GIORNALE LIGUSTICO DI ARCHEOLOGIA, STORIA E LETTERATURA DIRETTO DAL CAV. L UIGI A UG US TO CER VE TTO Anno XXIII — Fascicolo I-II. Gennaio-Febbraio là'çS GENOVA Proprietà letteraria @li lettori, Accondiscendendo al desiderio del Cav. Luigi Ferrari, che volle affidarmi la direzione del Giornale Ligustico, di cui egli è editore proprietario, sento il dovere di rivolgere un pensiero ed un saluto a quella pleiade d’ illustri ingegni che rispondono, o risposero, ai nomi di Cornelio Desimoni, Luigi Tommaso Belgrano, Federigo Alizeri, Angelo San-guineti, Luigi Grassi, Achille Neri, Marcello Staglieno, Gerolamo Rossi, Vittorio Poggi, Gerolamo Bertolotto, Giovanni Sforza ed altri benemeriti che tanto cooperarono all’incremento del periodico, dettando per esso, scritti a bella fama saliti e che di molto accrebbero il vanto della storia ligure. Il programma tracciato al giornale da quegli insigni , ai quali gli studiosi delle patrie memorie vanno fissando lo sguardo siccome a stelle guidatrici, sarà proseguito, poiché io nutro speranza che quanti tra noi coltivano gli studi storici, vorranno per amore alla diletta nostra patria, onorare il periodico dei loro dotti lavori. 4 GIORNALE LIGUSTICO Il giornale spera altresì di vedersi continuato il favore e della benemerita Società Ligure di Storia Patria, la cui operosità sarà ben lieto di secondare, e di tutti coloro i quali seguono con affetto lo studio delle patrie cose. Animato dunque da eguale fiducia, io mi accingo al disimpegno del compito che accettai spinto solamente dal desiderio di veder proseguita un’opera intesa a recare non lieve contributo alla storia di questa eletta parte d’Italia. Genova, Aprile 1898. L. A. Ckrvetto. GIORNALE LIGUSTICO 5 IL PROF. GEROLAMO BERTOLOTTO Un lutto è venuto a colpire il Giornale Ligustico con la morte del Prof. Gerolamo Bertolotto, il quale tre anni or sono, ne avea assunta la direzione con lo scopo precipuo di veder proseguito il periodico che tanto impulso diede alla Storia ligustica. Egli mancò ai suoi ed agli amici il 13 del passato gennaio a causa di fiera bronco polmonite nella ancora giovane età di trentasette anni ! Nato in Lavagnola sobborgo di Savona, intrapresi gli studii in quest’ ultima città, si recò a compierli in Firenze dove in quell’istituto di Studii superiori si laureò nel 1884. Venuto a Genova s’applicò all’ insegnamento presso l’Istituto Vittorino da Feltre. Passò quindi come insegnante alla scuola tecnica serale Baliano. Assunto 1’ ufficio d’ assistente bibliotecario alla Civica Beriana acquistossi la stima e la considerazione del compianto bibliotecario l’illustre prof. L. T. Belgrano, al quale egli fu di non lieve aiuto nel riassetto di quella Biblioteca della quale pubblicò la storia in una ben apprezzata monografia. Contemporaneamente alle cure che egli dedicava all’ insegnamento, trovò tempo a curare la pubblicazione di parecchi scritti, che tornarono a sua lode. Ci piace citare tra questi suoi lavori gli Appurili Lucianei ; Sulla Cronologia ed autenticità dei Macabri ; Le tre orazioni contro Filippo, di Demostene un Codice di Catullo sconosciuto, il Codice Greco Sanliano. A questi s’aggiungono studii intesi ad illustrare la storia ligure che comparvero e negli Atti della Società di Storia Patria e nel Ligustico. L’ultimo suo lavoro, che vide la luce negli Atti, riguarda le aggiunte alla Nuova serie di documenti sulle 6 GIORNALE LIGUSTICO Relazioni di Genova coll’ Impero Bizantino raccolti dal Canonico A. Sanguineti, lavoro al quale, egli versato nella letteratura greca, si dedicò con vivo interessamento. I suoi meriti non furono misconosciuti. Morto il Commendatore Belgrano, ed assunto dal Cav. Prof. Ippolito Isola il posto di Bibliotecario della Beriana. egli ottenne a sua volta, il posto di Vice Bibliotecario. Ebbe quindi le nomine di dottore aggregato alla Facoltà di filosofia e lettere nella Regia Università di Genova, di membro effettivo della Deputazione di Storia Patria di Torino, di Consigliere e Bibliotecario della Società Ligure di Storia Patria, alla quale porse spontanea ed efficace cooperazione. Al Ligustico, consacrò affetto e cure ben note, specie a coloro che ebbero con lui amichevole domestichezza, e di più ancora avrebbe per esso operato, se gli ultimi tempi non fossero stati intristiti dalla malattia che a 37 anni troncò la sua operosa esistenza gettando nel lutto la sua famiglia, recando cosi vivo sconforto in quelli che lo ebbero compagno ed amico. LA LEGGENDA DI SANTA ELISABETTA D’UNGHERIA é IN DIALETTO SAVONESE DELLA METÀ DEL SECOLO XV edita ed annotata da VITTORIO POGGI Il nome di Alerame Traversagni, autore dell’inedita leggenda in dialetto savonese di cui mi accingo a pubblicare il testo rimasto fin qui sconosciuto ai bibliofili, si cercherebbe invano nella storia letteraria. Avrei perciò voluto far precedere alla pubblicazione del testo alcuni cenni biografici circa all’ autore. Ma le indagini dirette a trovar nelle memorie locali qualche traccia della sua personalità ebbero un risultato poco men che negativo. Le notizie che seguono, in quanto riguardano la persona di lui, sono quindi di necessità assai limitate, e, quel che è più, hanno un carattere meramente induttivo. Della nobile famiglia savonese de’ Traversagni parecchi furono nel secolo XV i soggeiti che si resero chiari in patria e fuori per dignità ecclesiastiche e civili, per dottrina e cultura scientifica e letteraria. A prescindere anche dai dottori fisici maestro Guglielmo e maestro Giovanni, di cui è menzione in un necrologio locale, dove la morte del primo è registrata sotto la data del 1397 e quella dell’ altro come avvenuta nel 1434, si possono citare a titolo d’ onore due membri di questa famiglia ambasciatori di 8 GIORNALE LIGUSTICO Savona a Genova, dico Luigi nel 1466 e Ludovico nel 1480 e 1485 : nè men ragguardevole per ragion d’ ufficio fu certamente quel Cattaneo — fratello forse al Ludovico — il quale nel 1484 copriva l’alta carica di Arcipriore e Gran Maestro de’ Cavalieri del Santo Sepolcro di Gerusalemme, come si evince dal titolo onorario, fregiato dell’arma gentitizia de’ Traversassi e portante tale data, che ancora si legge sulla porta dell’ ordinaria residenza dell’Arcipriorato di detto Ordine, nel convento di San Luca in Perugia. Prima di costui fioriva in altro campo di attività Giovanni Antonio Traversini, del quale sappiamo che soggiornò più anni a Pera e a Galata, dove Genovesi e Savonesi facevano in quel tempo grande mercatura. Fu appunto colà che compose il libro Delia pudicitia del cuore; e certo vi si trovava ancora nel 1451, giacché un suo opuscolo ras., d’indole ascetica, oggi nella Biblioteca comunale di Savona, porta in calce la firma: « Apud Galatam, sive Peram, per me Johannem Antonium Traversagnum, 14JI, die XVII Septembris ». Di ritorno dall’Oriente, attese in Savona alla compilazione d’un trattato di aritmetica, disciplina per la quale aveva, come molti dei suoi concittadini, una speciale predilezione; ma per alternare, da buon umanista, 1’ esercizio delle scienze positive e il culto delle discipline mistico-ascetiche collo studio dei classici, nel 1456 voltò in prosa volgare i libri di Ovidio De arte amandi. Ancora si vuole dai suoi biografi che egli scrivesse il Fior di virtù, citato con lode dagli Accademici della Crusca: senonchè altri ha giustamente osservato che, se il Traversagni scriveva verso la metà del secolo XV, non potrebbe esser ritenuto autore d’un libro già notissimo sui principii del XIV. Fratello o cugino a questo Giovanni Antonio fu assai probabilmente Giacomo de’ Traversagni, rimasto fin qui ignoto anche ai bibliografi savonesi e del quale ho sott’ occhio un GIORNALE LIGUSTICO 9 ms. in lingua volgare, d’argomento religioso, datato da Legino presso Savona, addi 13 di agosto 1456. Superiore a gran pezza per meriti e per fama agli altri membri della famiglia fu, senza dubbio, fra Lorenzo Guglielmo Traversagni dell’Ordine dei Minori, discepolo nel convento di San Francesco in Savona del suo concittadino fra Francesco della Rovere, poi papa Sisto IV, e maestro nello stesso convento ad altro illustre Savonese , frà Marco Vigerio, vescovo e governatore di Sinigaglia sotto Sisto IV, cardinale sotto Giulio II, di cui fu famigliare e che gli fu prodigo di cariche, dignità ed onori, autore del Decachordum Christianum e d’altri dotti e laboriosi volumi, personaggio amplissimo, munificentissimo e della maggiore entratura negli affari di Stato del suo tempo. Professore di sacra pagina, come allora chiamavano la Teologia, dottore in filosofia e gius canonico, frà Lorenzo Guglielmo lesse pubblicamente in molte Università e più particolarmente in quelle di Parigi, di Tolosa e di Cambridge. Fu uomo di singolare dottrina e di grande letteratura, come dicevano ai suoi tempi. A lui frà Gio. Bernardo Forte da Savona , dell’ Ordine agostiniano, dedicò 1’ aureo suo libro Fonte di Carità: come egli a sua volta dedicò parecchi dei suoi libri ad illustri personaggi, quali il re Edoardo d’Inghilterra, il Duca di Savoia, il cardinale Carlo di Borbone, il marchese Giovanni del Carretto, signore del Finale: ciò che fa fede ad un tempo dell’ estensione della sua fama, della ricchezza dei suoi rapporti e dell’ alta considerazione in cui era tenuto dai contemporanei. Delle sue opere, un giorno tanto pregiate, appena è se i bibliografi conoscono oggidì i titoli. Ecco un elenco delle principali : i. De varia fortuna Antiochi, datata da Noli, 1 di gennaio 1468 ; IO GIORNALE LIGUSTICO 2. Margarita eloquentie castigate ad eloquendum divina accomodata , stampata a Cambridge, 1478; 3. Rethorica prò iunioribus> desunta dai libri dei Profeti, dagli Evangeli e dai Dottori della Chiesa; 4. Semita ad montem, virtutis, edita nell’Università di Tolosa ; 5. Correctorium vite humane, che tratta della vita attiva e della contemplativa ; 6. Dialogus de vita eterna, edito a Londra, 1480; 7. De triumphis Christi; questi trionfi dovevano essere dedicati a Sisto IV, ma il papa premorì al compimento dell’opera, e tre di essi — quelli della Giustizia, della Clemenza e della Sapienza — vennero dall’autore dedicati ai tre primi dei mecenati dianzi citati; 8. Del bene del matrimonio, in lingua volgare; oltre a non poche orazioni da lui tenute in epoche e solennità diverse. Scrisse anche in poesia, e cantò in verso eroico De pudicitia B. Virginis, nel qual carme, come in altri di cui si si trovano cosparse le sue monografìe, se non si rivela poeta primae notae, come troppo compiacentemente lo qualificò il p. Oldoini, non si dimostra inferiore a tanti altri celebrati umanisti del suo tempo nei pregi della lingua e dello stile. Gli storiografi savonesi affermano che le opere di frà Lorenzo Guglielmo, per la maggior parte inedite, dal convento di San Francesco di Savona, ove egli morì ottuagenario, vennero trasportate a Roma dal Savonese p. Evangelista Scarella della Compagnia di Gesù, per essere presentate a papa Sisto V. Aggiungono che questi ne ordinò la stampa; ma che per la sopravvenuta morte del pontefice, l’ordine non ebbe altrimenti esecuzione : onde i manoscritti sarebbero rimasti nella Biblioteca del Collegio Romano. Comunque, non si dovrà tacere che parecchi codici mss., contenenti una buona parte delle opere sopra enunciate, al- GIORNALE LIGUSTICO I I cune delle quali probabilmente autografe, perchè corredate di postille marginali, trovansi nella Biblioteca civica di Savona. Da non confondersi col Giacomo de’ Traversagni di cui si è detto più sopra, è un suo omonimo, di professione medico, del quale si conosce una relazione manoscritta circa al convegno in Savona di Ferdinando il Cattolico re d’Aragona con Ludovico XII re di Francia, il 28 giugno 1507 (G. V. Verzellino, Delle memorie particolari e specialmente degli uomini illustri di Savona, I, pag. 649). Ai membri di questa famiglia che, più o meno bene, hanno coltivato le lettere nel secolo XV, e delle cui produzioni letterarie giunse insino a noi qualche saggio, sara d ora innanzi da aggiungersi anche Alerame de’ Traversagni, contemporaneo dei citati Giovanni Antonio e Giacomo seniore. Questo Alerame, infatti, di cui non trovo alcuna menzione nelle memorie del tempo o posteriori, è autore d’una leggenda manoscritta di S. Elisabetta d’Ungheria, in dialetto savonese, che conservasi nella Biblioteca comunale di Savona. Il codice cartaceo che ne contiene il testo consta di ventidue pagine e porta al pie’ dell’ultima di queste la firma dell’autore, coll’indicazione del luogo in cui fu scritto, che è Sauna (Savona), e la data dei 19 di aprile 1455. Visto 1’ estrema scarsità di materiali autentici che rimontino ad un periodo abbastanza antico, quale è per la storia dei dialetti liguri la metà del Quattrocento, ho creduto non sarebbe senza utilità per coloro, in particolare, che s’interessano a questo ramo di studi che tale documento venisse reso di pubblica ragione. La leggenda di cui si pubblica il testo non è scritta in quel gergo ligure-italiano, comune a parecchie scritture di quel tempo, e di cui abbiamo un esempio nell’ almanacco genovese La raxon de la Pasca, che pure è posteriore di ben 19 anni ài nostro documento. 12 GIORNALE LIGUSTICO Non dirò che si tratti proprio di volgare savonese puro sangue, ossia del dialetto parlato dal popolo. Il dialetto è qui, senza dubbio, un po’ italianizzato; un po’ nobilitato con voci e modi desunti dal latino e più ancora dal volgare illustre, dalla lingua letteraria : ma, dopo tutto, dialetto savonese è ; e se non è il pretto savonese parlato dal popolo, è però quello del pubblico colto, in un’ epoca che segna una delle pagine più interessanti della storia di Savona. L’ autore fu assai probabilmente un sacerdote, e la leggenda sembra compilata, come altre congeneri, per essere recitata dal pulpito: l’uso di predicare dal pulpito essendosi conservato in Liguria fino a nostra memoria, e nelle parrocchie rurali vigendo anche oggidì. Circa al metodo da me tenuto nel pubblicare il testo, dirò semplicemente che ho avuto cura di riprodurre colla maggiore esattezza il manoscritto originale, senza punto alterarne 1’ ortografia , distinguendo soltanto la u vocale dalla consonante, sciogliendo i nessi che i caratteri tipografici non potevano riprodurre, integrando le abbreviazioni e aggiungendo gli accenti e l’interpunzione, per ragion di chiarezza e per comodo dei lettori che non abbiano famigliarità colle antiche grafie. Vittorio Poggi. De Sancta Elizabet filia regis Ungarie. Elizabet tanto è a dire corno (i) de lo nome de septima, perso che in le sete òvere de misericordia se exercita, o perchè ella è aora in la septima età de li reposanti ; o per sete stati in li quali ella (I) Anche nel Foglietta (metà del secolo XVI) è sempre in uso questa voce, invece di cummc: però in documenti dell’ ultimo ventennio del secolo XV, promiscuamente a corno, già trovo scritto chôme e persino come GIORNALE LIGUSTICO IS fu (1), cioè verginale, matrimoniale, viduale, attivo, contemplativo, religiozo et aora è in lo stato gloriozo : tiiti sono in la soa legenda sequente. Incomensa la legenda. Elizabet, figlia de lo illustre re de Ungaria. nobile de nation (2), ma pii nobile et pii gentir (3) fo de fé et de religion. Tanta nobile stirpa à nobilitao de exempli, illustrao de miracoli e ornà (4) de gracia de sanctità. La qual, Dio autor e fator de la natura, quasi la exalta sopra natura; quando tal fantina (5), norigà (6) in deli- (1) L’ortografia di questa, come di molte altre voci del testo, non è uniforme, leggendovisi promiscuamente fu e fo, Deo e Dio, Criste e Cristo, beni e ben, paire e padre, marìo e marito, maistro e meistro, lacrime e lagretite, àgi e dihi, carelli e capelli, asò e aciò, figlia, figla e figio, ioveno, joveno e ipveno, ecc. Anche le forme grammaticali presentano varietà di desinenza : gli infiniti desprexid, rompi, bate, ricorrono a volte sotto le forme desprexiar, rotnpir, bater ; i participii dei verbi in d, invece della terminazione normale in ao, ne assumono talora un’ altra con fonetica italiana (desprexiato, resusitato, dignato, ecc.). Anziché correggere ciò che più probabilmente sia da attribuirsi ad errore di penna, e scegliere fra due o più varianti la miglior dizione, ho preferito trascrivere il testo tal quale, secondo le norme accennate nella prefazione ; e ciò, anche avuto riguardo all’indole peculiare della pubblicazione. (2) Il vocabolo nascimi in significato di « nascita », « natali », è vivo tuttora. In testi del Trecento trovo nasciom. (3) È 1’ ultimo strascico d’una serie di forme aggettivali, dove un r finale usurpa Γ ufficio della liquida, forme di cui ridondano i testi del secolo XIV7 (nober, uter, cruder , mortar, infermar, habondeiver, honorever, raxoneiver, dannaber, ecc.), ma già da tempo in disuso all’ epoca del nostro codice, dove quest’ unico gentir si presenta, invero, come un frutto serotino. •4) L’ omissione dell’o finale è qui verosimilmente effetto d’ un lapsus calami. Potrebbe tuttavia anche essere intenzionale. Oggi ancora a Savona è di uso costante il participio in ou, corrispondente all’antico in ao; il che non toglie che in Albisola, vale a dire a due passi da Savona, si adoperi pei medesimi participii la desinenza in à. (5) La voce fantin-a è sempre viva nei dialetti della Liguria, però esclusivamente in senso di « nubile ». (6) Nutrita. 14 GIORNALE LIGUSTICO canse reale , à faito o in tiito desprexià (i) tiite le cosse puerile et de garsone, o convertirle in servixio de Deo (2); asò che se demostre la soa tenera infantia de quanta simplicità fo , et de quanta dévotion incomensa. Da quella hora certo incomensa a uzar a li boni studij, desprexià li zogi (3) de vanità, rompi le prosperitae (4) del mondo, cresce sem-per in reverentia de Deo. In la etae de cinque agni (5), stava solicita in eclexia a orar; tanto che le compagne o le ancile non la poivam (6) tirar fora de (1) Sovrappongo l’accento circonflesso alla vocale ultima negli infiniti dei verbi in a e in i, per distinguerli dai sostantivi e dai participii di ugual suono, che contrassegno invece coll’ accento grave. (2) Mentre il genovese antico usa a preferenza le forme Dee e De, e più particolarmente quest’ ultima, che rimase nella letteratura scritta fino al secolo scorso, lunghesso la Riviera di Ponente e sopratutto a Savona le forme favorite furono piuttosto Deo e Dio. (■5) Giuochi. Visto l’ortografia di altre parole del testo, quali ge, piage, prege, domenege, largissimamenti, ìdgi, è lecito inferirne per analogia, che il gi di lògi avesse valore, di gutturale; in altri termini, che la pronuncia antica di ?ògi fosse uguale all’ odierna \oghi. (4) Il dittongo ae è qui, come in altri testi più antichi quando i dittonghi non venivano segnati graficamente, nè sciolti nè in nesso, neppur nel latino, già usato per esprimere l’e molto aperta che caratterizza, oggi come allora, molte parole liguri e in particolare il plurale dei nomi terminati in a. Questo suono, meglio che col dittongo, proponeva testé l’on. Randaccio di significare per mezzo dell’ accento grave sull’ e, ossia coll’ è francese. Ritenuto però che il suono del dittongo genovese ae è alquanto più aperto dell’ e francese , e in analogia , anche , all’ uso accettato ormai da illustri dialettologi, fra cui il Parodi, di indicare l’altro dittongo eu mediante 1 0 turbato, ossia coll’o, sembra potersi con pari ragione sostituire al dittongo ae il segno à. (5) Abbiamo qui e altrove agni per «anni» (spagn. «ano»): ma più in giù, là dove si narra il transito della Santa, è scritto che quésto avvenne « a l’ano del Signore mille duxento XXXI ». Le due forme agno e anno coesistevano Γ una a lato dell’ altro fin dal secolo XIV, trovandosi usate ambedue nella Passione edita dal Guarnerio. Pare piuttosto che la prima si adoperasse di preferenza al plurale. Agostino Abate ( 1495-1575) che com' pilò in dialetto le Cronache Savonesi dal 1500 al 1570, scrive sempre ano e ani. (6) Potevano. L’ ortografia della m finale invece della « si conserva, non senza molte eccezioni, fino ai primordi del secolo XVI. GIORNALE LIGUSTICO Ιί ecclexia. La qual vegando che le ancile o le soe compagne la goai-tavam (i), mostrava per zogo de scorre o de perseguì alcuna de quele inver la capella, aciò che per questa via intrasse in ecclexia ; in la qual intrando, ella se inzenogiava, o chinna o bochiia (2). Et bem che non sapesse leze , pur spesso extendea lo salterio in anti a li soi ogi ; quasi se fenzea de leze (3), a ciò che, parendo occupata, alcuno non la impaihasse (4). E soto specie de mezurarse cum le compagne, se gitava in terra steiza, aciò che cossi ella feise ( 5 ) reverentia a Deo. In li zogi de le anele et in li altri, la speransa soa metiva (6) tuta in Deo : et de quello che ella goagnava o che ella avea in peculio dava la dexima a le povere fantine , digando et ameistrandole che elle dixessen (7) spesso el pater nostro et 1’ ave maria, salutando la Vergine Maria. Cresando (8) in etae de tempo, creseiva (9) pü in devotione : ella (1) La quale, vedendo (vegando, gerundio del verbo arcaico vei) che le ancelle o le sue compagne la guatavano. Il savonese goaitd (provenz. gaitar) risponde al genovese agueitd (frane, ant. aguaiter, aguiter; spagn. aguaitar). (2) Bocconi. (3) Fingea di leggere. '4) Impacciasse. Questo verbo è usato anche dall’autore della Passione, però con ortografia alquanto diversa, facendo dire a Cristo « e’ non vògio impaihiar la mia passion » : io non voglio impacciare la mia passione. In documento del 1481 (lettera dell’ambasciatore genovese Luca Grimaldi, in cui dà contezza dell’ accoglienza fattagli da papa Sisto IV) pubblicato con molti altri da G. Grasso, è detto: «loro (i Veneziani) non posseno impa-chiarse del nostro, nè noi del suo » ; dove il verbo è usato in senso, piuttosto, d’ « impicciarsi ». Dell’antica aferesi del c e del g innanzi all’i, non ancora sbandita dai dialetti liguri nella metà del secolo XV, troveremo più sotto altri esempi. (5) Facesse. (6) Anche oggi il Savonese dice metiva = « metteva », dove il Genovese usa vieteiva. La Passione offre esempi dell’ uso promiscuo di ambedue le forme. (7) Dicendo e ammaestrandole che dicessero spesso ecc. (8) Crescendo. Nel genovese antico i gerundii terminano quasi sempre in andò, qualunque sia la desinenza dell’infinito. Cfr. vegando, legando, sen-tiando, bevando, vegliando, riandò, stogando, digando, seando, ecc. . (9) Cresceva. Altrove abbiamo con più esatta ortografia: cresceiva. I 6 GIORNALE LIGUSTICO se elleze la Vergine Maria in soa patrona et advocata et San Zoane evangelista in goardia de la soa virginitae. Seando (i), misse sum 10 altare li nomi de li Apostoli in cedule; et pigliando le altre a la ventura quella che gli tocava, ella fasando trea fiae oratione (2), gli tocava quella de Sam Zoane. A lo quale et circa de lo quale tanto 11 cresceiva la devotione, che nulla cossa denegava a chi demandava in lo nome de San Zoane (3). Et aciò che la prosperità de lo mondo non la aliizengasse (4) tropo, ogni dì in le cosse prospere se levava et amermava(5) qualche cossa. Et quando lo zógo ghe veniva prospero, faxea fin, digando : non voglio andar o ziigar pu oltra, ma per Deo lascio. A li bali, invitata dale altre, poi (6) un circuito o una volta, dixea : bàsteve una volta za, per Dio lassemo li altri bali; et cossi per tale modo temperava le fantine da le vanitae. De le vestimente semper aborrì le male uzanse ; et semper amava le vestimente honeste. Certo numero de oration aveiva pigliao, el quale numero, se non poiva compirlo per qualche occupation, vegiando (7) poi suppliva. Li (,1) Dopo il seando essendo, havvi certamente una lacuna nel testo, che può supplirsi in ecclexia, cioè: essendo (ella) in chiesa. (2) Ella facendo tre fiate orazione. Trea è forse errato per tre. (3) Meno usata, al· antiquo, era la forma Zane, che sopravvive invece oggidì all’ altra nelle campagne (4) Lusingasse. Es. « Lo messo chi t’ aluxenge con soe luxenge, caza via » (Epistola del beato Bernardo\ Molti sono i verbi nei dialetti liguri che, al par di questo alu\engà per «lusingare», differiscono dal corrispondente italiano o latino per 1’ aggiunta di un a in principio di parola. Cfr. aguardd, adescid, amia, apartui, assavei, asuterd, aregordd, arecumandd, aroobd, avad, ecc. ecc., per « guardare, destare, mirare, partorire, sapere, sotterrare, ricordare, raccomandare, rubare, varare, ecc. ecc. (5) Diminuiva. L' amermd, sempre vivo in Liguria, riscontra col provenz. tiiermà, amermà, frane, ant. amermer, mermer, spagn. mermar. (6) Poi ha qui, come in parecchi altri periodi del testo, il significato del lat. post, ital. dopo. La precitata lettera di Luca Grimaldi (Giornale Ligustico, 1879» P· 400) ci permette di cogliere sul fatto la genesi di questa locuzione nel seguente passo : « Sua Santità monstrò havere gratissima la expositione » mia, et post molte bone parole et gratiose dello amore suo verso quela » cita, ecc. ». (7) Vegliando. GIORNALE LIGUSTICO 17 dì solenni questa nobile Elizabet cum tanta dévotion honorava , che pur le manneghe non se voleiva lassar ciixir ni apointar (1) per raxon alcuna, inanci che le messe fossem compie. Li goanti e le mofore (2) in le domenege inanci lo mezo dì non le voleiva; et per la festa et per la soa dévotion le lassava; per la qual cossa era aiisà (3) de queste cosse et simile, far voto a Dio de non portarle, aciò che alcuno non poise (4) per alcune parole persuasive da lo so voto et proposito revocarla. Lo officio ecclesiastico audiva cum tanta reverentia, che quando eran lezüi (5) li sancti evangelij o quando se consagrava la sacra hostia, se 1’ avea manneghe apostiso (6), le desligava, et li fermagi ponea zü, et li altri ornamenti alògava in uno logo. Et da poi che ella ave passato lo stato virginale saviamenti et innocentementi, fo constreita da lo imperio (7) comandamento del padre. Consentì adoncha a lo paire (8) in la copula coniugale pur invio (9) non per libidine ma per non desprexiar lo imperio de lo paire, et per aquistar figli a lo servixio de Deo. Certamenti, bem che ella fosse ligà alo matrimonio, niente demeno non fo subiecta a col-peive delectacion : et questo è manifesto, perso che in la man de lo meistro fe voto che se restava viva poi lo marìo, serverea (10) perpetua continentia et castitae. Fo adoncha acompagnà al Langravio de Turingia, corno reque-riva (11) la reale magnificentia et corno la divina disposition avea ordenao per deveì indile (12) a lo honor et amor de Deo molte per- (0 Oggi apunid (ir. ant. apointer) — allacciare. (2J È viva la voce mujfua (lat. medioev. muffolae, franc, ant. moufle) esprimente un manicotto di pelo per signora. « Ra muffirà da inverno con ro pei ». in sonetto di G. B. Morello (secolo XVII). (3) Usata, solita. (4) Non potesse. (5) Erano letti. (6) A posticcio. (-7) Forse per imperioso. (8) Padre. (9) Soltanto suo malgrado. (10) Conserverebbe. (11) Come richiedeva (franc, requérir). (12) Per dover indurre. Gior n.Ligustico. Anno XXIII. 2 ι8 GIORNALE LIGUSTICO sone mal ameistrae (i). Ben che ella mutasse lo stato, non mutò perso lo bono affecto de la mente. Quanta devocion et humilità et abstinentia a sì (2) propria, et quanta liberalità et misericordia a li poveri, pii apertamenti è manifesto de sota (3). In la oration fo de tanto fervor che preveniva inanci le ancile a la ecclexia cum presto passo , et quasi cum alcune secrete et ascoze oratione pregava et impetrava qualche gracie da Deo. La nocte spesso se levava a la oration. Pregandola suo marito che non se levase sii, et che se reposasse, ordenò cum una donzella inter le altre pii secreta che se, forza (4) agrevà de sono (5) non se levasse, che la tochasse cum lo pé per desvegiarla. Una volta voleiva tocà lo pé de la madona, et per caxo toca lo pé deio marito: onde subito desia (6), cognobe la cossa corno era, et patientementi sofferendo, saviamenti dissimula. Et aciò che ella offerisse lo sacrificio de le soe oratione pü grasso de dévotion a Deo, spesso lo bagnava de abondantia de lagreme ; le quale lagreme le fondeiva alegramenti et sensa alcuna indecente mu-tacion de volto o de fassa ; in tal modo che semper cum dolore piaxea, et del dolore godea cum alcuna serenità et leticia de vizo. A tanta humiltà se sotomisse, che per lo amor de Dio le cosse vile et abiecte no refüava (7) , ma le faxeiva cum tropo dévotion; (1) Male ammaestrate. (2) A sè stessa. L’ on. Randaccio (Dell’ idioma e della letteratura genovese, p. 53), a proposito della voce «sì mesmo » che leggesi nelle Prose genovesi pubblicate dall’ Ive, afferma ehe si, nel senso del se italiano, non appartiene altrimenti al dialetto genovese, dove il pronome italiano sè viene espresso con lè. Sta in fatto, però, che il pronome sì per sè, come mi per me e ti per te, ricorre più volte nel presente testo , non solo , ma passim in altri, vuoi sincroni, vuoi più antichi, come l’Epistola del beato Bernardo. (3) Di sotto. Accanto a questa forma, sota, vivono ab antico nel dialetto savonese, come nel genovese, altre due varietà, sote e sutu, quest ultima assai probabilmente anteriore alle altre due. (4) Corrisponde al sav. mod. foscia = forse. Un po’ più avanti, troveremo con diversa ortografia e identico significato : forsa , che già ricorre, del resto, nell’ antica Passione. (5) Aggravata di sonno. (6) Destato ; oggi desciou. Più anticamente dicevano a preferenza desvegiao. (7) Non rifiutava. GIORNALE LIGUSTICO '9 perciò che um infirmo defformato de vizo et cum la testa spusolente, -cossi orribile lo inclina in lo so sen, o scoso (i), et tondendo li soi capelli briiti et orridi, et li lava la testa, riandò (2) le ancille. In le letanie et processione semper andava a pedi (3) nudi et descalci, vestita de lana a le carne nude o forsa in cilicio. Et in le prediche stava inter le done povere, corno povera et humile. In la purification poi lo parto, non se ornava de perle ni de yoye, corno le altre, ni de veste de brochao d’oro, ni rechamoè (4) de oro, ma, a lo exempio de la intemerata Vergine Maria, portando el figlo en le soe brasse, lo offeriva a l’altare cum lo agnelo et cum la candeila humilementi, per desprexiar la pompa et per conformàse a la Vergine Maria, et per dar exempio de humilitae a le altre; et retornando a caza, donava le soe vestimente che se trovava alora in doso , a qualche povera femina. A premio et gloria de la soa humilitae, fè questo che, seando ella pii libera et pü sublime che le altre, salva la raxon del matrimonio, et consentendo el marito, se sottomisse per Deo soto la obedientia de uno povero mendicante, maistro Conrado, de scientia et de religion pricipio (5) et grande: aciò che tiito quello ■che lo meistro comandasse, ella cum reverencia et cum molto gaudio adimpisse, aciò che cossi aquistasse il merito de la obediencia, et seguisse lo exemplo del Signor nostro Salvatore, chi fo obediente fino ■a la morte. Una volta ella fo ihamata (6) dal suo maistro a una predicha, e, sopravegnendo una marchiza masensa (7), non zè (8) a (1) Grembo, dal ted. schooss, schos. (2) Ridendo. (3) Pedi, come plurale di pé, è forma propria del linguaggio nobile. Il popolo usava pé anche al plurale, o pei, « fuor de le main et da li pé » (Laudi)·, « Li pei de lo so figior » (Pass.) ; « questi son li pei che andavan sover lo mar » (ibid.). (4) Ricamate. (5) Precipuo? (6) Fu chiamata. (7) Sopravvenendo una marchesa attempata? Cfr. genov. via\engu — uomo di età. (8) Non andò. Passato rimoto d’ un verbo affine all’ ital. gire. Questo tempo mancando oggi nei nostri dialetti, bisognerebbe dire : « a no l’è ati-dèta ». 20 GIORNALE LIGUSTICO quella predicha. La qual cossa elio 1’ ave per male, et tanta desobe-dientia non volse relaxare; fin che la fe spogliare fin a la camixia cum le ancille soe che fon (i) in colpa, la fe bate (2). Etiandio tanto rigor et abstinentia gli imponeva, aciò che macerasse il corpo suo di vigilie, de zaziini (3), de discipline et de abstinende. Sovensi (4) abstinendosi dal leto del marito, menava la nocte sensa dormir, aciò che poise insiste (5) a le oratioin, et in ascozo orar Deo padre celestiale. Et quando la necessità del sono la venceiva, dormiva sii li tapei lì steizi (6). Et quando el marito non era a caza, tuta la nocte stava in oration cum lo spozo, dolce messer Ihesu Criste (7). Spesso per man de le ancille se faxeiva bater in la camera; aciò che ella rendesse la vezenda (8) al Segnor nostro Ihesu flagellato; et aciò· che costrenzése (9) la carne da ogni lascivia. In lo cibo et lo beive (io) uzava tanta temperantia et abstinentia, che in torà (11) del marito, inter diverse generacione de cibi, stava contenta solo de pan. Maistro Conrado gli avea dito che de li cibi del marito, de li quali ella non avea sana conscientia, non devesse usarli : la qual cossa observa cum tanta diligentia che, abondando li altri de diversi cibi delicati, ella cum le soe ancille uzava cibi pii grossi. Spesso a torà manezava (12) li cibi, aciò che paresse che li mangiasse; a ciò che non fosse reputata supersticiosa, et cum tale urbanità et cortexia letifica (13) quele persone cum le quale ella mangiava. Seme (14) seando ij Furono; plurale dell’ ovvio fo — fu, a cui non manca, più innanzi, la persona prima del num. sing. in foi = fui. (2) La fece battere. (3i Digiuni. (.41 Soventi. Affine al piemontese suvens. (5) Acciocché potesse insistere. (6) Sui tappeti lì distesi. (71 Persiste nel popolo ligure la dizione Criste. (8) Vicenda. (9) Costringesse; raffrenasse. (10) Nel cibo e nel bere. ni) In tavola. (12) Maneggiava. (13) Forse è errore di penna per letificava. (14) Una volta. Sono tuttora in uso le locuzioni: de çm’ in fentu, sme-lannu, ecc. GIORNALE LIGUSTICO 21 afatigata del longo caminare , et seando offerti a sì et a lo marito diversi cibi, li quali non credeva esser de iusto, in tiito se ne ab-stegnì et mangia patientementi cum le soe ancille pan neigro et duro bagniao (i) in l’aqua calda. Et per la soa sotile conscientia bona et secura, el marito ghe assigna certe iuste rendie (2), de le quale viveiva cum le soe ancille; le quale a tüte le sue cosse consentivam. Spesso refutò li cibi de la corte et requirì (3) li cibi de alcuni boni homi (4). Tute queste cosse el marito sopportava cum patientia, digando che elio farea (5) lo simile se non temesse la turbation de la soa famiglia. El stato de la povertà somamenti dexirava (6), ben che ella fosse in summa gloria : aciò che ella fosse simile a Criste, et eh’ el mondo niente de proprio avesse in ella. Quando era sola cum le ancille, se vestiva de vestimente vile, et crovendose 17) la testa de uno velleto desprexioso (8) et vile, dixea : in tale habito anderò quando serò in 10 stato de povertà. Bem che a sì avesse imposo (9) el freno de la abstinentia, pur cum tanta libéralité se efondea a li poveri, che non soferiva che nullo povero patisse fame , ma .a tuti largissimamenti sovenia, tanto che tüti la ihamavam madre de li poveri. In le overe de misericordia cum tanta vigilantia studiava, aciò che lo regno perpetuo perpetualmenti da regnare aquistasse. Essa certo pasceiva li poveri et a li nudi donava le vestimente, 11 pelegrini albergava, li morti sepeliva, faxea batezare li infanti piceni no), et spesso li teniva a batismo, aciò che, seando mairina (11), (1) Bagnato. (2) Certe giuste rendite. (3) Richiese. (4) Homi, come plur. di homo, già figura nei testi più antichi della letteratura dialettale : « e questo si era delli nober homi della terra » (Pass.). (5) Farebbe. (6j Desiderava. « Aveiva dexirao de cognosserlo » (Pass.). (7) Coprendosi. (8) Di un veletto di basso prezzo. (9) Benché a sè stessa avesse imposto. (10) Piccini; voce viva in Riviera di Ponente, ma antichissima. «Or pianzan piceni e graindi » (Laudi). (11) Essendo madrina. GIORNALE LIGUSTICO pii liberamenti li sovenisse. Advegne che donando a una povereta una assai bona vestimenta, la povereta, vegando sì magnifico et grande dono, fo tanto aiegra che, cadendo in terra, parea morta. Vegando Sancta Helizabet., se dolse che tanta cossa li avesse data, temando (i) che non li fosse caxon de morte : niente de meno prega a Dio per essa, et se leva sana e salva. Spesso fìllava la lana con le soe ancille, de che ne faxea far vesti-mente, a ciò che recevesse fructo de li boni lavori, et per dare exemplo· de humilità et per dare elemoxina de lo lavor de le proprie main (2) a Dio. Essa pasceiva li afamati, a li poveri dava li alimenti da vive (3). Intanto che, seando andato lo marito a la corte de lo im-peradore Fredericho, chi era alaora (4) a Cremona, ella collese (5) ogni victualia, et congregandose de per tiito li poveri, ogni dì li pasceiva ; perso era grande famia et carestia. Spesso, quando man-chava la pecunia, vendeiva li ornamenti per sovenir a li poveri. Molte cosse se levava a sì et a lé (6) per reservare a li poveri. Ella daxea a beive a li poveri cicienti (7). Distribuendo seme la cervoxa (8) a li poveri, abiando (9) dato sufficientementi a ogni persona , fo trovato eh’ el vazo non era niente mancho, ma cossi pieno corno inanti. Ella riceveva li pelegrini et li poveri in suo hospicio. Una grandissima caza fe fare soto lo so castelo, in la quale era grande multitudine de poveri ; li quali ogni dì visitava, non obstante la monta et la vaia (10) grande che era difficile. Ogni cossa necessaria li donava et, che pii, li exortava a patientia cum parole bone. Et bem che ella temeva ogni corroto aere, niente de meno la stè (11) (1) Temendo. (2) Delle proprie mani. (3) Da vivere. (4) Il quale era allora. (5) Raccolse. (,6) A sè ed a lui. (7) Ella dava da bere alli poveri assetati. Lat. sitientes. (8) Distribuendo una volta la cervogia. (9) Avendo. (10) Nonostante il salire e lo scendere. Questo modo di dire è tolto dalle locuzioni geografiche « a monte » e « a valle ». (11) L’estate. GIORNALE L'CUSTICO non aborriva la corrucion de li infirmi, ma dava li remedij boni et sufficienti; et cum lo veleto de la soa testa li forbia, et cum le proprie main li contractava, bem che le ancille avessem a greve (i) tale cosse. In quella propria caza fava norigar (2) cum summa diligentia li infanti de le povere femine, a li quali se mostrava tanto dolce et humile, che tiiti la ihamavano madre. Et intrando essa in caza, tüti la seguivam corno madre, et cum sumo studio se alonga-vam devanti a ella. Avea fatto comperare certi vasi di vitro, asò che li infanti in tali vasi feisem (3) li zogi de li infanti; li quali vasi , portandoli da cavalo in castelo, cadendo sum la rocha de molto alto, in nulla cossa se rompitem (4). Ella visitava li infermi : la occupation de li infermi tanto la occupava in l’animo, che, cerchando li soi hospicij diligentementi, ferventementi li visitava, intrando in le soe camerete humilementi, ni lassava ni per longa via ni per aspera ; a li quali soveniva de cosse necessarie cum parole consolative. Et se afrequentava a le sepolture de li morti cum devocion. Le veste che ella aveiva fate de le soe main, le aconsava (5) intorno li morti : intanto che lo so veleto grande lo partì in doe parte per fasar (6) uno povero morto, le soe sepolture contractava cum le soe main, devota a le soe exequie, cioè quando era dicto o facto lo officio e tiito. Inter queste cosse è da lodar la devocion del suo marito, chi, bem che fosse occupato in molti fati, pure era devoto in servire Dio : et perchè non poteva attende (7) a tale cosse, aveva dato licentia a la soa dona de far ogni cossa che fosse a honor de Dio et salvation de la soa anima. Desiderando Sancta Elizabet eh’ el so marito convertisse le arme de la soa possansa in deffension de la sancta fé, lo exortava a andar a la Terra Sancta. Onde, seando andato là, devoto et fidele a Cristo, rendete lì el spirito a Dio, dal quale recevete glo- (1) Avessero a grave. Vedessero di mal occhio tali cose. (2) Faceva nutrire, allevare. (3) Facessero. (4) Si ruppero. (5) Le acconciava. (6) Per fasciare. (7) Attendere. -4 GIORNALE LIGUSTICO riozo fructo de le soe opere. Et cossi cum devocione abrassate (i) lo stato viduale, aciò che Dio la premiasse et del fructo centesimo, eh’ è el virginale, et trentesimo , coniugale , et sesantesimo, che specta al viduale ; como quella chi avea compio li dexe comandamenti et le séte òvere de misericordia. Seando divulgà la morte del marito per tuta Turingia, ella [fo] sozamenti et totalmenti descasata (2) da alcuni vassali del marito, corno dissiparixe (3) et prodiga. Et questo lassa vegnir Dio, per mostrar a lo mondo la patientia soa, et per che ella aquistasse el longo dexiderio de la sancta povertà. Venendo la nocte in casa de uno tavernar, se poze unde li porci avean iaxuo (4) ; molte gracie rendendo a Dio. Alaora la matina andando a caza (5) de li fratri minori, digandoli che regraciassem Dio de la soa tribulation, et che cantassem Te Deum laudamus; el sequente dì fo comandà che intrasse la caza de so emulo, cum li soi picolini, assignandoli uno streto lògo. Seando molto gravata da 1’ ospita, se partì; ma fo constreta de tornar al primo lògo, et manda li soi picolini a diversi lògi a esse passiii (6). Andando ella per una via streta, pinna de grande fango et de profondo lavagio (7), sovra alcune prie (8) lì poste ; et una vegia (9), (ij Abbracciò; forma insolita. (2) Sozzamente e totalmente discacciata. Nelle Laudi genovesi pubblicate da Crescini e Belletti, trovo descaxai — discacciati. (3) Dissipatrice. Altrove disciparixe. (4) Si pose ove i porci aveano giaciuto. Dell’ unde per « dove », alla latina, sono antichissimi gli esempi nella letteratura dialettale «sì se ne zè allo limbo, onde eran li santi pairi » (Pass.). (5) Invece che «andando a caza», ci vorrebbe « zè a caza », altrimenti il senso non corre. In scritture genovesi anteriori trovo caxa e chaxa. (6) Ad essere pasciuti = perchè fosse loro dato da cibarsi. (7) Lavagio, scolatura di acqua sporca. Propriamente sarebbe la rigovernatura dei piatti, ciò che scola dall’ acquaio della cucina, gen. lavèllo. Quest’ acqua lorda si chiama a Genova lóùgia, e anche laugia, a Savona e altrove lav'òia, mentre in alcuni paesi a ponente di Savona conserva l’antica forma lavaügiu, che ci riporta al lavagio, derivato da lavaiuculum. Se ne trovano esempi in scritture anteriori al secolo XV. « Autri gi butavan lo lavagio per lo vixo » (Pass.). (8) Pietre. (9) Una vecchia, alla quale. - ) a chi za aveiva fati molti beneficij , passava sum quelle proprie prie, non vogliando darli lògo (i), cadete in lo profundo luto (2). Et le-vandose gaudente e ridente, se forbì le soe vestimente. Poi la Abaessa soa amia (3) , patiendo a la soa grande povertà (4) , la menò al Vesco, so barba (5)? chi honestamente recevandola, cautamenti la retegne, volendola remaritare. Sentendo questo, le ancille che cum quella aveam voto de conscientia et per questo se affligevam molto de pianze (6), dixem questo a beata Elizabet cum pianto. La quale, confortandole, disse : mi me confido in lo Segnor, per lo quale amore ò fato voto de perpetua continentia, eh’ el goarderà lo mio fermo proposito, et ogni violentia rompirà et desfarà el consegio humano ; et s’ el mio barba pur me vorrà acompagnar, cum l’animo desconsentirò (7) et contradirò semper; et se no serà altro remedio, me taglerò (8) lo mio proprio nazo, aciò che, cossi defformà, cascum me aborrisa (9). Seando condüta a uno castello, de comandamento de quello Vesco, mal a so grado a star lì firn che fosse remaritata, ella cum lacrime recomanda a Dio la soa castità. Ma eccho che, disponante meser Ihesu Cristo (10) le osse del marito fon portate de oltra mare; le quale sono ricevute dal Vesco cum honorabile procession, et da ella (1) Non volendo darle luogo = darle il passo. Ricorda il dantesco: «Quando s’accorser ch’io non dava loco». (2) Cadde nella profonda melma. (3) La Badessa sua zia (lat. amita). (4) Avendo compassione della sua grande povertà. (5) La menò al Vescovo, suo zio. Anche l’Abate, ìe cui Cronache sono posteriori di ben 120 anni al nostro testo, scrive sempre vesco per vescovo. Barba (lat. mediev. barbanus) per zio, è più che mai vivo. (6) Piangere. (7) Dissentirò. (8) Mi taglierò. (9) Acciocché , cosi deformata, ciascuno mi aborrisca. Cascum richiama lo spagnolo cascini, e si può confrontare colla forma più antica « caschauti », di cui troviamo esempi tanto nelle Prose genovesi edite dall’ Ive, quanto nelle Antiche rime genovesi pubblicate dal Lagomaggiore. (10) Cosi disponendo messer Gesù Cristo. Gli antichi adoperavano volentieri il participio assoluto, come in latino. 2 6 GIORNALE LIGUSTICO cum molta devocion et lagrimation. La quale disse al Signore : gracie ti rendo, Signore, perso che in lo recever de le osse del mio marito, dilecto tuo, mi misera, te sei dignato di consolarme. Tu sai, Signore, che bem che eo abie (i) molto amato lui, pii amava te non de meno; per lo tuo amore, de la soa prezentia volenter inanellai, et sì lo mandai in subsidio de la Terra Sancta. Et bem che me fosse delectabile vive anchora cum lui cum tal pato che cum lui povero mi povereta mendicase per tiito lo mondo, et non de meno, te testimonio, contra toa volontà non lo recaterea uno per capello del mio capo (2), nè lo retornerea a vita mortale. Elio et mi a la tua gracia recomando. Et asò che prendesse el fructo sexagesimo, chi se dà a li observanti la perfection evangelica, se vestì l’abito religioso, cioè vestimente grize (3), humile et abiecto, servando perpetua continentia poi (4) la morte del marito suo, servando perfecta obedientia et voluntaria po vertà. Et voleva andar mendicando de porta in porta; ma (5) che lo suo meistro non lo consentì. Fu l’abito suo tanto desprexiato, che portava lo mantello grizo alungato et vincto d’ altro colore (6), le maniche rote , repesate de pano de altro colore (7). El padre suo, re de Ungaria, audiendo che soa figla era rediita a tanta povertà , mandò uno Conte per rediirla a casa soa. El quale Conte, vedendola de tal habito decorata sedere cum humilità a filare, per admiratione exclamò dicendo: mai figla de Re aparse vestita de tale habito, ni fu veduta filare lana. Fasando (8) el Conte grande instancia per rediirla, non volse consentire, volendo pii tosto vivere cum le povere in paupertà che abon- (1) Benché io abbia molto amato lui. Le forme eo ed t’ per «io » sono antichissime e congeneri a queile di Deo e Dé per «Dio». (2) Qui c’ è evidente trasposizione di parole, e va inteso : non lo riscatterei per un capello del mio capo. (3) Vestimenta grigie. (4) Dopo la morte del marito suo. (5) Senonchè il suo maestro non lo consentì. Cfr. il dantesco : « Nè si dimostra ma che per effetto », « Ma’ che le bolle che il bollor levava », ecc. (provenz. mas que). (6) Allungato e ricucito d’ altro colore. (7) Le maniche rotte, rattoppate di panno d' altro colore. (8) Facendo. GIORNALE L1GUSTIGO 27 dare de molte richeze cum li richi ; aciò che 1’ animo suo devoto fosse in Dio, et la soa devotione non avesse impaiho (1) alcuno, pregò Dio che gli infunde el desprexio de ogni cossa temporale, et che li levasse dal core la dilectione de li soi propij figlioli. Etiamdio prega che gli donasse gracia et constantia de desprexiar le vilanie et beffe cum bona constantia. Facta la oratione, audì lo segnor Dio chi ge disse : exaudita è la oratione toa. La quale disse a le ancille soe : el Signor à exaudita la oration mea, perso che tutte le cosse temporale reputo quasi sterco et inmondicia; et de li figli mei non curo pii corno de li altri proximi; non mi par amare altro che Dio. Maistro Conrado gli imponeva spesso cosse moleste et greve : et quelle persone che pareva che amasse pii, le partiva da ella ; in tanto che le doe ancille fidelle et dilecte che eram alevate da lei in puericia, le remove da lei, non sensa molte lacrime de lei et de le ancille. Questo faxeiva el meistro bono et sancto, per mortificarla et per rompirli la propria voluntà, aciò che totalmenti la ponesse in Dio ; et aciò che alcuna de le soe ancille non li redüxesse (2) la gloria soa passata. In tiite queste cosse era presta a la obediencia et constante a la patientia, aciò che in la soa pacientia possedesse 1’ anima soa, et per obedientia fosse ornata de victoria. Et dixea spesso : se per Dio temo tanto uno homo mortale , quanto debiò (3) temere el sumo iudice celestiale ? et perso volsi promete (4) obedientia a fratre Conrado povero et mendigo et non ad alcuno Vesco richo, aciò che removesse da mi ogni occaxione de consolatione temporale in tiito. Una fìada, molto pregata, intra la ihostra (5) d’alcune moneche, sensa licentia del suo meistro; et per questo la fe tanto bate (6) che poi tre setemane li parve li segni de le batiture. Dicendo a le ancille soe consolando sì et elle : si corno crescendo el fiume, lo gramoglo del grano se asbasia (7) , et decresando se exalta, cossi (1) Impaccio (2) Rimpicciolisse. (3) Dovrò. (4) E perciò volli promettere. (5) Entrò nella chiostra. (6) La fece tanto battere, che dopo tre settimane. (7) Il germoglio del grano si abbassa, e decrescendo (il fiume), s’innalza. 