun by /. Stow, con-tinued by Edm. Howes, London 1631, in f. p. 480). This yeers (1498) one Sebastian Caboto a Genoas sonne, borne in Bristolw, professing himselfe to be expert in knowledge of the circuit of the world. . . etc. (Comunicato dal Conte Riant. Nicholls, p. 46, cita 1’ edizione 1605, p. 804). Lo Stow segue parlando del viaggio che crede fatto dal solo Sebastiano ed al tempo che era Lord Major Tomaso Purchas; vale a dire fino a tutto ottobre 1498. Ma siccome dal detto sopra si vede che vi era ancora Giovanni Caboto il padre e certamente come Capitano, così ora credo utile tradurre qui dall’ inglese tutto il periodo dell' Annalista che trovo citato dal Nicholls p. 83. « Quest’ anno un Sebastiano Gaboto figlio di un Genovese, nato » a Bristol, professandosi esperto nella cognizione del circuito del » mondo e delle sue isole, come mostrava colle sue carte e per » altri ragionevoli argomenti, persuase il Re ad armare e vetto-» vagliare un vascello a Bristol, per andare in cerca d’ un’ isola » che sapeva essere ricca di ogni comodità. Nel vascello diversi » mercanti di Londra avventurarono piccoli capitali e salparono » con esso da Bristol altre tre o quattro piccole navi, con prov- (1) Sono lieto di giungere ancora a tempo (almeno in nota) per porgere un tributo di lode, anzi d’ ammirazione verso il corrispondente di Londra del Conte Riant, tanto conscienzioso, sollecito, esatto e perito di quell’ Archivio e della Bibliografia. Seppi ora dal Sig. Conte che quel corrispondente ò una Signorina inglese eruditissima che scrive nel Periodico Athenaeum, Miss Lucy Toulmine Smith. S’ abbia anch’ essa i mici più sentiti ringraziamenti. - 239 — » viste di merci grosse e sottili, come abiti grossolani, berretti, » nastri, pizzi e simili; del che tutto non giunsero più notizie nel » tempo dell' amministrazione di questo Major »: vale a dire, come qui spiega Nicholls, le navi non erano ancora ritornate nell’ottobre del 1498. DOCUMENTI E GENEALOGIA DEI PESSAGNO GENOVESI AMMIRAGLI DEL PORTOGALLO PEL SOCIO L. T. BELGRANO Società Ligure St. Patria. Voi. XV. - * * ' documenti che qui si pubblicano, furono, per la maggior parte, favoriti gentilmente alla Società Ligure di Storia Patria, negli anni 1870-71, dalle Sovrintendenze agli agli Archivi portoghesi della « Torre do Tombo » ed alla Biblioteca Nazionale di Lisbona, mercé il cortese interessamento di un egregio amico nostro, il prof. cav. Alfredo D’ Andrade, cultore dottissimo delle artistiche discipline. Dobbiamo però aggiungere, che il primo saggio di sì fatte carte lo si incontra negli Annacs da marinha portugue^a di Ignazio Costa Quintella, negli Additamcntos à Memoria sobre as verdadeiras epocas em que principiàrìio as nossas navegacoes e descobrimentos di J. J. da Costa Macedo, e in due scritti del D’ Avezac (1). (1) Notice des dècouvertes faites au moyen-age dans l'Ocean Allantique, ante-rieurement aux grands cxplorations portugaises du quiii{iètiic siicle; Paris, 1845. — Noie sur la première expedition de Bithencourt aux Cattar ics, et sur le degri d’ha-bileté nautique des Portugais; Paris, 1846. — 244 — Inoltre un elenco delle carte medesime venne pubblicato dall’ illustre Canale , in appendice alla sua Storia del commercio, dei viaggi, delle scoperte e delle carte nautiche degli Italiani (i). Essendoci ora, per disposizione della prefata Società, determinati di pubblicarli, fra gli omaggi che essa intende di presentare al Congresso Geografico Internazionale di Venezia, abbiamo stimato di comprendere altresì nella raccolta alcuni atti, desunti in ispecial modo dall’Archivio notarile genovese; e similmente di farli precedere da due importanti brani della Historia Compostellana, donde si può rilevare quanto sia antico 1’ influsso esercitato dai Genovesi sul progresso della marineria del Portogallo (2). Nella nostra pubblicazione abbiamo poi ridotte al-l’èra volgare tutte le date iscritte in capo ai documenti ; e basterà, per l’opportuna intelligenza, avvertire che questa é in ritardo di 38 anni sulla spagnuola e portoghese, usata nel testo degli atti medesimi e durata in uso fino al primo ventennio del secolo XV. Genova, 14 settembre 1881. (_i) Genova, 1866; pag. 487. (2) Sarebbe anche più antico, se fosse confortata di prove la congettura del- 1 Herculano, il quale opina che nel 1103 il conte Enrico di Portogallo si recasse alla Crociata in Palestina, approfittando del naviglio genovese da cui nell’anno appresso, Laldovino ebbe aiuti per la conquista di Tolemaide. Ved. Hiìrculano, Historia de Portugal; Lisbona, 1863; voi. I, p.’.g. 201. I. Estratto dalla Historia Coinposteìlana, lib. I, cap. 103, concernente l’aiuto arrecato da’ Pisani e Genovesi ai Galileiani contro i Saraceni. Anno in5. (Flores, Espana Sagrada, tom. XX). De navibus Episcopi et de praeda per eas in Sarracenos facta. 1. Iisdetn temporibus Hispalenses, Saltenses, Castellenses, Sal-vienses, Lisbonenses, caeterique Sarraceni ab Hispali usque ad Co-limbriam confinia maris incolentes, naves construere consueverant, et navigio armata manu venientes, maritima a Colimbria usque ad Pyrenaeos , videlicet Portugalliam , Morracios , Saliniensium fines, Pistomarchos , Gentines , Nemarchos , Sonariam, Salagiam, Bregantinos, Nenlitos, Prucios, Bisancos, Frasancos, Vivarium, Duvios, Naviam, ceterosque maritimos Asturum fines, terramque Sanctae Julianae depopulando vastabant. Praecipue litora maris, quae propius Provinciae Beati Jacobi adjacent, circumquaque pessundabant. Ad insulas namque quae prope sunt, scilicet Flamiam, Aonios , Salvaram, Aroucam, Creviam, Montemque Lauros, cursus desti- — 246 — nantes, ibi sedem suam figebant, ibiquc se ipsos navesque suas ab itineris labore reficiebant. Hinc crebros assultus in Christianos, modo clanculo , modo aperta fronte faciebant. Quid multis morer? Ecclesias funditus destruebant, altaria suffodiebant, quod dici nefas est. Palatia quoque nobilium virorum, villas, tuguria incendebant, arbores succidebant, armenta etiam interficiebant, et quantum de eis necesse habebant in navi reponebant; viros, mulieres, iuvenes, pueros , alios captivabant, alios morti tradebant. Quid referam ? Fredenandum Ariani, Menendum Didacidem , nobilissimos viros et valde potentes ab illis captivatos, et pro se redimendis LX captivos Christianos, tamen ex servili conditione, captivati eorum dedisse. Praeterea complures nobilium, alios captivitati, alios neci dedere : quippe in litore maris ipsi Sarraceni tentoria sua figebant. Igitur Oceani litoris agricolae a medio veris usque ad medium autumni litora deserebant, aut in speluncis cum omni domo sua latitabant. 2. Tot tantisque Gentilium persecutionibus praedictus Ecclesiae Beati Jacobi Episcopus cum optimatibus Gallaeciae medicinae manum saepius porrigere curaverat. Verum enim vero Galliciani, nec naves construere, exceptis sarcinariis, nec veliferis Pelagi alta secare in consuetudine habebant. Quamobrem Episcopus tot tantisque malis finem imponere posse rebatur. Porro, ut praedictum est, decreta quibus plebs a potentioribus inconcussa maneret, quibusque dic-tante iustitia unusquisque sua haberet, dederat. Pacem quoque quantum sua intererat, obnixius patriae administrabat : quid autem consilii, quid patrocinii protenderet, ubi nec consilium, nec patrocinium prodesse valebat ? Sola Dei ineffabilis misericordia, sola ipsius inaestimabilis sapientia, operi suo consulere poterat. 3. Praedictus itaque Episcopus in circumscripta Dei providentia fultus, et Christianorum captivitate compunctus, nuntios suos Pisam atque Genuam direxit. Ibi namque optinfi navium artifices, nautaeque peritissimi, qui palinuro Eneae nautae non cederent, habebantur; quos praescripti nuntii plurimorum munerum pollicitis pavere, et ut naves constructum in Gallaeciam proficiscantur commovere : nec mora artifices navium a Genua civitate Compostellam ad Episcopum venirent, et duas biremes ei construant cum eo — 247 — determinato prius praetio paciscuntur. Quantum autem gaudium , quantumve tripudium maritimorum incolae, immo omnes Galli-ciani , habuerint, ex rei utiiitate perpendi valet, quippe pro liberatione atque protectione patriae gaudebant. Quomodo enim Sar-raceni in navium multitudine venientes a praeda et a captivitate Gallaeciae inhiberi possent, nisi versa vice navali exercitio ? Magno itaque admodum sumptu, factis duabus biremibus, quas vulgus galleas vocat, Irienses accito sibi altero palinuro, earumdem scilicet navium artifice, nomine Eugerio, praecepto et admonitione Episcopi, Sarracenis vices redditum eunt. Quid plura ? Ducenti viri mari belloque prompti, cursu vellifero Ismaelitarum terram invadunt. Pro acceptis itaque olim damnis atque contumeliis, aequi-pollentia et amplius Ismaelitis rependunt: incendunt domos et segetes in areis (erat enim tempus triturationis), arbores, vineas succindunt, nec parcit gladius eorum a maiori usque ad minorem : templa quoque eorum comburere ac diruere, et in eis foeda relatu facere non erubescunt. Naves eorum oneriferas aut velliferas, captivos Christianos defferre assuetas, capiunt, destruunt, comburunt. Tandem, saciato gladio, navibusque suis auro, argento , spoliis oneratis, concinentes laudem Deo et Beato Jacobo, ad propria cum gaudio revertuntur. Papae ! quanta Christianae Fidei cultoribus laetitia, videre Sarracenos vinctis manibus post terga suis propriis navibus captivos adduci. Horum omnium Irienses Episcopo quartam dedere portionem, additis aliis quae ex navium suarum proprietate ei debebantur. Dedere etiam Beato Jacobo captivos, qui ad aedificandam eius ecclesiam lapides et caetera comportarent. Utinam Ismae litarum infidelitas taliter saepius retundatur ! Utinam bona fidelibus, mala infidelibus saepius eveniant ! — 248 — II. Altro estratto dalla Historia citata, lib. II, cap. 20, circa il soccorso arrecato agli abitanti di Iria Flavia dagli uomini di Arles, Genova e Pisa contro i Saraceni. Anno 1120. (Flores, Op. c torn. eit.). De navibus Sarracenorum captis ab Iriensibus. 1. A temporibus Alphonsi regis bonae memoriae (1) Sarraceni ab Hispali, ab Almaria, Olisbona, et a ceteris locis mari finitimis, navigio in Gallaeciam venire consueverant, ecclesias destruere ac comburere, et quaecumque inde abstrahere, homines alios trucidare, alios vinctos ducere, mulieres, parvulos captivare, caetera quae sibi necessaria erant in praedam ferre, vineas, arbores succidere, domos incendere ; castella etiam, sicut in Sancta Maria de Lancata et in Sancto Pelagio de Luto accidit, crebris assultibus invadere atque irrumpere, erat eis prae mahibus. Hac de causa, a medio aprilis usque ad medium novembris littora Galileiani maris deserta et depopulata erant. Tantum Sarracenorum audacia haec frequentabat! Qua propter praedictus Beati Jacobi Archiepiscopus et S. R. E. Legatus dolore paterno compunctus, quoniam in partibus Gallaeciae homines nauticae artis periti non habebantur, Arelatum, Genuam et Pisam nuntios suos miserat, qui ad se peritissimos navium artifices illinc venire facerent. Quid plura ? Genuensis nomine Augerius , peritissimus navium artifex, duas naves, quae vulgo galeae dicuntur, in Iria composuit : in quarum compositione Archiepiscopus multam pecuniam multasque dispensas expendit. Eodem igitur anno quo factae fuerunt, Irienses iussu et admonitione Archiepiscopi cum nauta suo praedicto Augerio armati naves ingrediuntur, terram Sarracenorum adeunt, et versa vice trucidant, captivant, incendunt, succidunt. Denique quibusdam Sarracenorum navibus captis, destructis atque succensis, alias secum adducentes, aurum, argentum, captivos, vestes abundantius defferentes, ad propria revertuntur. Ex tunc Ismaelitae Beati Jacobi Provinciam nisi in multitudine navium invadere non audebant. (1) Alfonso I conte di Portogallo dal 1112; e re propriamente dal 1139. — 249 — 2. Quodam denique tempore Sarraceni Hispalenses et Olis-bonenses in viginti navibus Provinciam Beati Jacobi invadunt , et multitudine sua vallati circumquaque depopulantur : paucos tamen homines captivavere ; alii enim ad montana confugerant. Tandem caeteris ad propria redeuntibus, quatuor naves remanserant hic in insulis, scilicet Ouras, Salvara , Flamia , morare indulgebant. Quod cum comperisset praedictus Compostellanae Sedis Archiepiscopus S. R. E. Legatus propere Iriam adit, Irienses convocat, iubet atque suadet eos ut instructis navibus Archiepiscopi atque suis Sarracenos perditum eant: milites etiam suos hortatur, ut una cum Iriensibus in Sarracenos vires suas experiantur.‘Tunc Irienses, instructis navibus, alto se committunt, et circumquaque per insulas Ismaelitarum naves requirunt. Quas ut invenerunt, cis Castellum Sancti Pelagii de Luto, quippe applicuerant litori, et necessaria sibi in naves comportabant, et crebre-scente iam crepuscolo, ne noctu aufugerent, aditus maris excubantes possederunt. Mane autem facto, Irienses unanimiter accensi et praeparati ad bella, facto agmine, Sarracenorum naves invadunt. Quos cum vidissent eminus Sarraceni perpeti cursu ad se venientes, tonsis incumbunt, ad arma concurrunt, nec segnius ad bella parantur. Caeterum Irienses, utpote aggressores, audacius irruunt in Agarenos : vasto impetu ferreis rostris navium naves Gentilium feriunt, sauciant, dissipant, et eodem congressu in eorum naves insiliunt : hos trucidant, alios in altum proiiciunt, aliis utpote captivis miserentur. Ismaelitae autem alii bellare, alii remigare, alii natando fugere tentabant. Interea quaedam navis Sarracenorum. velocior caeteris, ab ipsis navibus Iriensium elabitur, et sic aufugit; aliae vero tres a Christianis retentae sunt. Interempti sunt ibidem XVI Sarraceni, captivati centum minus duobus, praeter arma et spolia : Christiani etiam qui a Sarracenis captivi deferebantur, soluti sunt. Tandem Irienses cum tribus captis navibus, cum captivis Ismaelitis, et cum spoliarum multitudine ad propria cum gaudio reversi sunt. Horum omnium quintam partem praedicto Archiepiscopo et S. R. E. Legato, utpote domino suo, cum his quae ei ex navium suarum proprietate debebantur, dederunt. Utinam alii atque alii Sarraceni saepius tali omine captivatum Chri- stianos veniant, ut quod Christianis facere consueverant amodo in Agarenos convertatur. III. Jacopo da Varazze riconosce e confessa che Nicoloso di Monleone drappiere, gli è stato sicurtà per 13 lire genovine 11 versus Manuelem Pezagnum sive Leonardum fratrem suum » ; le quali esso Jacopo deve sborsare « eisdem dominis . . . occasione viagii qui . . . in eorum navi fecissem ». 1303, 17 aprile. (Archivio Notarile di Genova. Notulario di Ambrogio da Rapallo, a. ijOj} fol. 88) IV. Manuele e Leonardo fratelli Pessagno noleggiano due loro galee per l’Inghilterra. 1306, 2$ ottobre. (Archivio citato. Notulario di Andreolo Lanero dal 1298 al 1)0$, fol. 99) In nomine Domini amen. Nos Manuel et Leonardus Pezagni fratres, domini et patroni duarum galearum nostrarum, locamus et et naulizamus tibi Janino Marocello, stipulanti et recipienti nomine tuo et nomine domini Loterii de Aiguerigo et fratris Leonis Mo-rigie civium et mercatorum Mediolani, et nomine filiorum ipsius domini fratris Leonis, duas galeas bonas et sufficientes nostras ad eundum de Janua ad partes Anglie, causa ibi levandi et honerandi in dictis galeis pro te vel predictis vel aliquo eorum, vel noncio seu procuratore tuo vel ipsorum vel alterius eorum, tantam lanam de Anglia que sit cantaria duomilia septingenta ad cantarium Janue, pro defferendo Janue, pro naulo et nomine nauli et condicionibus infrascriptis. Promittentes tibi dictis nominibus stipulanti dictas galeas expensis nostris dictorum fratrum habere paratas, stagnas et furnitas, armatas et guarnitas et bonas et sufficientes, et cum sarcia corredo vellis antenis arboribus armis victualibus et omni apparatu ipsius bene et sufficenter, et cum hominibus et marinariis centum quadraginta pro qualibet galea; et infra kalendas madii proximi venturi cum dictis galeis taliter armatis et furnitis ut supra separare (sic') de portu Janue pro eundo ad dictas partes Anglie; ita quod infra kalendas aprilis proximi venturi . . . vel alterius . . . spondere facere et elligere per te vel ipsos vel aliquem eorum, vel alium . . . ipsis . . . loco et locis tribus infra-scriptis, nobis tradere et consignare volueris . . . voluerint dictam . . . portandum in dictis galeis : videlicet vel Londres, vel in Sanuis (sic), vel Ancona pro Januam deferendo; ita quod nisi . . . (i) ex dictis tribus locis possitis elligere etc. (2). Versa vice ego dictus Janinus, meo proprio nomine et in solidum et nomine predictorum mediolanensium, . . . promitto vobis dictis patronis dictam elleccionem facere vel fieri facisse (sic) vobis vel alterius vestrum infra dictas kalendas aprilis proximi venturi , vel postea, antequam dicte galee recessissent de portu Janue . . .; et applicatis dictis galeis cum dicta lana in portu Janue, vobis dare et solvere in Janua pro naulo et nomine nauli cuiuslibet cantarli Janue dicte lane ut supra delate et honerate solidos triginta Janue infra menses sex postquam dicta lana exho-nerata et consignata fuerit tibi (mihi?) vel predictis, vel eorum seu alicuius eorum noncio vel procuratore . . . Actum Janue, . . . domus heredum quondam Symonis Canzellerii iudicis, anno Do- OOO minice nativitatis m. ccc. vi, indictione quarta . . . (3) octubris, circa vesperas. Testes Franceschinus Nepitella etc. V. Raffo Galluccio, olim Bufferio, vende a Daniele Lomellino i diritti che gli competono contro Leonardo e Manuele Pessagno, per cagione di un mutuo di 500 lire fatto ai medesimi con istrumento del 2 febbraio 1313 a rogito di Enrico da Recco. ij'3> 5 m*gg‘°- (Archivio citalo. Nolulario di Enrico da Rccco, a. 1307-1;, foi. 39J (1) Queste e tuttc ie altre lacune qui notate derivano da guasti nell’ originale. (2) Si omettono le forraole. (3) L’ indicazione del giorno manca per guasto ; ma 1’ atto è posto dopo uno del 25 ottobre e prima di un altro del 29 stesso mese. Il Richeri (Folialium Notariorum ms., voi. Ili, par. I, foi. 61), che forse potè leggervi ancora, segna il 25. — 252 — VI. Leonardo Pessagno, a nome proprio c come procuratore di suo fratello Manuele, confessa a Lapo di Falcone, cittadino e mercante di Firenze, un mutuo ricevuto di mille lire fiorentine. 1313, 13 novembre. (Archivio citato. Nolulariò di Giovanni Vataccio, a. 1316 cd anni diversi, fol, 108) VII. Altra memoria di Leonardo Pessagno ; e notizia del fratello di lui Pessagnino. 1316, 18 gennaio. (Archìvio citato. Notulario di Giannino Vataccio, a. 1316, fol. 33) In nomine Domini amen. Ego Leonardus de Pezagno de Lavanda, habitator ad Modulum in contrata Sancti Marchi, venditor claparum, confiteor tibi Januino Vataccio notario infrascripto, tan-quam persone publice stipulanti officio publico et nomine et vice Anthonii Ermirei, emisse et habuisse de grano dicti Anthonii minas triginta ad racionem prò mina soldorum XVIII. Renuntians etc. Insuper Pezagninus de Pezagno de Lavania frater dicti Leonardi habitator ad Modulum etc. Actum in angulo domus Lanfranchi Bacerai. Testes Petrus de Sevasco de Sancta Julia et Bartholoraeus Fornarius de Sancto Georgio. Die XVIII ianuarii, circa terciam. Vili. Lettera commendatizia di Edoardo II d’Inghilterra in favore di Leonardo Pessagno, spedito a Genova per 1’ armamento di cinque galere per la guerra di Scozia. 1317, 31 gennaio. (Rymer, Foedera etc. inter reges Angliae etc., voi. //, par. /, pag. 313) Rex, nobilibus viris abbati, potestati et capitaneo civitatis ianuensis, amicis suis carissimis, salutem. — 253 — Cum mittamus dilectum nobis Leonardum Pessaigne de Janua ad partes vestras, ad providendum ibidem, sumptibus nostris, quinque galeas defensabiles in subsidium guerre nostre Scocie, et ad eas hominibus armatis , armaturis , victualibus et omnibus aliis necessariis, pro ut melius expedire viderit, et pro ut sibi per nos plenius est iniunctum, muniendas; vestram amicitiam affectuose requirimus et rogamus, quatinus prefatum Leonardum predictas galeas et huiusmodi homines armatos, necnon armaturas, victualia et alia necessaria pro munitione galearum predictarum in civitate vestra predicta providere, et exinde in expeditionem guerre nostre predicte ducere permittatis; prefato Leonardo, super premissis , favorem et auxilium, nostri interventu rogaminis, impendendo. Pro quo vobis et concivibus vestris quibuscumque, in hiis que penes nos habueritis expedire, effici volumus imposterum, opor-tunis temporibus, promptiores. Datum apud Andeure, XXXI die ianuarii (1317). Per breve de privato sigillo. IX. Diploma del re Dionigi di Portogallo, che nomina suo ammiraglio Manuele Pessagtio, con diritto di trasmissione della carica ne’ suoi discendenti, e gli conferisce il feudo di Pedreira. 1317, i.° febbraio. (Archivio della Torre do Tombo in Lisbona. Libro III dì Don Dionigi, foi. 108) Em nome de Deus, amen. Sabham quantos esta carta virem corno eu Don Denis pela gra^a de Deus Rey de Portugal e do Algarue, enssenbra com a Reyna Dona Isabel mha molher e con o Inftante Dom Affonso nosso fìllio primeiro herdeiro, entendendo por seruico de Deus e meu e prol e onrra da mha terra d’auer obrigado uos micer Manuel Pecagno de Genoa e uossos suces-sores pera ficardes na mha terra por meu Almirante, pera seruirdes em este ofìcio mini e os meus sucessores que forem Rex en Portugal, dou e doo a uos pera todo sempre en Lisboa 0 meu logar — 254 — da Pedreira, per aquelle logar per u foy deuisado pera os Judeos, com cases e com terrenos liure e quite e eixento assi comoo eu ey. E sse hi alguns Christaos an casas ou terreno ou couas que as aiam seus donos, e que aiades uos hy aquelle dereito que eu en elas auya. E quanto he as caxas e o terreno que eu hy auya, que de mim tynham os Judeos, seer todo uosso e dos uossos su-cessores. E outrossi tenho por bem de uos dar em cada hum ano tres mil libras em dinheiros da moeda de Portugal, e que as aiades pelas sendas dos meus Regaengos de Freelas e d’Unhos e de Sacauem e de Camarati, e as tergas do ano comuen, assaber: a primeira tergi por primeiro dia de Janeiro que ora foy da Era de mil e trezentos e cincoenta cinque anos que ora anda; e a outra terga por primeiro dia de Mayo primeiro que uem; e a outra terga por primeiro dia de Setembro ; e assi em cada hum ano. E esto uos dou en ffeu ata que uos de alguna villa, ou logar pobrado, ou herdade tal a meu pagamento e uosso que ualham en renda as ditas tres mil libras. Per quanto he as casas e o terreno da Pedreira que uos eu dou, tenho por bem e mando que uos e uossos sucessores o possades dar e uender e fazer del e en el o que por bem tenerdes, corno de uossa propria herdade posisam. E uos micer Manuel deuedes auer o dito feu en todo tempo de uossa uida, e seruirdes por el a mim e aos meus sucessores que forem Res en Portugal, corno adeante he serito. E aa uossa morte deue o herdar o uosso filho mayor que ouuerdes liidimo e leigo que ffor, pera seruir mim e meus sucessores pela maneira e pelas condigòes que mi uos obrigastes. E assi deuem herdar o dito feu, per maneira de mayorgado, todolos que de uos per linha dereita descenderem, fìcando sempre no mayor filho liidimo e leigo dos que de uos descenderem per linha dereita, que for pera seruir por el corno dito he, e que fagam a menagem e o juramento que mi uos fazedes, e que guardem as outras cousas que mi uos prome-tedes affazer e a guardar no meu seruigo tan bem amim come aos meus sucessores que forom Res em Portugal. E eu sobre dito micer Manuel, por està mercee e por este feu que mi uos sobre dito senhor Rey dades pera mim e pera os meus sucessores, fico logo por vosso vassalo e ffago uos menagem, e juro — 255 — aos Santos Anangelhos, en que corporalmente ponho mhas maaòs, que uos siruha bem e lealmente nas vossas galees per mar, cada que uos comprir o meu semino e cada que uos quiserdes, pero que o meu corpo nom deue hir sobre mar em uosso serui^o menos que com tres gallees. E prometo per este juramento que fa<;o, que uos siruha contra todolos homens do mundo, de qualquer estado e de qualquer condigom que seiam, tambem Christaòs comè Mouros, e que garde e achege sempre o seruigo e a prol e a onrra vossa e do vosso senhorio per todolos logares que eu poder e souber, e que desuii uosso dano e uosso desseruiijo per todolos logares que poder e souber; e que uos de boom consselho cada que mho de-mandardes , o melhor que eu entender e souber ; e que guarde uossos segredos que mi diserdes, ou enuyardes dixer; e que uos seia en todalas cousas leal e yerdadeiro vassalo a uos e aos vossos sucessores que forem Res en Portugal. E esta menagem e este juramento deuem fazer a uos sobredito senhor Rey e a uossos sucessores que forem Res em Portugal todollos meus sucessores; que sse uos sobredito senhor Rey ou uossos sucessores, que depos uos ouuerem de regnar em Portugal, fordes per terra en alguna hoste per uossos corpos que eu e os meus successores que o ffeu herdarem, uaamos com uosco pera uos seruir en essa hoste, se uos nos mandardes ; e en outra guisa nom deuemos a hir seruir per terra. E sse per uentuira eu micer Manuel, ou meus sucessores que este feu herdarem, adoecermos ou ouuermos enbargo liidimo, tal que nom possamos seruir per nossos corpos, que seiamos nos escusados enton, e que nom percamos nada do noso por em. Outrossy eu micer Manuel e os meus sucessores que este feu herdarem deuemos senpre teer viinte homens de Genua sabedores de mar, taaes que seiam conuenhauiis pera alcaydes de galees e pera arrayzes, e que uos sabham bem seruir per mar nas uossas galees cada que uos quiserdes, e uos conprir seu serui^o; e deuemolos teer a nossa custa continuadamente en quanto os nom ouuerdes mester, que seiam prestes quando mester for pera uos seruirem nas uossas galees. Pero quando uos sobredito senhor Rey, ou uossos sucessores, nom ouuerdes mester serui^o dos ditos viinte homens, que eu micer Manuel e meus sucessores nos possamos seruir delles em nossas* merchamdias, e enuyalos a Frandes ou a Genua ou a algunas outras partes com elas. E sse per uentuira contecesse que enuiandoos nos assy a alguna parte, entanto comprisse a uos sobredito senhor Rey ou a uossos sucessores seruico deles, que nos logo enuyemos por elles, e que onde quer que seiam, que uenham logo pera uosso seruigo. E quando uos sobredito senhor Rey ou uossos sucessores ouuerdes mester dos ditos viinte homens, deuedelo fazer saber a mini e aos meus sucessores que os possamos teer prestes pera uosso seruico. E quando forem en uosso seruico, deuedeslhys dar ao que for por alcayde da galee doze libras e meya polo mes por soldada e por gouernho, e pan bizcoito e agua como derem aos outros ; e ao que ffor por arraiz da galee oyto libras polo mes por soldada e por gouernho, e pam bizcoito e agua como dito he. E sse contecesse que alguum dos ditos viinte homens fu-girem ou morrerem, que eu e meus sucessores seiamos teudos de mandar a nossa custa por outros homens sabedores de mar, que siruham uos sobredito senhor Rey e uossos sucessores en guisa que aiades sempre comprimento dos ditos viinte homens como dito he. E que pera esto aiamos espaco de Vili meses, pera enuyar por aqueles que ende minguarem e pera os trager aa- uossa terra. Pero se alguum dos ditos viinte homens adoecer ou enuelhecer en uosso seruigo, ou dos uossos sucessores, em guysa que nom possam seruir, que eu nem meus sucessores nom sseiamos teudos de mandar por outros en logar deles, en quanto esses homens forem uiuos e nom poderem seruir. E assy eu e os meus sucessores que este feu herdarem deuemos manteer pera sempre os. ditos viinte homens de Genua pera uosso seruico e dos uossos sucessores que forem Reys en Portugal. E eu sobredito Rey Don Denis assi o outorgo e prometo por mim e por meus sucessores a ffazer teer e aguardar as condigoes, e as outras cousas^que en està carta son conteudas e postas antre mim e uos e os uossos sucessores. E demays querendo fazer graga e merce a uos micer Manuel e a uossos sucessores, tenho por bem e mando que uos e os uossos sucessores que este feu herdarem aiades pera uos a quinta parte de todalas cousas que ganhardes e filhardes H per mar nas mhas galees, daquelo que tomardes aos emmiigos da — 257 — nossa fe 011 aos emmiigos da mha terra, pero que sse nom entenda que uos deuedes auer o quinto dos cascos de galees nem doutros nauyos, se os tomardes, nem das armas, nem dos aparelhos delas que Ihy tomardes, nem de mouro de merce se o tomardes, por que estas cousas son liuremente dos Reys. Pero quante mouro de mercee, se o eu ou meus sucessores quisermos tornar, deuemolo comprar pelo custo que he husado no meu senhoryo, que son cen libras de portugueeses; e do preco que por el dermos, auerdes uos a quinta parte. E quero e mando que uos micer Manuel e uossòs sucessores que o dito feu herdarem, aiades jurisdicom e poder sobre todolos homens ques con uosco forem nas mhas galees, tambem en ffrota come em armada , en todolos logares per u andardes per mar e nos portos da terra hu sayrdes fora. E mando que facam por uos, e uos seiam mandados come a sseu Almirante, e assi corno fariam polo meu corpo meesmo se hy fose; e que aqueles que uos nom forem obedientes, ou bem mandados, que Iho stra-nhedes nos corpos com direito e com j ustica, segundo o merecerem assi como o eu faria se hy ffosse. E outrossy mando que todolos que em ssas galees forem, seiam obedientes e mandados aos alcaides, que uos em elas poserdes, en todalas cousas come a sseus alcaides e conio he de costume; e esto se entenda do dia que ar-mardes galees ou nauios ata o prestumeiro dia que desarmardes. Outrossi tenho por beni que os meus scriuaìies, que fforem nas galees, que jurem a mini e aos meus sucessores que bem e di-rectamente escreuào em seus liuros as cousas que no mar gua-nhardes e as outras cousas que deuem screuer e de que deuem dar fe, em guisa que seiam aguar-dados a mini os meus dereitos e a cadahuum os seus. E sse per uentuira contecesse que uos micer Manuel, ou vossos sucessores que este feu herdassem, nom leisassem a ssa morte fillio baroni liidimo e leigo, que seia pera esto servir, ou hy nom ouuesse outro herdeiro baroni liidimo e leigo que de uos decenda per linha direita liidimamente nado, que entom o ffeu se torne aa Coròa do Reyno de Portugal sen comtenda nehuna; e por esto seer firme e nom uiir poys en duuida, mandey ende fazer duas cartas duum tenor, das quaes eu deuo teer hua e flos micer Manuel a outra ; e mandeyas seelar com meu seelo do Chumbo. Società Ligure. St. Patria. Voi. X\. 