28 GIORNALE LIGUSTICO noi, vegnando qualche afflictione, debiamo per humilità sotometirse; cresciando, debiamo levarse a Dio per grande leticia. Tanto era humile, che non comportava che le soe ancille 1’ appellassem madona, ni voi, ma tu, corno se parla a subditi et menori. Le scudele et le altre scudele de coxina (i) le lavava; et aciò che le ancille non ge lo deviassem (2), le ascondeva. Ancho diceva ; se io avesse trovata una vita pii despectoza, l’averea ellecta pü tosto. Et aciò che, corno Maria, optima parte possedesse, attendeva a devota et solicita contemplatione, in la quale da Dio ave speciale gracia de lacrime et celestiale visione, et gracia de infìamar et accender li altri a l’amore de Dio. Quando parea pii iocunda, alao[r] mandava lacrime de iocunda devotione, tanto che del suo iocundo volto , corno da una fontana clarissima, correan le lacrime che parea che pianzando gaudisse (3), non cambiando mai il vizo in ruga , ni in deformitè per pianze. Et soleva dire de quelle che defformavam lo vizo in lo pianto, che paream spaventare Dio : dageno (4) al Signore quello che ànno cum iocundità. Le visione celestiale spesso vedeva in le soe oratione. Uno dì de quareizema, seando in ecclexia , stava sì attenta cum li òihi fixi (5) et fermi a Γ altare, corno quasi se goardasse lì la presentia de Cristo : onde per magno spacio consolata, fo piena de divina refectione. Da poi retornata a caza, seando per debelesa apozata (6) al giemio o in lo scoso de la ancilla , et quella per la fenestra levasse a li celli li òihi fixi (7), de tanta ilarità fo pino il vizo suo, che etiamdio uno mirabile rizo sequita poi ; la quale , seando longamenti letificata de così iocunda visione, subito in lacrime fo conversa. I ornando aprire (i) Scodelle di cucina. <2) Non glielo impedissero. (3) Parea che piangendo godesse. (4) Diano al Signore. (5) Cogli occhi fissi. (6) Essendo per debolezza appoggiata al grembo. (7) Levò ai cieli gli occhi fissi. Cfr. « desperasse dalla misericordia de Dé » (Pass.) - disperò della misericordia di Dio. giornali: ligustico 29 li ôihi, era in quella iocundità che in prima ; et cossi serrando li ògi, li riga de lacrime: et cossi, firn a compieta, stete in tale consolatione. Et cossi tacendo totalmenti, infine disse : sì, Segnore , tu voi esser cum mi, et mi cum ti, et mi non voglio essere da ti separata. Poi, seando pregata da le ancille che, a honor de Dio et consolation de elle, devesse dir quello che avea veduto; per molta importunità e retrestimento (1), disse: mi ho veduto el celo aperto, et Ihesu in-chinarse et mostrarme el suo serenissimo volto; et mi, de la soa visione perfuza de ineffabile iocundità, del suo partire rimanea deiecta de molta tristicia. Et per misericordia de mi, anchora me letifica , digando et mostrandome el suo sancto vizo: se tu voi esser cum mi et mi cum ti; al quale respozi corno audisti. Seando pregata che revelasse la visione che vide presso 1’ altare, disse : Quello che vidi non fa mester narrare ; lì foi in grande gaudio et vidi cosse mirabile de Dio. Spesso, seando in oratione, la sua fassa maravegiozamenti luxiva ; et ne procedeva radij corno de sole (2). La soa oratione era de tanto fervore, che infiamava li altri. Uno ioveno vestito secularmenti (3) ihamò a sì, dicendo : par che tu vivi tropo desolutamenti (4), chè deveresi servire el tuo Creatore; voi tu che prege per ti ? et lui respoze : eo ve lo prego grandementi. Et orando lei et lo joveno cum lei, crida el joveno: cessate oramai, cessate, et orando lei pii attentamenti, el joveno pii alto crida: cessate madona, che tiito briixo, che tüto fiimo et siido de caldo ; et gitava le brace corno for de mente (5). Alcuni corsem et sì lo tegnin (6), et trovam bagnae le soe robe per lo grande sudore ; et non poteam patir lo caldo che insiva de le soe main (7), cridando lui: tiito ardo et consumo. Poi che Sancta Elizabet cessa de orare , el zoveno cessa (1) Rattristimento. (2) La sua faccia meravigliosamente splendeva; e ne usciva(no) raggi come di sole. (3) Da secolare. (4) Troppo dissolutamente. (5) E agitava le braccia come fuor di sè. «Si fo daito in le brace de la soa maire » (Puss.). (6) Alcuni corsero e si lo tennero. (7) Non poteano soffrire il caldo che usciva dalle sue mani. 30 GIORNALE LIGUSTICO de aver caldo ; et retornando in sè medesmo, illuminato da la divina gracia, intra ne lo ordine de fratri menori (i). Quela inflamation mostra el fervor de la oration de Sancta Heli-zabet: et tanto che etiamdio el zoveno fredo fo infiamato; ma lui, corno carnale et sensuale, et non anchora spirituale, non era anchora capace de tale cosse. A cumulo et acrescimento de la soa perfectione, per l’ocio de Maria, cioè per la contemplatione, non lassa lo officio laborioso de Malta, come fe de sopra; poi che fo religiosa, era solicita a le opere de misericordia. Abiando recevuto doa milia marche, parte distribuì a poveri et del resto fe fare uno hospitale magno in Marpurch ; et per questo tiiti l’appellavam prodiga et disciparixe. Et perchè tiite le iniurie sapea acceptare alegramenti, era improperata (2) che tropo tosto avea de-menticato la morte del marito. Tanto solicita era ali infirmi, che li bagnava et meteva in leto et li croviva (3). Ecca (4), diceva lei a le ancille, che bella cossa è ba-gniar Cristo et crovirlo ! In questo servixo de li,poveri era tanto humile, che um garsom de uno ogio et tignozo, una nocte sexe (5) volte lo porta a lo necessario, in brasso, et lavò volentera li soi pani briiti. Una dona leproza molto oribile, spesso lavando, la misse in leto, (1) I vocaboli menori e minori usati promiscuamente nel nostro testo spettano al parlar nobile. In pretto dialetto si diceva piuttosto menoi. Es. « O san Francesco glorioxo | paire de li frai menoi ». (Laudi) « La persona che ha questa vertue si rende a li soi maoy honor et reverenda, et a li soi menoi dotrina et amaistramento ». (Prose gen.). La forma menori per minori è analoga a quella di menilo per minuto (agg.), di meneslra per minestra, fenestra per finestra, ecc. ecc. (2) Veniva rimproverata. (3) Li copriva. (4) Ecco. Nella Passione occorre più volte la forma echa, e talvolta ecame, echame. (5) Sei volte; non già sedici, come altri, fra cui il Flechia e il Randaccio, tradusse questa voce, di cui offre alcuni esempi la nota canzone dell Ammiraglio. Nelle scritture genovesi il numero sedici si esprime, invece, colla parola se^je. GIORNALE LIGUSTICO 31 netezando le soe piage et ligandole , medigandola et tagliandole le ongie (1), et inzenogiandose la descalzava ; inducendo tiiti li infirmi a confessione et comunione. Una vegia che non volea cenfessarse cum batiture la rediisse. Quando non serviva li infirmi, filava la lana, et dava a li poveri 10 precio del filare. Poi molta povertà , divise la soa dota, la quale era una parte de cinquecento marchi. Fo facta leze (2), se persona alcuna mutasse lògo in preiudicio de 11 altri poveri per recever elimoxina un altra volta , che gli devesse esser tagiati li capelli. Ecca una fantina fornita di belli capelli, de-biando passare per cori (3), vene lì non per elimoxina, ma per visitar la soa sorella inferma : la quale, corno rompitrixe de la leze, fo aducta a Sancta Elizabet, et presto comanda che le fosse tagiati li capelli, pianzando ella , contrastando et resistendo. Excusandola alcune che eram prezente, che era inocente, disse Sancta Elizabet : almancho no anderà cum tanta vanagloria a li bali. Interogata questa jovena da Sancta Elizabet se ella ave mai inspiratione de lasciar lo mondo, respoze che de grande tempo averea recevuto 1’ abito sancto, se non fosse la vanagloria de li cavelli. Et dixe ancho Sancta Elizabet: el m’è pii caro che tu abi tagiati li capelli che s’el ligio mio fosse imperatore. Et presto la iovena se vestite l’abito religioso, et serviva in lo hospitale cum Sancta Elizabet. Una jovene avea aparturito (4) una figla, la quale Sancta Elizabet (1) Unghie. (2) Fu fatta legge. (3) Dovendo passare per costì, venne lì. (4) Anche questo aparturito è forma pretenziosa del linguaggio letterario. Ma il verbo apartuì, come oggi si pronuncia e si scrive, cioè mancante del secondo r, già si trova nell’ Epistola del b. Bernardo « La roba tropo apa-rissente tosto apartuise odio a li vexin » : dove è a notarsi che 1’ editore trascrisse « a partuise », chiedendo con sorpresa se questo a staccato non fosse per avventura un esempio dell’ articolo già pervenuto fin d’allora all’ultimo grado di sua evoluzione (la, ra, a). Senonchè un esempio di apartuì nella sua forma attuale trovasi anche nelle Rime genovesi annotate dal Fischia ; e porge argomento d’induzione da aggiungersi ai non molti finora addotti da coloro che sostengono la caduta del r nel dialetto genovese rimontare ad un età assai alta. 32 tenè a batismo, et le poze el suo nome, et provedea a la comm atre (i), sì che levò le maniche de la pellissa de 1’ ancilla soa et le dona a fasiar la figliola, et li proprij scapini dona. Appropinquandose el tempo che lo Signore avea ordinato che la ancilla soa Elizabet, chi avea desprexiato el regno del mondo, volea tirarla al regno del celo, iaxendo (2) in leto per febre, tenendo lo vizo al muro, fo audito una dolcissima melodia, che ella cantò. Et seando interrogata che avea dito, respoze: una avicula se possa (3) inter mi et lo muro, et canta sì suavementi che me fe cantare. In quella soa infirmità era semper aiegra , et mai non cessava da la oratione. L’ ultimo dì inante la morte, disse a le ancille ; che faresti voi se lo demonio venisse a voi ? Da lì a un pocho, quasi licen-tiando lo diavolo, crida tre volte : fuge, fuge, fuge. Da poi disse : ecca, se appropinqua la meza nocte , in la quale Cristo volse nasce et se reposò in lo presepio. Appropinquandose 1’ ora de lo so transito, disse. tempo è in lo quale Dio li soi amixi inviterà a le soe noce (4). Da poi um pocho, a l’ano del Signore mille duxento XXXI, morì in paxe. Ben che lo so corpo venerabile quatro dì iaxesse desoterao (5)1 no insiva da elio alcuna spusa (6), ma gradi(ti)ssimo odore. Alantora (7) fon viste alcune oxelete sum la cima de la ecclexia congregae , le quale nisiin avea mai visto innanti ; chi tanto suavementi cantavam et cum tanta differensia de canti, che tiiti faxevam maravegiar, che pareiva che feisem 1’ oficio a Sancta Elizabet (8). Alaora fo audia una suavissima voxe, overo melodia, corno se cantassem quello responsorio de lo officio chi incomensa: Regnum mundi et omne ornatum eius contempsit. (11 Prowedea alla comare, sì che levò le maniche della pelliccia. (2) Giacendo in letto per febbre (3) Un augelletto si posò fra me e il muro. (4) Dio inviterà i suoi amici alle sue nozze. (5) Quattro giorni giacesse dissotterrato (6) Non usciva da -esso alcuna puzza. « La goliardia de vii homo è spuza » (Episl. del b. Berti.). (7) Oltre a questa, sono ovvie nei testi antichi le forme lanlor, lantorar lantó, aluntor, oggi laniùa, alantua. (8) Pareva che facessero l’uffizio (dei morti) a S. Elisabetta. GIORNALE LIGUSTICO Molto fo lì lo clamore de li poveri, molta devocion de populi, tanto che alcuni tagiavan de li soi cavelli, altri uno pocho de li pani ; et li servavam per summe reliquie. El so corpo fo posto in lo morimento (i), che fo trovato redundar oleo. Manifesto è de quanta sanctità ella fo, quanto a lo cantar de l’oxeleto, che se crede fosse lo so angelo, et quanto a lo descasar de lo demonio; manifesto de quanta mondicia, quanto a lo odore, manifesto de quanta excelentia de sanctità , quanto a la iubilatione de li Angeli, manifesto de quanta misericordia et pietà, quanto a la émanation de l’olio, perso che in tiita la vita soa fo misericordiosa. Manifesto fo de quanto merito et de quanta podestà , per li molti miraculi per li quali è mostrata glorioza. Amen. Una fantina somersa in 1’ aqua, per li soi meriti fo presto resusi-tata. Un fantin de quatro agni, per caxo fo tirao fora da uno chi tirava aqua; in lo qual fantin eran segni che longamenti era stato morto. Fato voto da li proximi, fo resusitato. Un fantin de cinque agni, per li meriti de Sancta Elizabet recevè la vista cum la terra de la soa sancta sepoltura. Amen. Chi livra (2) la legenda de Sancta Elizabet, figla de lo re de Ungaria , per mi Alarame Traversagno , adi XV11IJ de aprile 1455, in Sanna (3). (1) Monumento; idiotismo assai comune nelle scritture antiche « et sì lo misse inter uno morimento novo » (Pass.). (2) Qui finisce. Il verbo livrd per « finire » (lat. liberare) è oggi ancor vivo in qualche paese di Riviera. In poesie savonesi del secolo XVII attribuite al Chiabrera e da me edite nella Strenna savonese del 1895, la voce liverèga ha il significato di «fine». Nell’ Epist. del b. Bem. abbiamo il participio livrà in senso di «finita». «La torre livrà et compia et l’arca vòa fan tardi l’omo esser savio ». (3) Oggi, come allora, il nome popolare di Savona è San-a. (ìioRN. Ligustico. Anno XXII. 34 GIORNALE LIGUSTICO L'EPISTOLARIO DI LODOVICO ARIOSTO La prima lettera dell’Ariosto, che sia stata messa alle stampe, è quella che scrisse a Pietro Bembo « alii XXIII febbraro MDXXXI ». La dette alla luce, nel 1560, Francesco San-sovino (1); fu ristampata, co’torchi di Stefano Orlandini (2), verso il 1740 (3), ma unicamente « per empiere la facciata » (1) Delle lettere da diversi Re et Principi et Cardinali et altri huomini dotti a Mons. Pietro Bembo scritte primo volume, di nuovo stampato, riveduto et corretto per Francesco Sansovino. Con privilegio, In Venetia, appresso Frane. Sansovino et compagni, MDLX ; p. 70. (2) Opere di M. Lodovico Ariosto in questa impressione esattamente raccolte e di scelte annotazioni adornate, tomo secondo, che contiene: I Cinque Canti che seguono la materia del Furioso; Le Osservazioni del Laveria sopra il detto; I Luoghi comuni del Furioso scelti dal Toscanella ; L’Ìndice di tutte le stante del detto raccolte dal Rota; Le due Commedie scritte in prosa; Le cinque Commedie scritte in verso; Una Lettera a M. Pietro Bembo; Le Rime; L’ Erbolato ; Le Satire, e Le Poesie latine; pp. 352. (3) Il tomo primo dell’edizione orlandiniana porta scritto: « In Venezia, » MDCCXXXI, per Stefano Orlandini professore, con licenza de’ superiori » e privilegio » ; il tomo secondo è mancante d’ogni nota tipografica. Nell’ avvertimento « a’ lettori » sta scritto : a se la pubblicazione del tomo » presente vi pare alquanto tarda, sappiate che è proceduta non solamente » perchè il ritrovare, l’unire e il disporre tante cose richiede tempo e agio; » ma principalmente perchè siccome di questa impressione ebbe la cura il » P. Maestro Raimondo Missori M. C., sotto la cui direzione usci nel » pubblico il primo tomo, cosi non avendo egli più oltre del medesimo » volume potuto, per le sue gravissime occupazioni, pensare a questa im-» pressione, se ne giacque essa neghittosa e scioperata, finché altri sottopose » le spalle al carico gravoso, e rannodando e disponendo le cose già no-» verate , compose questo volume, che ora se ne viene lietamente nelle » vostre mani ». Chi se ne prese la cura dovette essere senza dubbio Giovanfrancesco Pivati, che al Missori aveva prestato largo aiuto nella GIORNALE LIGUSTICO 35 del secondo volume delle Opere di messer Lodovico, « ch’era vacua»; la riprodusse nel 1741 Gio. Andrea Barotti, nella prima edizione che fece delle Opere dell’Ariosto, e la riprodusse insieme colle due lettere a Gio. Francesco Strozzi de’ 19 gennaio e 21 luglio 1532, « trovate per buona sorte originali nell’Ar-» chivio di casa Bentivoglio in Ferrara; nella quale essendo » passata una gran parte dell’eredità Strozzi, passate vi sono » non solamente queste due lettere, ma probabilmente altre » molte dell’Ariosto; le quali trovate si sarebbono, se il tempo » avesse permesso di cercarle tra una farraggine innumerevole » di lettere, che si conservan confuse nel detto Archivio. Il » buon genio alle lettere del sig. Marchese Guido Bentivoglio » ne ha permesso la copia, che qui si stampa, fedelmente » levata dagli originali suddetti » (1). Son parole del Barotti; che, peraltro, a confessione del suo stesso tipografo, « non restò soddisfatto » di quell’ edizione, e neppur dell’ altra del 1745; e nel 1766 si accinse a darne una nuova, co’ torchi, al solito, di Francesco Pitteri di Venezia. Ristampò le due lettere a Gio. Francesco Strozzi del 19 gennaio e del 21 giugno 1532; non che la lettera al Bembo; e vi aggiunse la lettera al cardinale Giovanni de’ Medici de’ 25 novembre 1511, che era stata pubblicata in Arezzo fin dal 1725 da Angiolo pubblicazione del tomo precedente. Per testimonianza del Guidi [Annali delle edizioni e delle versioni dell’ Orlando Furioso e d’ altri lavori al poema relativi, Bologna, Tipografia in Via Poggiale n. 715, M. D. CCC. LXI; p. 204] « alcuni esemplari portano il seguente titolo: Opere di M. Lodovico Ariosto » con somma diligenza raccolte e divise in due tomi, In Este MDCCXL. Presso » Stefano Orlandini Stamp. della Magn. Comunità ». È dunque da ritenere che il tomo secondo abbia veduto la luce a Este nel 1740. (1) Opere di Lodovico Ariosto con dichiarazioni. Tomo quarto, In Venezia, M D CC XLI. Appresso Francesco Pitteri. Con licenza de’ Superiori e privilegio; pp. 848-852 (testo delle Lettere! e pp. 853-854 (Dichiarazioni alle Lettere). 36 GIORNALE LIGUSTICO Maria Bandini (i); arricchì poi l’epistolario d’altre quattordici lettere, tutte inedite. Una è indirizzata a papa Leone X, ha la data de’ « XVI di gennaro MDXX », e la cavò « da un » antico manoscritto » della commedia II Negromante « ap-» presso i signori conti Malaguzzi di Reggio ». Delle rimanenti, le otto a Gio. Francesco Strozzi, de’ 30 gennaio, 20 febbraio, 29 marzo, 5 aprile, 28 giugno, 23 luglio, 12 e 20 agosto 1532, dall’Ariosto sono scritte in nome proprio; le quattro al medesimo, de’ 22 gennaio e 26 ottobre 1531, 5 luglio e 25 dicembre 1532, invece sono scritte a nome del-l’Alessandra Strozzi, la donna del suo cuore. Parimente a nome di lei è scritta l’altra de’ 18 luglio 1532 a madonna Lucia moglie già di Carlo Strozzi. Di queste quattordici lettere , « otto » le trascrisse dagli « originali nell’Archivio di casa » Bentivoglio in Ferrara » ; affermando essere le sole « fino » ad ora.... trovate tra una farraggine innumerabile di let->) tere che si conservan confuse nel suddetto Archivio » (2). Di quattro, quelle cioè in nome dell’Alessandra de’ 22 gennaio e 26 ottobre 1531 e 18 luglio e 25 dicembre 1532, non indica da chi allora era posseduto 1’ originale. Il Barotti, che di quanti hanno scritto intorno a messer Lodovico è di tutti il più benemerito, ebbe la fortuna nel corso della vita (1702-1772] di venire in possesso di buon numero di manoscritti ariosteschi, che poi nella vecchiaia donò alla Biblioteca Comunale di Ferrara, e ne sono anche adesso insigne ornamento. Tra questi manoscritti si trovano quattordici lettere autografe di Lodovico, non che una tutta di mano (1) Collectio veterum aliquot monumentorum ad historiam praecipue litterariam pertinentium, Aretii, 1754; p. 56. (2) Opere di Lodovico Ariosto, con dichiarazioni: tomo sesto, In Venezia, MDCCLXVI. Appresso Francesco Pitteri. Con Licenza de’ Superiori e Privilegio; pp. 387-417 (testo delle Lettere) e 4.18-421 (dichiarazioni alle Lettere). GIORNALE LIGUSTICO 37 dell Alessandra Strozzi, de’3 ottobre 1531, indirizzata a Francesco Ariosto. Monsignor Giuseppe Antonelli afferma che il Barotti « le ebbe dal marchese Guido Bentivoglio » (1). Tranne una (quella alla Lucia vedova di Carlo Strozzi, de’ 18 luglio 1532) son dirette a Gio. Francesco Strozzi e scritte da Lodovico, parte a nome proprio e parte a nome dell’Alessan-dia. Di queste quattordici lettere, dodici si leggono a stampa tra quelle edite dal Barotti ; e tra queste dodici, si contano anche le quattro di cui non indicò il possessore dell’autografo, che forse era lui stesso, a cui il marchese Cuido, probabilmente, prima ne donò quattro, poi le rimanenti. La Biblioteca Comunale di Ferrara ha inoltre un esemplare dell edizione delle Opere in versi e in prosa italiane e latine di Lodovico Ariosto, nobile ferrarese, con dichiarazioni : divise in quattro tomi. In Venezia, MDCCXLI. Appresso Francesco Pitteri. Con licenza de' Superiori e privilegio; esemplare nel quale, il Barotti fece « molte correzioni marginali, vi pose non poche » dichiarazioni, e vi aggiunse parecchie poesie e alcune lettere, » che erano inedite ». L’Antonelli dice che « è questo 1’esem-» piare di cui s’è servito lo Zatta per l’edizione fatta in » Venezia nel 1772, in sei volumi in-12.0 ». E soggiunge, che « quest’ esemplare merita d’ esser tenuto in gran pregio » e dovrebbe essere riscontrato da chi intraprende una qualche » nuova edizione dell’Ariosto » (2). A buon conto, l’edizione d’Antonio Zatta non è in sei volumi, ma in quattro; non è in dodicesimo, ma in quarto. A me nasce il dubbio che l’An-tonelli l’abbia confusa con quella di Francesco Pitteri del 1766, appunto in sei volumi in dodicesimo e terza tra quelle curate (1; Antonelli G. Indice dei manoscritti della Civica Biblioteca di Ferrara, In Ferrara, nello Stab. tipogr. di Antonio Taddei e figli, 1884: Part. I, p. 22. (2) Antonelli G. Op. cit. I, 28. 38 GIORNALE LIGUSTICO dal Barotti, o per meglio dire seconda di fatto , giacché la seconda di data non è che una ristampa della prima, senza il mutamento di una virgola. Del resto, sia « le correzioni mar-» ginali », sia « le non poche dichiarazioni », sia « le pa-» recchie poesie e alcune lettere che erano inedite », insomma tutto quello che si trova manoscritto nell’ esemplare dell’ edizione pitteriana del 1741 si legge a stampa nell’edizione fatta dallo stesso tipografo il 1766, che tanto si avvantaggia sul-1’ altre due e che è la sola di cui il Barotti si dicesse, e con ragione, contento. Nel secolo scorso chi recò un nuovo contributo, sebbene tenue, all’epistolario ariostesco fu Γ ab. Girolamo Tiraboschi, che nelle « aggiunte e correzioni » alla sua Storia della letteratura italiana stampò, per la prima volta, la lettera che scrisse messer Lodovico ad Alfonso I d’Este, il 4 di maggio del 15 19, per annunziargli la morte di Lorenzo de’ Medici Duca d’ Urbino. « Se il sig. dott. Barotti » (cosi il Tiraboschi nell’atto di pubblicarla) « avesse potuto vedere i monumenti » di questo Ducale Archivio » di Modena « ne avrebbe tratte » alcune altre importanti notizie intorno all’Ariosto. Ma, o » non gliene nacque il pensiero, 0 non ebbe speranza d ot-» tenerlo. A me dunque è toccato la sorte di farne uso prima » di ogni altro » (1). Il Tiraboschi ricorda, ma senza però pubblicarle, le tre lettere dell’Ariosto al cardinale Ippolito d’Este, de’ 7 settembre, 22 ottobre e 25 dicembre 1509. Di quest’ultima, « la quale però è stata, in parte, consunta dal » fuoco » , dà anzi un sunto. Fa poi conoscere che « molte » sono le lettere che nello stesso Archivio conservansi, scritte » daU’Ariosto mentre trovavasi Commissario nella Garfagnana, (1) Tiraboschi G. Storia della Letteratura italiana. Tomo IX, che contiene le aggiunte e le correzioni, In Modena, MDCCLXXXI. Presso la Società tipografica; p. 174. GIORNALE LIGUSTICO 39 » benché non poche di esse siano malconce dal fuoco e dal-» 1 acqua ». Aggiunge, che « la prima è de’ 22 di giugno » del 1522; l’ultima de’ 2 d’agosto del 1524 »; e che, « una, » tra le altre, è degna di considerazione per la libertà con cui » in essa si duole che il Duca non sostenga la sua autorità » e gli ordini da lui dati in quel suo governo , ma si lasci » talvolta piegare ad annullar le sentenze da esso date ». Sette son le lettere che l’ab. Girolamo Baruifaldi, il giovane, stampò a corredo della sua Vita del Poeta, venuta alla luce il 1807. Cinque però di esse già erano state pubblicate (1); e le inedite non furon che due, quella al cardinale Ippolito d’Este, senza data, ma scritta da Reggio nell’ottobre del 1510, e l’altra al « sig. Guidobaldo Feltrio da la Rovere Ducale » primogenito d’Urbino », de’ 17 dicembre 1532 (2). Corsero trentun’ anni senza che 1’ epistolario ariostesco si arricchisse di nessuna nuova lettera, quando nel 1838 fu data alle stampe quella a Isabella d’Este, moglie di Francesco Gonzaga e Marchesana di Mantova, de’ 9 ottobre 1532. Se ne fece editore P. A. Tosi, bibliofilo e mercante, al quale Gaetano Melzi aveva affidato la cura di ristampare la sua Bibliografia dei romanci e poemi romanzeschi italiani ; e la inserì nella nuova edizione, che ha invece il titolo più proprio di Bibliografia dei romanci e poemi cavallereschi italiani; edizione, della quale, secondo il Melzi, il Tosi si limitò « a rivedere e ritoccare i » materiali già preparati » , mentre, a sentire il Tosi, fu lui che rifece « 1’ opera interamente, sì per la descrizione dei libri, (1) Son le lettere al cardinale Giovanni de’ Medici de’25 novembre 1511, ad Alfonso I d’Este de’ 4 maggio 1519, a Leone X de’ 16 gennaio 1520, a Giovanfrancesco Strozzi, a nome dell’Alessandra, de’ 22 gennaio 1531, e a Pietro Bembo de’ 23 febbraio dello stesso anno. (2) Baruffaldi G. La vita di M. Lodovico Ariosto, Ferrara, pe’ soci Bianchi e Negri stamp. del Seminario, MDCCCVII; pp. 270 e 291-292. 4« GIORNALE LIGUSTICO » come per le notizie bibliografiche e letterarie dei mede-» simi » (i). Comunque sia la cosa, la lettera ariostesca, che il Tosi dice da lui stesso « copiata sull’autografo », si legge a corredo della descrizione che egli fa del Furioso impresso a Ferrara nel MDXXXII « per maestro Francesco Rosso da » Valenza ». È tolta dall’Archivio de’ Gonzaga di Mantova. Ritenendola inedita, la ristampò Carlo D’Arco il 1845; e due ve ne aggiunse al marchese Francesco Gonzaga, scritte il 14 agosto del 1512 e il 6 giugno del 1519 (2). Queste ultime, alla sua volta, le credette inedite Anton Enrico Mortara, e tornò a pubblicarle nel 1852; ma accresciute d’altre tre, che non avevan vista la luce, d’una cioè al marchese stesso de 7 luglio 1519 e di due a Mario Equicola de’ 15 ottobre 1519 e 8 novembre 1520 (3). Meno fortunato fu Γ ab. Willelmo Braghirolli, che delle cinque che trascrisse dall’Archivio de Gonzaga e pubblicò nel 1856 (4), neppure una ebbe il conforto di darla fuori per il primo (5). Il 1857 prese a racco- (1) Cfr. Bibliografia dei romanci di cavalleria in versi e in prosa italiani, opera pubblicata nel 1S29 da G. Melzi, rifatta nell’ edizione del 1838 da P. A. Tosi, ed ora dal medesimo riformata ed ampliata, con appendice di varietà bibliografiche, Milano. G. Daelli e C. editori, MDCCCLXV; p. ^ II e segg. (2) D’Arco C. Notizie di Isabella Estense moglie a Francesco Gonzaga, aggiuntivi molti documenti inediti che si riferiscono alla stessa signora, all’istoria di Mantova ed a quella generale d’Italia; nell’Archivio storico italiano. Appendice, vol. II, n. ii, doc. LXXXII, LXXXIV e LXXXIX, pp- 5i6> 3T7' 318 e 323. (3) Epistole di Lodovico Ariosto, di Giovati Giorgio Trissino, di Iacopo Sanazaro, di Veronica Gambara e di Bernardino Baldi, Casalmaggiore, 1852; PP- r3> r5> 16. [Per nozze Fadigati — Visioli]. (4! Son quelle a Francesco Gonzaga Marchese di Mantova de’ 14 luglio J5I2> 6 giugno e 7 luglio 1519, ed a Mario Equicola de’ 15 ottobre 1519 (esso, invece di 15, stampa 19; e 8 novembre 1520. (5) Lettere inedite di alcuni illustri italiani, Milano, Ripamonti Carpano, 1856; in 4.0 pp. 15, 16, 17, 18 e 19 [Per nozze Cavriani-Lucchesi Palli!- GIORNALE LIGUSTICO 41 gliere le già stampate Filippo Luigi Polidori e ben XXVII ne riprodusse, tutte da lui annotate, non senza esprimere la speranza che crescer dovessero il desiderio di quelle che da » lunghi anni restavano inesplorate e nascoste » (1). L’anno dopo tutte le riprodusse, e con due nuove per giunta (2) , il dott. A. Racheli (3). Ecco frattanto che l’Archivio Palatino di Modena viene aperto al pubblico, e de’ primi ad accorrervi è il marchese Giuseppe Campori, che subito prende a far ricerche intorno a Torquato Tasso e all’Ariosto, e dell’Ariosto pubblica la lettera de’ 7 aprile 1513 a Benedetto Fantino « Cancellerò » dell’ 111."10 e Rev.mo Cardinal di Ferrara », e nel pubblicarla scrive : « chi pensi quanto siano rare le lettere di Lodovico » Ariosto, di cui il moderno autore ed illustratote delie opere » minori di esso a stento potè radunarne ventisette, non sarà » per disconoscere l’utilità della pubblicazione di tutte le ine-» dite, a giovamento della storia e della buona lingua italiana. » E la fama stessa dell’ autore riceverebbe conforto e lode da » questa pubblicazione, imperocché verrebbe manifesto come » 1’ animo suo fosse inclinato alla giustizia e a miti non meno » che a retti pensieri, e come fosse in ispecial modo alieno » da quei guadagni e da quei mercimonii illeciti, ma disgra- (1) Opere minori in verso e in prosa di Lodovico Ariosto, ordinate e annotate per cura di Filippo Luigi Polidori. Tomo II, Firenze, Felice Le Monnier, 1857; PP· 527*5^1· (2) Di queste due lettere, quella del i.° ottobre 1512, è diretta a Lodo-vico Gonzaga Principe di Gazzolo e di Sabbioneta, e quella del 7 luglio 1519 alla Marchesa di Mantova. Son cavate tutte e due dagli autografi che si conservano nell’Archivio de’ Gonzaga. (3) Satire e rime di Lodovico Ariosto, nuovamente ordinate e corredate-di note, con in fine 1’ Erbolato, le Lettere, le Poesie attribuite all’ autore e i carmi latini, Trieste, Tipografia del Lloyd austriaco, 1858 : pp. 68-79 e 126. 42 GIORNALE LIGUSTICO » ziatamente tollerati nei governi d5 allora, forse a ristoro » degli scarsi e non costanti stipendi » (i). Non furon parole al vento. Appunto dall’Archivio Palatino quattro ne trascrisse e pubblicò Luigi Cibrario nel 1861 (2). Una è scritta al Cardinale Ippolito e ha la data de’ 7 settembre 1509; le altre tre son dirette al Duca Alfonso e dettate tutte in Castelnuovo di Garfagnana il 22 giugno e il 26 novembre del 1522 e il 25 aprile del 1523. Senza che l’uno sapesse dell’altro, nel 1862, il dott. Angiolo Fondora a Lucca e il cav. Antonio Cappelli a Modena recarono un ben largo contributo all’ epistolario del nostro Poeta. Ottantanove son le lettere che pubblicò il Fondora, tutte quante indirizzate agli Anziani della Repubblica Lucchese e scritte da Lodovico tra il 1522' e il 1525, quando per Alfonso I fu Commissario della Garfagnana (3). Cinquanta son quelle poste alla luce dal Cappelli, ma però quarantacinque soltanto le inedite, avendo ridato fuori, bensì raffrontate sugli autografi, e la lettera al Fantino edita dal Campori e le quattro messe a stampa dal Cibrario. Delle quali cinquanta lettere una è diretta a Bonaventura Pi-stofilo, tre a Obizo Remo, cinque al Cardinale Ippolito d’Este, una al Fantino, suo cancelliere, trentacinque al Duca Alfonso; cinque son poi scritte a nome del Cardinale (4). Tredici ne (1) Campori G. Relazione di alcuni studi fatti nell’Archivio Estense, pre sentata alla Deputazione di storia patria nella tornata del 7 dicembre 1860; nella Gazzetta di Modena, n. 499, 7 dicembre 1860. (2, Lettere inedite di santi, papi, principi illustri, guerrieri e letterati, con note ed illustrazioni, Torino, tipografia eredi Botta, MDCCCLXI ; pp. 310. (3) Lettere di Lodovico Ariosto agli Anziani della Repubblica di Lucca; nel Giornale stòrico degli Archivi Toscani che si pubblica dalla Sopraintendenza generale agli Archivi Toscani; vol. VI, pp. 19-51 e 305-319. (4) Lettere di Lodovico Ariosto, tratte dagli autografi dell’Archivio Palatino di Modena per cura di Antonio Cappelli, Modena, Tipografia Cappelli, 1862; in-8.° di pp. CXII-144. [Edizione di 150 esemplari non venali]. GIORNALE LIGUSTICO 43 divulgò Gaetano Milanesi il ’63, dettate da Lodovico durante il Commissariato di Garfagnana e dirette agli Otto di Pratica e ad altri ufficiali della Repubblica Fiorentina (1). Due nuove lettere (2) stampò il Cappelli nel ’64 (3); tre (4) il ’65 (5). Nel qual anno anche il Campori volle rendersi maggiormente benemerito dell’ epistolario del Nostro, col disseppellire dall’Ar-chivio de’ Gonzaga sei lettere (6), per più conti notevoli (7). (1) Tredici lettere inedite di Lodovico Ariosto agli Otto di Pratica e ad altri ufficiali della Repubblica di Firenze; nel Giornale storico degli Archivi Toscani che si pubblica dalla Sopraintenden\a generale agli Archivi Toscani; voi. VII, pp. 323-337. (2) Son dirette al Duca Alfonso tutte e due. La prima è del 19 novembre (1522); la seconda del 29 agosto 1523. (3) Due lettere medile di Lodovico Ariosto; negli Atti e memorie delle RR. Deputazioni di storia patria per le Provincie Modenesi e Parmensi; I, 103-104. (4) Sono scritte da Castelnuovo di Garfagnana il 7, 1’ 11 e il 13 luglio 1523 e indirizzate ad Alfonso I. A queste lettere ne tengono dietro tre altre di Francesco Gonzaga Marchese di Mantova al cardinale Ippolito d’Este (3 tebbraio 1507), di Benedetto Fantino a Gherardo Saraceni (... agosto 15IO) e di Francesco Saraceni al Duca Alfonso (4 maggio 1533), riguardanti F Ariosto. (5) Tre lettere inedite di Lodovico Ariosto, con altre memorie intorno al medesimo ; negli Atti e memorie delle RR. Deputazioni di storia patria per le Provincie modenesi e parmensi; li, 199-211. (6) Una è diretta ad Isabella d’Este ne’ Gonzaga Marchesana di Mantova (7 giugno 1519;; una ad Alfonso 1 (14 maggio 1523); quattro a Francesco Gonzaga Marchese di Mantova (15 gennaio, 17 febbraio, 18 marzo e 5 aprile 1533], e una a Gio. Giacomo Calandra (18 marzo 1532). Nel pubblicarle dichiara : « Della corrispondenza dellAriosto con i Gonzaga non furono fin » qui divulgate che sette lettere, una a Francesco , due a Federico, due a » Isabella e due a Mario Equicola segretario di lei; ma ora possiamo noi » aggiungerne sei nuove, tratte come le prime dagli Archivi di Mantova, e « favoriteci in copia dal sig. Giovanni Zucchetti, già Direttore di quelli ed » ora dirigente il R. Archivio Provinciale civico di Milano ». (7) Campori G. Studi intorno la vita di Lodovico Ariosto ; nelle Memorie della R. Accademia di scienze, lettere ed arti in Modena-, tom. VII (sezione di lettere), pp. 53-133. Benché stampati nel 1866, furono letti nelle adunanze del 21 marzo e 22 giugno 1865. 44 GIORNALE LIGUSTICO Della raccolta fatta nel ’62 dal Cappelli se ne tirarono soltanto « centocinquanta esemplari, non venali », e per conseguenza fu presto esaurita, e in molti il desiderio di possederla divenne più vivo, appunto perchè non trovava modo d’ essere soddisfatto. Bisognò dunque porre mano a una ristampa e se ne prese la cura Gaetano Romagnoli, editore e libraio bolognese (i). Confessa il Cappelli che « era già inol-» trata la stampa » del volume, quando « pensò di accrescervi » merito col dare la raccolta generale dell’epistolario ariostesco » fin qui conosciuto » ; e non potendo più serbare 1’ ordine cronologico, allogò in varie appendici le lettere che a mano a mano erano state da altri pubblicate; delle quali peraltro alcune sfuggirono alla sua diligenza. Nella penultima delle appendici riportò tre lettere, avute dal canonico Giuseppe An- Ί) Lettere di Lodovico Ariosto tratte dall’Archivio di Stato in Modena, con prefazione, documenti e note per cura di Antonio Cappelli. — Seconda edizione riveduta e accresciuta di un Appendice contenente le lettere dell’autore fin qui conosciute ed altre cose inedite, Bologna, presso Gaetano Romagnoli 1866 [Stabilimento tipografico di G. Monti]; in-8.° di pp. CLXXXIV-368. il libraio editore Gaetano Romagnoli, stampato che ebbe il volume, pubblicò questa circolare, in data di Bologna 23 settembre 1866; « Signore, Mi » è grato annunciarvi che or ora ho terminato la stampa delle Lettere di » Lodovico Ariosto con prefazione storica e-note del cav. Antonio Cap-» pelli. È un bel volume in-8.° picc. di 552 pagine, eseguito con diligenza, » dove son raccolte le lettere dell’autore fin qui conosciute, oltre a varie » cose inedite di non poca importanza. Ne furono tirate solo 250 copie » numerate, e per soprappiù 10 in carte colorate, al prezzo di L. 6. 26 per » le comuni e di L. 12, 26 per le distinte. Il celebre nome dell’Ariosto e » la scarsità degli esemplari mi fanno ritenere che l’edizione sarà in breve » esaurita. Nel desiderio quindi di poter soddisfare alle vostre ambite ordi-» nazioni, sono a pregarvi di farmele giungere con sollecitudine. Le altre » lettere inedite dell’autore che saranno in progresso rinvenute , mi farò un » pregio di produrle in eguali caratteri, carta e formato : e quando voi per » avventura poteste darmene qualche indizio, l’avrò in segnalato favore ». GIORNALE LIGUSTICO 45 tonelli, « il quale, per tratto di singoiar gentilezza, volle estrarle 1' da una memoria da lui preparata per la stampa , e tuttora « inedita, relativa al monumento dell’Ariosto in Ferrara ». Son le due suppliche al Doge di Venezia con cui chiede che non tolleri che nel suo dominio si ristampi il Furioso, ed è la lettera che ΓAlessandra scrisse di sua mano a Gio. Francesco Strozzi il 16 novembre del 1531. Quest’ultima copiata dall originale « nella collezione storica ferrarese del lodato » mons. can Giuseppe Antonelli » ; tolte le due prime dal- 1 Archivio de’ Frari in Venezia, ma però stampate in fronte all edizioni del Furioso fatte a Ferrara il 1516 e il 1532. L anno dopo, il 1867, ecco che si scopre nell’Archivio di Modena un nuovo frammento della lettera a Obizo Remo de’ 5 ottobre 1522, e subito il Cappelli ne ta parte al pubblico (1); tre altre non tardano a rinvenirsi negli Archivi di Firenze e di Modena (2), e al solito il Cappelli n’è l’editore ; anzi ve ne aggiunge una quarta, quella a Lodovico Gonzaga del i.° ottobre 1512, già edita dal Racheli e a lui rimasta ignota (3 ). Quattro (4) gli vennero alle mani in appresso, e le dette alle (1) Lettera di Lodovico Ariosto; negli Atti e memorie delle RR. Deputazioni di storia patria delle Provincie modenesi e parmensi; IV, 69-72. Ne fu fatta una tiratura a parte in 8.° col titolo: Lettera di Lodovico Ariosto, tratta dall'Archivìo Governativo di Modem, Modena, per Carlo Vincenzi, 1867; di pp. 12. (2) Son quelle al Capitano di Barga (2 marzo 1522); al Duca Alfonso (19 aprile 1522); e a Lorenzo Strozzi, in nome dell’Alessandra (5 ottobre 1525). (3) Tre lettere di Lodovico Ariosto ed una di Alessandra Strozzi ; negli Atti t memorie dtlle RR. Deputazioni di storia patria per le Provincie modenesi e parmensi·, IV, 273-280. Ne fu fatta una tiratura a parte in-8.°: Modena, per Carlo Vincenzi, 1868; di pp. 20. (4) Una è indirizzata al cardinale Ippolito (30 ottobre 1510) e tre sono scritte al Duca Alfonso (15 aprile, 2 e 3 maggio 1523). 46 GIORNALE LIGUSTICO stampe il 1870 (1). Una nuova fu trovata neH’Archivio de’ Gonzaga da Alessandro Luzio e la pubblicò nell’ 83 (2). È indirizzata a Margherita Paleologo', ed ha per data: « Ferr. » 9 oct. 15j2 ». Dell’ epistolario usci fuori a Milano, per cura dell’ Hoepli, nel 1887, la terza edizione (3), arricchita dal Cappelli di cinque lettere (4) e meglio disposta cronologicamente. Mentre però nella raccolta del ’62 e nello stampare le singole lettere, che di tratto in tratto gli capitarono alle mani, riprodusse il testo con diligenza fedele, specialmente di quante ne trascrisse da per sè sugli originali; invece nelle due raccolte del 1866 e del 1887 si permise « di riformarne l’ortografia all’uso » moderno » (5); cosa che non tutti vorranno certo lodare; chè se è utile, anzi necessario, aiutare il senso con un’ accurata punteggiatura, lo scritto va lasciato come uscì dalla penna (1) Quattro lettere inedite di Lodovico Ariosto; negli Atti e memorie delle RR. Deputazioni di storia patria per le Provincie modenesi e parmensi; Vili, 263-272. (2) Luzio A. Isabella d’Este e /’ « Orlando innamorato » ; nel Giornale storico della letteratura italiana; II, 167. (3) Lettere di Lodovico Ariosto, con prefazione storico-critica, documenti e note, per cura di Antonio Cappelli. Terza edizione, riveduta ed accresciuta di notizie e di lettere, Milano, Ulrico Hoepli editore-libraio [Firenze, Tip. dell’Arte della Stampa], 1887; in-i6.° di pp. CLXXXIV-364. Cfr. la recensione fattane da A Virgili nell 'Archivio storico italiano, Quinta serie, tom. II, disp. 5, pp. 244-248 e l’annunzio che ne dette il Giornale storico della letteratura italiana; X, 436-437. (4) Di queste cinque lettere una, in latino, è indrizzata ad Aldo Manucci (5 gennaio 1498); una a Niccolò de’ Conti (4 agosto 1520); una a Niccolò Tassone d’Este (19 giugno 1531 ); e due alla Repubblica di Lucca (25 settembre 1522 e 12 ottobre 1524). (5) A questo lo consigliò 1’ avv. Lodovico Bosellini, giudice per niente autorevole. Cfr. la sua recensione dell’edizione delle Lettere di L. A. del 1862, nell 'Archivio storico italiano, Nuova serie, tom. XV, disp. II, p. 123. GIORNALE LIGUSTICO 47 dell autore. Le lettere poi già stampate da altri le riportò tali e quali in gran parte; alcune perfino le ammodernò; nè si prese la cura di raffrontarle sugli autografi e restituirle alla O D genuina lezione ; il che tanto più era necessario, avendo tolte di pianta XXVII di esse dalla raccolta del Polidori, piena di correzioni arbitrarie e di alterazioni al testo (i). Dell’epistolario di messer Lodovico resta dunque a farsi un’edizione critica; della quale, del resto, « abbisognano tutti i nostri scrittori dal-» 1 Alighieri al Foscolo », come ben disse Emilio Teza (2). Di tre nuove lettere fu arricchito 1’ epistolario dell’Ariosto nel 1892 dal prof. Rodolfo Renier (3). Tanto la prima, che è scritta da Castelnuovo il 16 ottobre del 1522 e indirizzata a un tal N. Zardino ; quanto la seconda, che porta la data di Ferrara 8 ottobre 1532 ed è diretta al Duca di Mantova, le trasse dagli autografi che si conservano a Londra nel Museo Britannico. La terza, scritta da Viadana il 21 novembre del 1516, la cavò dall’Archivio Gonzaga di Mantova, ed è indirizzata alla Marchesa Isabella d’Este ne’ Gonzaga, della quale riporta anche la risposta ; non che il brano d’ una lettera di lei a messer Girolamo Coglia da Sestola, de’ 14 luglio Γ533, con cui piange la morte dell’Ariosto (4). (ij Cfr. Tosi P. A. Varietà bibliografiche scritte in diversi tempi, Milano, G. Daelli, 1865 ; p. 49. (2) Teza E. Sui manoscritti di Vittorio Alfieri nella Laurentiam ; in Alfieri V. Vita, giornali, lettere, Firenze, Le Moiinier, 1861 ; p. Vili. (3) Renier R. Spigolature Ariostesche ; nel Giornale storico della letteratura italiana; vol. XX, 301 e seg. (4) Il brano è questo: « Per la littera vostra ho inteso con mio gran » dispiacere la morte di messer Ludovico Ariosto, della quale veramente » si ha a dolere tutta quella città, per essere mancato gentilhuomo che » appresso la bontà sua era a lei di grandissimo ornamento per le rarissime » et eccellenti virtù che in lui si trovavano. N. S. Dio gli habi pietade.... » Mantuae, alli 14 di luglio 1533 ». Il Coglia, come nota il Renier, « si » occupava molto di teatro ed era stretto di amicizia all’Ariosto ». 48 GIORNALE LIGUSTICO Fino ad oggi, pertanto, si hanno alle stampe dugento undici lettere di messer Lodovico; cinque delle quali però scritte a nome del Cardinale Ippolito d’Este, otto a nome dell’AIes-sandra Strozzi. Di queste dugento undici lettere, centocinquanta-quattro son dettate da Castelnuovo di Garfagnana ; nè son tutte quelle che scrisse di là. Parecchie abbruciarono nell’ incendio dell’Archivio Palatino di Modena; parecchie furono rubate dall’Archivio Governativo di Castelnuovo , avanti che fosse riunito a quello di Stato in Massa. Il primo a stendervi gli artigli fu il lucchese Vincenzo Cotenna, Vice Prefetto della Garfagnana al tempo de’ Napoleonidi, cioè dal 2 febbraio del 1813 al 4 maggio del 1814; e, a quanto sembra, ne fece un dono al suo nepote Guglielmo Libri; e probabilmente son finite in Inghilterra. Due, alla propria volta, ne involò, tra il 1816 e il 1821, il figlio di un tal Vincenzo Besini Consultore di Governo, e le vendette a Livorno; e s’ignora qual sorte abbiano avuto. Altre pigliarono il volo in tempo assai più vicino. Infatti Pietro Raffaelli nel suo romanzo: Lodovico Ariosto in Garfagnana, che fu stampato il 1856, cosi scrive nelle note: « Gli avvenimenti che formano il soggetto della mia novella » o racconto (1) li trassi da alcune memorie esistenti nel-» l’Archivio della ròcca di Castelnuovo. Esse si contengono » in alcune lettere del Duca Alfonso airAriosto. Vi è una » lettera del Poeta colla quale ei dà notizia al Duca di omi-» cidii e saccheggi commessi da un Maddalena, da un Moro, » da un Sanese ed altri, e implora dal Duca la grazia di essere (1) Il Raffaelli a p. 139 delle « note » al romanzo scrive : « Nelle Tra-» dizioni italiane, pubblicate a Torino, è stampata una mia breve novella » sul fatto, che poi più diffusamente descrissi ». Il Ferrazzi (Bibliografia ariostesca; p. 8) non fa parola del romanzo. Accenna però alla novella, scrivendo: « Raffaelli Pietro, Lodovico Ariosto in Garfagnana. — Tra-» dizioni popolari raccolte da A. Brofferio. Torino, Fontana, 1856 ». GIORNALE LIGUSTICO 49 » dispensato dall’ incarico di pronunciare la condanna di quelli » assassini. Altre lettere deH’Ariosto vennero tolte aH’Archivio » al tempo che i Francesi tennero la Provincia » ( i ). Delle lettere che il Raffaelli ricorda, quelle del Duca Alfonso all Ariosto vi sono ancora, ma P altra di lui al Duca è scomparsa , e di lettere ariostesche non ve ne resta più traccia ; fatto doloroso e vergognoso. Nell’aprile del 1862 il Baudry vendeva a Parigi, per conto del dott. Francesco Egidio Succi di Bologna, « une belle et » importante collection de lettres autographes de personnages » illustres de l’Italie depuis le XV.c siècle provenant du ca-» binet de M. Ch. R.... de Milan ». Nel catalogo, che venne dato alle stampe (2), si trova registrato l’autografo d’una lettera di messer Lodovico a Federico II Gonzaga Marchese di Mantova, scritta da Ferrara il 6 giugno del 1519 (3) , che si legge tra quelle raccolte dal Cappelli (4); non che il fram- (1) Lodovico Ariosto in Garfagnana, racconto di Pietro Raffaelli, Fi-.renze, Antonio Fontana, 1856 [Firenze, Tip. G. Riva e C. Via dei Pan- dolfini] ; in-i6.° di pp. 142. (2) Catalogue d’une Ielle et importante collection de lettres autographes des personnages illustres de l’Italie depuis le XV.‘ siècle provenant du cabinet de M. Ch. R.... de Milan, dont la vente aura Heu le mardi 1] avril 1862 et les quatres jours suivants à sept heures du soir, rue des Bons-Enfants, 28, salle n.° 4, par le ministère de M. Baudry, commissaire'-priseur, rue Neuve des Petits Champs, 50 ; assisté de M. Charavay. Paris, Charavay, libraire expert en autographes, rue des Saints-Pères 18, 1862; in-8.° (3) È così descritta a p. 5 , n. 50: « Arioste (Louis), l’illustre auteur » de Roland furieux. L. au t. sig. au Marquis de Mantoue, Ferrare 6 juin 1519, » 1. p. in fol. cachet. Il lui envoie sa comédie intitulée Capsaria, en le priant de » l’accepter avec indulgence, comme il l’a fait déjà pour ses autres » folies ». (4) Ariosto L. Lettete, per cura di Antonio Cappelli. Milano, 1887, p. 30. Giorn. Ligustico. Anno XXII. 4 GIORNALE LIGUSTICO mento del poema: Rinaldo Ardito (i), che dette luogo a tanti dubbi e a tante controversie (2). La lettera non trovò compratori, e il Succi, che n’ era il vero possessore (3), di nuovo la fece mettere all’asta nell’aprile dell’anno appresso (4). In una successiva vendita, la quale ebbe luogo, parimente a 1) A p. 5, n. 50 del Catalogue se ne trova questa descrizione : « Rinaldo » ardito di Lodovico Ariosto (fragments d’un poème qui parait ne pas avoir » été achevé): manuscrit autogr., 30 feuillets petit en fol. cartonné. Ce » precieux manuscrit de l’Arioste est postérieur à l'année 1512, car on y » trouve une relation de la grande bataille de Ravenne qui eut lieu cette » même année. li était resté inédit dans la Biblioteque publique de Ferrara. » En 1845 M. J. Giampieri en fit l’acquisition pour la somme de 700 écus » romains (3,700 fr.) et le publia sous ce titre l’année suivante: Rinaldo » ardito di Lodovico Ariosto, frammenti inediti pubblicati sul manoscritto » originale, Firenze, gr. in 8.°. Mais l’auteur a omis plusieurs passages, ce » qui conserve au manuscrit une partie du mérite de l’inedit. On a joint » du reste, un exemplaire de la publication de M. J. Giampieri, et, de plus, » une attestation d’authenticité signée des conservateurs de la Bibliothèque » de Ferrare, en date du 30 janvier 1840, avec le sceau de là Bibliothèque». (2) Cfr. Ferrazzi G. J. Bibliografia Ariostesca, Bassano, tip. Sante Pozzato, 1881 ; pp. 190-191. Al prof. A. Gaspary [Storia della letteratura italiana, tradotta da V. Rossi; vol. II, part II, p. 286] pare « del tutto incredibile » che i frammenti del Rinaldo Ardito siano opera dell’Ariosto » ; invece il prof. Giovanni Tar-gioni Tozzetti [Sul Rinaldo Ardito di Lodovico Ariosto, Livorno, 1887] scende di nuovo in campo a ritenerli per suoi. (3) Cfr. Catalogo di autografi di celebri personaggi componenti la collezione di Egidio Francesco Succi, In Bologna, Regia Tipografia, 1862; in-8.° di pp. 114. A p. 2 si legge: « Ariosto Lodovico Lfettera] afutografa] f[irmata]. Ritratto], S[uggello] ». (4) Catalogue d’une belle collection de lettres autographes des personnages illustres depuis le X Ve siècle jusqu’à nos jours composant le cabinet de M. le docteur Fr. Egide Succi de Bologne. La vente aura lieu rue des Bons-Enfants, 28, salle n.° 4 le mardi 7 avril 186_? et les 7 jours suivants, à 7 heures du soir, par le ministère de M. Baudry commissaire-priseur, rue Neuve des Petits GIORNALE LIGUSTICO Parigi, nel maggio del 1869, il Succi poneva in commercio un altra lettera dell’Ariosto; quella che scrisse da Firenze il 26 luglio del 1530 « a sofì ami Blossio Palladio à Rome », che è rimasta inedita (1). In conclusione; per quanto riguarda le lettere scritte dal-l’Ariosto, convien mettere l’animo in pace; ben poche di sconosciute possono ormai venir fuori. Massa di Lunigiana, 3 gennaio 1898. Giovanni Sforza. Champs, jo, assiste de M. Charavay. Paris, Charavay libraire expert en autographes, rue des Saints Pères, 1863; in-8.° di pp. VI-138. La descrizione dell’autografo è questa [p. 8, η. 61]: « Arioste (Louis), » l’illustre auteur du Roland Furieux. L. aut. sig. au Marquis de Mantoue; » Ferrare, 6 juin 1519, 1 p. in fol. Cachet. Belle lettre d’envoi de sa comedie » intituleé Capsaria, que le Prince lui a demandée. S’il a tant tardé à la lui » faire passer c’est qu’il n’avait personne sous la main pour la transcrire. » — Je prie , dit il, Votre Excellence de l’accepter avec la même indulgence » que vous avez eue déjà pour mes autres folies ». (1) Catalogue d'une précieuse collection de lettres autographes composant le cabinet de M- le docteur Égide-Fr. Succi de Bologne, dont la vente aura lieu les vendredi 21 et samedi 22 mai 1869, rue des Bons-Enfants, 28, salle n.° 1, à y heures précises du soir, par le ministère de M. Perrot commissaire-priseur, place Saint-Michel, assisté de M. Gabriel Charavay. Léon X, l’Arioste, le Pulci, Machiavel, Michel-Ange, le Bernin, Pierre de Cor-tone, Keppler, la Marechale d’Ancre, etc. Ce Catalogue se distribue à Paris che\ Gabriel Charavay expert en autographes, successeur de M. Aug. Laverdet, /0, rue Saint-André-des Arts, 1869 ; in-8.° di pp. 34. A. p. 4, n. 29, l’autografo è cosi indicato: « Arioste (Louis) Γ immortel » auteur de Roland furieux. L. a. s. à son ami Blossio Palladio, à Rome; » Florence, 26 juil 1530 ; p. in fol. fragm. de cachet, fortement pi-» quée d’eau. 11 est en bonne santé et assez tranquille, sauf quelques ennuis » qu’il éprouve avoir été mal servi pour l’éxpedition de ses bulles ». 5 2 GIORNALE LIGUSTICO APPUNTI STORICI INTORNO AL MONTE DI PIETÀ DI GENOVA (i) 1483-1569 I. Genova nel secolo XV. — I Monti di Pietà. — Ebrei ed usura in Gencva. — Il beato Angelo da Clavasio. — Proposta di fondare un Monte della Pietà. Il secolo XV fu, per Γ Italia tutta, una continuazione incessante di lutto. Divisa in cento Stati, governati da istituzioni e leggi diverse, travagliati da lotte intestine, veniva fatta trastullo e premio dei forti che se ne contendevano il dominio. (1) La storia del Monte di Pietà di Genova, può ripartirsi in tre grandi periodi corrispondenti ad altrettante fasi attraversate da questo Pio Istituto nei suoi quattro secoli di vita. Il primo periodo comincia dal 1483, data della sua fondazione, ed arriva al 1569, anno in cui vennero completamente riformati i suoi regolamenti ed in cui venne eretto Ente autonomo. — Il secondo, dal 1569 al 1809, anno in cui cessò di esistere per dar vita ad un nuovo Monte. — Il terzo, dal decreto imperiale di Napoleone I.° del 4 dicembre 1809, con cui venne istituito il nuovo Monte di Pietà, fino ai nostri tempi. Del primo periodo non esistono documenti nell’archivio del Monte di Pietà; forse, nelle tristi vicende passate da questo Istituto, andarono bruciati o dispersi, talché in oggi il Cartolano più antico è del 1610 e la prima filza, Diversorum, del 1559. — Del secondo, pur conservandosi documenti importanti, mancano i diversi statuti, stati forse ritirati da una R. GIORNALE LIGUSTICO 53 Dalla concorrenza dei commerci, dall’ interesse privato di famiglie potenti, nascevano le rivalità politiche tra i cittadini, i quali consideravano più volentieri amici i popoli stranieri che non i fratelli della stessa razza. In tale triste stato di cose, la Repubblica Genovese non era esente dai mali che gravavano sulle altre città Italiane. Eppure, al principio del secolo, Genova, forte per i suoi estesi domini, florida per la sua navigazione e per i suoi mondiali commerci, avea acquistata una grande potenza che la rendeva Regina dei mari. Ma nello svolgersi degli anni i Commissione, per liquidare i conti dell’ antico Monte, ne più ritornati (Boc-cardo, Dizionario di Economia Politica e Commercio). Si è dall’ Archivio di Stato e da quello del Municipio che ho ricavato i diversi Statuti e regolamenti che governarono il Monte durante i suoi primi secoli di vita. — Altre notizie ho pure attinto dall’archivio del Magistrato di Misericordia, da quello dell’ Ospedale di Pammatone e da diversi autori che verrò man mano citando. Porgo pertanto agli egregi funzionari che dirigono gli accennati archivi e che, con squisita gentilezza, mi coadiuvarono nel compito prefissomi, i miei più sentiti ringraziamenti. Debbo poi soggiungere che il mio intento non è quello di compilare una Storia del Monte di Pietà di Genova, lavoro per me di troppa mole, ma bensì, quello di formare una raccolta di tutti i principali documenti attualmente dispersi e che si riferiscono alla vita del nostro Monte nei due accennati periodi e cioè, dal 1483 al 1809. In attesa di poter ultimare le indagini sul secondo periodo, pubblico la raccolta dal 1483 al 1569, come quella che, riferendosi alla parte più antica e di cui si ha una conoscenza imperfetta, può destare un qualche interesse. Mi permetto infine di fare omaggio di queste mie ricerche all’ Onorevole Consiglio di Amministrazione ed all’Egregio Direttore del nostro Monte di Pietà, sperando che, colla loro benevolenza, vorranno perdonare la pochezza del lavoro. Genova, 4 Aprile 189S. Μ. B. 54 GIORNALE LIGUSTICO suoi cittadini sopraffatti da egoistici interessi, divisi in accanite fazioni, non curanti dei bene della patria, si lasciarono trascinare da maligno spirito di parte a sanguinose guerre civili, le quali, oltre a diminuire la potenza della Repubblica, terminavano sempre a vantaggio di qualche principe straniero. Sperperate le pubbliche finanze per saziare Γ avidità dei prepotenti che la governavano, e per condurre una guerra lunga e disastrosa , la ricchezza nazionale andava sempre più scemando, tanto che, per apprestare l’armata da contrapporre ad Alfonso re di Aragona, il doge Tomaso Fregoso vedevasi costretto ad impegnare presso usurai i suoi vasi d oro (i). Intanto le orde turchesche invadevano nuovi territori, distruggevano l’impero d’ Oriente, e Genova, incapace ad atiestarne la rovinosa espansione, non era neppure in grado di impedire le venissero tolte quelle colonie che aveano contribuito a farla ricca e potente. Queste gravi sciagure si ripercuotevano sul Banco di S. Giorgio, la cui esistenza, collegata a quella della Repubblica, si trovava talmente scossa da veder scendere il prezzo dei luoghi (2) fino a lire 23 (3). A riparare tanti mali, stolti cittadini ricorrevano al patrocinio di principi forastieri, i quali, non contenti di ridurre Genova a loro vassalla, pone- (1) F. M. Accinelli. Compendio delle storie di Genova, Tomo I, anno 1420. (2) Ogni 100 lire di credito si chiamava luogo; ogni creditore luogatario ; un numero di luoghi appartenenti ad una sola persona, colonna ; gli interessi dei luoghi, proventi; la totalità dei luoghi, compere. Nel 1407 fondata la Casa di S. Giorgio, le compere vennero divise in otto cartulari, uno per ogni quartiere della città; nel 1515 ne venne aggiunto un altio per officium misericordiae. Si chiamavano code di redenzione, certi fondi che in oggi si chiamano di ammortizzazione, e moltiplici certe disposizioni in vigor delle quali i proventi di un dato numero di luoghi erano inalienabili e servivano per acquistare altri luoghi a favore di uno stabilito colonnante, finché non si fosse raggiunto il numero dei luoghi preventivamente deciso. (3) Annali della Repubblica di Genova di Monsignor Agostino Giustiniani, vol. II, pag. 440, ediz. 1854. GIORNALE LIGUSTICO 55 vano ogni cura per definitivamente conquistarla. Nè, a ridestare nel cuore del popolo Γ antico amore alla libertà, valeva il consiglio di qualche animoso. Il popolo sfiduciato e il e moralizzato non operava che per difendere gli interessi delle famiglie che si contendevano tra di loro il dominio del paese. Tiafitto da colpi di pugnale, moriva il Duca Galeazzo (1476), sotto la cui podestà si trovava Genova in quel tempo, ed i cittadini, anziché erigersi a libera Repubblica, accettavano a loro Doge Prospero Adorno, il quale in nome della Duchessa Bona prometteva pace e libertà. Breve tempo rimase però questi ai potere, giacché, venuto in sospetto di volersi' emancipare dalla protettrice Duchessa, fu da costei, con arti ingegnose, sostituito nella carica dal Battista Fregoso (1479). Tali continui cambiamenti nel governo, che per violenza passava da una ad un’ altra fazione, recavano gravi sconvolgimenti, ed il popolo, accasciato dalle lotte intestine, dalle guerre e dalla carestia, assisteva attonito a questi repentini mutamenti, incapace di sollevarsi da tante sciagure. In così triste stato di cose il commercio languiva, ed i capitali, ammassati da pochi, non venivano rimessi in circolazione che a caro prezzo, sicché la crisi economica, fattasi acuta, rendea sempre più misera e più difficile la esistenza della plebe. Solo chi conosce a quali condizioni debba sottostare il povero per provvedersi 1’ uso di tenui somme può figurarsi quante dure prove doveano subire i bisognosi per godere del credito, in una età come quella, in cui, per le generali calamità, l’usura era in Genova come altrove largamente esercitata. Fra tanto egoismo, sorgea finalmente in Italia una Pia Istituzione promossa dai Frati Minori Osservanti allo intento di venire in aiuto al povero e di sottrarlo dagli artigli dell’usura. Questa Pia Opera non era una semplice combinazione GIORNALE LIGUSTICO finanziaria, ma bensì l’emanazione del sentimento caritatevole di assistenza fraterna, inspirato da un nobile e generoso ideale. Perugia porta il vanto di aver dato vita al primo Monte della Pietà (i) che sia sorto in Italia, dando così un efficace esempio alle altre città della penisola, le quali si affrettarono a seguirlo. Genova che, malgrado si trovasse funestata da molteplici sventure, avea riordinato la beneficenza cittadina, instituendo il Magistrato di Misericordia (1403) e più tardi quello del-l’Ospedale di S. Maria di Pammatone (1442), non poteva rimanere indifferente al movimento, con ammirevole slancio, iniziato dai Francescani a prò’ dei Monti. Anche in Genova era sentita la necessità di una sì benefica istituzione allo scopo di sovvenire i bisognosi, vittime di rapaci usurai, i quali liberamente esercitavano il loro esoso commercio. Non risulta infatti come, prima di allora, si fosse pensato a convenientemente regolare il prestito del denaro, lasciato così in balìa di ingordi speculatori. In altre regioni, P usura veniva specialmente esercitata da ebrei, cui non face-vario paura, anatemi di Papi e di Concili (2), qui invece, esistendo leggi che proibivano agli ebrei di soggiornarvi oltre i tre giorni, veniva praticata da cristiani che, per nulla scrupolosi, speculavano sulle miserie dei fratelli con non meno crudeltà degli stessi israeliti. L’accennato provvedimento contro gli ebrei, così contrario a quanto si praticava da altre città le quali, anzi, chiamavano questi a fondarvi Case o Banche di prestito, non era però solo inspirato dal puro sentimento (1) V. mio articolo sull’ Origine e diffusione dei Monti di Pietà, pubblicato nel fascicolo 48-49 del Bollettino delle Opere Pie del Regno. Bologna 1897. (2) C. Cantò. Storia Universale, vol. V, pag. ,27. GIORNALE LIGUSTICO 57 religioso (i). Forse non vi era estraneo un principio egoistico a salvaguardia degli interessi di un’ intera classe di cittadini. Invero in Genova, ove la nobiltà stessa attendeva al commercio traendone forti ricchezze, erano perfettamente conosciuti tutti i traffici del denaro, senza bisogno di ricorrere C* per questo agli ebrei e di creare così inutili e dannosi concorrenti. Esisteva il Banco o Casa di S. Giorgio, il quale erasi acquistato mondiale rinomanza e, più di tutti gli altri in allora nelle diverse città