17 — 258 — E eu sobredito micer Manuel soescriuy com mha maào o meu nome em cadahuna delas. Dante en Sanctarem, primeiro dia de ffeureiro. El Rey o mandou. Domingos Annes a ffez. Era MCCCLV annos. Ego micer Manuel Pezagno. El Rey a uyo. X. Dichiarazione dell’ obbligo clic corre a Manuele Pessagno di mantenere venti genovesi a servigio del Portogallo. 1317, 5 febbraio. (Archivio e Libro citati, foglio ioy) Don Denis, pela graca de Deus Rey de Portugal e do Algarue. A quantos està carta virem fago saber corno antre as outras cousas que micer Manuel ha de fazer e manteer no meu seruico , ha de trager viinte homens de Genua sabedores de mar, que seiam conuenhauis pera alcaides de galees e pera arrayzes, que me sabham hy bem seruir, e em quanto os eu nom ouuer mester, que os mantenha el a ssa custa ; e quando er forem en meu seruico, que eu Ihis de soldadas e quitagones, segundo he con-teudo nas cartas que antre mim e el son feitas. E porque 0 dito micer Manuel diz que nom he certo se os ditos homens, por que el ia mandou querram ficar todos ou alguum deles na mha terra, pediu me que lhy desse, tempo pera enuyar por outros tamtos quantos menguassem dos viinte, e que 1 his fezesse eu a custa deles a primeira uez. E eu tenho por bem de lhy fazer sobre esto merce, em està guisa: que se os ditos viinte homens ou ou alguuns deles agora esia primeira uez que ueerem nom qui-serem ficar na mha terra, nem sse obrigar pera seruir, que 0 dito micer Manuel aia espaga de oyto meses pera enuyar por outros tantos qoantos minguarem dos viinte, e que eu lhys pague a despesa dessa uez primeira, e nom mays per aquele custo que ora custarem os ditos viinte homens por que el mandou a Genua por — 259 — tres mezes por que os mandou alugar; e pera esto aiam espaco estes homens pera dizer se querem ficar pera seruir ou nom do dia que sse compirem os tres meses, por que os ora alugarem ata quinze dias depoys; e se ata eses XV dias se calarem ou disserem que querem ficar, que des hy adeante nom sseia eu teudo de dar nada a outros, porque micer Manuel emuye quante per razom da custa da uynda deles ainda ; que sse esses depoys uaao mays se ante que seiam compridos os XV dias depois dos ditos tres meses, disserem que sse nom pagam de seruir corno dito he, entom deuo eu pagar a custa pera outros tantos viinte (sic) quantos minguarem dos viinte, por que micer Manuel deue enuyar e ssa uez primeira e nom mays. E delos ditos XV dias adeante deue o dito micer Manuel e seus sucessores a ffazer viir sempre aa ssa custa aqueles homens de Genua que minguarem dos ditos viinte que an de manteer no meu seruigo e dos meus sucessores que forem Reys en Portugal, come conteudo nas ditas cartas da aueenca que sson feitas antre mini e el. En testemuyo desto lhv mandei dar esta mha carta. Dante em Sanctarem, cinque dias de ffeuereiro. El Rey a mandou. Joham. Domingues a ffez. Era MCCCL e cinque ano. Steuam da Guarda. XI. Diploma del re Dionigi, che nomina Manuele Pessagno suo almirante maggiore. 1317, io febbraio. (Archivio e Libro citati, foglio 109) Don Denis, pela graca de deus Rey de Portugal e do Algarue. A quantos esta carta virem faco saber , que eu querendo fazer graca e mercee a micer Manuel genoes, vassalo, faco meu Almirante moor ; e mando a todolos meus vassalos cossairos, e a to-lodos outros alcaides de galees e arrayzes, e officiaaes que a este ufficio perteencem, que ftacam seu mandado, e lhy seiam obedientes e facam por el come por meu Almirante moor; e aqueles que 0 — 26o — assi fezerem fazer lhis ey por em bem e mercee ; e os que doutra guysa fezerem, lazerar lhe am os corpos e os aueres come daqueles passam mandado de Rey e de ssenhor, e que nom obdeeceni a sseu Almirante. En testemuyo desto mandey dar ao dito micer Manuel està mha carta. Dante en Sanctarem, dez dias de ffeuereiro. El Rey o mandou. Joào Domingues a ffez. Era M.CCC. cincoenta e cinque anos. Steuam da Guarda. XII. Diploma confermativo della carica d’almirante maggiore nella persona di Manuele Pessagno, con diritto di trasmissione a’ suoi discendenti per ordine di primogenitura. 1317, 23 febbraio. (Arch. cit. Libro III di Dionigi, fol. IO)) Don Denis pela graga de Deus Rey de Portugal e do Algarue. A quantos està carta virem foco saber, que eu querendo fazer graca e mercee a micer Manuel meu vassalo, facco meu Almirante moor. E depoys sa morte, mando que o seia 0 sseu filho moor que hy ficar que herdar o ffeu que eu dou ao dito micer Manuel; e assi os outros seus sucessores todos que 0 feu herdarem, se-gundo he conteudo nas cartas que son feitas antre mim e el; e que assi en corno ouuerem 0 fìeu, que assi aiam o almirantado per linha direta, pela maneira e condicoes que son conteudas nas ditas cartas. E mando a todolos meus vassalos cossayros e al-caides de galees, e arraizes e officiaaes que a este officio per-teecem, e a todolos outros homens de mar que com eles forem em ifrota ou em armada ou en outra cossaria de mar, que lhys seiam obedientes e mandados, e que fagam por eles corno por meu Almirante moor. E mando que possam tirar e poer nas galees alcaydes e arraizes e officiaaes que hy comprirem, corno virem que seera mays seruigo de Deus e meu e dos meus sucessores que forem Reys em Portugal, que aiam todolos poderyos que - 26i — os outros meus almirantes de direito e de costume ouuerom sempre nos homens da cossaria do mar. E aqueles que hy forem mandados e obedientes corno a sseu Almirante, eu lhys farei por em bem e mercee. E os que de outra guisa o ffezerem, lazerar Ilio am os corpos e os aueres, come daque'es que passam mandado de Rey e de Senhor, e que nom obedeecem a sseu Almirante. E mando a el que per aquele poder que de dereito e de costume deue auer em eles, que lhy lo estranile e Ilio uede segundo o deue ffazer de dereito e de costume; e que esto meesmo facam os outros seus sucessores que o feu herdarem e o almiran-tado, assi cornino he conteudo nas cartas que antre mim e o dito micer Manuel son feitas. E11 testemunyo desto mandey dar ao dito micer Manuel esta mha carta seelada com meu seelo do Chumbo. Dante en Sanctarem, viinte e tres dias de ffeuereiro. El Rey o mandou. Johan Domingues a ffez. Era M.CCC.LV anos. Steuam da Guarda. XIII. Il re Dionigi rinnova la disposizione contenuta nel diploma del i.° febbraio, che cioè debbano essere pagate al Pessagno tre mila lire annue. 1317, 7 marzo. (Arcb. cit. Libro cit., foi. cit.) Don Denis pela gra$a de Deus Rey de Portugal e do Algarue, a uos Affonso Peres meu Almuxerife das mhas- oueencas e aos meus scriuaaes de Lixboa, -saude. Vos sabedes corno uos eu mandey per mha carta que dessedes a micer Manuel meu Almirante tres mil libras em cadahuum ano aas tergas do ano, e que lhy comecassedes a dar por primeiro dia de Janeiro que ora foy mil libras, que era a primeira terca, e por primeiro dia de Maio que uem as outras mil libras, e por primeiro de Setembro as outras mil libras; e que assi o ffezessedes — 2Ó2 — ein cadahuum ano uos e todolos outros meus almoxerifes que depos uos hy ffossen. E pera os auer melhor paradas, man-demos (sic) que lhos fezessedes auer polas rendas dos meus re-gaengos de Freelas e de Unhos e de Sacauem e de Camarati, e que costrengessedes os rendeiros, ou aqueles que por mim ou-uessem de veer esses regaengos, que lhy pagassem em cadahuum ano essas tres mil libras. E agora micer Manuel enuyou me dizer que uos dissestes que lhy nom dariades nada per essa mha carta, porque nom dizia hy que lhas dessedes senom das rendas dos ditos regaengos, e que uos noni auyades hy de ueer esses regaengos. E semelha me que dizedes sen razon, ca lhy nom paraua en essas libras nos ditos regaengos se nom pera as auer per i melhor paradas, e que outrem aia de ueer essas rendas, sabedes uos que mandaua eu que lhas fezessedes dar de quem quer que as ouuesse de ueer, e que os costrengessedes que lhas dessem ca eu lhas receberia en conto de mays, que mha uoontade era ' que onde quer que as podessedes auer que lhas dessedes. Por que uos mando que lhy facades logo dar as ditas mil libras que ouuer d’auer por Janeiro, tam bem desas rendas d’esses regaengos come onde quer que as possades auer das mhas rendas de Lixboa, e que trabalhedes como lhy facades paga das outras onde quer que as possades auer aos tempos que son con-teudos em essa mha carta. E mando los outros meus almuxerifes que depos uos hy forem que assy o ffacam. E uos scriuaaes screuede em uossos liuros commo lhas pagar em e de quaes rendas, pera as receber eu en conto aos almuxerifes ou aos rendeiros, ou aa queles que por mim ouuerem de ueer os ditos regaengos a quaesquer que lhos pagarem unde al nom facades. E o dito micer Manuel tenha està carta. Dante en Sanctaren, VII dias de margo. El-Rey o mandou. Joham Domingues a ffez. Era M.CCC.L. e cinque anos. Steuam da Guarda. — 263 XIV. Carta di donazione del castello, e della villa d’Odimira e delle rendite di Algues, fatta a Manuele Pessagno dal re Dionigi. 1319, 24 settembre. . (Areh. cit. Lib. cit. foi. I2j). En nome de Deus, amen. Sabham quantos esta carta virem corno eu Don Denis, pela gra^a de Deus Rey de Portugal e do Algarue, e enssembra com a Reyna Dona Jsabel mha molher e con o Inffant Don Affonsso nosso fillio primeiro herdeiro, enten-dendo por seruico de Deus e meu, e prol e onrra da mha terra, d’ auer hobrigado vos micer Manuel Pecanho de Genoa meu Allmi-rante e meu vasallo e os vossos socessores pera ficardes na minha terra e seruirdes mim e os meu sucessores que forem Reys en Portugal no offizio do Almirantado ; tine por bem'de uos fazer meu Almirante, e vos ficastes entom por meu vassalo, e obrigastes uos por uos e por uossos sucessores a mim e aos meus suces-sore que tenessedes senpre viinte homens de Genoa sabedores do mar, pera nos seruirem per mar nas nossas galees quando coin-prisse; e que enquanto andassem em meu seruico ou dos meus sucessores, que lhys pagassemos nos sas soldadas e quitacoes; e quando nom andassem en nosso seruico, que uos e uossos sucessores os mantenessedes e uos seruissedes deles, assi corno mays compridamente he conteudo nos priuilegios que antre mim e uos forom feitos, en que conta per qual guisa uos e uossos sucessores, deuedes seruir mim e os meus sucessores com os ditos homens per mar, e outrossi per terra hu nos fossemos com nossos corpos ; e eu por estes seruicos a que me uos obrigastes, tine por bem de uos fazer doacom puramente das mhas casas e terreo da Pedreira hu morauam os Judeos en Lixboa; e demays demos em nome de ffeu que ouuessedes en cadahuum ano tres mil libras de portuguezes pelos meus regaengos de Freelas e de Hunhos, Sa-cauem e de Camarati, e que este feu e o officio do Almirantado herdassem aqueles uossos sucessores que de uos descendessem — 264 — que iossem baroes liidemos e. leigos, e taaes pera seruir mim e os meus sucessores corno dito he, assi corno sse co uteri mays com-pridamentc nos sobreditos priuilegios que antre mim e uos son feitos. Agora ueendo eu que este ordiahamento deste preito, que e fìrmado antre mira e uos, he perdurauel e dura sempre, querendo Deus em nos e em aqueles que de nos decenderem ; porem querendo eu catar maneira de maior firmanga, corno a este feito per-teece, tini por bem que este feu fosse posto en herdade ou em terra certa, que he mays comuenhauel pera seer dada en ffeu que os dereitos que uos eu de comedo assineey pelos sobreditos regaengos des i por que a mim compre que os ditos regaengos fìquem a mim eisentos que nom aiades uos nera uossos sucessores per eles as ditas tres mil libras, outrossi porque eu prometi a uos quando comigo ficastes que este feu que uolo desse en terra en alguna villa ou em alguum logar pobrado e boom tanto que o podessen fazer. Por todas estas razoes, assinaadamente querendo uos fazer maior graca e mercee por grandes seruicos que mi uos fezertes, en guisa que uos e os uossos sucessores que este feu herdarem aiades mateenga onrrada corno perteece a este officio do Almirantado ; tenho por bem de uos dar logo e outor-gar por jur de herdade o meu castello e a mha uila d’ Odimira com todos seus dereitos e rendas e perteengas, assi corno 0 eu ey e de dereito deuo auer, e com a justiga e com todo jur e jurisdicom e senhoryo reai que eu ey e de dereito deuo a auer, saluo o montado dos gaados do termho d’ Odimira, que deue seer meu e dos meus sucessores corno agora he. E as apelacoes do dito logar deuem uiir a uos e a uossos sucessores que o feu herdarem, quando fordes na mha terra ou aa quelles que uos lei-zardes en uosso logar; e'de uos e deles uiir a apelagom a mim e aos meus sucessores corno se husa e aguarda en todalas uilas e iogares do meu senhorio. E uos e uossos sucessores deuedes collier mim e os meus succesoros que forem Reys en Portugal no dito castello e uilla pagado e hyrado com poucos e com rauytos cada que nos comprir. E outrossi deuedes d’el ffazer guerra e tregoa e paz per meu mandado e dos meus sucesores. E outrossi, — 265 — sse hy forem achados ueeiros de metaaes, seerem meus e dos meus sucessores. E nom deuedes hy colher nem deffender os meus emmiigos, nem nos emmiigos da mha terra o ssabemdas. E tanto que o souberdes nom nos teerdes hy mays. E outrossi se hy aportarem per mar naues ou barcas com cousas que tra-gam de Franga ou d’ Alemmana ou d’ outras partes, que a dizima reai seia ende minha e dos meus sucessores. E uos deuedes a auer a dizima do pescado que hy portar, e todolos outros dereitos que noni tangem aa dizima reai. Outrossi uos dou e outorgo pos jur d’herdade o meu regaengo de Alguez da par de Lizboa, corno parte pela agua d’ Alcantara e corno parte coni outro meu regaengo d’Ueiras pelo rio de Ninha, e corno parte com nas her-dades que eu dei d’ esse meu regaengo d’ Alguez ao meu moe-steiro de ssam Denis d’Odiuelhas, e corno parte com outros he-reos d’aredor, coni que de direito deue partir, assi corno ora eu ei esse regaengo d’ Alguez e de direito deuo a auer, e com o senhorio e iurisdicom dos homens que moram e morarem en esse regaengo; e que possades hy poner juiz e vigairo de uossa maao, assi corno ora hy anda, e as apelacoes d’ esses juiz e ui-gairo deuem hyr primeiramente a uos e a uossos sucessores, e de uos e deles uiir a mim e a meus sucessores corno dito he; e que aiades todolos direitos e sendas que eu ey e de dereito deuo a auer en esse regaengo, saluo huum almargem en Alguez que e meu stremado onde ei prado pera os meus caualos, que nom uay en esta donacom, e que deue ficar a mim e a meus sucessores pera nossos caualos. E uos nem uossos sucessores nom deedes uender nem dar nem em nemhuna maneira alliyar os ditos castello e villa e regaengo, nem parte deles, mais ficarem sempre entregamente a uos e a uossos sucessores que o feu herdarem, pera seruir por elles mim e os meus socessores pelas maneiras e condicoes que sson con-teudas nos ditos priuilegios, que o auiades de fazer pelas ditas tres mil libras; pero que tenho por boni por que este regaengo d’ Alguez pode comprir a mim ou a meus sucessores, que sse eu ou meus sucessores dermos a uos alguna villa ou logar pobrado e boom, a praximento nosso e uosso ou dos nossos sucessores, — 266 — en cambilo por el, que seia aguisado que uos tomedes a canbho por el, pelas condigoes sobreditas per que uos dou o dito rega-nego e leixardes a nos o dito regaengo. E sse uos ou uossos sucessores en este regaengo comprardes algunas herdades d’aqueles que as hy am foreiras, e hy fezerdes alguna benffeitoria, que seiades teudo de leizar a mim ou a meus sucessores todo aquelo que hy comprardes ou ganhardes, com a benffeitoria que hy fezerdes sesse o regaengo, e nos tornar per canbho corno dito he, pagando-uos nos ante o que uos custarem e a benffeitoria que hy fezerdes. E quero e mando que os sobreditos priuilegios que forom feitos antre mim e uos quando loguo comigo ficastes, que ualham e tenham e estem em sa forca pera sempre antre nos e nossos sucessores, saluo en as ditas tres mil libras que nom deuedes auer pelos ditos regaengos de Flreelas e d’Unhos e de Sacauem e de Camarati, nem uolas deuo eu nem meus sucessores a dar, pois que uos eu dou os sobreditos logares d’Odemira e d’Aliez, que ualem- tanto e mays que eles; por que prougue a mim de uos fazer hy mayor graca corno dito he. E sse per uentuira contecesse que uos micer Manuel, ou uossos sucessores que este ffeu herdarem, nom leizassem a ssa morte filho barom liidimo e leigo que seia pera em esto seruir, ou hy nom ouuesse outro herdeiro barom liidimo e leigo que de uos decenda liidimamente per dereita linha, que entom o dito feu se torne aa Corda do Reyno de Portugal sen contenda nemhuna. E por que depoys alguuns poderian poer contenda en huna pa-laura que he conteuda nos priuilegios que ante forom feitos, e en estes outrossy, hu diz que se hy ficar herdeiro barom liidimo e leigo que seia tal pera seruir en este officio, que este herde o ffeu, e sse hy tal nom ficar que sse torne o ffeu aa Corda do Reino; e se alguuns per soteleza de vogaria queriam dizer que nom era pera seruir, o que ficasse menyno sen reuora e que nom deuya an o ffeu poijs nom podia seruir, e eu pera tolher està duueda declaro o en està guisa, que ali hu diz que seia tal pera seruir, que sse entenda que seia saano de seu corpo e de sseus membros e per mingua de hydade nom perder nada de seu direito — 267 — nem leize por em d’ herdar o ffeu ou el ou o sseu totor darem outro que seia conuenhauil que siruha, por el quando a mim ou a meus sucessores cunprise seu seruico. E sse el ou seu totor nom poder auer tal que por el siruha, que eu ou meus sucessores catemos alguum caualeiro conuenhauil pera seruir en logar do que ficar sen reuora quando a nos comprir seu seruico, e pague lhy o totor pola hyda que fezer en nosso seruigo corno lor aguisado. E esto se faca quando a nos comprir seu seruico en quanto o menyno nom for de reuora pera seruir per si. E quando o mayor fillio fosse tolheito do corpo ou dos membros, que nom fosse pera seruir, este officio do Almirantado tornesse o ffeu ao outro seu irmaano depoz el, se o oouer, ou a hjo ou a ssobrinho que seia saano, pera seruir corno dito he, e que seie descendente de uos micer Manuel e 0 mays chegado a uos per linha dereita, descendendo de uos liidimamente. Eu sobredito micer Manuel conhecendo a uos sobredito senhor Rey senhoryo e uassalagem que uos ei feita, e muitas mercees que de uos receby e recebo, polas quaes uos de nosso senhor Deus boom galardom e guise a mim sempre que nolo possa seruir, outorgo e prometo por mim e por meus sucessores que este feu herdarem a comprir e aguardar todas estas cousas de suso ditas e cadahuna delas, que nunca uenha contra elas; e conhosco que assi passou todo esto antre uos sobredito senhor Rey e mim e corno en esta carta deste priuilegio he conteudo e assi ficon firme antre nos. E eu sobredito Rey Don Denis assi 0 prometo aguardar por mim e por meus sucessores, e que nom uenha contra esto. E os meus sucessores que o assi aguardarem e fezerem aguardar, nom lhy metendo hy escatima nem pontaria nem outro enbargo, a beencom de Deus e a minha seia sempre com eles. E os que en outra maneira fezeren nom na aiam, nem lhys seia outorgada. E pera esto seer firme e estauel pera senpre, e nom uiir poys en duuyda, mandey ende fazer duas cartas d’ huum teor, e seelar do meu seelo do Chunbo; e das quaes eu e uos micer Manuel deuemos teer unhas. Eu micer Manuel soescriui en cada huna delas 0 meu nome com mha maao. — 268 — Dante ui Bentfica, a par de Lizboa, XXIII1 dias de setenbro. El Rey o mandou.......a fez. Era M.CCC.L.VII anos. XV. II re Dionigi, a petizione di Manuele Pessagno, conferma i «fueros», costumi ed usi di Odimira. 1521, 22 febbraio. (Arch. cil. Lib. cil. fot. 134) Dom Denis pela graga de Deus Rey de Portugal e do Algarue. A quantos està carta uirem fago saber corno eu ouuesse dado 0 meu castello e a villa de Dimira a micer Manuel meu Almirante e a seus sucessores, con sseus termhos e perteencas, e com 0 sseu senhoryo dos homens que moram em esse logar ou morarem de aqui adeante, per raxom do offizio do Almirantado em que me eles an de seruir. Agora 0 dito Almirante me disse que a el prazia que os boons fforos e costumes e husos quo 0 concelho d’ Odimira ouuerom no tempo d’ el Rey Dom Affonso meu padre (1) e no meu, que lhy fossem aguardados, e pediu me por elles mercees que lhy confirmasse. E eu sen preiuizo e sen dano do meu Almirante e dos seus sucessores, e sen embargo da doagom e juri-digom que lheu dei e esse logar, querendo fazer graga ao dito concelho d’Odemira, outorgo e conffirmo a eles seus foros e husos e costumes boons que ouuerom no tempo del Rey Dom Affonso meu padre e no meu. En tcstemonyo desto mandei lhys dar està mha carta seelada do meu seelo do Chunbo. Dante en Sanctaren, XXII dias dj ffeuereiro. El Rey o mandou. Joham Martinez a ffez. Era M.CCC.L.IX anos. Steuam da Guarda. (1) Alfonso III. 269 — XVI. Privilegio di giurisdizione, in materia di reati, conceduto dal re Dionigi a Manuele Pessagno. 1321, 14 aprile. (Arch. cit. Libro I di Don Fernando, foi. 19) Dom Denis pella gra^a de Deus Rey de Portugal e do Algarue. A quantos esta carta virem fago saber corno fosse duuida antre micer Manuel meu almirante e Fernam Rodrigues meu alcayde de Lizboa sobre algunas cousas que lhe o dito alcayde tomaua a jurdigom do Almirantado; e sobre agrauamentos que dizia que os seus homens e os alcaydes e arraezes e petintaes que som da soa jurdigom recebiam dos homens do alcayde ; sobre outras cousas em que dezia o alcayde que o almirante e os seus pasauam o mais do que deuiam contra o seu offitio. E pera eu sobr’ esto determinar fiz viir perante mim o dito Almirante e o dito alcayde, e ouui o que cada huum delles dizia, e achey que algunas cousas que hi recreciam mais que deuiam da huna parte e da outra que nom fora a culpa de nehuns delles, mais que os seus homens delles mouerom alguas tencoones e palauras de que a elles nom prougue, e que elles que o partiram corno deuiam. E por nom recrecerem depois antre elles com contenda nem antre os seus homens sobre as cousas que perteencerem aos of-fitios de cadahuum delles; tine por bem de mandar a cadahuum delles corno se mantinesem e corno o fizesem manteer aos que steuesem em seus logos em aquellas cousas sobre que era duuida antre elles. Primeiramente tenho por bem e mando que os priuillegios e cartas q*e o Almirante e os alcaydes e arraezes e petintaaes ou-uerom dos Reis onde eu uenho, e de mim, que lhe seiam aguar-dados corno milhor forem em tempo dos outros Reis onde cu venho e no meu, e dos outros almirantes e alcaydes que em Lizboa ouue. E porque os ditos alcaides das gallees, arraezes e pitintaaes ham cartas e priuillegios que respondam e fagam direito perante o seu almirante c perante o seu alcaide do mar, suluo em « — 270 — feito crime que deuem seer da jurdicom do alcaide e dos alunziis; e ho dito Almirante dizia que os prendia por qual cousa quer sem mericimento, e que por cousas ligeiras em que nom auia morte, nem laydamento, nem perdimento de membro, os faziam iazer em perlongada prisom, e que os nom queria soltar ataa que se stragauam do que auiam; e eu tenho por bem e mando que nos feitos que nom forem de crime, seiam da jurdicam do seu almirante, corno he contheudo em essas cartas e priuilegios, que por estas nom seiam presos nem ouuidos senam per seu almirante ou per o seu alcayde do mar. E por querellas de morte, ou de alaydamento, ou de perdimento de membro, ou por chagas, ou por causa que me-regam justica em seus corpos, seiam presos e ouuidos e julgados pello alcayde e aluaziis. E esto nom se fa O Outrossy o alcaide noni filhe por este entendimento, e por nom auer de entender em nos homens do Almirante, que noni aia por esto dentender nos outros da terra que lhes mal fizerem ; e mais mando a el que aquelles que souber que lhe fazem mal ou desa-guisado fezerom, que Ilio estranhem nos corpos e nos aueres com justica e coni direito segundo o feito for. E em testemunho‘desto mandey dar esta carta ao Almirante, e ao alcaide outra. — 272 — Dante em Sanctarem, XIIII dias d’abril. El Lley o mandou. Joliam Martinez a fez. Era de mil CCCL e none anos. XVII. Aumento di mille lire nell’ annuo assegno conceduto al Manuele Pessagno. 1322, 13 giugno. (Arci), cìt. Lib. cit. fol. 142) Dom Deniz, pela graca de Deus Rey de Portugal e do Algarue. A quantos està carta virem faco saber corno entendendo eu por seruico de Deus e meu e prol de mha terra, tomey micer Manuel Pecanho por meu Almirante, e figi o obrigar que me seruisse no offizio do Almirantado, e pugi lhij por feu tres mil libras em no castello e villa d’ Odemira e em no regeengo d’Algues, de Cabo de Lizboa, de que lhy eu fiz doagom em nome do dito feu ; e el fficou e obrigou si e seus sossessores, que o ffeu herdarem, pera seruir mim e os meus suscessores, que fforem Reys em Portugal, em no dito offizio do Almirantado polo dito feu, pelas maneiras e con-dicoes que son conteudas nos priuilegios e cartas que antre mim e el forom feitas. E depoyz desto, ueendo eu como o dito Almirante me seruia bem e lealmente com muytas cousas e con grandes custas do sseu auer que despendeu per algunas uezes no meu ser-uigo; tini por bem de lhy poer que tenesse de min em cada huum ano duas mil libras en panos, pela maneira que son con-tadas e aualiadas os panos dos meus uassalos. Outrossi ssabendo eu a ffazenda do dito Almirante e as custas que el fezera e fazia no meu seruigo, per razom do dito offizio do Almirantado, e que o nom podia comprir per aquelo que de mim tynha; e querendo eu que el mantenesse este offizio onrradamente e corno compria; e ueendo eu que auendo el per que manteer este offizio con onrra e conio deuya, e que todo sse tornaria em meu seruico e dos meus- suscessores ; por todas estas razones, e assinaadamente querendo fazer graca e mercee ao dito Almirante por muytos ser- — 273 — uigos que mi el fez; ponho lhy agora mil libras em dinheiros, que as aia de mim e dos meus suscessores, pera sempre em cada huum ano. E tenho por bem que estas mil libras que lhy agora eu ponho, e as duas mil em panos que lhy eu pugi tenp ha, que as aia em cada huum ano pera senpre, sen contas e seu chancelaria, por feu e em nome de ffeu el e os seus suscessores que o feu herdarem, pelas maneiras e condicoes que soom conteudas nos priuilegios que antre mim e el son feitos, nom lhis. minguando nem lhis to-lhendo por em nemhuna cousa das tres mil libras qué lhy eu pugi de comeco por feu em Odemira e no dito regeengo d’Alguez, corno dito he, ma ys tenho por bem que todo aiam compridamente. E este acrecentamento que lhy agora eu faco ao dito feu , das ditas mil libras em dinheiros e das duas mil en panos, tenho por bem que seiam junto com no feu das ditas tres mil libras, e que sseia d’aquela condicom e per aquelas maneiras que o he o das tres mil libras, como he conteudo nos ditos priuilegios. Outrossi querendo (sic) e tenho por bem qua estas mil libras em dinheiros, que lhy ora acrecento ao dito feu, que lhas ponha em herdade ou em casas ou en outras possissoens, que as ualham em renda en cada huum ano, e que as tenha o dito Almirante de ssa maao tanto que o eu poder fazer a mha uoontade e aa ssua. Por esto seer certo e nom uiir em duuida, dei lhy ende esta mha carta seelada do meu seelo do Chunbo. Dante em Lisboa, XIII dias de Juynho. El Rey o mandou. Joham Domingues de Portei a ffez. Era M.CCC.LX anos. Steuam da Guarda. XVIII. Il re Edoardo li d’Inghilterra notifica ad Alfonso IV di Portogallo di avere accolti Manuele Pessagno e Roderico di Domenico. 1526, 15 aprile. (Rymer, Foedera eie., voi. II, far. I, pag. 62;) Magnifico principi domino Alfonso, Dei gratia Portugalie et Algarbe regi illustri, Edwardus eadem gratia rex Anglie etc. Società Ligure St. Patria. Voi. XV. 18 — 274 — Accedentes ad nos discretos viros Manuelem de Pessaigno et magistrum Rodericum Dominici priorem de Tongia, nuncios Vestre Magnificentie, et nobis vestras litteras presentantes, letanter recepimus; et que in dictis literis continebantur, que etiam ipsi nuncii, iuxta credentiam, eis in eisdem literis traditam, prudenter et eleganter exposuerunt, de tractando super federe coniugali inter vestram et nostram soboles, benigne audivimus, et pleno concepimus intellectu etc. (i). Teste Rege, apud Kenilworth, XV die aprilis (1326). XIX. # Lettera simile dello stesso Edoardo alla regina Beatrice di Portogallo. 1326, 15 aprile. (Rymer, voi. e par. cit., pag. 626) XX. Lettere di salvocondotto, concedute da Edoardo II a favore dei suddetti oratori. 1326, 15 aprile. (Rymer, voipar. e pag. cit.) Rex vicecomitibus, ministris et omnibus ballivis et fidelibus suis ad quos etc., salutem. Cum dilecti nobis Manuel de Pezano, illustris Regis Portugalie admirallus, et magister Rodericus Dominici, prior de Tongia, nuncii prefati Regis (qui ad nos in Angliam, nuper, pro quibusdam negotiis, venerunt), sint de nostra licentia ad propria reversuri, suscepimus ipsos in protectionem et defensionem nostram, ac sal vum et securum conductum nostrum etc. Teste Rege, apud Kenilworth, XXV die aprilis (1326). Per ipsum Regem. (1) 11 progetto di matrimonio^cui nella presente lettera si accenna, non si effettuò; perchè il primogenito di Edoardo sposò invece Filippina contessa di Hainaut. 2?5 — XXL Diploma di Alfonso IV, confermativo di quello del re Dionigi in data del i.° febbraio 1317. 1327, 21 aprile. (Arch. cit. Libro I di Don Pedro J, fol. 7) Em nome de Deus, amen. — Dom Afonso pelli graga de Deus Rey de Portugal e do Algarue. A quantos està carta uirem faco saber que eu fiz catar na minha Chanccllaria os meus Iiuros dos registos, e achey em huum delles huum trelado de huna carta re-gistrada, que el Rey Dom Denis meu padre, a que Deus perdoe, dera a micer Manuel Pecanho que fois seu almirante; da qual carta o theor de uerbo a uerbo tal he. (Segue il documento IX). E ora o dito micer Manuel Pecanho almirante ueo a mim sobredito Rey Dom Afonso, e pedio me por mercee que quisese ueer e esguardar muito seruico que el sempre fizera ao dito meu padre e a mim outroussy, e muito seruico e prol e honrra que sempre per el viera aos Reis de Portugal e do Algarue em todo aquello que el pudera tazer e juntar, e que eu me quisese del seruir e lhe quisese fazer mercee em lhe outorgar e confirmar a dita carta que lhe el Rey meu padre dera, e que seruiria mim e minha terra em todo aquello que elte pudese, assy corno auia jurado e pormetido a el Rey meu padre, e corno fizera ata aqui. E eu sobredito Rey Dom Afonso, veendo e consirando que todas as sobreditas cousas que el a mim dizia eram uerdade; e porque som certo que sempre querra o meu seruico diretamente, e toda prol e honrra da minha terra; e querendo lhe fazer graca e mercee a el e a todos seus sucesores que o dito feu herdarem; outorgo lhe e confirmo lhe pera todo sempre por mim e por todos meus sucesores a dita carta del Rey meu padre; e tenho por bem, e mando que a dita carta del Rey meu padre seia comprida e guardada ein todo pera todo sempre ao dito micer Manuel almirante, e a todos seus sucesores que dito feu herdarem, assy corno na dita carta del Rey — 276 — meu padre he contheudo. E em testemunho desto, dey ao dito micer Manuel almirante e aos ditos seus sucesores està minha carta seelada do meu seelo do Chumho. Dante em Lizboa, XXI dias d' Abril. El Rey o mandou. Martini Steues a fez. Era de mil CCC e sasenta e cinquo anos. El Rey a uio. XXII. Lettera commendatizia di Edoardo III d’Inghilterra ad Alfonso IV di Portogallo, in favore di Manuele Pessagno e dei figli di lui. 1332, 24 luglio. (Rivicr, voi. II, par. II, pag. 841) Magnifico principi domino Alphonso, Dei gratia Portugallie et Al-garbe regi illustri, amico suo carissimo, Edwardus eiusdem gratia etc., salutem , et ad vota successus semper prosperos et felices. Referente dilecto et fideli milite et conciliario nostro , Antonio de Pessaigne, didicimus quod Excellentia Vestra dilectum nobis Manue-lem de Pessaigne, adniirallum vestrum, fratrem eiusdem Antonii, favoribus et gratiis multipliciter honoravit et habuit, et adhuc habet, nostri contemplatione, regiis affectibus cariorem; de quo Magnifi-centie Vestre grates et gratias referimus multiformes: votive supplicantes quatenus eundem Manuelem , et Karolum filium suum, ceterosque liberos suos habere velitis amodo, nostri intuitu, specialiter recommendatos, eosque in oportunitatibus jubere in suis agendis de regia benivolentia favorabilius pertractari. Data apud Wodestoke, XXIIII die iulii (1332). XXIIL Altra dello stesso Re al consigliere Lupo de Ferrariis. 1332, 25 luglio. (Rytner, voi. II, par. II, pag. 841) Rex nobili viro Lupo de Ferariis, militi, illustris Regis Portugallie et Algarbe conciliario, salutem et sincere dilectionis affectum. — 277 — Referente dilecto et fideli milite et conciliarlo nostro Antonio de Pessaigne , didicimus quod dilectum nobis Manuelem de Pessaigne, admirallum prefati Regis, fratrem eiusdem Antonii, habuistis et habetis specialiter recommendatum, eique astitistis et assistitis favoribus et auxiliis oportunis; de quo vobis grates et gratias referimus speciales: amicitiam vestram exorantes quatenus precon-ceptam benivolentiam prosperis successibus continuantes, ipsumque Manuelem ac Karolum filium suum, ceterosque liberos suos, pre-fato domino Regi recommendare velitis, ipsorumque negotia penes ipsum Regem effectualiter promovere nostris precibus et amore. Datum apud Wodestoke, XXIIII die iulii (1332). XXIV. Il re Alfonso IV dona a Manuele Pessagno l’amministrazione di alcuni beni ecclesiastici. 1342, 17 aprile (£>’Avenae, Notice des dccouvcrles etc., pag. 68; Expedit. de Bethencourt, pag. 20) XXV. Don Pietro I conferma a Lanzarotto Pessagno i privilegi conceduti dai re Dionigi ed Alfonso IV. 1356, 20 settembre. » (Arch. cit. Libro I di Don Pietro I, fol. 7) In nomine Domini, amen.— Dom Pedro pella graga de Deus Rey de Portugal ei do Algarue. A quantos està carta uirem faco saber que Langarote Peganho meu Almirante, filho de Manuel Peganho, irmaao de Bertolameu Peganho almirantes que forom del Rey meu padre, a que Deus perdoe, me disse em corno quando o dito Ber-tolam’eu Pecanho seu irmaao se finara deste mundo, que 0 dito Rey meu padre o fezera seu Almirante, porque elle era filho do dito Manuel Pecanho lidimo e major; e leygo que entom hi ouuese secundo era conteudo em huna carta de priuilegio que tijna del Rey Dom Denis meu auoo, a que Deus perdoe, confirmata per el Rey — 278 — meu padre; e pedio me por mercee, que vise as ditas cartas e priuilegio que assy os ditos Reis derom ao dito seu padre e ir-maao, e a el outrossy e aos seus sucessores, que lhas quisese con-fìrmar e aguardar corno em ellas e conteudo; e que elle preste era pera me fazer menagem e juramento peila guisa que nas ditas cartas e pruilegio era contheudo, e outrossy pella guisa que a ja auia feita ao dito meu padre, e pera comprir e guardar todas as cousas que hi som conteudas; as quaaes cartas e priuilegio me logo mostrou, do qual 0 theor de uerbo a uerbo tal he. (Seguono i documenti IX e XXI). E eu ueendo 0 que me pedia 0 dito Lancarote Peganho, uista e examinada a dita carta e priuilegio, e querendo lhe fazer graca e mercee, consirando seruicos que a mim os sobreditos seu padre e seu irmaao fizerom, e corno el he tal que me podera fazer seruico e gram prol e honrra da minha terra, e por meu naturai que he; tenho por bem de lhe confirmar e outorgar e guardar os priuilegios e gracas liberdades que som contheudas na dita carta e priuilegio. O qual sobredito Lancarote Pecanho me fez logo menagem e juramento que elle me sirua bem e lealmente, pella guisa que na sobredita carta e priuilegio he contheudo; e outrossy comprira e guardara todallas clausullas na dita carta e priuilegio contheudas. Porque uos mando que aiades 0 dito Lancarote Pecanho por meu Almirante nos meus Reynos, e fagades por el corno por meu Almirante e lhe ajudedes a fazer direito e justica naquello que tange a seu officio do Almirantado unde al nom facades. E em teste-munho desto, mandey dar ao dito Lancarote Pecanho esta minha carta seelada do meu seelo do Chumbo. Dante em Tentugal, XX dias de Setembro. El Rey o mandou. Bertolameu Martiz a fez. Era de mil CCC e nouenta e quatro anos. — 279 — XXVI. Notizia di due carte reali confermative delle rendite di Odimira e d’Alguez, in favore di Lanzarotto Pessagno. >357. 8 giugno. (Arch. cit. Libro II di Don Pedro I, fol. i) Carta por que o dito Senhor (i) mandou entregar a Langarote Peganha seu Almirante as rendas que el ha na uilla d’Odemira, em prego de III mil libras etc. Em Lizboa Vili dias de Junho de mil III e nouenta cinquo anos. Outra tal carta, pera auer as rendas de Lagos. XXVII. Carta di nomina di Lanzarotto Pessagno ad almirante maggiore. 1357, 26 giugno. {Arch. cit. Lib. cit. fol. 2) Dom Pedro pella graga de Deus Rey de Portugal e do Algarue. A quantos està carta uirem fago saber que eu querendo fazer graga e mercee a Langarote Peganha meu uasallo, fago 0 meu Almirante mayor, assy corno he contheudo em huum priuflegio del Rqy Dom Denis meu auoo e confirmado per el Rey meu padre, a que Deus perdoe, que o el per direito deue a seer, o qual priuilegio eu a el confirmey. E mando a todolos meus uasallos cossairos, e a todollos alcaides e arrayxes, e petintaaes e officiaaes que a este officio per-teencem, que fagam seu mandado e lhe seiam obedientes, e fagam por el conio por meu Almirante moor. E el meta alcaides do mar em cada huum lugar; e outrossy alcaides de galees e arrayxes e pitintaaes, aquelles que elle uir e entender que som pera meu ser-uigo outrossy os possa tirar ; e aquelles que o assy fizerem fareilhes (1) Il re Pietro 1. eu por em bem e mercee. E os que doutra guisa fizerem, lazerar lhe am os corpos e os aueres, corno aaquelles que pasam mandado de Rey e de senhor nom obedecendo a seu Almirante. E mando a todollos homens do mar do meu senhorio, que quando el por elles mandar pera meu seruico, que uenham a seu mandado e facam por el assy corno fariam por mim, se eu por elles mandase; e que lhe seiam obedientes e bem mandados, so pena de treicom -, e nom seia nehuum que se por esto amoue da uilla hu morar nem saya por em da minha terra pera despois hi tornar. E mando a todallas Justigas dos meus Reynos, que aquele que contra este meu mandado for, que lhe filhem e corpo e o auer, e o tenham todo pera meu mandado, e mo enuiem logo dizer. E em testemunho desto, lhe mandey dar esta minha carta. Dante em Lizboa, XXVI dias de Junho. El Rey ho mandou. Goncalo Vasques a fez. Era de mil CCC.LXV anos. XXVIII. Il re Don Pietro conferma a Lanzerotto Pessagno il diploma del 20 settembre 13 56 1357, 1.0 luglio. [Arch. cit. Libro I di Don Pedro I,fol. 7) In nomine Domini amen. Don Pedro etc. A quantos esta carta uirem faco saber que Lancarote Peghano meu Almirante etc. (come nel documento XXV). E eu ueendo 0 que me pedia 0 dito Langirote Pecanho, uista e examinada a dita carta e priuilegio, e querendo lhe fazer graca e mercee, consirando seruicos que os ditos seu padre e seu irmaao fizerom aos ditos Reis meu auo e meu padre, e corno el he tal que me podera fazer seruico e gram prol e honrra da minha terra, e por meu naturai que he, e outrossy corno lhe ja el Rey meu padre, a que Deu perdoe, auia feita mercee do dito Almirantado; tenho por bem de lhe confirmar e guardar os priuilegios gragas e liberdades que som contheudas nas ditas cartas e priuilegio. O qual sobredito Lancarote Pegmho me fez logo menagem e juramento, que el me sirua bem e lealmente pella guisa que nas ditas cartas e priuilegio era contheudo ; outrossy compriria e guardarla todallas clausullas nas ditas cartas e priuilegio contheudas. E em testemunho desto, mandey dar està minha carta ao dito Langarote Peganho, seelada do rneu seelo do Chumbo. Dante em Lizboa, primeiro dia de Julho. El Rey a mandou. Goncalo Vaasque a fez. Era de mil CCC noventa e cinquo anos. XXIX. Donazione di un diritto d’ ancoraggio fatta da Pietro I a favore di Lanzarotto Pessagno. 1361, 11 marzo. (Are. cil. Libro I di Don Pedro 1, fol. /0) Dom Pedro pella graga de Deus Rey de Portugal e do Algarue. A quantos està carta uirem fago saber que eu, querendo fazer graga e mercee a L’angarote Peganha meu Almirante, tenho por bem e mando que elle leue a ancoragem dos nauios que portarem nos portos e lugares do meu senhorio e langanem encora fora, per està guisa: que elle leue de todollos nauios que assy en-corarem de ceni tonees ataa cinquoenta huna dobra douro: e de cinquoenta tonees ataa trinta, leue delles huna meya dobra. E esto leue huna uez no ano, e nom mais. E em testemunho desto, lhe mandey dar està minha carta. Dante em Beia, XI dias de Margo. El Rey o mandou per Lourengo Steuez seu uasallo. Frauste Annes a fez. Era de mil CCC e LXXXXIX anos. XXX. Lettera del doge Gabriele Adorno e degli Anziani di Genova al re Pietro I, in favore di Lanzarotto Pessagno che quegli avea privato dell' Almirantado e d’ ogni privilegio e condannato a morte (i). 1361-1567 (Vcd. Documenti XXXIV e XXXV) (1) Il dogato di’Gabriele Adorno cominciò nel 1361, cd il regno di Pietro I finì nel 1567. Fra questi due punti estremi deve dunque porsi la data della presente lettera. / — 282 — XXXI. Il re Don Fernando riconosce e rinnova in favore di Lanzarotto Pessagno i privilegi conceduti a Manuele da Don Dionigi il 23 febbraio 1317 e aprile 1321. 1367, 6 novembre. (Arch% cit. Libro I di Don Fernando, foi. 19) Dom Fernando pella graca de Deus Rey de Portugal e do Al-garue a todallas justigas dos meus regnos que esta carta uirdes saude. Sabede que Lancarote Peganha meu Almirante me dise que eu lhe dey minha carta de graga, em que lhe fiz mercee e mandey e outorguey que ouuese elle e podese auer e osar da jur-dicam nos alcaydes e arrayxes e pintitaaes das minhas gallees, e sobre esses alcaydes arraezes e pitintaaes e homens do mar, ques fo dada e outorgada per el Rey Dom Denis meu bisauoo a esse Almirante e a seos sucesores, assy e per aquella maneyra e condigoes que he contheudo em cartas do dito senhor Rey Dom Denis, segundo mais compridamente na dita minha cartha he contheudo que em esta razam de mim tem. E diz que ora uos, minhas Justicas, lhe toruades e embargades a dita jurdigam e lhe ides contra ella, porque dixedes quem em essa minha carta nom som contheudas as cartas do dito meu bisauoo , nem se mostra nem he declarada a jurdicam que lhe ora per mim be dada e outorgada, e mandado que lhe em esta razam seia aguardada E pedio me por mercee que lhe mandase dar 0 trellado das ditas cartas do dito Rey Dom Denis meu bisauoo, pera as elle mostrar, e lhes per nos Justigas seerem guardadas, e lhe nom hirdes contra as ditas cartas e jurdigam, e sabardes corno e per que guisa lha deuedes guardar. E eu, veendo 0 que me pedia, e porque as ditas cartas do dito meu bisauoo eram scriptas e registradas na minha chancel-laria, feze as perante mim viir; e querendo lhe fazer graca e mercee, lha mandey dellas dar 0 trellado. Das quaes cartas o theor tal he. (Seguono i documenti XII e XVI). — 283 — Porque uos mando que ueiades as ditas cartas, e compride as, e guardade as , e fazede as comprir e guardar em todo corno e pella guisa que aqui he contheudo, e nom lhe vaades contra ellas em parte nem em todo , senam seede certos que a uos me tor-narey eu por em, e vollo stranharey nos corpos e aueres graue-mente, como aaquelles que vaao contra carta e mandado de seu Rey e senhor. E em testemunho desto mandey dar està carta ao dito Almirante. Dante em Lizboa, VI dias de Nouembro. El Rey o mandou per Afomso Deminguez e Fernam Martiz seus uasallos. Domingo Fernandes a fez. Era de mil CCC e V anos. XXXII. Diploma del re Don Giovanni II, portante conferma di concessioni a favore di Manuele II Pessagno. 1484, io giugno. (Arch. cit. Libro II dei Diritti Reali, fol. 246) Dom Joham, per graca de Deus Rey de Portugal e dos Alga-rues, daquem e dalem mar em Africa. A quantos està nossa carta uirem fazemos saber que, sendo uago 0 Almirantado destes nossos Reynos, per morte de Nuno Vaz de Castel branco, que 0 dicto Almirantado tynha, nos foy requerido per Manuel Pacanha e Ruy d’Abreu , fidalgos da nossa casa , que lhes mandassemos guardar justica e direito, ques tynham no dito Almirantado, por dizerem que uinam daquella linha a que o dicto Almirantado per direito per-tencia ; e sobra 0 dicto requirimento em pessoas com procuracoes abastantes de suas molheres, em que se continha, a saber : Na de Manuel Pacanha que Maria Rodrigues, sua molher, lhe daua todo seu comprido poder, que por ella e em seu nome podesse con-trautar e affirmar qualsquer contrautos e aueencas que elle qui-sesse com nosco sobre 0 Almirantado destes nossos Reynos, e fazer com nosco quesquer scripturas que pera elio forem necessarias, e prometeo de auer por firme e stauel pera sempre todo 0 que — 284 — o dicto Manuel Pacanha, seu marido, em elio tezesse , segundo mays compridamente na dicta procuragam era contheudo, a qual parecia seer feyta e assynada per Joham Gomez, nosso tabelliam na uilla d’Eluas, a XX.VII dias do mes d’ agosto do anno passado de LXXXIII. E na do dicto Ruy d’Abreu, que donna Johanna sua molher lhe daua todo seu comprido poder e spicial mandado, que por ella e em seu nome podesse contrautar coin nosco acerca do Amirantado destes Reynos, e podesse fazer sobre elio quaesquer aueencas e conueencas que lhe prouuesse, e ella prometeya auer por firme e stauel todo 0 que acerca dello pelo dicto Ruy d’Abreu, seu marido, fosse feito e firmado e contrautado, segundo mays compridamente na dicta procuracao era contheudo, a qual parecia seer feita e assinada per Joham Laurengo nosso tabelliam pubrico em a dicta uilla, a XI dias de marco de anno presente de CCCCLXXXIIII. Por bem das quaes procuracoes, elles em seus nomes e de suas molheres uieram com nosco de seu prazer e contentamento a tal concerto e contrauto como se adiante segue : Primeyramente que nos damos ao dicto Manuel Pcanha os direitos da Mouraria da dicta uilla d’Eluas, e mais o lugar de Villa Boim, que he junto com a dicta uilla d’Eluas, com todos seus termos e jur-dicam, alcaidaria, padroados de igrejas, e todalas rendas e direitos que nos no dicto lugar de Villa Boim auemos e a nos de direito pertencem, como tinha Dom Fernando , que foy Duque de Bra-ganca, reseruando pera nos a correicam e alcada. E o dicto Ruy d’Abreu todolos direitos da Judaria da dicta uilla d’ Eluas assi como a nos pertencem, e como os de nos trazia Johanne Scudeiro. E esto lhe damos a ambos em dias de sua uida, como dicto he. E por lhe nos esto assi fazermos elles ambos, e cadahum delles, se deceram do dicto requerimento e demittem de si todo direito e aucam , que elles ambos, ou cada hum delles, tinha ou possa teer no dicto Almirantado, e 0 leixam a nos pera nos podermos dar a quem nossa merce for; e aquelle ou aquelles a que o nos dermos, per nenhuum dos sobreditos Manuel Paganha e Ruy d’Abreu nam possa seer posto embargo nem contenda alguna sobre o dicto Almirantado, ficando porem resguardado a seus decendentes dos sobredictos Manuel Paganha e Ruy d’ Abreu, ambos ou cada hum — 285 — delles, todo direito que elles dizem que tem e tenerem no dicto Almirantado pera o poderem refertar e requerer assi corno se concerto ou contrauto com nosco feito nam tenessem. E em testemunho dello, lhe mandamos dar està nossa carta do dicto coutranto a cada hum delles para sua guarda. E porem mandamos ao nosso Contador em a dieta Comarca, e a quaesquer outros nossos officiaes e pessoas a que o conheicimento pertencer e està nossa carta for mostrada, que metam logo em posse ao dito Manuel Paganha dos direitos que nos auemos e deuemos de hauer na dieta mouraria d’Eluas e assy do dicto lugar de Villa Boim, jurdigam, rendas e direitos delle, corno acima dicto he , e lhe leixem todo liuremente possuir, auer, arrecadar, pera si e per quem lhe prouuer, assi conio sua e corno se pera nos arrecadaria per nossos officiaes. E mandamos ao dicto Contador que faga registar està nossa carta nos liuros dos proprios da dieta Comarca, pera se a todo tempo saber como lhe esto temos dado e outorgado corno dicto he. Dada em a nossa villa de Santarem, aos X dias do mes de Junho. Feniani d’Espanha a fez. Anno do nascimento de Nosso Senhor Jezus Christo de mil CCCC.LXXXIIII. XXXIII. Diploma del re Don Manuele, per conferma del precedente: 1496, 5 ottobre. (Arch. cit. Libro e fol. cit.) D0111 Manuel etc. A quantos està nossa carta uirem fazemos saber que por parte de Manuel Pacanha, fidalgo de nossa casa, nos foy apresentada Inuma carta del Rey meu senhor, cuja alma Deus haia, da qual o theor de verbo a verbo tal he corno se adiante segue: Doni Joham eie. (Documento XXXII). Pedindo nos o dicto Manuel Pacanha por merce, que lhe con-firmassemos a dieta carta na maneira sobredicta ; e uisto per nos seu requerimento, e querendo lhe em elio fazer graga e merce, — 286 — teemos por bem e lha confirmamos assi corno se em ella conthem, saluando a dieta uilla de Villa Boim. E porem mandamos que assy se cumpra e guarde muy enteyramente corno em ella he contheudo , saluando a dieta uilla de Villa Boim , como dicto he, porque assi he nossa merce. Dada em Torres Vedras, a V dias de outubro. André Pires a fez. Anno de mil CCCC.LXXXXVI. XXXIV. Lettera di Giorgio Pessagno, che fornisce notizie della sua famiglia. — Traduzione sincrona dal portoghese. ] $88, 20 marzo. (Memorie di alcuni della famiglia de* signori di Passano, pag. 48-/0) Al Molto Illustre Signor Filippo de’ Signori Passano, mio Signore. — A Genova. Signor, L’ anno passato de 87, essendo nella Corte di Madrid , dove fui a dar conto a Sua Maestà delle cose della città di Ceuta et di quella frontera, dove mi mandò a servirlo per Capitano cinque anni, hebbi una littera di V. S., per la quale mi comandava quello che altre volte m’ hauca raccomandato, et era che li mandassi da questi Regni alcuna relatione 'Iella descendentia delli Passani antecessori di nostra Casa in questi Regni, et figliuoli di quella che costì tengono, di doue descendono. Subito risposi a V. S. per via di Nicolò Spinola , notificandoli come mi ritrovava in quella Corte, et che erano molti giorni che andava fuori di mia casa, et auscente da questi Regni : il che fu causa di non aver servito V. S. in questo particolare come m’havea comandato; perchè,'come Sua Maestà intrò in questo Regno, fu il primo luoco la città d’Elvas, dove abbiamo nostre case. Mio fratello Gio. Rodrighez Passano et io ne mandò subito, io per Capitano della città di Ceuta, come 1’ ho detto, et mio fratello « — 287 — per Capitano della Mina dell’ Oro, facendone mercede di tense, o sia rendite, et comende; et ambi fece di suo Consiglio, con altre cose per noi, e per Ambrosio Passano figlio di mio fratello, et mio genero, chè per non haver lui altro herede di sua casa, nè io figli maschi, il maritai con mia figlia per unire insieme le nostre Case et non poner in la mia nomi estranei. N’ ha di già dato dui nipoti, uno del nome di suo padre et l’altro del mio. Per il primo mi tiene Sua Maestà fatto mercede di tutto quello che da lui tengo; et mi diede il spachio in Madrid quando vi era. Venendo poi a mia Casa, non tardai molti giorni che hebbi aviso di come mio fratello era arrivato a questa città di Lisbona, dove si aspettava che ritornasse dalla Mina: con qual nuova mi trasfersi qua per visitarlo et aiutarlo in suoi negotij che sopravennero ; in quali restò occupato. Come quà giunsi, procurai subito di intender la relatione di questa nostra descendentia, quale ricercai nei libri della Nobiltà di questi Regni, et cavata da quelli la mando a V. S.; per quale potrà haver notitia dei successi di questa generatione, et occupationi di carichi che in questi Regni hebbero, benché molte cose di molta importanza fatte e trattate per loro non siino in questa relatione, perchè li Cronista del Regno et autori dei libri della Nobiltà non procurorno tante particolarità delle cause, ma solamente le vanno continuando in somma. Con questa relatione mando a V. S. la copia de una littera, che si ritrova in le Croniche del Re Don Pietro di questo Regno, che scrisse a detto Re cotesta Signoria in favore di messer Lansa-rotto Passano Almirante, che si ausentò da questo Regno per amore de una Dama; per qual littera di detta Signoria il Re Don Pietro lo restituì in suo stato, et att.