instituiti, era salito in grande potenza. Ma S. Giorgio dovea sovvenire la Repubblica nelle sue angustie e non poteva quindi per la sua indole di Banca di Stato scendere a piccoli dettagli, come quello di consentire prestiti di lievi somme. In tal modo il povero trovavasi nella penosa condizione di dover rinunciare al beneficio del credito o di sottomettersi ad usurai che percepivano vistosi interessi. A promuovere finalmente anche in Genova una efficace agitazione contro l’usura, sorse il Beato Angelo da Clavasio (2), frate di quell’ ordine che, per la sua speciale missione sodale-religiosa, avea bandita per tutta Italia la crociata contro gli usurai e si era fatto iniziatore dei Monti di Pietà. Il Padre Angelo, al secolo Antonio Carletti, era nato a Chivasso nel 1411 da certi Piero ed Angela. Essendosi fin da giovane dimostrato d’ingegno pronto, venne mandato alla Università di Bologna ove ottenne la laurea di Dottore. Ritornato in patria, il Marchese di Monferrato lo elesse senatore di Casale, ma egli, schivo dei fasti e dei lussi di corte, rimase poco in tale carica e, ritiratosi a vita privata, entrò nel 1444 in un convento dei Minori Osservanti. I suoi corre- (X) Marchese Staglieno. Degli Ebrei in Genova. Giornale Ligustico, Fascicolo V e VI, 1876. (2) Chivasso, in latino Clavasio, città della provincia e circondario di Torino. GIORNALE LIGUSTICO ligionari ne apprezzarono ben presto le virtù ed il sapere e lo elessero vicario provinciale e varie volte vicario generale. Uomo sommamente caritatevole, univa allo studio le buone opere e la sua fama era ovunque conosciuta. Il Duca Carlo I di Savoia lo nominò suo confessore ed il Papa Sisto IV lo elesse Commissario apostolico della crociata contro i Turchi che allora aveano occupato Otranto. Predicatore indefesso contro i vizi ed i mali che travagliavano il suo tempo, andò peregrinando per tutta Italia propugnando ovunque la causa promossa dal suo ordine contro Γ usura ed apportando una parola di conforto agli oppressi ed un ammonimento ai prepotenti. E tale apostolato, coronato da immensi successi, continuò finché la tarda età e la mal ferma salute glielo permisero. Ritiratosi in un convento a Como, vi mori addì 11 aprile del 1495. La memoria delle sue opere non si spense colla sua morte ed, a perpetuarla fra i credenti, Papa Benedetto XIV nel 1753 ne proclamava con solennità la beatificazione (1). In Genova il Beato ebbe assai lunga dimora; Egli, nei momenti in cui non trovavasi attorno a predicare, fermavasi di preferenza nella nostra città in cui era la sede di una provincia francescana ed ove, oltre agli incombenti delle sue cariche , prestava eziandio la sua opera a prò’ degli infermi dell’ Ospedale di S. Maria di Pammatone. Da una lettera scritta nel 1463 dal doge Paolo Fregoso al Beato Angelo (2) risulta come egli già in quell’ anno fosse (1) Notizie ricavate dalla Vita del Beato Angelo Cu fletti da Chivasso, stampata in Torino nel 1753 (favoritami dall’egregio Sig. A. Ferretti, impiegato nell’Archivio di Stato). (2) In questa lettera il Doge pregava il Padre Angelo a non traslocare da Genova un frate, Giovanni da Vercelli, il quale faceva parte di un magistrato costituito per sedare una controversia sorta tra alcuni commercianti. — Archivio di Stato Litterarum, vol. 23 (1461-1484) N. Gen. 1799, lettera N. 256. GIORNALE LIGUSTICO 59 insignito della carica di vicario e che, come tale, trovavasi in frequenti relazioni col governo della Repubblica. Quindi, per la sua carica abbastanza importante, per P influenza che esercitava il suo ordine in quei tempi ed, ancor più, per le sue opere, è naturale che fosse noto a tutti i cittadini che ammiravano in lui il vero amico del povero Finalmente nella quaresima del 1483 il Beato Angelo intraprese nella metropolitana di S. Lorenzo un corso di prediche e, come è facile immaginare, vi accorse immensa folla ansiosa di ascoltarne P eloquente parola. Le sue prediche erano rivolte a combattere i vizi che travagliavano la società, ad inculcare nei cuori 1’ amore al prossimo e ad instigare i ricchi ad una larga applicazione della carità verso i miseri. A sradicare poi la mala pianta dell’ usura suggeriva un mezzo con cui sovvenire alle necessità del povero senza obbligarlo a ricorrere all’ opera degli ingordi speculatori che accumulavano fortune esercitando l’esoso mestiere. A ciò conseguire proponeva di fondare in Genova una istituzione che, dotata di un capitale proprio, potesse imprestare ai bisognosi, senza gravarli con esorbitanti interessi e percependo solo quel tanto riconosciuto sufficiente a provvedere alle spese di questa filantropica istituzione. In tal modo l’usura veniva praticamente combattuta, giacché vi si opponeva una efficace concorrenza, contro la quale non avrebbe certamente potuto resistere. Questa nuova forma di carità, già esistente in diverse altre regioni, malgrado avesse suscitate infinite discussioni, avea ottenuto l’approvazione di parecchi religiosi e dotti uomini e per la sua stessa natura veniva chiamata Monte della Pietà. Essa, a differenza di tante altre pie opere, fino allora instituite, avea un carattere veramente universale, imperocché non era solamente fondata a beneficio di una determinata classe 0 casta di cittadini, ma bensì a vantaggio di tutti coloro che, trovandosi in bisogno, avessero ricorso al suo aiuto. Il popolo com- 6o GIORNALE LIGUSTICO prese subito il funzionamento di tale istituzione ; non tratta-vasi infatti di un’ opera del tutto nuova e di difficile conce-pimento. É d’altronde noto come il prestito contro pegno sia la forma di credito la più antica e la più diffusa nel Medio Evo, inquantochè determinava meglio P obbligazione del debitore verso il creditore. Però questa operazione di credito per colpa di coloro che la esercitavano, ricavando fortissimi lucri, era dal popolo giustamente considerata, non come un sollievo, ma come una vera piaga sociale. Gran differenza corre infatti tra il prestito lecito ed utile che si contenta di un lieve compenso e la spogliazione del povero fatta a mezzo dell’ usura ; il primo è un benefico commercio, l’altra un furto. È quindi naturale che le classi povere accogliessero con entusiasmo la nuova forma di Banco proposta. Questo Banco, pur essendo in apparenza una copia di quello esercitato dagli usurai, in sostanza se ne distaccava, perchè, come si è più volte detto, tendeva ad imprestare somme, non a scopo di guadagno, ma all’ unico fine di aiutare il bisognoso col minore dispendio possibile. Il padre Angelo, non potendo convenientemente trattare dal pulpito la questione, proponeva che venisse dal Doge radunato un numeroso Concilio, coll’incarico di discutere la proposta e di eleggere quindi un certo numero di cittadini tra i più eminenti della città. A costoro dovea esser deferito lo studio particolareggiato della proposta del Frate e concessa la facoltà di prendere le necessarie deliberazioni, quando però avessero trovata buona e salutare per la Repubblica la fatta proposta. giornale LIGUSTICO 6 I II. Adunanza di un Concilio per la fondazione del Monte di Pietà. — Decreto che approva lo Statuto del Monte di Pietà. — Formazione del primo capitale. In quel tempo era ancora Doge il Battista Fregoso, il quale, appreso il divisamento del fervente Predicatore, e volenteroso di assecondarne l’idea, radunò in forma solenne nel giorno 25 feboraio 1483 l’invocato Concilio. Erano presenti oltre che al Doge, il Magnifico Consiglio degli Anziani del Comune, gli Spettabili ufficiali della Baila (1) della Moneta e di S. Giorgio e circa duecentocinquanta tra i più eminenti cittadini. Il Beato Angelo, come risulta da un codice di Giulio Pallavicino che si conserva nell’Archivio Municipale sotto il titolo « Regole del Monte di Pietà, reg.tr° N. 969, intervenne anch’egli alla numerosa assemblea alla quale diresse le parole seguenti, che ricavo dal manoscritto suindicato : « Segnoi, Io venerabile » padre frate Angelo lo quale de presente predica in la vostra » giesia de S.t0 Laurentio, desideroso et affetionato a le opere » pietose, et amoroso etiam de questa città, de la qual essendo » stato più volte et havuto informatione de le condicione » vostre et de lo bisogno universale della terra et spetialiter » de la povera gente, la quale spesse volte è necessitata de » provvedere al suo bisogno, a lo quale non possando con li » soi pegni trovare recovero alcuno se viene a incorrere in » grandi inconvenienti de che ne segue altri infiniti mali, ho » pensato introduere qualche forma qui con la quale senza » scrupolo de coscientia et con bene fermo le persone se » possano recoverare a li soi besogni, et perchè questa ma- li) Baila, Bailia o Balia significa; potestà, autorità. Il magistrato della Baila si occupava delle cose difficili e di somma importanza. In quest’epoca gli ufficiali della Baila governavano la Repubblica unitamente al Doge. 62 GIORNALE LIGUSTICO » teria bisogna etiam essere particolarmenti examinata et intesa, » ha persuaso che se eleza qualche numero de cittadini prudenti » et boni con li quali elio possa praticare, formare et ordi- » nare questa materia acciò che habbino ogni balia, sì che » parendo la cosa in faccia esser bona et quasi necessaria a » questa città per lo vivere nostro ne parso congregarve perchè » voi possiate porgere lo vostro consegio de quello che ve » par de fare in tale materia. » Terminato il suo dire, si alzarono parecchi dei convenuti per esprimere il loro parere, in modo che ne nacque una di scussione lunga ed animata, a por fine alla quale sorse ultimo Francesco Marchese, dottore in ambe le leggi· Era costui uomo di grande dottrina e tenuto in molto pregio aai con cittadini, i quali, a dire delFAccinelli, lo aveano mandato nel 1476 ambasciatore al Duca Galeazzo per supplicarlo a non ingrandire la fortezza di Castelletto. Raccontasi che in tale occasione avendo il Duca differita per qualche giorno 1 udienza degli Ambasciatori Genovesi, il Marchese, stanco della pro lungata attesa, abbia inviato al Duca stesso un vaso pieno di basilico. Il Galeazzo, meravigliato per tale dono, chiese spiegazione ed ebbe dal Marchese la risposta seguente : la natura dei Genovesi, Sig. Duca, è simile al basilico, maneggiato dolcemente odora e maneggiato aspramente pu\\a e genera scoi pioni (*)· Il Marchese venne inoltre inviato nel 1493, ambasciatore al re di Spagna unitamente a Giovanni Antonio Grimaldo, è in tale occasione che Genova apprese la notizia del maravi-glioso viaggio fatto da Cristoforo Colombo, avendo detti am basciatori fattane ampia relazione, al loro ritorno in patria (2). (1) Accinelli. Opera citata, Tomo I, pag. 66. (2) Giustiniani. Opera citata — « .... Questi ambasciatori fecero » certissima fede e relazione della navigazione di Colombo, quale si era » nuovamente da lui ritrovata... » Tomo II, pag. 567. GIORNALE LIGUSTICO 6 5 Dopo queste brevi notizie date allo scopo di maggiormente illustrare colui che tanto cooperò alla istituzione del nostro Monte, ritorno al punto della narrazione, da cui mi sono alquanto discosto. Il Marchese adunque, dopo aver accennato alla bontà del progetto del Padre Angelo, per non dilungare inutilmente la discussione, propose di procedere alla nomina di otto cittadini coll’ incarico di studiare diligentemente la nuova istituzione , consultare diversi teologi per accertare che non vi era nulla di male, dando loro inoltre la facoltà di trattare e portare a compimento la pratica. La maggioranza degli intervenuti approvò le suddette proposte ed a far parte della commissione , vennero nominati i seguenti Cittadini: Matteo Fiesco (i) - Antonio Giustiniani -Paolo De Auria - Oberto Foglietta (2) - Melchiorre de Migrane - Battista Baxadone - Pasquale Sauli - Carlo Lomellino -i quali come era stato convenuto doveano procedere alla costituzione in Genova di un Monte di Pietà. I suddetti cittadini, a norma dell’incarico avuto, rimisero la questione ad alcuni teologi e dottori in legge affinchè esaminassero se fosse lecito esigere un frutto sui prestiti da effettuarsi. A tale riguardo è noto come i Monti, sorti per combattere 1’ usura , incontrassero fin dalla loro origine forti ostacoli per parte di certi teologi, i quali, interpretando la massima evangelica che dice benefacite et mutuum· date nihil inde sperantes (3) come (1) Nel citato manoscritto del Pallavicino, dal quale ho ricavato le notizie circa le pratiche occorse per la istituzione del Monte, mentre si accenna che vennero eletti otto cittadini, ne vengono nominati soli sette, tralasciando appunto il Matteo Fiesco. Il nome di costui l’ho ricavato dalle Memorie della Città di Genova t di tutti i suoi dominii scritte dal Cicala, tomo III, manoscritto che si conserva nel Civico Archivio al N. 1254. (2) Da non confondersi con lo storico, nato nel 1518 e morto nel 1581. (3) S. Luca, Cap. VI, vers. 35. GIORNALE LIGUSTICO un formale divieto di imprestare contro interesse, scorgevano in questa nuova forma di carità la sanzione dell’usura. 1 teologi ed i dottori genovesi, ai quali venne sottoposta la questione, tennero buone le ragioni del Clavasio ed emisero parere favorevole, dichiarando che la proposta Istituzione non avea carattere di usura, perocché quel poco che si sarebbe percepito in compenso del prestito, serviva unicamente al mantenimento dell’ Istituzione stessa. Ritenevano inoltre che i Monti della Pietà fossero in tutto meritevoli di essere soccorsi ed aiutati. Finalmente nel giorno io del mese di marzo del 1483, l’illustrissimo ed Eccelso Signore Battista Fregoso, Doge dei Genovesi radunava il Consiglio degli Anziani composto dei Signori : Cesar Cattaneus prior — Iulianus Salvaigus De Paulus Baxadonne legum doctor — Lodixius de Auria Lu-cianus de Rocha — Paulus Iustinianus de Banca — Laurentius de Costa notarius — Joannes Antonny de Prato Paulus Lercarius — Plieronimus de Zino — Petrus de Vivaldis Angelus de Grimaldis Cebà, nonché i suddetti otto cittadini stati eletti per lo studio della nuova Istituzione. Il Doge ed il Consiglio degli Anziani, intesa la relazione di quanto aveano fatto i predetti otto deputati ed approvatone l’operato, con solenne decreto da valere in perpetuo, stabilirono ed approvarono i capitoli per la fondazione in Genova di un Monte della Pietà. Tali capitoli, che riporto nella loro originalità al documento N. i, in riassunto sono i seguenti: i.° Che, l’esercizio dello imprestare fosse affidato ai Protettori dell’Ospedale di S. Maria della Misericordia detto di Pammatone. 2.0 Che, i suddetti Proiettori avessero diritto di esigere oltre alla somma imprestata anche quanto fosse necessario per far fronte alle spese di esercizio, sempre però avendo cura di esigere appena quanto fosse lecito e col minore dispendio possibile per i poveri. GIORNALE LIGUSTICO 65 3.0 Che, i pegni non riscattati, trascorso un anno, potessero essere venduti in collega (1) e che, del prezzo ricavato, i Protettori fossero in facoltà di ritenere una parte, oltre il capitale imprestato, restituendo il rimanente ai proprietari del pegno e ciò non ostante qualunque legge o decreto in contrario. 4.0 Che, nessuno potesse muovere controversia ai Protettori relativamente ai pegni nè alla proprietà degli stessi, e se qualcuno avesse avuti dei diritti da far valere, fosse tenuto a rivolgersi contro gli impegnatati 0 tutto al più avesse diritto sul soprawanzo risultato dalla vendita, depurato sempre del credito del Monte. 5.0 Che, i Protettori presenti e futuri non potessero essere molestati in alcun modo e da qualsivoglia magistrato e che fossero esenti da ogni pubblica incombenza, godendo di tutti i privilegi e distinzioni che si solevano dare in casi congeneri. 6° Che, i Protettori avessero in ogni tempo facoltà di cambiare lo Statuto e di formarne dei nuovi , previa però P approvazione del Doge e del Consiglio degli Anziani. 7.0 Che, il magistrato del Monte fosse superiore a qualunque altro nelle controversie che potessero sorgere intorno ai pegni ed ai mutui in modo che in tale materia, quanto venisse stabilito dal magistrato stesso, fosse valido senza bisogno di altra approvazione. 8.° Che, le somme depositate presso il Monte godessero gli stessi privilegi dei Luoghi di S. Giorgio, sia pel capitale come per gli interessi. 9.0 Che, tutti gli ufficiali e magistrati del Comune di qualsivoglia dignità insigniti, non potessero contravvenire alle regole come sopra stabilite e fossero inoltre tenuti a prestare il loro aiuto al magistrato del Monte, quando venissero da questo richiesti, sotto pena di giudizio in caso di trasgressione. (i) Callega, vendita all’incanto, dal greco Καλέω, che vale chiama (Serra. Storia dell’Antica Liguria e di Genova). Voi. 4, pag. 127. Giorn. Ligustico. Anno XXIII. <5 66 GIORNALE LIGUSTICO In tal modo la Serenissima Repubblica avea finalmente, benché in parte, attuato il progetto del irate Angelo, approvando le norme fondamentali che doveano governare il primo Monte della Pietà da erigersi in Genova. Tali nonre per quanto non siano esenti da alcuni difetti e siano deficienti nella parte riguardante la base finanziaria su cui doveva erigersi la filantropica istituzione, pure dinotano, in chi le ha dettate, una certa esperienza in materia di Monti. È degna sopra tutte di essere rilevata la disposizione del-l’Art. 4 con la quale veniva riconosciuto al Monte il diritto di essere rimborsato del suo credito, malgrado terze persone potessero avanzare pretese sull’ oggetto depositato a pegno. In tal modo veniva garantita la facilità e la sicurezza delle operazioni di prestito, salvando cosi il Monte dal pericolo di dover restituire pegni senza ricevere il rimborso della somma imprestata e dei relativi frutti. Nei giorni nostri, questa prerogativa che venne, nei secoli andati, concessa a quasi tutti i Monti, fu causa di lunghe discussioni, le quali, per costanza di egregi cultori di cose attinenti a questi istituti (i), finirono con la completa vittoria della giustizia, avendo essi ottenuto che nella nuova legge sui Monti di Pietà fosse appunto sancita tale prerogativa. Oltre poi a tutti i benefici speciali di cui godeva il Monte, è pure notevole la disposizione per la quale si accordavano alle somme in esso depositate gli stessi privilegi consentiti ai luoghi di S. Giorgio.· In tal modo gli si riconosceva la facoltà di accettare depositi fruttiferi , imprimendovi cosi, fin dalla sua origine, quel carattere misto di beneficenza e di credito , (i; Memoria presentata dall’Egregio avv. Edoardo Cabella, amniiiiistr.itore del Monte di Pietà di Genova, al Congresso dei Monti di Pietà, tenuto in Padova nel 1891. GIORNALE LIGUSTICO 67 che dovea, in tempi più prossimi a noi, giovare, al suo sviluppo ed alla sua prosperità. In altre città, sebbene sostanzialmente l’idea inspiratrice fosse la stessa, pure i Monti erano sorti in modo diverso dal nostro ; essi nella generalità dei casi venivano eretti enti autonomi, avevano un carattere spiccatamente religioso, imprestavano senza interesse e la loro istituzione era quasi sempre stata preceduta 0 seguita da funzioni o processioni, fatte allo scopo di raccogliere elemosine a beneficio dei Monti stessi. Alle somme cosi raccolte molte volte erasi aggiunto il contributo del Comune (1), sicché i Monti in breve spazio di tempo potevano formarsi il capitale necessario ad iniziare le operazioni. In Genova invece, il Monte anziché avere un magistrato proprio era sottoposto a quello dell’ Ospedale e, malgrado sorgesse per iniziativa di un frate, pure avea un ordinamento del tutto civile, cosa questa molto notevole in tempi in cui le Opere Pie erano specialmente sottoposte al potere ecclesiastico. Inoltre il nostro Monte era in facoltà di esigere un compenso od un interesse per far fronte alle spese di esercizio senza intaccare il capitale ed assicurarsi così un provento continuo per la sua conservazione. A costituire il capitale iniziale non venne ricorso a funzioni 0 processioni religiose nè tampoco al concorso del governo. La Repubblica, esausta di finanze e travagliata da perpetue agitazioni intestine, non sarebbe stata in grado di elargire somme benché minime ad incremento dell’ erigendo Monte. A provvedere quindi i capitali occorrenti per costituire un primo [ondo, i Protettori ricorsero ad un espediente usato, in casi consimili, anche ai giorni nostri. A tale effetto venne (1) La città di Firenze, fondando nel 1495 il Monte di Pietà, deliberava di a Sì umere .1 tutto suo carico le spese di amministrazione, dimodoché il prestito veniva fatto senza interesse. 68 GIORNALE LIGUSTICO formato come una specie di consorzio nel quale entrarono a far parte la Casa di S. Giorgio, Γ ufficio della Misericordia degli uomini e delle donne e Γ Ospedale di Pammatone. Questi tre magistrati versarono cento luoghi caduno convertendoli per un certo lasso di tempo a mutuo a favore del Monte di Pietà. Il governo a sua volta deliberò che il Comune di Genova sia obbligato a conservare indenni i tre prefati uffici, cioè di S. Giorgio, della Misericordia e di Pammatone, per cento luoghi per ognuno di essi, da ogni pericolo e caso fo'tuito , vale a dire dal fuoco, dalle ruberie o da situili sciagure e che i detti tre uffici, per i cento luoghi imprestati a questa opera, come sopra a favore di ciascheduno di essi, possano avere e s’intendano avere ogni facoltà, diritto ed ipoteca e privilegi contro i governatori del detto Monte che ora sono e che in avvenire fossero a capo di esso e contro gli scrivani e gli altri ministri di detto Monte ed i mallevadori loro e di qualsivoglia di essi, la quale ed ovvero le quali hanno e possono avere i Protettori delle Compere di S. Giorgio ed ovvero le stesse compere contro i loro governatori, scrivani e ministri ed i mallevadori di essi.... (i). Questo provvedimento risulta da una deliberazione presa il 23 dicembre 1483 dal R.° Padre in Cristo, Paolo da Campo Fregoso, del titolo di S. Sisto, prete cardinale e Doge dei Genovesi, assistito dal Magnifico Consiglio degli Anziani, radunato in sufficiente e legittimo numero, e dagli eccellenti personaggi, Ambrogio Spinola, Marco Lercari e Francesco Giustiniani in nome di Raffalle suo padre, membri dell’ ufficio dei Protettori dell’ Ospedale di Pammatone, ai quali era stata affidata la cura e PAmministrazione del Monte di Pietà. (Continua). M. Bruzzone. (1) Deliberazione ricavata dal codice del Pallavicino conservato nell’Archivio Civico. GIORNALE LIGUSTICO 69 DOCUMENTO N.° I. Genova. — Archivio ui Stato Nel Registro diversorum Comunis lanua dell’anno 1482-1485. (Bartholomei de Senarega.1. N. 133 dell’antica ordinazione e 622 della nuova 1. Capitula mutuandi exercitium protectoribus incumbat. In primis quod predictum mutuandi exercitium committatur protectoribus hospitalis Sancte Marie de Pammatono qui nunc sunt et pro tempore fuerint in perpetuum. 2. Exigant quantum sine peccato et pro minori damno pauperum. Item quod predicti protectores possint et valeant exigere a quibuscumque mutuum accipientibus ab ipsis tantum ultra sortem quantum eis videbitur necessarium pro dicto officio exercendum et quantum licite potest fieri et sine peccato et pro minori jactura pauperum. 3. Post armum vendentur pignora. Item quod possint dicti protectores vendi facere pignora eis obligata pro mutuo dato transacto anno in publica callega vel alio meliori modo secundum quod eis videbitur et retinere de dicto precio quod eis videbitur residuum restituendo illis quorum erant pignora ; non obstante quacumque lege vel decreto consuetudine aut aliis obstantiis quibuscumque quibus specialiter et expresse quo ad hec voluerunt esse derrogatum. 4. Controversie super pignora quomodo experiende. Item quod nullus possit controversiam predictis protectoribus facere super predictis pignoribus tam ratione dominii in ypotece quam alterius cuiusvis pretestus, sed si qui haberent jus in dictis pignoribus illud experiantur contra ipsam pignorantes vel supra id quod superest de precio dictorum pignorum ultra id quod predicti protectores debent habere et idem et per omnia circa ementes a predictis dicta pignora. 5. Exemptio protectorum ab aliis officiis. Item quod dicti protectores présentes et futuri non possint angariari quovismodo a quovis magistratu vel ad aliqua munera vel officia ?o GIORNALE LIGUSTICO exercenda imo ex nunc exempti esse intelligantur et habere omnia privilegia et decreta que dari in huiusmodi casibus consueverunt que quantum àtì corroborationem presencium voluerunt hic pro insertis haberi. 6. Facultas protectoribus mutandi statuta cum approbatione ser.mi Ducis et Consilii. Item quum plerumque accidit pro tempore et pro re mutare consilium ut que uno tempore utilia videntur mutato tempore sunt damnosa. Quod predicti D.m protectores possint statuta facere et facta mutare pro exercendo dicto officio totiens quotiens eis videbitur que tamen debeant presentari coram 111.mo D. Duce et Consilio qui nunc sunt et pro tempore fuerint que si fuerint approbata robur et vim habeant non aliter quam si in numero civium concilio approbata et ratificata essent. 7. Jurisdictio protectorum privative quoad alios magistratus. Item quod dicti protectores sint Magistratus super quibuscumque controversiis emergentibus tam circa pignora quam circa mutuum et aliis quibuscumque ab hoc dependentibus. Ita quidem ut in ipsos protectores intelligatur collata omnis jurisdictio a ceteris autem officialibus quotiens se de predictis vellent intromittere sublata jurisdictio et potestas sit et quicquid judicaverint vel sentenciaverint sit firmum et validum omni approbatione remota. 8. Privilegia locorum. Item quod loca que eis accomodabuntur a quibuscumque cuiusvis gradus status et condictionis sint habeant ea privilegia jura et exemptiones tam circa principale quam circa proventus quem admodum habent loca compere S. Georgii quantumcumque describantur. Et floreni ipsorum locorum excusari possint per illum per quem fuerint acomodati quotiens dicti floreni ab aliis excusabuntur. 9. Prohibitio magistratibus se se ingerendi, sed imo potius auxiliandi. Mandantes quibuscumque officialibus et magistratibus Comunis lanuæ quavis dignitate fultis quatenus predictis nullo modo contraveniant. Nec de predictis quovismodo se intromittant imo si et quandocumque fuerint requisiti adsint illis auxilio et favori sub pena sindicamenti. GIORNALE LIGUSTICO 7· UNA SFIDA A GENOVA TRA TORQUATO MALASP1NA MARCHESE DI SUVERO E GIACOMO MALASPINA MARCHESE DI FOSDINOVO Il 22 giugno del 1500 i due figli di Gio. Spinetta Malaspina, Marchese di Villafranca, si divisero tra di loro. A Tommaso, il primogenito, toccò Villafranca con altre terre; al secondogenito, che si chiamava Gio. Spinetta come il padre, toccò Monti, Panicale, Licciana, Bastia, Montevignale, Terrarossa, Podenzana e Suvero. Quest’ ultimo pose la sua dimora nel castello di Monti, e da Monti s’intitolò il nuovo feudo. Ammogliatosi con Maddalena di Leonardo Malaspina, Marchese di Gragnola e Castel dell’Aquila, n’ebbe dieci figli, otto maschi e due temmine; con testamento de’ 31 maggio 1528 istituì eredi, a parti uguali, i maschi, che, da otto, ben presto si ridussero a cinque. Alla propria volta i cinque eredi si divisero il 30 agosto del 1535, formando cinque feudi, che furono Monti, Bastìa e Ponte Bosio, Licciana, Podenzana, e Suvero. Rinaldo ebbe Suvero; e sposò Lavinia di Bartolommeo Malaspina, Marchese di Villafranca; la quale gli partorì non già quattro soli figli, come vuole il Litta, ma sette. Di essi, Ascanio, Siila ed Euridice morirono in tenera età; Domenica-Emilia prese il velo nel monastero di S. Bernardo di Pisa, Cornelia in quello di S. Domenico di Mulazzo; Fabio si fece prete, e insieme con Leonida, vestì 1’ abito di cavaliere gerosolimitano. Torquato, il primogenito., che venne al mondo il 16 dicembre del 1556, e morì il 16 dicembre del 1594, ereditò dal cugino Orazio porzione del feudo di Monti, una altra porzione ne comprò da’ fratelli per tremila scudi il 7 72 GIORNALE LIGUSTICO maggio 1582, un’altra da’ Marchesi della Bastia per duemila centoquattro scudi d’oro il 7 ottobre 1583; e chiese e ottenne dall’imperatore Rodolfo, con diploma de’ 3 settembre 1590, di fondare sopra il feudo riunito di Suvero e Monti una primogenitura maschile; della quale fu investito per il primo 1’ unico suo figlio maschio, Rinaldo, avuto da Euridice di Stefano Malaspina, Marchese di Madrignano, il 1587. Rinaldo tolse in moglie il 1608 Caterina di Pietro Della Seta, patrizio pisano, che gli portò in dote dodicimila cinquecento scudi fiorentini, e gli partorì Antonio, morto nella puerizia, e Torquato II, al fonte battesimale Pier-Torquato, il protagonista della sfida a duello, che sono per raccontare. Dal padre, uomo irrequieto, manesco, attaccabrighe, fu nella giovinezza associato al governo de'feudi ; ma presto, nata tra loro discordia, abbandonò la Lunigiana, e per un pezzo niente più si seppe di lui, e corse fin voce che fosse morto. Quando Rinaldo mancò di vita il 26 dicembre del 1638, Torquato era tuttavia assente da’propri Stati; e non vi era nemmeno la moglie sua, Maria del marchese Ottavio Del Carretto di Genova, che, non potendo convivere col suocero, aveva dovuto aneli’essa abbandonare Suvero, lasciandovi però la piccola Euridice, unica figlia nata fin allora; e che Rinaldo designò come erede, dato il caso che Torquato più non vivesse. Il popolo, levatosi a tumulto, mandò a chiamare il Governatore di Pontremoli perchè venisse a Suvero e ne pigliasse possesso in nome del Re di Spagna. Venne di fatto con parecchi dei suoi ufficiali e con quaranta soldati, sotto il coniando del capitano Lodovico Maraffi, e in un bacile d’ argento gli furon consegnate le chiavi del castello, sul quale inalberò la bandiera di Spagna. Manfredo Malaspina di Filattiera, un de’ congiunti del morto Marchese si fece consegnare l’Euridice, rimasta sola in mezzo a que’ trambusti. Anche il popolo di Monti si ri bello; ma invece di darsi al Re Cattolico, preferì di darsi giornale LIGUSTICO 73 al Gianduca di Toscana, che, alla sua volta, ne assunse il possesso il 30 dicembre, mettendovi a guardia un pugno di soldati. La moglie di Iorquato non rimase colle mani alla cintola : ìicoise al suo concittadino Gio. Andrea D’Oria, in quel tempo Commissario imperiale in Italia. E il D’ Oria ordinò che un Commissario, a nome dell’imperatore e del Marchese Torquato, afferrasse le redini di Suvero e Monti. A questo acconsentii ono la Toscana e la Spagna, ma non vollero ritirare le loio truppe da’ paesi occupati. Per un anno e mezzo durò questa moltiplicità e varietà di padroni e di pretendenti, quando ecco che nell’agosto del 1640 ricomparve in Lunigiana il Marchese Torquato. Allorché, sotto pretesto di recarsi in Ungheria per assistere all’incoronazione della Regina, lasciò la casa paterna, condusse due servi con sè; ma a Vienna si sottrasse da’ loro occhi e fu^gn via travestito. Corse voce si OO rifugiasse presso il Marchese di Gravina, che nel '38 guerreggiava nelle Fiandre. È certo che militò con coraggio e bravura sotto le bandiere di Luigi XIII Re di Francia, che gliene rilasciò un ampio attestato. Il Granduca, appena intese il suo arrivo, gli fece restituire Monti; dal Governatore di Pontre-colli, per conto della Spagna, gli fu reso Suvero. Ma tra’ monti nativi non condusse tranquilla la vita; n’è prova la sfida che corse tra lui e Giacomo Malaspina nel gennaio del '41, di cui qui in calce pubblico i documenti che la riguardano. In quello stesso anno 1641, lasciato Suvero per sempre, andò a stare a Genova, e la Repubblica lo ascrisse nel suo Libro d’oro. Vi rimase per poco tempo. Ripreso il vecchio e prediletto mestiere del soldato, offri la sua spada al Re di Spagna, e nel novembre del '42 lasciò l’ossa a Cartagena. La moglie, che dopo il suo ritorno dalla Francia gli aveva partorito un’altra figlia, la quale chiamaron Francesca; rimasta 74 GIORNALE LIGUSTICO incinta prima che partisse per la Spagna, diè in luce, poco dopo la sua morte, due gemelli a un parto, Ferdinando-Torquato e Francesco-Antonio; quello morto lo stesso anno, questo prosecutore del ramo, che poi nel secolo corrente mise stanza a Parma. Ora, di Giacomo Malaspina di Fosdinovo, il nemico di Torquato. Primogenito del Marchese Andrea e di Vittoria di Iacopo Di Negro di Genova, vide la luce il 20 ottobre 1593; tolse in moglie Maria del fu Pasquale Oliva-Grimaldi Conte della Rocca Grimalda, che gli portò in dote sessantamila scudi; morì nel 1663, lasciando di sè memoria tristissima. 1 ra’suoi delitti v’ è quello d’avere scaricato varie fucilate contro Rinaldo Malaspina, Marchese di Suvero, mentre tranquillamente se ne passeggiava lungo la strada, in compagnia di due amici, un de’ quali rimase ferito. Forse il ricordo di questo fallito assassinio tornò ad affacciarsi alla mente di Torquato nell atto d’inviare il guanto di sfida al Marchese di Fosdinovo. Massa di Lunigiana, 6 gennaio 1898. Giovanni Sforza. I. Lettera di Torquato Malaspina Marchese di Suvero a Giacomo Malaspina Marchese di Fosdinovo. 111."“° Sig. mio osservandissimo, Subito che io intesi la venuta di V. S. 111.™* in questa città di Genova, ritrovandomi io in Val di Magra, me ne venni con grandissima prestezza a questa volta, per haver tempo di trovarci V. S. 111.™ et havere dalla sua generosità qualche sodisfazione, che giustamente pretendo. Arrivato che fui, supplicai il Sig. Filippo Spinola a volerne portare la parola a V. S. 111."3; ma egli, sentendosi congiunto seco dal vincolo di amicizia e parentela, per sodisfare in un medesimo tempo a questo et alla obligazione di cavaliere si offerse GIORNALE LIGUSTICO 75 di avvisarne V. S. 111.”“ et essere ancor lui della partita, ma dal canto suo , che però mi obligava a provedermi di un secondo per fare il partito pari. Non persi tempo in preparare subito il Sig. Bernabò Centurioni, il quale essendosi scusato meco di non lo poter fare, son necessitato, acciò segua con maggior secretezza, di far penetrare a V. S. 111.”* questo mio desiderio per mezzo del presente biglietto ; per il quale istantissimamente la supplico ad honorarmi di ritrovarsi domattina, che sarà Domenica, su la piazza della chiesa di S. Teodoro a Fassolo, dove io mi ritroverò solo, per ricevere da V. S. 111.™’ con la punta della spada le necessarie sodisfazioni. Confido nella sua generosità, nascita e qualità, che ne resterò favorito; il che mi obbligherà in eterno, ricevuta questa sodisfazione, ad essere a V. S. 111“ Dal Monastero di S. Teodoro, 12 Gennaio 1641. Ob.”° servo vero e parente Torquato Malaspina. II. Risposta del Marchese di Fosdinovo al Marchese di Suvero. V. S. 111.1"* poteva a meno di condursi a Genova per desiderio di vedersi meco in campagna, mentre 1’ abitazione di Monti era così vicina a quella di Fosdinovo, che le ne porgeva ogni miglior comodità. Quella della piazza di S. Teodoro mi è per qualche ragione sospetta, che però starò attendendo V. S. domattina, domenica, solo e con spada e pugnale in quella di Santa Maria della Sanità, Convento de’ PP. Carmelitani Scalzi, dalle sedici ore sino alle diecinove, sperando che la diligenza che V. S. mi avvisa nel suo biglietto non saranno per impedire il corso de’ nostri desideri. Nostro Signore la guardi. Servitore Obbligatissimo Giacomo Marchese di Fosdinovo. η G GIORNALE LIGUSTICO III. Pace tra il Marchese di Suvero e il Marchese di Fosdinovo. Essendo seguito da molti anni a questa parte disgusti di consideratione fra li Signori Marchesi di Fosdinovo e di Suvero, ritrovandosi il Sig. Marchese di Fosdinovo in Genova, è venuto il Sig. Marchese di Suvero per terminare ogni differenza per mezzo della spada. Et essendosi chiamati in campagna per battersi come cavalieri puntuali, sono stati impediti, come il mondo sa ; nè restando più luogo di rivalersi in altra simile occasione, per 1’ obbligo di parola in che si 'aovano, risolvono di venire, a richiesta di amici, ad una buona pace fra di loro, e darsi insieme le sodisfazioni che sono necessarie. Pertanto unitamente, e di loro propria volontà, dicono che qualsivoglia parola, detti, ordini dati, esecuzioni seguite, lettere scritte contro, tanto da una parte, come dall’ altra, se ve ne fossero state, o per effetto, o sia per sospetto, hora dichiarano, che vogliono sodisfarsi come si sodisfano al presente per mezzo di questo scritto 1’ uno 1’ altro ; e se vi fosse anche occasione particolare di dolersi, intendono e pretendono, senza dichiararsi reciprocamente, che restino dette tutte le parole sodisfazioni e fatte tutte le sommissioni che obbliga la legge de’ Cavalieri in simili occorrenze, in quelli punti che ognuno di loro si stimasse di essere aggravato ; non havendo altro fine che di ponersi m pace stabile, per essere in appresso veri parenti et amici, et servirsi l’un 1’ altro, come è solito fra veri cavalieri. Et così promettono, ec. Io Giacomo Malaspina Marchese di Fosdinovo affermo quanto sopra mano propria. Io Torquato Malaspina Marchese di Suvero affermo quanto sopra mano propria. Havendo noi infrascritti servito a detti Sig.'1 Marchesi in trattare la pace suddetta, che hanno fatto fra loro, et essendo ancora stati presentati alla conclusione di essa, ne facciamo per ciò con nostra firma la presente fede, ec. ec. Io Nicolò Lomelino affermo quanto sopra. lo Ansaldo de Mari. Io Filippo Spinola affermo, ec. GIORNALE LIGUSTICO 77 CENNI BIBLIOGRAFICI Eugenio Branchi. — Storia, della Lunigiana feudale. Volume secondo. Pistoia, Beggi Tommaso editore, pei tipi di G. Fiori, 1898; in-8.° di pp. 824. Contiene la prosecuzione della Part. II, che tratta dei « Feudi della Lunigiana (destro lato della Magra) sotto i Marchesi Malaspina dello spino secco » ed abbraccia i libri 1V-VII. Il quarto tratta de’ Feudi di Villafranca e di Castevoli; il quinto di quelli di Lusuolo, di Aulla e Bibola, e di Tresana ; il sesto di quelli di Monti e Suvero, di Podenzana, e di Pa-nicale e Licciana; il settimo di quelli di Bastia, di Ponte Bosio, e di Terrarossa. Resta ora da stamparsi il terzo ed ultimo volume; ma corre voce che l’editore, scoraggiato dal poco smercio dell’opera e dalla fredda accoglienza del pubblico, sia quasi determinato a lasciarla in tronco. Speriamo che ciò non succeda, anzi facciamo i più caldi voti che prosegua animosamente e conduca a fine l’impresa. È un libro ricco di notizie, ma pur troppo che molto lascia a desiderare dal lato della critica e anche della forma ; ma che pure riuscirà utile agli studiosi. Il terzo volume conterrà la Part. Ili e ultima, la quale ha per soggetto i « Feudi della Lunigiana (sinistro lato della Magra) sotto i Marchesi Malaspina dello spino fiorito » e si spartisce in cinque libri ; il primo de’ quali tratta de’ Feudi di Filattiera, Rocca Sigillina, Castiglione del Terziere e Bagnone ; il secondo de’ Feudi di Treschietto, di Corlaga, e di Malgrate; il terzo di quelli di Olivola, Pallerone, Verrucola e Fivizzano; il quarto del Feudo di Fosdinovo; e il quinto e ultimo de’ Feudi di Gragnola, Castel dell’Aquila, Cortile, "Viano, Massa e Carrara. G. S. * * * Una nuova opera sulla Lunigiana. — Si legge nel giornale massese L'Indipendente, ann. Il, n° 16, 17 aprile 1898: « Nella prossima settimana uscirà la prima dispensa di un’opera a cui si è accinto un comitato di studiosi, che intende di far conoscere tutto quanto si riferisce circa le condizioni geografiche, amministrative, storiche, industriali, commerciali, ecc. della Provincia di Massa - Carrara. Non è a dire che manchino materiali e che molti studi non sieno stati fatti intorno ad una regione tanto interessante qual’è la Provincia nostra; ma i lavori 78 GIORNALE LIGUSTICO dotti e di gran mole vengono conosciuti da pochi e rimangono per lo più polverosi negli scaffali delle biblioteche. Fra le opere più notevoli dobbiamo certo ricordare quelle del cav. Giovanni Sforza, che da lunghi anni illustra tanta parte delle nostre istorie paesane, ed è continuamente consultato dai più eletti ingegni italiani e stranieri. Diffondere la conoscenza di casa nostra, far apprezzare l’importanza geografica e storica di questa parte diletta della nostra patria, cantarne le bellezze, valutare in giusta misura i beni ch’offre la natura particolare del suolo, dei monti, da cui si traggono i marmi più rinomati, ed il più bel marmo statuario che si conosca, studiare le condizioni dell’agricoltura, delle industrie nostre speciali, e far sentire una voce che rianimi e conforti a provvedere e perseverare in tanta diversità di bisogni e di tendenze, ecco lo scopo che si prefigge la nuova pubblicazione a cui accennammo. E siamo lieti intanto di darne questo primo annuncio, tanto più perchè siamo venuti a conoscenza che anche il nostro Prefetto se ne è pure occupato unitamente alla Deputazione provinciale , e quindi siamo sicuri che molti concorreranno in tutti i modi ad assicurare in tutta la Provincia quella diffusione a cui mira principalmente un tal lavoro che s’intitola dai nomi delle due nostre città, eternamente appaiate, di Massa e di Carrara ». * * * Frammenti di lettere di Nicola· Salili Correga (sic) a Roberto Tilt professore nell’ Università di Pisa. — In Pisa coi tipi del cav. Francesco Mariotti (1898). — Nozze Gualtierotti Morelli-Deninger. Questi frammenti delle lettere di Nicola Sauli Carrega (correggiamo l’errore del titolo), riguardano il Chiabrera , che conobbe il Titi appunto per mezzo di quel suo amico genovese. Sono tratti dal carteggio del noto professore pisano che si conserva nella biblioteca universitaria di P;sa. Già se ne era giovato il Neri in questo giornale (A. XVI, p. 3 37 e se§o·) nel pubblicare parecchie lettere inedite del Chiabrera, dandone anche in parte il testo; anzi la messe spigolala da lui è maggiore, chè i frammenti e sono di più, e più completi. I due sonetti qui stampati già avevano veduto la luce più volte, e si trovano nelle opere del Chiabrera, oltreché nelle lettere al Castello. Rileviamo nel brano 6 marzo 1593 « casa Fresca », in luogo di casa Fiesca, ed in quello del 3 aprile « il Filario », in luogo del Diluvio, poemetto in versi sciolti del nostro savonese. GIORNALE LIGUSTICO 79 SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA ASSEMBLEA GENERALE DEI SOCI — TORNATA DEL 17 APRILE Presidenza - Imperiale - Presidente. li giorno 17 aprile si è tenuta I’Assemblea Generale dei Soci per discutere importanti pratiche. La seduta è aperta alle ore 15 dal Presidente Onorevole Marchese Cesare Imperiale. li Presidente invita il v. Segretario Canevari a far 1’ appello nominale dei Soci: Risultano presenti i Signori: Balbi Giulio — Beretta — Calvini — Cambiaso Luigi — Canevari — Carrega — Centurione — Cerveito — Cogo — Costa — Dellepiane — Filippi — Frisoni — Le Mesurier — Manfroni — Pace— Pesce — Spinola Paolo — Staglieno. Dopo la lettura del processo verbale della precedente tornata, che è appiovato, il Presidente commemora i Soci corrispondenti ed effettivi defunti (dall ultima assemblea). Ne ricorda brevemente le doti ed invia alia loro memoria un affettuoso saluto a nome della Società. Si dovrebbe indi procedere alla nomina di un consigliere in sostituzione del compianto Professor Bertolotto ma la pratica è rimandata ad altra seduta. Si passa alla proposta di nomina a Soci corrispondenti dei Signori Conte Ugo Balzani e Principe Pietro Lanza di Scalea deputato al Parlamento. Fa alcune osservazioni il Socio Manfroni cui risponde dando opportuni schiarimenti il Presidente. Dopo di che posta ai voti la proposta è approvata all’unanimità. Il Presidente invita quindi il Consigliere Delegato alla contabilità a dar lettura del Bilancio consuntivo pel 1897 e dar spiegazioni al consiglio delle singole pratiche. 11 Consigliere Spinola legge il Bilancio consuntivo fornendo tutte le pia minute c precise spiegazioni aU’Assemblea. Il Socio Carrega, dietro invito del Presidente dà lettura della Relazione dei Revisori dei Conti sul Bilancio stesso. I Revisori dei Conti hanno trovato la contabilità nell’ ordine più perfetto e completo e ne danno lode al Consiglio. Posto ai voti il Bilancio consuntivo è approvato all’unanimità assieme alla Relazione dei Revisori dei conti. Dopo alcune pratiche di minore importanza il Presidente dichiara sciolta la seduta alle ore 16. IO 8o GIORNALE LIGUSTICO I NUOVI SOCI DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA Ecco l’elenco dei nuovi Soci entrati a far parte della Società: Dottor Cavalier Vittorio Cantù (n Febbraio) — Pintus Sebastiano (18 Febbraio) — Generale Marchese Commendatore Tito Spinola (4 Marzo) — Marchese Avvocato Pietro Cambiaso (id.) — Venceslao Carrara (id.) — Puccio Yon (11 Marzo) — Bucci Eugenio (id.) — Seminario Arcivescovile (id.) — Avvocato Commendatore Massimo Fiamberti (1 Aprile) — Cavaliere Ufficiale Clemente Gondrand (id.) — Tenente Generale Commendator Alessandro Tonini (id.) — Presidente della Regia Scuola Superiore Navale (id.) — Chiappori Avvocato Commendatore Ernesto (8 Aprile) - S. E. D’Oria Pamphili Principe Alfonso Senatore del Regno (id.) -Bertolotti Monsignor Commendator Giuseppe (15 Aprile) — Marchese Luigi Cambiaso (id.) — Commendator Tito Pignone (id.) — Commendator Enrico Rossi (id.) — -Commendatore Avvocato Giacomo Falcone (19 Aprile) — Reverendo Angelo Centi (id.) — Marchese Gerolamo Serra (29 Aprile) — Professor Commendator Enrico Morselli (id.). CRONACA DELLA SOCIETÀ Un Catalogo generale delle Biblioteca. — Quanto prima si inizierà la stampa del catalogo completo delle opere contenute nella Biblioteca della Società e di quelle del Isuolo DesimOni. Il volumetto, che riuscirà interessantissimo e di somma utilità, verrà distribuito ai Soci. Verrà pure prossimamente pubblicato 1’ Elenco alfabetico dei Soci e il Rendiconto Morale. Un dono del commendatore Desimoni. — Il venerando Presidente Onorario della Società Commendatore Avvocato Cornelio Desimoni ha fatto dono alla stessa di un’ altra interessante raccolta di libri ed opuscoli, e di una meridiana solare di lavagna. Il Presidente, a nome del Consiglio Direttivo, ha espresso al gentile donatore i ringraziamenti della Società. Il uuovo Bibliotecario. — Il Consiglio Direttivo in una delle ultime sue adunanze ha nominato Bigliotecario della Società il Consigliere Commendatore Francesco Costa che occupa an'he la carica di Tesoriere. Per I’ erezione della Società in Ente Morale. — Questa pratica importantissima per la Società sarà presto risolta mercè lo zelo del Consiglio e del suo Presidente che ha già presentato al Ministro della Pubblica Istruzione la domanda di erezione in Ente Morale corredata degli opportuni documenti. Auguriamo che la risposta non si faccia tanto aspettare e che presto la Società Ligure di Storia Patria — entrata nel suo quarantesimo anno di vita — sia costituita in Ente giuridico. g· b. c. Cav. Luigi Ferrari proprietario. GIORNALE LIGUSTICO 8l ANDREA D’ORI A E LA CORTE DI MANTOVA (Lettere illustrate) (i) I. Le relazioni fra il grande ammiraglio genovese e i Gonzaga che ebbero il governo di Mantova, non appariscono dai documenti anteriori al 1528, allorquando avvenne quel mutamento così clamoroso nella politica seguita dal D’Oria, per il quale dai servigi del re di Francia, passò a quelli di Carlo V; il nuovo astro luminoso, la cui potenza si levava grandissima in Europa, e che seppe accortamente adescare quegli che fu gran parte de’ suoi successi e della sua gloria. Anche il giovane marchese Federico, dopo essere stato assai accarezzato da Francesco I nel primo periodo del fastoso e cavalleresco suo regno, e goduta vita lieta alla sua corte, aveva pensato a’ suoi interessi particolari, e ammaestrato dagli esempi del padre, s’ era volto a chi meglio lo affidava per appagare la sua ambizione, che fu grandissima, e per conservare ed ingrandire il suo stato. Da ciò derivarono in ispecie i legami che lo strinsero al D’Oria, il quale si studiò sempre di ridurre e mantenere alla devozione delT imperatore i principi e gli Stati ita- (1) Tutti i documenti riprodotti o citati provengono dall’Archivio di Mantova ; e ne debbo la ricerca e la trascrizione all’ egregio cav. Stefano Davavi, al quale mi è grato esprimere i sensi della mia vivissima riconoscenza. Del pari è debito eh’ io ringrazi sentitamente il conte Ippolito Malaguzzi Valeri per il largo schedario fornitomi intorno ai documenti dorieschi che si conservano nel R. Archivio di Modena. Giorn. Ligustico. Anno XXIII. 6 82 GIORNALE LIGUSTICO liani, donde fu resa più facile la servitù dell’Italia al dominio di Spagna. Ma prima ancora dell’ anno sopraindicato ebbe il D’Oria per certo qualche corrispondenza con i signori mantovani. Ne porge testimonianza una lettera un po’ brusca della Marchesa Isabella, alla quale furono prese in mare le robe sue, e ve n’ erano di preziose, che, dopo il sacco di Roma, erano avviate a Genova ; e di qui poi dovevano proseguire per Mantova. Essa scriveva cosi : A Ms.' Andrea D’Oria. Facil sarà che V. S. habbi inteso la perdita de le robbe nostre, quale facendo noi condur per mare furono tra Talamone e la foce di Cornetto assalite da dui bergantini et robate, et benché sino a principio fossimo avisate per diverse vie questi bergantini essere di quelli di V. S., non dimeno non volendoli per alcuno modo prestare fede per havere V. S. in opinione de Gentilhuomo tale che mai dovessi consentire ad una scortesia tanto grande, maxime contra Nui con la quale ha fatto professione pu.cil di bona amicitia, havemo più presto voluto pensare in ogni altro loco, et far tutte le provisioni possibili per la recuperatione di esse robbe, le quali non essendoci reuscite come speravamo, havemo reservato per ultimo remedio il far recorso a V. S., pensando che forsi qualcuno de li soi, et senza saputa soa, fossi transcorso alli danni nostri, dove per quella grande fede che havemo in lei la pregamo non li sia molesto farvi far diligent.ma inquisitione, et scoprendosi li malfattori provedere che le robbe nostre mal tolte, et con poco rispetto che se sii havuto al salvacondutto di V. S., ni siano restituite, et a loro sij dato il debito castigo. Nel che ella farà officio da quel gentilhuomo che è reputato in ogni loco, et noi gli ne restaremo con obligo immortale. Mantua x Iulij 1527. Alla quale il D’Oria, che con le galere di Francia scorreva le coste del Tirreno, rispose : GIORNALE LIGUSTICO 8? IH'" ' S 'J Mi credeva che sua Ex.tla havessi talmente certa la servitù mia verso quella, che non potessero essere persuasioni de qualsivoglia che l’havessino ad indure a credere che io nè mei potessi havere preso nè fatto prendere le robbe de S. Ex.tia come che mi pare, et per lettere di quella et de altri si sia persuasa, nel che havendo per altre mie a risposta de sue non mi extenderò in più, che essendo arrivato qui ho ritrovato uno sceso de sopra le fuste de Infideli, quale erano in conserva di doe fuste, preseno ditte robbe, et de sopra de ditte doe fuste quale fecero ditta preda sono scesi homini doi, quali erano sopra esse quando pigliorno le robbe anteditte, uno calafato di Rapallo, et un altro di Levante, quali al presente sono in essi loci, et ne potranno dare bona informatione, et benché non dubitassi il tempo produrla il vero, non ho voluto manchare farlo intendere a sua Ex/'·1 quello che già ne ho inteso, et a purification mia, et ad ciò quella li possa pigliare quello expediente meglio li parerà, et senza altro dire alla bona gratia di sua Ex.,ia mi racco.do Di Galera nel Golpho della Spessa alli xxij de luglio mdxxvij. De V. S. 111.™ Ser.ore Andrea D’oria (i). II. In seguito le relazioni divennero più intrinseche ed amichevoli, e quindi più nutrito il carteggio; al quale porgono occasione vari e diversi argomenti: cortesie reciproche; raccomandazioni di cose private proprie e d’altri, o di parenti e di persone amiche e devote ; consegna o liberazione di condannati alle galere ; e cose infine che toccano in qualche guisa delle faccende politiche o che ad esse si riferiscono. Rispetto alle prime non è infrequente lo scambio di dona- (i) Notizie particolari e diffuse intorno al fatto di cui si tocca in queste lettere saranno date da Rodolfo Renier ed Alessandro Luzio nell’ opera sopra Isabella alla quale intendono, e di cui hanno già dato saggi importanti. Intanto cfr. Renier, Isabella D’Este-Goniaga, Roma, 1888, p. 25 (Est. dal-l’« Italia » a Monthly Maga\ine). 84 GIORNALE LIGUSTICO tivi. I duchi mandano salami, ostriche, « cose quadragesimali », e falconi, con i quali il D’Oria si ripromette di « fare di bellissime caccie in le galere » : ed egli a sua volta carciofi e frutta del paese, fiori, limoni, arancie, capperi, olive di Spagna, vino amabile; eppoi cavalli africani accoppiati, un leopardo, una tigre maschio, un topo di Faraone, cani turchi, scimmie, due schiave e due negri. Questi ultimi accompagnava con la seguente lettera: 111.™° et Ecc.m0 S.r mio oss.mo La Ecc.a V. have horamai mandato tanti homini a queste gallere che si trovano la maggior parte sue, et non obstante che li dì passati, come haverà inteso, venendone una fino di Spagna sia stata presa in provenza da certe fuste et gallere di Turchi, per difetto di chi la governava, le altre gallere hanno a l’incontro preso in altre parti quattro fuste et una galleotta, in le quali erano questi doi negri, quali mando a V. Ecc.a non per quel che vagliono, ma per segno di mia servitù, et acciochè goda parte del frutto che fanno le gallere et homini soi, et le bascio le mani. Da Genova alli 2 di Agosto mdxxxiiij. Di V. Ecc.* Servitore Andrea D’Oria. E fin sull’ estiemo della vita non dimenticava que’ Signori mantovani, sempre desideroso di testimoniare quanto fosse ad essi affezionato ; onde mandando un regalo di frutta scriveva : Ill.mo et Ecc.™0 S.r mio Poiché i miei anni non mi lasciano venire occasione dove io possa mostrare come vorrei, maggior segno della mia servitù et osservanza a V. Ecc.% le mando quelle poche frutte ch’ella vedrà di questo Paese per la quadragesima, supplican.la che si degni di mirare più tosto l’animo di chi gli manda che la qualità del presente, che non è degno di lei, et mi tenghi per quel ser.' di sempre, poiché io ho gl’istesso animo di servirla che ho avuto sempre. Et co’l ritorno di questi mu-latieri sia servita di comandare che mi sia scritto 1’ essere suo, ac- GIORNALE LIGUSTICO ciochè possa goderne la parte che me ne tocca per la mia servitù di tanti anni. N. S. la conservi et prosperi lungo tempo felic.te come desidera. Di Genova li xij di feb.'° mdlx. Di V. Ecc.a Ser.re And.' de Oria. Molte sono le persone, che avendo degli affari privati nello stato mantovano o nel Monferrato, ottennero dal D’Oria commendatizie, perchè fosse reso più facile il conseguimento de’ loro desideri, e più spedite procedessero le cause affidate al magistrato; fra gli altri, che sarebbe qui inutile registrare, troviamo i nomi di Lionello Malaspina, Barnaba Adorno, Federico Fiesco, Gio. Agostino De Marini, il conte Girolamo Sanvitale, Pantaleo Berico, Biagio Spinola di Cassano, Battista Giustiniano, Agostino D’Oria, Giorgio Vento a favore del quale mandava questa viva raccomandazione : Ill.mo et Ex.mo S." mio oss.mo Messer Giorgio Vento mercadante di questa cità viene ad V. Ex. per havere terminatione al fatto di quelli suoi denari che V. Ex. sa, et per essere in epsi interessato un mio stretissimo amico et parente, non ho potuto mancare di suplicarla che in questo tal negotio V. Ex. sia contenta haverlo in quella commendacione che suol tutte le cose mie tenere, le quali essendo sue et conoscendo V. Ex., tanto justa et benigna coni’ è, non mi pare dirli altro, che di continuo in sua bona gratia rac.rac et che N. S. la prosperi come desea. Da Genova alli vj di Giugno mdxxix. Di V. Ex. Hum. Ser." Andrea D’Oria Con ugual premura instava a prò’ di Orlando da Vezzano, spedito a Venezia dal marchese di Fosdinovo, nipote d’Andrea: 86 GIORNALE LIGUSTICO 111.