° quanto teneva, non havendo voluto prima farlo a intercessione de altri Principi. V. S. ne farà gran mercede entro le sue memorie, che saranno molto grandi, comandar a queste piccole nostre in questa sua Casa, che novamenti edifica, poiché siamo figliuoli di quella di V. S., et come a tali ne teniranno V. S. et il Signor Antonio suo fratello per obbligatissimi a servirle in tutte le occasioni che se 1’ oferi-ranno; et ne sarà di gran favore che le SS. VV. habbino me- — 288 — moria di noi per comandarne et avisarne alcuna volta di loro sanità e cose, per quali riceueremo molto gusto tutte le volte , che avremo particolari nove di VV. SS. Mio fratello, io et mio nipote-genero baciamo le mani al Signor Antonio et a V. S., che Nostro Signor la molto illustre Persona prosperi con gran stato. Di Lisbona li 20 di Marzo 1588. Bacio le mani a V. S. Georgio Passano (sic). XXXV. Notizie della discendenza di Manuele I Pessagno. 1601, 4 febbraio. (Biblioteca Nazionale di Lisbona. Nobiliario ms. di Damiano di Goes) Dom Phillipe per graca de Deus Rey de Portugual e dos Al-garues, da quem e da lem mar en Africa, Senor de Guinee, e da conquista navegacao comercio de Ethiopia, Arabia, Persia, e da India etc. Faco saber que por parte de Johaò Jacome Espinola me foi presentado huà peticaò sobre a quel lhe mandoy passar bua prouisaò, de que todo o treslado e 0 seguiente. Diz Johaò Jacome Espinola que a elle lhe e negesario o treslado da linhagem dos Peghanas assi corno se contem no Liuro das nobrezas que estan na Torre do Tombo, e assi mais o treslado de capitullo de Cronica del Rey Dom Pedro em que se contem huà carta da Senhoria de Genova escrita o dite Rey sobre 0 Almirante de Portugual Langarote Peganha pede a Vossa Ma-gestad de lhe mande dar na forma acostumada e R. Merge. Dom Phillipe por graga de Deus Rey de Portugual e dos Al-garues, da quem e da lem mar en Africa, Senor de Guinee etc. Fago saber a uous Francisco d’Andreada de meu Consilho , meu Cronista moor e Superintendente da Torre do Tombo, que auendo respeito a 0 que na petigao traz escrita diz Johaò Jacome Espinola, e uisto 0 xjue alegua, ey por bem e uos mando que lhe deis 0 treslado dos papers de que na dita petigao faz mengao , conforme as provisòes que sobre isso mandoy passar. — 289 — El Rey nosso Senor o mandou pelos doctores Laurengo Mourào homem e Melchior do Amarai, ambos de seu Conselho, e seus desembargadores depaso. Francisco Ferrey la a fez em Lizboa, a doze de Janeiro de mil sei cientos, e mi Pero da Costa o fez escrever ; e a dita provisaò era assinada pellos desembargadores do pago nella nomeados e passada pe la Chancellaria, e em cumpri-mento della se buscon o Liuro das linhagees que fez Damiano de Goez, que foi guarda moor da Tore do Tombo. Esta hum titullo que diz assi : « Paganhas » ; e este titulo esta as folhas quarenta e quattro de dito Liuro; e diz por baixo delle. Mice Manuel Peganha foi hum homem muito honrado, genoès de nagao, o quel ueio a Portugal a servico del Rey Dom Dinis, que o fez seu Almirante e lhe poz grandes contias de dinheiro, e lhe deu as casas e bairro coutado , que ora tem o Marquez de Villa Reai em Lisboa junto do Carmo. Foi casado com Dona Ge- nebra, fìlha de..........(1) , de que houue estes filhos : mice Carlo Pecanha e mice Bertolameu Peganha. E por morte d'esta mulher, casou com Leonor Affonso, fìlha de........, de que houue estes filhos : mice Lancarote Peganha. E mice Carlos Peganha, filho deste mice Manuel Pecanha, foi Almirante corno seu pae; e delle nao temos geragao. Mice Bertolameu Pecanha, filho deste mice Manuel e irmaò deste mice Carlos, foi tambem Almirante por morte de seu irmaò, e foi casado cum Leonor Goncalues d’Azeuedo, fìlha de Gongalo Gomes d’Azeuedo, alferes moor del Rey Dom Affonso o IV.0, que foi aos Mouros ; de que houue huna fìlha por nome Genebra, que morreu solteira. E esta Leonor Gongalves, depois do fallecimento de seu marido, foi commendadeira de Santos. Mice Lanzarote, filho de mice Manuel e irmaò dos acima ditos, foi tambem almirante per morte de seus irmaòs, e foi senhor de (1) Questa e le successive lacune sono tutte nel citato manoscritto del Goes, eJ anche in un altro esemplare che se ne custodisce all'Archivio della Torre do Tombo. Società Ligure di St. Patria. Voi. XV. 19 — 290 — Odemira; e foi casado com Dona Catharina filha de......., de que houue estes fìlhos: mice Manuel e mice Carlos e mice Itaò (1). Mice Carlos Peganha, filho de mice Langarote e irmaò deste mice Manuel, foi Almirante por morte de seu irmao; e foi casado com Dona Isabel Pereira filha do Prior do Crato, Doni Aluaro Gon-galues Pereira irmao do Condestabre Dom Nuno Aluares ; de que houue alguns fìlhos que morreram em uida de seu pae, e a Dona Genebra que foi 4.“ mulher de Dom Pedro de Meneses conde de Vianna e primeiro capitaò de Ceita, com a qual este conde houue em casamento 0 Almirantado, e a Dona Beatrix Pereira mulher de Ruy de Mello senhor de Mello, que por este casamento e por morte de sua cunhada foi Almirante, por ella nao hauer fìlhos do conde seu marido; e houue bastardo hum fillio, por nome Aluaro Peganha, e assi houue mais bastardas, Beatriz Peganha mulher primeira de Aluaro da Cunha, fronteiro moor do Algarue, e Catharina Peganha mulher de Duarte de Mello. Aluaro Peganha, filho bastardo deste Almirante, foi casado com Dona Isabel da Cunha, filha de Dom Aluaro Vaz d’Almada, primeiro conde d’Abranches ; de que houue estes fìlhos : a Diogo Peganha, e a Dona Simoà mulher de Pedro Vaz Corte Reai, e a Dona Joanna mulher de Fernào de Queiroz. E por morte d’ està mulher, casou com Dona Micia, filha de Vasco Earmes Corte Reai, de que nao houue fìlhos : e antes de ser casado com estas mu-lheres, foi casado com Beatriz Valente, irmaa de Ruy Valente prouedor do Algarue, de que houue hua filha por nome Genebra Peganha, primeira mulher de Aluaro da Cunha fronteiro mor do Algarue, e Catharina Peganha mulher de Duarte de Mello. Diogo Peganha, filho deste Aluaro Peganha, foi casado com Dona Simòa Correia, filha de Pedro Correia almoxarife de Ta-uira, de que tem estes fìlhos: Aluaro Peganha, Duarte Peganha, (i) Nell’esemplare della Torre io Tornio, leggesi di più questo: « Mice Manuel filho d’este mice Lancarote foi tambem almirante por morte de seus irmaos ; e delle nao sabemos gera(ao ». — 291 — e Dona Isabel mulher de Francisco Pereira, fillio de Joao Pereira, que era filho de Diogo Pereira Bochim d’Alcunha. Mice Itaò Peganha, filho do Almirante mice Langarote e irmaò dos Almirantes mice Manuel e mice Carlos, foi casado com ........ d’Abreu, de que houue estes filhos: Joaò Rodrigues Peganha, e Martini d’Abreu, e Catharina Peganha, mulher de Lopo Vaz de Castello Branco , alcaide mor de Moura e monteiro mor del Rey Doni Joaò o primeiro e del Rey Dom Duarte. Joaò Rodriguez Pecanha, filho d’este mice Itaò, foi casado com Isabel Fernandes fìlha de.........., de que houue estes filhos: Manuel Pecanha e Genebra d’Abreu, mulher de Joaò da Silua alcaide do castello d'Eluas, e Senhorinha d’Abreu mulher segunda de Martin d’Oliueira, senhor do Morgado d’Oliueira d’E-uora (1), e Catharina Peganha mulher de Esteuam Barroso; e por morte deste marido foi mulher de Ruy Pires Saluado. Manuel Pecanha, filho deste Joaò Rodriguez, foi casado com Violante de Boim, fìlha de Affonso de Boim; de que houue huna fìlha por nome Beatriz Pecanha, mulher de Martim Affonso de Sousa d’Eluas ; e por morte d’ esta mulher, casou com Maria Rodrigues filila de Fernào Rodrigues Alardo de Santarem , e irmaa de Ruy Barba o uelho e de Jorge Correia commendador do Pinheiro; de que houue estes filhos : Joaò Rodrigues Pecanha e Francisco Peganha , que mancebos solteiros morreram na India com seu pae, e Ambrosio Pecanha, e Fernao Rodrigues Peganha, e Dona Fi-lippa, mulher de Bastiaò de Sousa filho de Ruy d’Abreu, que foi alcaide mor d’Eluas, e Dona Isabel mulher de Joaò Jusarte alcaide mor d’Auis ; e por morte d’este marido, casou com Francisco d’ Azeuedo alcaide mor de Cintra ; e Aldonga Peganha mulher do doutor Pedro Ferreira, desembargador da Casa da Sup-plicacaò ; e houue bastardos Aluaro Peganha, que tambem morreu na India s^>lteiro, e Clara Peganha mulher de Esteuam de Valladares. (1) Nell’esemplare del Tombo: « Genebra de Abreu mulher segunda de Martim d’Oliueira, d’Euora». — 292 — Ambrosio Peganha, filho deste Manuel Peganha, he casado con Dona Beatris filha d’Aluaro de Boym, de que tem estes fìlhos: Johaò Rodrigues Peganha, e Pernio Rodrigues , e Manoel Peganha. Fernào Rodrigues Penganha, filho de Manuel Peganha e irmaò d’Ambrosio Peganha, he casado com Beatriz Pereira filha de Francisco d’Azeuedo irmaò do Almirante Lope Vaz d’ Azeuedo ; de que tem estes fìlhos: (sic). Martini d’Abreu, filho de mice Itam e irmaò de Johaò Rodrigues Peganha, foi casado com Beatriz de Silua filha de .... de que ouue estes fìlhos (sic): Ruy d’Abreu. Ruy d’Abreu, filho deste Martini d’Abreu, foi algun tempos alcaide moor d’Eluas, e foi casado com.......filha de Affonso de Boym, de que nao ouue fìlhos; e por morte desta molher, casou com Dona Joanna de Sousa filha de Joaò de Sousa e irmaò de Martim Affonso de Sousa d’Eluas, de que ouue estes fìlhos: Johaò Gomes d’Abreu, que mangebo solteyro morreo na India, e Dona Maria molher de Anrique Anriques alcaide moor de Fronteyra. E per morte desta molher, casou Ruy d’Abreu com Dona Catherina filha do Chanceler moor, o doutor Johào Texeyra; de que ouue estas filhas: Dona Isabel, molher de Pero de Silua filho de Fernào da Silua irmaò do Conde de Portalegre 0 uelho; e Dona Beatriz molher de Francisco da Cunha criado do Duque de Braganza; e ouue bastarda Beatriz de Silua, molher segunda de Aluaro Pegado. Joaò Gomez d’Abreu, filho deste Ruy d’Abreu, foi casado com Dona Margarida de Viljena filha de Manuel de Melo alcaide moor de Oliuenge; de que nao ouue fìlhos. Bastiaò de Sousa filho de Ruy d’Abreu e irmaò de Johaò Gomez, he casado com Dona Phillipa filha de Manuel Peganha; de que tem estes fìlhos: Antonio de Sousa, e Manuel d’Abreu que he 0 mays d’Abelho, e Ruy de d’Abreu, e Dona Ana, e Dona Maria. — 293 — Manuel da Breu, filho deste Bastiaò de Sousa, e casado com Dona Phillipa fìlha de Pero de Silua o d’Eluas. Antonio de Sousa, filho de Bastiaò de Sousa e irmaò de Manuel d’Abreu, e casado com Dona Maria fìlha de Antonio de Brito; de que nao dis mais o dito Liuro sobre esta geragaò. E no Liuro emque estaò escritas as Gronicas do Rey Don Pedro, octauo Rey destes Reynos, e del Rey Dom Fernando seu filho, as folhas oito das ditas Cronicas esta huà rubrica que diso assi : § Como el Rey mandava matar o Almirante, e da carta que lhe enbiou o Duque e Comun de Genoa rogando por elle ; e por baixo desta rubrica dis assi : El Rey Dom Pedro queria grani mal a alcuuetas e feiti-ceyras, de guisa que por as justigas que en ellas fazia rnuz poucas usavaò de teis officios; e sendo en nal Beia soube que huà chamada per nome Ellena alcouotara ao Almirante huà molher com que el dormirà, a que diziaò Violante Vasques; e mandou .logo el Rey quiemar aa alcoueita, e ao Almirante Lanzarote Pecanho mandaua cortar a cabega. E peroo os do seu Conselho trabalhasem muyto por o liurar de sua sanha, nunca o poderom com elle postar, em tanto que o Almirante fogio e foi amarado , e partie dellos, por longuos tempos perdidas suas conthias e todo seu bemfazer e officio. E non sabendo remedio que sobresto teer, ouue acordo de mandar pedir ao Duque e Comun de Genoa que escreuissem por el al Rey que fesse sua merce de lhe perdonar. Os Genoeses ueendo o recado do Almirante, escriueron al Rey que perdesse della sanha; e a carta de Gabriel Adurno Duque de Genoa e dos Anciaòs do Conselho dessa cidade dizia em esta guisa: Prencipe e Senhor muy claro, de grande e Reai Magestades guardada. A benignidade muytas vezes se tempera por mansidòee, e o modo e riguor da justiga, e a piedosa consijra com trabalha sempre de renouar as bòas amisades antiguas; e se bòa cousa he tornar amisades e nouas conhegengas, muyto melhor he, segundo dis o Sa- — 294 — bedor, renouar e conseruar as uelhas, dizendo que o atniguo nouo non he ygual nera semelhante a o de longo tempo. As quaes rasones nos fazem auer feuza na vossa grande Aitesa, que graziosamente aja de ueir nossa umildosa suplicacom, a qual he està: que a noos foi notificado come o noble caualeiro Dom Langarote Peganho uosso Almirante, filso em outro tempo do nobre Barom Dom Emanuel Pazanho digno de bòa memoria, nosso amigo e cidadaò, aja cahìdo em sanha de Vossa Reai Magestade mais por enueja d’alguns, que d’el bem nom disserom, que per autras graues mal-dades que en el se som achadas, segundo corre a comun fama ; que per razon bem parege ca nom he do creer ques aya do regrade bòòs feitos, quem he gerado e descende de padres que sempre forom emnombregidos per virtuosos e bòòs costumes. E posto que errasse en alguà cousa, muyto deue uossa discreta mansidoeè temperar a rigor de justiga, renouando por nouos benefigios as leal-dades de seus antecessores. A qual cousa nos esperando da uossa grande Altezza, a ella umildosamente pedimos que pello que dito es, e nossos affigados rogos, tenhaes por bem tornar o dito Almirante a graga primeira de seu bon estado ; e por esto Vossa Reai Magestade auera nos e nosso Comuum aparelhados de ledo coragom a todas las cousas que lhe forem praziues. Dat. etc. Nom embergando està carta, non podraò com el Rey que perdesse sanha do Almirante; por emde pois a longos tempos lhe perdoòu el Rey, e foi tornado a sua merce ; pello que mando se de a està taò intera fee e credito corno a os propros liuros donde acyma escrito si tirou os qua es figao na dita Torre e foi com elles concertado. El Rey nosso senhor lo mandou per Francisco d’Andrada do seu Conselho, seu cronista moor e superintendente da Torre do Tombo. Miguel Monteyro a fez per Luis d’Aluarengua Figueira, que serue de escrivao da Torre do Tombo. Em Lizboa o dito dias de Feuereyro, anno do Nascimèto de Nosso Senhor Jesu Cristo de mil seis centos e hum annos. Nao faza duuida nos noue rigos que a trasuaò escritos em branco, por quanto se a-charaò em branco no dito Liuro das geragoes, e por tanto levaò — 295 — os ditos rigos ; nem faza duuyda onde diziaoo os riscados ste Manuel, por quanto todo uayna uerdade fui. Luis d'Aluarenga Figueira a foi scriuer e sobscriuer. ‘Francisco d’Andrada. (L. S.) R.ta Alonso de Mora. Io Bayao de Mogliaò. XXXVI. Iscrizioni commemorative delle gesta di Carlo e Manuele Pessagno, fatte scolpire dai Signcfri di Passano sulla facciata della chiesa di Santo Stefano in Genova, dopo che nel 1610 ne acquistarono da’ monaci cassinensi il giuspa-tronato. •A. >J\m >Aj Anno dni : mcccxxxxii : nobilis vir dns carolus ex dnis de PASSANO ARMIRATUS ILLU. || ALPHONSI REGIS PORTUGALLIAE •Ow FILIUS : 9 : NOBILIS viri dni emmanuelis saronis (i) armirati REGIS II PORTUGALIE UNA CUM EGREGIO DNO EGIDIO BUCCANIGRA ARMIRATO REGIS CASTELLE CUM CLASSIBUS || TRIREMIUM OCTUAGINTA REGUM GRANATE ET MAROCCHI IN BETICA CONFLIXIT ET ARMIRATIS REGUM GRANATE || ET MAROCCHI OCCISIS : XXIIII : MAURORUM TRIREMIBUS CAPTIS ALIIS FRACTIS ET IN FUGAM CONIECTIS || MAGNAM DE SARACENIS VICTORIAM DEO OPT. MAX. ADIUVANTE CONSECUTUS EST. MAGNIFICVS ET POTENS DNVS EMMANVEL EX DNIS DE PASSANO ANCHEDIVAE ARCEM || AB IPSO IN INDIA ORIENTALI ERECTAM AB ABDALA TVRCARVM REGIS CLASSIS || TRIREMIVM SEXAGINTA PRAEFECTO OBSIDIONE CINCTAM STRENVA || OPERA DEFENDIT ANNO DNI. MDV. REGIS PORTVGALIAE IN INDIA ORIENTALI || CLASSIS ETIAM PRAEFECTVS MAVRORVM CLASSEM POST || NAVALE CERTAMEN FVD1T ATQ. DEVICIT ANNO DNI. MDVI. (1) Sic. Forse volcasi scrivere Simonis ? - ' • - • . ’ • • - : . . . . * _ _ TAVOLE GENEALOGICHE § I. Queste Tavole furono compilate sulla scorta dei documenti che precedono, e sulle norme di più altri, de' quali la Società Ligure non ebbe copia, ma semplici indicazioni sommarie. La raccolta diplomatica del Rymer ha poi fornita la miglior parte delle notizie, che hanno tratto alla dimora ed alle relazioni dei Pessagno nell’ Inghilterra, e quasi interamente concernono a quell’Antonio che sotto la monarchia di Edoardo II e Edoardo III ebbe svariati e importanti uffici. Una lettera di Edoardo II al ricchissimo e poten- . tissimo cardinale Luca Fieschi (18 agosto 1319), ce lo rivela anche imparentato coi conti di Lavagna, chiamandolo affine di esso cardinale (affinis vestcr). I documenti che per la nostra genealogia hanno maggiore importanza , cosi per la moltiplicità dei ragguagli come per la tonte da cui derivano, sono quelli che riportammo ai numeri XXXIV e XXXV. Quest’ultimo, come si è veduto, contiene specialmente un estratto del Nobiliario di Damiano di Goes, commendato a’ suoi giorni sì come « huomo di grande erudittione, et di maraviglioso ingegno et di singulare curiosità » (1). Però le notizie da lui registrate non sembrano tutte esatte ad un modo. Tace egli infatti di (1) Castàneda, Historia dtll’ Mie Orientali tradotta ih Alfonso Ulloa; Venezia, Ziletti, 1577; voi. I. P»g- 434 vtr,c- — 298 — Lanzerotto II figlio di Ruy di Meloa e Beatrice Percira-Pessagno; e nella discendenza di Carlo II e di Alvaro, figlio naturale di lui, commette senza fallo una duplicazione , giacché tra le figlie dell’uno e dell’altro pone Caterina , maritata con Edoardo di Melo. Si noterà altresì come Alvaro da Cunha, marito a Beatrice sorella di Alvaro, figuri poscia come sposo di Ginevra nata a quest’ultimo da Beatrice Valente. Qui però il doppio matrimonio si potrebbe spiegare con la morte della prima moglie, leggendosi appunto che la sorella di Alvaro Pessagno fu mulher primeira de Alvaro da Cunha (1). Vero è che la stessa frase vedesi ripetuta anche per Ginevra, mentre sarebbesi dovuto dire secunda; ma la ripetizione si vorrà forse imputare ad una svista del compilatore. § II. Gli scrittori genovesi della fine del Cinquecento hanno identificato Manuele I Pessagno e la sua discendenza colla famiglia dei Signori di Passano; ed oggi riescirebbe difficile il giudicare se l’identificazione seguì in tutta buona fede, o se pure 1’ ambizione e la malizia vi ebbero parte. Da un lato, forse, metteva conto ai Pessagno il nascondere le origini loro, umili e popolari, innestandosi al tronco antichissimo di quei già potenti feudatari della riviera ligustica; d’altro canto, ai Da Passano restituiti di fresco nella primitiva opulenza e riell’avìto splendore, mercè l’opera fortunata del celebre Gian Gioachino, potea, non dispiacere che si accreditasse la voce come la gloria di loro famiglia non si fosse eclissata giammai. Al postutto, nel periodo in cui ne tacciono quasi i domestici annali, essi potevano additarla fiorente per una serie di grandi ammiragli al servizio del Portogallo. Comunque siasi di ciò, la identificazione è stata poi consecrata da due epigrafi iscritte sulla fronte di un vetustissimo tempio (2), ed universalmente accettala mercè la pubblicazione di due opuscoli, seguita in Genova nel 1615 (3); laddove si reca in mezzo (1) Documento XXXV. (a) Docutn. XXXVI. (}) Memorie di alcuni della famiglia di' Signori di Panano ecc. ; Genova, Giuseppe Pavoni, 1615.— Fede el scritture in lingua porlugbese, el poi tradotti in italiano, con quali si fa prova che delti Signori di Passano che uscirono di Genova et andarono al serv:lio delti Re di Portugallo, . . . sono siati almi-ranli; Genova, Gius. Pavoni, 1615. — 299 — l’autorità di Girolamo Conestaggio e d’altri « prattichi della lingua portughese », i quali <( attestano con giuramento (che) il vocabulo Passanha in italiano risponde per Passano » (i). In verità si era in tempi, che per credere sarebbe bastato anche meno di questa così solenne ed esplicita affermazione. § III. Chi fosse il padre di Manuele I Pessagno non è fin qui noto per documenti ; ma non si potrà mai riconoscerlo in quel Simone qm. Ardoino « huomo honoratissimo », del quale parlano gli atti de’ nostri notari ed i registri degli Angioini di Napoli. Dove Simone godette appunto di segnalati privilegi, e rivestì alte cariche : fra l’altre quella di Slraiicoto della città di Salerno, nella quale morì l’anno 1353 (2). — Egli era dei Passano, e non dei Pessagno, sì come tutti possono convincersene mediante la semplice lettura dei documenti originali. Manuele I, entrato al servizio del Portogallo nel febbraio del 1317, fu dal re Dionigi nominato a coprire la carica di almirante maggiore, allora vacante per la morte di Nuno' Fernandez Cogominho (3). Severino di Faria tien nota in questa guisa delle cerimonie con le quali era usanza di conferire la investitura dell’ Almirantado : « As ceremonias, com que se este officio antigamente dava, segundo el Rey Dom Afonso V no seu Regimento da Guerra, era precedendo a vigilia ordinaria na Igreja, que primeiro en todos os actos graves dos cavalleiros se faziao, por offerecerem a Deos suas acgoes , et com este pio principio terem felice successo. Ao outro dia, vestindose de festa, hia da Igreja ao Pago o mesmo Almirante bem acompanhado, et el Rey recebendoo em salia publica, le metia hum anel no dedo da maó direita, et lhe dava huna espada curta, et lhe entregava na esquerda hum estendane com as armas reais. E o novo Almirante fazia preito et homenagem a el Rey de o servir bem et lealmente; com que ficava General de todas as frotas et armadas do Reino, et tinha jurisdicgaò sobre todos os que nellas hiaò embarcados, para fazer justiga em todos os casos (1) Memorie ccc., pag. 47. (2) Memorie, pag. 42. (3) D’Avezac, Note tur la première expidition de Bethencourt aux Canaries, pag. se. que succedessem, et seus mandados se cumpriaò em qualquer lugar onde chegava com a armada no que para ella pertencia; et para isso tinha seus ouvidores, alcaides et meirinhos, carcereiros, et mais officiais da justiga; et dos alcaides se appellava para o Almirante, et do Almirante para el Rev; et esta jurisdicgaò comengava do dia que sahia do porto com a armada ata que se desembarcava. Os direitos, que tinha o Almirante, eraò a quinta parte do que cabia a el Rey de todas as prezas que tornava dos inimigos , tirando navios, armas et prisoneiros de merce; o qual, quando el Rey o queria tornar, era obrigado a dar cem livras portuguesas, et dellas tinha o Almirante a quinta parte ». Segue lo stesso Faria stringendo in breve la somma delle convenzioni speciali intervenute fra il re Dionigi ed il Pessagno. Indi ripiglia: « A micer Manoel, primeiro Almirante, succedeo seu filho mais velho Carlos Paganha; et a este, por morrer sem geracào, seu irmaò Bartholameu Paganha, o qual tambem naò deixou filhos, et le succedeo o terceiro irmaò Langaróte Paganha ; et em quanto elio esteve prezo em Castella, teve o titulo de Almirante Dom Joaò Tello irmaò da Rainha Dona Leanor. A Langaróte Paganha succedeo seu filho Manoel ( JI ) Paganha; a quem , por naò deixar filho macho, succedeo seu irmaò segundo Carlos ( II ) Paganha ; o qual teve duas filhas: Dona Genebra, que casou com o Condc Dom Pedro de Meneses, primeiro Capitaò de Ceita, com quem ouve o Almirantado; et por naò ter della filhos, succedeo no cargo Ruy de Mello, senhor de Mello, casado com a segunda filha de Carlos Paganha; et por naò ter della filhos, succedeo Nuno Vaz de Castelbranco, por ser filho de Catharina Paganha, netta do Almirante Langaróte Paganha; et a este succedeo seu sobrinho Lopo Vaz de Azevedo, filho de sua irmana Isabel Vaz Paganha et de Gongallo Gomez de Azevedo alcaide mór de Alen-quer, o qual teve a Antonio de Azevedo que foi Almirante, et este a Dom Lopo de Azevedo, em cuja linha se conserva esta dignidade ategora » (i). (i) Manoel Severi» de Fari*, Nolicias dt Portugal; Lisbona, 1655; Discorso li, 5 ij, pag. 66-68. — L’autore avendo attinto manifestamente a Damiano di Gocs, ignora come questi 1’ esistenza di Lan-zarotto figlio di Ruy di Melo. — 3°i — § IV. A torto alcuni scrittori hanno voluto negare ogni importante significazione alla nomina di Manuele Pessagno e de’ suoi discendenti nella carica d’ammiragli del Portogallo. Il benefico influsso che i nostri concittadini esercitarono sulla marineria di quel Regno non può essere disconosciuto : è ‘evidente, è indiscutibile , se si consideri che per le disposizioni medesime del re Dionigi, confermate via via da’ suoi successori, i Pessagno dovettero pure aver seco in ogni tempo venti compatrioti « sabedores de mar » , e tali da potersi adoperare nelle armate come-comandanti e piloti. Non è dunque il caso, ben dice il D’Avezac, « d’un liomme isole, d’une circonstance transitoire »; ma « c’est de tout un ètat-major maritime, c’est d’un système permanent qu’il s’agit, et le roi Denis croyait aviser ainsi au service de Dieu et au sien propre, au profit et à l’honneur de son pays » (i). — Entendendo por servilo de Deus e meu, e prol e onrra de mha lerra, d’aver obrigado vos micer Manuel Pcfagno de Genoa e vossos successores pera faardes na mha terra por meu Almirante (2). — Così ploclamava il detto re nel 1317; e pochi anni dopo (1322) rendeva già testimonianza delle egregie opere compiute da Manuele, soggiungendo: 0 dito Almirante me servici bem e lealmente, com muyias cousas e con grandes custas do sseu aver (3). Le quali dichiarazioni ripeteva del pari Alfonso IV (1327), e confermava per vere (4). Ma la dignità officiale non doveva essere d’ostacolo ai Pessagno, per continuare nella professione, già esercitata in patria, d’armatori e mercanti ; laonde Manuele I, nell’ atto stesso del suo giuramento a Dionigi riservava la facolti, sempre che questi non avesse mestieri de’ venti uffiziali genovesi, di servirsi delles em nossas mer-chamdias, e cmvyalos a Frandes ou a Genua ou a algunas outras partes com elas (5). § V. Fra 1’ almirantado di Ruy di Melo di Nuno Vaz di Ca-stelbranco, vuol essere collocato quello di Lanzarotto figlio del (1) D’AveiaC , Note tur la première expidition de Bithencourl, pag. lo. (2) Documento IX. t (0 Doc. XVII. (4) Doc. XXI. (5) Doc. IX. detto Ruy, già sopra da noi ricordato; ed è solamente dopo che si estinse con lui la discendenza femminile di Carlo II, che la dignità videsi trasferita nella linea egualmente feminile di Itamo. Cotesti personaggi non si effettuarono però senza detrimento di un ramo mascolino superstite; perochè di Itamo erano pure rimasti due figli: Giovanni Rodriguez Pessagno e Martino d’Abreu Pessagno. Manuele III di Giovanni e Ruy di Martino proposero adunque le loro querele; e addivennero poscia ad una specie di transazione colla Corona. In virtù della quale rimanevano loro assegnati i proventi della Mouraria e della Judaria d’Elvas, nonché la signoria di Villa Boim (i), coll’ ampia giurisdizione, i privilegi e i diritti che aveanvi per lo avanti esercitati Giovanni Scudiero e il duca Fernando di Braganza. Il quale accontatosi con Ferdinando il Cattolico e resosi fellone verso Giovanni II, espiò con la morte il proprio delitto. Egli è certamente a seguito di così fatta transazione, che i discendenti di Itamo si stabilirono in cotesta ragguardevole città dell’Alentejo ; e ben presto vi acquistarono la preminenza. Giorgio nipote di Manuele, nella lettera che di lui recammo sotto il numero XXXIV, toccando della conquista di Filippo II, fa rilevare che « come Sua Maestà intrò in questo Regno (1580), fu il primo luoco la città d’Elvas, dove habbiatno nostre case ». E il Conestaggio racconta, che il detto Giorgio e Giovanni Rodriguez fratello di lui erano per l’appunto i capi della fazione che inclinava al Tiberio spagnuolo. « Havevano dalla banda loro molti di quei cittadini, che chiamano scudieri »; ed anche questi ultimi Filippo avea guadagnati alla sua causa « già molto prima, per mezzo di fra’ Vincenzo Fonseca dell’Ordine dei Predicatori, parente dei Passani (sic), famiglia nobile e di seguito » (2). La storia dei Pessagno d’Elvas si collega ai fasti della marina portoghese, quanto e forse più che quella degli almiranti loro antenati. Le brevi note da noi iscritte sotto vari tra i nomi che figurano nella Tavola II lo proclamano abbastanza , e dichiarano quali furono le loro relazioni di parentela cogli insigni navigatori cui sono dovute le spedizioni e le scoperte dell’india. (1) Doc. XXXII c XXXIII. (2) Conestaggio, Istoria dell' unione del Regno di Portogallo alla Corona di Castiglia; Genova, Girolamo Bartoli, 1585; pag. 197. — T A V O L li — 304 — N. PESSAGNO Leonardo Manuele I 1303, 17 aprile. Atto nel quale si ricorda il viaggio fatto dalla nave di lui e del fratello Manuele (Doc. in). 1306, i) ottobre. Insieme col fratello Manuele noleggia due galee per l’Inghilterra (Doc. iv). 1313, 2 febbraio, 5 maggio, 13 novembre. Mutuatarii di Ruffo Galiuccio e Lapo di Falcone (Doc. v. vi). ^ 1317, i.° febbraio. Suo contratto col re Dionigi IH il Liberale, che lo nomina almirante , gli dona il luogo di Pedreira , e gli assegna rendita annua di lire 3000. Carico e feudo siano trasmissibili 1316, 18 gennaio. Compra grano da Antonio Ermirio ; e si dichiara: de Lavania, habitator ad Modulum in contrata Sancti Marchi , venditor claparum (Doc. vii). 1317, 31 gennaio. Spedito a Genova dal re Edoardo II d’Inghilterra, per l’allestimento di cinque navi, che gli sono necessarie nella guerra di Scozia (Doc. vnt). * Pessagno Lan franchino 1313, 1 giugno. Dal re Edoardo 11 d’Inghilterra sono raccomandati al papa Clemente V, con lettera nella quale si affermano clerici e nipoti di Antonio Pessagno ( Rymer , Acta et foedera, etc., voi. 11, par. 1 , pag. 218). N. B. Questa discendenza non è certa per documenti, ma soltanto probabile. una ______________________ ____ ,. ne’ discendenti. — Manuele giura fedeltà al re, e si obbliga di mantenere al servizio del Portogallo venti genovesi sabedores de mar (Doc. ix). 1317, 5 febbraio. Altra dichiarazione dell’obbligo sovra riferito (Doc. x\ 1517, 10 febbraio. II. re Dionigi lo nomina almirante maggiore (Doc. xi). 1317, 23 febbraio. E confermato dal re in questa carica; la quale passerà nei discendenti, di primogenito in primogenito (Doc. xn). 1317, 7 marzo. Il re gli conferma la rendita di lire 3000 (Doc. xm). 1319, 24 settembre. Il re, in considerazione dei grandes servigos que ini vos fe^erles, gli dona la villa di Odimira, e i regaertgos d'Algés, coi diritti e la giurisdizione rispettivi (Doc. xiv). 1321, 22 febbraio. Lo stesso re, a petizione di Manuele, conferma i privilegi d’Odimira (Doc. xv). 1321, 14 aprile. È privilegiato di giurisdizione sovra i propri uffiziali e marinai (Doc. xvi). 1322, 19 giugno. 11 re gli concede altre 1000 lire di rendita, veendo corno 0 dito Almirante me servia bem e lealmente com muytas cousas e con grandes custas do sseu aver, que despendeu per algunas ve^es no ineo servilo (Doc. xvii). In questo documento il re afferma anche di avere precedentemente (temp ha) assegnate a Manuele altre 2000 lire in panni ecc. ; e dichiara che le une e le altre debbono intendersi aggiunte alle 3000 portate dal diploma del i.° febbraio 1317. 1326, 1$ aprile. Nunzio in Inghilterra, per trattare del matrimonio di una figlia d’Alfonso IV col primogenito di Edoardo II (Doc. xvnt-xx). 1327, 21 aprile. Alfonso IV conferma gli accordi del 1317, e ripete le lodi al Pessagno pei servigi da lui prestati (Doc. xxi). 1332, 24 e 25 luglio. Raccomandato, a petizione di suo fratello Antonio, da Edoardo III d’Inghilterra ad Alfonso IV di Portogallo ed al consigliere di costui Lupo de Ferrariis (Doc. xxn e xxiii). 1337. Comanda la flotta spedita da Alfonso IV contro il re di Ca-stiglia; ed é fatto prigioniero col figlio Carlo e colle due loro galere dall’ ammiraglio Alfonso Gioffredo Tenorio (Ferreras, Histoire General d,Espagneì V. 100; Romey, Hist. d’Espagne, VIII. 106). 1340. Sostenuto fino dal 1337 nel castello di Xeres, é liberato in quest’anno da Alfonso IX di Castiglia (Romey, VIII. 152). 1342, 17 aprile. Alfonso IV gli dona l’amministrazione di alcuni beni ecclesiastici (D’Avezac, Exped. de Bethencourt, pag. 21). m. 1.a Donna Ginevra figlia di..... 2.a Leonora Alfonso (Vedi Tavola II). Pessagnino 1316, 18 gennaio. In attoj Gianuino Vataccio diccsij. Lavania, frater Leonari habitator ad Modulum; fa sicurtà (Doc. vii). TAVOLA I. Antonio jji2, 8 marzo. Edoardo II re d’Inghilterra raccomanda a Filippo IV di Francia Benedetto De Marini e Edoardo di Gavi, consanguineos carissimi mercatoris vostri Antonini Pessani de Janua (Rymer, Acta et foedera etc., voi. II, par. I, pag. 159). 1312, 19 dicembre. Lo stesso re inglese scrive al siniscalco di Guascogna ed al contestabile di Bordò , accennando come abbia già da tempo assegnato ad Antonio Pessagno quandam pecunie summam . . . super cosiumam nostrani Burdegalie (Id., voi. e par. cit., pag. 191). 13x3» *5 aprile. Altra lettera del re, in cui si rinnova la memoria di questo assegno (Id. ibid., p. 208). • 1313, S maggio. Lettere patenti del re: Sciatis quod commisimus dilecto mercatori nostro Antonio Pessaigne de Janua maneria de Dynesle, Langenok et de Chelse, cum pertinenliis, in comitatu Herfordic, que fuerunt Templariorum, tenenda quamdiu nobis placuerit, reddendo inde nobis per annum, ad Scaccanum nostrum, tantum quantum alii hactenus inde per compotum suum reddiderunt (Id. ibid., p. 214). J313» 19 giugn°. In considerazione delle benemerenze di detto Antonio, il re scrive al papa Clemente V, raccomandandogli Pessaignum et Lanfrankitium, clericos, nepotes dicti mercatoris nostri (Id. ibid., p. 218). 1314, 26 maggio. Lettera del re a Raimondo Subeyrain, nella quale tocca di 2000 lire di marchi steriini passate da Antonio Pessagno ad esso Raimondo, che se ne giovò per pagare un debito contratto verso il cardinale di San Ciriaco (Id. ibid., p. 247). 1314» 4 dicembre. Il re accredita presso il vescovo d’Ostia Gilberto Pecche ed Antonio Pessagno, .ai ijuaii secretum aperuimus cordis nostri, per accelerare 1’ elezione del pontefice ed ottenere la concordia dei cardinali (Id. ibid., p. 258). 1314, 20 dicembre. Lettera credenziale di Edoardo II, il quale spedisce il Pessagno a Luigi X di Francia, affinchè questi riceva nella sua arazia il cavaliere Euguerrando di Marigny (Id. ibid., p. 259). 131$» *6 settembre. Lo stesso Edoardo notifica al vescovo d’Ostia e Velletri il ritorno del Pecche e del Pessagno (Id. ibid., p. 277). i?i6, 12 ottobre. Il re Edoardo raccomanda ai luogotenenti del reggente di Francia il Pessagno, affinchè dal Visitatore generale degli Spedalieri di San Giovanni non sia inquietato o defraudato dei diritti e possessi concedutigli da quest’Ordine in varie parti della monarchia francese (Id. ibid., p. 299). 1316, 6 dicembre, 11 detto re notifica ad Amedeo V, conte di Savoia, che ha spediti a papa Giovanni XXII, Antonio Pessagno milite e vari altri personaggi, per trattare di gravi affari toccanti il suo Regno. Gli stessi hanno il mandato di abboccarsi col detto conte in Parigi, dove si troveranno venti giorni dopo il Natale (Id. ibid., p. 302). I?i6, i$ dicembre. Lettera credenziale del re al papa, in favore dei sopra detti deputati (Id. ibid., p. 303). i\l6, 16 dicembre. Altra dello stesso al papa ed ai cardinali, nella quale dichiara che il Pessagno ed i suoi colleghi hanno commissione di trattare degli affari concernenti il ducato d’Aquitania (Id. ibid., pp. 304. 424). iM7> 19 gennaio. Il re soggiunge al papa, che il Pessagno ha pure incarico di trattare delle pratiche riguardanti il vescovato di Durham (ld. ibid., p. 312). 1317, 12 giugno. Ordine del re Edoardo II, che sia liberata (consegnata) ad Antonio Pessagno una certa quantità di vini, stati raccolti per la guerra di Scozia (Id. ibid., p. 333). J2J7, 3 novembre. Il re notifica al contestabile di Bordò che ha assegnato il feudo annuo di 2000 lire tornesi, pagabili da esso contestabile dilecto el fideli nostro Antonio Pessaigne de Janua, cui commissimus officium Senescalcie ducatus predicti, cioè il Siniscalcato di Aquitania (Id. ibid., p. 345). j-17, 4 novembre. Il re accredita suoi legati presso Giordano de Insula Antonio Pessagno e Guglielmo de Casis (Id. ibid., p. 346). jJ17, 8 novembre. 11 Pessagno è nuovamente accreditato ambasciatore di Edoardo al pontefice Giovanni XXII (Id. ibid., p. 347). i\l7> 1,0 dicembre. Va legato al re di Francia, per accomodare le vertenze che sono insorte a cagione della nave Dromonda, carica di mercanzie spettanti a genovesi, e catturata dai sudditi di esso re (Id. ibid., p. 350). ni8, 7 aprile. Deputato a trattare e comporre la tregua, o la pace, fra i Normanni e gli abitanti di Baiona (Id. ibid., p. 359). 1318, 24 giugno. Edoardo II dà disposizioni affinchè il Pessagno venga rimborsato di un suo credito di lire 2000; assegnandogli certe rendite e diritti, che devonsi anche sperimentare nei possessi del conte di Savoia (Id. ibid., p. 366). 1319, 18 agosto. Edoardo II raccomanda il Pessagno al papa, al costui nipote Pietro de Via, ed al cardinale Luca Fieschi di S. Maria in Via Lata. Dice che il Pessagno, abbandonato dalla fortuna, versa in angustie finanziarie (procacciategli, a quanto si capisce, dagli Spedalieri di San Giovanni che rifiutano soddisfarlo delle somme di cui gli sono debitori). — Nella lettera al cardinale, il Pessagno vien detto: affinis vester (Id. ibid., p. 403). 1320, 11 gennaio. Edoardo II notifica al re di Francia che Totto Guidi fu rimborsato da Antonio Pessagno del suo credito verso la Corona inglese (Id. ibid., p. 414). 1320, 19 marzo. Altre raccomandazioni di Edoardo in favore del Pessagno, e per la favorevole composizione de’ costui interessi, al pontefice ed al collegio dei cardinali, al re di Francia ed ^ quello di Sicilia (Id. ibid., p. 420 e 421), 1320, 28 aprile. Altra lettera del re inglese al francese, pel credito del Guidi satisfatto dal Pessagno (Id. ibid., p. 424). 1420) 6 agosto. Lettere patenti di Edoardo II, da Windsor, intitolate: De nova Genua construenda, et sub quibus conditionibus. In esse notifica che fra il suo rappresentante Antonio Pessagno , siniscalco d’Aquitania, e Pietro signore di Castelnuovo, è stato convenuto di costrurre nel territorio di esso Pietro un Pariato (pariagium ). Il detto territorio, chiamato de Apathana, trovasi nella parrocchia di San Giovanni de Panthauano ; e dovrà essere convertito in una bastida, que Janua perpetuo ab omnibus apellaretur (Id. ibid., p. 429). 1-120, 11 e 14 ottobre. Nuove lettere di Edoardo al re di Francia, dove il Pessagno si è rifugiato. Questi è debitore al monarca inglese di *somme non modiche, e degli uffici sostenuti non gli ha reso mai conto; però Edoardo gli concede facoltà di tornare nell’Inghilterra, a condizione che sia disposto a saldar le partite. Frattanto ha perduti gli uffici, perchè nella lettera dell’11 ottobre si dice: nuper sene-scalcus noster Vas coni e extitit, et alia officia sub nostro" dominio diversis temporibus gerebat. — La lettera è responsiva alle raccomandazioni che in favore del Pessagno avea scritte il re francese (Id. ibid., p. 456). 13 jx, 3 aprile. Il re Edoardo III accredita presso il pontefice Antonio Pessagno milite e Giovanni di Newton, affinchè lo inducano a canonizzare Tommaso di Lancastro (ld., voi. II. par. II, p. 814). 1-31, 2$ ottobre. Altra credenziale del detto re, a favore di Antonio Pessagno milite e di Riccardo di Bury, affinchè trattino col papa di \'ariì negozi, e fra gli altri dell’alleanza che ha in animo di contrarre col re di Francia (ld. ibid., p. 827). X332, 24 e 2$ luglio. A petizione di esso Antonio, milite e regio consigliere, il re Edoardo III raccomanda il fratello e i nipoti di lui ad*Alfonso IV di Portogallo ed al consigliere di quest’ultimo Lupo de Ferrariis (Doc. xxn e xxm). 1332, 23 giugno. Edoardo III consegna ad Antonio Pessagno il Breve, col quale Roberto di Stratford è nominato custode del regio sigillo (Rymer, ibid., p. 839). Società Ligure di St. Patria. Voi. XV. 20 — 3°6 — MANUELE I PESSAGNO r 1 , Carlo I (ex x.«) 1332, 24 e 2$ luglio. Raccomandato coi fratelli da Edoardo 111 d’Inghilterra ad Alfonso IV di Portogallo ed al consigliere di costui Lupo de Ferrariis (Doc. xxii e xxiii). 1337. Combatte la flotta castigliana ; e fatto prigioniero, è sostenuto nel castello di Xeres (Romey, vm. 106; Fìrreras, v. ho). 1342. Ammiraglio come suo padre (Doc. xxxv). — Con dieci galere del Portogallo, unite ad altre quindici di Genova condotte da Egidio Boccanegra al servizio di Castiglia, vince a Xa-tares presso Algeziras, e indi nel Porto Bullones vicino allo Stretto di Gibilterra, le squadre alleate di Abul-Hasan re di Fez (Marocco) e di Yusuf-el-Hagiagi re di Granata (Ferreras, v. 168 segg. ; Romey, vm. 152 segg. Doc. xxxviV BaRTOLOMI*) (ex 1.«) 13... Ammiraglio, dopo la morte del fratello Carlo (Doc. xxxv). 15... Fuggito tra i Mori (ibid.). m. Leonora Gonzalves de Azevedo, figlia di Gonzalo Gomes de Azevedo al* fiere maggiore di Alfonso IV. Dopo la morte di suo marito fu commen-dadeira de Santos. Ginevra morta nubile. 13- Aln 20 „57. «I i;s7- 26 ■JS7. >•" I36l> ” ,3... Dm nenzi. , che que 1367. ,6,! giurisdì 1372 eira regina 1383, 20 houver di D. F 1384-Ucciso Mamuele II 13... Almirante, dopo la morte del padre (Doc. xxxv). 1385, 2 giugno. Il re Giovanni I gli dona Odimira (Libro I di D. Giovanni, foi. 112). Alcuni maschi, premorti al loro padre (Doc. xxxv). Carlo II 13... Almirante dopo la morte del fratello Manuele (Doc. xxxv). m. Isabella Pereira figlia di D. Alvaro Gonzalves Pereira, Priore di Grato, e fratello del conte-stabile Don Nuno Alvares. Ginevra in Pietro Mexeses, conte di Viana; il quale nel 1415 partecipò alla spedizione del re Giovanni 1 contro Ceuta (Africa)» e tu capitano di questa città sotto il governo del principe Don Enrico ( Noticias para a bio graphia dos Pes-sanha, ed altri mss. della Nazionale di Lisbona) Beatrice Pereira Alvaro I (naturale) in * m. Ruy di Melo, si- i.a Beatrice Valente, sorella di Ruy Valente, provveditore delle Al-gnore di Melo ; garve. il quale, per la 2.a Isabella da Cunha, figlia di Alvaro Vaz d’Almada primo conte morte della co- di Abranches. gnata, ebbe a 3«a Mieia , figlia di Vasco Earmes Corte Reai (Doc. xxxv). sua volta l’almi- rantado ( Docu- Lanzarotto II (ex i.a) mento xxxv). 1439, 6 febbraio. Alfonso V gli concede vari privilegi (Arch. do Tombo. Libro xviii di Alfonso V, foi. 81). 14— « Servitore di camera » del principe Enrico; il quale gli conferisce l’almossarifato di Lagos. 1444. Promo^e tra quei cittadini la proposta da essi fatta allo stesso principe di navigare alla Guinea ; pel che mettonsi in ordine sei cari-velie , delle quali esso Lanzarotto è fatto « capitano maggiore »• L’armata « giunse all’ isola delle Garze la vigilia del Corpo di Christo.....; et poi fecero consiglio sopra il modo di dar prima nell’isola Nar, la quale era poco lontana ». Il difetto di vettovaglie costringe Lanzarotto ed i suoi compagni al ritorno, prima d’ aver compiuta l’impresa; ma conducono seco molti Negri fatti schiavi. H principe Enrico accoglie onorevolmente il capitano, e lo crea cavaliere (Barros, VAsia, deca 1, cap. vili ; Noticias etc. ed altri mss. nella Nazionale di Lisbona). r444> r3 agosto. Dallo stesso re vien nominato almirante del Regno (Lib. xxv, foi. 13). 1448,*ii novembre. 11 re Alfonso gli dona la Pedreira, il quinto delle prede e 1’ annua rendita di 3000 lire (Libro Extras, foi. 105). I4$4> J$ c 16 giugno. D. Alfonso gli rinnova i privilegi (Libro xv, foi. 8). Beatf (natur in Alvaro e govern, giore d< ve (Do Ginevra (ex 1.») in Alvaro da Cunha, governatore maggiore delle Algarve (Doc. xxxv). Caterina (ex 1.«) in Odoardo di Melo (Doc. xxxv). Diego II (ex 2.“) ni. Simona Correia , figlia di Pietro almuxerife di Tnvira (Doc. xxxv). Ai.varo III (Doc. xxxv). Odoardo (Doc. xxxv). S (« Pedro Va (Do. :'|**cesco 1 — 307 — TAVOLA II. del fra- Lanzarotto 1 (ex 2.*) (Almirante di Alfonso IV, dopo la morte del fratello Bartolomeo (Doc. xxxv) l\<6, 20 settembre. 11 re Pietro 1 conferma in favore di lui il diploma dei i.° febbraio 1317 (Doc. xxv). g giugno. Lo stesso re gli conferma la rendita di 3000 lire, derivante da Odimira ed Algés (Doc. xxvi). ni7 26 giugno« Nominato almirante maggiore (Doc. xxvii). | 1.0 luglio. Confermato in questa carica (Doc. xxvm). ij6i' 11 marzo. Pietro I gli dona il diritto d’ ancoraggio, che si riscuote dalle navi al loro ingresso nei porti del Regno (Doc. xxix). J ./Dimora nella città di Beja, in concubinato con Violante Vasques; ed è condannato a morte dal re. Fugge, e perde la carica e i benefizi. A sua richiesta, il doge di Genova Gabriele Adorno e il Consiglio degli Anziani scrivono a Pietro per ottenergli il perdono, che questi però non gli concede. .367 6 novembre. 11 re Fernando rimette in grazia Lanzarotto , e conferma a lui ed a’ successori di lui il titolo d’ ammiraglio, colla giurisdizione ed i benefici a questa dignità relativi. Similmente gli conferma i diplomi 23 febbraio 1317 e 14 aprile 1321 (Doc. xxxi"). 1372 circa. Partecipa nella guerra contro la Castiglia, e cade prigioniero. — Durante la sua cattività, Don Giovanni Tellez, fratello della resina Eleonora, assume il titolo di ammiraglio £Noticias para a biographia dos Pessanha, ed altri mss. nella Biblioteca Nazionale di Lisbona), j.-ga 20 settembre. Altro privilegio concedutogli, o confermatogli, dallo stesso Fernando. — Dispone: O dito Almirante nos logares onde ! bout'cr homens das Vintenas do mar, possa ter seus ouvidores e alcaide e porieiros e escrivaes e outros officiaes (Arch. do Tombo. Lib. Ili di D. Fernando, fol. 93)* * ,384 Partigiano della regina Eleonora nella cospirazione da lei promossa contro il Gran Maestro dell’ Ordine di Avis, poi Giovanni I. — Ucciso in Beja, a seguito di un tumulto (Noticias cit.). m. Caterina figlia di..... :1 fra- :reira, :onte- Itamo m. N. d’Abreu (Doc. xxxv) Diego 1 (naturale) 1404, 16 settembre. Legittimato dal re Giovanni 1 (Arch. do Tombo. Libro ìli di D. Giovanni 1 , fol. 10). elle Al-d conte Tombo. i confe- 0 stesso ei oratore ». Drpo di r primi tovaglie d’ aver ìiavi. 11 av oliere s. nell* Regno to delle 'fol. 8). Beatrice (naturale) in Alvaro da Cunha, governatore maggiore delle Algar-ve (Doc. xxxv). Caterina ( naturale ) in Oroardo di Melo (Doc. xxxv). Giovanni Rodriguez (Doc. xxxv). Ved. Tav. III. Martino d’Abreu Caterina (Doc. xxxv). in Ved. Tav. IV. Lopez Vaz di Castelbranco, al-cade maggiore di Moura e gran cacciatore dei re Giovanni 1 e Edoardo (Doc.xxxv). 1 Musso Vaz di Castelbranco Succede nell’almirantado a Lan-zerotto li. Isabella Vaz-Pessagno in Gonzalo Gomez di Azevedo,-al* cade maggiore di Alenquer. Lo pò Vaz di Azevedo Ammiraglio dopo la morte di Nuno. Antonio di Azevedo Almirante dopo la morie del padre, m. N. M. Lopo Vaz di Azevedo nella cui discendenza 1’ almirantado si conservava 1’ anno 1655 (Faria, Noticias de Portugal). Francesco di Azevedo m. N. N. Beatrice in Rodriguez Pessagno. Metro xxv). Simona (ex 2,a) in 1 Prono Vaz Corte Real (Doc. xxxv). Giovanna (ex 2.“) in Fernando di Queiros (Doc. xxxv). Isabella in Uxcesco Pereira, (Doc. xxxv). — 308 — GIOVANNI RODRIGUEZ PESSAGNO m. Isabella Fernandez (Doc. xxxv) MS0» H7S» foi. Manuele III 9 giugno. Nominato guarda dos portos de Castro Mar in dal re Alfonso V (Ardi, do Tombo. Libro xxx di Alfonso, foi. 123). 2$ settembre. Lo stèsso re gli ta donazione della Herdade do Pomar del Rey, no termo d’ Elvas (Arch. cit. Libro xxx d’Alfonso, 12}). Giovanni II lo nomina almuxerife in Sines ; e gli assegna sui proventi dello Stato 1* annua pensione di 12,000 reaes branca (Arch. cit.). 1484, 10 giugno. Avendo il Pessagno rinunciato ai diritti che gli competevano sull’almirantado , il re Manuele gli concede in compenso, sua vita naturale durante, tutti i diritti della Mouraria di Elvas e il luogo di Villa Boim, come giA li esercitò e lo tenne Don Fernando duca di Braganza (Doc. xxxii). 1496, 5 ottobre. 11 re Manuele gli conferma la precedente concessione (Doc. xxxin). 14 . . Il re Manuele lo elegge alcade maggiore di Cafim, e vedor das obras dos inuros de Sant’Jago de Cassem ; c gli assegna sulle rendite dello Stato tre altre pensioni, di 45,000, di 10,000 e di 8000 reali bianchi (Arch. cit.). 1505-08. Naviga colla caravella di suo genero, Sebastiano di Sousa, nella spedizione di Francesco d’Almeyda. Visita Madera, e volta il Capo di Buona Speranza. « Era liuomo di valore, dice Fernando Lopez de Castagneda, et che meritava di andar castellano della fortezza di Angiadiva » (Historia dell’Indie orientali; Venezia, 1577; voi. 1, pag. 134). Ed anche il Maffei lo proclama: spedata fide ac virtute vir, ex urbe Italiae Genua claro genere natus (Historiar. Indicar. ; Venezia, 1589; lib. m, pig. 46). È infatti nominato capitano di detta isola; dalla .cui rocca, nell’inverno del 1500 si difende valorosamente contro i Mori di Abdallah ; ed ivi rimane fino al 1508 (Casta-GNEDA, I. 176. 256. Doc. XXXVl). 1510. Partecipa all’impresa di Calicut, e consiglia il maresciallo Fernando Cottigno « che facesse metter fuoco al palazzo (dello zamorino), et si ritirasse alla marina ; perchè se cosi non facesse, gli nimici havrebbono tempo di ridursi insieme ... et gli farebbono molto danno ». 11 maresciallo non lo ascolta, e l’ impresa va a male ; ma il Cottigno e il Pessagno, ancorché feriti, « ammazzarono molti Mori et poi caddero morti. Et ben pronosticò Manuello Passagna (sic) . . . . ; et cosi finì la sua vita con quattrq figliuoli, che gii teneva morti in altre battaglie ... ; et di cinque che condusse all’ India si salvò il più giovane, che si chiamava Ambrogio Pazzagna, che ancora qui havrebbe finito i suoi dì, se non lo mandava 1’ anno passato in Portogallo, acciò che non glielo ammazzassero et rimanesse di lui alcun figliuolo, che perpetuasse la sua generatione » (Castagneda, i. 301 segg.). m. i.a Violante di Boim, figlia di Alfonso di Boim. 2.a Maria Rodriguez, figlia di Fernando Rodriguez di Santarem (Doc. xxxv). Beatrice (ex 1.») in Martino Alfonso di Sousa d* Elvas (Doc. xxxv). — Questi « sapeva molte lingue di Negri » ; e nel 1498 navigava colla flotta di Vasco di Gama, il quale mandavalo parlamentario nella Terra della buona gente (Castagneda, i. 7). Giovanni Rodriguez Francesco (ex 2.a) (ex 2.a) 1508. Morti celibi, guerreggiando nell’ India (Doc. xxxv). Ambrogio (ex 2.*) 1509. Parte dall’ìndia e rientra in Portogallo. m. Beatrice di Boim, figlia di Alvaro. (Doc. xxxv). Giorgio (Doc. xxxiv) i$8o. Creato capitano di Ceuta (Africa) dal re Filippo lì ; che gli concede rendite e commende, e lo nomina del suo Consiglio. i$88. Manda da Lisbona le notizie della sua famiglia, m. N. N. N.N. in Ambrogio Pessagno suo cugino. Giovanni Rodrìguez (Doc. xxxiv) i$8o. Creato regio consigliere e capitano della Mina delTOro (Costa di Guinea) , con rendite e commende. m. N. N. 1 Ambrogio m. N. Pessagno sua cugina. 