™0 et Ecc.'"0 S. mio oss.'”° 11 presente lator sarà Mes.r Orlando da Vezzano, il quale va a Venetia per la causa che da esso V. S. intenderà, et perchè importa al S.' Marchese di Fusdenovo mio nepote, sup.c0 V. S. non solamente si degni ascoltarlo, ma sia contenta accompagnarlo di quelle lettere che paiano a V. S. più favorevole in le cose della giustitia et ispe-ditione presta, acciochè mediante quelle possa conseguire l’effetto per il quale va. Ma V. S. mi farà gratia fare le lettere che sian di tale efficacia et caldeza che sia conosciuto la voluntà et desiderio che sia possibile havere per la ispeditione di questa causa, et perchè la S. V. conosce meglio di me la -compressione di quel paese non durarò fatica dirlene altro, ma rimettermene a quanto li parerà di faie, et basandole le mani prego dio la conservi. Da Genova alli vinj di Marzo 1540. Di V. 111.™» S> Ser.re Andrea D’Oria. Si adoperava altresì per i Gambera, gentiluomini banditi dal mantovano, e intercedeva per loro così : Ill.mo et Ex.mo S.1 mio oss.mo Già più giorni passati supplicai V. Ex. fosse contenta farmi gratia che Mesr Henrico Gambera et figliolo confinati in Crema potessero venire in questo Dominio et Rivere di Genova, et ad una abbatia del Tiglietto, qual è del Prothono.io loro fratello et barba, non molto discosto da Varagine, et starli a suo piacere fin a tanto che V. Ex. resterà servita di farli maggiore gratia. Et perche mai non ne ho havuto risposta, et desidero grandemente fare conoscere alli predetti, come amici mei antiqui, la intercessione della mia servitù verso V. Ex. haverli giovato, ne la sup/° di novo, che la reputerò per molto singulare a cumulo delle altre infinite obligatione che li tengo, che cussi li baso le mani, et prego N. S. Dio felicissima.te la conservi. Dato in Genova alli xxx di Gennaro mdxxxviij. Di V. Ex. Ser.-' Andrea D’Oria. GIORNALE LIGUSTICO 8? Faceva ampia e vivissima raccomandazione a prò di un capitano che aveva servito sulle galere con lui : 111.™° et Ecc.™° S.r mio oss."‘° Havendo Mes.r Alessandro Carretto presente latore servito molti anni a S. M.u in mia compagnia sopra le galere, et in terra, mi pare esserli debitore per il detto servitio fatto tanto amorevolmente et fidelm."- come conviene ad ogni gentilhomo par suo, però havendo egli statuito venirsene fino a Mantova tanto per veder suo fratello come per impetrare da V. S. 111.™·’ gratia et favor apresso lo 111.”° S. don Ferrante, in caso che egli si determinasse servire S. Ecc.» sopra le guerre dove si è sempre diportato honorevolmente, ho voluto per questo rispetto non solamente farne vera fede a V. S. 111.™*, ma supplicarla anchora che dove acaderà bisognare del suo favore, non glielo vogli denegare come a gentil.'1'0 che lo merita, sì per essere molto esperto nella guerra quando per mezo di quella potesse havere quando acaderà una compagnia di fanti, dico certo V. S. 111.™» che sarebbe molto ben collocata, et io ne harei tanto piacere quanto che basterebbe ad ubligarmene sempre a V. S. 111.™, alla quale bascio le mani et prego dio la conservi. Da Genova alli xxix di cjbre 15 51. Di V. S. 111.™» Ser.= Andrea D’Oria. E tanto gli premeva quel suo commilitone che in uguale tenore ne scriveva alla duchessa. Avendo a sua istanza il marchese concesso campo franco a Nicolò D’Oria e a Cristoforo Guasco per definire colle armi una loro contesa, Andrea gli attestava la sua gratitudine : « Le cortesie et amorevole demonstratione che V. Ex.’" mi fa son conforme a la speranza et fede eh’ io tengo de la innata bontà et virtù soa; et certamente che troppo grande è stato et è l’amore che la dimostra portare a me et tutta la casa mia, de lo qual ben che già restassi chiaro per diversi conti, me ne ha tanto più certificato la lettera di V. Ex. mandata a posta per el combattimento che si tratta fra Chri- 88 GIORNALE LIGUSTICO stoforo Guasco et Mes.r Nicolao D’Oria, de che tuto hümil-mente la ringratio, et gliene baso le mani. Et per risposta non posso negare a V. Ex. ch’el detto Mes.r Nicolao non sia de la casa mia et parente mio, et stimando non manco l’honor suo corno la sua propria vita, parme senza comparatione dover havere più a caro che, havendo a combattere, si determini più presto in quella citade, et sotto el dominio di V. Ex. che in altro loco del mondo. Però non solo ho piacere che la si degni consentirlo: ma mi farà singularissima gratia a satisfare a la richiesta che sopra ciò gli è stata facta ». Al medesimo fine raccomandava più tardi il capitano Giovanni Spinola : Ill.mo et Ex.mo S/ mio oss.™0 Amando non solo da stretto parente come tengo il Cap.° Joan Spinola exhibitore di questo, ma da figliolo, m’incresce per la partenza mia, eh’ io non possa intravenire a tutto quello che li occorrerà bisognare per condursi con 1’ adversario suo, qual ha aspettato fino a questo punto chiamarlo; però essendomi V. Ex. S.r et patrone precipuo, sotto la cui protectione so che non può restare offesa alcuna cosa mia, ho pigliato sicurtà de indirizarlo et raccomandarlo a quella con tanta magiore efficatia, quanto eh’ io stimo in questo caso 1’ honor suo, mio proprio. Supp do V. Ex. che apresso le altre infinite gratie che la mi ha fatte, non mi deneghi questa di prestarli tanto dii suo favore, che assicurato da tutti gli altri pensieri resti solo con il minor di tutti, quale è di venire a questo et ogni altro cimento che si ricerchi per conservatione de 1’ honor suo, il che riceverò in singulare mercede da V. Ex. Genova alli xmj di maggio 1540. Di V. Ex. S." Andrea D’ Oria. Allorquando il Monferrato venne finalmente per sentenza di Carlo V in podestà del duca di Mantova, parecchie volte il D' Oria ebbe opportunità di scrivere, per raccomandare affari di suoi parenti, sottoposti alla giurisdizione di quel marchesato. GIORNALE LIGUSTICO 89 Rivolge infatti preghiera al duca affinchè confermi i privilegi a Cristoforo D’ Oria per il feudo di Moconesi, e a Iacopo D Oria per quello di Mornesio. Patrocina in nome di sua moglie i diritti dei marchesi di Finale sopra alcuni feudi nella dizione monferrina, e quelli di Gottasecca e di Cameirana appartenenti personalmente alla stessa sua moglie. Per conto di Benedetta Spinola scrive come segue : 111.'"0 et Ex.m0 S/ mio oss.nl° Penso che V. Ex. si doverà raccordare, come l’anno passato, essendo quella a Vilafranca, li feci suplicare che havendo comprato la S.ra Benedetta Spinola figliola della Principessa mia, servitrice di V. Ex. un loco qual si chiama il Dego, fusse contenta farmi gratia apresso tante altre di concederli le investiture secondo la forma di quelle de gli altri lochi, quali detta S.ra Benedetta rf onosce da V. Ex., et che la potesse medesmamente mettere un pedagio a Piana et Gisvalla, come altri detti soi lochi, de che tutto V. Ex. restò contenta. Hora, ritrovandosi quella in Casale mi è parso inviarli lo exhibitore della presente per haverne la expedicione. Sup.co di novo V. Ex. sia contenta comandare che li sia fatta con quel favore che di sua grandezza et bontà spero, et confido che tutto agiongerò agli altri infiniti oblighi li tengo. In Genova alli XXVIIJ di aprile 1539. Di V. Ex. Ser." Andrea D’ Oria. Intorno a tutte le quali cose più volte torna a scrivere, e spedisce anche qualche messo speciale per più larghe informazioni verbali, poiché in lui è grande Γ interesse per veder risoluti, secondo i suoi desideri, si fatti negozi; il che, come egli dice, « me importa et sta a core per quelli rispetti che V. Ex. può pensare, et per l’interesse particolare che li reputo havere dentro ». Le contese che sorsero dopo la morte di Battista Spinola (1) per il feudo di Beiforte, porsero argomento alle lettere seguenti : (i) Era stato Doge nel 1531-32. 9° GIORNALE LIGUSTICO IU.,no et Ex.n:° s.r mio oss.lv,° Li giorni passati il q. M.·-'0 Mes/ Batt.a Spinola passò di questa vita senza successione di alcuno figliolo masculo, et per suo testamento ha disposto del castello di Beiforte in Perinetta sua figliola femina, sotto certe condicione contenute nel detto testamento, per vigore de uno privilegio ottenuto dalla Ces.1 M.Ti, per il quale veneria a restare alienato dal stato di Monferrato, al quale d.° castello di Beiforte restava in feudo. Et perchè Mes/ Iacobo Maria et Nicolao figlioli del q. M.l0 Mes/ Luca Spinola, cuggini germani et più propinqui agnati del d.° q. Mes/ Battista, pretendano eh’ epso castello di Beiforte non possi essere stato allienato dal stato di Monferrato, et resti devoluto alla Camera di V. Ex., et a loro, come più prossimi si debia concedere epso feudo, sì come ogni legge par che li favorisca, et desiderando io sumamente che in questa lor giusta pretensione per molti respetti siano compiaciuti, sup.;o V. Ex. in evento eh’ el detto feudo resti alla sua Camera devoluto, et che a quella ne spetti la dispositione et concessione, sia contenta, come marchese di Monferrato, farne gratia et concedere il placet alli prenominati Mes/ Iac.° Maria et fratello, che la receverò per propria et ne restarò obligatiss.”0 a V. Ex., alla quale non lasserò di dire che la intrata del d/° castello non passa da novanta seutti in circa, et la magior parte in possessione. Et cussi anche la supplico contentarsi remettere in me la cognitione spettante ad epsi fratelli per tal concessione, che per questo effetto mando 1’ exhibitore presente a posta, con il quale sup.co V. Ex. si degni farmi rispondere la sua bona voluntade, non denegandomi la sopradetta gratia, come ho fede in quella; che cussi facendo fine le baso le mani, et prego N. S. Dio la conservi et contenti come desidera. Dat. in Genova alli xvnj di x.bre 1539. Essendo questi gentilomini mei parenti et molto stricti, V. S. mi farà singulare mercede farme per loro questa gratia (1). Di V. Ex. Ser." AndreA D’ Oria. (1) Queste parole sono di pugno del D’Oria. GIORNALE LIGUSTICO 9 1 Ill.mo et Ex.m0 S/ mio oss.'”° Non mi è stata nova 1’ amorevole et troppo cortese risposta che V. Ex. si è contentata farmi sopra la richiesta mia del loco di Beiforte per li M.° Mes/ Iac.° Maria et Nicolao fratelli Spinola, de che hum.1 le baso le mani, avisandola la intentione mia non essere però stata salvo per prevenirne V. Ex. in caso eh’ el detto loco resti devoluto alla Camera sua Marchionale, come si presupone, et non per in-trodure cosa che non sia sempre conforme alla sua bona mente, secondo ricerca 1’ obligo della mia sincera servitù verso V. Ex., la quale son certissimo che per sua innata bontà non debbia mancare in questo et nel resto a suo tempo farmi multiplicate mercede, sì come la mi promette ecc. Genova alli xv di Gen.° 1540. Di V. Ex. Ser." Andrea D’ Oria. 111.'11-? et Ex.m0 S/ mio. Li giorni passati scrissi a V. Ex. qualche cosa toccante al loco di Beiforte, forsi non ben informato de la materia che si tratta, benché con presuposito de non volere mai da quella, salvo quanto la giusticia vole. Hora sapendo che il R.1110 Car. Grimaldo al figliolo del quale è maritata Mad.·1 Perinetta figlia del q. Mag.c0 Mes/ Battista Spinola, ha mandato per la investitura d’ epso loco in nome della detta M.* Perinetta, et qualmente li officiali di V. Ex. nel stato suo di Monferrato glie 1’ anno denegata, secondo che mi persuado da loro già sarà stata avertita, allegando il detto loco essere devoluto, mi è parso, sì perle difficultà che concorrono in le materie delle devolutioni, come per esser certo eh’ el genero del q. M/ Batt.a desidera non altrimenti essere servitore di V. Ex. che li sia stato il socero, et intravenendoli anche il respetto del R.mo suo patre qual desidera molto sbrigare questo negotio, supplicare V. Ex. mi faccia gratia d’haverlo per ben raccomandato, et per sua innata bontà ordinare che li sia data epsa investitura per la quale si manda Γ exhibitore presente a posta ecc. Genova xvj febr.™ 1540. Di V. Ex. Ser." And/ D’ Oria. 92 GIORNALE LIGUSTICO Non è poi privo di curiosità il rilevare come quella stessa Giulia d’Aragona che doveva esser moglie al duca Federico, e divenne invece sua zia, avesse bisogno degli uffici del D’Oria per ottenere dal nipote quanto le era dovuto per ragione ereditaria. « Il presente don Hieronimo », scrive l’Ammiraglio, « mandato dall’111.™0 S.r Duca di Calavria, viene a V. Ex. per la causa della sententia della 111.™·1 S.ra Infanta sopra le cose di Monferrato, come da esso intenderà, et con quanto io sia servitore del pr.'° Ill.mo et di V. Ex., et che la intercessione mia non sia necessaria fra dui S.ri tanto Ill.mi, non ho però voluto mancare di aggiùngere queste poche parole di supp.r' la Ex. V. che li vogli dare quella honesta et honorata expeditione che a quella si conviene, che oltre la Ex. V. possi esser certa di fare in quella causa una opera molto pia et degna della grandezza sua, potrano ancho conoscere quanto sono suo servitore ». A questa calda sollecitazione accompagnata da un cortese monito, il duca subito si adoperò affinchè le richieste di donna Giulia fossero appagate; perciò, non senza scusarsi per il ritardo, si affrettava a dimostrare al D’ Oria in qual conto tenesse la sua commendatizia : « Fu in questi dì qua Mes.r Ieronimo del Forno con la lettera di V. S. I]l.ma per le cose de la S.rï donna Iulia. Io visto quanto la mi scrive et quanto mi raccomandava amorevolmente, di che la ringratio, puosi subito ordine alla speditione de la cosa, et al fare de li assegni el se saria espedito ancho prima se fosse stato sollecitato, ma comparve uno a nome di essa S.r% et furono proposti alcuni pati; con quelli se ne partì nè più se ne intese altro se non alla venuta del Forno, quale si è fatto restare sodisfatto; vi resta solo per veder per contentezza sua di alcune sicurtà, al quale non si mancarà ». Dell’ opera sua e della sua incontestata autorità si giova eziandio per far sì che vengano composte le differenze sorte fra gli uomini di due comunità vicine: GIORNALE LIGUSTICO 93 Ill,m° et £x mo s.' mio OSS.mo Accadde che tra li homini di Ponzono subditi di V. Ex. et li homini di Sassello subditi delli D’ Oria mei parenti, occorreno differentie de jurisdicione, et quelli de Ponzono, non obstante la conventione si hanno inscieme, hanno dato sententia contra de li d." homini, li quali si ne sono appellati a V. Ex. et perciò vengano da quella dui homini mandati per detti di Sassello per terminare d.,J appellatione. Però sup.t0 V. Ex. sia contenta comandare che siano alditi et dattoli quella più presta expeditione sarà possibile conforme alla justicia, et non siano rimandati altramente a Casale, come alcuna altra volta si stila di fare, perchè si consumeranno in longhezze di tempi et in excessive spese, et di questo ne restarò, come di molte altre gratie oblig.m° a V. Ex. a la quale baso le mani. Dat. Genova alli x de Agosto mdxxxviij. Di V. Ex. Ser.,c Andrea D’ Oria. Del pari richiama l’osservanza di privilegi, già altra volta concessi, mercè i quali i terrazzani di Lerma, erano liberati da certe imposizioni: R.mo et 111."·1 S." oss.ml Li anni passati per intercessione della mia servitù, si contentò lo lll.mo S.r Duca fe. me. di liberare li homini di Lerma nel Monferrato da ogni gravezza, cussi di mensuali come de allogiamenti, et di questo non solamente per farne gratia a me, ma per li privilegii ancora che d.“ homini tengano de non essere sottoposti a tal gravezze. Hora essendo stato imposto uno mensuale di cinquecento scutti il mese per sovenire al pagamento de alcuni cavalli eh’ el S.r Marchese dii Vasto ha fatti fare, parmi che ne sia stata taxata la sua parte al detto loco di Lerma, il quale per essere de un parente mio reputo più che proprio. Però attento li sopradetti respetti et il poco che releva tal pagamento , qual’ è solamente di dui scutti il mese, ho voluto sup." a V. S. lll.me siano contente confirmarmi quello che già dalla fe. me. del pr.tu S.r Duca mi è stato concesso, et tanto più essendo da questo 94 GIORNALE LIGUSTICO medesmo carico stati liberati qualchi altri lochi che per aventura non hanno privilegii magiori di Lerma, nè manco sono di persona che più desideri di me servire a V. S. 111.“, dalle quale lo receverò in particolare gratia, che cussi sperando non me la debbano negare, non mi extenderò in altro che basarli le mani, pregando N. S. Dio li concedi ogni felicitate. Di Genova alli vj di Gennaro 1542. Di V. S. 111.“ Ser.’0 And.1 D’ Oria. Interpone i suoi buoni uffici, perchè siano composte alcune differenze insorte fra i sudditi della Repubblica di Genova, e gli uomini di un feudo del Monferrato : 111.”" et R.”'0 S/' miei oss.ml Son stato con quelli S." del Governo sopra quello che le S. V. 111.™' et R.m·1 me scriveno circa la innovatione delli sudditi di questa Rep.c:l su quello di Casareggio feudo del Monferrato, et li ho trovati in quella medesma buona volontà che sono le S. V. 111.”' et R.™-1, et se ha-vessero havuto qualche informatione delli successi di quelle bande, hariano subito eletto et mandato un Comis.°, il quale insieme con quello delle S. V. 111."*' et R.m·1 havesse sul luogo intese et terminate amicabilmente tutte le differentie che vi sono, ma per non esserne informati, non hanno per adesso determinato altro che di mandare per la informatione et fare poi tutto quello che si conviene alla bona amicitia et vicinanza, come faranno, et quelle lo tenghino per certo per tutte le ragioni et respetti che le S. V. 111.™' et R.1,1:1 dicano in la ditta sua. Egli è ben vero che in questi apostamenti vi hanno da intervenire due gentil.ni di questa Cità, cioè quelli de Lerma et di Casareggio, però dal canto loro non mancaranno di fare tutto quello che si converrà et specialmente venendo in satisfattione et servitio delle S. V. 111.”' et R.n,il, alle quale basciando le mani prego Dio le conservi et prosperi. Di Genova alli 7 d’ottobre 1545. Di V. S. 111."' et R.'”·1 Ser." And.a D’ Oria. GIORNALE LIGUSTICO 95 Prega vivamente affinchè siano presi gli assassini d’un suo famigliare affezionato : 111."'” et Ecc.mo S.' mio oss.'”° 1 erchè li assassini homicidiali et homini di mala vita, et maxime peiseverando in openione di fare ogni giorno peggio, che non hanno fatto, havendomi morto uno servitore mio cariss.'"° et di tanta bona qualità quanto potesse essere uno homo, et figliolo di Mes.' Paulo Campoia tanto ser.rt dello 111."· S.r Don Ferrante et de tutta quella 111. Casa, come dal secret.10 Mes.r Gio. Ant.0 Mauro V. Ecc.” potrà essere informata, ho voluto per questo sup.r* affettuos." la Ecc.’ V. mi vogli far gratia di comettere per una sua patente a tutti li soi officiali del Monferrato, et particular." a quelli del Castelletto delli Adorni, dove questi ribaldi dimorano, che li siano poste le mani adosso, et ne sia fatto quello che vole la giustitia, o vero farmeli mandare in galera, come ancho ho ottenuto dallo 111.”° S.' Don Joan de Fi-gueroa Gover." del stato de Milano, dove capitando sarano presi, et capitando ancho sopra li mei lochi et terre di Lombardia sarà fatto il medesimo, et dico ingenuamente alla Ecc.” V. che facendomi questa gratia la reputarò tanto grande che bastaria questa sola oltra le altre infinite ad obligarmele perpetuamente, però di nuovo la sup.co a non mancarmene, et con questo fine le bascio le mani et prego N. S. Dio la prosperi et conservi. Da Genova alli xnj de ottobre 1557. Di V. 111."· et Ecc.™ S.rla Ser." And/ D’Oria. Occorrono parecchie volte delle commendatizie per richiedere pubblici uffici a prò di persone che a lui a questo fine ricorrevano. Domanda che a Nicolò Codronco gentiluomo d’Imola e podestà di Lucca sia conceduta la podesteria di Mantova; sollecita lo stesso ufficio per P auditore di Rota Pietro Bigio, per Ghirardo Marzolo di Reggio, per il podestà di Pavia Pietro Giorgio Visconte, e propone a coprire la carica di vicario il dottore in legge Giambattista Gaddi. 96 GIORNALE LIGUSTICO Raccomanda poi singolarmente Agostino Bernucci: R.m° et 111."1 S/1 oss.mi Desiderando Mes.' Agostino Brenucci di Sarzana dottor de leggi servir a V. S. 111."' nello officio della apelatione del maggio prossimo, o vero alla prima vacatura di quello, et per tenere ogni bona informatione della virtù et integrità sua, et anche per esser amico mio, supplico V. S. 111.™' volerli far gratia di detto officio, che oltre spero ne resterano ben servite, io gli ne haverò obligo particolare, alle quali baso le mani. Da Genova a XX di feb.ro 1541. De V. S. 111.'”' Ser." Anorea D’ Oria. Ma questo ufficio era già stato conferito, e ad altri promesso anche per gli anni seguenti fino al gennaio del 1544; a questo tempo i Reggenti, « s’el si contenta di venire », promettevano che ne avrebbero compiaciuto volentieri il D’Oria. Non ci è noto se il Bernucci abbia poi avuto l’ufficio di giudice a Mantova. Egli fu uomo di ingegno e buon letterato; ci restano di lui alcune prose e poesie latine che lo manifestano assai colto. Ebbe uffici, favori e benevolenza dal D’Oria, e fu uno de’ testimoni che vennero esaminati nella celebre causa dei Fieschi, agitatasi dopo la congiura (1). Ottenne invece un luogo nella Rota mantovana Angiolo Grossi, di cui Andrea scriveva: Ill.mo et Ecc.mo S.or mio oss.mo Il desiderio grande eh’ io ho d’ ottenere gratia da V. Ecc.;l d’ un luogo costì nella Ruota da venire per un amico mio e ser.”, m’ ha fatto antecipare a scrivergliene, acciò che più facilm." ne sia compia- (1) Gerini, Meni. stor. d’illustri scritl. ecc. della Lunigiana, Massa, 1829, v. I, p. Γ02. — Spotorno, Storia lett. d. Liguria, Genova, 1825, v. Ili, P· 79> !95· — Atti Soc. Lig. di Stor. Pair., v. Vili, p. 333. GIORNALE LIGUSTICO 97 ciuto. Prego dunque V. Ecc.·1 quanto più so e posso farmene gratia, che le ne restarò ubligatiss.1110, et acciò che V. Ecc.'sappia di ch’io le parlo, le dico eh’ el gentil.11,0 è Mes.' Angelo de Grossi del stato di questa Repub.^·1, homo d’anni 40 e integerrimo e incorrottibile nei suoi giudicij, letterato, pratico et isperimentato in molti offici honorati, et massima.,c in questa città, dove egli serve da sette anni in qua, et ha di se dato così buon odore, et ottima sodisfatione che non ostante eh egli sia subdito ha meritato di continovare al servicio di questi S. 111.'"1, che non lo sogliono ad altri concedere, et ancora persevera nell’ ufficio del Vicariato, eh’ è di grand.™0 carrico per haver cura della maggior parte delle cause civili di questo stato. Sì eh’ ancora eh’ io sia chiaro che V. Ecc.1 sappia eh’ io non le proporrei se non persona della quale restasse beniss.1110 servita, pure gli ho voluto dire qualche cosa per sodisfacione mia, et acciò ch’ella si possa meglio acquietare d’ havere benis."10 provisto a quel luogo. Et così di nuovo la prego gratificarmene et darmi risposta della resolutione et me le offero et rac.l,°. Da Genova alli XI di dicembre mdlvij. Di V. S. IH.™» Ser.” And/ D’ Oria. Vuoisi infine ricordare la lettera con la quale accompagnava Paolo Partenopeo : 111.™° et Ecc.1110 S.or mio oss.mu 11 presente exhibitore è Mes.' Paulo Parthenopeo, il quale per la sua singular doctrina et honestissimi costumi si è passato di sorte in quindeci anni che è habitato qui in Genova, che non solamente da me, ma da tutta la nostra città è tanto amato, che da questa 111.™ S.ia fu fatto degno d’ essere aggregato nel numero di suoi cittadini. Viene al presente costì a Mantova per un servicio eh’ egli a bocca esponerà a V. S. Ill.llia, per tanto la priego quanto più posso che, et per le sue virtù et per amore mio li vogli prestare il suo honesto favore per la ispeditione del suo negotio, acciò che presto et bene ispedito se ne possa ritornare presto di qua, che oltra fare il piacere a persona che lo merita, a me sarà di tanta satisfattione quanto che Giorx. Ligustico. Anno XXIII. - 98 GIORNALE LIGUSTICO bastarà ad obligarme perpetuamente a V. Ill.ma S., alla quale bascio le mani et prego Dio le doni ciò che più desidera. Da Genova alli xvj d’ottobre mdxxxvj. Di V. 111.™ S> Ser/' Andrea D’Oria. Scrittore di bella lama e storiografo della Repubblica di Genova, lasciò in latino il racconto degli avvenimenti di Genova dal 1528 al 1541, nel quale ampiamente narra le imprese del D’Oria, di cui ebbe la benevolenza, là stima e l’amicizia (1). III. La Corte di Mantova ben spesso fornisce all’Ammiraglio i condannati al remo, di che egli si mostra riconoscente, e ne domanda e ne sollecita alcuna volta l’invio, quando il naviglio ne è sfornito. E perchè primamente gliene è fatta offerta dal Marchese ne’ primordi della loro corrispondenza, egli ad incoraggiarlo, non ha termini adeguati per mostrarsi grato « salvo certificarla che d’esse galere et de la mia persona lei n’è patrona, et quando li venerà occasione poterle adiutare, tutto se aggiongerà al suo proprio servicio ». Cosi più tardi scrive: Ill.mo et Eccell.mo S.r mio oss.nl° Tanto maggiormente mi reputo esser obligato a V. Ecc.tla quanto quella dimostra havermi in sua memoria, et perchè per la sua de xvij del passato si è degnata notificarmi havere alcuni preggioni, che per li loro demeriti sono condennati al supplicio della gallera, et che bisognandone me li manderà sino a Parma, io la certifico che le gallere non sono mai tanto opulente de simili aiuti et soccorsi che non ne bisognino sempre et da ogni tempo, et spetialmente de soli condan-' (1) Spotorno, op. cit., v. Ili, p. 22 sg., v. IV, p. 243, 248. — Atti Soc. Lig. cit., v. IX, 75, 262, 348. GIORNALE LIGUSTICO 99 nati da la giusticia, però tanti quanti la se degnarà farmene mandare, a tutti farò dare bonissimo allogiamento in li mei palazzi. Ma perchè io non haveria forma de condurli qua da Parma dove dice V. Ecc.'·"1 che havuta mia risposta li mandarà, la suplico m’accresca tanto più lo immenso obligo che li tengo de farli condure sino alla Spezza, dove li sarà dato boniss.0 recapito. Resto pregando N. S. Dio la 111.1™ persona di V. Ecc."·1 guardi, et quanto posso me li raccomando et baso le mani. Da Genova alli nij di Gennaro mdxxx. De V. Ecc.til Ser." Andrea D’Oria. Allo stesso proposito de’ condannati si riferiscono le due lettere seguenti : Ill.mu et Ecc.mo S.r mio oss.mo Dopoi d’ haver scritto questa mattina a V. Ecc.e sono ritornate le sei galere che mi restano qui, sopra le quali ho fatto cercare con diligentia per quel Vincentio figlio di Mes.' Alberto di Gualfredi, che l’Ecc.a V. mi comanda che io liberi, lo qual non vi è certo. Ho parimenti fatto rivedere il libro dove sono tutti notati li forzati, et quel nome non si trova, nè altro maggior consimilitudine a lui che di un Vincenzo Ghifone preso sopra una fregatta a Napoli, lo qual al presente si trova sopra la Contessa, una de quelle galere mie che son a Napoli ; se io intenderò che sia quello subito ordinarò che sia liberato, desideroso et debitore di servir in molto maggior cosa l’ Ecc.a V. a la qual bascio per mille volte le mani. Da Genova vj d’agosto MDXXXIIIJ. Di V. Ecc.* Ser." Andrea D’ Oria. R.mo et Ill.mi S.rl oss.n" Con la lettera di V. S. 111.”' di xxiij dii passato si sono havuti li tre pregioni mandati per le galere, delli quali li baso le mani, et siccome li ho già scritto per un’altra mia, perchè restorno perdute in la giornata de Algeri tutte le scritture pertinente a cose di galere, 100 GIORNALE LIGUSTICO potria essere si dettenessero qualche forzati più del loro tempo per non sapersi, cioè di quelli mandati da lì indietro, che da l’hora in qua se ne tiene nota in mare et in terra, perciò V. S. 111.”' potrano farme comandare se alcuno in tal caso gli ne fosse che già havesse passato il termine, perchè in tutto sarano obedite come patroni delle galere et del resto, et cussi facendo fine alle bone gratie di V. S. 111.”· di continuo me li raccomando, pregando N. S. li concedi ogni salute et prosperitade. Da Genova alli ij di x.bre mdxlv. De V. S. 111.”' Ser." Andrea D’Oria. IV. Per dar maggior lustro alla sua casa e rendere più solenne un avvenimento domestico, il duca Federico, essendo nel 1537 la duchessa vicina a sgravarsi, pregò il D’ Oria che fosse compare al fonte battesimale. Al che questi, accettando volenteroso, replicava il i.° aprile: « Si può ringraziar Dio della gravidanza della Ul.m* S.ra Duchessa et che preservi in bene, et così pre-garò quello che la preservi et conduchi a salvamento, et perchè la Ex. V. ha determinato, per alzarmi di servitore che le sono, farmi compare, non solamente accetto questo tanto favore et gratia che mi fa, ma le ne bascio le mani, supplicandola che quando sarà tempo me ne faci dare aviso, acciochè non pos-sendole venire io come desidero et farei se fussi giovane, possa mandarle uno in mio loco ». Avvenuto nel giorno 18 il parto ne era subito avvertito: « Hieri poco di poi le xiiij hore con la gratia di N. S. Dio la S.ra Du.sa mia consorte partorì una figliolina femina, che per me è stata chariss.mil et ne ho preso summa consolatione, tanto più che la detta duchessa mia sta, secondo la conditione del male, assai bene, et così la creatura »; quindi soggiunge che gli indicherà a suo tempo il giorno destinato al battesimo, perchè possa mandare un suo procuratore. GIORNALE LIGUSTICO ΙΟΙ Nè 1 indugio fu lungo: il 24 aprile scriveva: « Perchè ho dessignato di far battezzare la domenica dopo la festa de la ascensione de N. S. G. C. che sarà agli xiij de maggio prox. fut. la figliola che la S.ra Du.sa mia consorte in questi dì ha partorito, mi è parso darne noticia a V. Ex. acciochè contentandosi, come l’ho ricercata et come desidero, de devenire mio compadre, la possa ordinare che a suo tempo si trovi qui un suo procuratore, che gli intervenghi a suo nome ». Ma il battesimo si dovette rimandare, perchè, avendo il duca « invitato per compadre anche il Ser.mo Prin.e di Venetia », questi delego un gentiluomo che non poteva trovarsi a Mantova nel dì stabilito. E fu prudente consiglio lo spedire appositamente un cavallaro a darne avviso al D’Oria, stando già sul punto di partire quegli che aveva eletto a rappresentarlo. Si compì poi la cerimonia il 24 del successivo giugno alla presenza dell ambasciatore veneto, e dello speciale delegato di Andrea, che fu Domenico D’ Oria. La neonata ebbe il nome della nonna, Isabella, e nel 1554 contrasse matrimonio con Ferdinando D’Avalos, figlio del celebre capitano Alfonso marchese del Vasto. Del qual parentado di questa sua figlioccia si rallegrava moltissimo il D’ Oria con la duchessa : « È stata tanta la sodisfatione et contentezza del matrimonio della Ill.ma Sig.r;' sua figliuola eh’ io ho presa, tanto per l’affetione ch’io ho sempre portata a cotest’ Ill.ma Casa, quanto per la servitù eh’ io hebbi con la fe. me. dell’ Ill.mo S.r Marchese del Vasto, per la quale io resto talmente affe-tionato al S.r Marchese di Pescara, eh’ io l’amo veramente da figlio, che meritava ch’io dovessi venire a rallegrarmene di presencia, ma poi eh’ io resto impedito dalla mia solita indi-spositione delle gambe et degli anni che mi accompagnano, V. Ecc.a sarà servita incolpare tali impedimenti et non il desiderio mio ». (Continua) A. Neri. 102 GIORNALE LIGUSTICO UN LIBRO POCO NOTO SULL’ORIGINE E ANTICHITÀ DI CARRARA IN LUNIGIANA La famiglia ferrarese de’ Superbi ha il suo sepolcro nella chiesa di S. Maria de’Servi della nativa città; e lì, per testimonianza di Marcantonio Guarini, dormono il sonno della morte, Francesco, fiorito nel Trecento, soldato e « person.iggio di gran valore »; Lodovico, che fu podestà di Trento, Ben venuto, già Capitano della ròcca di Carpaneda, Beatrice, « donna di singoiar virtù e bellezza », moglie di Borso, poi di Sigismondo d’Este; e il teologo Alberto, primo che nella cattedrale di Ferrara avesse titolo di Penitenzier maggiore (i). Giovanni Superbi, verso la metà del secolo XV, fu pubblico professore di legge nel patrio Ateneo, e con lode è ricordato da Ferrante Borsetti; il quale, sulla fede di Antonio Libanori, rammenta anche un altro de’ Superbi, che si rese chiaro colla penna, Agostino, dell’ Ordine de’ Minori (2). Delle sue opere dà questo catalogo : « Quae dedit sunt : Praecepta aurea ad vitae hominum institutionem accomodata ; Disco) si dell origine et antichità di Carrara; L’idea angelica; Il Decacordo spirituale; L’Apparato degli uomini illustri della citta di Ferì ara, 11 Trionfo degli heroi di Venetia; in fine autem praefationis libri huius promittit etiam editionem duorum operum quorum titulus. (1) Guarini M. — Compendio historico dell’origine, accrescimento e prerogative delle chiese e luoghi pii della città e diocesi di Ferrara, In Ferrara, presso gli heredi di V. Baldini, mdcxxi ; pagg· 49*)°' (2) Libanori A. — Ferrara d’oro imbrunita, Ferrara, Maresti, 1674; IH, 6. GIORNALE LIGUSTICO ΓΟ3 Mortalium immortale simulacrum praeclarissimos haeroes venetos repraesentans, et Tesori spirituali e temporali di Venezia città mar avigli·: sa; an vero ea ediderit ignoramus. Scripsit etiam Superbi, sermone italico, parvum Chronicon ecclesiae ac conventus Sancti Francisci Ferrariae, et est penes fratres conventus praedicti. Floruit vero auctor noster in fine saeculi XVI » ( i ). Dal P. Sigismondo da Venezia è detto « uomo fornito d’ogni guisa di dottrina, adorno d’ingenue doti dell’ animo, insigne teologo e fecondo oratore »; afferma che « predicò nelle più illustri città d’Italia con applauso universale », e che « ebbe onori molti dal Duca di Mantova », dal quale fu dichiarato « suo teologo » (2). Prima del P. Sigismondo, un altro frate, il P. Giacinto Sbaraglia, aveva tessuto le lodi di Agostino Superbi (3); non aveva mancato di ricordarlo Luigi Ughi, che lo ritiene « ugualmente buon filosofo e teologo » (4). Nell’ elenco delle opere del Superbi, tanto lo Sbaraglia, quanto 1’ Ughi, registrano i Discorsi dell’ origine et antichità di Carrara; nessun cenno, invece, ne dà il P. Sigismondo ; il quale, come osserva il valente e compianto bibliografo e carissimo amico mio cav. Andrea Tessier di Venezia, « ci denota quello del-1’ Origine et antichità di Ferrara, di cui non se ne ha notizia altrove » (5). E non se ne ha notizia, soggiungo io, perchè (1) Borsetti F. — Historia almi Ferrariae Gymnasii, Ferrariae, typis B. Pomatelli, mdccxxxv; II, 31 e 408. (2) Sigismondo da Venezia, Biografia Serafica, In Venezia, presso la tipografia Merlo, mdcccxlvi; pag. 608. (3) Sbaralea H. — Supplementum el castigatio ad scriptores trium Ordinum S. Francisci, Romae, mdcccvi ; pag. 104. (4) Ughi L. — Dizionario storico degli uomini illustri ferraresi nella pietà, nelle arti e nelle scienze, colle loro opere 0 fatti principali, In Ferrara, mdccciv, per gli eredi di Giuseppe Rinaldi; II, 178: (5) Cfr. Giornale di erudizione, corrispondenza letteraria, artistica e scien-tifiea; (I, 280. 104 GIORNALE LIGUSTICO si tratta di un errore di stampa, e invece di Ferrara va letto di Carrara. Parecchie son le opere del Superbi rimaste inedite. Quattro se ne conservano nella Biblioteca comunale di Ferrara e tutte le registra rnonsig. Giuseppe Antonelli. Sono : Theatrum teologarmi triplici ordine et plano digestum, auctore F. Augustino Superbio; Mortalium immortalitate simulacrum praeclarissimos heroes venetos representans, seu monumenta sepulcralia et inscriptiones publicae civitatis ; Breve compendio dell’ origine et accrescimento della chiesa e convento di S. Francesco di Ferrara e delli nobili et singolari soggetti di esso convento ed altro, di fra Agostino Superbi da Ferrara ; Teatro dell' immortalità degli uomini illustri et eminenti della città di Ferrara, di fra Agostino Superbi (i)· Il 1890 io scrivevo nel Giornale di erudizione, diretto da Filippo Orlando: « Il ferrarese Agostino Superbi, nel 1598 > stampò a Padova, co’ torchi del Pasquati, un volumetto in-4.0 intitolato: Discorso dell’origine et antichità di Carrara. Ne offri un esemplare ad Alberico I Cybo-Malaspina, Principe di Massa, che lo ringraziò con questa lettera. È inedita e la trascrivo dalle carte del R. Archivio di Stato in Massa: Al Padre Agostino Superbi da Ferrara scolare nel Studio di Padova del Santo. Molto R.° P." honorando. Una delle buone ricchezze che si possono havere non è dubio, a giudizio mio, eh’è 1’ haver amici assai; e se ben certo non ne ho il numero che vorrei, nondimeno non son _____X (1) Antonelli G. — Indice dei manoscritti della Civica Biblioteca di Ferrara, In Ferrara, nello stab. tip. libr. di A. Taddei e figli, 1884; pagg· 5Si 96 e 223. giornale ligustico 105 cusi pochi che mi disperi; ma istimo assai che me se ne scoprino di quelli eh io non conosco e che non pensai di havere, come interviene hora di V.'1 Paternità, che non mi sovviene di haverla conosciuta. L· put ella conosce le cose mie et ha visto parte di questo Stato, come mi dimostra la vagha operetta sua fatta, e ricevuta con molto gusto, dell' antichità di Carrara, per il che mi trovo obbligato a farle cortesia e lo farò. Hora, per venir all’istoria, sempre è stato tenuto che la vera Carrara fusse la città di Luni, e de parte delle reliquie di quella col medesimo nome venisse fabricato Carrara, perchè di questa non si trovino vestigii maggiori di quella, eh’ è anzi accresciuta da me, e di quella e per la larghezza del sito e circuito delle muraglie si vede eh’ era città buona, e non meno di Luna, et il mare era sì vicino che aneli’ hoggi si veggono alcuni anelli dove si legavano le funi delle navi. Hor basti* Laudo la fatica e l’amorevolezza e cortesia sua e attenderò che mi scriva e risponda più particolarmente. Che sara il fine, con che me le faccomando e prego salute. \ \ Di Carrara, p.° Xbre 1598. Il Principe di Massa. Nel Catalogo della Libreria Costabili, che fu messo alla luce nel 1858, si vede registrata questa operetta sotto il n.° 2834; ma nella vendita di Parigi, sebbene venisse raccomandata per la sua rarità e si dicesse che quell’esemplare era intonso, restò senza compratore ! A me non è mai riuscito di trovarla, sebbene 1’ abbia cercata e ricercata. Che non vi sia proprio in nessuna delle tante Biblioteche del Regno? Voglio sperare che qualche cortese bibliofilo, per amor mio, vorrà e saprà stanarla dal nido dove si nasconde ». Scesero in mio aiuto due bibliofili cortesissimi e valenti, il principe Baldassare Boncompagni e Andrea Tcssier; ma senza frutto. Chi fece la luce fu un dotto francese, il signore E. G. Ledos di Parigi. Ecco quello che rispondeva : « Un esemplare dell’ operetta del Superbi si conserva nella Biblio- ιο6 GIORNALE LIGUSTICO teca Nazionale di Parigi sotto il n.° Inventaire K. 3482 (10). È volume di cinque soli quaderni e di 19 carte, che sono numerate sui recti rispettivi. Ecco il titolo, contenuto nella prima carta : Discorso / deir origine / et antichità di Carrara / di Fra Agostino Superbi di Ferrara dell’ Ordine j Minor. Conv. Bac-ciliero nello Studio / di Padova. / All’ 111."'0 et Ecc."10 Sig. il Signor Don Carlo Cybò. / In Padova, Appresso Lorenzo Pa-squati. / Con Licenza de’ Superiori. Il Discorso incomincia nel verso della carta 6. Nel recto della carta 19 si vede il segno dell’impressore e si legge: In Padova, Appresso Loren / %o Pascjuati / Impressor del-Γ Alma Univer / sita de Leggisti. Nel verso si legge : Con Licenza de’ / Superiori / L’anno · M-D-1IC. Massa di Lunigiana, 27 aprile 1898. Giovanni Sforza. LEGGI DELLA COMPAGNIA DI S. LUCA D'ALBARO La collina d’Albaro, 0 per meglio dire, tutte quelle colline e vallette che da un ramo dell’Apennino, a levante di Genova, per Monte Ratti, Camaldoli e S. Tecla, digradano dolcemente al mare, furono sempre dai Genovesi scelte a prediletto soggiorno di villeggiatura. La vaghezza del paese, l’abbondanza delle acque che vi scorrono e al tepore del clima danno vita ad una vegetazione lussureggiante, ne formarono uno dei siti più attraenti. Gli antichi nostri, fatti ricchi dai traffichi e dalla navigazione profusero tesori in quella regione per innalzarvi ville e palazzi GIORNALE LIGUSTICO ΙΟ7 di superba architettura circondati da giardini e boschetti ove regna una perenne primavera. Colà dopo le cure della vita cittadina, la quale in Genova, dovea certo parer loro uggiosa fra le angustie degli editicii addossati e delle strade tortuose e ristrette, traevano a passare le gaie giornate primaverili e quelle più allegre d’autunno, onde più che altrove sul sommo degli artistici portali di quelle magioni potea convenirsi Γ epigrafe « parta labore quies ». Togliamo, in prova, da una relazione che accompagnava il disegno d’ una nuova strada da aprirsi in città, sui primi anni del 1600, il seguente periodo; « La città nostra dopo che con la gratia di Dio et con » 1’ opra di quel grande cittadino Principe (Andrea Doria) di » gloriosa memoria, fu rimessa nell’antica sua libertà, ha » prosperato et è arrichita tanto, che può senza dubio oggidì » numerarsi tra le più ricche città del mondo, et potrebbe » anco numerarsi tra le più belle, se la natura, la quale l’ha » favorita di tanti altri beni le havesse anco concesso am-» piezza di sito, perchè non è dubio che essendo, come sono, » li Cittadini inclinati alle fabriche, et havendo insieme con » le molte ricchezze apparecchio grande di bellissimi materiali, » haverebbono fabricato sontuosamente et ornato la città di » strade et di edifici) nobilissimi, siccome si vede che hanno » fatto nelle ville, le quali ancorché non servino loro ad altro » se non per un certo diporto et ritiramento di pochi mesi » dell’ anno, sono però edificate con mano così larga, et con » tanta abondanza di ornamenti et di delitie che è un stupore » a vederle ». Ma la vita allegra e fastosa cominciata nel secolo XV e continuata di poi fino al cadere della nostra Repubblica, non è a credere che distogliesse gli animi anche dalle serene meditazioni e dai tranquilli studi: chè anzi, molti degl’ingegni più eletti maturarono nel ritiro della campagna le loro opere ιο8 GIORNALE LIGUSTICO e scritti : ed ove altro accenno non si avesse, basterebbe il saper solo delle scelte e copiosissime biblioteche ragunate nel secolo XVI dai Pallavicino nella villa di Pegli, e nei secoli XVII e XVIII dai De Fornari nel palazzo della Castagna e dai Saivago nel loro palazzo di Carbonara, ove, specie in quest’ultimo, insieme ai libri, era pur dovizia di suppellettile scientifica ed istrumenti, onde a ragione fu detto che ivi preludesse ' O l’osservatorio astronomico fra noi (i). Or bene, ai sollazzi alternati coi banchetti, erano congiunti gli allegri conversari e le letture di poesie e novellette ed altri lavori di soggetto scherzevole, in cui si addestravano a vicenda i cavalieri e le dame, nelle logge aperte di que superbi palazzi, le quali, a vederle, sembra risuonino ancora dell’ eco di quei tempi. Fra taluni di questi lavori a noi pervenuti ci piacque scegliere il seguente, nel quale sono al vivo riflessi 1 costumi della nostra aristocrazia sul finire del secolo XVI e sugli albori del secolo XVII, allorquando cioè, era profondo il sentire dell’ autorità negli animi de’ nobili, perchè in essi appunto si accentrava il potere sovrano del paese. Questo lavoro, per così dire, accademico, e che arieggia il vivere fastoso d’una corte, ma che in buona sostanza, allude a un patto concordato tra una brigata di amici villeggianti, è assai bene studiato nelle più minute particolarità, non dimen-ticandovisi alcuna delle regole anche minori del galateo e degli uffizii fra gentiluomini d’una corte e il Sovrano : tutto vi è contemplato, dagli ossequii dovuti alla maestà del Re, al saluto fra dame e cavalieri, dalle veglie alternate e festini di prammatica, al ricordo dell’ elemosina a benefìcio de’ poveri. Ciò che poi rende interessante lo scritto è l’elenco dei (i) V. Giorn. Ligustico, anno 1876. Notizie di Paris Maria Saivago e del suo osservatorio astronomico in Carbonara. Memoria di C. Desimoni· GIORNALE UCUSTICO nomi ricordati nel titolo dell’opuscolo, i quali sono tutti di persone viventi in quel tempo e che probabilissimamente furono fedeli osservanti della legge, partecipando alle gioconde veglie e ai banchetti che si alternarono nell’autunno del 1592 nelle varie ville di S. Luca d’Albaro. Giacché, come ne fan tede i documenti conservati negli Archivi, i Franceschi e specialmente il capolista Gio: Francesco al tempo dello scritto, in cui s’intitola re d’Albaro, arciduca di Pariscion ecc., era elettore dei Consigli e facea parte del Magistrato delle Galee della Repubblica. L Ansaldo Mari, autore dello scritto, forse uno de’suoi primi lavori letterarii, fu profondo studioso delle matematiche. L Aurelio Tagliacarne è quello ch’ebbe l’incarico dal Governo della repubblica di recarsi ambasciatore all’ Imperatore per trattare gli affari del Sassello. I due Pallavicini erano congiunti di chi ci conservò il manoscritto. I Sauli Geronimo e Cristoforo furono entrambi elettori dei Consigli. II Lorenzo Vivaldi era tìglio del Gio: Pietro che fu Governatore di Corsica. Il Gio: Bernardo Lasagna fu uno dei Padri del Comune e appartenne all’ ufficio delle Galee. È pur degno di nota il fatto, che la maggior parte dei nomi di dette casate figurano ancora in una lista di riparto di spese per riaccomodo di strade nella regione di San Luca d’Albaro, posteriore quasi di un secolo alla data dello scritto di cui ragioniamo: e avremmo di buon grado indicate le varie ville e palazzi dei predetti ove ci fosse stato possibile di rinvenire una mappa sincrona di quella regione: ci basti l’accenno di ciò che a noi fu dato di raccogliere, vale a dire : che il palazzo già dei Lasagna nella località ora appellata Puggia, passò nei Veneroso e da questi nei De Ferrari, che sontuosamente lo no GIORNALE LIGUSTICO ristorarono, ed oggi ancora lo possedono; che 1 attigua villa con palazzo già dei Franceschi, passò nei Bugnole Sale, ne Melzi e Pallavicino de Grimaldi ed oggi è proprietà del Comm. Armando Raggio. Il manoscritto è compreso in una Miscellanea della raccolta Pallavicino del nostro Archivio civico distinta coi N. 782-1216, ha nella prima pagina il titolo seguente . Leggi della Compagnia di San Luca d’Albaro l'anno 1^2 a 15 Agosto i nomi della quale sono : Gio Francesco 1 e moglie Oratio ! Franceschi qu. Io. Pietro Ansaldo ) e moglie Giuliano i Mari qu. Andrea Aurelio qu. And. ) e moglie Mario q. Cesare j Pallavicini Aurelio Tagliacarne q. Francesco e moglie Geronimo ) Cristoforo 1 Sauli qu. Al» e moglie Lorenzo Vivaldi q. Gio Pietro e moglie Gio Bernardo Lasagna Dottore e moglie. Nella seconda pagina è la dedica Al Molto Illustre Sig.,e mio Sig.’' et padrone sempre oss.mo Il sig. Giulio Pallavicino. Nella pagina che segue è disegnato a penna nno scudo a-mato da corona marchionale. Entro lo scudo avvi un a ai cui lati del tronco campeggiano gli stemmi dei Francesca a destra, de’ Mari a sinistra, il primo d azzurro a a d’oro caricata di tre leoni di rosso, il secondo d oro a qu. GIORNALE LIGUSTICO I I I bande ondeggianti di nero contornato dalla divisa Florens vivat e colle iniziali I-. M. che corrispondono a quelle dei cognomi delle due famiglie predette. Dopo questa pagina, segue il dettato delle Leggi, invero elegante per lingua e venustà di forma aristocratica. Noi mettiam pegno che molti, dopo che lo avranno letto e si saranno resa ragione di quei tempi, invidieranno al fastoso sollazzo dei nostri avi, non fìnto, perchè sostenuto dalla chiarezza dei nomi e dalla forza patrimoniale dei casati: ed ove fosse mai per rinnovarsi il costume, nonché l’editto, il più dei lettori, ne siam certi, di buon grado parteciperebbero anche oggi ai piaceri della Corte del re d’Albaro. Genova, 5 Maggio 1898. Angelo Boscassi. Ecco il testo delle Leggi : Gio. Francesco re d’Albaro, Arciduca de Parison, e di Santa Helena, Duca di Vernasola, di Boccadaze e di Santa Chiara, Marchese di Pescara e della torre dell’amore, Conte di Seretto e di S. Giuliano, Barone di Sturla e del borgo de’ Rizzi, Signore di Cavo de Moro e del fossato della Nontiata Havendo con la Ser.11” Argentina nostra compagna nel Regno considerato di quanta importanza sia il conservare tra i sudditi una perpetua pace et unione de’ cuori onde poi nasca un dolce affetto d’ amore verso di chi li governa Habbiamo estimato niuna cosa esser più efficace come il proponere alcune leggi, con le quali speriamo non solamente di conservare, ma di accrescere la benevolenza negli animi di ciascuno. Et havendole prima palesate al nostro regai Consiglio da cui come leggi amorose e piene d’ ogni dolcezza sono state approvate, Habbiamo perciò voluto in questo giorno solenne pubblicarle alla presenza de tutti i nostri vassalli, acciocché niuno habbia da qui innanzi giusta cagione de potersi scusare: ordinando a tutti i nostri sudditi per quanto hanno cara la gratia nostra, che debbano inviolabilmente osservarle. I I 2 GIORNALE LIGUSTICO Che ogni quindici giorni una volta si debba far veglia, nella quale sia ciascuno obbligato venire, incominciandosi però in casa de i Re et Regina e poi seguendo in quelle de’ Consiglieri e Dame, e sia obligato il Patron della casa chiuder la porta con chiave e quelle presentare al Re et Regina. Che 1’ ultima Domenica d’ ogni mese, mangi la Corte insieme, in quella Casa, villa o giardino dove il Re et la Regina comanderanno, ma che il banchetto sia conforme alla regola data da i Consiglieri. Che il Maestro di Cappella habbia la solita provisione per la musica. Che il tesoriere debba prontamente pagare ogni spesa eh’ havrà fatto il Patron della Casa, nella quale si sarà mangiato, conforme allo scritto che li mandarà lo istesso patrone, sottoscritto dallo segretario consegnandoli ancora la solita elemosina da dispensarsi tra poveri. Che se altri Gentil’ huomini maritati, che non fossero suddetti, daranno supplica al Re et alla Regina pregando di essere ricevuti con le loro donne a godere questi diporti, possino accettarsi, purché la loro domanda resti approvata con li voti di due terze parti di coloro che saranno presenti, et in tal caso doveranno promettere obedienza al Re et alla Regina, sborsando subito quelli denari al tesoriere che per osservanza degli ordini le sarà dal segretario imposto che paghino, et in segno di essere diventati vassalli doveranno gli huomini mandare alla Regina il primo giorno di festa, fiori per ornamento della sua persona, et le Dame presantare al Re un paio de guanti. Che per le spese da farsi questo inverno nei deporti e piaceri, sia ciascuno obligato in fino a scuti trenta, pagandone però subito cinque al tesoriere, nè possa alcuno essere astretto a pagare il resto so non sarà deliberato con le quattro parti di coloro che quel giorno have-ranno mangiato insieme. Che debba il tesoriere tenere su i cambij li denari che restaranno in lui, a beneficio però del tesoro regio, e come si dice, alli conti, e senza spesa, con il credere sopra di lui in quelle piazze che dal segretario le saranno assegnate. GIORNALE L1GUSTIGO 113 Che volendo alcuno de’ sudditi entrar in giuste mascarate, torneameli e feste a sue proprie spese, debba primieramente impetrar licenza dal Re et dalla Regina, e guadagnando co ’l valor suo qualche premio, non possa di quello disponere se prima non havrà licenza dal Re et dalla Regina. Che desiderando la Regina et le Dame, che si faccia alcuna festa, mascarata o paleo, sieno i Gentilhuomini del regno obligati ad eseguire il tutto a loro proprie spese, se però la Regina vorrà esservi con le sue Dame presente. Che se alcuno de’ sudditi per far prova del suo valore vorrà comparire in pubblico torneo, debba il Re donarle uno stocco, del quale doverà il Cavaliere servirsi a gloria di tutto il regno. Che s’alcuna Dama del regno doverà andare a publico convito, debba la Regina quel giorno mandare i fiori con l’insegna de l’olmo, et il Re la lettica o seggiola. Ma sia la Dama obligata, potendo, a presentare al Re o alla Regina alcun bel frutto o altra cosa di quel convito. Che s’ alcuna Dama partorirà, debbano il Re et la Regina mandar subito a visitarla presentandole poi la Regina un marzapane et il di del Battesimo in segno di allegrezza il Re le mandi i fiori. Che s’alcuno Gentil’ huomo del Regno prenderà moglie, debba invitare alle sue nozze il Re et la Regina et finito che avrà le sue feste, sia obbligato a dare un cibo a tutti i sudditi osservando però la pra-matica del Regno. Che ogn’ uno, compreso ancora le Dame, sentendo trattare alcuna cosa in pregiuditio non solamente del Re e della Regina, ma di qualunque altro suddito, debba arditamente e con ogni sua forza difenderli, lasciando però le sciocche ed insipide contese di quelli che per malignità si movessero a favellare. Che tutti i Gentil’ huomini e Dame, incontrandosi alcun di loro il Re, o la Regina per strada, debbano farli riverenza, offerendoli ancora Giorn. Ligustico· Anno XXIII. 