1 G10. Rodriguez, vivente nel x 588. Giorgio vivente nel c$88. volta il fortezza c virtute di detta (Casta- lorino), anno ». i et poi lorti ia ora qui li alcua dia to- Fernando Rodriguez (ex 2.*) m. Beatrice Pereira, figli? di Francesco d’Azevedo fratello dell’almirantc Lopez Vaz d’Azevedo (Docum. xxxv). Quest’ultimo fu poi capitano del mare pei Portoghesi in Malacca (Castaneda, x. 408. 418). Filippa (ex 2.a) in Sebastiano ni Sousa, figlio di Ruy d’Abreu, alcade maggiore di Elv.is (Doc. xxxv). Isabella (ex 2.a) in i.° Giova kxiJusar-te , alcade maggiore di Avis. 2.0 Francesco di Azevedo, alcade maggiore di Cin-tra(Doc. xxxv). Fernando Rodriguez (Doc. xxxv) Morto senza prole. ! Manuele IV (Doc. xxxv) Morto senza prole. Aldonha (ex 2.a) in Pietro Ferreira, dottore, de-sembargador della Casa della Supplicazione (Doc. xxxv). Alvaro (naturale) 1 $08. Capitano di una caravella rotonda dell’armata di Alfonso d’Al-buquerque, muore celibe nell’ India (Doc. xxxv; Ca-stagneda, 1. 259). Clara (naturale) in Stefano di Valledares (Doc. xxxv) I • — TAVOLA IV. MARTINO D’ABREU PESSAGNO m. Beatrice da Silva (Doc. xxxv). Ruy d’ Adreu alcade maggiore di Elvas (Doc. xxxv). 1484, 10 giugno. Rinuncia ai diritti che gli competono sull* almirantado ; e dal re Manuele riceve in compenso quelli della Judaria di Elvas (Doc. xxn). 1496, 5 ottobre. Lo stesso re gli conferma il godimento di questi diritti (Doc. xxxm). 1502. Altro dei capitani nella flotta di Vasco di Gama, clic rese tributario il regno di Quiloa, e scoperse le Isole dell' Ammiraglio (Seichelle). 1510. Lasciato da Alfonso di Albuquerque in Coilan, come ufficiale della fattoria portoghese ivi stabilita (Castakeda , 1. 65. 86). m. i.a N. N.. figlia di Alfonso di Boim. 2.* Giovanna di Sousa , figli.i di Giovanni e sorella di Martino Alfonso d’ Elvas. 5.a Caterina Texeira, figlia del dottore Giovanni, cancelliere maggiore (Doc. xxxv). .__I _ Giovanni Gomez d’Abreu (ex 2.a) 1506-07. Capitano della nave Giudea, salpata dal Portogallo colla flotta di Tristano da Cunha nel 1506. Naviga con Manuele de Menezes all’isola di S. Lorenzo (Madagascar) e , per fortuna di mare , separato da’ compagni, è fatto prigioniero dagli indigeni. Accolto da quel re, è molto accarezzato. Muore di dolore nel 1507 (Castagneda, 1. 175 segg.). m. Margherita di Vilijena, figlia di Manuele di Melo alcade maggiore di Olivenza (Doc. xxxv). Manuele d’Abreu (primogenito) m. Filippa da Silva , figlia di Piero d’Elvas (Doc. xxxv). Antonio di Sousa 1510. Difende valorosamente Alfonso d’Albuquer-que contro gli Indiani di Calicut ; e distribuisce ai Mori di Malacca la moneta fatta ivi battere dal governatore portoghese (Castagneda, i. 303. 387)- m. Maria de Brito, figlia di Antonio (Doc. xxxv). Ruy d’Abreu Anna Maria (Doc. xxxv). (Doc. xxxv). (Doc. xxxv). Sebastiano di Sousa (ex 2.a) 1505. Una sua caravella si trova nella spedizione di Francesco d’ Almeyda (Castaneda, 1. 136). m. Filippa Pessagno, figlia di Manuele III (Doc. xxxv). Maria (ex 2.a) in Enrico Anriquez, alcade maggiore di Fron-teira ( Doc. xxxv). Isabella (ex 3..) in Piero da Silva, figlio di Fernando e fratello del conte di Portalegre (Doc. xxxv). Beatbicb (ex 3.“) in Francesco da Cuniia, paggio del duca di Bra-ganza ( Doc. xxxv ). Nel 1502 fu capitano di nave, nella spedizione di Vasco di Gama (Castagneda, 1. 65) Beatrice ( naturale ) in Alvaro Pegado (Doc. xxxv). SPIEGAZIONI Agua d’Alcantara. — Rio d’Alcantara. È il limite odierno di Lisbona dal lato occidentale. Alcaide do mar. — Giudice del mare (Doc. XVI). Alcayde (de Lisboa). — Nel Doc. XVI questo vocabolo è adoperato nel senso più comune di magistrato, o gran giudice. Alcayde de galees. — L’Elucidarlo di J. de Santa-Rosa (Lisbona, 1798) spiega: Capitao, capata% ou patrao do navio, ou de qual-quer outra embarcafao. Lo Jal si oppone, ed allegando l’autorità del Faria ([Noticias de Portugal), opina che fosse « un officier de police qui avait autorité sur la chiourme » (filossaire Nautique, pag. 96). Quello che il Faria scrive àe\Y alcaide abbiamo noi riferito nella prefazione alle Tavole Genealogiche. Senza dubbio il vocabolo si presta a vari significati ; ma sarebbe assurdo l’ammettere che i re di Portogallo, zelando il progresso della loro marineria, si contentassero di levare da Genova de’ capi di ciurme. Con questa spiegazione diventerebbe anche ridicolo il patto costantemente espresso nei regi diplomi, che cioè gli alcaydes fossero sabedores de mar; con quella del Santa-Rosa invece, si capisce perfettamente. Il soldo mensile di questi ufficiali era stabilito in lire portoghesi 12- ‘/2 oltre il vitto (Doc. IX). Algés, Aljez (Alguez per errore di copista). — Possesso demaniale, ed oggi piccolissimo villaggio, circa dieci chilometri ad occidente di Lisbona. Giace alla foce del fiumicello omonimo (1). Nel Doc. XIV gli si dà per confine ['Agita d’Alcantara, che (1) Di queste e d’altre precise indicazioni topografiche mi professo obbligato alla cortesia e dottrina dell’ ab. D. Prospero Peragallo, membro della nostra Società, e degno parroco di S. Maria di Loreto in Lisbona. in realtà è lontana da Algcs non meno di quattro chilometri e mezzo. Perciò questa espressione va intesa nel senso che il regaengo omonimo, e non il solo villaggio dal quale toglieva nome, arrivava sino a quel fiumicello. Almargem. — Lo stesso che almargeal, prateria. Nel Doc. XIV è adoperato nel senso di un pascolo riservato ai cavalli del Re. Salvo huum almargem en Al gite^... onde ci prado pera os meus cavalos. Almuxerife. — Ricevitore di diritti d’entrata, appaltatore di pedaggi, ed anche sovrintendente di Palazzo. Alvazil. — Alguazile, bin o. Ancona. — Nel Doc. IV è parola delle galere dei Pessagno, le quali caricheranno merci Londres, vel in Sanuis vel Ancona. Certo è da correggere Anton a, oggi Sout-Hampton. Aredor. — Vicinanza, dintorno. Arraiz, Arraez. — Contrazione di al Rais; pilota, capitano o patrone di una piccola nave. Lo Jal soggiunge : quartier-mastro, sotto-ufficiale, che forse aveva il comando dello schifo e delle altre imbarcazioni delle galere (Gloss. Naut., pag. 174). Gli arrai^es chiamati da Genova, doveano essere sabedores de mar come gli alcaydes-, ed il loro soldo era determinato in otto lire portoghesi mensili, oltre il vitto (Doc. IX). Bairro do Almirante. — Distretto nel quale l’Almirante esercitava la propria giurisdizione. Nel Doc. XVI si contempla appunto il caso di rei i quali si fossero rifugiati (se acolhereni) in cotesto distretto. Beira. — Beja, città dell’ Alentejo, presso il lago del medesimo nome. Benffeitoria. — Miglioramento di una proprietà rurale. Camarati. — Villaggio, e possesso della Corona portoghese, nelle vicinanze di Lisbona. È sito in collina, alle spalle di Sacavem, dal quale dista circa quattro chilometri. Castro Marin. — Castro Marini, città delle Algarve, sulla sponda destra e presso la foce della Guadiana. Correiqam. — Giurisdizione; territorio sottoposto alla giurisdizione del Corregidor. ..... — 313 - Cossaria de mar. — Stuolo di navi armate in corso. Cossairo, Cossayro. — Corruzione di corsairo. Comandante di nave armata in corso contro i nemici (forse per dare la caccia ai Mori ?). Mando a lodolos outros homens de mar que . . . forem em frota oh em armada ou en outra cossaria de mar, etc. Doc. XXI. Elvas. — Città del Portogallo, nella provincia d’Alentejo, presso la sponda destra della Guadiana. Evora. — Piccola città dell’Alentejo. Foreira. — Terra censuaria, tributaria. Freelas. — Friellas, villaggio a dodici chilometri da Lisbona. Guarda dos Portos. — Guardiano, capitano di porto. Herdade. — Demanio, fondo. Hunhos. — Ved. Unhos. Iria. — Iria Flavia, nella Gallizia, all’imboccatura del fiume Ulla, sei leghe a levante dall’Oceano e quattro a mezzodi da Compostala; oggi el Padron. Judaria (da villa d’Elvas). — La Giudecca: luogo destinato per l’abitazione degli Ebrei. Lagos. — Capoluogo della provincia d’Algatvia. Livro de Extras. — Registro di atti fuori d’ordine, non classificati. Livro de Guadiana. — Registro di documenti riguardanti la provincia omonima. Livro de Misticos. — Misti, miscellanee, Meirinho. — Usciere. Montado dos gaados. — Pascolo dei bestiami. Il re Dionigi, facendo la donazione di Odimira a Manuele Pessagno, riserva espressamente o montado dos gaados in quel distretto (Doc. XIV ). Monteiro Mor. — Gran cacciatore, ft Moura. — Moina nell'Alentejo, con un vecchio castello, al confluente dell’ Ardita e della Guadiana. Mouraria. — Distretto, o quartiere, nel quale abitavano i Mori. L’esistenza dei Mori nel Portogallo, come servi o coloni, dopo la riconquista cristiana, è accennata dall’Herculano, voi. III, pag. 312. Odimira , e nel Doc. XV : Dimira. — Città e castello sul fiume omonimo, nella provincia d’Alentcjo. - m — Odivelhas — Odivellas, villaggio distante dieci chilometri al nord-ovest di Lisbona. Il monastero di San Dionigi, del quale si parla nel Doc. XIV, fu edificato dal re omonimo e rimase compiuto nel 1305; ma sotto Giovanni IV venne ricostrutto dal benedettino Giovanni Torriano, architetto militare e civile, e figlio di quell’ italiano Leonardo che fu capo degli ingegneri militari nel Portogallo. OuvENgE. — Olivenza, cittadella dell’Alentejo, presso la Guadiana; edificata dal re Don Giovanni I. Ouvidor. — Uditore, giudice. PEDRErRA. — San Sebastiano di Pedreira, oggi una delle parrocchie di Lisbona; ed in antico la Giudecca. Nel Doc. XIV, il re Dionigi così si esprime: Tine por beni de vos fa\er doagom..... da Pedreira hu moravam os Judcos en Lisboa. Petintal. — Al plurale petinfaes ; latino petintarius e piiintarius. L’Elucidarlo del Santa-Rosa spiega : Carpinteiro da ribcira calefale, fabricator de embarcagoes. Il trattato genovese-bizantino di Nimfeo (1261) nomina i petentarii dopo i nauclerii (piloti) ed i super salientes; poi ricorda i vo gerii (rematori). Ved. Liber Jurium, I. 1355. Lo Jal (Gloss. Naut., pag. 1167) attribuisce invece al vocabolo petentarius il significato di dispensiere; e forse potrebbe dargli ragiope questo passo de’ nostri Statuti di Gazzeria, del 22 gennaio 1333 (Leges Municipales, I. 314): Habeat quelibet ex . . . galeis subtilibus portam petentarii a latis decem et septem versus popam nitidis, etc. Ora il boccaporto della dispensa si capisce: quello del calafato no. Pomar. — Verziere. Reaes Brancos. — Reali bianchi, moneta. Aveanvi i reaes brancos e i reaes pretos; i primi con lega di stagno, i secondi interamente di rame. Regaengo ed anche Regeengo. — Coi nomi di regaengo, rega-lengo e reguengo sono indicati promiscuamente, negli atti portoghesi tutti i beni fóndi venuti in potere della Corona, per guerra, confisca, eredità, permutazione; e similmente vengono designati i censi, i diritti, i privilegi, le regalie, che in alcuni luoghi spettavano esclusivamente alla stessa Corona. — 315 — Nei documenti IX, XIII, XVIII il vocabolo è sempre adoperato in quest’ ultimo significato ; lo è invece nell’ uno e nell’altro senso nel Doc. XIV, laddove il re Dionigi rammenta 1’ annuo assegno di 3000 lire fatto a Manuele I Pessagno pelos meos regaengos de Freelas e de Hunhos ecc. ; e poi soggiunge : Outrossi vos dou e outorgo por jur d’erdade 0 meu regaengo de Algues, ecc. Rendeiro. — Livellario, censuario. Nel Doc. XIII, il re Dionigi comanda ai propri officiali di obbligare i suoi rendeiros al pagamento di 2000 lire in favore di Manuele I Pessagno. Rio de Ninha. — Nel Doc. XIV il re Dionigi afferma che il regaengo d’ Algés parte (è diviso) com otro meu regaengo d’ Ueiras pe lo rio de Ninha. Con quest’ ultimo nome si è probabilmente voluto indicare il fiumicello, che scorre in fondo alla valletta la quale che s’incontra a mezzo cammino tra Oeiras ed Algés. Ivi esistono in collina due gruppi di case anticamente distinti coi nomi di Ninha a Pastora e Ninha a Velha, e modernamente corrotti in Linda a Pastora e Linda a Velha. Sacavem. — Borgo circa quattordici chilometri al nord-est di Lisbona, presso la foce di un fiume che dal borgo medesimo generalmente si denomina, e che sbocca nel Tago. Sanuis. — Così nel Doc. IV. Forse Sanvis, abbreviazione di Sandvicus? Sandwich, porto dell’Inghilterra meridionale. Nella Carta catalana del 1375: Samux, 0 meglio Sanuix (Notices et extraits de la Bibl. du Roi, toni. XIV). Forse anche Sandowne (nelV Atlante Luxoro, tav. I, num. 74 S. Tua), in vicinanza di Londra ? Sines. — Borgo nella provincia d’Alentejo, quattro leghe e mezza a sud-ovest di Sant’Jago di Cacem. Ten^a. — Pensione sullo Stato. Nel Doc. XXXIV: Sua Maestà intrò in questo Regno......facendone mercede di tense 0 sia rendite. Termo. — Territorio, distretto. Ueiras. — Oeiras, borgo diciotto chilometri ad occidente di Lisbona, e bagnato da un fiumicello omonimo che a brevissima distanza mette foce nel Tago. Unhos, Hunhos. — Terra demaniale, ed ora villaggio nelle vicinanze di Lisbona, in contiguità degli altri regaengos di Friellas, Sacavem ecc. Vedor. — Ispettore, sovrintendente, soprastante. Veeiro de Metaaes. — Vena o cava di metalli. Villa Boim. — Villaggio che giace in una fertile pianura e dista una buona lega dalla città di Elvas. Fu fondato e posseduto da Don Giovanni de Abocin, grande favorito dei re Alfonso III e Dionigi, i quali lo arricchirono sfacciamele, per guisa che diventò uno dei più ricchi proprietari del Portogallo. In appresso fu feudo dei Duchi di Braganza, i quali ci aveano un castello dove nel 1581 ricevettero ed ospitarono Filippo II. Anticamente il villaggio era anche cinto di mura, che poi vennero smantellate; al presente novera circa 340 abitanti. Vintenas do mar. — Nel privilegio di Don Fernando, del 20 settembre 1383, citato nella Tavole Genealogiche sotto il nome di Lanzarotto I, questo vocabolo si riferisce alla rassegna dei marinai. Parrebbe che quando aveavi necessità del loro servizio, se ne chiamasse uno ogni venti iscritti. NOTA SULLA SPEDIZIONE DEI FRATELLI VIVALDI NEL MCCLXXXXI DEL SOCIO L. T. BELGRANO annalista Jacopo D’Oria, ultimo dei continuator} di Caffaro, lasciò scritto sotto la data del 1291: Eodem quippe anno Thedi-sius A urie, Ugolinus de Vivaldo et eius fra-ter , cum quibusdam aliis civibus farne, ceperunt facere quoddam viagium, quod aliquis usque nunc (1) facere minime attemptavit. Nam armaverunt optime duas galeas, et victualibus, aqua et aliis necessariis infra eis (2) impositis, miserunt eas de mense Madii de versus Strictum Septe, ut per mare Oceanum irent ad partes Indie, mercimonia utilia inde deferentes. In quibus iverunt dicli duo fratres de Vivaldo personaliter, et duo fratres Minores; quod quidem mirabile fuit non solum videntibus, sed etiam au- (1) Usque tunc ha il Codice di Caffaro della Biblioteca Universitaria di Genova, collazionato coll’apografo dell’Archivio Segreto della Repubblica dal notaio Piaggio nel 1772. (2) In eis (Cod. cit.). — 320 — dientibus. Et postquam locum qui dicitur Gavoni (i) transierunt, aliqua certa nova non habuerunt (2) de eis. Dominus autem eos custodiat, et sanos et incoi umes reducat ad propria (3). Ma il voto dell’ annalista rimase inascoltato;, perché dal cosi detto Itinerario d’Antoniotto Usodimare sappiamo che, dopo lunga navigazione, una delle galere diede in secco^nel mar di Guinea, dove fu forza lasciarla in abbandono. L’altra, continuando il tragitto, pervenne a una città della Nubia, chiamata Menam; dove l’equipaggio fu preso e ridotto in ischiavitù dagli abitanti. — Anno MCCLXXXI (sic; corr. 1291) recesserunt de civitate Janue due galee patronilate per dominos Vadinum et Guidimi (sic) de Vivaldis fratres, volentes ire in Levante ad partes ludiarum; que gallee multum navigaverunt. Sed quando fuerunt dicte duc gallee in hoc mare de Ghinoia, una earum se reperii in fundo sicco per modum quod non poterat ire, nec ante navigare. Alia vero navigavit et transivit per istud mare usque dum venirent ad civitatem unam Ethiopie nomine Menam, capti fuerunt et detempti ab illis de civitate, qui sunt Christiani de Ethiopia submissis (sic) Presbitero Johanni... Civitas ista est ad marinam prope flumen Sion (4). Predicti fuerunt taliter detempti, quod nemo illorum a partibus illis unquam r edidit (5). (1) Secondo i viaggiatori ed i cartografi europei la regione Gn\ola, Gbc-lola ecc. cominciava dal Capo Non, e comprendeva le due tribù dei Lamta e dei Gazola. Ved. Desimoni, Sugli scopritori genovesi ecc.; nel Giornate Ligustico, a. 1874, pag. 269. (2) Meglio, habuimus, come nel Cod. cit. (3) Caffari et continuatorum Annales Genuenses; ed. Pertz; pag. 335. (}) Gihon, cioè il Senegai. (5) Questo preteso Itinerario, ms. sec. XV nella nostra Universitaria, non 0: — 321 — Restava a conoscere se alcuno si fosse inai perigliato alla ricerca degli arditi ed infelici navigatori; ed ecco rispondere in modo affermativo 1’ autore anonimo di un piccolo trattato geografico, scritto nella prima metà del secolo XIV e recentemente scoperto dal signor Jimenez de la Espada. 11 quale dopo averne dato un breve cenno nella prefazione agli Andangas è viajes de Pero Tafur por diversas partes del Mundo avidos (1435-39), stampati nel tomo Vili della Colleccion de libros espaholes raros ò curiosos (Madrid, 1874); lo ha integralmente pubblicato in appendice al tomo II del Boletin de la Sociedad Geografica (Madrid, 1877),. con questo titolo: El Libro del coìioscimicnlo de todos los Rey nos, tierras y sehorios, que son por el Mando, que escribiò un franciscano espanol à mediados del siglo XIV. L’ autore del trattato racconta adunque che en la cibdat de Gragiona (nell’ Africa interiore, al sud del Senegai) le dixeron que alli fueron traidos los ginoveses que esca-par ou de la galea que se quebro en Amenuani, e de la olra galea que escapò nunca sopieron què se fio. Ma poi procedendo avanti sino a Magdasor nella Nubia (corrispondente alla Makadashu di Ibn Batuta e alla Maga-docia dei portoghesi), le dixeron de un ginovés, que di-xeron Ser Leonis, que fuera y en busca de su padre, que fucra en dos galeas de que conte de susso, è fi{ieronle toda ourra; è este Ser Leonis quysiera traspasar el ynperio de Gra;iona, c buscar à su padre; è este emperador de Mag- altro, come ben mostrò ilD’Avezac e confermò il Desinioni (Ved. Alti della Società Ligure ecc., voi. Ili, pag. cvm), fuorché una copia di varie tra le dichiarazioni e leggende che s’incontrano di frequente nelle carte idrografiche del medio evo, e miste alle favole racchiudono preziose notizie per la storia delle navigazioni e scoperte. Società Ligure di St. Patria. Voi. XV. 21 dasor non le consintiò yr, porque la yda era dubdosa, porque el camino es peligroso. Se non che, appena si sparse la notizia del prezioso Libro, levaronsi molti dubbi sull’ autenticità dello stesso. La quale ci sembra giustamente difesa dall’ egregio collega nostro, il signor Gabriele Gravier, laddove scrive: « Ce n’était certainement pas sans danger que le bon frère pouvait parcourir le longue route... iMais il con-vient d’observer qu’il voyageait sans intention de trafic ou de conquète, en simple curieux ; qu’il ne pouvait inspirer ni crainte nisoup^on; qu’il dutsouvent, cornine pour le trajet de l’Atlas ou fleuve de l’Or, s’engager sur les navires ou dans les caravanes qui fréquentaient habituellement les pays objet de sa curiosité; qu’il allait probablement beaucoup à l’aventure, à la grace de Dieu, en profitant des circonstances favorables; qu'il avait dii faire le sacrifice de sa vie, ce qui augmentait son audace et ses chances de succés; qu’il put avoir le méme bonheur que Marco Polo, Jean du Plain de Carpili, Guillaume Rubruk, Mandeville et tant d’autres qui firent des vo-yages non moins extraordinaires » (i). Da canto nostro esporremo tre osservazioni, le quali, sebbene ristrette al solo punto della spedizione Vivaldi, non riusciranno forse inutili al più sollecito scioglimento della disputa. La prima è che, nel racconto di questa spedizione, 1’ anonimo spagnuolo, riguardo alla parte sostanziale, si accorda coll’ Itinerario dell’ Usodimare, la cui narrazione é universalmente ricevuta per vera. Secondariamente, lo (i1) Gravier, Recbmbes sur les navigations etiropUnnes faites au moyen àge aux cótés occidentales d’Afrique ctc.; Paris, 1878; pag. 16. — 323 — stesso Usodimare conferma ancora con nuovi particolari cotesto racconto nella sua celebre lettera del 12 dicembre 1455, laddove dichiara di avere nelle citate regioni dell’Africa trovato (ad partes Ginnoié) hominem unum de natione nostra ex illis galeis, credo Vivalde, qui se amis-sernnt sunt anni CLXX (corr. 164), qui mihi dixit .. . non restabat ex ipso semine salvo ipso (1). In terzo luogo finalmente notiamo che, se si trattasse di uno scritto apocrifo, al falsario spagnuolo sarebbero mancati gli elementi per attribuire al figliuolo di uno dei fratelli Vivaldi il nome che propriamente gli risulta dalle carte genovesi. Dalle quali inflitti si evince che di Ugolino nacque Sorleone, il quale esercitava la mercatura, e nel 1302, essendo tuttavia minorenne, pigliava accomandite di denaro per trafficarlo in Sicilia. Di quest’anno appunto, comparendo innanzi al notaio Ambrogio di Rapallo, Sorleone nominava suo padre, senza 1’ aggiunta del quondam: indizio che non aveva rinunciato ancora alla dolce speranza di rivedere ed abbracciare il genitore (2). (1) Questa lettera fu pubblicata per la prima volta del Graberg de Hemso, negli Annali di Geografia ecc., voi li, pag. 285. Il Desimoni ha indicato come in più luoghi se ne debba correggere la lezione. — Giornale Ligustico, a. 1874, pag. 267 e 270. (2) Archivio Notarile in Genova. — Notulario di Ambrogio di Rapallo per 1’ anno 1302, car. 90. — Ego Surlconus de Vivaldo filius Ugolini confiteor vobis Guidi'to de Nigro, Guillielmo de Dodo et Pastono de Nigro, recipientibus procuratorio nomine Filiponi de Nigro . . . ine habuisse et recepisse a vobis . . . libras triginta tanuinorum . . . quas postquam de portu Janue exiero, portare debeo in Sicilia, sive cum ipsis navigare apud dictum locum, causa negotiandi el mercandi... Et confiteor ine esse maiorem annis XVII; et iuro ad sancta Dei evangelio, tactis scripturis corporaliter, predicta attendere. Et facio hec consilio testium infrascrip-torum, quos in hoc casu meos eligo et appello propinquos, vicinos et consiliatores. Actum Janue ante ecclesiam Sancti Laurentii, anno Dominice Nativitatis MCCCI1, indictione XIV, die XVII marcii, inter nonam et vesperas. Testes Francischus de Passatore, Petrus Bonaccursi notarius. — 324 — Conosciamo diversi rogiti nei quali i fratelli Ugolino e Vadino Vivaldi, per cagione di molteplici interessi, vengono rammentati; ma specialmente vuol essere citato un istrumento del 3 aprile 1291 — un mese avanti che cominciassero la fortunosa navigazione — donde emerge che in servigio della stessa procacciarono aver denari a cambio dai propri concittadini. In questo atto i due fratelli rilasciano ad Antonio Negrone la ricevuta di cinquecento lire di Genova, e promettono di pagargli invece la somma di 527 doppie d’oro buono e di giusto peso, allorché approderanno all’ isola di Maiorca (1). Da tali atti emerge altresì che Ugolino e Valdino erano figliuoli di Amighetto qm. Guglielmo, e di Gio-vannina figlia a Giovanni Zaccaria (2): famiglia anche questa, per valorose imprese sul mare e per copia di ricchezze, sommamente cospicua. Recando in principio le parole del continuatore di Cafta ro, abbiamo pure fatta menzione diTedisio D’Oria; il quale da molti scrittori è dato eziandio per compagno di viaggio ai Vivaldi. Ma veramente non disse così l’annalista, di cui il nostro armatore era nipote. Egli (1) Arch. cit. — Notulario di Angelino da Sestri pel 1291, car. 199. — Ego Vadintii de Vivaldo confiteor libi Antonio de Nigrono me prò me et Ugolino fratre meo bahuisse et recepisse a te libras quingentas ianuinorum ... Unde et pro quibus, et ex causa cambii quarum, libi vel tuo certo nuncio dare el solvere promitto per vie vel meum missum in Maiori ca dublerios quingentos vigiliti septem auri boni, rasidi et insti ponderis, ad voluntatem tuam et quandocumque volueris etc. Actum Janue ante stationem Malocellorum. Anno Dominice Nativitatis MCCXCJ, die 111 aprilis. (2) Arch. cit. — Negli atti di detto Angelino, sotto la data del 13 agosto 1264, Giovannina figlia ed erede per una terza parte di Giovanni Zaccaria, e moglie d’Amighetto Vivaldi, rilascia quitanza. E ne’ rogiti di Guglielmo da San Giorgio, sotto il 5 settembre 1284: Ugolinus de Vivaldo filius Amiceli etc. — 325 — ebbe parte nello apprestar le navi destinate all’ ardita impresa, né perciò é scarso il suo merito; ma soli i Vivaldi si imbarcarono personalmente sopra quei legni. Nè 1’ Itinerario dell’ Usodimare, né altri fra gii antichi, per quanto ora si ricorda da noi, confusero Tedisio coi navigatori; che monsignor Giustiniani dovette essere il primo a identificare le due parti del racconto — l’armamento cioè delle galee e la loro navigazione — nel-1’ annalista sincrono perfettamente distinte. Del resto 1’ attenta lettura degli stessi cronisti avrebbe dovuto indurre senz’altro a correggere l’equivoco, trovandosi la memoria di esso Tedisio ripetutamente registrata nell’ anno successivo alla spedizione, (i). Né occorre il dubbio che trattisi di un omonimo, perché la genealogia dei D’Oria non segna alcuno di nome Tedisio, contemporaneo al nostro armatore; il quale era figlio di Lamba, il famoso ammiraglio che nel 1298 trionfò dei veneziani presso Curzola. Tedisio stesso, appena giovinetto, aveva combattuto nel 1284 allo scoglio della Meloria, essendo imbarcato sulla galea San Matteo ; dove tutti quelli della sua stirpe, atti alle armi, si trovavano raccolti in numero di ben dugentocinquanta (2). Ma oltre il detto degli annalisti, anche i documenti concorrono a dimostrare la presenza del D’ Oria in Genova, dopo che i Vivaldi si erano avventurati al mare ignoto. Con atto del 24 maggio 1292, Tedisio rilascia quitanza della indennità pagatagli da Romano Di Negro (1) Caffari et Continuatorum Annales, pag. 340-41. 343. (2) D’ Oria, La chiesa di San Matteo in Genova, pag. 250 e segg., sotto il num. 195. — 326 — per la fuga di un marinaio (i). Con altro del 12 febbraio 1293 egli entra mallevadore delle promesse fotte al Comune di Genova dal conte Lotto di Donoratico, già prigioniero di guerra del medesimo (2). Opina l’illustre Canale che una delle galere della spedizione Vivaldi sia stata l'Allegrando,, della quale Tedisio fa menzione in un rogito del 26 marzo 1291 ; e che da questa appunto sia derivato il nome di Allegratila ad una delle isole Canarie. Veramente la galea, stando a questo rogito, avrebbe dovuto navigare alle parti di Romania, anziché verso regioni sconosciute (3); ma può darsi benissimo che T armatore mutasse parere ; e giustamente avverte il eh. Desimoni, che dell’ applicazione dei nomi delle navi scopritrici alle terre scoperte non iscarseggiano gli esempi. (4). Tornando ai fratelli Vivaldi, e concludendo, notiamo che appunto da costoro ha principio la serie dei navigatori e scopritori genovesi alla ricerca delle agognate contrade e dei commerci dell’india. Ma oltre di questi due, ed oltre del recentemente noto Sorleone, anche un altro della loro casa dovette non molto più tardi approdare a cotesti rimoti paesi. Egli é un Benedetto, che le note (1) Notulario di Angelino da Sestri, anno 1274 in 1292, car. 171. — Ego Thedisius Aurie confiteor libi Romano de Nigro ... Imbuisse et recepisse a le libras duas et solidos decem el octo Janue, occasione Jìdeiussionis que fecisti prò Conradino filio qm. Lanfrahci Convastese de Palodio, marinario fugitivo galee mee viagii Neapolis etc. (2) Archivio di Stato in Genova. — Materie Politiche, mazzo VII. (3) Confessa il D’Oria che Daniele Tarigo ha impiegate 75 lire nelle galere di lui, quarum una vocatur Sanctus Antonius et altera Allegrancia, transeuntes ad presens, dante Domino, ad partes Romanie. — Notulario di Angelino da Sestri, a. 1291, car. 168. (4) Desimoni, Scopritori genovesi ecc., pag. 266. — 327 — genealogiche ci mostrano figlio di Corrado, fratello di Ugolino (i); e altrove abbiamo narrato di lui come nel 13 15, disertando dalla galea d’Angelino De Mari, avesse fondato insieme a Percivalle Stancone, nelle parti del-l’India, una società di commercio sotto il nome di Ragione Vivaldi (2). (1) Battilana , Genealogie delle famiglie, nobili di Genova; Fani. Vivaldi, pag. 2. (2) Archivio Storico Italiano, serie III, voi. II, par. Il, pag. 127. PERO TAFUR, I SUOI VIAGGI IL SUO INCONTRO COL VENEZIANO NICOLÒ DE’ CONTI PEL SOCIO CORNELIO DESIMONI >J/'À!r« 'a fcC * \C f' /S V vCA -T/^ 'V''-Ul*1 , V , 5 ) (:'(%^^r^/h' % fpP ero Tafur fu un Casigliano della corte del re Giovanni II, militò nel 1431-32 sotto le bandiere del Maestro di Calatrava, Don Luigi di Guzman. Cominciò a viaggiare verso il novembre 1435, ripatriò fra il marzo e l’aprile 1439; ripigliò le sue stanze in Cordova, e dopo quattordici o quindici anni dal ritorno compiè la descrizione del suo viaggio. Ma questo rimase inedito fino al 1874, quando a Madrid lo si stampava sotto l’indirizzo e colla giunta di erudite note del chiarissimo sig. Jimenez de la Espada (1). Il nostro viaggiatore non curando guari la indicazione delle date, è duopo desumerle dagli eventi storici da lui commemorati e da alcune feste solenni. E siccome scrive forse in parte di memoria e dopo parecchi anni, non è sempre facile concordare le sue indicazioni di tempo che talora paiono contraddirsi. Egli s’imbarca a (1) Pero Tafur, Andari gas y Viajes ; Madrid, 1874. Devo la cognizione di questo libro alla consueta, inesauribile, cortesia del Conte Riant di Parigi. Appena compiuto il mio articolo ho potuto leggerne un altro sul medesimo soggetto, che 1’ illustre Prof. Heyd di Stoccarda gentilmente m’inviò ed è stampato nel periodico tedesco VAwlandy 20 giugno p. p., n.° 25, sotto il titolo: Dcr Reiscndc Niccolò de' Conti. — 332 “ San Lucar di Barrameda e per costa viene allo stretto di Gibilterra ; trova questa Città assediata dal Conte di Niebla Enrico di Guzman, come parte della campagna d’allora contro i Mori. Come è noto, il Conte si annegò in mare e la sua armata sciolse l’assedio, ritirandosi a Siviglia. Tafur continua il viaggio e in ventisei giorni giunge a Nizza la vigilia di Natale; l’indomani è a Savona gentile città, poi a Genova; ove rammenta la uccisione del Governatore Opicino d’Alzate, la città ribellatasi al dominio di Filippo Maria Visconti e restituitasi a libertà. Ora ecco già una contraddizione; perchè, come ben avverte il S. Jimenez, il Conte di Niebla non si annegò che il 31 agosto 1436, mentre Opicino d’Alzate fu ucciso e la città sollevatasi il 27 dicemhre 1435 (1). Secondo me però la cosa si può conciliare; ammettendo che l’annegamento, posteriore al passaggio di Tafur per Gibilterra, fu da lui aggiunto più tardi nel compilare il suo lavoro e come chiarimento e complemento della narrazione. Noi perciò stimiamo col chiarissimo Editore, che veramente il viaggiatore sia partito sulla fine di novembre 1435 e abbia trovata fresca, forse anche veduta coi proprii occhi, la restituzione della Repubblica libera genovese. Tafur si stende nelle lodi di Genova ove si fermò quindici giorni ed ebbe quistioni con mercanti che la Signoria gli compose con sua soddisfazione. Ne ammira i commerci e la potenza marittima, che sarebbe maggiore se non fosse per le discordie intestine che la travagliano. Ucciso il Governatore del Duca di Milano e rovinato il Castelletto, Genova si regge a Repubblica per industria e sapere; ha molte città sotto di se, e ville e castella; ha dominii oltremare, Pera e Caffa e Castelli nel mar d’ Azof e nel-1’Asia minore; e isole nell’Arcipelago, Scio e Metelino, e Fama-gosta in Cipro; il padre del re ivi regnante al tempo di Tafur (1) Quest’ultima data varia secondo i diversi Storici, perché qui appunto cessava di scrivere il grave e contemporaneo Stella. Perciò abbiamo attinto alle fonti ufficiali dell’Archivio di Stato e per questa data e per le successive (anch’esse finora rimaste incerte) della elezione del nuovo Doge. Nei Registri Litterarum Covinnis Janue, 1434-57, n.° 7, abbiamo al 27 dicembre 1435 la notificazione officiale al Papa della ricuperata libertà e della morte d’Opicino oggi stesso; al 29 marzo 1436 Isnardo Guarco notifica ad Amedeo di Savoja la sua assunzione a Doge avvenuta ieri; il 5 aprile Tomaso di Campo Fregoso è sostituito al Guarco oggi stesso, hodie. — 333 — era nato prigione in questa torre del Faro. Le sue caracche sono le migliori del mondo (i); ha buon porto e molo con due Fari, che ardono tutta la notte, il maggiore e il minore, questo per indicare l’entrata in porto, il tutto fatto a grandi spese; mare poco pescoso; ha notevoli monasteri e chiese, specie è da ammirare la porta di San Lorenzo e il sacro Catino; le vie strette, aspri gli sbocchi, le torri alte e le case a quattro, cinque e più piani, alti di statura uomini e donne, belli di colore ma non di forme {faxiones). La popolazione è industriosa in una terra scarsa di vettovaglia, ben ordinata ne’ suoi affari; ricchezza molta, ma costumi buoni e semplici; pochi vizi perchè pochi diletti, la terra non è disposta a ciò; il matrimonio contratto per riflessione, le doti parche, le mogli caste nonostante le lunghe assenze de’ mariti , ed esse raramente e non senza gran vergogna passano alle seconde nozze. Il nostro viaggiatore giungeva a Genova per mare in una caracca del genovese Gerolamo Voltaggio che navigava di conserva con altre due di Stefano e Gerolamo Doria. Costeggiando per quaranta miglia fino a Genova aveva egli ammirato una vista che dice la più bella del mondo: pare tutta una città, tanto è frequente di palazzi, di case, di popolo. Ma già dal principio della sua navigazione aveva appreso a stimare la valentia dei genovesi nella navigazione e la loro operosità nei commerci più lontani. Egli cita un Casal de Genovesi presso Algesiras: i negozianti loro in Siviglia aveano allogato nelle tre caracche partenti alla volta di Genova gran ricchezza: parecchi di loro avean preso posto nel convoglio e vi aveano imbarcata gente e munizioni pel timore de: nemici Catalani, le cui coste si doveano percorrere. Quelle navi poggiavano prima verso l’Africa e dimoravano tre giorni ad Arzilla, lasciandovi certe merci e caricandòvene altre. Ripigliando il mare videro due velieri molto grandi, e sospettandoli de’ nemici si ricoverarono a Tangeri mentre le navi sospette continuavano verso (i) Nel 1472 il genovese Francesco Giustiniani aveva in mare il più grosso vascello che si conoscesse a que’ tempi (Ròhricht, Deutsche Pilgerreisen, Berlino 1880, p. 104 e Archivio Storico Italiano , 1881, Vili, 256). Nella Biblioteca Brignole-Sale-De Ferrari trovo un Catalogo (ms.) di cose genovesi esistenti negli Archivii e Biblioteche di Francia ; ed ivi a p. 389 è indicata una Memoria: Sur les Carraques Génoises daus la connaissancc de la Naviga tion par Autoine de Conjlans. _ O ■> I _ :>34 Cadice. Da Tangeri si passa a Ceuta e lì si viene a sapere che quelle vele erano di concittadini, venuti a prestar loro manforte in caso di bisogno. I Messi dei due convogli si accordarono di darsi la posta a Malaga, dove i compagni di Tafur scesero a rendere certi carichi e pigliarne altri, fermandosi ivi nove giorni. Frattanto giunsero da Cadice le navi amiche, misero gente nel convoglio che s’inoltrava verso le nemiche coste di Catalogna o d’Aragona: aneli’esse presero qui mercanzie, poi si separarono dalle caracche ripatrianti per tornare a Cadice e inoltrarsi di là fino alla Fiandra pei loro commerci. Armate, come erano di tutto punto , le nostre caracche nulla ebbero soffrire di offese dal nemico, ma in compenso ebbero grandissimo travaglio e pericolo per una tempesta, durante la quale i viaggiatori si votarono alla Madonna. Giunti che furono al porto di Genova, prima di entrare in città, si recarono a sciogliere il voto al Santuario di Nostra Donna di Coronata, a mezza lega a ponente di Genova (i). Tafur trovò ancora qui, alla malapaga prigioni, parecchi cavalieri presi coi re di Aragona e di Navarra alla battaglia di Ponza (1435, 5 agosto). Le Riviere erano ancora in parte nelle mani di Filippo Maria Visconti 0 da lui donate al re di Aragona; essendo capitano di quelle forze, nemiche ai Genovesi, Nicolò Piccinino. Perciò il viaggiatore, lasciando la città, ebbe da questo capitano salvocondotto e protezione per Sestri di Levante a Lerici; accompagnato da quattro prigionieri genovesi come ostaggi per la sicurezza e buon trattamento di lui. Non è proposito nostro riferire per filo e per segno la continuazione dei viaggi di Tafur. Per Firenze va a Bologna ove visita Papa Eugenio IV, poi a Venezia ove festeggia 1’ Ascensione (17 maggio 1436): s’imbarca per P Adriatico e l’Oriente, vede Rodi e Cipro, donde fa una scorsa a Gerusalemme e a Beirut e per le coste d’Armenia minore ritorna a Cipro. A Famagosta è malaria e malaacqua: egli s’interna 1 Nicosia la Capitale che è più sana e vi trova un cannazionale, Mosem Suarez Ammiraglio (1) L’Illustratore sig. Jimenez, non pratico di Genova, non seppe riconoscere qui di quale Chiesa si trattasse. — 335 ~ di quel re. Questi, secondo Tafur, fu l’agente principale alla liberazione di esso re dalla prigionia del sultano d’Egitto, ma vedremo più avanti il testimonio d’un Autore ben informato che ne dà merito a un genovese. I afur passa in Egitto, da Alessandria discende al Cairo, visita a una lega dalla città il luogo di Matareo ove si fa il famoso balsamo (i); va al Santuario di S. Catterina al Monte Sinai dove ode che stava giungendo la Carovana dell’ India, con grandi ricchezze, camelli carichi di spezierie, perle, profumi, pappagalli, gatti d’india ecc. Egli allora le va incontro una lega fino alla costa del Mar Rosso, e vede giungere colla carovana un Veneziano, Nicolò de’ Conti. Fanno amicizia, ritornano insieme al Sinai, poi al Cairo ; tenendo lunghi ragionari sulle avventure di viaggio, di che più avanti riparleremo. Nicolò de’ Conti vi rimane ancora consegnando al nuovo amico commendatizie per Venezia; Tafur per Damietta e Rosetta passa ad Alessandria, di là nuovamente a Cipro e per 1' Armenia minore a Rodi ; donde salendo le coste dell’ Asia Minore visita Scio, Metellino, Samo, Foggiavecchia e Tenedo, rammentando le rovine di Troia; e si arresta a Costantinopoli e a Pera de’ Genovesi che gli sta rimpetto. A Pera il nostro Podestà lo accolse molto bene: la città è ben murata; la palizzata (le fortificazioni) di questa città sono una delle cose maggiori del mondo: buon fosso e buona barriera, buoni soldati, alti al modo di Genova; buoni monasteri e chiese, la loggia e palazzo del comune molto ben costrutti ed ornati, una popolazione di quasi 2000 anime, un mare profondo e limpido che più non può essere, da accogliere presso la città qualunque nave per grande che sia. Anche a Costantinopoli il mare, se è basso dalla parte della Turchia, è tanto profondo da quella d’ Europa che il naviglio di qua- (i) Dell’orto del balsamo a Matareo parlano moltissimi viaggiatori e pellegrini, come sì può vedere (per non parlare che dei più recenti) in Heyd, Gesch. des Lwantebaidels, Stoccarda 1879, II, 566 e segg. — Ròhricht, Op. cit., 1880, p. 37 — Matkovic, Gjuro Hus (Georgii Hus^thii Peregrinatio), Zagabria 1881 (in slavo meridionale), pp. 49, 82 ; il qaale autore, nella dotta sua Prefazione al testo latino, riassume la bibliografia su questo soggetto. Finalmente ne parlano anche Da Poggibonsi , Il libro di Oltremare, Bologna, Romagnoli, 18S1, II, 78; e il Diario di Felice Brancacci, Ambasciatore al Cairo nel 1422 (.Archivio Storico Italiano, 1S81, Vili, 176-7). lunque portata vi ha passaggio: ma ciò tanto vicino al muro clic un uomo dall’ alto potrebbe saltar sulla nave. È quivi il monastero di donne di San Demetrio, (i Genovesi nel XII secolo vi avevano vicini od anche attigui i loro Quartieri) (2), vedesi questo perfino dalla costa turca di faccia dove sta una torre: si dice che anticamente qui fosse una catena fra le due coste , la quale quando si alzava, le navi non potean passare: ciò non tanto per magnificenza quanto per riscuotere i diritti di dogana. Tafur qui visita Costantino, il fratello dell’ Imperatore assente allora in Occidente e lui stesso poi ultimo imperatore di Costantinopoli. Desideroso di vedere il Gran Turco (Amurat II) che regnava in Adrianopoli agognando la conquista di tutto l’Impero, il viaggiatore se ne apre col Luogotenente imperiale, il quale lo raccomanda ad un Mercante Genovese di qui che ha relazioni ed ha un fratello in Adrianopoli, molto in credito presso quel Gran Signore. Cosi potè parlare a questo, uomo di torse 45 anni con 300 e più donne, giullari, falconi, astori, leopardi, pellicerie d’armellino, di zibellino ecc. Il Genovese gli fece veder tutto e lodava i turchi, molto nobile gente che amano la verità, vivono come cavalieri (fidalghi), allegri, umani, di buona conversazione. Tafur secondo il costume di que’ tempi confondeva i turchi cogli antichi Teucri o Trojani. E vedendo le rovine della città di Priamo (o quelle’che stimava tali) esclama: ah! bene i Teucri si sono vendicati dei Greci ed hanno vendicato Troja. Volendo egli visitare il Mar Nero e Caffa, dal Luogotenente dell’imperatore, come anche da un patrone di nave sivigliano, fu raccomandato ad un genovese che andava da quelle parti. Passarono lo stretto di Romania, giunsero a Sinope, Castel dei Genovesi in Turchia (nell’Asia minore) e vi stettero due giorni caricando e scaricando merci, poi a Trebisonda. Ivi accenna a quella famiglia imperiale le cui persone si legano colla più parte delle altre famiglie dominanti in Oriente; Calojanni e Alessandro i due figli di Alessio IV Comneno di Trebisonda si caccian l’un l’altro dal trono e cacciano il padre; ed Alessandro in esilio si ricovera (1) DESIMO»!, I Quartieri dei Genovesi a Costantinopoli (nel Giornale Ligustico, 1874, p. 173). — 337 — presso il padre di sua moglie Maria che è Dorino (i) Gattilusio, il genovese signore dell’ isola di Metellino. Un’ altra fi-glia di Dorino, Catterina, avea sposato Costantino il Luogotenente imperiale di Costantinopoli che, come si è già detto, morto il fratello fu egli l’ultimo imperatore. Da sua parte Giovanni, l’Imperatore bizantino al tempo di Tafur, avea sposato in terze nozze Maria di Trebisonda, la sorella di Calojanni e di Alessandro. In questo intreccio di parentele si capisce perfettamente quanto Tafur racconta: che giunto egli a Metellino vi trovò ricoverato, presso il suocero Dorino, Alessandro il pretendente di Trebisonda; giunto a Costantinopoli, l’Imperatrice Maria gli chiede notizia di suo fratello l’imperatore di Trebisonda: giunto infine al ritorno in Ferrara presso Papa Eugenio, reca all’ Imperatore Giovanni lettere di sua moglie e del fratello di lui Costantino. Ma ecco il nostro viaggiatore da Trebisonda giunge a Caffa, la capitale dei possedimenti genovesi in Crimea, la loro perla del Mar Nero, come Pera lo era del Bosforo; entrambe, come altri le chiamano, i due occhi di Genova in Oriente. Tafur che sembra ricercare con maggior attenzione tutto ciò che si attiene alle cose nostre, si diffonde di nuovo lungamente intorno a Caffa ; e noi amiamo ripeterne in gran parte quasi colle stesse sue parole la narrazione. Caffa nell’impero di Tartaria è tanto fredda nell’inverno che le navi gelano in porto. Essa è città genovese che l’imperatore di colà loro permise di popolare, non supponendo che arriverebbero a tanta potenza. Sbarcato che fu il viaggiatore all’albergo dove il Patrone aveva i suoi compagni, vi alloggiò anch’ egli e all’ indomani fu al Monastero di San Francesco, che è cosa molto gentile ' O e vi udi messa. Poi andò ad ossequiare il Podestà (Paolo Imperiale) che lo accolse bene e gli chiese se potea fare per lui alcun uffizio; il che farebbe di buon grado, essendo in grande amore e debito verso la nazione spagnuola ove, vivendo a Siviglia, fu ben (i) 11 sig. Jimenez chiama Francesco li questo principe, ma io lo vedo sempre detto Dorino; sia nello storico Ducas, che conosceva perfettamente la famiglia dei Gattilusio, sia nei documenti dell’Archivio genovese pubblicati nel Giornale Ligustico , 1875-1878. 11 nome di Francesco li è tanto più da evitare, in quanto vi è già abbastanza confusione sotto lo stesso nome nella genealogia Gattilusio. Basti avvertirlo, perchè a trattarne ci vorrebbero troppe parole. Società Ligìirc di St. Patria. Voi. XV. 22 trattato. Caffa è grande come o poco più di Siviglia, ma ha due tanti più di popolazione; cristiani, greci e di alfe nazioni. Essa è murata mediocremente, cinta da fosso piccolo, ma ben fornita di balestre, bombarde, treni, spingarde, colubrine e di ogni artiglieria difensiva. Son pochi giorni (dice Tafur ma si tratta del disastro di Carlo Lomellino avvenuto due anni prima, nel giugno 1434) che i genovesi di colà andarono con molta gente contro Solcati, la città migliore che sia in Tartaria; ma gli indigeni ne furono avven ti e sorpresero essi i genovesi, presero loro le bandiere , ne uccisero moltissimi, inseguirono il resto lino a Caffa e salendo con furia sulle mura poco mancò che non prendessero anche la Capitale. Quell’ Imperatore vedutala tanto fiorente 1’ avrebbe volentieri, talvolta presa e disfatta, ma i Baroni ed anche la gente comune non consentono , perchè è per loro una fonte di grandi profitti: d’altra parte i Genovesi hanno disarmato i sudditi. Dalle parti di Persia e dell’india, dal Caspio, dal Mare d’Azof, dal Mar Nero affluiscono qui mercanzie d’ ogni sorta, spezierie, oro, pietre, perle; nella terra de Tartari è la pellicceria maggiore di tutto il mondo. Ma altro ramo fra i più notevoli è il commercio degli schiavi. I Tartari li rubano o i genitori stessi li vendono; e quando questi tali escono dalla città volgono ad essa la faccia, arman l’arco e tiran la freccia contro il muro, e dicono che per tal guisa restano assoluti dal peccato commesso. Dicono pure che il vender figli non è peccato, perchè è un frutto che Dio loro dà e da potersene approfittare; e che, colà dove i figli son tratti,’Dio farà loro mercede più che qui. In questa Città si vendono schiavi più che altrove e il soldano d’ Egitto vi tiene fattoria per comprarne e farne i suoi mamalucchi. I cristiani hanno bolla dal Papa per comprare schiavi della loro religione e tenerli perchè non vadano in mano di mori che lor facciano rinnegare la fede; questi schiavi sono russi, mingrelii, abeasi, circassi, bulgari, armeni ecc., tutti di fede cristiana: Tafur ne comprò alcuni. Il contratto si fa nel modo seguente. Il venditore fa spogliare nudi maschi e femine, ma loro poi sovrappone un gabbano: si fa il prezzo e dopo convenuto si toglie loro il gabbano e si fanno passeggiare per ricono- — 339 — scere se hanno difetti. Il compratore ha diritto di ricuperare il danaro, se lo schiavo muore di peste entro sessanta giorni. Se vi ha fra questi qualche tartaro maschio o femina, vale un terzo di più: perchè si è certi che un tartaro non mai tradisce il suo signore. In Città però non vi è peste: il che è cosa meravigliosa, tante e sì strane sono le nazioni che vi concorrono. E veramente, se non fosse pei genovesi che ci sono, sembra che gli abitanti di quelle regioni non abbiano somiglianza colla nostra natura : diverse nelle vesti, nel mangiare, nei costumi delle donne; delle quali anche vergini fanno offerta e portano nell’ alloggio al forestiero per una misura di vino; essendocche di vino hanno carestia e d’ ogni frutta ed anche di pane. È vero che in Città si trova di tutto, portandolo i mercanti, ma è caro; perciò succedono molti furti. I tartari sono molto guerrieri, sopportano grandi fatiche essi e i loro cavalli, e con poco si mantengono. Quando cavalcano alla guerra sono avvezzi a porre la carne da mangiare tra il costato e la sella, e non la cuociono di più di quello che ivi si cuoce. Essi distruggono ogni sorta di cristiani e li portano a vendere a Caffa; tanto più dopo che mori il Duca Vitoldo che signoreggiava tutta la Lituania e la Russia ed era germano del Re di Polonia. Vitoldo morì senza eredi. La signoria sarebbe toccata a quel Re ma essi non lo vollero e in parte si divisero, anzi si perderono. Tafur s’ inoltrò'ancora fino alla Tana (Azof), vide quel gran fiume (il Don) che dicono venire dal Paradiso terrestre in comune origine col Nilo, e per 1’ India maggiore e per la Persia confondersi tanto col Mar Nero come col Caspio. In questo fiume di Tana o del Don stanno due Castelli, uno di Genovesi, l’altro di Veneziani ove ripongono le merci loro. Quivi son molti pesci, di cui caricano molte navi; specie è gran copia di sturioni, che colà si chiamano sollos; molto pesce anche salato. Tafur 1’ ha visto portare fino a Castiglia ed alla Fiandra. Certi pesci li chiamano vierona; si dice che son molto grandi e di questi riempiono botti e li portano a vendere pel mondo, specie in Grecia e in Turchia e lo chiamano Caviar (i). Questo è come (i) Sul commercio del caviar di Crimea è cenno più volte nei Registri della Masseria di Caffa nel-rArchivio di San Giorgio; si veda anche Heyd, op. cit., II, 193, 379, 394. — 340 — prosciutto nero, lo prendono molle con un cuchiaio, lo mettono sulla brace e si fa' duro; sembra come uova di pesce ed è molto salato. Le donne e il più degli uomini vestono di una seta sottile di que’ luoghi e di lavorio minuto, come le nostre moresche. Gli uomini portano mantelli di feltro sottile come panno ma senza cucitura perchè compresso. Loro armi sono scimitarre, archi, frecce. Il viaggiatore fu anche a Solcati (la capitale allora della Crimea) (i); donde andò a vedere 1’ Orda cioè la Corte, e il Basar cioè la piazza del gran Chan di quei Tartari. La popolazione quivi forma come una gran Città; dicono che ivi sta il gran Cadì che governa questa gente, e dall’ altra parte a sinistra sta altra popolazione simile col suo gran Cadì. Le loro case sono mobili, di vergato, di tela; se accada di dover mutare la Città in altra regione, rimettono poi i carri loro collo stesso ordine come se non si fossero mossi di luogo. Non mangian che riso con latte di camelli e carne di cavallo, non han notizia di vino, sono maomettani; non hanno propriamente città o ville ma vivono pei campi; se non han guerra co’ cristiani, se la fanno fra loro e rubano quanto possono senza temer di giustizia, non se lo hanno nemmeno a male tra se. Comunemente sono piccoli di corpo ed anche di spalle, fronte molto ampia, occhi piccoli; dicono che i più difformi sono i più nobili (fidalgos). Tafur volea spingersi ancora nell’ interno della Tartaria ma ne fu sconsigliato; non essendovi sicurezza in mezzo a gente che va pei campi sciolta e senza obbedienza.di signore. Allora pensò al ritorno, rivide Trebisonda, Costantinopoli e Pera, e Metellino; per Negroponte ritorna a Venezia ove visita il Cardinale di Cipro « fratello » (zio) di quel Re : è qui il giorno dell’Ascensione (i) Le notizie che porge su questa parte di viaggio il sig. Jimencz contengono qualche inesattezza e vorrebbero essere più chiare, ma non è qui il luogo a ciò. Basti dire che Agi Gherai fu Chan della Crimea fino al 1466, e che degli otto suoi figli niuno ebbe nome Olobi. Quest’ ultimo nome appartiene invece ad un Principe della Gozia, sulla Riviera della Crimea, suo contemporanco. Solcati (Eski o vecchio Krim) fu la capitale provinciale di questa Penisola, finché fu soggetta all’ Impero del Kipciak ; rimase tale per un tempo, anche quando Agi Gherai scosse il giogo dichiarandosi indipendente ; poi la capitale passò a Kirkor, l’attuale Ciufut Kale (Castello degli Ebrei); infine verso il 1480 il Chan trasferì la sua sede da Kirkor alla vicina valle, ed ivi sorse Bagci Serai, l’odierna Capitale. — 34i — (22 maggio 1438), passa a Ferrara e alle feste di Pentecoste (1 e 2 giugno) vede il Papa e l’Imperatore di Costantinopoli Giovanni, a cui reca lettere della moglie e del fratello Costantino. Gli restava ancora fra le supreme autorità a visitare il Concilio di Basilea e 1’ Imperatore de’ Romani la cui Corte a Breslavia riuniva i Legati del Papa, di Genova, di Firenze e d’ Aragona; e anche di queste due vedute volle appagarsi il viaggiatore. Ritornato in Italia non trova più a Ferrara Eugenio IV che era partito per Firenze (16 gennaio 1439), ma lo rivede in quest’ ultima Città insieme all’ Imperatore Bizantino. Infine traversa rapidamente 1’ Italia per vedere Catania in Sicilia e il Mongibello che dice la terza bocca dell’ inferno; e ritorna alla patria. Il racconto di Tafur riceve pregio anche maggiore dalle erudite illustrazioni del sig. Jimenez de la Espada, il quale supplisce del suo le date degli avvenimenti storici che mancano in generale nel testo ; come aggiunge anche i nomi proprii degli imperatori e signori di cui vi si parla; 1' editore ne spiega le genealogie e chiarisce i casi che facciano meglio comprendere il testo. A proposito di cose nostre, Jimenez cita il passò di Monstrelet che attribuisce al genovese Benedetto Pallavicino la opera più efficace pel riscatto del Re Giano di Cipro, caduto prigione del Sultano d’ Egitto nella battaglia di Chierochitia del sei 0 sette luglio 1426; laddove il Tafur dà questo merito principale al suo connazionale Mosem Suarez Ammiraglio di Cipro. E commentando Tafur, dove questi parla del Podestà di Caffa, il chiarissimo Editore rileva che questi allora era Paolo Imperiale, uomo illustre, cui Eugenio IV, pel suo calore a- sostenere la causa cristiana, orforò del titolo di Conte Palatino. Qui il sig. Jimenez aggiunge che probabilmente questo Paolo era parente di Francesco Imperiale, suo contemporaneo, il trovatore ben noto in Ispagna per le sue coblas eccellenti e specie pei suoi versi e i suoi requiebros in lode di Donna Angelina. La quale, nipote del Re di Ungheria, era rimasta prigione e schiava per • una delle conquiste di Bajazet, ma, nella vittoria di Tamerlano sopra Bajazet, passata come parte di bottino al vincitore, fu riscattata e divenne sposa felice del Reggitore Contreras. 