8 GIORNALE LIGUSTICO di farle compagnia, e di dar volta con loro, ovunque volessero andare. Possano però essere iscusati dal Re o dalla Regina seguitando il lor viaggio. Che s’alcuno de' sudditi s’incontraranno per strada, debbano le Dame tra loro fermarsi alquanto e favellando insieme, farsi carezze, e incontrando alcun Gentil’ huomo di Corte, siano obligate le Dame a rendere il saluto almeno con parole solite fra cavalieri. Che veggiando, o in sua propria casa o in altra de suoi parenti con compagnia, debba pigliarsi cura et esser sollecito d’ introdurre nella veglia que’ Gentil’huomini che saprà certamente esser sudditi del Regno, purché compaiano scoperti, altrimenti incoi ia in disaratia della Regina. Che ritrovandosi alcuni de’ sudditi huomini o donne, in feste pubbliche dove si danzi, siano obligati a pigliarsi in ballo, almeno una volta, ogn’ un di loro. Che non sia lecito a Gentil’ huomini del Regno giocar insieme se non a giochi di trastullo e per passare il tempo, ne possano giocare più di cento lire per volta tra il giorno e la sera, altrimenti sia condannato il vincitore in due decimi di quella somma che più delle cento lire havrà guadagnato, et il perdente, in una decima come sopra, e quelli si debano riscotere in ogni modo e spendere in servizio delle Dame. Visto firmato Ansaldo. GIORNALE LIGUSTICO APPUNTI STORICI INTORNO AL MONTE DI PIETÀ DI GENOVA 1483-1569 (Coutinuaxione vedi pag. ηο) III. 11 beato Angelo incaricato di compilare le Istruzioni pel funzionamento del Monte. — Il Monte di Pietà di Savona. — Il Monte di Pietà di Genova inizia le sue operazioni. — Elargizione di L. 4000. Erano trascorsi alcuni mesi dalla approvazione dello statuto del Monte di Pietà da erigersi in Genova ed il nuovo Istituto non avea ancora potuto iniziare le sue operazioni. Oltre al capitale necessario al funzionamento, mancavano pure certe istruzioni particolari atte a completare le norme già approvate. I protettori affatto ignari della materia, avevano d’accordo col doge e col Consiglio degli Anziani, incaricato il padre Angelo di compilare le suddette istruzioni e di fornire inoltre tutti gli altri schiarimenti che potevano occorrere per porre in atto quanto era stato stabilito. Ma il Clavasio in quel tempo avea dovuto assentarsi e recarsi in altri paesi per pratiche dipendenti dalla sua carica e dal suo ministero Tra le altre incombenze affidategli era stato nominato delegato apostolico coll’ incarico di ispezionare il Monte di Pietà di Savona. Questo Monte, instituito dal papa Sisto IV nel 1479 per soccorrere i poveri maltrattati dagli ebrei che con ingordi; avarizia lor succhiavano il sangue delle loro piccole sostante, GIORNALE LIGUSTICO godeva di grandi privilegi accordati dallo stesso papa allo scopo di agevolare la formazione di un capitale i di cui redditi fossero sufficienti a sovvenire i bisogni del Monte. A tale effetto il Papa avea data facoltà di creai' notari, di legittimar bastardi, dispensar matrimoni, eleggere dottori, assolvere casi riservati alla sede apostolica, purché si pagassero denari a favore del Monte (i ). Il frate Angelo, dopo la visita a questo Pio Istituto, ed anche in conformità di quanto avea stabilito un consiglio composto di teologi, dichiarò che in quel Monte non si commettevano usure per cagione dei proventi che dagli impegnanti si tolgono a mantenimento delle spese che a stipendiati si dividono {2). Ultimata la sua ispezione il padre Angelo, forse occupato per la missione di prefetto apostolico della crociata contro i turchi, o per altra causa derivante dalle sue molteplici attribuzioni, non fece subito ritorno a Genova ove, come si è detto, era atteso per gli affari del locale Monte di Pietà. Il doge Battista Fregoso impaziente di portare una buona volta a compimento l’opera cominciata, scriveva una lettera al Frate nella quale, dopo avergli accennato al bisogno fortemente sentito di dare principio all’opera deliberata, gli soggiungeva che i tristi effetti prodotti dalla scarsità del raccolto, aumentavano le gravi calamità che affliggevano i poveri, rendendo così necessario di provvedere sollecitamente per dare un qualche sollievo ai sofferenti. Lo pregava infine a fare ritorno in Genova, o quanto meno, a suggerire in iscritto con quale criterio e modo potesse tradursi in atto la progettata isti- (1) Verzellino, Memorie di Savona, pag. 260 e seg. da un m. s. che si conserva nella civica biblioteca. Queste memorie rimasero inedite fino al 1891, anno in cui vennero pubblicate in Savona. — Questo autore mi venne gentilmente indicato dall’egregio Presidente del Monte di Pietà di Savona. (2) Verzellino, opera citata. giornale ligustico 117 tuzione (i). Non risulta se il padre Angelo sia venuto a Genova, od abbia inviato ciò che gli era stato chiesto, il fatto si è che, in aggiunta allo statuto fondamentale ed a maggiore spiegazione dello stesso., egli ordinava requisitus ab antedictis Duce et Antianis alcune regole delle quali brevemente riassumo le più importanti. i.° Che i protettori dell’ Ospedale dovessero eleggere quattro di essi per affidar loro la direzione e la sorveglianza del Monte (2), coll’ obbligo di riferire in fin d’ anno agli altri otto protettori sui lucri o sui danni toccati al Monte stesso. 2.0 Che i protettori fossero obbligati a nominare per un anno un governatore, uno scrivano e le altre persone di servizio alla condizione però che, spirato detto termine, potessero venire confermati nel loro ufficio a giudizio dei protettori. 3.0 Che i quattro protettori fossero tenuti a vigilare diligentemente acciocché gli impiegati eseguissero puntualmente il loro dovere e sopratutto fossero tenuti a sorvegliare che in domo Montis non fiant inhonestates et impudicitiae. 4.0 Che risultando alla fine dell’ anno un utile considerevole eccedente i gravami del Monte, i protettori fossero tenuti a fare un pubblico bando per restituire a coloro che lo desideravano parte di ciò che avevano pagato oltre il capitale, avvertendo che coloro i quali non si fossero presentati a ritirare la propria parte, s’intendeva volessero donarla ad incremento del Monte stesso. 5.0 Che con i proventi e con le elemosine pervenute (1) Lettera scrittali 17 ottobre 1483 dal doge Battista Fregoso (vedere documento N. II, lettera 2.*ì. (2) In quel tempo l’ospedale era retto da dodici protettori, dei quali soli quattro avevano la diretta amministrazione, alternandosi in tale ufficio di anno in anno , lasciando però solo all’ intero magistrato la facoltà di decidere in merito alle pratiche di maggiore importanza. us GIORNALE LIGUSTICO al Monte, tosto che fossero pagati i debiti, si comprassero tanti luoghi di S. Giorgio inscrivendoli sull Ospedale alla condizione però che, presentandosi il caso che il Monte ne avesse bisogno, si dovessero vendere i detti luoghi, affinchè il Monte potesse perseverare ad imprestare al più lieve interesse possibile. 6.° Che ogni anno, a seconda dei capitali disponibili, venisse determinato il limite massimo delle somme da imprestarsi per poter così in ogni tempo soccorrere 1 poveri obbligati a ricorrere al prestito per le necessità della vita. 7·° Che se alcuno, mosso da diabolico spirto, riuscisse a convincere il Comune ο Γ Autorità ad imporre una tassa sul Monte. i protettori fossero obbligati a far cessare dall imprestare , acciocché la maledizione di Dio non venisse a cadere sopra il Monte ed i suoi ministri e che in tal caso il patrimonio venisse erogato a favore dell’Ospedale di Pammatone. Venivano inoltre stabilite istruzioni sul tasso dell intei esse (fissato per i primi tempi nella misura del io p. %) (0> su^a vendita dei pegni, sulle spese di esercizio e sopra altre minori questioni inerenti alle operazioni di pegno. In tal modo le regole pel Monte erano finalmente complete e certo il nuovo istituto avrebbe cominciato a funzionare se nuovi torbidi non avessero contristalo la Repubblica. Il cardinale Paolo Fregoso, tornato da poco in patria, d accordo con Lodovico Sforza detto il Moro, che, un eguale insidia tendeva al nipote Gian Galeazzo, ordiva una congiura per deporre dal potere il nipote Battista Fregoso. A tale effetto, (i^ L’interesse del io p. % era tutt’ altro che esagerato in confronto di quello in allora comunemente percepito. Nel 1495 Carlo Vili ebbe in Genova un imprestito di 100/mila lire al tasso del 42 p. % — Ceretti. Storia dei Monti di Pietà, Padova, 1752, pag. 120. GIORNALE LIGUSTICO II9 il 25 novembre 1483, il cardinale invitava a pranzo il nipote e, riuscito ad avere a viva forza le chiavi delle fortezze, con arti sleali lo faceva scacciare dal potere. Convocato poscia il maggiore Consiglio, il cardinale Fregoso con trecento voti si faceva eleggere doge, invece dell’ infelice Battista. Questo terzo dogato del cardinale, che fini nel 1488 per cessione del potere fatto dallo stesso allo Sforza, non fu certo per la Repubblica dei più felici ; per quanto si riferisce invece al nostro Monte, ebbe la sorte di vederne finalmente iniziate le operazioni. Approvato dal doge cardinale con la già riferita deliberazione del 23 dicembre 1483 il prestito consentito al Monte dai tre indicati Magistrati, i protettori di S. Maria di Pammatone procedevano il 27 gennaio 1484 alla nomina degli impiegati addetti al Monte di Pietà. Gli eletti erano i seguenti: Andrea de Franchi da Bulgaro di Lodisio, governatore e Bartolomeo Canella, scrivano, con lo stipendio quest’ultimo di L. 200. Il governatore era obbligato ad una cauzione di L. 16000 di cui lire 5000 in tanti luoghi di S. Giorgio e le rimanenti lire 11000 in garanzia prestata da terze persone; era inoltre tenuto a stabilire la sua dimora nella casa del Monte (1). Il giorno 23 del successivo mese di febbraio i protettori ricevevano la cauzione dal predetto governatore ed il Monte cominciava a funzionare (2). Sarebbe stato oltremodo interessante aver rintracciato scritture dalle quali si potesse desumere qualche nozione sulla entità e sul numero delle (1) Da una deliberazione del 1492 riportata dal citato codice del Pallavicino, risulta che il governatore godeva di uno stipendio di L. 500, ivi compresi i salari di due giovani coadiutori a ciascuno dei quali venivano assegnate lire 75 all’anno. (2) Deliberazione riportata nel codice del Pallavicino. 120 GIORNALE LIGUSTICO operazioni fatte in quei primi tempi dal Monte, ma le ricerche fatte a tale scopo furono infruttuose. Si può però con certezza stabilire che coi capitali di cui era fornito il Monte, i prestiti dovevano essere molto limitati, tanto nel numero quanto nello ammontare. Senonchè, a dare un notevole incremento al nuovo Istituto, veniva in buon punto una elargizione di lire quattro mila, la quale aumentava il capitale , lasciando inoltre sperare che il nobile esempio venisse da altri seguito. Di questa elargizione, per il modo che pervenne al Monte eu essendo stata la prima, credo utile di brevemente parlare. Bendinelli Sauli del fu Pasqualotto in un suo codicillo fatto a Genova nella sua villa di Carignano, sua solita abitazione (i) esteso dal notaro Bartolomeo da Goano l’anno 14S1 (2) della nascita del Signore, 14." indizione secondo il corso di Genova , giorno di mercurio /7 ottobre, poco prima della ter~a, tra le altre cose stabiliva che se ne’ suoi libri e cartolari si fosse riscontrato ch’egli avesse fatto qualche lucro, o gli fosse pervenuta qualche somma di denaro che, per debito di coscienza, dovesse essere restituita, dava facoltà a suo figlio Pasquale di restituire dette somme a colui od a coloro ai quali fossero spettate. Morto il Bendinelli, suo figlio Pasquale inviava una supplica al papa Sisto IV, nella quale esponeva come il suo (1) Notizie ricavate da un documento che si conserva nell’archivio del Magistrato di Misericordia; fiilza 218, cl 1.·, sez. 1.* 1484 (Dispositiones qq. Bendinelli et Antonji Sauli et diversa Consilia). Di questa elargizione vi è memoria in alcuni documenti esistenti nell’jrchivio di questo Monte di Pietà dai quali risulta che il beato Angelo da Chivasso versò la somma di L. 4000 - ut constat de instrumento in scripturis ordinarti. . È appunto in seguito a tale nota che mi sono rivolto al Magistrato di Misericordia nel di cui archivio si conservano molte carte dell’ arcivescovo della città. (2) In detto anno il Bendinelli Sauli dispose pure per 1’ erezione della chiesa di S. Maria in Carignano, principiata poi nel 1552. GIORNALE LIGUSTICO 121 defunto padre avesse in vita fatti alcuni contratti di compra e vendita dei luoghi di S. Giorgio a prezzi diversi da quelli che realmente valevano. Desideroso quindi di rimediare a tali illeciti contratti, supplicava il pontefice a volergli indicare, per la pace dell anima sua, de’ suoi eredi e di detto suo padre, la via più sicura per restituire i guadagni fatti illecitamente. Il papa in risposta a tale supplica inviava da Roma al frate Angelo da Clavasio un suo breve in data 19 giugno 1483 nel quale, vista la domanda del Pasquale, animato dal desiderio di provvedere alla salute delle anime, lo incaricava di esaminare unitamente allo stesso Pasquale i prefati contratti dandogli facoltà di giudicare , conchiudere e disporre quanto e come fosse tenuto a restituire, di fissare !a somma che meglio gli sembrasse di restituire per la pace dell’ anima del defunto Bendinelli e del tìglio ed in fine di assolvere e liberare da ogni colpa detto richiedente. Inoltre il pontefice, bramando di venire in sollievo dei poveri della città di Savona, affinchè le loro sostanze non andassero inghiottite dalla voragine del!’ usura esercitala in quella città dagli ebrei, invitava lo stesso frate Angelo ad usare di ogni autorità e facoltà già concessegli negli anni precedenti per la santa crociata indetta allo scopo di raccogliere almeno woo ducati da assegnarsi al Monte di Pietà di Savona e ciò nonostante qualsiasi provvedimento che potesse esistere in contrario. Il 24 febbraio 1484 il padre Angelo scriveva dall’Ospedale di Pammatone una lettera al Pasquale Sauli notificandogli che, esaminati i contratti concliiusi dal fu Bendinelli, colla pienezza di autorità concessagli dalla sede apostolica, assolveva Γ anima di suo padre e di tutti i suoi figli e fratelli, liberandoli dal-Γ obbligo di qualsiasi restituzione di somme provenienti da contratti fatti per cambi 0 compre delle predette paghe, 0 in compra o vendita di mercanzie a prezzo più alto o più vile, 122 GIORNALE LIGUSTICO secondo le circostanze, sotto condizione che pagasse quindici mila lire in moneta genovese. Questa somma doveva esser ripartita nel modo seguente; Lire quattromila al Monte di Pietà recentemente instituito nella città di Genova, Ducati cento al Monte di Pietà di Savona, Il rimanente che venisse impiegato in tanti luoghi di S. Giorgio col vincolo di comprare coi fratti altrettanti luoghi fino a raggiungere il numero di trecento, da inscriversi nella colonna del fu Bendineli. Per quest’ ultima partita però lasciava libera facoltà al Pasquale di elargire per qualche anno tali frutti al Monte di Pietà di Genova onde liberarlo da’ suoi debiti, oppure di assegnare i fruiti medesimi a coloro che avessero ricevuto danno dagli accennati contratti. Lo invitava inoltre a condonare a certi monasteri un debito di lire cento cinquanta, computando però tale somma nelle suddette lire quindicimila; e gli dava altri suggerimenti circa il modo di amministrare e distribuire i proventi dei luoghi acquistati, cose queste che lascio dal riferire non riguardando esse menomamente il nostro Monte. IV. Il beato Bernardino da Feltre ed il Monte di Pietà di Genova. Controversie storiche. — Venuta a Genova del beato Bernardino. Aggiunt*. e modificazioni ai regolamenti del Monte di Pietà. La elargizione del Sauli, malgrado non fosse molto, rilevante, era però senza dubbio di una importanza eccezionale pel Monte di Pietà inquantochè costituiva l’inizio del capitale che doveva servire a formarne il patrimonio. Il fatto poi di esser stato il beato Angelo a suggerire al Pasquale Sauli l’offerta di tale GIORNALE LIGUSTICO I23 somma dimostra chiaramente quanto questo frate doveva essere affezionato a questa Pia Opera, se anche dopo averne perorata 1’ istituzione non trascurava occasioni per venirvi in aiuto. In tal modo vengono a rimanere sempre più prive di fondamento le asserzioni di alcuni scrittori di cose genovesi, i quali attribuirono ad un altro frate, il beato Bernardino da Feltre, il merito di avere fondato il nostro Monte. Senza qui riportare quanto venne scritto intorno alle origini di questo Istituto e rilevare le varie inesattezze in cui sono incorsi i diversi scrittori, basti accennare le opinioni dei più importanti, come quelle che servirono di guida agli altri (1). Lo Schiaffino (2) parlando della venuta in Genova del beato Bernardino dice; « .... ad esortazione di esso vi si institui » parimenti un’opera di pietà singolare che fu un imprestito » su pegni senza interesse a favore e comodo dei bisognosi » che si continua tuttavia ed è di gran sovvenimento ai po-» veri ; e queste opere instituite da detto beato si vedono » dipinte sopra una tavola ove esorta predicando al popolo di » Genova nella chiesa di S. Maria Annunciata del Guastato » tenuta dai frati del suo ordine.....pare però che questa » seconda opera (il Monte di Pietà) avesse principio nel 148 3 » nel quale tempo furono deputati alcuni cittadini dal senato (1) Il Banchero nella sua opera « Genova e le due riviere » parlando del Monte di Pietà cadde anch’egli in qualche inesattezza malgrado avesse potuto, come egli stesso dichiara, consultare nell’archivio del Monte un libro intitolato, Leges, Regulae, atque decreta, etc...., compilato nel 1707. Questo libro da molti anni andò disperso, forse fa parte di quei documenti che, come· accenna il Boccardo, vennero ritirati dalla commissione incaricata della liquidazione dell’ antico Monte. Nell’archivio di Stato trovasi però una copia di questo libro ed io mi riserbo di riassumerne a suo tempo il contenuto. (2) A. Schiaffino. — Annali ecclesiastici della Liguria, Vol. 3.0, pag. 774 __m. s. conservato nella biblioteca Civica. 124 » a trattare col frate Angelo da Clavasio religioso dell’ordine » de’ minori e predicatore famoso per trovar denari per im-» porre un’opera tale; e questa pratica pure ebbe effetto e » forse che fra il tempo che decorse da quell’ anno all’ anno » corrente (1492) si obliò e fu instituita di nuovo....» Segue l’Accinelli, il quale nella sua Liguria sacra, Voi. i.°, pag. 498 (1) scrive: « nell’anno 1483 fu instituita l’opera del » Monte di Pietà eretto poi magistrato formale nel 1569 per » invito et esortazione fattane al pubblico dal padre Bernardino » da Feltre minore osservante ... ». Ed infine l’Alizeri nella sua Guida Artistica per la città di Genova, Vol II, pag. 634 (2) dopo aver accennato che il Monte venne instituito dal frate Angelo di Clavasio genovese (?) dice; « quel che par certo si è, non doversi a lui gli esordi del nostro Monte, sibbene a quel beato Bernardino da Feltre, che primo il persuase a’ padovani, e poscia viaggiando 1’ Italia, ed esplorandone i bisogni, non si stette pago ad inculcare quel beneficio fraterno, ma vigilò egli stesso e diresse col suo senno le nascenti istituzioni. Egli apparteneva (come anche il Clavasio) all’ordine dei minori osservanti, e predicò nel 1483 nella chiesa di Castelletto, esortando il pubblico a stirpar dal proprio seno quella peste degli usurai, peggiore della stessa miseria. In quest’anno medesimo si gettarono le basi del Monte di Pietà in Genova, al cui governo si preposero un numero di cittadini, capo 1’arcivescovo a tempo » (3). « .... Seguo in questo la sentenza dell’Ac-cinelli, e de’ più accreditati scrittori delle cose genovesi. Forte indizio di verità è una pittura in tavola ch’io lunga- (1) Manoscritto che si conserva nella biblioteca Civica. (2) Stampata a Genova nel 1847 — Gio. Grondona Q. Giuseppe editore. 13) L’arcivescovo della città, ebbe ingerenz.i nell’amministrasione del Monte, solo dopo il 1569. GIORNALE LIGUSTICO I25 » mente ho esaminata, e che certamente appartiene all’epoca » sudetta. Vi è rappresentato il frate che predica entro la » chiesa di S. Francesco,....». Tali inesattezze storiche in cui caddero gli accennati scrittoli dipesero forse dal fatto che il Bernardino, indefesso propugnatole dei Monti di Pietà (1) e fervente predicatore contro le malvagità commesse dagli ebrei, fu due volte nella nostra citta in epoche prossime alla istituzione del Monte. Sembra infatti eh egli vi predicasse la prima volta nel 1490, per ordine del papa Innocenzo VIII, e la seconda volta nel 1492. Tralasciando di parlare della sua prima venuta, di cui non si ha memoria certa , accennerò invece alla seconda come la più sicura perchè ricordata da parecchi autentici documenti. Nel 1492* come narrano le storie, la Spagna espulse da’ suoi tei ritori gli ebrei, parte dei quali si diressero a Genova, unico angolo dove fossero ricoverati (2). La Repubblica Genovese che, come è noto, avea per lo passato vietato agli ebrei di soggiornarvi a lungo, in tale occasione invece lasciò che liberamente sbarcassero in città (3) obbedendo torse ad un senso di pietà verso infelici pur essi creature di Dio ancor che fossero differenti dalia religione Cristiana (4). Questo permesso non ebbe però lunga durata ; si trova infatti pubblicata nel 1505 una grida, colla quale venivano rimesse in vigore le antiche disposizioni che proibivano agli (1) Il Beato Bernardino fondò ί Monti di Pietà di Mantova — Ravenna — Lucca — Faenza — Padova — Pavia — Piacenza — Parma — Assisi ecc. Vita del beato Bernardino Tomitano da Feltre narrata dal rev. Antonio Vecellio — Feltre 1894. (2) Cantò. — Storia Univers nie. Vol. VI. (3) Degli ebrei in Genova. — Memoria del 111.” Staglieno pubblicata nel giornale Ligustico, fascicolo, V-Vl e XI-XII del 1876. (4) Annali della Repubblica di Genova di Monsignor Giustiniani. Vol. I!, pag. 566. 126 GIORNALE LIGUSTICO ebrei di soggiornare più di tre giorni nei territori della Repubblica (i ). Il beato Bernardino avendo adunque avuta notizia che gli ebrei erano stati ricevuti nella nostra città ed essendo anche stato sollecitato dal beato Angelo a venire a Genova, per saziare i cittadini co’ suoi sermoni (2), venne e colle sue prediche scongiurò il popolo ad allontanare dai Liguri territori gli ebrei , apportatori di rovina e di peste. Che il Bernardino abbia nello stesso tempo fatto qualche cosa di veramente notevole pel Monte, non risulta affatto da alcun documento; si noti che il beato Angelo, oltre alla citata lettera, gliene scriveva un’altra da Casale il 2 novembre 1492 ove gli si congratulava della buona salute (come aveva appreso da lettere dello stesso Bernardino) e gli si rallegrava per aver predicato ai Genovesi ed aver di poi felicemente varcati i Giovi (3). È quindi fuor di dubbio che se il Bernardino nella sua permanenza in Genova avesse riformato o migliorato il Monte, il beato Angelo, che tante cure aveva dedicate a questa Pia Opera, gli avrebbe certamente scritto qualche cosa in proposito. Inoltre il prete Cattaneo Marabotto (4) confessore di S. Caterina da Genova, e quindi contemporaneo del Bernardino, scrivendo di costui, dice bensì che venne a Genova nel 1492 (1) V. la grida riportata al documento N. III. (2) Raccolta di lettere scritte da uomini celebri al Bernardino Tomitano, stampata a cura di Don Antonio Vecellio. Feltre 1894. Lettera LVIII. Scritta dal beato Angelo Γ11 luglio 1492. (3) Don Vecellio — Raccolta citata — Lettera LXXV. (4) Vita di S. Caterina scritta dal prete Cattaneo Marabotto, confessore di Lei, trascritta ed aumentata da Angelo Lodisio, Sacerdote patrizio Genovese, approvata dal papa Urbano VIII il 5 giugno 1631 — ni. s. che si conserva nell’ archivio degli Ospedali Civili. GIORNALE LIGUSTICO 12? e che predicò contro gli ebrei predicendo peste (1) e guerra avendo veduto come i suoi consigli non venissero ascoltati , ma non accenna menomamente ad una qualsiasi azione fatta dal Bernardino a prò’ del Monte. Eppure lo stesso Marabotto parlando del frate Angelo scrisse che prestò la sua opera in prò’ del Monte di Pietà , vulgo Casana (2) , instituito in Genova nel 1483. Era quindi nota al prete Marabotto la esistenza del Pio Monte ed è chiaro che , se anche il beato Bernardino avesse contribuito alla erezione di questo Istituto, lo stesso Marabotto avrebbe registrato il fatto, come appunto fece pel beato Angelo. - Infine, che il Monte non fosse, come dice lo Schiaffino, caduto in oblio intorno al 1492, lo dimostra una deliberazione presa dal magistrato di esso Monte nel mese di Gennaio di tale anno, colla quale veniva nominato un nuovo governatore (1) Nel 1493 al tempo della pr.mavera la città di Genova tu oppressa da una crudele pestilenza la quale durò insino alla fine di agosto; e di coloro quali restarono in la città ne morirono delle cinque parti le quattro.... Giustiniani , Opera citata. (2) Casana — Banco di prestito e di cambi presso i Fiorentini, i Lucchesi, gli Astigiani, i Torinesi ed i Genovesi, i quali ultimi usano questa parola tuttora (Rezasco dizionario del linguaggio italiano, storico ed amministrativo). Il Casaccia, nel suo dizionario Genovese Italiano alla parola Casann-a oltre a spiegare che la stessa significa avventore 0 colui che è solito a comperare ad una data bottega, scrive : chiamasi con questo nome il Monte di Pietà, deriva forse dalla voce turca Chasana, luogo ove il sultano tiene il suo tesoro. In Genova il Monte di Pietà viene dal volgo chiamato tuttavia Casann-a. Il vicolo omonimo, che in antico chiamavasi carreggio dei Promontorio, prese appunto il nome di Vico Casana per avervi il Monte nel 1675 trasportato la sua sede ed acquistata all’ uopo una casa nella quale rimase fino al principio del presente secolo. La casa in parola è quella attualmente segnata col civico numero 9 e fu venduta dall’Amministrazione del Monte di Pietà nel 1838, anno in cui venne completata la liquidazione dell’antico Monte. 128 GIORNALE LIGUSTICO in surrogazione di un certo Luca de Flisco del fu Daniele. Quindi se i protettori nominavano il governatore è fuor di dubbio che il Monte dovea esistere e regolarmente funzionare quando, appunto nell' autunno di detto anno, venne a Genova il Bernardino. Non è però da escludere che questo frate , vero apostolo dei Monti di Pietà, conoscendo i bisogni del nostro , che essendo all’ inizio ne doveva avere parecchi, siasi in tale circostanza interessato delle sorti di questo Istituto. Il Bernardino adunque, per aumentare il patrimonio del Monte avrà, come era suo costume, invitato i cittadini a qualche funzione religiosa, per raccomandar loro 1’ elemosina ad incremento della Pia Istituzione. Allo scopo poi di tener viva 1’ agitazione a favore del Monte ed a ricordo della sua venuta, si sarà fatto iniziatore di quel tale quadro di cui parla lo Schiaffino e l’Alizeri e che in oggi si conserva nella pinacoteca del Palazzo Bianco sala VI (i). Da questo dipinto è molto difficile poter arguire e con sicurezza affermare che l’autore abbia voluto rappresentare il frate che predica nell’ interno della distrutta chiesa di S. Francesco (2) è certo però da escludere quanto dice lo Schiaffino (1) Il quadro in parola, donato al Municipio dalla famiglia Gambaro, è un dipinto ad olio su tavola, raffigurante l’interno di una chiesa stile gotico, con in mezzo un pulpito sopra il quale vi è un frate in atto di predicare; a destra ed a sinistra del pulpito vi sono gli uomini, al centro le donne, tutti vestiti in costume dell’ epoca. Vicino al frate si leggono in separati cartelli le seguenti iscrizioni: Nolite diligere mundum = Liusdbe curabis = Mons Pietatis — Beatus frater Bernardinus de Feltro (nelle parole Liusabe curabis si voleva certamente ripetere il motto di S. Luca ; Curam illius baie). Il Monte di Pietà di Reggio nell’ Emilia conserva uno stendardo rappresentante un frate e portante inscrizioni simili a quelle del quadro in parola. V. Il Santo Monte della Pietà di Reggio nell’ Emilia del Prof. Andrea Balletti. (2) La chiesa di S. Francesco era vastissima, in tre navate, di stile gotico, venne eretta nel secolo XIII per i frati minori, sorgeva alla falde della » GIORNALE LIGUSTICO I29 e cioè che il suddetto quadro rappresenti l’interno della chiesa di S. Maria del Guastato (1). Del resto tali questioni del tutto accademiche non hanno influenza sul complesso della narrazione, tanto più che i documenti già riportati stabiliscono in modo positivo come e per opera di chi venne fondato il nostro Monte. Riprendendo ora la interrotta narrazione si trovano, dopo la citata deliberazione del gennaio del 1492, altre deliberazioni concernenti la nomina dei governatori, i quali dovevano ri-maneie in carica solo due anni. Senza dubbio questa disposizione recava non lievi inconvenienti, tanto più che il governatore, pel cumulo di mansioni affidategli, avea in mano tutto il patrimonio del Monte. La pratica mise appunto in luce alcuni dei difetti di tale ordinamento ed i protettori volendo rimediarvi, radunatisi in numero di undici, il 20 novembre 1497, dettarono alcune norme per meglio disciplinare le cariche di governatore, di scrivano e di notaio. Da questa deliberazione risulta come il capitale imprestato fosse addebitato al governatore, il quale era tenuto a riscuotere dai pignoranti il relativo interesse,, calcolato in ragione del 10% all’anno, ed a rimborsarlo al Monte. collina di Castelletto e precisamente dietro all’attuale palazzo Bianco; venne demolita nel 1798. Vicino alla sacrestia eravi il monumento sepolcrale inalzato al primo doge Simone Boccanegra, monumento che attualmente si conserva nella scala che mette alla pinacoteca del palazzo Bianco. (1) Secondo l’Alizieri nella chiesa dell’Annunziata vi erano in quel tempo gli umiliati e la chiesa veniva chiamata di S. Marta. Nel 1509 vi subentrarono i PP. conventuali che sostituirono il titolo di S. Francesco a quello di S. Marta. Solo nel 1537 vi presero stanza i frati osservanti i quali diedero alla chiesa il nome della SS. Annnunziata, Γ appellativo del guastato si riferisce all’ epoca della costruzione della chiesa ordinata dai conventuali, per le molte case rovinate allo scopo di tracciare le fondamenta del gran tempio. Giorn. Ligustico. Anno XXIII. 9 GIORNALE LIGUSTICO Essendo però frequente il caso di disimpegno e restituzione del capitale imprestato prima che fosse scaduto Γ anno, accadeva che gli stessi denari nello stesso anno venissero imprestati più volte e sempre con l’interesse del io°/„, risultando cosi un lucro maggiore a tutto beneficio del governatore. Ad ovviare quindi a tale inconveniente i protettori stabilivano che in avvenire il governatore dovesse rendere conto di tutti i proventi e pagarli ai protettori in ragione del ι o °/0 alV anno sopra tutte le somme di cui risultasse debitore e che alia fine di ogni mese tosse tenuto a comparire innanzi ai sullodati Signori protettori ed agli stessi portare di sua mano la prova nella quale con suo giuramento risulti Γ ammontare de! suo debito, dichiarando inoltre sempre sotto il vincolo del giuramento di non aver adoperato denari che ad esclusivo beneficio del Monte (i). Ordinavano infine che venisse dal notaio Antonio Tagliaferro compilato un libro legato e nitido dello stato del Monte, obbligando lo stesso notaio a rivedere i conti fatti dal governatore e dallo scrivano, di constatare le somme impiegate e quelle ancora disponibili e di riferire sopra ogni cosa ai protettori sotto pena della perdita dello stipendio in caso di trasgressione agli ordini emanati. Tutte queste disposizioni, se non dimostrano in chi le ha dettate una perfetta conoscenza della tecnica amministrativa, pure sembra che conseguissero lo scopo per cui furono sancite, tanto più che alla deficienza delle norme amministrative vi supplivano in parte le onorate abitudini dei nostri avi. Erano infatti antiche in Genova le tradizioni di buona amministrazione, fornite specialmente dal Banco di S. Giorgio, il quale, malgrado le gravi sciagure che afflissero la Repubblica, potè, mercè F onestà de’ suoi ministri e Γ occulatezza de’ protettori, vivere rigoglioso per più secoli, (i) Deliberazione ricavata dal più volte citato codice del Pallavicino. giornale ligustico 131 soccombendo solo quando la Repubblica Genovese cessava di esistere. Il Monte di Pietà non avendo quindi a sopportare danni nel suo patrimonio, continuava a lentamente progredire tantoché, per le migliorate condizioni finanziarie , i protettori nella adunanza del 13 gennaio 1517 stabilivano di ridurre l’interesse da percepirsi sui prestiti dal 10 al 7 ‘/2 per °/0. (Continua). jvl. Bruzzone. . DOCUMENTO N. II. Lettere scritte dai dogi Paolo Fregoso e Battista Fregoso al beato Angelo da Clavasio. Genova. — Archivio di Stato. Litterarum, Vol. 23 (1461-1484) — N.° G.lc 1799, lettera N.° 256. Reverend.m° in Christo Patri D."° Generali Minorum dignissimo Reverend."10 in Christo Pater. Vertitur jamdiu in hac urbe controversia quedam non levis quantitatis inter quosdam cives nostros oc-caxione aluminum que cum propter summam pecunie tum propter pretium favores in maximam contentionem et urbis jacturam deduci tandem poss«t nisi honeste sopiretur ad illius decisionem constitutus est magistratus juris peritorum laicorum et ecclexiasticorum et speramus causam hoc medio posse sopiri : Scilicet qua in hoc numero huius Magistratus est Venerabilis Frater Iohannes de Vercellis ordinis Minorum etiam summi Pontifici auctoritate ac mandato ad id interveniente et facile contingere posset quod v. p. hactenus que superius dicta sunt ignara : illum hinc revocaret pro ut intelleximus se que debere ex capitulo celebrando in Savigliana et decisio cause propterea impediretur in grave dispendium et jacturam potius et tocius urbis nostre scandalum non leve : Ideo p. v. rogandum duximus ut pro bono partium et quiete nostre urbis dignetur hunc fratrem Iohannem 132 GIORNALE LIGUSTICO ab hac urbe non revocare immo eum hic dimittere sibique percipere ac mandare ne hinc discedat donec cause huiusmodi finis debitis imponatur usque ad terminationem dicte cause, et id nos accipiemus loco muneris singularis. Aliter autem requretur scandalum jurgia et maxima nobis displacentia ac partibus jactura intollerabilis super quibus iterum atque iterum vestram paternitatem ex corde oneramus prompti semper in omne decus predicte v. p. Date die xxvn. Aprilis (1463). Paulus Archiepiscopus et Dux et Consilium Antianorum. Similes littere fiant Rev.do in Christo patri D.no fratri Angelo de Clavasio Ordinis Minorum Vicario Provincie Ianue. Litterarum, Vol. 29 (1481-1483), lettera N.° 39S· Venerabilis in Christo pater. Renovatur apud nos illa necessitas aliquem modum statuere in hac urbe nostra ut pauperes formam in veniant qua sub aliquo minus gravi quod fieri possit fenore subvenire oneribus suis possint et hoc presertim tempore quo frumenti penuria ipsorum auget calamitatem et ob id memores vestrorum ad hanc rem consiliorum quod sine presentia vestra non forsitan facile perduci ad effectum posset duximus hortari et rogare P. V. ut suum ad nos reditum accelerare velit ut si quid boni in hac re inveniri potest medio vestro et consilio perficiatur. Quod gratissimum nobis erit at si reditus vester tardior esse quod rei nostre necessitas vellet videretur si gnificare nobis ad quod tempus adesse hic potestis vel saltem quo consilio et modis ea res videatur p. v. agenda : parati in omni re p. v. gratia. — Datum Ianue in nostro Ducali Palatio die XVII octobris MCCCCLXXXIK. Bapta etc. (De Campofregoso) et consilio etc. Venerabili in Christo Patri D."° fratri Angelo de Clavaxio ordinis minoris observantie. GIORNALE LIGUSTICO I33 DOCUMENTO N. III. Genova. — Archivio di Stato. Filza diversorum 1505. 1505 — 14 marzo. Preconium contra judeorum. MDV.'° die XIIII martji. Precotta preconato etc. Per parte de lo illustre et excelso Signor Messer Filippo de Cle-vesetz Regio admiragio et de li genoesi governao, de lo magnifico consegio de li signori Antiani et de li spetabili signori Messer Janutio de Flisco e compagni octo citen député etc. Se comanda che de chi invante alcuno judeo non possa sta in la città di Genua et destreto più de jorni trei sotto pena che ogni judeo chi contrafacesse posse lui et sue robe essere preiso liberamenti da ogniuno et essere miso in servitu et come ihano poder essere retenuto o vero venduto come piasesse a quello che lo havesse preiso. Ma se alcuno judeo mego havesse facultà dal summo pontifece de poter medicare possia esso tale habitar et medicar in la preseste cita e destrecto avuto tamen inanti licentia do lo officio deputao sopra li judei de poder star et habitar in la dieta cita e destreto et etiam neguni essi tali judei che javessim auctorita et licencia dal dicto officio de poter star et habitar in la presente cità et destreto et in essi medicare corno e dicto de supra: porta supra la veste de fora supra lo peto uno segno rotondo de color giano in largessa de uno palmo., tal-menti che esso tale signale si veda paresemente e se cognoscuo che esso sia judeo. E se esso tale judeo medico non haverà la dieta auctorita e licentia da dicto officio ni portera dicto segno corno è dicto de supra esso tale judeo contrafaciente sia che se vogia caze in pena de ducati venticinque et ultra sarà spogiato de le sue vesti-mente. Ultra de questo perchè Rabi Moises et Amadeo suo genero. Item Rabi Josues con sue mogliere et famigie hano salviconducti da esso 134 GIORNALE LIGUSTICO Signor Regio Governao de podere stare in questa cita sotto li modi e forme che se contenero in dicti salviconducti per tanto a essi a nome suo et de sue famigie ge stato contramandato dicti salviconducti et ad cautella de novo per vigo de la presente crida se ge cotramanda et tempo del contramando de essi salviconducti in tal modo che passato esso contramando ne essi ne sue mogiere et famigie non possia habitare in la cita de Genua et destreto sutto le pene predicte. Preterea de novo se comanda a Rabi Josue quale non have salvo-conducto che passato jorni XV se debia partire de la cita de Genua e destreto sotto le pene antedicte. E la presente crida se fa in observation de la délibération ancoi facta et scripta per mano de lo cancellerò infrascripto acioche alcuno per niguno itempo possa pretende ignorantia. In actis Raphaelis Ponzoni Cancellarji. MDV die XV martii. Antonius de Pa.nexio preco pubblicus retulit se die hodierna in bancis et in aliis locis solitis Civitatis una cum tubis sonibus proclamasse in omnibus ut supra. DI DUE ISCRIZIONI LUNENSI TRASCRITTE DA GIORGIO CRISTOFORO MARTINI DETTO IL SASSONE ne’ SUOI « VIAGGI » INEDITI Il 1740 Lodovico Antonio Muratori dava alle stampe la seguente iscrizione lunense, che ebbe dal P. Sebastiano Paoli della Congregazione della Madre di Dio, nato a Villa Basilica il 4 novembre del 1684, morto a Napoli il 20 giugno del 1751; il quale la trascrisse dall’originale, « esistente in villa GIORNALE LIGUSTICO r3 5 » Nocchi, agri Lucensis, in parochialis ecclesiae columna » marmorea ». Ecco il testo muratoriano : IMP. caes. d. n valentì . PIO FELICI . SEMPER . AVG CIVIT . LVN M . P IMP . CAESAERI . D GRATIANO . PIO . FEL SEMPER . AVG . DIVE VALENTINIANI . A CIVIT . LVNEN . M . P IMP. CAES . DNE . VALENTINIANO .....SEMP. AVG DIVI . VALENTINIA..... CIVIT . LVNEN Μ. P. L’ accompagnò poi con questa illustrazione : « Anno Christi » 376.. aut sequenti positus fuit cippus iste Miliarius. Luna » olim nobilis Civitas Etruriae, ad ostia Macrae fluvii sita. » Vix eius ruinae supersunt. Nunc regionis illius caput Sa-» rezana, Civitas Episcopalis, Lun.ie filia. Marmorarii inscitiae λ fortassis tribuendae -erunt vocès aliquot heic perperam » scriptae » (i). Carlo Promis [1808-1875] con più esattezza la riprodusse nel suo Corpo epigrafico 1 /mense (2). Infatti la legge così : (1) Novus thesaurus veterum inscriptionum in praecipuis earundein collectionibus hactenus praetermissarum, collectore Ludovico Antonio Muratorio, [Mediolani, mdccxl]; tom. III, pag. mlv, n.° 3. (2) Promis C. Dell’antica città di Limi memorie, Torino, dalla Stamperia Reale, 1838; pp. 82-83 e 94. — Le stesse [2.' edizione], Massa, Frediani, 1857; PP- 125-126 e 150. 136 GIORNALE LIGUSTICO IMP. CAES. D. N VALENTI . PIO FELICI . SEMPER . AVG CIVIT . LVN M . P . . . IMP . CAESAERI . D GRATIANO . PIO . FEL SEMPER . AVG . DIVI VALENTINIANI . A CIVIT . LVNEN . M . P . . . IMP . CAES . DNO . AVENTINIANO ...... SEMPER . AVG . DIVI . VALENTINIA .... CIVIT . LVNEN M . P...... Monsig. Angelo Sanguineti , alla sua volta, tornò a stamparla nelle Iscrizioni romane della Liguria, tenendo per guida la lezione datane dal Promis (i). Prima però che la pubblicasse il Muratori, Γ aveva pure trascritta Giorgio Cristoforo Martini, detto il Sassone, pittore e antiquario tedesco, morto a Lucca il 21 dicembre del 1745 (2); e per ben tre volte la riproduce nel terzo volume de’ suoi Viavai che si conservano manoscritti nella Biblioteca del R. 00 7 Archivio di Stato Lucchese (3). La dà in questo modo: (1) Sanguineti A. Iscrizioni romane della Liguria raccolte e illustrate; negli Atti della Società Ligure di Storia patria ; vol. Ili, pag. 299, n° 322, (2) Cfr. Sforza G. Il pittore Giorgio Cristoforo Martini detto il Sassone e i suoi viaggi in Italia; in questo nostro Giornale Ligustico, ann. XXII [1897]. (3) La riporta a pag. 323 del voi. IH, che è così intitolato: Reise von Rom, nach Livorno and durch Toscana [Viaggio da Roma a Livorno per la Toscana]. Nello stesso volume si trova riprodotta in una scheda, scritta da altra mano, dopo il n.° 307 ; e anche in un quaderno, che vi è unito, f. 2, n.° 9· GIORNALE LIGUSTICO 137 IMPERATORI . D . N . VALENTI . PIO FELICI . SEMPER . AVG . CIVIT . LVNEN . M . P . IMP . CAESARI . D GRATIANO . PIO . FEL . SEMPER . AVG . DIVI VALENTINIANI ..... CIVIT . LVN . M . P . IMP . CAES . DNO . VALENTINIANO SEMPER . AVG DIVI . VALENTINIANI .... CIVIT . LVN . M . P . II Martini, nell’ottobre del 1743, mostrò la copia di questa iscrizione al dott. Giovanni Targioni Tozzetti [1712-1783]; il quale nel descrivere che fa il suo viaggio da Seravezza a Lucca, parlando del castello di Camaiore, cosi racconta la cosa : « ivi mi disse che aveva osservata un’ antica colonna » milliaria, nella quale era incisa la memoria che a tempo » degli imperatori Graziano, Valente e Valentiniano, Civitas » Lunensis Milliarum posuit. Se non sbagliai io a prenderne » ricordo, bisogna supporre che questa colonna sia stata portata » a Camaiore di più lontano, poiché non credo che il territorio » di Luni, il quale verisimilmente corrisponde alla moderna » diocesi di Sarzana, arrivasse tanto in qua, dove io credo » per certo che fosse territorio di Lucca; ma può anch’es-» sere che si debba leggere: Civitas Lucensis » (1). Invece vi (1) Targjoni Tozzetti G. Relazioni d’alcuni viaggi fatti in diverse parti della Toscana, per osservare le produzioni naturali e gli antichi monumenti di essa. Edizione seconda, con copiose aggiunte ; tom. VII [Firenze, Stamperia granducale di Gaetano Cambiagi, 1774]. P*g- 4· i38 GIORNALE LIGUSTICO si legge proprio : civitas lvnensis. Del resto, può darsi benissimo che sia stata rinvenuta più lungi assai del territorio di Camaiore, grossa terra della Versilia, di cui ia parte il villaggio di Nocchi, che siede in collina lungo la strada maestra, che da Camaiore, appunto per Nocchi, sale a Montemagno. Il Martini stesso poi afferma « che era stata trovata » sull’antica via Aurelia »; che per un tempo servi, in parte, di sostegno alla mensa dell’ altare della chiesa di S. Pietro di Nocchi; e che poi quando quella mensa venne rinnovata, la trasportarono li presso, « nella villa del nobile signor Nicolao » Montecatini Gigli », dov’ egli la copiò. La questione, peraltro, non sta qui. Poco importa, anzi non importa niente affatto, se fu scoperta un chilometro più qua, o più là: quello che preme è di mettere in sodo se si tratta d’ un’ iscrizione genuina, o falsa. Il primo a muovere qualche dubbio fu il Promis. Sentiamolo. « Sospetta è la sua lezione; trovandosi dato il titolo » di Divo a Flavio Graziano, imperatore crisriano ed ancor » vivente, parmi che debba essere emendato D · N come in » tutti i milliarii di quell’epoca. La prima parte non so come » si legga scritta col nome di Valente Augusto, mentre questi » fu imperatore d’Oriente: dubito che la pietra vi sia corrosa » e vi si debbano aggiungere le ultime lettere per avere il » nome di Valentiniano I, che regnò dall’anno 364 al 375. » Quella di Graziano fu posta dopo la morte di Valentiniano, » vale a dire tra il 385 ed il 393 : nella sua quarta linea » manca una F (Filio); il periodo della terza epigrafe corre » tra il 375 ed il 392, oppure anche fu messa dopo la morte » di Graziano, non essendo uso di dividere per tal modo, » ma bensì di unire nelle lapidi i nomi e i titoli degli Au-» gusti corregnanti. È pur singolare come manchino, ο non » siano state date, le note numerali delle miglia : però chi ne » vuole avere una esatta lezione valgasi del milliario affatto giornlae ligustico 139 » consimile, ed esistente a Pisa, stampato per la prima volta » e con ogni esattezza dal Chimentello [De honore Bissellii, ') cap. 42] ». Gli tenne bordone Emanuele Repetti [1776-1852], che nel 1820 aveva data per genuina quella iscrizione, e anzi se n’ era fatto forte per provare che « sino all’anno 378 Luni era sempre » costituita in Città ed aveva la sua Curia e i suoi Padri » coscritti » (1). Vinto dalle obiezioni del valente archeologo torinese, tornava a scrivere il 1835: « il Sig. Promis non » crede affatto esente da difetti quell’ iscrizione, e poco esatta » la sua lezione, sia perchè in essa è dato il titolo di Divo » a Graziano imperatore cristiano e ancor vivente, come » anche per trovarvisi imp . caes . d . n . valenti; mentre » questi fu imperatore d’Oriente. Quindi nasce motivo di » dubitare che il colonnino possa essere (com’ è di fatto) in » quei punti corroso, e che si debba aggiungere per ultime » lettere d . n . valentiniano i; il quale imperatore regnò » dal 364 al 375. L’epigrafe relativa a Graziano e a Valen-» tiniano secondo, in tal caso, sarebbe stata ivi scolpita sotto » il nome e dopo la morte di Valentiniano I, loro padre. » Per la stessa ragione 1’ ultima epigrafe fu fatta incidere nello ') stesso cippo a Valentiniano II dopo la morte di Graziano, » essendo in uso di unire nelle lapidi i nomi ed i titoli degli » Augusti insieme regnanti » (2). (1) Repetti E. Sopra V Alpe Apuana ed i marmi di Carrara, Badia Fiesolana, 1820; pag. 159. L’iscrizione la riproduce nella pagina seguente, tenendo per guida il testo muratoriano, ma mutando caesaeri in caesari, dive in divi e dne in dno. (2) Repetti E. Di\ionario geografico fisico storico della Toscana , contenente la descrizione di lutti 1 luoghi del Granducato, Ducato di Lucca, Garfagnana e Lunigiana; voi. li, pag. 944. 140 giornale ligustico Più chiaro di tutti e più forte di tutti, parlò, per ultimo, 1 Sanguineti. Ecco le sue parole: « Questa iscrizione fu comunicata al Muratori come esistente a Nocchi nel Ducato di Lucca: il Targioni alcuni anni dopo disse trovarsi a Camaiore. Il Muratori (1055 . 3) dopo averla assegnata all’anno 376, o al seguente, aggiunge: Marmorarii inscitiae fortassis tribuendae erunt voces aliquot heic perperam scriptae. Quel fortassis non mette in dubbio se sia o no malamente scritto CAESAERIS, o due varianti che vi sono, cioè dne invece di dno, e dive invece di divi; ma a chi di quésti errori si debba attribuire il vanto; ed egli dubita in favore del marmoraio. Al sig. Promis spiace quel d alla sesta riga, siccome quello che hassi a spiegare per divo, titolo fuor di proposito ad un imperator cristiano, specialmente ancor vivo, e perciò propone di aggiungere un n per leggere domino nostro, come è nella prima riga. Noi osserviamo che anche il solo d si adopera nel significato di dominus, e siccome ali’ 11 .a riga si vede dno senza nostro, cosi ci pare che dove è d si possa leggere domino senz’ altro. L’ osservazione sul titolo di divo per gl’ Imperatori cristiani (morti s’intende) è giusta; ma ciò non toglie che l’adulazione e il paganesimo, in quel tempo ancora vivente, non lasciassero talora sfuggire un titolo adoperato per tre secoli senza risparmio. In quella stessa epigrafe migliare pubblicata dal Chimentello, a cui il sig Promis rimanda il lettore, vi è ben due volte e in tutte lettere il titolo divi dato al morto Valentiniano I. Il medesimo Chimentello non ci trova difficoltà: Uterque (Graziano e Valentiniano II) hic nominantur mortuo iam parente, quern divi titulo ex more indicant. [De bon. Bisel, 42J. E qui per comodo del lettore riferiamo per esteso l’iscrizione : giornale ligustico 141 IMP . CAES . d . nro fl vaienti PIO . FELICI . SEMP . AVG IMP . CAES . D . N . FL . GRATIANO PIO . FEL . SEMP . AVG DIVI · VALENTINIANI ■ AVG . FILIO IMP . CAES . FL . VALENTINIANO PIO · FELICI · SEMPER · AVG DIVI · VALENTINIANI · AVG . FILIO MP IIII . » Non possiamo poi convenire col sig. Promis che il primo nome del migliano Lunense si debba correggere di Valente in Valentiniano. Egli dice che Valente era Imperator d’O-riente e perciò non aveva ad esser posto in un migliano d’Occidente. Noi facciamo osservare che la divisione di Oriente e d’Occidente, fatta da Valentiniano I nel 364, non portò una separazione tale di cose da costituire due Imperi distinti. A lui piacque decorare suo fratello del titolo di Augusto e assegnargli l’Oriente da governare ; ma si continuò a riguardare come un solo l’impero. Abbiamo infatti monete di Valentiniano I ove si legge victoria avgg, cioè dei due Augusti. Si vegga il Mionnet (Med. R. t. 2, p. 311). Tre anni dopo (367) dichiarò Augusto suo figlio Graziano, e perciò abbiamo monete dello stesso Imperatore, in cui si legge victoria avggg (pag. 312) e felix adventvs avggg, cioè dei tre Augusti (pag. 208). Questo prova che intendevano in certo modo di reggere tutto l’Impero in solidum. E il Chimentello cita costituzioni dei codici Teodosiano e Giustiniano dei tre Augusti Valentiniano, Valente e Graziano. E per dare anche un saggio, fra i molti esempli che si hanno dell’ epigrafia, Ιή.2 GIORNALE LIGUSTICO » citeremo la seguente iscrizione, che si legge alla p. 164, 3, » del Grutero. DDD . NNN . VALENTINIANI . VALENTI S . ET · GRATIANI . PERENNIVM . AVGVSTOR vm etc. » Si hanno poi monete di Valente, Graziano e Valentiniano II in cui si vedono le solite sigle ddd . nnn, oppure avggg. Il primo triumvirato adunque di Augusti, a così esprimermi, fu in questa famiglia, di Valentiniano I, Valente e Graziano: il secondo fu di Valente, Graziano e Valentiniano II. Sarebbe dunque errato il marmo se, come vorrebbe il sig. Promis, si vedesse in capo Valentiniano dove è Valente. » Ma ciò che mi fa dubitare dell’ autenticità di questa lapide è il vedere certe incongruenze, che non saprei come spiegare. Se fosse un solo migliarlo non avrebbe per ben tre volte ripetuto quel civit . lvn · o lvnen; e se fossero tre, come si spiegherebbe che ciascheduno porti un nome d’imperatore diverso? Noi vediamo che nei pubblici monumenti si univano tutti e tre insieme siccome signori in solidum dell’impero; e quelli in cui è nominato un solo, non possono essere stati innalzati se non nei luoghi soggetti all’ amministrazione particolare di quello. Ora, Aulente e Graziano non ressero l’Italia, ma il primo l’Oriente, e l’altro le parti più occidentali dell’impero, la Gallia, le Spagne, ecc.; in Italia regnò Valentiniano II. Dunque i migliarii, se fossero separati, non potrebbero essere sinceri. E poi coni’ è che in nessuno dei tre luoghi è segnato il numero delle miglia ? Ci è molto da sospettare che sia un’ imitazione o sconciatura di quella di Pisa, per applicare a Luni il pomposo titolo di civitas. giornale ligustico 143 » Infine qual eh ella siasi l’iscrizione, il motivo per cui » il 'Wuiatoii 1 assegnò all’anno 376 0 al seguente, dovette » essere questo, che i detti tre nomi non si possono trovare » insieme prima del 375, perchè solo in quest’anno morì » λ alentiniano I: e non dopo il 378, perchè in quest’anno » morì Valente. Essendo adunque il 375 e il 378 i due punti » estremi, entro i quali si possono trovare i tre Augusti » Valente, Graziano e Valentiniano II, il Muratori assegnò » 1 iscrizione al 76 0 77, che son di mezzo fra i detti » estremi ». Non c è dubbio: l’iscrizione è apocrifa; e, come osserva con molta ragione' il Sanguineti, venne goffamente foggiata su quella di Pisa, « per applicare a Luni il pomposo titolo » di civitas » ; che, del resto, gli appartiene di buon dritto. * * * 11 Martini raccolse pure un’ altra iscrizione lunense. È questa : mi servo del testo datone dal Fromis. IMP . CAESARI . D . F IMP . V . cos. VI III . VIR . R . P . c PATRONO Il Promis la trovò a Sarzana « in casa Picedi », e la ritiene » dell ann. av. Cr. 28 ». Dice che « leggesi scolpita nella estre-» mità, o faccia minore, di un gran masso parallelepipedo di » marmo bianco » ; ma soggiunge che « non può andar » esente da censura » (1). Ecco le ragioni che mette in campo: « il sesto consolato di Augusto corrisponde all’anno » 28 avanti l’era volgare: ora, sin dall’anno 36 aveva Lepido (1) Promis C. Op. cit. [2.1 edizione]; pp. 126-127, e 160. 144 GIORNALE LIGUSTICO » rinunciato al triumvirato, ed Antonio erasi ucciso all’ anno » 30, dimodoché quella podestà tutta trovavasi concentrata » nel solo Augusto : a che dunque Γ espressione Triumviro » Reipublicae Constituendae, che leggesi nella terza linea? Strana » è pure la forma della V numerale, fatta a guisa di triangolo. » Forse però che dovrassi intendere di Triumviri Lunensi, » come di Triumviri che della Colonia di Osimo si ha al- » trove (1)? Resta pur sempre la difficoltà dell ufficio loro » e del combinare gli anni: a ciò aggiungasi, che dicendosi » questa trovata dai Benettini con altre iscrizioni nel 1706, » non fu però stampata dal Muratori, che tutte allora le ìac- » colse, ed il vederla incisa sopra un tal masso che non si » saprebbe bene in qual modo collocare ». In tutti questi dubbi, in parte gli la eco, in parte lo contraddice il Sanguineti (2), che scrive: « il sig. Promis vi » trova cose, di cui difficilmente si può render ragione. Il » sesto consolato d’ Augusto cade all’ anno 28 av. G. C. » Lepido otto anni innanzi avea rinunziato al Triumvirato, » e Antonio due anni prima si era ucciso, e perciò il Trium- » virato si era sciolto. Ora dunque, come si spiega quel » III viro Reipublicae constituendae? A me pare, che si po » trebbe forse dire che, rimasta in principio la rimembranza » di quel titolo, il quale probabilmente si vedea scolpito in » altri monumenti, non si badasse cosi pel sottile a soppri- » merlo allorquando era realmente passata 1 occasione di » adoperarlo. Per simil guisa si trovano imperatori che con- » tinuano a decorarsi del titolo di consoli, desunto dall ul- » timo consolato; benché di più anni anteriore. Si potrebbe (1) Grut. cdxci, 4. — Trovai in seguito che il dotto epigrafista signor Clemente Cardinali la teneva come spuria. (Gior. Arcadico; 80, 353)· Nota del Promis. (2) Sanguineti A. Op. cit. pp. 53-54. giornale ligustico » aggiungete che l’autore dell’iscrizione avrà creduto di far » onoie ad Augusto, rammentando il cospicuo incarico da » lui per lo innanzi sostenuto. Il Promis poi mette in campo » un altro dubbio, che non è da prendersi tanto leggermente. c- r ... » 01 cuce questa iscrizione essere stata trovata dai sigg. Be-» netiini con altre nel 1706. Il Muratori, che le raccolse » tutte, non vi comprese questa. Dubitò forse della sua au-» tenticita ? Non direi, al vedere ch’egli ne accolse d’ogni » maniera. Infine, il vederla scolpita sopra un tal masso non » lascia capire come potesse esser collocata ». Il Martini già P aveva trascritta ne’ suoi Viaggi, dandone questa lezione : IMP . CAESARI . D IMP . V . COS . VI . HI VIR . P . P . C . PA .... NO (i). Curiosa è 1’ annotazione con cui 1’ accompagna, e che traduco dal testo originale tedesco : « Poco tempo dopo di me » un cavaliere lucchese, in compagnia di altri nobili, andò a » visitare il Marchese di Fosdinovo (2). Io gli avevo parlato » di Luni, e 1’ aveva pregato, se trovava qualcosa, a comuni- (1) Nel Corp. inscr. lat. vol XI, n.° 1330, così è riportata: IMP . CAESARI . D . f/J IMP . V . COS . VI in . vi [r] . r . p . c . PAT[r]oNo. <( Titulus certus genuinus est » (soggiunge Γ editore), « etsi numerus » salutationis imperatoriae et numerus consulatus et nomen triumviri parum » inter se conveniant ». (2) Gabriello Malaspina, nato il 1695 e morto il 1758, che in seconde nozze sposò Isabella di Carlo Orsucci di Lucca. Giorn. Ligustico. Anno XXIII. io 146 GIORNALE LIGUSTICO » carmela; perciò esso fece svolgere un mucchio di sassi » rovinati e rinvenne questo marmo a quattro canti. Forse 0 questa pietra aveva servito di zoccolo alla statua di Cesare » Augusto, che al tempo del suo triumvirato gli fu eretta dai » Lunesi. Questo marmo era poi stato rovesciato, scavato e » trasformato forse in un serbatoio da fontana, per fissare il » quale vi era poi stata infissa una spranga di ferro (1) ». Aggiunge inoltre che lo stesso cavaliere lucchese si abbattè anche O O in « una statua di marmo », che era stata collocata attraverso un fosso dove serviva a guisa di ponte. Il racconto però del Martini è in aperta contradizione con quello che afferma Bonaventura De’Rossi [1666-1741], suo contemporaneo ; il quale nel riferire l’iscrizione (2), che dice leggersi « in un capitello, ossia basamento di colonna, sotter-» rato e compaginato da perni di metallo », soggiunge che fu trovato « nel recinto di Luni 1’ anno del Signore 1706 da » Gio. Battista Benettini, canonico e nobile sarzanese, in oc-» casione eh’ egli faceva scavar terreno nel sito poco lontano » da quello dov’ era anticamente il tempio di S. Marco, quale » in tempo de’ gentili romani, anzi nell’ impero di Cesare, è » cosa probabile che servisse ad altro uso » (3)· Le stesse cose ripete il dott. Giovanni Targioni-Tozzetti il quale, come, del resto, è noto, per quello che riguarda la Lunigiana, non (1) Martini G. C. Op. cit. II, 326. (2) Ne dà questa lezione : IMP . CAESARI . D . F IMP . V . COS . VI III . VIR . R . P . C PATRONO. (3) Cfr. Sforza G. Gli studi archeologici sulla Lunigiana e i suoi scavi dal 1442 al 1800; negli Atti e memori? della R. Deputazione di storia patria per le Provincie Modenesi, serie V, voi. VII, pag. 153. GIORNALE LIGUSTICO M? ta altro che copiare tutto quello che ne aveva scritto Bonaventura De’ Rossi (1). Massa di Lunigiana, 28 aprile 1898. Giovanni Sforza. LA FAMÌGLIA GENOVESE DORIA E LA SARDEGNA (sommario cronologico). a. 1102. I Doria fondano Alghero e Castel Genovese (prov. Sassari), •a. 1123 — I Doria si sottomettono all’ Infante Alfonso d’Aragona giurandogli fedeltà. ■a. 1123. — I Doria vengono confermati nel possesso di Castel Genovese dal Re d’Aragona. -a. 1325. — Gaspare Doria passa repentinamente al servizio della Repu-blica di Pisa, dimenticando la parte Ghibellina ed il Re Federico di Sicilia, per soccorso del quale avea egli salpato da Savona. Nello stesso tempo si presenta colle sue navi e con quelle della Republica suddetta nel golfo di Cagliari ove trovavasi la flotta Aragonese. Ha luogo uno scontro tra le due parti. 1 Pisani perdettero ed infine si sperperavano, ma Gaspare Doria potè salvarsi. a. 1326. — La città ed il castello di Ardona (prov. di Cagliari) in quest’ anno si trovavano in possesso dei Doria che se ne erano impa-. droniti all’ estinzione dei Giudici del Logudoro. a. 1328. — Alfonso Re d’Aragona intende a comprimere l’ardimento dei Doria, i quali, non paghi di aver conturbato la quiete dell’ Isola per causa dell’occupazione del Castello Genovese, disputato ira varie persone della stessa famiglia e per altro motivo, solevano colà propagare colle discordie civili le discordie religiose, parteggiando apertamente per l’antipapa Nicolò V e per lo scisma scandaloso di Lodovico Bavaro. ■a.. 1330. — I Doria giungono a bloccare il Castello di Cagliari, a. 1334. — 1 Doria in modo speciale tentano infruttuosamente d’impossessarsi del Castello di Quirra (prov. di Cagliari). (1) Targioni-Tozzetti G. Kela\ioni d’alcuni viaggi fatti in diverse parti della Toscav.a [2.“ edizione| ; X, 422-423. 148 GIORNALE LIGUSTICO a. 1334. — I Doria travagliando i signori dell’isola investono Terranova (prov. di Sassari) e le rocche di Petreso, della Fava, di Galtelll· (prov. id.) e dando il guasto alla Villa di Sorso (prov. id.). a. 1334. — Nicolò Doria cost:uisce il Castello di Roccaforte (prov. id.). trovandosi in dissensione coi suoi zìi Galeotto e Casciano. a- 134S· — Alghero e Castel Genovese è tuttora occupata dai Doria. a. 1347. — Scoppia con impeto la guerra dei Doria contro gli aragonesi., a. 1348. — I Doria vengono cacciati dall'isola. 8 — Il Castello di Chiaramonti (prov. id.) è tolto ai Doria da Rambod di Cobrera, rappresentante regio d’ Aragona, a. 1350. — Avviene la pace tra i Doria ed il re d’Aragona. n — Dietro a detta pace in dett’ anno il viceré Cobrera cede ai. medesimi in feudo il loro dominio di Monteleone (prov. id.) e vengono a loro confermati anche il feudo di Chiaramonti con varii distretti. a. 1354. — Il Re D. Pietro d’Aragona conferma in favore di Matteo Doria il possesso di Castel Genovese, a. 13 54. — Monteleone vien dato in feudo dal Re d’Aragona a Matteo Doria. a· * 3 5 5· — Damiano Eoria vende al Re d’Aragona la città ed il Castello di Ardana. a- Ι35ί· — Il Castello dell’Argentiera (prov. Sassari) trovasi in mani di Matteo Doria cbe lo consegnò all’Arcivescovo d’Oristano ed al Vescovo di Usellus (prov. id.). a· 13 S 7- — Alla morte di Matteo Doria il castello Doria (prov. id.) ed il territorio di Cabuabbas (prov. id.) passa al suo nipote Brancaleone· Doria, il quale avea fatto la pace col Re d’Aragona. a· Π57- — Il detto Brancaleone è investito di molti feudi tra i quali quello di Monteleone e di Castel Genovese, a. 1364. — Mariano IV giudice d’Arborea muove guerra al citato Bran-. caleone Signore di Castel Genovese, a. 1365. — Il castello di Capula (prov. id.) passa per vendita dalle mani, dei Doria in quelle di D. Pietro d’Aragona. a. 1374. — Brancaleone Doria difende la piazza d’Alghero da 40 navigli genovesi assoldati da Mariano d’Arborea. a. 1383? — Lo stesso Doria, marito di Eleonora di Arborea è sostenuto nella corte dei sovrani aragonesi ed inviato con severa custodia, a Cagliari. a. 1384. — Il Re stando a Barcellona arma cavaliere il detto Brancaleone e lo conferma nel possesso della fortezza di Monteleone. 149 1 ·>9°- Il castello di Osilo (prov. id.) cad padre cappuccino Vincenzo Celesia. 176 GIORNALE LIGUSTICO « S. Geronimo e S. Francesco Saverio, chiesa congiunta all’Università di studi. — Stato antico. — i.° Monastero sotto il puro titolo di S. Geronimo di eremitane cistercensi sino al 1437 in cui mutarono regola. — 2.0 Sorelle del 3.0 ordine di S. Domenico con titolo di collegio sino al 1588 in cui per volontaria loro deliberazione rimase il collegio estinto per la morte delle ultime sorelle. — 3.0 Patronato d’ una famiglia Pinella Cipollina che ne fe acquisto dallo Spedale di Pammatone come a lui ceduto a patti dalle dette terziarie sino dal 1540. — 4.0 Collegio dei padri Gesuiti colle scuole pubbliche dal 1623 sino al 1773 in cui furono soppressi (1). » 1540. — Donna Orsola Sanguineta abbadessa ed altre 13 monache capitolari per istrumento in data 15 settembre cedono col consenso del serenissimo Senato e col beneplacito apostolico questo loro monastero all’ Ospedale di Pammatone col preciso patto di esservi mantenute ed alimentate sino che esse sieno ridotte e superstiti al numero di tre e ciò per motivo degli sufficienti redditi del loro monastero. » 1543 — agosto 12. — Furono venduti dal detto Ospedale alcuni beni del monastero a Nicolò Pinello Cipollina con jus di succedere alla chiesa ed al monastero stesso subito che le monache fossero superstiti nel stipulato numero di tre. Cotale vendita fu confermata e ratificata dalle monache che passarono alcuni patti collo stesso Pinelli ». In un altra parte di detto manoscritto si legge: « x54°· È ceduto ai Signori dell’ Ospedale a favore del Monte della Pietà il monastero e la chiesa di S. Geronimo di Roso.... » (2). (1) Papa Clemente XIV soppresse appunto nel 1773 1 p. P· Gesuiti. (2) Il P. Lorenzo Isnardi nella Sua storia della Università di Genova accenna alla esistenza di questo convento ed alla vendita su riferita. (Tip. Sordo-muti, 1861). GIORNALE LIGUSTICO 177 L 111. J Andrea Giustiniano di Baldassarre, doge trigesimo-nono, e 1 magnifici governatori e procuratori della Eccellentissima Repubblica, radunati 1’8 settembre del 1540, uditi i protettoli dell’ Ospedale, il procuratore delle monache predette e quelli delle monache dei SS. Giacomo e Filippo, oppositori alta suddetta vendita, dopo diligenti e mature considerazioni, addivenuti a votazione, approvavano la stipulazione della con-\enzione tra le monache e P Ospedale di Pammatone concedendo inoltre tutte quelle garanzie che già altre volte erano state concesse al Monte di Pietà. pur troppo le attuate economie, lo aver nuovamente portato al 10 p. °/o all’anno l’interesse da pagarsi sui prestiti e 1 operazione conclusa colle monache suddette non bastarono a dare un conveniente e duraturo assetto al Pio Istituto. Costi etto a vivere sull’ unica risorsa derivante dal pegno, gravato per giunta da oneri rilevanti, il Monte continuò una esistenza stentata e per nulla confacente alla sua indole finche 1 arcivescovo della città Cipriano Pallavicino (1), coadiuvato dagli ufficiali del Magistrato di Misericordia, procedeva nel 1569 alla riforma degli statuti ed alla completa separazione del Monte di Pietà dal magistrato dell’ Ospedale di Pammatone. In tal modo questo Istituto superava una crisi lunga e penosa e, collo svolgersi degli anni applicando saggie disposizioni, riusciva a vieppiù esplicare la sua benefica azione. Nella seconda parte del presente lavoro, vedremo come un’altra crisi veniva, sulla fine del secolo scorso, ad arre- li/ Cipriano Pallavicino venne eletto arcivescovo di Genova nel 1567, morì nel 1586, fu sepolto nella metropolitana di S. Lorenzo. La di lui statua ginocchioni, per suo espresso volere, venne collocata in detta cattedrale presso Γ altare di S. Pietro e Paolo e rimpetto a quella del SS. Sacramento. Tale statua, che trovasi ancor oggi a quel posto, viene volgarmente chiamata II Canonico di marmo. ’jiohv. Ligustico. Anno XXIII. j - 178 GIORNALE LIGUSTICO starne nuovamente Γ ascendente cammino ; come anche a questa il Monte resisteva vittoriosamente, e , passata la bufera, guidato da menti illuminate che, con criteri moderni attuavano importanti riforme , poteva rialzarsi non solo, ma avvicinarsi ad una meta che i suoi fondatori non avevano certo sperata. M. Bruzzone. DOCUMENTO N.° IV. Genova. — Archivio di Stato. Cartolario Originale P. delle Colonne — C." 39. Baptestina filia q.“ Damiani de Lione et uxor q."‘ Petri Cavali Libre septingente. Cum obligatione dicenda per Obertum lustinianum Murchium, ut in appodixia censariae continetur. Supradictus Obertus volens declarare dictam obligationem per eam ut supra dicendam de dictis locis septem, dicit, et declarat dicta loca septem restent et sint obligata per annos decem proxime venturos, inceptos die quarta 9bris 1533 — dicto Oberto pro evictione et legitima defensione domus empte in publica calega a Thomasina filia et herede testamentaria dictae q.m Baptistinae eius matris vigore testamenti scripti manu Hieronimi Pallavicini de Coronato Notaiji anno de 1533 die 11 Ianuaij, et salva dicta obligatione de proventibus dictorum locorum septem respondeatur fratri Paulo Cavallo filio q.n’ Lucae nepoti ipsius Baptistinae in vita ipsius Domini fratris Pauli, et post vitam ipsius Domini fratris Pauli loca quatuor cum eorum proventibus tunc secuturis ex dictis locis septem spectent et pertineant Mag.co Officio S.! Georgio et loca duo ex dictis locis septem cum eorum proventibus etiam spectent et pertineant Domui Montis Pietatis, et eidem Monti restent. Reliquum autem locum unum ex predictis septem cum suis proventibus remaneat Hospitali Pammatoni in observatione Testamenti dictae q.ra Baptestinae et pro ut in cartolario de 1533· c·' 61. u^' habuit originem continetur. GIORNALE LIGUSTICO 179 UN CRONISTA SARZANESE SCONOSCIUTO Nella biblioteca del mio amico cav. Alessandro de’ marchesi Magni-Griffi di Sarzana, piccola per mole, ma molto impoi tante, soprattutto per quello che riguarda Genova, la Liguria e la Lunigiana, tra gli altri manoscritti se ne trova uno con questo titolo : Memorie violabili / di cose / accadute in Sarzana e suo distretto / et anche in altre parti d’Italia / che cominciano dall’ anno 1620. È un codice in-fol. di pp. 370. La pag. 366 è bianca. Le pp. 367-69 n. n. contengono Γ Indice di alcune cose notabili che si leggono nelle presenti Memorie. È tutto di mano del Magni-Griffi , che in una sua lettera così me ne racconta le origini e le vicende. « Pochissimi conoscono queste Memorie, ed io stesso non ne vidi che un solo esemplare, forse unico, che, a giudicarlo dalla scrittura, lo direi fatto verso la metà del secolo scorso. Questo esemplare è guasto qua e là, e fino in fogli intieri, dall’ inchiostro che ne corrose la carta, talmente che, collo svolgere dei fogli, se ne va via a minuzzoli; e fra non molto tempo se ne lamenterebbe la perdita, se io, mosso da carità di patria, non mi fossi sobbarcato alla fatica di trascriverlo tutto. Il nome dell’A. non mi apparisce , ma ecco come io lo congetturo. Estinta 1’ antica famiglia sarzanese de’ Soccini, ne passarono per eredità nella famiglia Magni-Griffi, insieme con tutti i loro beni, anche le carte, delle quali però pochissime giunsero sino a noi; e fra queste io mi rammento d’aver veduto un foglio volante, in cui erano notate alcune particolarità di parecchi individui di quella famiglia; e fra gli altri di uno, di cui non ricordo il nome, vi era detto che scrisse non so che sopra Cristina Regina di Svezia. Si aprano le nostre Memorie e sotto l’anno ΐ8θ GIORNALE LIGUSTICO 1655 si troveranno scritte queste precise parole: ma perche in altro libro ho descritto la di lei (cioè di Cristina) entrata in Roma, qui non replicherò altro. Forse quel foglio si è perduto, perchè, per quante ricerche io poi ne abbia fatto, non mi è più riuscito di rinvenirlo; ma non per questo si cancellò in me la memoria di avervi letto quella notizia, colla scorta della quale posso con molta probabilità asserire che ne fu autore un Soccino, e forse quell’ Andrea che, in compagnia di Simone Peccini, fu deputato a riordinare ed inventariare le carte dell’ Archivio municipale sarzanese, e che visse appunto in quel tempo » Fin qui il Magni-Griffi. Il codice da cui esso copiò il presente esemplare è scritto di mano di Francesco Maria Ferrarmi, che viveva verso il 1750; e porta l’intitolazione seguente: Prima parte delle / Memorie notabili / di cose accadute in Sarcana e suo distretto / et anche in altre parti d’Italia che cominciano dal / Γ anno 1620. L’ A. senza dubbio intendeva di proseguirle, e forse o colpito dalla morte, o distratto da altre cure venne forzato a non riprender la penna. Vanno dal 1620 al 1659, e metterebbe addirittura conto lo stamparle, tante e così curiose sono le particolarità che raccontano, non solo di Sarzana e del resto della Lunigiana, ma anche di Genova e della Liguria. U A. la sapeva lunga addirittura ed era sempre bene informato. Giovanni Sforza. GIORNALE LIGUSTICO 181 ANDREA DORIA E LA CORTE DI MANTOVA ί Lettere illustrate) (Contmua\ione vedi pag. ιοί) V. • Gli avvenimenti di Genova del memorabile anno 1528, voluti e promossi dal D’Oria, avevano fatto negli animi di tutti grandissima impressione, e vario era il giudizio che se ne recava a seconda degli umori e della parte da ciascuno seguita. Ben si vedeva tuttavia di quanta importanza fosse quel repentino mutamento di politica dell’ammiraglio, e si capiva agevolmente quanto dovesse pesare sul futuro indirizzo della grande contesa di cui principalmente era teatro l’Italia. Al D’Oria ne vennero congratulazioni d’ogni parte, da principi e da uomini famosi, specie per avere, come allora si disse con reboante eufemismo, rivendicata in libertà la patria, e fatto, con accorta modestia, il rifiuto della magistratura suprema. E lodi gli dovette compartire altresì il marchese di Mantova, mentre gli inviava un plico per la Spagna, se Andrea rispondeva così : lll.mo et Ex.mo S.r mio oss.mn Ad una lettera che V. Ex. si è degnata scrivermi non ho da essere molto exteso in risposta, poi che le opere et successi che ella mi attribuisce, procedano da sua innata bontà et non da miei meriti: tuttavia qual io mi sia, son tanto servitore di V. Ex.ia che mi reputarò a singulare gratia ogni volta che la si degnali comandarne, cussi la supp.··'0 si contenta fare, et tenermi per tale come li ho detto di sopra, che io in le occorentie mie riccorarò liberamente da quella corno da mio singulare S.ur El plico che V. Ex. mi ha indirizato per corte, mandarò fra un giorno con bonissimo recapito, et cussi farò di tutti li altri che li pia- lS2 GIORNALE LIGUSTICO cerà per 1’ avenire farmi mandare, et la supp."° in maggioi effetto servirsi di me, et darmi occasione che meglio li possa dimostrare mia bona volontà. Et in bona gratia di V. Ex. quanto più posso humil-mente mi raccomando : che N. S. la prosperi et conservi corno desidera. Da Genova alli xij de decembre MDXXVIIJ. Di V. Ex. Servitore Andrea D’ Oria. Dopo alcuni mesi pervenuta a sue mani la risposta, si affrettava a rimetterla al marchese : Ill.mo et Ex.mo S.' mio oss.mo Più mesi passati la Ex. V. mi indrizò un suo plico per Spagna al nuncio apostolico, et hoggi de verso Roma mi è stata remessa la risposta di esso, et se più presto mi fosse pervenuta non havrei man cato di quel debito che mia servitù ricerca verso V. Ex. Sono circa quatro mesi eh’ io non ho nova de la Corte se non per qualche lettere di mercadanti che tutti affermano la passata di S. M.’·1 in Italia, vero che dì per dì sto expettando una mia galera di barzelona dove la mandai già giorni fanno, et con essa non possono mancare despachii di S. M.,à Se vi sarà cosa alcuna per V. Ex. non mancaro di bon recatto, la quale sup.co mi facia gratia di comandarme d sia bono a servirla, che cussi di continuo humil.u me li racc. Genova li xxvij di marzo mdxxviiij. Di V. Ex> hu·" ser/' Andrea D’Oria. L’aflermazione che da circa quattro mesi il D Oria non riceveva notizie dalla corte di Spagna è singolare, tanto p quando si pensa che fino dai primi di gennaio era giunto presso Carlo V Martino Centurione, spedito da lui, e accolto con larga cortesia e carezzato dai cortigiani; al quale, mentre stava sul partire, vennero altresì fatti donativi cospicui, com presa un’ annua pensione e alcune pingui rendite sulla dogana delle Puglie (i). (i) Arch. di Mod. — Lett. da Napoli del Naselli, 7 genn. 1529. giornale ligustico Il proposito dell Imperatore di passare in Italia era già noto lino dall’ anno antecedente, poiché 1’ agente del duca di Ferrara avvertiva che in Genova si ponevano in ordine sei galere, con animo che fossero pronte nell’aprile successivo, al qual tempo o poco più Cesare in persona disegnava essere in Italia (i). Il Malatesta poi ambasciatore del marchese di Mantova scriveva da I oledo il 12 febbraio 1529 che l’imperatore aveva « deliberato venire in Italia contro la opinione de tutto il suo consiglio, eccetto il gran cancelliere et il confessore, et verià presto potente de huomini, vittuaglia et danari, et fra vinti gioì ni partirà per Barcellona » (2). Del resto in questo tempo il desiderio di Carlo, e le sollecitazioni de’ suoi partigiani pei mandarlo ad effetto, erano comunemente noti, e se ne parlava come di cosa imminente e sicura (3). Intanto il marchese aveva ottenuto dall’ imperatore promesse e affidamenti tali da appagare la sua ambizione, e perciò s’era ormai deliberato di tenersi stretto alla protezione di lui, abbandonando il re di Francia, col quale era corso trattato di cospicui uffici militari, e del suo matrimonio con la sorella del re di Navarra. Ai suggerimenti di Carlo tutto lasciò cadere, lusingato in ispecie per la confidenza riposta in lui dal monarca, quando lo incaricava d’interporsi affinchè i veneziani accondiscendessero alla pace che egli proponeva loro con assai larghe offerte, stretto in quel punto da imperiose necessità politiche e militari (4). E poiché 1 ambasciatore già ricordato, compiuto in Corte (1) Arch. Mod. — Leu. da Alessandria del Castellano, 29 nov. 1528. (2) Da vari , Federico Gonzaga e la famiglia Paleologo dei Monferrato, Genova, 1891, p. 95 (Est. dal Giorn. Lig.). (3) De Leva, Storia di Carlo V, II, p. 557 e seg. (4; Da vari, op. cit., p. 38, 39, 40, 97. — Manfroni , Storia della marina italiana dalla caduta di Costantinopoli alla battaglia di Lepanto, Roma, 1897, p. 287, 288. GIORNALE LIGUSTICO il suo ufficio, s’incamminava verso l’Italia, il marchese credette forse opportuno inviare presso l’imperatore un personaggio più cospicuo di sua famiglia, e per essere chiarito intorno agli uffici che accennava volergli affidare in suo servizio, e per assicurarlo più efficacemente della sua fedeltà. Questi fu Luigi Gonzaga (i), raccomandato vivamente al D’Oria, che in proposito replicava: 111.11"' et Ex.mo S.r mio oss.'''1’ Con lo Ill.mo S/ Luise Gonzaga ho receputo la lettera di V. Ex. et per quello inteso l’andata sua alla Ces M.,à et el desiderio che V. Ex. tiene d’ ogni suo honore et commodità. Et perchè io desidero più adoperarmi con effetti che con parolle circa le cose che V. Ex. mi comanda, io non mi extenderò in dirle altro, salvo che se lo p.t0 S.r Luise non receverà da me quello che saria debito et conveniente, si potrà attribuire el mancamento alla impossibilità, et non a la mia volontà, della quale V. Ex. è più S.” et patrone che mi stesso. In bona gratia de la quale di continuo mi rac.° In Genova el xxij di aprile mdxxix. Di V. Ex.roo s.r mio oss.mo Hogi con un vascello venuto d’ Eviza, sono venuti certi mercadanti partiti da Valenza, quali refferiscono corno la Ces. M." fin alli xxvj del passato gionse in Barzelona, dove ha fatto condurre bona quantità di vittovaglie, et che in conclusione per tutta Spagna non sona altro che la passata di S. M.1·’ in Italia, facendosi per questo da ogni canto diversi apparati. Sempre che mi venghi ordine de 1’ andata mia a S. M.t4 ne farò noticia a V. Ex., et andando, in ogni caso farò quel bon officio che ad un suo sviscerato ser.", come son io, si conviene, et di quello che più oltra intendarò, V. Ex. ne sarà avisata, la quale ha da sapere corno questa matina el nuncio di la S.14 di N. S. con una de le mie galere, et el vescovo Salamanca con un’ altra son partiti di qua per Barzelona, et da tutte le altre vanno accompagnati fino in Provenza per loro scorta, et spero havrano presto et bon passaggio, con li quali et con un homo mio destinato a S. M.,A li ho scritto opportunamente. Et sempre che possa fare cosa grata a V. Ex. la sup.1·0 mi comandi, che gratia magiore non posso recevere che servirla. Alla quale de continuo mi rac.Jo. Da Genova alli xxiiij di maggio mdxxix. Di V. Ex. Hum. ser." a Andrea D’ Oria. \ ι86 GIORNALE LIGUSTICO I due prelati che passavano in Spagna erano Francesco Cabrera vescovo di Salamanca, e il nunzio Girolamo da Schio, vescovo di Vaison, maestro di casa del pontefice, mandati colà per quegli accordi che si conclusero col trattato di Barcellona del 29 giugno. Il D’Oria aveva ricevuto in questo mezzo l’ordine della partenza, recatogli da Martino Centurione sui primi di giugno, nel quale gli era detto « che posposta ogni altra cosa debba subito andare a Barcellona a levare Sua Maestà » ; ma egli indugiava per attendere la capitana e le altre galere che avevano condotto in Ispagna i messi del papa (1). Il marchese di Mantova, per avvisi pervenutigli, riteneva che il D’ Oria dovesse partire il giorno 6, onde, vista la buona disposizione che mostrava in suo favore, gli scrisse in tutta fretta : Molto Mag.1·'0 etc. Havendo io inteso che V. S. è per partire domani, per fare il passaggio suo in Spagna, m’ è parso scriver subito questa mia a quella, la quale prego N. S. Dio habbia felice viaggio, et come la desidera et ricerca il servitio della M.,à Ces.1·'·1. Prego V. S. di core che giunta alla p.tJ M.'3 voglia fare a quella le mie humili raccomand.”1, recordandoli la mia fede, devotione et servitù, che so quanto me può giovare il suo vero et amorevole testimonio, et in summa sera contenta di fare di quelli officii per me che l’è sempre solita di fare, recordandose che quello che la fa per me lo fa per un suo buon figliuolo, et che le ne restarà sempre obligato, et a tutti li soi piaceri me offero et me le racc.Jo di core. Mant. 5 Iunij 1529. L’ ammiraglio però non si mosse che il 24 (2). Carlo V da Genova si recò al convegno di Bologna, dove nell’ anno successivo fu solennemente incoronato. V’ accorsero (1) Arch. Mod. — Lett. del Guarini da Firenze 5 e 12 giugno 1529. (2) Arch. Mod. — Lett. del Guarini da Firenze 20 luglio 1529. — 11 Partenopeo (Annali, Genova 1847, p. 72) afferma con evidente errore che parti il 6 maggio, e giunse a Barcellona il 28. GIORNALE LIGUSTICO a largii onore principi, uomini di Stato, capitani illustri, porporati, ambasciatori ; vi andò pure il D’Oria, e sul cadere di novembre del 1529 anche il marchese Federico desideroso di trattare personalmente Γ importante affare intorno alla investitura del ducato di Milano, che il papa si mostrava disposto a fargli assegnare dall’ imperatore. Disegno andato fallito per 1 opera stessa di Clemente che lo aveva promosso e caldeggiato. In queste pratiche ebbe la sua parte a prò’ del marchese altresì il D’ Oria, il quale, non appena seppe la cosa dal Ma-latesta, ambasciatore mantovano, assicurò « che sommamente gli piacea tal nova, corno a quello che ama et osserva » il marchese Federico, « et corno a vero et fidel servitore dello imperatore, et come a bono Italliano, et come quello che pensa anche al bene suo particolare et della sua patria », dimostrando « per infinite raggioni che S. M.,à non può fare miglior ellec-tione in quello stato ». E quantunque ormai il papa avesse disdetto quel suo primo proposito, tornando nelle sue grazie 10 Sforza, tuttavia nell’ animo del D’ Oria era pur sempre vivo 11 desiderio di favorire quegli a cui mostrava tanta e sì deferente benevolenza, poiché alcuni mesi dopo, sentendo come il duca di Milano fosse ammalato in Bologna assai gravemente, « et che per iudicio di un medico dello Imperatore il caso era molto pericoloso », avvisava subito il Malatesta « che quando succedesse-la morte, non seria se non bene a pensare alla pratica che già fu fatta, per dare quello stato » al marchese, del quale desiderava « 1’honore, beneficio et exaltatione », e perciò « ne aveva voluto far motto » perchè stessero avvisati, protestando egli « dal canto suo non se mancaria mai di fare quanto fosse di potere et forza », affinchè ne rimanesse contento (1). Federico se ne tornò più che in fretta a Mantova chiudendo (1) DAVARI, op cit., pp. 42, 43, 46, 98. 188 GIORNALE LIGUSTICO nell’animo la bile dell’insuccesso; il quale non fu solo, poiché anche i suoi maneggi per allargare lo stato a spese dei veneziani da un lato e del milanese dall’ altro andarono interamente a vuoto; e queste non furono le ultime cagioni che lo trattennero, sebbene invitato, dal recarsi alla incoronazione di Carlo V. Gli restava la speranza di poter riuscire a soddisfare le sue mire ambiziose per mezzo di qualche nobile parentado. Fino dal 1517 egli aveva sposato formalmente Maria Paleologo figlia del marchese di Monferrato, nell’età allora di otto anni, col patto che l’avrebbe condotta a Mantova appena fosse giunta a compiere il quindicesimo. Ma 1’ ambizione cresciuta a dismisura nell’ animo suo, gli fecero presto dimenticare il legame contratto, e già prima che giungesse il tempo in cui il matrimonio doveva consumarsi, egli aveva iniziato pratiche per ottenere in moglie la figlia del re di Polonia, quantunque il suo cuore continuasse ad essere stretto nelle spire amorose d’ Isabella Boschetto, che fu sua amante per anni moltissimi. Non si curò quindi di adempiere a’ suoi oblighi con la marchesa di Monferrato, la quale quando, trascorsi tre anni dal termine stabilito, invitò Federico a mantenere i patti, si dovette pur troppo accorgere della mutazione in lui avvenuta. Ed egli con indegni intrighi riuscì ad ottenere da Clemente VII una bolla, con la quale veniva disciolto quel suo primo matrimonio; nè tralasciava in un tempo di accarezzare offerte di spose che gli venivano tanto dai partigiani di Francia, come dagli imperiali, a fine di vedere, a seconda degli eventi, a qual parte gli convenisse poi fermamente appoggiarsi. È noto come si desse intero nelle mani di Carlo V, da cui ebbe larghe promesse, e testimonianze di grande fiducia. E questi gli offerse in isposa la figlia del duca di Cleves, che venne accettata; ma non ebbero buona riuscita gli uffici fatti a questo fine. Egli si trovò allora infra due proposte ugualmente importanti, e per le persone da cui procedevano, e per i benefici GIORNALE L1GUSTIG0 189 d ingrandimento che se ne riprometteva. Mentre adunque il \escovo di Vaison, gli metteva innanzi la mano della nipote del papa, Andrea D’ Oria gli faceva formale offerta di Giulia d Aragona. Federico seppe destreggiarsi, riposando con maggior fiducia nell opera, ne’ consigli, nell’accortezza dell’ ammiraglio genovese, tanto suo parziale e così accetto all’imperatore, per trarne 1 migliori vantaggi possibili, onde, allorquando Carlo V nella primavera del 1530 si trattenne a Mantova, accolto con si gran fasto, e gli fece formale proposta della aragonese con vive e premurose istanze, egli subito aderì e sottoscrisse immediatamente i capitoli del matrimonio, prendendo impegno solenne di celebrare le nozze entro il giugno successivo (1). Di che, ed era ben giusto, dava communicazione al D’Oria: Molto Mag.cu etc. Essendo l’amor mutuo che è tra noi tanto grande quanto è, et havendo io V. S. in quel conto di buon padre che ho. è il dovere che la sia conscia et partecipe di tutte le cose mie, però ho voluto dargli aviso come essendomi fatta instantia grande dalla Ces.'·' M.tA eh’ io contrahessi matrimonio con la lll.ma S.a lulia de Aragona secunda figliola della ree. me. del re Federico, et havendo-mene S. M.u istessa parlato molto efficac.t;, et di sorte che si conosca in lui mirabile desiderio de questo contratto, son stato contento de compiacerla, et tanto più liberamente son devenuto alla conclusione de q.t0 matri.io quanto che mi son raccordato che V. S. fu la prima che mi propose questo partito et che parlò della cosa della quale spero trovarmi ogni dì più contento, che oltre il piacere che in ciò haverò fatto alla M.u Ces.ea, ho fato secondo il parere et sapientissimo consiglio de V. S., et seguendo quello mi pare non poter mai errare. Son certo che de q.,a cosa ella haverà molta consolatione et allegreza come quella che mi ama singul.''-·, et che desidera non meno il mio bene et utile mio, come el suo proprio, et veramente la lo può molto ben fare, perchè de tutte le cose mie la deve essere certa de poter disponere a suo piacere.....Mant. alli xmj aprile 1530. ( i) Per i particolari cfr. il Day ari, op. cit. passim. 190 GIORNALE LIGUSTICO A cui il D’Oria: Ill.mo et Eccell.'"0 S.r mio oss.mo Della lettera che V. Ecc.ia mi ha scritto, per la quale s’ è degnata farmi partecipe de una cussi honorevole et affettuosa cosa, quanto quella che ha concluso, ne ho presa tanta satisfatione et godimento, quanta di qualsivoglia cosa che in me proprio potesse succedere, sì per havere V. Ecc.ls satisfatto prima a Dio, et compiaciuto poi allo Imperatore per la prosperità che se ne deve sperare, come per la memoria che V. Ecc.tu tiene di me tanto servitore come li sono, quale niuna cosa più desidero che occasione di effettuare quello che li fussi di satisfatione et servitio, per posserli pienamente mostrare la servitù mia, la quale veramente è conforme alla amorevole demostratione che V. Ecc.'·1 mi fa, come la se potrà certificare sempre che le piacerà comandarmi. Restarò in questo pregando N. S. Iddio dia longa vita a V. Ecc. ·' et alla 111.™» S.r·’ Iulia sua consorte con godimento de ottata prole. Resto anchora con incomparabil desiderio vedere quel-1' altro effetto, del quale tanto più se ne può sperare quanto per havere havut.o questa laudabile et ottima conclusione, et cussi pregharò Dio me ne facci sentire quella satisfatione che ho sentito di questo..... Alla bona gratia della quale et della Ill.ma S.rl sua consorte mi rac-c.Jo et bascio le mani. Di Genoa alli XXIJ aprile 153°-Di V. Ecc.1'·1 Ser." Andrea D’Oria. Ma Giulia d’Aragona non fu la moglie di Federico, essa sposò invece alcuni anni più tardi Gio. Giorgio Paleologo ultimo marchese di Monferrato, il quale mori pochi giorni dopo il suo matrimonio (1). Il D’ Oria, fallita Γ impresa delle Baleari e di Scerscel, nella quale s’ era travagliato non senza danno più mesi, tornò a Genova, donde annunziando al duca di Ferrara di essere giunto « a salvamento con tutte le galere », aggiungeva: « Et circa li progressi del viaggio nostro di Barbaria, sì come la (1) Davari, op. cit., p. 83 sgg. giornale ligustico impresa fosse piccola rispetto alle forze de Infedeli, non è stato possibile far effettivamente maggior dimostratione, nè iestare vittoriosi, senza ricevere alcun danno, si come suole succedere nelle vittoriose imprese » (i). Confessione implicita dell insuccesso, coonestata dal vanto di una vittoria che in effetto non fu nè piena ed assoluta, nè grandemente profìcua. Anche al duca di Mantova dava parte del suo arrivo : Ill.mo et £cc_mo g.' mi0 0SS.mo ssendo ìitomato qua dal mio viaggio di Barbaria con tutte le gallere, Dio gratia, a salvamento, per 1’affetionata servitù che ò a V. Ecc. mi è parso fare mio debito darne a quella notitia, la quale, ceito ne sentiià quel piacere che si conviene de un affetionato come leputo esser io con V. Ecc.1·1, la quale dovunque sarò si può far di me quel capitale che faria di qual si voglia altra persona o servitole che habbi, et cussi può tenere per certo che con tutto il cuore exponeria in suo servitio et me et le poche facultà mie. Mi ralcgro grandemente del giusto ed alto titolo, del quale è piaciuto a N. S. Dio farne investire V. Ecc." come degno Principe et Sig. che è, pregando quello si degni conservarlo et aumentarlo, secondo li soi desiderij et della 111.™ sua consorte a la quale humil-mente bascio le mani. Non mi resta altro che dire a V. Ecc.ia che alla sua bona gratia racc."". Da Genova alli xxx di sett.' 1530. Di V. Ecc.'a Ser." Andrea D’Oria. Fino dall apiile, come abbiamo dalla lettera de5 22, innanzi riferita, il D’Oria s’augurava « vedere quell’altro effetto » che gli sembrava reso più agevole dal matrimonio con Giulia d’Aragona; ed intendeva certamente del titolo di duca che al marchese venne conferito da Carlo V nella sua dimora di Mantova, con diploma dell’8 aprile (2), e di cui ora con lui (1) Arch. Mod. — Lett. di Andrea Doria, 30 settembre 1530. (2) D avari, op. cit., p. 48. 192 GIORNALE LIGUSTICO si rallegrava, essendo stato promulgato l’imperiale decreto, mentre egli era assente da Genova. Se l’ira del mare non risparmio le galere di Andrea nella infelice impresa di che si è innanzi toccato, ugualmente avversa si mostrò a quelle che nel mese di novembre, provenienti da Napoli, naufragarono presso Civitavecchia. Egli, quantunque persuaso che il Duca di Mantova gii ne avesse notizia, volle tuttavia scrivergliene, anche per rinnovare la preghiera dell invio di condannati, a fine di rifornire le ciurme: 111.'"" et Ex.”· S." S.' mio oss." Penso che V. Ex. prima di adesso haverà havuto noticia del disastro intravenuto a tre delle mie galere, le quali tornando insieme con alcune altre da Napoli, sopragiunte dalla fortuna del mare et dalla notte obscurissima, furno costrette presso Civitavecchia investire nei scogli, credendosi intrare in quel porto, et perchè di tal naufragio e perdita mi persuado che V. Ex. ne haverà sentito dispiacere per la devotissima servitù mia verso quella, son anche certo gli ne debba tanto manco rincrescere, quando la intenderà tra ’l male, che dalla chiurma d’una d’epse galere in fuora, al resto delle altre due se sia quasi tutto recuperato, in modo che, piacendo a Dio, et con el fasore et aiuto delli mei signori et patroni com1 è V. Ex. spero reintegrare in breve quello che hora mi trovo mancare. Però oltra che per debito mio habia voluto di questo successo darli aviso, mi è parso anche poterla humil.v suplicare si degni farmi tanto più volentieri gratia de qualche pregione, che nel suo stato occoraranno dalla giusticia esser condennati a morte, della quale non per questo veneranno a restare excusati, ma su ne le galere forsi tante ne proseranno, quante me ritaranno li loro errori, et se anche saranno col tempo degni di re missione, non si mancarà di exeguire a punto quello che per parte de V. Ex. mi sarà ordinato, la quale contentandosi in questo caso subvenire alle cose che son più sue che mie, potrebbe comandare che fussero adrizati a Sala in potere del conte Hieronimo Sanvitalc, al quale circa ciò ho avUato opportunamente el bisogno, o vero farmi respondere quello ch’io dovesse fare, del che restarò a V. Ex. per* GIORNALE LIGUSTICO petuamente obligato, se però più me gli posso obligare di quel ch’io sono, et alla sua buona gratia sempre humilissimamente mi racj» e baso le mani. Da Genova alli v de decembre mdxxx. D* ' ' Εχ· Hum. ser." Andrea D’ Oria. Corrispose il duca di buongrado, come sempre, alla richiesta, di che si ebbe reiterati ringraziamenti dal D’ Oria, il quale avvisando nel marzo dell’anno successivo l’arrivo d’alcuni di quei malfattori, soggiungeva: « Nel canalle de Piombino è comparso una grossa armata di Barbarossa, et per servitio della M - Ces.” et del resto della Xànità li ho expedito a l’incontro tutte le nostre gallere ». Ma non ebbe luogo alcun combattimento, e senza notevoli avvenimenti passò tutto quest’ anno. Il seguente sorgeva propizio per il D’ Oria, poiché Carlo V, memore delle promesse fatte a Bologna, lo investì del prin cipato di Melfi; ed egli ne dava incontanente notizia al duca Federico : NI."· et Ecc.*" S.' mio osser." l'orsi clic V. Ecc.“ prima de adesso haverà inteso come la Ces. M.' , essendo anchor in liologna, mi fece promissione de uno stato nel regno di Napoli di sei milia ducati d’entrata, et essendole hora piaciuto compirme tal mercede , mi ha mandato la ispedicione del Principato de Melfi. Però lenendo quella servitù che tengo con V. Ecc.” mi è parso debito raguagliarla del successo, sapendo certo ne haverà piacere, si per vedere la grande demostracione et liberalità che S. M. usa verso un suo minimo ser." et un povero gentilhomo par mio, si anco per restare questo augumcnto in persona de la quale tanto più V. Ecc.’·* si potrà servire, et cussi la sup.° si degni comandarmi et tenermi in sua bona gratia, et a quella di continuo hum.* mi racc.Jo et baso le mani. Da Genova alli xxij de Gennaro MDXXXIJ. Di V. Ecc’”. Hum. ser.” Andrea D’ Orla. Gio**. Lteçuicfl· Anno XXIII. 194 GIORNALE LIGUSTICO Frattanto per gli ordini dati dall’ imperatore, eh’ era riuscito a trarre ne’ suoi disegni il papa, si apparecchiava una poderosa armata per combattere i turchi nei mari d’ oriente, aiu-t.indo cosi la guerra terrestre d’ Ungheria, invasa audacemente da Solimano, che minacciava Vienna. Il D’Oria a fermare -li accordi con Carlo, e ad attingere le opportune istruzioni aveva spedito un suo parente, Erasmo, di che è parola in questa commendatizia al duca: 111.™° et Ex.""' S." S/ mio oss. lo Occorrendomi mandare el presente Erasmo D’ Oria mio nepote alla Ces. M.'4, li ho comesso nel passare faci reverentia a V. Ex. per parte mia, açciô che se accadesse, possa servise de lui et comandarli, come può a me et a tutti li miei. Et nel resto non sarò più exteso, che di continuo humilmente alla buona gratia di V. Exracc. , alla quale baso le mani. Da Genova alli XXI MDXXXIJ· Di V. Ex. Dev.""’ ser.” Andrea D’ Oria. Erasmo giunto in corte si strinse a consiglio con 1 impe- · i* · ratore, il quale volle sapere da lui « l’opinione et 1 iuditio del sig. Andrea circa el crescere l’armata, si per passare in Spagna, come per obviare a li apparati turcheschi » (i). Re* stituitosi quindi a Genova sui primi di aprile, recò all ammiraglio « Γ ordine di far mettere in pronto le galere et altri navigli », per la designata impresa contro gli infedeli (2). Sulla metà di luglio tutto era pronto, ed egli il 13 scriveva a Mantova: « Io spera, piacendo a Dio, fra quatro giorni partirme di qu.t alla volta di Napoli et di Sicilia, dove si ha iia trovare tutta l’armata di S. M.u ». Il giorno 16 infatti ..dpò, ed errano il Bonfadio ed il Partenopeo anticipando (t Arch. Mod. - Lett. del Tassoni da Milano, 26 marzo tj}2. 2/ Arch. Mod. - Lett. deU’Angiari da Busseto 4 aprile 15*2. 1 GIORNALE LIGUSTICO *95 d un mese la partenza; ma si dovette arrestare a Portofino, donde ad una lettera del duca rispondeva: IH.""» et Ex.m° S.°r s.' mio oss.™° Per l.i lettera di xv di V. Ex."·1 ho visto el desiderio che tiene de inviare un homo suo in Spagna per la via di qua, et per haver assoldato quasi tutti li vascelli al servicio dell’armata di S. Μ.,ά, dubito che non li sia passagio per qualche giorni, però ho scritto et datto tal ordine a Genova che appresentandosi qualche forma, V. Ex. ne sarà in tempo avisata, et in tal caso venendo el detto homo suo si trovarà persone che in cambio mio li farano et daranno tutti quelli indirizi et comodità che sono informati ricercarsi al debito di mia servitù verso di quella. lo mi partei di detta città per fino al martedì che fu alli xvj, et per el tempo contrario in mare, non ho ancora potuto passare più oltre di questo loco de Portofino, distante solamente xx miglia. Però la marina dà segno di bonaza et subito, col nome de Dio, seguitarò el mio viagio, prima alla volta di Napoli, poi di Messina, et de li si piglierà risoltitionc al resto. E come già per altre mie tengo scritto a V. Ex., la suplico che in ogni loco eh' io me sia si raccordi d’ ha-'crli un sviscerato et humil ser.", che cossi alla sua bona gratia del continuo mi racc.Jl et baso le mani. De Gallera sopra Portofino el giorno XIX di luglio 1532. Di ν· E*·'* Hum. ser." Andrea D’ Oria. Compiuta felicemente l’impresa contro gii infedeli, con quei segnalati successi che accrebbero a più doppi la fama dell’ammiraglio genovese (1), se n’era tornato a Genova il gennaio del 1533, e quivi due mesi dopo accoglieva con traordinaria splendidezza nel suo palazzo l’imperatore, che reduce dalla Germania, dopo essere sostato alcun tempo a Bologna per abboccarsi col papa, si avviava in Ispagna. Fra le (i) Manfroni, op. cit., pp. 297, 198. 196 GIORNALE LIGUSTICO testimonianze di amorevolezza compartite da Carlo al D’ Ùria in questa circostanza, è a ricordare l’ordine del Toson d’oro, le cui insegne volle consegnargli di sua mano in Duomo; al qual proposito si afferma che « tanta fatica durarono i soi parenti a farli vestire un saglio di velluto per andare a pigliare Γ ordine in chiesa, che nun si può credere, et dicono che dicea eh’ esso non havea mai portato seta, et eh’ hora vecchio, non voleva comenciare; pur se lo pose » (1). Il D’ Oria accompagnò P imperatore nel suo ritorno a Barcellona , ma non fu appena giunto che ebbe notizia delle incursioni continue dei turchi sulle coste della Sicilia e della Calabria, onde si recò a Napoli con l’armata (2), provvedendo alla difesa ed alla guardia del mare, che appunto in questo tempo conveniva tanto più tener libero e sicuro, per il passaggio che doveva fare in quella città, come avvenne ada fine di maggio (3), Margherita, figlia naturale dell’ imperatore, promessa sposa ad Alessandro de’ Medici. Quindi, lasciati Cristoforo Pallavicino e Antonio D’Oria al comando * delle galere, egli si restitui a Genova, dove il duca gli inviò un agente con sue lettere, di che cosi scriveva : 111.’°° et Ecc.mo S." S.' mio oss.100 Bascio le mani a V. Ecc."·* della lettera chCmi ha scritto, et della credenza che mi ha fatto esponere dal suo ser. ", et acciochè S. M.'1 non habbi diservitio io procurare di qua in quella causa informarmene con diligentia, et se di là V. Ex. ne sentirà altro la sup.*’ a farmene dar avviso, et alla sua bona gTatia mi racc. 0 et offero. Da Genova alli xij de Julio 1533. Di V. Ecc."1 Ser.' Andrea D’Oria. La causa di cui si tocca in questa lettera, era quella promossa (li Arch. Mod. - Lett. del Turco d,i Milano, 14 aprile 1535. 12) Arch. Mod. - Lett. del Taurello da Napoli, 8 maggio 1 > 3Giuns-· a Napoli il giorno 7. (3) Arch. Mod. - Lett. del Taurello da Napoli, 30 maggio 1533. GIORNALE LIGUSTICO I97 a Milano contro il duca di iMantova, dal duca di Savoja e dal marchese di Saluzzo per la contrastata successione del Monferrato. Morto Gio. Giorgio Paleologo ultimo discendente di questa famiglia, il Monferrato, in forza del decreto imperiale 31 dicembre 1532 veniva assegnato per investitura a Margherita Paleoioga, figlia della marchesa Anna e nipote di Gio. Giorgio, sposata da Federico nell’ottobre del 1531. Perchè costui, veduta la probabilità di annettere ai suoi possedimenti quel marchesato, tanto si maneggiò che, riuscito a far dichiarar nullo dal papa il suo matrimonio con Giulia d’Aragona, stava per adempiere le antiche promesse con Maria Paleo-Ioga, quando questa improvvisamente mori, ed allora ricercò ed ottenne in moglie la sorella Margherita, ultimo fiato di quella casa. Senonchè mentre egli stava per prendere possesso dtl nuovo stato, i casalaschi si ribellarono, e occorse l’intervento del luogotenente Antonio de Leva, il quale occupò la città in nome dell’imperatore, stipulando una convenzione con la Comunità, per la quale si rimettevano le loro ragioni al giudizio di Carlo V. Si capisce che soffiavano in questo fuoco coloro che pretendevano aver diritti sul Monferrato, e fecero penare per ben tre anni Federico con dispendiose liti, fino a che. come era da prevedersi, l’imperatore diede a quest’ ultimo piena ragione. Ma proprio a quei di ben altre e più gravi faccende assorbivano tutta l’attività dell’ammiraglio. I turchi non solo continuavano a minacciare le coste d’Italia, ma, resi baldanzosi, stringevano potentemente Corone, che si trovava quasi all’estremo e invocava aiuto. Si fece l’impresa, e il D’Oria, mercè la sua sagacia ed il suo ardire la condusse a buon fine (iy, Corone fu liberata, e il prode capitano il 6 ottobre annunziava al duca il suo ritorno in patria. (i) Manfroni, op. cit., pp. km. 500. GIORNALE LIGUSTICO Nella quiete della sua casa, donde si mosse per breve tempo al cadere di novembre, a fine di condurre da Savona a Roma Clemente VII, reduce dal convegno di Marsiglia, si occupò nuovamente degli affari assai intricati, che stavano tanto a cuore a Federico. Perciò gli scriveva : IH.mo et Etx.mo s.' mio oss.mo Come più d’apresso ho inteso da li primi giorni fino a qui, li disordini del stato di Monferrato, et senza che V. Ecc.1 me 1’ habbi mai più scritto, per haveme io havut· quel dispiacere et sentimento come lei istessa, sì per lo interesse suo particolare, come per il pacifico di quel stato, ho scritto da me quello che ad ognuno si converrà fare, et se le parole mie sarano state ben intese, penso non haverano fatto se non buon frutto, ma come le opinioni delli homcni siano el più delle volte assai diverse, le cose non procedono sempre con quelli ordini et mezi che doveriano. Non di meno io non man-charò col primo modo sì per li detti respetti, come per la servitù eh’ io reputo havere con V. Ecc.* di replicarle con quella aficttione et amor che mi si convien, e così ne sia certa V. Ecc.*, alla cui bona grattala Principessa et io si racc.mo et basciamo le mani. Da Genova alli vnj di Gennaro MDXXXIIIJ. Di V. Ecc.!i* Ser." Andrea D’Oria. Non v’ era dunque alcun dubbio, il D’Oria patrocinava la causa di Federico presso l’imperatore, e Γ alta considerazione che godeva in corte, e il prestigio che si era procacciato davano affidamento che la sua parola autorevole sarebbe stala intesa, e dovesse riuscire per conseguenza di valido e potente appoggio per il duca. Il quale attestava ad Andrea tutta la sua maggior riconoscenza in questa forma: Ill.mo etc £t per ia lettera di V. Ex. di vnj di questo, et per quello che con sue me ha fatto intender dappoi il Cap.' S.' Augustino Spinola, ho inteso quanto di buona sorte ella et nanti la ricevuta GIORNALE LIGUSTICO 199 della mia habbia scritto et replicato alla M.li Ces.tJ sopra le cose di Monterrato, il che non m' è già stato nuovo, che conoscendo già buon tempo che ella mi ama non meno che se gli fosse figliolo, sì come io tengo quella in loco di Padre, non potevo se non pensare che P havesse fatto et fusse per fare optimo ufficio per me, sì come ha fatto , ma mi è stato accettissimo, et quanto più posso di cuore la ringratio, et se 1' amor singulare che mi porta patesse che io spendessi con lei molte parole in pregarla a voler perseverare nella protettone che ha delle cose mie, et nella sollecitatione della expeditione di questo negocio, mi sforzarci con una longa lettera di farlo copiosamente, ma sapendo che quanto ne dicessi seria superfluo presso di lei, non ne dirò altro, se non che aspetto il frutto delle buone opere che ha fatto et è per fare per me, il che sera a servitio di \. Ex, non meno che mia, come è ciò eh’io tengo al mondo, et a lei di buon cuore me racc.io Mant. ult. Jan." 1534. Si porse indi a poco I’ opportunità a Federico di ricambiare in qualche parte gli uffici prestatigli dal suo protettore genovese, ed egli non se la lasciò sfuggire, coive si può vedere dalla seguente lettera: 111."' etc. Avegna che io mi renda certo cho a V. S. siano talmente note le pratiche et gli trattati che si fanno contro quella città, che aviso che per me gli ne sia dato non gli possa esser nuovo, nondimeno, essendo io quel fid.r,° servo che sono a S. Ces.·1 M.u et quel buon figliuolo a V. S. che faccio professione vera di essere, non pos-o fare de non I' avertire de tutto ciò eh’ io intenda ove si tratti contro il servitio di S. M.ü et 1’ honore et Γ interesse di V. S., qual saprà eh'el conte Paulo I-'rcgoso, persona che non sa tenere in se una cosa, si ha lassato uscire di boccha con persona che poi lo ha riferito a me, che Mons.’ di S. Cesso che è a Piasenza stava lì con dodici capitani aspettando la partila delle galere di V. S., quale seguita che fosse, essi capitani, chi con cento, chi con cento et cinquanta, et chi con duccnto compagni, per diverse vie havevano da ridursi in certo luocho presso Genova , et de lì per mezzo de alcuni di dentro, con chi dise che si ha intelligentia, intrare d’improviso ne 200 giornali; LIGUSTICO la terra et occuparla. 11 che secondo che io 1' ho inteso mi è parso di significare a V. S., quale facendone affronto con quello che ha da altri luochi, potrà conoscere quello che ne è, et a posta gli ne spedisco questo cavallaro, et intendendone altro non mancharò di quello che è il debito della servitù mia con S. M.; ‘, et della observantia che ho a V. S. alla quale di cuore mi racc.J >. Da Mantova alli xxvij di feb.° 1534. E il D’ Oria rispondeva : 111."’° et Ecc.mo S.or S.' mio oss.,va La servitù che V. Ecc.*·* tiene con S. M.! è tanta et cosi manifesta, che poco o niente se gli potria aggiongere, però si per quella che anchor io tengo con S. M.d, come per la bona volontà che V. Ecc.1 mostra havere in tutte le cose verso di me, et specialmente in queste che mi ha avisato col presente suo, ne bascio a quella mille volte le mani, et li ne resto con tanto accrescimento di obligo et servitù, che non so se mai bastarò a satisfarli, ma almancho restare· con la bona voluntà et affettione di servire in ciò che potrò V. Ecc.% la qual saprà che le pratiche mi ha denotate per la sua già erano scoperte, però con persone di bassa condicione, et poco fondamento, et a tutto s' è dato quel rimedio che convenia alla conservacion di questa terra. Supp.‘° ben V. Ecc.1 che se altro ne intenderà sia contenta per tutti li detti rispetti darmene aviso. Pregando N. S. Dio la IlLmi persona di V. E. conservi et prosperi con ciò che più desea, et bascio di nuovo le mani. IJa Genova alli vj di marzo MDXXXWJ. Di V. Ecc.,u Ser.' Andrea D’Okia. E poiché indi a poco il duca era tornato sullo stesso argomento, il D’Oria gliene scriveva con maggiori particolari. Ill.mo et Ecc.™’ S." mio oss.*° , Se la mia vita valesse qualche cosa io la esporrei mille volte il giorno in servitio di V. Ecc.’, vedendo le molte mercede che mi fa di haverne tanta cura et anxia, ma essendo per 1' età di poco valore. GIORNALI- LIGUSTICO 201 non ò conv eniente che con parole satisfaci a tanto debito mio. Questa cita anchora, la quale per le dipendentie sue è tanto devota et affet-tionata a \ . Ecc.a che non meno si potria valer di essa in ogni occurrentia che de una sua propria terra. Però acciò che V. Ecc.1 possa essere certa che qui si sta con l’animo quieto, saprà che per la leggerezza di Francesi vi si è scoperto parimente un trattato che si faccia per mezzo di un fornaro che habitava fuor di questa città, il quale è stato justiciato, et de un falegname. Un altro poi che il conti I .mio con quello Georgio, quale è delli Ferrari, trattavano col mezo de un ta vernare et de un frate uscito dalla religion sua; il tavernaro ci ha scoperto ogni cosa, il conte Paulo non è mai stato nella citi ma fuor de qui aprcsso come fuggendo, et chi egli sia non durarò fatica dirlo a V. Ecc.', perchè lo conosce molto meglio di me, ma il Georgio predetto è di tanta bassa conditione, et che non ha da vivere qui a casa sua, et vale tanto poco, che se fussi ben conosciuta la mercantia sua il Cagnino nè altri non gli dariano tanto credito; questo dico a V. Ecc.* acciò che lei istessa dia giu-dicio del resto. Non si manca però di haver ogni bona cura et custodia a questa cilà, non tanto per la qualità di questi, quanto per la condicione de chi li fa operare...........Et con questo bascio le inani a \ . Ecc.”, la quale Dio faci felice. Da Genova allo primo di aprile MDXXXinj. Di V. Ecc.4 Servit." Andrea D’ Oria. 'la intorno alle trame francesi in Genova, ed a ciò che si raccoglieva dalle voci di fuori, altri avvisi, secondo il desiderio di Andrea, spedi il duca, che gli procurarono questa replica: ni.180 et Ecc.**" S/ mio oss.m" (lascio le mani a V. Ecc." delli avisi che con le sue di 22 et 23 mi ha mandato, et me resto a quella in tanta obligatione che più non potrei dire, sì per le buone demonstracione che fa in tutte quelle cose toccante al servitio di S. M.’“ et a me medesimo, corno ancho a questa citi, de la quale certifico V. Ecc.