9 — 342 — Un’ altra donzella nobile e forse sorella o parente sua, Donna Maria, le fu compagna in queste avventure; senonchè fosse « più bianda o più richiesta » , ebbe sorte più tempestosa. Pajo Gomez en la fontana de xodar vi à la nina de ojos bellos e’ finquè ferido d’ ellos sin tenir de vida un ora. Donna Maria « perdette ciò che è impossibile ricuperare. I freschi » rumori di quella fonte suonarono uniti agli echi di quella Copia », finché, cercato dal Re per punirlo, Pajo Gomez riparò in Gallizia e di là in Francia; ma il Principe Don Juan gli impetrò il perdono; i nodi contratti presso la fontana furono legittimati, rotti però troppo presto per la morte immatura del Cavaliere (i). Il ch. Illustratore avverte ancora inesattezze cronologiche, di cui abbiamo già avuto un esempio nella partenza di Tafur e nel suo arrivo a Genova; le quali nonostanti, egli ha ragione di affermare 1’ importanza del viaggio e del viaggiatore, e le minute particolarità lungo i tanti paesi percorsi, che non sono smentite dalla storia o da altri documenti. Tuttavia alcune volte si rimane dubbiosi ad affidarsi con piena sicurezza a quei racconti; quando per esempio egli non si cura di tramandarci i nomi degli imperatori, de’ re, de’ signori, dei Podestà genovesi di Pera o di Caffi, e parla di pochi giorni, dove dovea dire due anni o più, a proposito del disastro dei Genovesi a Solcati. Così in altre parti passa.sopra a circostanze ed avvenimenti capitali, mentre si diffonde su cose mi- A ' nime o di non grande rilievo. Ma queste sono obbiezioni che si potrebbero fare a molti altri viaggiatori, i cui racconti sono certamente autentici. Una più grave obbiezione alla buona fede di Tafur per nostro avviso è quella che riguarda le sue relazioni col veneziano Nicolò de’ Conti. Delle quali abbiamo appena accennato nell’ analisi nostra del viaggio, perchè ci volevamo riservare in fine 1’ agio di trattarne colla ampiezza che meritano. (0 ^ queste avventure parla più ampiamente il Discorso hecho por Gonzalo Argote de Molina sobre el itinerario de Ruy Gon^ales de Clavijo (Prefazione all’itinerario medesimo, Madrid 1872). Ivi è riferita per intero una Canzone spagnuola che compose in lode di Donna Angelina Micer Francisco Imperiai, Cabotiero Genoves que residia en Sevi ila. — 343 — . Vedemmo che Tafur, essendo in pellegrinaggio a Santa Cat-terina del Sinai, udì che si appressava la carovana dell’ India e andò a incontrarla a una lega di là sulla costa del Mar Rosso; fu allora che vide giunto con quella carovana Nicolò de’ Conti e si fece tosto a lui amico; andarono di colà al Monte Sinai e dal Monte al Cairo, ove stettero insieme per molti giorni. Tafur eccitava sempre il compagno a raccontare i suoi lunghi viaggi e le. curiosità dell’ìndia: al che volontieri si prestava Nicolò e a bocca ed anche lasciandogli memorie scritte. Il Conti al suo ritorno passando alla Mecca era stato costretto a rinnegare la fede cristiana per salvare la vita sua, della moglie e de’ figli, anche a preghiera dei suoi cari che più di lui stesso rifiutavano il martirio. Fin qui nulla d’inverosimile nè di contraddittorio, almeno nelle circostanze principali, coll’ altro racconto che Nicolò fece delle sue avventure alla Corte di Eugenio IV a Firenze, forse verso il 1440, e che fu posto in iscritto da Poggio Bacciolini, il segretario del Papa. Si può anzi aggiungere che quest’ultimo racconto, confrontato coil’altro ripetuto da Tafur, guadagna chiarezza nella cronologia e nei particolari; vi è accordo esatto nella abjura dovuta fare alla Mecca al ritorno dall’ India, e nello sbarco alla Costa presso al Sinai. Ma proseguendo vi si trovano contraddizioni o diversità almeno così notevoli, che costringono a dubitare della buona fede dell’ uno o dell’ altro narratore. La bilancia pende senza dubbio a favore del racconto fatto alla Corte del Papa; ciò non solo per la qualità delle persone e per la circostanza che Conti vi implora il perdono della fede rinnegata, ma anche perchè 1’ esposizione del Bracciolini è, al rovescio del-1’altra di Tafur, sobria di meraviglie e istruttiva di particolari, verificati dai viaggiatori posteriori. Una delle più gravi diversità fra le due narrazioni è quella della moglie e due figli, coi servi tutti secondo il Bracciolini, morti di peste durante la dimora al Cairo. Come poteva Tafur dimenticare tale e così seria circostanza? Eppure da un’altra parte quest’ultimo si mostra ben informato, attribuendo a Nicolò de’ Conti, oltre ai due figli (rimasti vivi 0 già soli prima dell’ arrivo al Cairo) una figlia; la quale di fatto sappiamo ora dalla pregevole pubbli- — 344 — cazione del eh. Bullo (i), che esisteva veramente ed aveva nome Maria. Altra diversità notevole sarebbe la durata del viaggio di Nicolò che nel Bracciolini è indicata di 25 anni, in Tafur di quaranta: ma veramente ci sembra che il Bracciolini proprio non vi abbia posto quella cifra di 25, e che essa sia stata aggiunta dal Ramusio o da altri prima del Ramusio. Secondo Tafur, il Conti di 18 anni trovatosi a Damasco di Siria per commercii come è uso de’ Veneziani, scialacquò tutto il suo; di che per vergogna, non volendo ripatriare, si spinse avanti nelle regioni di Tamerlano. Allora per la grande potenza di questo Imperatore, le vie erano largamente aperte e sicure; finche dopo la costui morte (nel 1404) le discordie intestine per l’eredità e per la debolezza de’ successori gli chiusero la strada al ritorno e lo costrinsero a spingersi sempre più avanti. Nel racconto di Tafur l’incontro del suo amico al Mar Rosso, se si consideri avvenuto verso il 1437, i quaranta anni di viaggi precedenti ci fanno risalire al 1397; appunto nei tempi gloriosi di Tamerlano, vinto il gran Chan del Chipciak, e vicino a vincere Bnjazet. Confrontando poi queste date coi .documenti recentemente pubblicati dal eh. Bullo, non vi si scorge nemmeno improbabilità nella loro riunione e conciliazione. Nicolò de’ Conti ripatriato a Chioggia, è chiamato dai concittadini ad uffizi pubblici delicati, ove si vede continuare fino all’anno 1454; ha cosi allora anni 57 dai corr.ipciamenti del suo viaggio ed anni 75, aggiungendovi i 18 anni d’ età che dice aver contati in quel tempo. Infine se anche ammettiamo che egli sia morto poco prima del 1469 quando si parla dell’apertura del suo testamento, avremmo un totale di 89 090 anni al più; il che non stupisce; pensando ad un temperamento che certo deve essere stato robusto ed indurato dalle fatiche. Se cerchiamo altri confronti fra le due narrazioni del Poggio e del Tafur, se ne presentano alcuni che, senza essere proprio identici, hanno tuttavia una qualche analogia che può facilmente degenerare in varietà nelle bocche 0 nelle penne dei due Relatori. (1) La vera patria di Nicoli de’ Couli e di Giovanni Caboto, studi e documenti, Chioggia 1880. — 345 ~ Così parlando del martirio volontario a cui si assoggettano alcuni idolatri, Bracciolini dice che essi si ponevano al collo un cerchio rotondo al di fuori, ma dentro terminato in lama acutissima, da cui pende una catena: questa sta fra i piedi contratti del paziente, e, frattanto che si pronunziano certe parole, il paziente stende le gambe c i piedi ed alza il collo, che resta troncato dalla lama. Tafur dice invece che si fanno un istrumento come di forbici da cimatore di panni, mettono il capo fra una lama e 1’ altra, indi tirando co’ pie’, le lame si riuniscono e il capo è tagliato. Tafur-aggiunge un cenno sulla divinità adorata, un misto di sciamanismo e di buddismo: due gemelli che appena nati si accecano da se per disprezzo del mondo e si ritirano ad un monte: ivi sorge un gran lago d’ acqua e loto, ove accorre una gran romena (pellegrinaggio) di divoti; parecchi di questi si tuffano nel lago, cercandovi la morte e la glorificazione. Anche la negromanzia usata nel Mar Rosso per invocare il vento o sedar le tempeste è ricordata dai due Relatori. Tafur dice avere il Conti veduto più volte salire e scendere dalla gabbia del vascello un volto negro, e, chiesto a costui del cammino, egli profetò gran tempesta. Bracciolini a sua volta dipinge al vivo un odierno medium magnetico; un arabo che, sull’invocazione che fa al Dio Muthia il Capitano della nave, diviene come pazzo tutto ad un tratto, canta e cammina, divora carboni, e portogli un gallo a sua richiesta, lo trucida e ne succhia il sangue. Ciò fatto chiede che cosa vogliono : vento. gli si risponde, poiché la nave è ferma da sette giorni; egli lo promette e colle mani attergate accenna la qualità del vento ed ammonisce a riceverlo con cautela: cade dopo ciò come corpo morto, la schiuma alla bocca; rinvenuto non ricorda nulla, ma il vento viene e reca al porto la nave. Per ricordare ancora un esempio di più o meno lontana somiglianza fra i due testi, nell’ isola di Taprobana (confusa con Cei-lan dal Braccioiini più che dal Conti) cresce una qualità di frutto che secondo Tafur è come una zucca grande e rotonda, che aperta contiene tre frutti di sapore diverso. In Bracciolini è un frutto verde della grandezza di una anguria che aperta presenta cinque frutti di sapore eccellente. — 34<5 — Non parliamo delle mogli che si bruciano sul rogo del marito, uso accennato in entrambi i testi, perchè era cosa troppo nota anche a que’ tempi ; notando soltanto che, secondo 'I aftir, gli Indiani dicono che la donna è fatta per 1’ uomo e non 1’ uomo per la donna. Sulle qualità e forme delle navi e sui venti che dominano in que’ mari, veramente non è guari armonia fra il Bracciolini e il Tafur; ma ciò si potrebbe scusare, applicando le diversità alle diverse piagge navigate in tanto larga distesa di regioni. Ma, parlando in generale, nel testo del Bracciolini si * vede la serietà del viaggiatore, che racconta le città visitate e i loro nomi e i costumi; cose vere, ignote in gran parte prima di lui, e riconosciute dai viaggiatori seguenti. Se alcune cose sono inverosimili o anche non vere, erano accettate dalle credenze del tempo, potea egli dunque facilmente illudersi od essere illuso; alcuni errori e confusioni paiono esservi stati introdotti dalla erudizione del Bracciolini, attinta agli antichi scrittori. E ciò che meglio prova la serietà del racconto a Papa Eugenio si è il silenzio sul Pretegianni, di cui erano piene le bocche e le penne contemporanee ; pel contrario è questo il punto più vulnerabile dell’ intero racconto del Tafur; il quale qui apre il sacco delle meraviglie e delle leggende dell’ìndia e del Pretegianni, come gli furom apprese da Nicolò Conti. Per mio avviso lo spagnuolo non si potrebbe scusare altrimenti, se non supponendo clic il veneziano abbia voluto un poco divertirsi a spese dell’uomo che-non gli dava requie con interrogazioni e stava ascoltandolo a bocca spalancata. Assommiamo un poco il racconto di Tafur per divertire anche noi i Lettori, certamente stanchi dall’arido delle nostre discussioni. Il Pretegianni avea venticinque regni sotto di se; sono in generale buoni cattolici, benché non in comunione col Papa, ma vi è anche molta gente che non ha legge alcuna e sono gentili. Egli è tanto venerato e temuto, clic se il maggiore della signoria è sentenziato a morire, gli manda un uomo con una lettera, comandandogli che si ammazzi da se, e quegii china il capo ed ubbidisce. Cosi adopero anche il Pretegianni con chi gli vantava i servizi a — 347 - lui fatti e maggiori di ogni altro ; egli rispose che ogni servizio era minore di quello di uccidersi al suo comando, altrimenti non potrebbe giudicarsi un servizio compiuto. Il Pretegianni era curioso di conoscere le fonti del Nilo che dal-l’India e dall’Etiopia corre all’Egitto. Perciò ne mandò alla ricerca navi cariche di vettovaglia; esse andarono tanto che videro generazioni d’animali curiosi e grandi meraviglie, ma per aver consumate le provigioni dovettero tornare senza aver raggiunto lo scopo. Allora egli prese fanciulli da latte che fece allevare a vitto di pesci crudi (si dice che in Guinea v’ ha chi non mangia altro); fece insegnare loro a diriger barche e reti, che, come furono adulti, loro forni; comandando che non ritornassero finché non avessero trovate quelle fonti. Essi navigarono non comunicando con alcuno, finché giunsero a un gran pelago o lago; lo girarono e trovata la bocca, vi s’inoltrarono e giunsero a un monte tagliato a picco ed altissimo, di cui non si vedeva il fine. Ivi era una grande apertura, che mandava giù 1’ acqua origine del Nilo. Presso a quel monte e quasi congiunto era altro monte alto, da cui, se vi si potesse salire, si dovea vedere donde 1’ acqua veniva. Fu fatto salire uno dei compagni, ma g:unto, guardando que’ luoghi, non volle più discendere, né per domande fattegli più rispondere e far sapere che cosa vedeva ; fu fatto salire un altro, che si diportò nella medesima guisa. Allora abbondonati i due compagni, la spedizione ritornò al Pretegianni, dicendo che a Dio non piaceva che si scoprisse di più. Qui 1’ erudito Jimenez nota che un racconto simile alla ricerca di quelle fonti è narrato dal tedesco curato Ludolfo di Suchem; senonchò questi applica al Sultano d’Egitto ciò che Conti in Tafur dice del Pretegianni. In Ceilan dell’ India, continua il Conti, è un monte altissimo aspro e scosceso. Quei che abitano al basso, non sapeano di quei di sopra e viceversa ; come lo ebbero saputo , si posero a comunicare per mezzo d’una catena fermata alla cima. Là sopra è una gran pianura, ove si raccoglie grano, frutta, ortaglie, greggi, acque; vi è un monastero molto notevole ove stanno i dodici Baroni elettori del Pretegianni. Vi nasce la cannella fina, e quella specie - 348 - di zucca, onde si è parlato in addietro. In una costa di mare i granchi diventano pietre pigliando aria. Il Conti dice non aver veduto nè sentito parlare di mostri umani come di un solo occhio o di un solo piè, o piccini quanto un cubito o alti come lande; però vide bestie di figura strana, molti unicorni, un elefante tutto bianco come neve al rovescio degli altri che sono neri ; questo era su di una colonna, con catene d’oro, adorato come un Dio. Vide altri elefanti surniontati da castelli per marciare in guerra, e una specie di zebra che fu recata al Pretegianni, poco più grande d’un cagnolino e di quanti colori non si può dire. Conti continuava a narrare che vide nelle Indie la Chiesa di San Tomaso che convertì gli indiani. Vedendo che non si convertivano egli fece venire giù pel Nilo un grandissimo albero d’aloe, che ivi si abbattè chiudendo i passi. Il Signore della terra mandò per farlo rimuovere ma fu impossibile, i ferri non penetravano entro. Il Santo lo alzò colla mano e lo recò ove essi desideravano; allora gli indiani credettero e si lasciarono battezzare. L’ albero fu segato e se ne fece una cappella ove ora il corpo di S. Tomaso riposa. Que’ Cristiani vi hanno gran divozione e con quella terra fanno certe pillole che portano in seno, e bastano per comunicarsi in punto di morte ; al Conti ne furono date cinque o sei. Il colore degli uomini dell’india maggiore è un poco più basso (scuro?) del nostro; in Etiopia è anche più basso. Conti giunto al Cairo si lagnò col Sultano che gli avean fatto violenza, obbligandolo a rinegare, e che lo rubarono (egli credeva perfino che il Soldano ne fosse stato complice per aver la sua parte). Allora questi per acquetarlo lo fece suo Dragomanno (interprete) maggiore e gli diede al Cairo casa e proprietà. Ma Conti volle partire, sebbene persuaso da Tafur a rimanere ancora quindici o venti giorni per maggiore riposo. Egli era stato rubato, pure avea saputo nascondere ancora cose molto ricche come pietre preziose, perle ecc. Mostrò a Tafur un balascio di molto gran pregio e un cappello fatto d’un’erba rotonda, sottile come il filo di seta più fine che si trovi, chiedendo ove meglio gli convenisse vendere ciò. Tafur lo consigliò a recarle in Ispagna. In Italia com- — 349 — prano per rivendere, la Francia è stanca dalla continua guerra che li a nell’interno; l’imperatore di Germania guerreggia colla Polonia, la Spagna all’ incontro, nelle guerre che fa, guadagna sempre, non perde mai. Il Conti conosceva e nominava molte erbe e medicine salutari. Egli sconsigliò caldamente 1’ amico dal recarsi in India come ne aveva pensiero. Queste nuove notizie su Nicolò de’ Conti, qualunque sieno, non possono non riaccendere la discussione fra i dotti intorno a questo gran viaggiatore; il quale percorse tanti paesi, prima che le nuove vie marittime scoperte dai Portoghesi avessero agevolato ai suoi successori il mezzo di penetrarvi. E mentre si fa largo la pubblicazione del Ch. Jimenez ecco che il Cav. Bullo , caldo amatore delle cose patrie, licenzia alla stampa il suo opuscolo, ove dimostra per documenti essere Nicolo de’ Conti suo concittadino, veneziano si ma di Chioggia. E reca documenti autentici ove lo si trova esercitare uffizi pubblici e delicati e avervi fatto testamento, e in questo testamento quasi rimproverati a se stesso i proprii viaggi e sconsigliatine i figli. Il Ch. Autore ebbe la buona idea di aggiungere ai documenti anche la relazione del^viaggio di Conti, per renderla a portata dei lettori meglio che non fu finora. Se-nonchè egli si valse perciò della redazione quale è in Ramusio (x), ma Ramusio non trovando l’originale l’avea tradotta dal portoghese di Valentin Fernandes (2); inoltre egli stesso dicea questa redazione scorretta e guasta attalchè avea pensato dapprima di sopprimerla addirittura; deliberò poi inserirla alla meno peggio, sperando che altri s’invogli a cercare un migliore esemplare. Questo esemplare si sa ora che c’è; dapprima nella, sebbene rara, edizione del Libro di Poggio Bracciolini 1723: de Varietate fortunae ; in secondo luogo nella riproduzione di questo brano del Conti che ne fece il dotto Kunstmann (3) nella sua Memoria stampata nel 1863. (1) Navigationi, Voi. I, 1554, pp. 373-81. f (2) È questi il Valentino di Moravia, di cui il De Gubernatis inserì un estratto, tolto dalla Maglia-becchiana, nella sua Storia dei Viaggiatori Italiani accennata nel testo più sotto. Di quell’ importante Collettore di Viaggi parlano Major : The life of Prince Henry of Portugal, Londra, 1868, XV, XVIII: e Schmei.ler, Ueber Valentin Feruande^ Aleman, Monaco 1842, (3) Die Kenvtniss Indiens, Monaco 1863. 11 testo latino del Bracciolini è a pp. 34-66. E una riproduzione dell’ originale sulla edizione del Kunstmann sarebbe tanto più a preferirsi, in quanto questi la illustrò con note e colla prefazione ; di guisa che si vedono ben corretti e confrontati coi moderni i nomi delle Città e paesi visitati dal viaggiatore; confrontati anche coi viaggi posteriori, specie d’italiani, ma dei quali il Conti sarà sempre, dopo Marco Polo, la base e il prototipo. È bello, allettante lo studio di tali confronti; ed è giusto che, se non lo si fece prima, almeno dopo il Yule, il Kunstmann, 1’ Heyd, il Peschel, sorga un Italiano a conciliare que’ dotti studi e dire anch’egli la sua parola. Non voglio già disconoscere i meriti del Ch. De Gubernatis, il quale ha toccato anche questo punto nel suo libro: i Viaggiatori italiani alle Indie orientali, 1865; ma egli aveva alle mani troppo gran materia da mandare innanzi; ed inoltre contessa modestamente che avea intermesso da parecchi anni tali studi e che ora si poneva con troppa fretta a riguadagnare gli anni altrimenti occupati. Per vero dire, si vede che della fretta ve ne fu ; onde lasciò a desiderare, sul tema che ci occupa, uno studio più ampio e più diligente. Noi stessi in una recensione che facemmo, all’apparire della sua pubblicazione, avevamo scritto un poco in disteso sopra questi desiderii che il De Gubernatis avrebbe saputo compiere più d’ ogni altro, ma la recensione era per solo nostro esercizio. Più tardi ci parve risecarne la maggior parte e ristringerci a sola la nomenclatura; il che facemmo in una lettura alla Società Ligure, col titolo : i Nomi delle Città e terre visitate in India dagli Italiani. Ma probabilmente il Cav. Bullo preferì la redazione del Ra-musio, come fatta in italiano; sempre per la maggiore divolga -zione, nel pubblico, del viaggio e dei meriti del viaggiatore (1). Nel che io non so dargli torto, ma vorrei allora che si tentasse con ardore più vivo la ricerca della Collezione Canonici, in cui il Card. Zurla (2), come dice anche Bullo, trovò e ne descrisse una (1) Però vi è gii una stampa recente del testo ramusiano, pubblicato dal Carrer nelle Relazioni di viaggiatori-, Venezia, Gondoliere, I, 255-78. (2) Di Marco Poto e degli altri viaggiatori Veneriam, II, 188. — 35' — versione del Conti scritta in italiano con modi dialettali, quali si usavano nel medio evo. E questo punto ci riconduce, al termine di questo scritto, alla gran questione, che si agitò in questo mezzo, fra i dotti specialmente veneziani e il sig. Simonsfeld, sui codici mss. del Sanuto e sul ritrovamento della Collezione Canonici, ove stanno anche le preziose Mappe di quell’ antico, descrittive del Mare Mediterraneo. Si sa come tale Collezione usci d’Italia e pare sia andata divisa tra la biblioteca d’ Oxford e un inglese Sneyd Babington. Le ricerche all’ uopo furono infruttuose sino a questi ultimi anni e tali pare che si giudichino tuttora in generale. Pure già fin dal 1874 noi esponevamo, in un breve scritto su Marino Sanuto (i), l’opinione d’un dotto Francese (il Conte Riant) che 'tali Carte fossero pervenute nel Museo Britannico. Dopo d’allora un altro nostro illustre _ Amico (il Dott. Lumbroso) leggendo il libro del Mortara: i Codici italiani alia Biblioteca d’Oxford, ci comunicò invece la speranza, che veramente le cose da noi ricercate si dovessero ritrovare fra i cimelii di quest’ ultima Città. Ora il dotto Simonsfeld, che fece profondi ed acuti studi sul Sanuto, accerta e prova, secondo l’avviso portomene dal lodato Conte Riant, che le carte canoniciane del Mediterraneo sono propriamente al Museo Britannico (2). Mi sembra dunque ora opportuno e più facile che mai venirne al netto, essendo così ristretta la quistione. Risolta questa con felicità, come abbiamo ragione di credere, se ne potrà giovare per quella edizione più splendida e più compiuta che i dotti veneti hanno intenzione di fare: essendocchè nei teniamo che, senza punto detrarre al merito dei codici già consultati e special-mente dei Vaticani, non possa non riuscire utilissimo, direi anzi necessario, l’esame delle Mappe canoniciane. Con questa stessa occasione, confidiamo, verrà anche fuori il codicetto di Nicolò de’ (1) Sui Cartografi Italiani — Appunti e questioni, Roma, Tipogr.if, delle Scienze Materaat., 1877, Pa2* 9- (2) Dopo che questo era stampato, il sig. Simonsfeld gentilmente a Venezia mi fece dono del suo opu» scolo: Studiai $u Marino Sanuto dem Aellereu. Ivi trovo che le Carte’Sanutine-Canonici sono al Museo Britannico al 11.0 27,376 additional dei Mss. e sono appunto provenienti dallo Sneyd Babington. Conti della medesima Collezione, od allora il Ch. Bullo, facendo una seconda edizione della prima parte o (se vuole anche) di tutto il suo pregevole scritto, vorrà certamente sostituire a quella del Ramusio la redazione del codicetto sdVramenzionato, facendo un servizio ai dotti non meno che al popolo. ALLO STUDIO SECONDO INTORNO A GIOVANNI VERRAZZANO APPENDICE III Socirlà Ligure di 57. Pairia. Voi. X\ . 2> I. dal Congresso geografico di Ve-trattenni tre giorni a Milano rare quella splendida Mostra, otei ad un tempo astenermi dal fare una scorsa, secondo il mio costume, alla Biblioteca Ambrosiana. Ivi desiderai rivedere alcune Carte Nautiche, fra le quali una del genovese Visconte Maggiolo. Quel dotto quanto cortese Prefetto, 1’ Ab. Ceriani, mi avvertì che quella carta del Visconte, tenuta finora dell’anno 1587, deve assegnarsi alla data del 1527. E me ne fece la dimostrazione, confrontandola con altra dello stesso Autore dell’anno 1524; dove si vede lo stesso carattere e la stessa forma nella leggenda, e si capisce come la cifra 2 della carta del 1524, abbia potuto assumere l’apparenza di una ciira 8 nella carta del 1527; — 356 — allungandosi cioè le due curve con inchiostro più sbiadito , per guisa che vengano ad incontrarsi e a combaciare (i). La correzione del dott. Ceriani sembrandomi giusta, mi diedi ad esaminare la carta del 1527 con maggiore attenzione di quello che non vi avessi prestato per l’addietro ; essendoché la sua costruzione nella prima metà del secolo XVI era naturalmente più importante per la storia delle scoperte ; lo era massimamente per me, occupato testé di tale studio a proposito dei fratelli Ver-razzano. Non fu leggera la mia sorpresa, allorché applicando l’occhio alla coste di levante dell’ America settentrionale, vi riconobbi tracce e nomi aventi una sicura relazione, coi Verrazzano non solo, ma e con altre carte la cui fonte é ignota finora. Profittai di un ultimo ritaglio di tempo per copiare la nomenclatura di quella costa ; non senza difficoltà ed esitazione per lo stato della scrittura e della pergamena. E, siccome le mie ore erano contate, mi rivolsi alla esperimentata perizia e cortesia del nostro socio signor Carlo Prayer, ora abitante a Milano. Il quale, oltre al verificare la mia copiatura, delineò un fac-simile e della nomenclatura e del tracciato della intera costa, e un fac-simile della leggenda o titolo delle due carte del 1524 e 1527 pel confronto del punto in quistione sulla loro data; mi forni inoltre schiarimenti, da me deside- « (1) Per mostrare, come ciò abbia potuto avvenire, si e punteggiato nell’unito fac-simile il prolungamento delle curve opposte della cifra 2, nella leggenda del 1527. — Questa carta è notata sotto l’anno 1587 negli Atti della Società Ligure di Storia Patria, III. p. CXI; e in Desimoni, Elenco di carte nautiche, nel Giorn. Ligust. 1875, p. 62, n.° 63. 'MARéOCÉANVM UnW^^cAnccr *A o ir* <« » 5. : .■.fcV»® i/nto. *y S*?? '?J -~™$t °-p ?a«#£ ll*VtO è / / U01-J ^ ' - •>'''.-??*?*» i^f /7'^A-~‘ r>* 3 ~o * v, 5 r0.§ § r, 5 o >r L_^ -* V W^-9 ?>v , c/>a£ '»£*'* 9 V vV^ , jw&wpn'f **, c ?>£S ■W£ì?* ^ r x ^5^9^ * s -va rj> * ll?ìf°s ?52l rZl*° s ,V)AKé JnÌHCUfi}- £ »! «5> *r c. ^C.ìa. 6entoni .V-yR/o^e 5-pai*/o '^'(«ra^Miuila, jCtite?*, h . OVm a