* che non meno se ne potria valere in ogni sua occorrentia, di quanto faria della sua propria 202 GIORNALE LIGUSTICO di Mantova, et di me poi come quel affettionato servitore che li sono. Quanto alle jactantie di quelli che si persuadeno certamente havere questa cità, V. Ecc.a non tenghi dubbio alcuno che le provisioni fatte qui son tale, che se ben li loro desegni et pratiche fussero manig-giate qui da persone di conditione come lor dicono, non se ne potria temere sì tanto, manco quanto importa il valor della infantaria spagnola, la quale sarà presto qui dentro della terra, o aloggiata tanto apresso in paese, che se quelli che tanto minacciano se accosta-rano, si farà ogni diligentia di farcene restare qualche parte , ma io credo che per essere maniggiate le cose loro da persone di bassiss.1 condicione, et che qui son molto ben conosciute, che la loro gloria ritornarà in niente, et tenghi per certo V. Ecc.1 che quando si volessero approssimare, che non credo, volentieri se li apriria qual porta di questa cità sapessino dessignare, per dar bon conto a maggior forza delle sue. A quel che dicono delli pochi homini che sono sopra queste mie gallere, et che io me ne anderò, quelli tali fanno il conto da loro medesimi, perchè oltra si è dato tal ordine dove bisogna, che se in Provenza et quelle bande si movesse pur un homo come non fa, se ne havria subito aviso, et se fanno gran conto delle loro gallere, queste stano talmente in ordine che da ogni ora darano bon conto di se, et se quelli che dicono diversamente andare havessero discretione, considerariano che io son vecchio et che il caminar me rincresceria, di manera che non basterà a loro fare li dissegni, perchè la importancia è per metterli in executione........Da Genova alli xxvij de aprile mdxxxiiij. Di V. Ecc.tia Ser.r° Andrea D’ Oria. Il desiderio del re di Francia di recuperare Genova era sempre vivo nell’animo suo, tal che il D’Oria ebbe spesso a stare sull’ avvisato per non essere sorpreso all’ improvviso dai tentativi volti a mandare ad effetto que’ disegni. Infatti anche di recente, nel luglio del 1533, dovette indugiarsi alquanto, prima di salpare a soccorrere la minacciata Corone, appunto per il sospetto di qualche impresa aggressiva da parte GIORNALE LIGUSTICO 20 3 delle galere di Francia; e costretto finalmente a partire, mandò da Napoli alcune navi a guardia della città (i). Fallita la speranza di assalire Genova in questa occasione, è a credere si pensasse a raggiungere Γ intento con altri mezzi, e le trame già dovevano essere ben avviate sul cadere dell’ anno stesso, nel tempo che la Repubblica, ritenendo calmato alquanto lo sdegno di Francesco I, aveva spedito ambasciatori alla sua coite , a fine di ottenere che fosse riattivato il commercio con la Francia, interrotto fino dal 1528. Le pratiche potevano dirsi già ridotte a buon punto, e non mancava che la sanzione reale, quando improvvisamente, con buone speranze, ma senza effettiva conclusione, gli ambasciatori genovesi vennero licenziati. Non si capi allora la ragione di si fatto procedere , ma scoperti poi gli occulti maneggi, si vide chiaro come il re non volesse prendere alcun impegno ufficiale, pensando all avvenire, poiché, avendo egli intenzione di operare un colpo di mano sulla città con gli accordi de’ cittadini malcontenti e de’ suoi partigiani, gii pareva forse « cosa indegna di re contrarre allora amicizia con quelli che, fra breve spazio di tempo, pensava di cercare con coperti disegni di sottoporre all’ imperio suo » (2), od altra cagione politica a governarsi in questa guisa lo consigliasse. Venuta la Repubblica a conoscere la congiura, furono carcerati Agostino Gra-nara e un tale Corsanico, i quali, riconosciuti colpevoli, pagarono il fio con la vita. Il primo che era di Sampierdarena, ed era stato poco innanzi a Marsiglia a fine di preparare con i ministri del re Γ impresa, come reo confesso venne appiccato presso la chiesa di S. Marco, quindi, fatto a brani il suo corpo, se ne infisse il capo sopra una lunga asta, esponendolo, a pubblico esempio, sulla torre del molo; l’altro caduto nelle (1) Manfroni, op. cit., p. 300. (2) Bonfadio, Annali, Genova, 1871, p. 76. 204 GIORNALE LIGUSTICO mani del D’ Oria fu di suo comando affogato in mare. Più tardi per le medesime ragioni, si trasse all’ultimo supplizio un nobile, Tommaso Sauli; decapitato nel palazzo criminale, il suo cadavere venne esposto alla vista di tutti, come terribile ammonimento per chi si attentasse cospirare contro la patria. (Continu11) A. Neri. OTTAVE SU LA CONGIURA DEL FIESCO Non è fiore sbocciato nel secolo decimosesto la poesia storica; ma ebbe certo il massimo suo rigoglio in quel cinquecento così funestato da guerre lunghe e romorose, da assedj romanamente sostenuti, da congiure varie, e tutte spente nel sangue. E ciò dava materia alla musa popolare e a quella dotta, di poter celebrare con accesi colori, per le moltitudini meravigliate, i vinti e i vincitori (i). Chi sa da quante voci furon cantate le congiure (che più dolorose tracce lasciavan di sè), nelle piazze affollate di popolo se ineggianti al vincitore, o nelle peregrinazioni dolorose dell’ esilio se piangevano la sorte del profugo. E furon molte e ardimentose le congiure nel cinquecento: quella di Pietro Fatinelli del 1543, di Francesco Bur-lamacchi del ’46; di Gian Luigi Fieschi del 2 gennaio 1547; quelle di Nicolò D’Oria, e di Paolo Spinola e di Giulio Cybo, quella contro Pier Luigi Farnese e, come sfondo, Γ insurrezione di Napoli dell’11 maggio del 1547. 11) Vedi le poche, ma buone considerazioni di A. Neri, in Atti di Stor. Patr. Ligure, 25, p. 147. Cfr. pure la bellissima prelezione di A. Medin, Caratteri e forme della poesia storico-politica italiana sino a tutto il sec. XVI, Padova, Gallina, 1897. GIORNALE LIGUSTICO 205 Ora intorno alla congiura del Fiesco, un codice beriano conserva trentacinque ottave, non sfornite d’interesse. Ben curioso c questo codice (Dbn, 2, 2, 34), miscellaneo, che, accanto ad alcune preghiere a stampa, ha le poesie male attribuite dal Viani al Bonfadio, e dopo una relazione sulla battaglia di Lepanto, il canto funerario che lamenta la morte del Fiesco. Il rapsoda contemporaneo è di parte dei Fieschi, e lo afferma, con orgoglio, lui stesso; quindi intorno a quello ch’egli dice del conte Gian Luigi dovremmo fidarci poco. Ma dopo che i documenti di Simancas e di Genova hanno sfatato la leggenda, fabbricata da’ cronachisti devoti al vecchio Andrea D’ Oria , che del nobile conte faceva un Catilina volgare, possiamo pur credere alla voce commossa del poeta, il quale dovette essere quant altro mai moderato. Non una parola, in fatti, contro i vincitori e i persecutori ha egli. Si rivolge alle anime de’ forti, cui fu ribelle la fortuna. Parlerà a loro del Conte, del quale non fu più grande Alessandro, nè Cesare sofferse di più. Nel fiore della vita lo punse desiderio di gloria; volle, per ciò, tentare audace volo, pari all animo suo, e sarebbe riescito nel-l’intento, se l’invida, morte non si fosse opposta. Ma si conobbe, s’egli altro scopo non raggiunse, che aveva in sè tutte le vii tu. « prodezza ingegno honor senno e valore ». Potrebbe paragonarsi a Fetonte. « Con sue belle astuzie e grave ingegno », egli avrebbe aggiunte alla Superba altre alme città e avrebbe, agli occhi del mondo, mostrata Genova più grande, se gli riesciva il suo disegno. Ha ben ragione, quindi, di piangerne la morte, Genova. Oltre che della terra, aveva pensato d’impadronirsi del mare: fu preso da paura il gregge marino, e timoroso che Proteo non gli sollevasse contro una ribellione, « dal letto in che dormia saltò nettuno » e « corse a veder che strano caso questo Fosse’ che molesteva i suoi confini ». Immagine che, nella concezione e nel movimento, ricorda il foscoliano « Re dell’ onde » il qual « surse per le profonde 206 GIORNALE LIGUSTICO Vie dui tirreno talamo ». C’è in più la corrispondenza del « Dio del mar » al « Re dell’onde », e, notevole, che tutt e due i poeti, quello di Luigia Pallavicini e quello di Gian Luigi Fiesco, parlano del golfo ligustico; ma, ravvicinando ciò, non abbiamo la pretesa d’aver scoperta una fonte della ode magnifica del Foscolo, nè disconosciamo il vigore e il movimento più rapido e serrato che l’imagine ha nel cantoie de Sepolcri. Balza, dunque, su dal tirreno talamo Nettuno, sul carro tirato da’ delfini, con in mano il tridente; ma nell atto che il Conte Gian Luigi, con audacia grande, s’avventa contro di lui per « menarne il carro in su l’arena », il dio, comicamente impauritosi del « gran guerriero », attuffa il carro sotto 1’ onde e il Fieschi vi rimane inghiottito (i). La sua morte li attrista, ma fors’ egli « s’è fatto Dio del mar largo e profondo » e contempla « sotto il lago averno la triforme diva » ; se non piuttosto Giove, per dargli miglior sepoltura, non ne abbia fatto, in cielo, una stella. Ma, che che si sia, ne segui cosa grave: sparsasi la voce della morte di lui, vi ognuno s’invili il cuore, ognuno cerca, con la fuga, la salvezza. Però, conte illustre, se la fortuna fece vano il magnanimo desiderio, non si può dar torto al vostro valore ! La vostra dipartita dice — lascia a gran pianto noi che seguitiamo le vostre vestige ; senza di voi, « padre agl’huomini di guerra », siam rimasti come la terra quando è abbandonata dal sole. E la « vostra bella moglie », Eleonora, ha il cor sempre in singulti e, scai-migliata, sotto nero ammanto, si dispera. E gran querele manda al cielo la « generosa madre », Maria Grosso della (i) «... volendo poi rimetter le galere nella Darsina a caso cascò nel mare, e finì li giorni suoi, nè hebbe effetto li suoi disegni » — Così, più veramente, racconta il caso l’anonimo delle Famiglie nobili, ms. beriano. (D'"'5, 3, 4) 7) c. 121, r. GIORNALE LIGUSTICO 2θη Roveie, che ha perduto «un figlio ch’era agli altri padre ». li si laceuno le vesti e si battono il petto le due suore « spose j.tcre di Christ huomo e Dio » ; ma la sorte vuole che la pietà che tutti sentono per voi sia lor cagione di morte (i). 1 iangete, afflitte donne fiesche, che non solo un conte voi avete perduto, ma con lui il piacer, con lui le feste, con lui la cortesia dell universo ! Piangete, poiché « piacer, festa solazzo e '-oitesia e le virtù raccolte in un drappello » son fuggite con iui ! E voi, anime fiere, che avete ascoltato i miei versi, ri-\edendo il Conte, ditegli, in mio nome, che, riverente, « la :«an li baccio, in arme si potente » ; ditegli che, nel mondo, il suo nome « ha pieno ogni cittade e ogni contrada » e « le bionde nere e bianche chiome » di Genova, cui egli tanto amò, lo chiamano e lo riveriscono come proprio signore. Ditegli che ia sua dipartita ci ha reso « femin’e putti », poiché la nostra gagliardia veniva da lui, « cor fierezza valor forza et ardire ». Così termina il canto funerario, ch’io vo’ immaginare di persona avvezza a trattar l’arme quanto la penna, cresciuta sotto la protezione di quel vago sire de’ Fieschi, che tra le sale pompose del Fiolato che inghirlandava la collina di Carignano, o le vie popolose di Genova industre, avvinceva a sè gli animi di tutti. Il canto del poeta adorna, col soffio delti) Il Senato genovese, dopo fallita la congiura, deliberò di rovinare « da fondamenti il magnifico Palagio de’ Conti Fieschi posto in Violato..... e dopo la resa di Montaggio furono subito scannati Vincenzo Calcagno, Girolamo Manara, e due altri servitori de Fieschi.....Nel giorno seguente, Girolamo Fiesco, Gio: Battista Verrina e Desiderio Cangialanza principali complici et alcuni officiali.....furono destinali alla morte, e gli altri, o condannati in Galea, o banditi dallo Stato. A’ dodici del mese di luglio, alla mattina, seguì l’esecuzione ». Casoni, Annali della Repubblica di Genova, Genova, 1708, pagg. 180-3. 2o8 GIORNALE LIGUSTICO Γafletto, la verità storica provata da’ documenti e merita d’esser conosciuto. Cod. Berìano, 2, 2, 34; carte 310, r. — 315 t. « Octave sopra il fatto del Fiesco ». Dott. Donato Gravino. « Anime, ch’a i disir vostri ribelle fortuna haveste et aspra morte amica, che per farve nel mondo eterne e belle non recusaste corporal fatica, voi chiamo non chi fu timido e imbelle che a l’oro un vii mettallo mal s’applica, che rara e vera gloria in pochi appare. 2 E quella maiestà eh’ in voi risplende da i chiari gesti vostri e fia in eterno, non si sdegni ascoltar, che non offende vostro valor quel che narrar discerno, anzi più honor vi porgie e lume rende, poi che nè in terra mai nè in basso inferno compagno haveste nè havere[e]te quale fu quel di cui parlar tanto mi cale. 3 E se ben so che ’l connoscete al nome non eh’ ogni sua eccellentia, ogni sua parte nè fama chiara experientia come non fu sì ardito e valoroso Marte non sì magno Alessandro, non tai some, qual egli, Cesar prese, non tal carte vergate fur, di lode così belle, più eh’ arena nel mar, più eh’ in ciel stelle. 4 Mentre de i suoi più lieti giorni il fiore godea nel mondo il suo leggiadro velo, di più fama desir, brama d’honore e di più dominar un caldo zelo GIORNALE LIGUSTICO 209 mosse suo vago e generoso cuore di poner 1’ ali e di volare al cielo, e lo facea, s’a così lieta sorte non vi s’interponea l’invida morte. 5 Non morte allui, ma morte al grand’ effetto che far vuolea che gli dà in terra vita, e se non fece il mondo a se soggetto acquisto fe’ d’ una gloria infinita, e fe’ chiarir nel so intrepido petto haver d’ ogni virtute inscieme unita, prodezza ingegno honor senno e valore ; se fortuna il tradì non fu so errore. Può equipararsi al giovane animoso che ’l carro chies’impresto al suo parente, col qual senza pigliar alcun riposo fa 1’ emispero nostro ogn’ hor lucente, che i feroci cavalli quai fu oso di pongier, poi non fu frenar possente, onde caddendo fece il fiume herede et alla terra dimandar mercede. 7 O a quel che primo a Roma il giogo misse qual fu per tante prove illustre e chiaro che alcun termine al stato non prescrisse onde pervene a quel suo fine amaro, ma a questo ardito Conte, o stelle fisse, toglieste manzi ’l tempo ogni riparo, tal che fu la sua morte in questa parte colpa del cielo e non diffetto d’arte. 8 Sol’ a considerar 1’ alto so ingegno, ben che lui morto sia, pur ci conforta che havendo fatto al gran mondo discegno sappea quanto d’ haver il passo importa, come bon capitan, eh’ udito il segno della battaglia, haver cerca la porta acciò per essa senza più sospetti entrino e suoi per depredar i tetti. Giorn. Ligustico. Anno XXIII. 210 GIORNALE LIGUSTICO 9 Bella Città, da sano re fondata, che dal suo nome pigli il tuo giocondo onde in latino lanua se’ chiamata e porti in lingua thosca, del gran mondo credeva egli, te havendo , haver 1' entrata, haver la porta e 1’ universo a tondo e con sue belle astutie e grave ingegno fe veder che i riusciva il suo disegno. !o Hor hai ben da dolerte che ’l gran Conte non habbi tratto al fin suo bello intento, ch’anchor sariano state per lui gionte tante altre alme cittadi al tuo contento, hai da tristarti e ben da piangier l’onte che ti fe’ la fortuna in quel momento quando di quel signor fece rapina che volea farte del mondo regina. 11 E per ciò far non sol la terra volse, che per poter del mar 1’ onde solcare le galee sì famose a un tratto tolse di quel signor che signoreggia il mare; d’ un tanto alto rumor gran timor colse ogni mostro marin, eh’ el mar turbare immodo fer che risvegliato al bruno dal letto in che dormia saltò nettuno. 12 II Dio del mar sopra il suo carro presto qual sopra 1' onde tirano i delfini corse a veder che strano caso questo fosse’ che molestava i suoi confini e forse hebbe sospetto manifesto che ribellato suoi greggi marini proteo tor li volese il bianco armento del qual tien’egli il scetro e regimento. 13 11 valoroso Conte oltra misura vedendo un sì bel carro immezzo Tacque e col tridente in man quella figura sedervi nuda su, sì come nacque, GIORNALE LIGUSTICO 21 I noi puotendo soffrir senza paura di torli il carro subito li piacque e con un salto che fu visto appena volea menarne il carro in su 1’ arena. Quando nettuno da sì gran guerriero sul carro armato si vide asalire nel viso sbigotito e nel pensiero, ogni sua speme pose in via fuggire, e sotto 1’ acque sì presto e leggiero attuffò il carro eh’ a voler salire non puote il Conte onde si trova preso e dal suo troppo ardir a un tratto offeso. E noi per che la morte non neghiamo che sol n’ assembra un separar di vista, tutti, ch’egli sia morto, sì crediamo onde ciascun del suo morir s’atrista ; ma che di questo giudicar possiamo forse che '1 regno di Nettuno acquista che non puotendo farsi Re del mondo s'è fatto Dio del mar largo e profondo. Da qual se sia, quand'egli non comparse all'alta impresa che ’l iacea immortale, d' ognun s'invili ’l cor, d' ognun fur scarse le forze e par eh’ognun via fuga il male; all' hor si vide in un ponto mutarse suo stato e a sua vittoria cadder 1’ ale : morto il nemico e presa la cittade non visto il Conte furo in libcrtade Come se drieto al lupo il buon pastore presso 1' ovile e seco ha il fido cane si scaglia, e con i sassi e col clamore il caccia e quel s’appiatta in scure tane, ma s' avien che ’l pastor sia morto fuore disperso il miser greggie ne rimane; tal fu al cadder del Conte eh’ il seguiva fe] di qua e di là ramingo ognun fuggiva. 212 iS Alcun vuol dir che sotto il lago averno stia contemplando la triforme diva e che al toccar la porta dell’ inferno il suo nemico all’ hor di giù partiva, lo che ’l contrario a lor parer discerno credo ben che ’l sia morto eterno viva per darli Giove sepoltura bella sei portò in cielo e vuol farn’ una stella. ì9 Se pur sei mortoIllustre Conte, et atto con tuoi bei modi ’n parte quel signore che tu volevi, anzi che t’ eri fatto, non ti rincresca esser di vita fuore, come s’im bocca il toppo havendo il gatto improvisa ruina fa cliel more, morendo con vittoria in alta impresa mi par eh’ all’ hor la vita sia ben resa. 20 E se l’alto e magnanimo disire la fallace fortuna fece vano, non vi si può imputar, non si può dire che v’ habbi offeso alcun valor’ humano che per voler nel mondo voi ferire non era in terra così ardita mano; ma un’ ellemento solo hebbe per sorte de farsene sepulcro e darvi morte. 21 A gran pianto e dolor restiamo noi che seguitian vostre vestigie in terra per che rimasti siamo senza voi che padre erate agl’ huomeni di guerra, corno se senza i chiari raggi suoi lasciase il sole in tenebre la terra che sera senza voi mai più giocondo spento il vostro valor fu oscur’ il mondo. 22 Ben di tenir il cor sempre in singolti ha vostra bella moglie e gli occhi in pianto in sospiri la bocca e i[n] crin disciolti e sempre avvolta sotto un nero manlo GIORNALE LIGUSTICO 2I3 che quei piacer le son da morte tolti quai sempre haveva havendo vi al suo canto : in qual cittade villa piano o monte fia che vi trovi un altro simil conte ? Piangendo sua bellezza si contrista qual tortorella la cara compagna che fugge il verde e sempre in secco è vista, nè in chiare e lucid’ onde più si bagna, e da quell’ ora ne rimane trista quando voi gli diceste che non piagna che quella notte sua bellezza fora o discontenta al mondo o gran signora. Ma quietative bella e con sua gloria compatite il gran duol che vi molesta che morte allui d’ una si gran vittoria pose morendo la corona in testa ; serbate voi nel mondo per memoria acciò sia cosa a tutti manifesta che essendo stata sua vostra bellezza vedano quanta fu la sua grandezza. Da mandar pianti e gran querele al Cielo ha la sua cara e generosa madre, da stracciar panni e da cambiar’ il pelo perdendo un figlio eh’ era agli altri padre. Io di dolor per lei sì mi rigelo che par che dal mio petto il cor si squadre e la sua gran pietà sì mi confonde che mi sforza pigliar il verso altronde. Ma lass’ onde voltar mi potrò, eh’ io non oda il pianto e i gridi e il duol che quelle due spose sacre di Christ’ uomo e Dio fano con 1’ altre afflitte pur sorelle di voi, Conte, eh’a udirle farien pio 1’ aspide il tigre e ogni altro animai delle fiere crudel più crudo e ciò vuol sorte eh' a molti anchor cagion fia d’ aspra morte. GIORNALE LIGUSTICO E voi, Donne, di questa inclita e rara prosapia, in cui già tanti eccelsi heroi e gran matrone fur che di preclara fama lor nomi anchor vivon tra noi itene inscieme con madonna Chiara a ritrovar le meste Donne e poi un mar con lor di lachryme spargiete poi eh’ un sì gentil Conte perso havete. Un Conte ahi fiesche Donne afflitte e meste lasso me non sol dico havete perso, ma con quell’il piacer, con quel le feste con quel la cortesia de 1’ universo : hor fia ben quel che i propri occhi dheste a lachrymar ne Timpietà summerso visto ad un tratto gir col Conte via piacer festa solaso e cortesia. Piacer festa solaso e cortesia e le virtù raccolte in un drapello con quel Conte gientil son’ ite via di lor privo lasciato il mondo fello tal che crudeltà inganno e tirania e l’altre frodi tutte il scettro d’ elio han preso onde chi peggio opra più gode eh’ or del ben sol s’ha scherno e del mal lode. E voi fier’ alme che lasciaste al mondo cotante spoglie e tanti altri trophei siavi propitio e lieto Iddio profondo poi ch’ascoltato havete i versi miei : e del gran Conte al spirto alto e giocondo se pur fra noi gli è gionto o semidei dittelT in nome mio che riverente la man li baccio, in arme sì potente. E che nel mondo il suo celebre nome ha pieno ogni cittade e ogni contrada tal che le bionde nere e bianche chiome di quest’ alma Città che si gli aggrada GIORNALE LIGUSTICO 2 lo chiamali tutti e riveriscon come proprio signor; hor s’honorata spada si cinge sol per avanzar’ honore, la morte è vita a chi honorato more. E s’un bel fin tutta la vita honora nè honor per morte mai d’ honor s’ estingue la vostra morte, o gientil Conte, ogn’ hora darà da dir’ a mille ingiegni e lingue, tal che convien che 1’ empia morte mora per voi e voi viviate d’ honor pingue di un sì onorato fin vi terrà forte vivo al dispetto et onta della morte. E se la mente vi si turha e batte d’ esser voi morto in così stran procinto ditteme, signor mio, non si combatte per vincer’ sol poi si rimette il spinto se gli è così per quelle cose fatte già connosce ciascun eh’ havete vinto e se ben poi d’ haver vinto si more non si ricerca in campo altro c’ honore. Tutto donque 1’ onor tutta la palma di voi sol è signor che come sciolta fu dal suo mortai vel vostra div’ alma con quella diede la vittoria volta e di paura e timor sì grave salma entrò nel cor di chi fierezza molta havea, dico di vostri che fur poi qual vii femin’ e putti senza voi. Però che quell’ ardir quella fierezza quel cor di drago c’havean pria nel petto non da propria virtù non da prodezza lor fu, signor : ma di voi solo effetto : che partendo da qui vostra fortezza ne seguì quel che già di sopra è detto che di quelli era quella essendo sire cor fierezza valor forza et ardire ». 216 GIORNALE LIGUSTICO CARLO V E FRANCESCO I A AIGUES-MORTES Mentre Paolo III non era riuscito a indurre nel convegno di Nizza i due grandi emuli ad abboccarsi e la conclusione della tregua decennale s’era concordata dal pontefice come intermediario , di li a un mese appena l’Europa, maravigliata, udiva che l’imperatore e il Cristianissimo s’erano incontrati non solo, ma s’ erano scambiate tante cortesie quante non si sarebbero fatte due principi da lungo tempo amici ed alleati. Perchè mai, a cosi breve distanza, un così diverso modo di procedere ? Secondo il Robertson tutto ciò fu dovuto al caso. « Pochi giorni dopo la stipulazione della tregua PImptratore s’imbarcò per Barcellona : ma i venti contrari lo trasportarono verso l’Isola di S. Margherita, su le coste di Provenza. Francesco, che trovavasi in quelle vicinanze, si credette in dovere d’ offrirgli un asilo ne’ suoi Stati, e gli propose un abboccamento privato ad Acquamorta. L’Imperatore non volle che il suo rivale lo vincesse in generosità, e si recò subitamente al luogo indicato » (i). Ma il De Leva, invece, ha chiaramente dimostrato, con la scorta di documenti inoppugnabili, che « l’abboccamento era già stato stabilito segretamente a Nizza per via di ambascia-tori e di comune consentimento » (2)· (1) Storia dei Regno deli’ Imperatore Carlo Quinto, di Guglielmo Robertson; trad. itali Milano, V. Ferrario, 1820. Tomo III, Lib. VI, s xxxviii, pag. 161 e segg· (2) Storia documentala di Carlo V in correlazione all' Italia, del Professore Giuseppe De Leva; Padova, tip. Fr. Sacchetto, 1875. Vol. Ili, Capo 3.°, § pag. 244. GIORNALE LICUSTICO 217 I due sovrani non vollero dunque vedersi e pacificarsi sotto gli occhi del papa con deliberato proposito, perchè non piaceva loro aver per testimone delle trattative d’ alleanza e delle concessioni reciproche colui, che era stato « tirato all’ abboccamento di Nizza dal particolar interesse, più che del pubblico » (i), con la speranza di ottenere vantaggi per il figliuolo Pier Luigi Farnese e di concludere onorevoli parentadi per i nipoti Ottavio e Vittoria; e che avrebbe voluto regolare ' O a sua posta la loro pacificazione , badando non si facesse « con pericolo della indipendenza della S. Sede » (2). II luogo stabilito per il nuovo convegno dovea essere Mar-siglia (3), ma fu poi preferito Aigues-Mortes come più acconcio, per essersi la Corte francese sparsa su quelle coste mentie 1 Imperatore si tratteneva a Genova col papa, che aveva voluto accompagnare fin là. Il viaggio di ritorno da Genova alle coste francesi fu, pei tempi contrarii, reso difficile assai alle galere che portavano Cesare, le quali, partite il 4 di luglio, soltanto ai 13 poterono arrivare innanzi a Mar-siglia, d onde la notte dal 13 venendo il 14, si mossero per Aigues-Mortes, accompagnate da ventuna galere francesi. Come vi arrivassero e in che modo il Re di Francia e 1 Imperatore s’incontrassero rilevasi dal documento che pubblichiamo, il quale contiene particolari curiosi di quell’ abboccamento, narrati da uno che ne fu testimonio oculare. È la (1) Lo scriveva al Duca Cosimo I de’ Medici il cardinale Innocenzo Cybo il giorno dopo aver ospitato Paolo III di passaggio per Massa, mentre ap-parecchiavasi egli stesso a partire per Nizza. Cfr. Staffetti, Innocenzo Cybo negoziatore di Cosimo 1 de’ Medici alla Tregua di Nizza ; in Giornale Ligustico, nuova serie, Vol. I, fase. 7-8, Luglio-Agosto 1896. (2) A. Cosci. L’Italia durante le preponderanze straniere. Milano, Vai-lardi, s, a. Lib. I, Cap. IV, pag. 47, nota 1. (3) Relazione di Nicolò Tiepolo tornato dal convento di Nizza, in Ar,-béri, Relazioni degli Ambasciatori veneti, Serie I, vol. II, pag. 95. 218 GIORNALE LIGUSTICO copia di una lettera scritta il 17 di luglio del 1538 da Aigues-Mortes, e spedita, per inserto, al Duca Cosimo I de’ Medici da messer Agnolo Niccolini, oratore a Roma, che avea accompagnato a Nizza il pontefice e che avea, forse, ricevuto l’originale da un suo agente, a Genova. Ragguaglio delP Abboccamento di Carlo V col Re Francesco a Marsiglia. Questa serà per farvi parte de le cosse occorse in questa nostra navigacione. Poi dipartiti di costì con tempi assai contrarij, stetemo a gionger a Marsilia sabbato passato, che fu ali XIII, dove se intezze il Re aspectar Sua Maestà in Ague Morte; del qual locho si partimo la notte in compagnia di XXI galera francieze, del qual loco de Marsiglia fu mandato al Imperatore le chiave del paeze. Giunsemo in Ague-Morte la dominica matina che fu a li XIIII. In ver le XXII hore il Re con il cardinal di Lorena et altri principali veneron cum quatro barchette sopra la capitania del Sior Principe (1) a visitar Sua Maestà, dove in gravissime cerimonie steteron lor tre, cioè Cezar, il Cristianissimo et il cardinale , soli a parlare fino a quasi la ave-maria (2). Il lune seguente, a la matina, Sua Maestà con qualche gentilhomini e li soi grandi andò ad Ague-Morte, dove fora di la terra le uscì incontra il Re, la Regina, il Delfino, cum tuta la Corte. E doppo facto quelle cerimonie convenevoli a simili principi, andorno dentro la terra in uno pallacio parato corno si deve per talli per-sonagij e disnorno, la Regina in capo di tavola a presso lo Imperator e sotto lo Imperator il Re, tutti tre da una banda da basso. Il cardinal di Lorena, madama di Vandoma e madama di la Zampa, il Delfino Duca di Orliens in un’ altra salla cum tuti li grandi. Per il resto di tuta la terra banchetti in ogni locho. Doppo disnar si danciò in palacio; poi lo Imperatore cum la Reina e Re steteron tuto il giorno insieme parlando. Dormirno ly e steteron (1) Andrea D’Oria, (2) Alle ore XXIV. GIORNALE LIGUSTICO 219 il martedì fino al tardi, che Sua Maestà si venne ad imbarcare accompagnato da il Re, Delfino, cardinal di Lorena fino a galera; poi esso Re si tornò al prefacto loco di Ague Morte. Si ha per certissima cossa sia fra loro concluza una bonissima pace attento le caresse seguitte fra tuti loro. Si dice esso Re voleva cum le sue galere accompagnare Sua Maestà fino a Barselona, però che Sua Maestà non volse. Si dice questo anno venturo si farà una grossissima airnata per Levante ; qualcheduno pensa li anderano tuti doi. Le vittorie di trar artelarie et altre cosse seguitte consideratele voi. Dal porto di Ague Morte ali XVIJ di luglio. (fuori) Copia d’una lettera di Ague Morte de XVIJ di luglio (1). I ministri del Cristianissimo e quelli di Cesare s’ intrattennero insieme come avean fatto i loro sovrani, che parvero veramente convinti di aver stabilita una perfetta pace. Sul cadere dell anno appresso Carlo V otteneva da Francesco I il permesso di attraversare la Francia per recarsi, più presto che fosse possibile, a domare la ribellione di Gand e, sui primi del 1540, alla proverbiale lealtà del Re affidava nelle delizie di Fontainebleau e di Amiens la sua persona e il suo onorte. Ma i dieci anni di pace che 1’ Europa potea ripromettersi dall’ essere la tregua di Nizza confermata e mutata in vero pacifico accordo nel convegno di Aigues-Mortes furono un vano desiderio ; infatti da quella inaspettata riconciliazione, favorevole ai disegni del Re Francese, che intendeva giovarsene a sgravio della sua lega col Turco, e non meno propizia agli intendimenti di Cesare per concordare la Germania, dovea, prossimamente, tornarsi alla guerra con l’audace e impetuosa aggressione dei Francesi in Piemonte nel 1542. Massa. Luigi Staffetti. ( i ) R Arch. di Stato in Firenze, Arch. mediceo, Carteggio di Cosimo I, fi!. 334. 220 GIORNALE LIGUSTICO CONTRIBUTO ALLA STORIA DEL TEATRO IN LIGURIA LE RAPPRESENTAZIONI SACRE IN CHIAVARI E RAPALLO (i) PARTE I. Nell’ Umbria mistica e pittoresca, che alternata da valli profonde e da erte montagne sembra chiamare alla chiusa meditazione e all’estasi contemplativa, all’ombra delle torri di Assisi e dei boschi lussureggianti, dove, al dire dell’Ozanam, dovea nascere il canto d’un amore migliore, umili fraticelli avevano intonata la laude sacra, inneggiando a Dio, alla Madonna, ai Santi e alla natura, cosi splendida colà nelle sue stesse ruvide bellezze montane. Una poesia, malata di misticismo, ma pur sempre poesia, vergine e serena, si elevava nell’inizio di quel periodo medievale, mare sempre misterioso e profondo, di cui, nonostante le fatiche di tanti studiosi, non si sono scoperte se non che poche spiaggie e queste eziandio non bene descritte, nè v’è speranza si possa mai conoscerle appieno. Un poverello glorioso, serafico in ardore, nato a pensieri contemplativi ed a sensi di universale amore, celando sotto la scorza del Santo 1’ eroe che amava, benediceva e soffriva, dotato d’un cuore schiuso alle più vive impressioni (2), errava per 1 Italia, elemosinando e cantando « povero ed umile fra- (1) Conferenza tenuta il 24 gennaio 1898 nei locali della Soc. Lig. di St. Patria. (2) Gòrres. Fr. von Assisi ein Troubadour, Strasbourg, 1829; Fr. von Assisi ein Heiligenbild, von D. K. Hasc, Leipzig, 1856; Ozanam, Les Poètes Franciscains en Italie au XIII Siick. Paris 1852. GIORNALE L1GUSTIGO 221 che ìistotò, ripulì, rimise in fiore la disciplina cristiana trascorsa e arrugginita dalla barbarie dell’età precedenti, richiamando i cristiani istituti alla santità dei principii » (i). * Chiavali, che come la vicina Rapallo, erano stazioni di romeaggio ed attraversate dalla strada romana, ebbe 1’Onore di ospitare per ben due volte questo benemerito campione della religione e della patria, poeta dell’amore e del sentimento, santo dalle idee cavalleresche, che volle avere una dama, cui servire, e si scelse la povertà, il trovatore di Cristo, nel quale si confondono insieme e cavalleria e misticismo, e che chiama i suoi compagni giullari del Signore e paladini della Tavola Rotonda (2). Il Buschi, che terminò di scrivere gli Annali Chiavatesi nel (3); afferma che S. Francesco andò due volte in Chiavari, che nel 1219 fondò il suo primo convento nelle Cadè, e che poi la ristrettezza e povertà ne faceva desiderare uno più capace, onde nel 1223 ripassando, trovò inoltrata la fabbrica e vi istituì il terzo Ordine. Chiavari riconoscente prese a protettore detto Santo, onde ^ 5 g*ugno del 1520 il Doge Ottaviano Fregoso confermava le regole del Monte di Pietà chiavarese, fatte « al nome e laude dello onnipotente Dio e de la sua madre Vergine Maria e de li Beati Io. Baptista e Francesco patroni e protectori de Cla-varo » (4). E, quando il 25 agosto del 1612 il Consiglio mag- io Gioberti, Il primato ecc. (2) Bartoli, Storia della Letteratura Italiana, Firenze, 1879, Tom. II, pag. 188 e fonti ivi accennate. (3) Annali di Chiavari, M. S. alla Biblioteca della Società Economica di Chiavari. (4) M. S. segnato 567, Sala 57, Archivio di Stato in Genova. — Anche un codicetto in pergamena della Biblioteca della Società Economica di Chiavari contiene gli atti della Riforma di quel Monte di Pietà, e nella copertina reca 222 GIORNALE LIGUSTICO giore dei trenta e il Consiglio minore dei cinque di Chiavari, supplicò il Senato genovese di far mutare i Francescani in Riformati, ricordavano che il monastero « in questo luogo ha havuto principio dal proprio santo » (i). Anche Guglielmo Fieschi dei Conti di Lavagna, avendo assistito in morte S. Chiara in Assisi nel 1253 insieme con suo zio Papa Innocenzo IV, volle erigere un altro monastero^ per monache francescane dette di S. Damiano, sul territorio di Bacezza in Chiavari, che intitolò dalla sua diaconia di S. Eustachio e al quale prepose per abbadessa la cugina Cecilia Sanvitale, venuta espressamente da Parma (2). Inoltre la chiesa di San Salvatore di Lavagna, ora monumento nazionale, era stata edificata d’ ordine d’Innocenzo IV per i frati minori, avvisandomene uno squarcio dell’annalista parmigiano Fr. Salimbene. Questi, discorrendo del pontefice sullodato, che tolse origine dalla fiumana bella, che Intra Siestri e Chiaveri s’adima dice : « Liberalis homo fuit valde ut patet in regula fratrum Minorimi quam declaravit et in aliis multis. Fratres minores semper tenebat secum in magna quantitate quibus et pulcrum locum fecit et pulcram ecclesiam in qua apud Lavaniam quae terra sua fuit XXV fratres Minores semper tenere volebat quibus providere volebat tam m libris quam in aliis necessariis. Sed fratres Minores noluerunt suscipere et sic Papa aliis religiosis dedit. » (3). Al movimento mistico dei Francescani, tanto accentuato in da una parte otto piccole storie di Gesù, dell’Annunziazione alla Flagellazione ed è opera del legatore Viviano da Varese. (1) Iurisdiclionalium, Busta 1 bis-1334, Arch. di Stato in Genova. (2) Cronache di Fr. Salimbene in Mon. Iiist. ad Provincias Parmensem et Placentinam pertinentia, 1857, pag. 27 e 28. (3) L· c-> pag· 251. GIORNALE LIGUSTICO 223 Chiavari, ed ai quali siamo debitori del primo saggio di rappresentazione della Natività, avendo preso le mosse i Pre-sepi (1) e da questi, come fiume da sorgente, tutte le sacre famiglie della scuola pittorica genovese e opere gentili di scul-tuia, si in marmo come in pietra nera di Promontorio, altro movimento seguì a breve distanza più rumoroso, portando nel- 1 ardore della fede un risveglio non solo nell’ itala contrada, ma, sorvolando e monti e vallate, uscendo dai termini d’Italia, invase la Provenza, la Borgogna, la Germania e la Polonia, andando 1 ultimo flotto, come ben osservano il D’Ancona ed il Bartoli, (2) a rompersi sui lontani lidi della Scizia. (1) Nel nostro popolo, scrive il Belgrano (Archivio Stor. Ita}., Serie III, Vol. XV, pag. 418) «dura viva tutta via la memoria del Presepio parlante di maestro Stefano, che si rappresentava ancora nelle prime decadi del secolo volgente ed era, per quel che raccontano i vecchi, una continua offesa alla storia non solo ma al buon senso. » Valga poi il seguente bigliettino anonimo, giunto al Senato e sconosciuto al Belgrano. Ser. vii Signori Vi sono Presepi dove si fanno delle recite che sono non proprie al Santo Mistero con fare pagare soldi due a chi li vede e così si fa mercimonio al Santo Mistero della nascita di Gesù Cristo: quando si giudichi providenda si din ordine a che questo abuso sia tolto. y Gennaio. Letto a Ser.mi Collegi. Proposto che sia di sentimento di prendere qualche provvedimento. Latis calculis nil actum. (Biglietti di Calice, Busta I, Arch. di Stato in Genovai. In un inventario della chiesa di N. S. delle Grazie, redatto il 18 Agosto 1495 trovansi..... vestes duo prò regibus sive magis (Atti del Not. Andrea de Cairo, filza 49·, Parte I, foglio 232, Arch. id.). Anche nella chiesa di S. Donato esisteva la cappella dei tre Re Magi, dove eseguivasi un artistico Presepio. La cappella fu dotata di apposito cappellano dal patrono Stefano Fieschi-Raggi in virtù del suo testamento, fatto il 29 Novembre 1554 (Atti del Not. Gio. Battista Mollino, Filza 1.*, Arch. id.). (2) D’Ancona, Storia del Teatro Italiano, pag. ni ; Bartoli, 1. c., Vol. II, pag. 205 e fonti ivi citate. 224 Il Giustiniani cosi discorre di questo avvenimento: « E l’anno di mille ducento sessanta.....si levarono in la città di Perosa una moltitudine d’huomini, i quali andando nudi per la città e con le scuriate si battevano crudelmente le proprie carni ; invocando la nostra donna e pregandola che li volessi impetrar venia dal suo figliuolo dei peccati loro. E si diffuse questa setta di disciplinanti quasi in tutta Italia.....E si partì da Tortona Sinibaldo degli Opizoni, eh’ era stato rettore di quel popolo e venne a Genova con grandissima compagnia. E lassate le vestimenta in la chiesa di S. Francesco, andavano nudi per la città battendosi e gridando, come è detto di sopra. E poi si gettavano in terra, gridando « misericordia, misericordia, pace e pace ». E in la città si parlava variamente ed alcuni dicevano « questo è buon segno ». Ed alcuni dicevano eh’ era cattivo ; ed alcuni altri dicevano « chi si vuol battere si batta, eh’io non mi batterò mai ». E molte altre cose si dicevano. E tutti nondimeno restavano ammirati e quasi stupefatti. E per spazio di tre giorni questi disciplinanti ebbero poco o niuno seguito; ma poi si commosse il cuor delle persone, e tutti i cittadini si riducevano in le lor chiese, e, lassate le vestimenta, andavano battendosi, visitando le chiese delle città e dei borghi e così continuarono tre giorni. E successero per causa di questi disciplinanti molte buone operazioni religiose e pietose, sia in la città, sia in tutto il distretto nel quale si diffuse questa disciplina. E questo si può credere che fussi il principio e 1’ occasione di edificare in la città le case ossia gli oratorii dei battenti dedicati alle sette opere della misericordia » (i). L’annalista dice chiaramente che i disciplinanti lasciarono le vesti nella chiesa di S. Francesco di Castelletto, il che prova come essi, originati nel 1258 tra le popolazioni dell’Umbria, commosse alla voce di Raniero Fasani (2), avessero una protezione in quell’ordine, che nell’Umbria ebbe culla. (]) Annali della Rep. di Genova scritti da Mons. Giustiniani, Genova 1854, ed. Canepa, Vol. II, pag. 426. (2) Ernesto Monaci, Appunti per la Storia del Teatro Italiano, in Rivista di Filologia Romanza, I, 4. giornale ligustico 225 * I! G,scardi (1) afferma che il primo degli oratorii dei discip manti, che si aprisse in Genova, fu presso la chiesa di ™ 1 anno T2(,2> 11 scendo in S. Tomaso lo stesso anno 1262e distrutto nel 1500 per la fabbricazione delle mura della citta, il terzo in S. Andrea nel 1262 e che gli altri oratorii sparsi nei quartieri della città ascendevano al numero di venti. , °a Una llte’ che sui Primordii del secolo scorso vertiva tra l’oratorio dei S. Giacomo e Leonardo di Prè da una parte e la commenda dei cavalieri gerosolimitani dall’altra, risulta che, istituitasi m Genova la congregazione dei disciplinanti, fu detto oratorio il primo ad abbracciare tale istituto. E il compilatore della monografia storica, inserita nella lite, aggiunge che i disciplinanti aveano tomba speciale coll’epigrafe. t MCCLXXXIII Sepulchrum confratrie — Sancti Iacobi et Sancti Leonardi - quod fuit factum in Prioratu, - Benedicti Augustini qm. Marci Egidii Prioris gratissimi (2). Per cura delle Clarisse di S. Caterina di Lucoli, governate da irati minori, sorse il grande oratorio detto dell’Acquasola, già ricordato in una bolla scritta il 15 Maggio 1272 da Gregorio IX (3). Il terreno sul quale vennero gettate le basi di questa grandiosa Casaccia, apparteneva ai Doria (4). (1) Origini e successi delle Chiese, Monasteri etc. di Genova, M. S. del 1750 alla Biblioteca dei Missionarii Urbani in Genova. (2) M. S. segnato N. 550 all’Arch. di Stato in Genova. (3) La bolla è diretta al prevosto di S. Salvatore e all’arciprete di La-\agna e manca nei Regesti (Poch. Miscellanea di Storia Ligure, VoL V, Reg. 2.°, pag. 5, M. S. alla Biblioteca Civico-Berio). (4) Infatti il 22 Luglio del 1322 un tale Lombardo Cassaio del Molo lasciava L. 6 domui disciplinatorum Ianue que est super solo domini Corradi Aurie in centrata Aquazole. E in un atto del 9 Settembre 1347 è nominata Domus magna disciplinatorum qui se ajrigunt oh reverentiam Passionis domini (jjokn. Ligustico- Anno XX1IJ. 22 6 GIORNALE LIGUSTICO Ciò non di meno i disciplinanti non furono ufficialmente riconosciuti in Genova se non nel 1306, onde lo Stella dice che in detto anno.....aulae disciplinae. Ianaae coeperunt. . . (1). E nell’ introduzione dei capitoli della compagnia di disciplina di Palermo (2) i compilatori lasciarono scritto: « Cumzo sia cosa ki congregati per lu bonu statu di la dieta cum-pagnia in lu dictu loeu avessimu truvatu li capituli di flurenza e killi di la cumpagnia di Sanctu dominicu di ienua facti in li milii CCCV1 a li 20 di marzu » (3). nostri (Atti del Notaio Ugolino Cerrino, pag. 22 e del Notaio Rollandino de Manarolia, Arch. di Stato in Genova). (1) Georg ii Stellae Annales in Muratori, R. I. S., Tom. XVIII, coi. 1174. (2) Furono pubblicati nel 1891 da Giacomo De Gregorio, Tip. Clausen. (3) Il Belgrano, facendo tesoro di questa spigolatura nel Giornale Ligustico d’Archeologia, ignora dove sia stata la Compagnia di S. Domenico. Rispon diamo con alcune note, forniteci da un confratello della confraternita dei disciplinanti di S. Giovanni Battista e di S. Maria di Castello, scritte nel 1 395-Egli racconta che nel 1343 uno stuolo di disciplinanti si istituì in Morcento, di dove l’anno appresso passò ad abitare una casa di proprietà dei canonici di Castello dove stettero per anni 5. Quindi acquistarono una casa presso la chiesa dove stettero per 17 anni, e, lasciandola a donne disciplinanti, nel 1365 passarono vicino a S. Silvestro. L’anonimo autore della monografia storica aggiunge che prima congregatio fratrum discipline de lamia fuit con stituta in civitate Ianuensi in quodam loco Domus fratrum. Predicatorum anno Domini Nat. 1306 de mense martii (M. S. segnato N.° >5 5> Arch. di Stato in Genova). Detto manoscritto contiene inoltre parecchi decreti del Senato genovese intorno alle Casaccie, tra i quali uno del 28 Gennaio i597j c^e v*eta sindaco, priore e sottopriore di ciascun oratorio di aver meno di 40 anni pei ottenere dette cariche. Con altro dell’ 8 Febbraio 1638 il Senato lanienta-vasi che « etiandio nelle cose spirituali incaminate per il cullo e servitio di Dio si vanno introducendo de mali abusi e che tra le altre cose quando si Ja 1’ estrazione degli oratorii per dare ad ogniuno il suo luogo nell’ uscita che si suole fare nel Giovedì Santo anco in questo modo sono stati soliti di fare scommesse e giuochi illeciti ». giornale ligustico E non solo i disciplinanti di S. Domenico ma altri ancora avevano speciali capitoli. Il seguente documento fa menzione di essi. ^ In nomine Domini Amen. Pagnus de Luca merzarius in contrata Sancte Tede locavit et titulo locationis concessit Andaro de Clavaro fiho Stephani priori Bartholomeo de Sancto Dominico calegario sub-Pnori et Anthor>ino de Sexto scutario consiliario (i) societatis illorum qui se afligunt ob reverentiam Passionis Christi in infrascripto loco quoddam hedificium domus ipsius Pagni cum vachuo et terra pertinenti ipsi domui posite in contrata Aquazole super solo sive terra ecclesie Sancti Stephani..... a kalendis maii huius mensis usque ad annos duos tum proxime venturos.....Insuper dictus Pagnus sub mutuo et in custodia et guardia dedit et concessit eis res infrascriptas custodiendas salvandas et gubernandas per ipsos usque ad annum unum proxime venturum scilicet altare unum de lignamine cum maiestate et imagine Passionis Corporis Christi in quodam armario toàgia cum toaiola una recamata bistelum unum bancam unam pro sedendo librum unum de pergameno in quo scripta sunt capitula dicte societatis et rexentarium unum de ramo cum catena..... Actum Ianue in plathea Sancti Georgii in angulo domus Manfredi Venti. Anno Dominice Nativitatis Millesimo CCCXXXXVI Indicione xiii die xxi madii ante terciam (2). A Chiavati i frati Minori verso il 1263 eressero presso la lor chiesa un oratorio per i battuti, tanto è vero che il 27 Ottobre del 1463 confessano detti disciplinanti di S. Fran- ti) I Battuti erano retti e governati da un priore, da un sottopriore e da appositi consiglieri. Ciò ricavasi pure dal testamento di tal Leonardo da Portomaurizio, fatto Γ 11 Aprile 1333, il quale lasciava L. 10 in meliorando et exaltando domum verberantium se in domo Sancti Siri distribuendas per priorem et subpriorem et consiliarios dicte congregationis dictorum verberantium se in dicta domo prout dictis priori el subpriori et consiliariis videbitur. (Atti del Not. Tomaso Casanova, Registro VI, Arch. di Stato in Genova). (2) Atti del Not. Guidotto de Bracelli, An. 1345-53, Parte I, pag. 930, Arch. id. 228 GIORNALE LIGUSTICO cesco a Fr. Stefano da Novara, guardiano del convento chia-varese, che sul terreno di detto convento, or sono 200 anni, era stato da essi edificato l’oratorio (1). Da ciò emerge appariscente il nesso di affinità tra 1 Ordine dei Minori e la fondazione dei primi oratorii dei disciplinanti. * ^ & L’entusiasmo religioso di questi battuti generò « quelle rozze composizioni, ingenua, ma vigorosa espressione del sentimento delle turbe, che le cantavano dum se verberando incedebant, che assunsero nome di Laude ed ebbero dapprima indole e forma lirica » (2). La Laude o Cantio Poenitentium, recitata alternativamente a dialogo dai confratelli, detti perciò Laudesi, vuoi che secondo Ernesto Monaci, il fortunato scopritore delle Laudi drammatiche umbre, sia stata composta traducendo, ovvero imitando drammi liturgici latini, vuoi che secondo il D’Ancona si ri-connetta ai testi evangelici delle lezioni rituali (3), assunse nuova forma e proprio nome di Devozione, e questa, percorrendo diversi stadi di evoluzione, si avviò a diventare, come fu più tardi, Sacra Rappresentazione, la cui origine il Bartho-lomaeis (4) ama trarre oltre che dall’ antica liturgia drammatica, anche da certe costumanze fregiative, come quella della Befana in Roma (5). Ma, se i drammi liturgici, continua il D’Ancona, furono soltanto norma ed esempio alle laudi (1) Atti del Not. Lazaro Canevaie, Arch. distrettuale di Chiavari. (2) Francesco Torraca, Discussioni e Ricerche Letterarie, Livorno 1888, pag. 91. (3) Torraca, id., pag. 92. (4) Ricerche Abruzzesi in Bullettino dell’Istit. St. It. N. 8, An. 1889, pag. 161. (5) Una delle più belle costumanze fregiative in Genova era quella che si svolgeva a metà quaresima sulla piazza di Banchi e che era tutt’ ora in voga nel secolo scorso. Un fantoccio, ripieno di dolci e frutta veniva vestito GIORNALE LIGUSTICO 229 drammatiche, un altra tonte immediata e diretta è da rinvenirsi a queste ultime, oltreché nelle lezioni proprie alle feste ecclesiastiche, anche in certe scritture ascetiche degli ultimi tempi dell età media, le quali, sebbene composte da uomini di grande dottrina teologica, 0 ad essi attribuite, erano tali che facilmente comprendevansi dai men dotti e trovavano un eco profonda ne’ semplici cuori del volgo. Tale sarebbe ad esempio un Pianto della Vergine Maria, malamente attribuito a S. Bernardo (1), e dal quale scorgonsi le strette rassomiglianze con una laude drammatica del Beato Iacopone da Todi. E in un piccolo codice in pergamena, che conservasi nell’Archivio capitolare di S. Lorenzo, dove sono registrate alcune bolle di Leone X in favore dei canonici di S. Giovanni il vecchio, trovasi appunto questo Pianto. La pagina prima reca una bellissima miniatura di S. Bernardo e sotto ad essa Incipit Plantus Bernardi de doloribus Marie et Planius Beale Marie Virginis in Passione Christi. L elemento francescano, fautore come dissi in Genova e Chiavari dei battuti 0 laudanti, non fu certamente estraneo alle Rappresentazioni Sacre. * * * Il tedesco Lange scoperse ad Oxford una rappresentazione liturgica entro un rituale già della chiesa di S. Pietro di Sutri. da monaca e preso addirittura d’ assalto con sassi, torsi di cavolo, buccie di limone ecc. Chiamavasi batter la monaca e la festa era accompagnata da suoni, canti ecc. in mezzo ad un popolo, che faceva una gazzarra indiavolata. (1) Comincia Quis dabit capiti meo aquam et oculis meis imbrem etc. Due antiche traduzioni italiane col titolo 11 pianto della Vergine e la Meditazione della Passione secondo le sette ore canoniche, opuscoli attribuiti a S. Bernardo furono stampati a Firenze, Pizzati, 1837. Questo Planctus fu ascritto anche a S. Agostino e a S. Anseimo, indicandosene antichi volgarizzamenti francesi e provenzali nel Bullettin de la Société des anciens textes français, 1875, pag. 61. 230 GIORNALE LIGUSTICO È del secolo XIII, ma il Lange afferma che più antica doveva essere la usanza rappresentativa e che il manoscritto è copia di originale più vetusto (1). Se questa osservazione è giusta, il codice sutrino ci presenta il tipo più antico di Sacre Rappresentazioni in Italia. Il D’Ancona (2) però, parlando con quella competenza, che tutti gli riconoscono, delle origini del dramma sacro in Italia, nota che i più antichi ricordi, che abbiansi di spettacoli religiosi, non vanno più addietro del XIII secolo, e che Apostolo Zeno (3) fu primo a far osservare come nel 1244 (4) venisse fatta in Padova una rappresentazione sacra, correndo la lesta di Pasqua, nel Prato della Falle, dove già prima aveano echeggiato le grida di giubilo di cavalieri e dame, di donzelli e di giocolatori. E il D’Ancona (5) sulla scorta di incontrastabili documenti continua a discorrere di altro simile spettacolo, che nel 1257 facevasi a Siena, come pure il De Bartholomaeis (6) ricorda la rappresentazione della Risurrezione data nel 1267 al cospetto del Doge di Venezia. Di nuovo il D’Ancona (7) registra altra memoria del 25 maggio del 1298, appartenente a Cividale del Friuli dove in die Pentecostes et in aliis duobus sequentibus diebus facta fuit repraesentatio ludi Christi..... honorifice et laudabiliter per clerum civitatensem..... (1) Rivista critica della Lett. Ital., Anno III, n. 2; De Bartholomaeis, Ricerche Abrasesi, 1. c., pag. 168. (2) L. c., Vol. I, pag. 87. (3) A. Zeno, tìiblioth. eloq. ital., Venezia, 1753, I, 488. (4) L’ Ebert (Sludien \ur Gesch. des mittefalter. Dramas. in Iahrb. für rom. u. engl. Liter., V, I, 1863) corregge giustamente la data del 1243 fornita da parecchi, il che fa pure il Bartoli (1. c. Vol. II, pag. 213,. (5) L. c., pag. 87. (6) L. c., pag. 166 e Cronaca di Venezia, Firenze 1847, pag. 569. (7) L. c., pag. 91 e Bartholomaeis, 1. c. Vol. II, pag. 216. GIORNALE LIGUSTICO A questi pochi documenti, che formano il caposaldo dei più antichi spettacoli religiosi, son lieto di aggiungerne un altio, che occuperà non solo nella serie breve delle surriferite memorie un posto onorevole per antichità in Italia, ma costituirà altresi il ricordo più vetusto di tali Rappresentazioni in un giazioso lembo, dal ligustico mare baciato. L erudito genovese Gerolamo Boccardo racconta che nelle campagne della Liguria e del Piemonte « si fanno ancora oggidì gotiche e paganesche processioni nelle quali la Madonna, i Santi o le Sante appariscono in vera mascherata co’ loro emblemi e con segni del martirio » (i). 11 D Ancona (2), riferendo lo squarcio del Boccardo, aggiunge che fino al 1867 in Rivarolo di Polcevera rappresen-tavasi col titolo di Similitudine una Passione divisa in quattro giornate. Nella domenica delle Palme facevasi sul piazzale l’ingresso di Gesù in Gerusalemme, nel venerdì la Passione divisa in 5 atti, cominciando dal sinedrio fino alla Crocifissione, con moltitudine grande di personaggi e prospettive sceniche di grand efletto. Finalmente nella Domenica davasi lo spettacolo della Risurrezione con musiche e apparizioni di angeli. Eguali rappresentazioni, continua il D’Ancona, facevansi anche in altri paeselli della Liguria, come nella chiesa di S. Margherita di Marassi presso il Bisagno e nell’oratorio di Gavi. E il Belgrano : « Noi non intendiamo già dire che presso del nostro popolo assai più vago di spettacoli di quello che per avventura siasi fin qui pensato, difettassero al tutto le figure, i vangeli, i misteri, gli esempi, le storie e così in una parola quel complesso di teatro ascetico che fu quasi il solo del medio evo e con cui s’intese precipuamente a rendere popolari i fatti delle sagre scritture nonché le gesta dei Santi. {b) Stigli Spettacoli t Giuochi pubblici e privati, Milano, 1857, pag. 222. (2) L. c. Vol. II, pag. 222. 232 GIORNALE LIGUSTICO Alcuni indizi comechè posteriori a gran pezza non ce ne lasciano dubitare, e siccome varie memorie del secolo XV ne additano i Genovesi a cogliere palme fuori di patria in siffatte discipline (1), così ci fanno intendere che pur li vedremmo quivi esercitati nelle medesime, se i cronisti si fossero mostrati meno incuriosi nel registrare quei fatti, i quali a ver dire per lungo volgere di secoli si stimarono da nulla nella storia civile dei popoli » (2). Non iscorandomi Γ asserto di coloro, che giurano essere ornai spigolato ogni archivio e ogni più importante documento dissepellito, mi venne vaghezza di sfogliare i registri più antichi dell’Archivio Notarile Distrettuale di Chiavari. Le pazienti indagini non furono infruttuose e in fondo al-1’ultimo quadernaccio del Registro 1404 degli atti, rogati dal Notaio Nicolò Rivarola, m’imbattei in una cartina volante, che reca in caratteri dei primordi del secolo XIV queste note cronologiche : MCCLXXVIII. Captum fuit Clavarum per Marchiones Malaspine W1CCLXXX. Fuit ludus de tribus Mariis in Clavaro. MCCLXXXXXV. Fuit prelium in Clavaro inter Guelfos et Ghibel-linos. MCCCVII1 mense maii. Fuit prelium magnum in Clavaro inter Guelfos et Ghibellinos et multi de parte Guelfa mortui fuerunt et Dominus Odoardus qui veniebat in subsidium Guelforum cum magna comitiva gentium dearmatus fuit in arena Burgi Clavari juxta flumen Lavarne mortuus et die dominico XXV Augusti fuit prelium in Ianua inter illos de Auria et illos de Spinulis tunc de Ianua exierunt Aurie (1) Tra i liguri, ai quali accenna il Belgrano, emerge il Laudivio de Nobili da Vezzano, famigliare di Papa Nicolò V, il generoso mecenate degli studiosi. Il Laudivio, colla tragedia De captivitate ducis Iacohi è uno dei pochi, che stia alle origini del teatro italiano a dimostrarci per quali vie 1’ angusta tradizione classica abbia potuto sovrapporsi alla vivace fioritura, che il dramma spirituale ebbe raggiunta nel Medio Evo. Così il Braggio nella sua monografia Una tragedia inedita del Risorgimento nel Giornale Ligustico à'Arch. An. 1884, pagg. 50 e 76. (2) Ardi. Stor. Ital. Vol. XV, Serie III, pag. 417. GIORNALE LIGUSTICO * 253 Grimaldi et Flisci et per Venetianos fuerunt in Potestacia Clavari combuste domus D et ultra..... (1). Della presa di Chiavari nel 1278 parlano gli annalisti Oberto Stancone (2) e il Giustiniani (3), il che pone in rilievo l’impronta di veracità della cartina volante. Nel Ludus de tribus Mariis si riconosce ben tosto una di quelle Sacre Rappresentazioni, di sopra accennate, che traevano la sorgente da qualche Mistero della Passione di N. S., e che, ravvivate sempre da lampi di affetto, facendo corredo a festività religiose, furono il preludio del nostro moderno teatro. Da un simile rottame di antichità, vivente reliquia però di consuetudini secolari, rispettato dall’ala edace del tempo, si può facilmente costrurre um ampio edifizio, ben lasciando ad altri congetturare se questo spettacolo fosse in Chiavari già in grado di avanzato sviluppo, 0 se si svolgesse sotto l’atrio della chiesa parrocchiale di S. Giovanni Battista, dove in quel tempo il podestà di Chiavari e di Lavagna (4) esercitava la giustizia, oppure nell’ oratorio accennato di S. Francesco, o in (1) Queste note cronologiche son pure riferite dal Buschi negli Annali citati e al Ludus de Tribus Mariis pone la postilla « non capisco che voglia dire ». Lo stesso fece il Poch, il quale ci diede un estratto del Buschi (Miscellanea citata, Vol. IV, Reg. II, pag. 43). Comunicata la nota a quel valente cultore delle patrie memorie, che è il Prof. Gerolamo Rossi, ne fece tesoro nel suo erudito lavoro Glossario Medioevale ligure. (2) Oberti Stancok'i, Annales in Pertz, Monumenta Germ. etc. Vol. XVIII, pag. 286. (3) Annali citati, Vol. II, pag. 454. (4) Dopo che nel 1190 Genova scelse un podestà forestiero, non tardarono le riviere ad essere divise in altrettante podesterie, onde nel 1209 si ha notizia di Ugone Embriaco, podestà di Rapallo e Cicagna, Chiavari e Lavagna, il quale amministrava la giustizia in Rapallo presso la chiesa di S. Stefano (Foliatium Notariorum, Vol. Ili, pag. 130, M. S. alla Biblioteca Civico-Berio in Genova). Un atto del 18 Ottobre 1251 ricorda Guglielmo Adalardo, podestà di GIORNALE LIGUSTICO altro luogo profano, o se questo Ludo si facesse con isfoggio di suoni (ί) o di versi, composti da qualche letterato contemporaneo (2), o come festa di popolo, o come uffizio liturgico, e se in fine le tre Marie fossero tre chierici vestiti da donna (3), secondo il costume allora vigente. (Continua) Arturo Ferretto. Chiavari e di Lavagna, ed è rogato sub porticu ecclesie Sancti lohannis ubi tenetur curia (Atti del Not. Leonardo Osbergero, Arch. id.). Un altro atto del 1362 è rogato in Platea ecclesie sancti lohannis coram Cuna Clavari (Poch, Miscellanea cit., Vol. IV, Reg. II, pag. 44). (1) Cenova in quei tempi era fornita di cultori appassionati nell’arte dei suoni. E, quando il 7 Luglio del 1244 arrivò in Genova il pontefice Innocenzo IV..... honorificentia inulta nimis cum ingenti laetitia est receptus turbis plaudentibus tubis clangentibus tympanis et cymbalis et diversis generibus musicorum sonantibus pueris quoque cantantibus et psallentibus..... (Muratori, R. 1. S., Vol. III, Parte I, coi. 592). Ricorderò pure la ballata, musicata dopo la metà del secolo XIV da Frate Agostino da Genova (Giorn. Lig. à'Arch. An. 1875, pag. 441)· La rivale Pisa non era inferiore a Genova, e 1’ annalista citato Fr. Salimbene (pag. 17-18) scrive..... er ant puelle et pueri in etate idonea quos pul- critudo vestium et facierum speciosi tas multipliciter decorabat et faciebat amabiles. Et habebant in manibus tam feminae quam masculi viellas et citharas et alia genera musicorum diversa in quibus modulos faciebant dulcissimos et gestus representabant idoneos. Nullus tumultus erat ibi sed omnes in silentio auscultabant. Et cantio quam cantabant inusitata erat et pulcra..... (2) Chiavari fu culla in quei tempi d’un personaggio, che meritò di essere dominato dal precitato Fr. Salimbene all’anno 1285 con queste parole: Erat in civitate parmensi Arduinus de Clavara.......litteratus homo erat pulcher, fortis et bellicosus. Terra sua de qua fuerat oriundus Clavara dicebatur in ripa maris in episcopatu Ianuensi prope Lavaniam ubi habitant fratres Minores et pluribus vicibus fui ibi. Et ibi prope vinum de Vernacia abundanter habetur et vinum terre illius optimum est...... (3) Allorché nel 1641 l’Accademia genovese degli Annuvolati rappresentò la tragicomedia del patrizio Brignole « 1 due Anelli simili », giovanetti patrizii fecero la parte, vestiti da donna, come l’avean fatta nel 1637, allorché fu recitata per la prima volta. Altri patrizii vestiti da donna recitavano nel 1642. Nel 1749 però rappresentaronsi al Teatro del Falcone ΓIfigenia, il Mitridate e l’Andromaca, e non più giovanetti camuffati da donna, ma recitarono le dame genovesi. (Giorn. Lig. à’Arch. An. 1883, pag. 95 e Arch. Stor. It., Serie III, Tom. XV, pag. 432). GIORNALE LIGUSTICO BIBLIOGRAFIA Dr. Alberto Gregorini. Le relazioni ini lingua volgare dei viaggiatori italiani in Palestina nel secolo XIX. — Pisa, Nistri (dagli Atti della R. Scuola Normale;. Capitale argomento senza fallo questo dei rapporti fra l’Italia e ΓΟ-riente nei secoli andati e, per illustrarlo, tuttora giace inesplorata tanta messe di documenti negli archivii che, a cercarvi turpitudini maiuscole e minuscole del cinquecento sono stati anche troppo frugati. Grande poi la copia delle relazioni e delle cronache date in luce dalle Società della Palestina e dalla Società àell’Oriente latino nella Germania, nella Inghilterra, nella Francia, ricche di notizie molteplici intorno alla parte presa dagli Italiani nelle Crociate, illustrate con erudizione, con critica, con garbo spesso singolari e che attendono solo i volonterosi che sciolgano i dubbi, rettifichino gli erroni, completino la narrazione colla scorta del materiale italiano, tacciano su d’ un campo meno speciale quello che, il Manfroni sta facendo per la storia della marina nostra nell’ età di mezzo. * * * Dopo si lungo preambolo potrà parer troppo breve ciò che io dirò dello scritto del Dr. Gregorini, ma basterà, spero, a farne desiderabile la lettura a quelli specialmente che ricordano i voti espressi dal Desimoni ntïï'Archivio Storico Italiano a proposito delle pubblicazioni della Société de l’Orient latin. Interesse grande destò l’edizione degli Itinerari in Terrasanta in lingua latina fatta per cura del compianto Tobler, del Molinier e del Kobler; ancor desiderata rimane quella degli Itinerari dettati in volgare e ch’era stata affidata al Belgrano, per la morte del dotto uomo; e a molti, fra cui per prova a chi scrive queste righe, è nota la pena che si dura a ritrovare 1’ edizione dei Viaggi italiani in Palestina curata nel 1862 pel Barbera di Firenze dal Gargiolli che vi premise una buona, per non dir ottima, prefazione. Il Dr. Gregorini esamina le relazioni di Leonardo Frescobaldo, Simone Figoli e Giorgio Gucci accanto a quelle dei frati Ricoldo di Montecroce e Nicolò da Poggibonsi ; rivolge inoltre le sue indagini a\V Itinerario d’anonimo trecentista pubblicato nel 1862 dal Melga poi anche dal Gargiolli e inoltre studia « un frammento abbastanza esteso, non mai fin qui stampato... tratto dal codice Panciatichiano, membranaceo, n. 32, del se- 236 GIORNALE LIGUSTICO colo XIV, in cui ha il titolo di Itinerario ai luoghi santi d'oltremare » anzi lo riproduce nella Appendice. «Anche prescindendo — dice bene PA.— dal pregio linguistico che, per essere uno scritto dei primi decenni del secolo XIV indubbiamente gli è proprio, questo testo contiene certe cose che lo rendono abbastanza rilevante (i) » e fra queste la leggenda di Lazzaro che dopo risuscitato « cantò la Messa e poscia se ne andò oltremonti in Provenza e fu vescovo di Marsiglia (2) ». Ma v’ha di più; l’itinerario è una versione dei Pèlerinages por aler en Jherusalem per una certa parte, e propriamente da Gerusalemme in poi. Per la parte anteriore è forse una versione del manoscritto di Cheltenham trovato dal Meyer nella biblioteca Philips? Ecco una domanda del Gregorini che io pure rivolgo agli eruditi lettori del Ligustico. Il testo di Cheltenham è forse inedito ancora? A quest’ uopo debbo rettificare un’asserzione dell'A. che il Castellani ha ripetuto dando relazione del suo scritto (3). La Società dell' Oriente Latino langue di certo, ma non è morta ; un fiero colpo ha avuto per il decesso dell’infaticabile Riant e per quello più recente dello Schefer ; la pubblicazione della Revue e degli Archives si fa con un notevole ritardo, ma continua (se ben siamo informati) quella delle due serie di testi — la geografica e la storica — come pure quella delle Publications patronnées par la Société. Speriamo quindi che la Revue 0 gli Archives riescano a sciogliere il dubbio sovraccennato, e speriamo anche che la Società, rinvigorita di nuovi elementi, abbia nel nostro paese, alla cui storia ha reso cospicui servigi, maggior consenso ed aiuto che non per lo passato. * * * « Negli ultimi anni del secolo XIII, ma più specialmente nei secoli XIV e XV abbiamo queste relazioni, dettate dapprima in latino, e poi, man mano che avanziamo nei tempi, in volgare : preziose per candore di lingua mirabile, attraenti per tanti rispetti, sia geografici, sia storici, sia letterarii, ma generalmente poco, nel loro complesso, considerate e studiate. E questo è vero, ma accanto al cenno sul Manuale di Letteratura dei Proff. Bacci e D’Ancona che a quelle Relazioni assegna finalmente il posto che loro conviene, ha da ricordarsi che ciò era stato pur fatto nella (1) Pag. 52. (2) Pag. 29. V. pure la Collezione di leggende inedite dello Zambrini ; II, p. 159 pel riscontro col testo della leggenda di S. Maria Maddalena. (5> V. la recensione di questo scritto del Gregorini pubblicata da G. Castellani nella Riv. Geogr. Iiat, Vol. Ili, p. 237-239. GIORNALE LIGUSTICO 237 sua Antologia della Prosa (1) da quell’Ottaviano Targioni Fozzetti che è d una casa ove 1 amor degli studii non pure ma il gusto e il retto giù-dizio scendono « per li rami », Mi spiace non poter qui parte a parte discorrere lo scritto del Dr. Cretonni, ma debbo dire che specialmente l’analisi delle cinque relazioni è fatta con discrezione e con acume, che le ragioni per cui ritiene che al viaggio di fra Ricoldo non possa assegnarsi a una data più recente dei primi mesi del 1291 » mi sembrano convincenti, e che a lui ci associamo nel desiderio si allarghino e si approfondiscano questi studi se è vero che per due de’ massimi nostri genii italiani, voglio dire Dante e Colombo, Gerusalemme e la Terra Santa avevano quella significazione altissima che nessuno ignora. Prof. Guido Bigoni. SPIGOLATURE E NOTIZIE Alla storia del marchesato di Finale, argomento di lunga e complessa controversia fra la repubblica di Genova, il duca di Savoia e l’impero, ha recato un importante contributo il prof. Armando Tallone in una sua monografia condotta sopra documenli da lui ricercati con molta cura negli archivi di Torino e di Genova, senza trascurare altre fonti, le quali direttamente 0 indirettamente trattano del soggetto. Egli divide il suo lavoro ne seguenti capitoli: Diritti e pretese sul marchesato del Finale al principio del sec. XVIII. La vendita del marchesato del Finale nel 171 j e la Di-plomaxja Piemontese. La Repubblica di Genova e la vendita del marchesato del Finale. — Il Finale dalla vendita del iji) al Trattato di Worms. La prima parte costituisce un ben accomodato preambolo alla più ampia e particolareggiata trattazione di tutte le ptatiche e dei modi onde seppe accortamente il governo genovese raggiungere 1’ agognato intento, di recare in sua mano quel marchesato, mentre l’ultima, toccando della presa di possesso e delle modalità di reggimento, quindi delle nuove condizioni (1) V. dell’edizione del 1892 ("Giusti, Livorno) tutti l’Appendice alla Parte II e per il Frescobaldi, p. 521-525. Quanto alla Scelta di curiosità letterarie iniziata dallo Zam-brini, oltre a fra Nicolò da Poggibonsi pubblicato in quella dal Bacchi della Lega, altri Viaggi essa contiene, ma non é nota come dovrebbe. 238 GIORNALE LIGUSTICO di quel feudo, forma un necessario ed utile epilogo di questo lavoro (Cfr. Bollettino storico-bibliografico subalpino, anno I, 173, 265, 395, Anno II, 73. 146). * * * Dei Pittori e pitture piemontesi del medio evo discorre Edoardo Bertese (Bollett. stor.-bibliog. subalpino, Anno II, 40), il quale rileva l’importanza artistica di Giovanni Canavesio, pittore che dimorò in Liguria e vi esegui notevoli opere. * * * Tre documenti che riguardano la storia genovese, pubblica l’infaticabile G. L. Pellissier, e possono dirsi appendice di quella maggior serie da lui stesso inserita negli Atti della Soc. Lig. di Stor. Patr. che si riferiscono alla dominazione francese a Genova. Sono le istruzioni di Ludovico Sforza agli ambasciatori inviati a Genova a nome dell’imperatore Massimiliano, e quantunque manchi di data, pur ragionevolmente 1’ editore lo riferisce al 1496; con il secondo i figli di Agostino Adorno commettono autorità ai loro mandatarii per addivenire ad accordi con Luigi XII (10 dicembre 1512); il terzo ci porge la convenzione passata fra il Re di Francia Francesco I e Ottaviano Fregoso per restaurare a Genova la dominazione francese, e si riferisce al 1515. Breve ma nutrita e succosa è la illustrazione premessa a questi documenti dal dotto scrittore francese (Bollett. stor.-bibliog. subalpino, A. II, 179). * * * Il dott. Arturo Segre riferisce Una questione tra Carlo 111 duca di Savoia e don Ferrante Gonzaga luogotenente imperiale in Italia nel ijfo, nella quale figurano come principali motori i genovesi, che sorretti altresì dalla Francia, tentarono di togliere al duca il privilegio di fornire il Piemonte del sale proveniente da Nizza. Cespite questo assai importante d’ entrata per Carlo III, poiché dall’ affitto della gabella ne ricavava 7400 scudi annui. I genovesi tuttavia, quantunque spalleggiati da don Ferrante e dagli agenti francesi, non riuscirono, per l’intervento diretto di Carlo V, nel loro intento (Atti R. Accad. Se. di Torino, XXXII, 170). * * * Rileviamo dal Bollettino della Società Storica Savonese (η. II) che fra certe carte vecchie fu rinvenuto un ras. del sec. XVII che reca in fronte: Il Fazzoletto, tragicomedia di Onorato Gentile Riccio, 1689, dove apparisce un’ alterazione nel nome e nella data. Ciò ha fatto supporre che sotto 1’ abbreviazione di Onorato s’ avesse a leggere prima un Gerolamo pure abbreviato e invece del 1689 vi fosse 1600, e quindi il ms. s’ avesse da GIORNLAE LIGUSTICO at n uire al noto scrittore Girolamo Gentile Riccio, il quale comparirebbe così auto.e d, un componimento drammatico non condotto a termine, P° e 11 lavoro e incompiuto. Ma importa rilevare che II Farroletto è una commedia di Francesco Maria Marini, recitata in Genova dagli Accademici Annuvolati nel t642 nel Palazzo Ducale; e poi accomodata per essere rappresentata fuori di Genova da Anton Giulio Brignole sotto il cui nome si ha a stampa. Queste cose possono leggersi0 nella monografia del Belgrano: De!,e feste e dei giuochi dei Genovesi (Arch. Stor. Ital., Terza Serie, T. XIII e segg.), e negli articoli sulla Co,„-media sostenuta nella puma metà del seicento inseriti nel Caffaro (A. IX, 1883 n. 54) E che il ms. savonese sia tutta una cosa con la commedia del Marini, lo manifesta il semplice elenco dei personaggi, uguale nell’uno e nell’altra. Il Gentile Riccio, e sarà di certo Onorato, ne è probabilmente il semplice amanuense. SCOPERTE ARCHEOLOGICHE NEGLI SCAVI DI VIA GIULIA Nei lavori di sterro che si.stanno eseguendo presso via Giulia per la formazione della nuova strada XX Settembre a pochi metri dalla chiesa di N. S. del Rimedio, che trovasi in demolizione, si scopersero testé alcune tombe di non comune importanza. Per forma rassomigliavano a quelle di Corneto Tarquinio dette αροχο, ma di data forse un po più recente. Nella principale uno scavo circolare di forma conica attraversava per io spessore di circa due metri tutto il terreno vegetale fino ad incontrare 10 strato di tufo. In questo lasciata una risega per il coperchio era stato scavato un fosso, o poxietto — la tomba propriamente detta — misurante 11 diametro di circa 80 centimetri e della profondità di 60. Il coperchio era costituito da un lastrone di pietra greggia di cica 20 centimetri di spessore. Serviva da olla cineraria uno splendido vaso, la cui forma è conosciuta col nome di Kelebt. Esso misura cent. 39 di diametro all’orlo della bocca e circa 60 cent, d’altezza, è poi decorato da bellissimi ornati, perline e palmette sull’orlo e nel collo; istoriato con figure di sacerdoti e guerrieri colorite in rosso su fondo nero. Si trovò pure nella stessa tomba, un elegante Oenochoè (vaso per acqua) di bronzo a una sola anza, molto guasto nel fondo ma della più pura eleganza greca, ed uno Strigite ben finito con bella impugnatura incisa. 24O GIORNALE LIGUSTICO In un’ altra tomba si rinvenne altro vaso cinerario, conosciuto sotto il nome di Cratere, corroso dal tempo, ed una piccola patera, recante su fondo scuro disegni sul genere di quelli che si conservano in consimili oggetti nei musei di Napoli e di Pompei, frammenti poi di altri vasi vennero in luce contemporaneamente agli oggetti anzidetti. La ricomposizione del vaso principale, che venne sgraziatamente rotto dagli scavatori nel momento della scoperta, e dei franmenti degli altri, venne affidata al signor Filippo Gaschi, il quale egregiamente riuscì nel lavoro. Questi vasi, che saranno a cura del Municipio collocati nel civico museo del palazzo Bianco, vennero dall’egregio assessore Giovanni Campora, che tanto s’interessò per la loro conservazione, giudicati appartenenti al terzo secolo avanti Cristo, cioè a quel periodo in cui non poche colonie elleniche si stabilirono sulle rive del Mediterraneo seco recando usi e costumi della magna Grecia. Tal giudizio venne approvato dai dott. Faramelli espressamente inviato a Genova dal Ministero della P. I. La scoperta di queste tombe, unitamente a quella d’altre esistenti lungo la stessa linea, parte delle quali vennero in luce nei lavori di sterro praticati in via XX Settembre, quasi di prospetto alla chiesa della Consolazione, di fianco all’ex chiesa di Santa Maria della Pace, che i documenti medioevali ci ricordano anche sotto il titolo di San Martino-in Via o de Via, giovano a confermare la opinione da noi altra volta manifestata, che appunto in quel tratto di terreno or fiancheggiante via XX Settembre in via Giulia, esistesse ai tempi preromani, una delle principali arterie stradali che dalla città mettevano alla riviera di levante- Difatti è cosa notissima che, tanto a Roma che nelle altre città greche od italiane, esistenti nei tempi romani 0 preromani, si scopersero nelle vicinanze o di fianco alle grandi strade d’origine antichissima, avanzi assai numerosi di tombe e di sepolture particolari di famiglie. Esempio, la via Appia a Roma. È notissimo, che i viali fuori delle città, le grandi strade erano fiancheggiate da tombe, da monumenti funerarii appartenenti generalmente a famiglie distinte, facoltose. Presso i popoli che avevano 1’ usanza di abbruciare i corpi, si dava sepoltura agli avanzi, alle ceneri del cadavere, sotterrandole chiuse in vasi detti cinerarii, sul genere di quelli ora scoperti. Quest’ uso divenne generale in Roma verso il finire della Repubblica e si perdette al principio del regno degli imperatori cristiani, e fu abolito del tutto sotto Graziano, verso la metà del 1^ secolo. Confidiamo che altri avanzi di quelle epoche lontane vengano in luce, per testimoniare così come Genova, fin d’allora, avesse tra gli antichi centri d’Italia quell’importanza di cui la storia di quell’età ci lascio-così scarse notizie. L. A. Luigi Ferrari proprietario. GIORNALE LICUSTICO 241 IL PASSAGGIO NEGLI STATI DI SAVOIA DELLA LEGAZIONE GENOVESE INVIATA A PARIGI NEL 1685 Già due volte ebbi occasione di accennare in questo periodico ad alcuni fatti relativi alle poco liete relazioni eh’ ebbe la Repubblica di Genova coll’assoluto Re di Francia Luigi XIV (1) prima e dopo la funesta guerra, o come la defini il Leti (2) « la più terribile e scandalosa impresa che si fosse vista da qualche secolo in qua ». Che se le spiagge Liguri furono nel maggio del 1684 spettatrici di uno dei più tremendi apparati di guerra che si fosse mai visto; che se il bombardamento diretto dallo stesso ministro della marina Seignelai (3) fu .spaventoso, nondimeno la Repubblica, per quanto abbandonata dai suoi alleati, e ridotta a miserrima condizione, non si smarrì punto di coraggio, e con calma scese ai negoziati. E se il trattato conchiuso a Parigi il 2 Febbraio 1685 colla interposizione del nunzio pontificio Ranucci fu grave a Genova, poiché fi a gli altri pesi recava che il doge in persona accompagnato da quattro Senatori dovesse portarsi a Parigi per udii e dalla bocca del Re quali fossero le sue intenzioni, nondimeno si ebbe mezzo di modificare alquanto le altre (i ) Il doge di Genova alla corte di Versailles nel maggio deli anno 168j_ Giornale Ligustico anno XII. I genovesi alla corte di Roma itegli anni luttuosi delle loro controversie con Luigi XIV. id anno XIV. (2) Teatro gallico II. (3) Id. id. Giorn Ligustico. Anno XXIII. xó 242 pretese che vi si associavano, e che qui non è il caso di riferire. Era allora doge di Genova Francesco Maria Imperiali Lercari eh’ erasi regolato egregiamente al tempo del funesto bombarbamento : e ad accompagnarlo a Parigi erano stati scelti Giannettino Grimaldi, Marcello Durazzo capo della parte Francese in Genova, Agostino Lomellini e Paride Maria Saivago, cultore delle astronomiche discipline. Ma, anche vagando nelle aeree regioni dell’Olimpo, questi seppe rimbeccarla allo stesso marchese de Seignelai, il quale con burbanza pari sua erasi lasciato intendere che il suo Re non avrebbe lasciato pietra sovra pietra ove i Genovesi non avessero voluto soddisfarlo. Ebbene il Saivago rispose allora ......basta a noi che ci resti tanto terreno da potervi scolpir sopra Libertà ed ivi morir Liberi. E quasi non fosse sufficiente quella spacconata del Seignelai, vollero i Francesi esaltare in grado superlativo il loro successo contro i Genovesi, procurando per quanto dipendeva da loro, che sull’ali della fama si tramandasse la notizia dei concordati con loro conchiusi. Quindi medaglie commemorative furono espressamente coniate; le une rappresentanti l’assoluto sovrano, colla sentenza Vibiata in superbos fulmina'. Genva emendala, altre raffiguranti il doge coi senatori umiliati al cospetto del Re, e colla leggenda Genua obsequens; dux legatus et adprecator. Ma fu peggio ancora scorgere genovesi stessi, come un Pavia e un Marana dedicare al Giove tonante sonetti indegni. Senonchè non è il caso di occuparci di queste scelleraggini che disonorano sempre i loro autori. E date queste notizie, ecco quanto i documenti consultati c informano del passaggio in Piemonte della legazione Genovese. Premesso, che per quanto le relazioni dei duchi di Savoia coi genovesi da Carlo Emanuele I in poi fossero state non troppo amichevoli; e fresche ancor si avessero le conseguenze dell’appoggio dato da Carlo Emanuele II alla congiura del GIORNALE LIGUSTICO 243 noto Raffael della Torre, nondimeno da dodici anni in poi le ragioni politiche e la prepotenza di Luigi XIV avevano imfluito assai a rendere il duca Vittorio Amedeo II suo P'u propenso a Genova. Egli infatti non si dimenticava cosi presto della condotta del gallico monarca nell’ occasione del matrimonio di suo cugino, il principe Emanuele Filiberto di Carignano colla principessa Catterina d’Este, ed era uomo capace a prendere la palla al balzo, servendosi di un avvenimento che gli consentisse di poter anche alla lontana colpire il suo emulo. E che di più non potesse fare il duca verso gli illustri ospiti che furono di passaggio pei suoi stati nell’aprile 1685 lo denotano i documenti che ce ne istruiscono. Il sunto di quanto essi contengono a questo riguardo ci viene dato dal Casoni nella sua storia del bombardamento di Genova sovracitata, il quale lasciò scritto «......Nell’ ingresso de’ suoi stati il duca di Savoia fece complimentare il doge e senatori con le più fine espressioni, e con oblazioni del pari obbliganti, ma avendo il doge fatto intendere al medesimo duca il desiderio che aveva di andare incognito fu in ciò contentato. Non potè però schivare di non essere per il Piemonte con tutto il seguito spesato dal medesimo duca, il quale aveva fatto divieto a coloro che lo dovevano alloggiare, di non ricevere sotto qualsiasi titolo ricompensa. Fu poi il doge servito dagli ufficiali di campagna del duca con attenzione e finezza quanto si conveniva all’ andare esso incognito e secondo le aperture che dava. Come fu esso doge arrivato al ponte Buonvicino, ultimo confine del Piemonte, spedi Ambrogio Doria del fu Carlo, uno dei nobili genovesi del suo seguito, a rendere grazie al duca per il trattamento ricevuto ne’ suoi stati, ed il Doria accolto con singolare umanità dal duca, fu dal medesimo regalato del di lui ritratto fregiato di diamanti... (1) (i) Pag. 257. 244 GIORNALE LIGUSTICO Or ecco l’ampliazione che documenti inediti, che qui riferiremo, ci consentono di dare alla narrazione dello storico genovese. Il cerimoniale del marchese Scaravello comincia nell' aprile del detto anno 1685 ad informarci che.... « essendo convenuto al serenissimo Duce di Genova con quattro senatori d’ andare in Francia per dare soddisfazione a quel Re di qualche mal termine usato al suo residente, loro convenne passare per li stati di S. A. R. il che da esso inteso, spedi subito il signor auditore Grondana faciente la carica di generale di sua casa, et il signor conte Robbio marescialo di logis di sua persona, con tutti gli ufficiali necessari per tarli da per tutto alloggiare e spesare, come hanno eseguito dalla città d’Asti sino al ponte Bonvicino, confini della Francia, il che tutti hanno eseguito con puntualità e magnificenza, come dalla qui sotto descritta memoria dal suddetto sig. auditore Grondana rimessami ».... Ed ecco il primo documento relativo al passaggio della deputazione genovese. Trattamento fatto fare da S. A. R. al serenissimo duce e quattro signori senatori della Repubblica di Genova passati nei stati di detta R. A. incogniti per andare a Parigi dal Re secondo il loro trattato. Primo per comando di S. A. R. è partito da questa città il signor auditore Generale della casa di detta R. A. col seguito delli ufficiali di detta casa subalterni nelli ufficii pei andare a servire sotto la direttione di detto sig. auditore il sig. duce, senatori e loro seguito al loro arrivo in Asti e O > *■ di mano in mano ove si sarebbero prese le tappe. Il Sig. Doge giunse in Asti la sera delli...... a un’ hora di notte; fu condotto direttivamente a casa del signor marchese Canelli (1) preparato per il suo alloggio da un ufficiale della (i) Crivelli - Scarampi. Il nominato doveva essere Carlo Antonio Crivelli, signor di Roazzolo, Denice, Montaldo-Scarampi, ultimo marchese di Canelli. giornale ligustico 245 guarnigione lasciato per questo fatto dal signor Comandante alla porta della città. Alla porta del palazzo di detto signor marchese di Canelli fu ricevuto dal medesimo signor marchese e dal comandante di detta Citta, che lo pregarono di voler aggradire per suo alloggio di detta casa ove sarebbe stato manco male alloggiato e trattato che all’ hosteria, ove detti signori avevano destinato d andare, fu condotto nel suo appartamento, e le civiltà fatteli sono state tutte a nome del signor comandante, qual pregò il signor auditore Grondana in qualità d’ amico suo di voler assistere in quella sera 'a detti signori. Il ricevimento e trattamento latti al signor duce e fatto incognito per corrispondete alla forma incognita del loro viaggio, e cosi il detto sig. auditore gli ha fatti servire; et agiva senza far comparire che avesse commissione alcuna da S. A. R. nè che fosse ufficiale della sua casa avendo sempre continuato, in modo che li signori genovesi si sono avveduti da loro dell’ origine di tal trattamento. S. A. R. ha comandato tre carrozze per servire detti signori con ordine a’ carrozzieri che le avrebbe dato detto sig. auditore che ha offerto a detti signori Genovesi nella loro partenza d’Asti. come se si fossero trovati a casa senza far comparire che quelle fossero di S. A. R. Il signor conte Robio (1) marescialo delli alloggiamenti è stato parimenti comandato di portarsi in Asti per andar sempre all avvantaggio per far preparare gli alloggiamenti per tutta la truppa destinata per detti signori come ha fatto per tutto il viaggio. Li signori sono partiti divisi in tre squadre come sotto ; Discendeva da Ambrogio Crivelli figlio di Alessandro, marito di Margherita Scarampi, Conte di Lomello, poi cardinale. (1) Baldassare Robbio di Chieri, maggiordomo poi delia Corte, alla guisa di suo padre Francesco. 246 GIORNALE LIGUSTICO La prima era di due Senatori, cioè il sig. Paris Maria Saivago et sig. Gio. Agostino Lomellino col seguito di due cavalieri e diversi domestici; nella seconda squadra vi era il serenissimo duce incognito, e col nome di sua famiglia signor Francesco Maria Imperiali Lercaro, et il signor senatore Giovanantonio Garibaldi col seguito di tre cavalieri e diversi domestici, nella terza squadra vi era il sig. senatore Marcello Durazzo col seguito di due cavalieri et altri domestici. Tutti detti signori sono stati ricevuti e trattati al loro arrivo dalla casa di S. A. R. in Asti, e poi si è divisa la casa in due brigate, la quale ha servito la squadra del duce successivamente a tutte le tappe del pranzo e così sino al ponte Bonvicino, ove hanno poi pranzato tutti insieme come si è veduto qui appresso dal conto di S. A. R. ove è sempre stato assistente il signor auditore Grondana a far 1’ honore della tavola. Le tre carrozze si sono compartite una per squadra nella partenza da Asti, et hanno condotto sino a Susa il signor Duce, senatori e cavalieri, et indi si sono fatti portare in cadrega per il Moncenis, et al lungo della Savoia con otto porteri per cadrega che epressamente stavano aspettando detti signori. Per le altre due squadre il signor auditore Grondana le ha fatte accompagnare e servire per strada da un controllore di cucina, un ufficiale di S. A. R. et un cuoco caduna squadra per servirli, con ordine di pagare tutte le spese che avrebbero fatto tanto loro come tutto il loro seguito, sendo sempre detto ufficiale partito all’ avvantaggio da una tappa all’ altra per approntarli 1’ alloggiamento. Tutte le tre squadre si sono poi unite in Ciamberi al pranzo li..... ove sono stati serviti per un giorno dalla casa di S. A. R. et hanno continuato a marchiare unitamente sino al ponte Bonvicino, ove hanno pranzato tutti insieme, GIORNALE LIGUSTICO 247 ove poi gli ha lasciati la casa di S. A. R. per essere detti signori dopo il pranzo passati dal canto del Re di Francia per continuare il loro viaggio. Pi ima della loro partenza dal Ponte il signor duce fece chiamare il signor auditore Grondana, a cui disse che la magnificenza e splendidezza con la quale erano stati serviti e trattati nel passaggio per li stati di S. A. R. ben gli ha ve va fatti a vedere che questo non poteva procedere che dalla somma bontà e generosità di S. A. R. il signor duca di Savoia, al cui effetto sino da Chiamberv havevano lui e tutti questi signori spiccato il sig. marchese Gio. Ambrosio Doria per complimentare detta S. A. R. e domandarli quella maggior gratia che si doveva dall’ accoglimento e civiltà usata a loro nel passaggio che hanno fatto nelli stati di detta R. A. al longo de’ quali incominciando da Asti sino al luogo dove si trovano erano stati trattati con lautezza e magnificenza grande, per il che restavano loro e tutta la loro natione per sempre grandemente grati et obbligati. E perchè detto sig. auditore Grondana solo poteva sapere e ridire quello che lui medesimo haveva fatto per comando di S. A. R. detto signor doge pregò il medesimo signor auditore di volere esprimere a S. A. R. 1’ attentione con cui erano stati serviti regalati e trattati, pregandolo di nuovo rendere a S. A. R. a nome suo e de’ signori Senatori umilissime gratie con espressioni grandi di ossequio, e di ringratiamento, ch’avrebbero in perpetuo conservato all’ eccesso della bontà e generosità di S. A. R. verso di loro cosi benignamente usata e dimostrata. Ringratiò parimente detto signor duce il signor auditore dell’ assistenza usatali, come fecero ancor li signori senatori mostrandosi tatti desiderosi di corrispondere in qualche maniera all’ incomodo che si era preso con farli molte civiltà e cortesissime espressioni, indi detto sig. duce si licentiò, et GIORNALE LIGUSTICO detto signor auditore Γ accompagnò sino alla lettiga nella quale montò per continuare il loro viaggio. E perchè pareva strano a molti che essendo così splendidamente trattato per li stati di S. A. R. detto serenissimo duce, senatori e tutto il seguito loro passando in vicinanza di questa città non avesse mandato un cavaliere per compire con loro Altezze Reali, del che tutti stessero curiosi di sapere la causa, alfine alli 14 del corrente maggio 1685 arrivò in questa città il signor marchese Pietro Ambrogio Doria quondam Carlo spedito dal Ponte Bonvicino dal detto serenissimo duce per fare il complimento a LL. A A. RR., e subito arrivato mi mandò il suo segretario a darmene parte, il che fatto da me sapere S. A. R. mi comandò andare all’albergo reale, ove detto signore era andato smontare, gli feci il complimento , e con una carrozza di corte e due valletti di piè lo condussi alla casa del sig. generale Grondana ove fu trattato o o e servito dall’ ufficiale di S. A. R. E perchè doveva ritornare il più presto per trovarsi presso il serenissimo duce avanti che arrivasse a Parigi, poscia supplicai S. A. R. di sbrigarlo presto, qual mi diede Γ hora per Γ indomani a sera. La mattina seguente lo condussi alla messa alla chiesa dei Padri Gesuiti, e la sera con la suddetta carrozza lo condussi alla Corte, e l’introdussi da S. A. R. qual lo sentì nella sua camera di parata sotto al baldacchino, e mentre detto signor inviato si approssimava a S. A. R. si levò il capello, e subito se lo rimesse in testa; e montato sopra il marchiapiede detto signor inviato gli fece ad intelligita! voce il complimento, nel quale gli espose che il serenissimo Collegio in Genova haveva scritto al serenissimo duce di dovere inviar nominatamente detto signor marchese Doria a questa R. Corte per complimentare S. A. R. e renderli gratie de’ generosi trattamenti fatti fare al Serenissimo duce per tutti i suoi stati, e questo per parte della serenissima Repubblica, del serenissimo duce GIORNALE LIGUSTICO delli ^ ecc. senatori, e ne conserverebbero eternamente memoria con parole molto obbliganti et espressioni sommesse corrispose S. A. R. con benignità grande, stando però senpie copeito, et il sig. inviato scoperto il che fatto si icentiò e piese nell istesso tempo congedo. Indi lo condussi al castello habitatione di M. R. (i) e da essa l’introdussi: fu ricevuto nel gabinetto, ov’erano le dame ca\allieti, e feci anche il complimento per parte della S^r. Repubblica sig. duce et ecc.m: senatori, come anche lo condussi all’appartamento della reai duchessa (2) ricevuto similmente nel gabinetto la complimentò per parte de’ suddetti , e sempre testificando le grandi obbligationi che tutti ne conserverebbero. L indomani lo condussi dalla serenissima principessa (3), incontrato alla porta dell’anticamera da uno dei suoi Cavalieri, et introdotto nel gabinetto ove detta serenissima principessa si trovava con quantità di dame e cavalieri, gli fece anche complimento come sopra e tutti quattro detti complimenti gli fece ad alta voce, e perorò con tanta facondia e disinvoltura, e con termini tanto obbliganti che da tutti fu ammiiato. Hebbe occasione di veder la cappella e processione delle palme dalla cappella del SS. Sudario (4), assistito dal cavaliere Doria poiché io mi trovava occupato appresso il signori ambasciatori. E come che la generosità di S. A. R. non ha limiti, ha anche voluto regalare detto signor marchese (1) Il noto palazzo di Madama sulla Piazza Castello. (2) Anna d’Orleans consorte di Vittorio Amedeo II. (3) Catterina d’Este, consorte del principe Emanuele Filiberto di Carignano. (4) Processione solenne, alla quale solevano intervenire, in un colla Corte, i diplomatici residenti a Torino, i cavalieri dell’Annunziata e i principali dignitarii dello stato, con grande affluenza di nobili e di cittadini 2)0 GIORNALE LIGUSTICO Doria inviato d’un suo ritratto con diamanti, qual mi rimesse per presentarglielo come feci e lo ricevè con ammiiatione di tante grasie che S. A. R. continuava a farli, e mi incarico di rendergliene humilissime gratie con assicurarla che sarebbe tutta sua vita il vero panegirista di sue glorie. Partì li 15 Aprile di ritorno verso Francia, lasciò assai generosi regali alla casa di S. A. R. et a me un bacile d argento di once 70 . . . » (1). Coll’ obbiettivo che aveva il cerimoniere di attenersi nella sua narrazione alla parte speciale risguardante il sussiego, e così far uso dei ferri del suo mestiere, devesi avvertire come già egli in questa parte aveva ecceduti i limiti ordinarii. Ma nell’esaltare il duca, che del resto ben lo meritava, veniva a rendere, indirettamente come già abbiamo avvertito, omaggio alla sventura : che tale si poteva definire 1 umiliante missione imposta alla Repubblica, innalzando la quale, il duca del resto colpiva alla lontana il prepotente ed autocrate re di Francia. Ma più succose notizie di quel passaggio negli stati del duca ci somministra altro gentiluomo, men cortigiano, sebbene avesse anco le qualità di maggiordomo della Coite. Egli è il conte Gian Francesco Losa, Governatore di Susa che da questa città, così informava il ministro di S. Tommaso dell’ arrivo, e della partenza della legazione genovese. Ill.mo ed ecc.m0 Signore. Conforme Γ ordine e biglietto di S. A. R. ho fatto chiamare a me il signor prefetto Allamandi, qual venuto in castello Γ ho levato dall’ arresto, ed il giorno seguente ritornato (1) Biblioteca di S. M. in Torino. GIORNALE LIGUSTICO 251 con suo fratello e zio, e fatto venire i signori sindaci e qualche consigliere si sono date le soddisfazioni da chi ed a chi si doveva, e così restano le differenze terminate, essendo poi stato altro giorno a visitarmi e ringraziarmi del tutto, ed io ne rendo con core umilissime grazie a V. E. di tanta bontà avuta per me in questa occasione, non scrivendone più a S. A. R. per non più tediarla. Faro ora una piccola relazione a V. E. del passaggio di questi ministri genovesi con dirli che non avendo avuto alcun ordine come regolarmi alla prima-brigata che passò li due del corrente, ove vi erano li signori senatori Lomellino e Paris Saivago e due altri cavalieri vennero alla predica che non era ancora alla metà, e dopo la predica e messa sortirono li primi, e quando io fui fuori già erano in carrozza, onde ci salutassimo senza parlarsi, e andarono disnare e subito disnato partirono per la Novalesa. Li tre poi giunti li signori conte Robbio ed auditore Grondana qualche ora avanti mi dissero che il signor comandante di Asti aveva avuto ordine di farli qualche complimento, e così senza aver perso tempo in aver fatto portar dei miei mobili nella casa ove alloggiò S. A. R. ed appena accomodati che giunse il signor duce, ed io incontratolo sulla porta del palazzo con rallegrarmi di riverir persone della loro qualità e meriti, e che compatirebbesi al paese, corrisposero con ogni civiltà con dire che S. A. R. rendeva tutto ameno, e che si trovavano per tutto regalati in maniera che li renderla di tanta bontà gran confusione, e montati sopra stettimo un quarto d’ ora a discorrere della buon’ aria, e come la primavera anticipa qui un mese e più avanti, avendo veduto le amandole e persici fioriti. E poi il signor duce si ritirò in sua camera: e veramente è civile ed affabile. Sortimmo poi con il signor senatore Garibaldi, marchese Negroni ed altri due cavalieri, e andassimo a vedere le sante reliquie in S. Giusto: 252 GIORNALE LIGUSTICO e si stupirono in sapere sii ivi il corpo di S. Stefano protomartire non avendo veduto che la cassa come resta sigillata con il sigillo di S. A. R. (1). Dopo vennero a vedere Γ arco trionfante (2); e poi entrarono in Castello: e riposato un poco li feci portar da bere, e bevettero tutti sensa cerimonie come se fossero del paese, e poi li accompagnai al palazzo e mi ritirai dopo qualche discorsi destramente. Ieri mattina sono poi partiti tra le quattro e cinque ore di Francia. Ieri sera poi sortendo dalla benedizione m’incamminavo verso il leone d’ oro per ,ur qualche complimento al signor senatore Durazzo, e suhito mi vensero avvertire che andava in castello per vedermi, così me ne ritornai, e l’incontrai per strada con un suo nipote e altro, e parimente lo servii alla chiesa ad a vedere 1’ arco trionfante e ancor passato in castello gli feci le stesse civiltà degli altri, e avendo trovato il vino buono ne ho mandato sempre alle tre brigate alli somiglieri. Sono tutti spiritosi, civili ed obbliganti, ma quest’ultimo mi pare qualche cosa di più degli altri, e tutti sempre ne’ discorsi hanno trameschiato qualche cosa di S. A. R. con gran rispetto, per dimostrare le loro obbligazioni. Mi scusi forse del tedio e della confidenza, ma creda che non ha chi più di me vivi con sincerità ed ossequio. Di. V. E. Susa li 5 Aprile 1685. Um.m0 obb.mo ser." D. Gio. Francesco Losa (3). (1) In quanto alla sorpresa provata dai Legati Genovesi, essa può anco aversi nel leggere quanto in proposito scrisse con lunga dissertazione il Sacchetti nelle sue Memorie della chiesa di Susa etc. Torino 1788, da pag. 97 a pag. no. (2) Il celebre arco innalzato da Cozio ad Ottaviano Cesare Augusto. (3) Archivio di Stato di Torino — Lettere di particolari. GIORNALE LIGUSTICO 253 Spoglio della veste di cortigiano, il governatore di Susa non ha lasciato pertanto di delinearci qualche linea di maggiore interesse, col ragguagliarci dei sentimenti dei componenti la legazione genovese. E certo eh’ egli desta un qualche senso di commiserazione, pensando che quegli avvenimenti rap-, presentavano la Canossa di quella cospicua repubblica. Per la qualcosa, astrazione fatta dal riguardo che meritavano italiani, al pari di noi, oppressi dalla prepotenza e dall’ orgoglio straoidinario di un polente straniero, quanti aborriscono da simile trattamento, saranno sempre lieti in ogni età di leggere fatti coi quali veniva dai nostri maggiori, cercato di alleviare la sventura di perseguitati e di oppressi. G. Clarltta. DI UNO STATUTO LIGURE SCONOSCIUTO DEI PRIMI ANNI DEL SECOLO XV La Corvara, detta Cravara in dialetto « è situata dietro i monti del Golfo della Spezia sulla destra del fiume Vara. Fu uno dei castelli dei marchesi Estensi e Malaspina, confermato ai primi con Valerano, Madrognano, Arcola e altri paesi di Lunigiana, dall’ imperatore Arrigo IV con privilegio dell’anno 1077, quindi nel 1164 da Federico i.° assegnato per la quarta parte al Marchese Obizo Malaspina. Venduto Corvara dagli estensi con altri castelli di Val-di-Magra al marchese Alberto Malaspina (il Trovatore) a Guglielmo e a Corrado il vecchio suoi nipoti, fu da questi nel 1202 ceduto a Goffredo vescovo di Luni, sino a che un di lui successore, il vescovo Guglielmo, nel 1251, con molti altri luoghi di Val-di-Vara lo diede in feudo a Niccolò Fieschi dei conti di Lavagna, dai 254 GIORNALE LIGUSTICO di cui eredi passò in potere della Repubblica di Genova per atro di compra del 1276 ». Cosi il Repetti (ij; e il Giustiniani, nella descrizione statistica che fa precedere ai suoi annali, cosi la descrive : « La crouara e luogo antico, qual per li passati tempi ha dato qualche trauaglio alla Republica, & al presente e sottoposta a quella, & ha qualche priuilegii, & còprende la Crouara cento foghi in circa, & se vi vedeno le ruine di vn Castello & uno acquedutto longo circa dua miglia, sotto la ditione della Crouara sono le infrascritte ville, che li restano da ponente; Cassana co foghi settanta, la Via con foghi cinquanta, il Prato con quaràta, la Valle co sessanta, il Castel maggiore con quaranta, le quali tutte sono dal Levante al riuo nominato Pogliasca, la Cornice &■ mangia, le quali tutte fanno da quaràta cinq, foghi, & più vicino alla Crouara sono primo il Castel minore con vinticinque foghi, la Fagione con trenta, la villa con cinquanta, Retromora co cinquanta, le quali tutte sono in vna valle nominata Casa, & sotto la Crouara per diritto vi e Pignion villa di settanta foghi, dalla quale piglia la denominatione una chiesia su la strata Romea nominata S. Maria del Pignon, qual rimane al ponente al fiume vara (2) ». (1) Dizionario geografico fisico storico della Toscana contenente la descrizione di tutti i luoghi del Granducato, ducato di Lucca, Garfagnana, compilato da Emanuele Repetti, socio ordinario dell’ I. e R. accademia dei Georgofili e di varie altre. — Firenze, presso Γ autore e editore, coi tipi di A. Tofani, 1833. Voi. i.°, pag. 826, col. 2.* (2) Castigatissimi annali con loro copiosa tavola dell’ eccelsa et Illustrissima Republica di Genova, da fedeli et approvati scrittori, per il Reverendo Monsignor Agostino Giustiniano Genovese Vescovo di Nebio, accuratamente raccolti, Opera certamente molto lodevole a studiosi assai commoda, et communemente à tutti utilissima. Facendo per la vanetà dell’ opere chiaramente conoscere quanto si debba da tutti riprovare il male, e costantemente procurare il bene della sua Repubblica. Genova, MDXXXVII per Antonio Bellono Taurinense, cte. XX verso. GIORNALE LIGUSTICO 255 Le 1 ovine del castello cui accenna il Giustiniani si vedono, in parte, tutt ora ; e Γ acquedutto longo circa dua miglia seguita anche al giorno d’ oggi a portare ai parrocchiani della Corvara un povero filo d’ acqua tutt’ altro che salubre. I ti avagli che la Corvara ha dato alla Repubblica furono le frequenti ribellioni di quella popolazione, che il Comune di Genova dovette sempre sedare con le armi. Beghino della Corvara fino dal 1211 aveva venduto ai Genovesi quel castello per milleottocento lire; la qual cosa aveva suscitato le ire dei marchesi Guglielmo e Corrado Malaspina, i quali mossero guerra alla Repubblica. I Corvarienses furono vinti, giurarono fedeltà, e tornarono ribelli durante parecchi anni, finche nel 1218 fecero nuovo giuramento di fedeltà; ma non durarono molto in pace, perchè tentarono altra volta di scuotere il giogo, e furono sottomessi nel 1247 insieme con i popoli di altre terre vicine (1). Durante poi il tempo del reggimento del marchese Teodoro di Monferrato in Genova la Corvara, come inclinatissima a Fiorentini, tornò a ribellarsi alla Repubblica; e cessato il dominio del Paleologo, ai 4 d agosto del 1412 ritornò all’obbedienza (2). La irrequietezza dei popolani della Corvara, il loro spirito di ribellione costante, tenace contro il governo di Genova procacciarono loro 1’ epiteto di rebelcei (ribelli) presso i vicini, epiteto che è vivo tuttora sulle bocche degli abitanti del paese circostante, i quali lo ripetono all’indirizzo dei Corvariensi, senza certo conoscerne la origine storica. Di alcuni monumenti della Corvara, cioè dell’interres-sante tonte battesimale della parrocchiale di S. Michele, e di parecchie iscrizioni del secolo XIV si è occupato il canonico Remondini pubblicandone una dotta illustrazione in questo (1) Cfr. Giustiniani, op. cit. cte. LXVIII, LXX, XCI. 12) Id. Cte. CLXXVI. 256 GIORNALE LIGUSTICO stesso Giornale Ligustico (1); il Paganetti trascrisse, però imperfettamente, la inscrizione della facciata della chiesa nella sua Storia ecclesiastica (2). La Corvara, posta sopra una collina circa tre chilometri discosto dalla strada provinciale, a 12 chilometri dalla Spezia e a 89 da Genova, fu capoluogo di Podesteria sotto la Repubblica Genovese; ma ora non è che una frazione del comune di Beverino, nel mandamento della Spezia. La parrocchia di San Michele, che al tempo del Giustiniani comprendeva cento foghi in circa, vale a dire qualche cosa come cinquecento anime, ora non conta più di 381 abitanti, sparsi nei casali di Pian della Barca, Frassoneda, Fò, Bertogna, Cafaggio, Ospedale, Zuccarello, Castello, Fontana, Piazza, Carmine, Borgo, Campo di Mercurio e Montale. Gli atti dell’ antica podesteria che si conservavano nell’ archivio del paese, furono nel 1852 alienati per deliberazione del Consiglio comunale di Beverino, e venduti per carta da involgere al prezzo di 140 lire; la qual somma venne impiegata per restaurare la sala delle adunanze consiliari di quel comune (3). Non so in che modo abbia potuto salvarsi da questa vandalica dispersione il codice che contiene gli statuti di quella Comunità; forse deve la sua salute all’essere, anziché in bambagina, membranaceo : qualità che i padri del comune di Beverino avranno certamente riconosciuta non adatta all’ alto uffizio cui, con tanta sapienza amministrativa, avevano destinato le altre carte. il) Giornale Ligustico, 1879, pagg. 56 e segg. (2) Storia ecclesiastica della Liguria del P. Pietro Paganetti, Genova 1765, Tomo I, pag. 408. (3] Devo queste notizie alla gentilezza dell’egregio Signore Don A. Ricci, prevosto della Corvara, che ringrazio. GIORNALE LIGUSTICO 257 Devo alla cortesia dell amico Vittorio Cima se ho potuto esaminare il podice e trascriverne le rubriche. Come ho già accennato, il codice è in pergamena, in 8.°, legato in assi e coperto di cuoio con alcuni fregi a secco. Si compone di 5η carte, nu rerate fino alla 51 in cifre arabiche; segue una carta senza numerazione; poi altre quattro caite numerate a parte i-iiii; quindi un’ultima senza numerazione. In principio il volume ha quattro carte di guardia non numerate; due in bambagina che contengono, come pure il foglio di risguardo, deliberazioni e notizie della Comunità dal 1741 1797i e due in membrana, avanzo di altro codice in-folio, contenente alcuni brani dell’Apocalisse; in fondo una carta di guardia con altre note. 11 codice è stato evidentemente cominciato nel secolo XV, e comprende, oltre gli statuti (carte 1-15 verso), le conferme dei medesimi, e la parte post-statutaria fino al 1733. Gli statuti portano la data del 1407; forono cioè composti nel tempo in cui la Repubblica genovese era sotto il dominio del Re di Francia ed il governo del Maresciallo Bocicaldo, come appare dalla introduzione che precede, e dalla approvazione che segue gli statuti stessi. Furono molto probabilmente compilati da Ildebrando o Aldobrando della Corvara, che fu notaro, scrittore di versi latini e cancelliere della Repubblica. Gli statuti sono infatti sottoscritti da lui: Rex dominus Ianue, Aldobrandus de Corvaria notarius; ed il Gerini, nei pochi cenni sopra di lui, ha queste parole: « Costui fu notaro imperiale e scrittore, e compilò quei celebri capitoli d’immunità che hanno per tanti secoli distinto un paese, che senza di lui sarebbe rimasto nella oscurezza (1) ». (il Memorie storiche d’illustri scrittori e d’uomini insigni dell’antica e moderna Lunigiana, per l’abate Emanuelle Gerini da Fivizzano, socio Giorn. Ligustico. Anno XXIII. 2jS GIORNALE LIGUSTICO Questi celebri capitoli sono certamente quelli contenuti nel codice; i quali non di meno sono non solo inediti, ma assolutamente sconosciuti agli eruditi ed ai bibliografi; nè s ha di essi, cred’ io, che il vago e sfuggevole cenno dal Gerini nel luogo citato (i). Non stimo quindi inutile, nell’interesse degli studi sopra la legislazione statutaria ligure medioevale, riprodurne le rubriche , e compilare i regesti degli atti post-statutari. Credo opportuno notare che le rubriche degli statuti sono di mano posteriore di quella del testo, e che, mancando alcune di esse, mi son fatto lecito di comporle, perchè non rimanesse sconosciuto il contenuto di parecchi capitoli, se- I gnandole con le lettere (d. t.) deest titulus. I capitoli sono preceduti dalla seguente introduzione : « In nomine Domini amen. Infrascripta sunt Capitula Comunis. I erre, et Castri Corvarie facta Composita, et promulgata per Consules et Consiliarios dicti Loci de voluntate dicti Comunis et hominum Corvarie et presentata Illustri et Magnifico domino Iohanni Lemengre dicto (Bouciquaut Marescallo Francie. Locumte-nenti Regio citra montes, et Gubernatori Ianuensi etc. etc. Et Eius Consilio dominorum. Antianorum presentata et exh)-bita per Antonium condam petri. Geroniinum condam Gul-lielmi et Cechinum condam Valentini de pignono Omnes de Corvaria quorum Capitulorum tenor talis est. » corrispondente di accademie diverse, in otto libri disposte, Massa, per Luigi Frediani, tipografo ducale, 1829, λ ol. 1, pag· 262. (1) Nè lo Sforza (Cfr. Saggio di una bibliografia storica della Lumgiana, parte 1.* Modena 1874, in Atti e Memorie delle RR Deputaζ. di St. Pati in per le Provincie modenesi e parmensi, Vol. VI e \II) nè il Rossi (Cfr.. Gli Statuti della Liguria, in Atti della Società Ligure di Storia Patria, Vol. XIV, Genova Sordo-Muti 1878) fanno cenno di questi statuti. GIOKNALK LIGUSTICO 259 Seguono i capitoli nell’ordine che segue: I. De blasfematoribus. II. De his qui pulsant campanas. III. ((/. t.) De his qui batunt biada in Ecclesia S. Michaelis. IV. De pueris minoribus tribus annis ductis ad ecclesiam. V. De hedificantibus in muro Ecclesie sive in cimiterio. VI. De laborantibus in diebus festis. VII. De his qui debent mortuos sociare. VIII. De his qui non iverint ad parlamentum. IX. De his qui loquuntur in parlamento. X. (d. /.) De his qui ellevant caputeum, galeriam vel cucullam de capite, et proiiciunt lapides per modum ludi. XI. De his qui dicunt in parlamento alter alteri verba ludibria. XII. De his qui laborant in parlamento. XIII. De his qui tenent fenum vel paleas in domo ubi sit ignis. XIV. De portantibus ignem ventoso tempore. XV. De prohibentibus pignus consuli nuncio vel campano. XVI. De his qui non claudunt aditus sive sapellos. XVII. De maceratoriis et de observatione adhibenda ac servanda. XVIII. (d. t.) De maceratorio. XIX. (d. /.) Sequitur de maceratorio. XX. De his qui ante suas terras vias non scalvant. XXI. De his qui portant lignamina vinearum tempore prohibito. XXII. De tesseralibus. XXIII. De fontibus. XXIV. De his qui ducunt animalia ad fontem. XXV. De his qui portant fabas pissas vendendi gratia. XXVI. De his (qui) portant caules porros ad terras maritimas vendendi vel donandi gratia. XXVII. De orto faciendo. XXVIII. (rf. i.) Sequitur de orto. XXIX. De eruptione aquarum. XXX. De portantibus falcem cum bestiis. XXXI. De colligentibus panicum. 26ο GIORNALE LIGUSTICO XXXII. (d. /.) De incidendis vel asturzandis arboribus que sunt super publicas vias. XXXIII. De manentibus in cimiterio dum celebratur misa vel officium. XXXIV. De ludentibus in cimiterio. XXXV. De laborantibus alienas terras. XXXVI. De iuramento prestando consiliariis viris. XXXVII. (if. De callega. XXXVIII. De rumpentibus aquam in via comuni. XXXIX. De porcis. XL. De ponentibus furcas in via comuni. XLI. De colligentibus herbas in alienis terris vel satis. XLII. De ortis. XLI1I. De segetibus. XLIV. De olivis. XLV. De fructibus collectis. XLVI. De vineis dampnificatis. XLVII. De castaneis dampnificatis. XLVIII. De his qui arbores incidunt. XLIX. De his qui ramos incidunt castanearum. L. De his qui incidunt sive exstirpant olivas. LI. De incidentibus ramos olivarum. LII. De scusionibus. LUI. De termino scussionum. L1V. De his qui tenent bestias in stupiis. LV. De his qui faciunt fasiculos frondium apponendos bestiis. LVI. De his qui dampnificant in sitas arbores et mocias. LV1I. De tendentibus laqueos in olivis alienis. LVIII. De his qui incidunt aliquam arborem cerrum vel quercum sive illicem in alienis terris. LIX. De his qui accipiunt vel faciunt accipere ligna aliena. LX. De requerentibus alienas tensuras. LXI. Quando quis potest vel non potest dare licentiam aliqui intrandi in possessionem suam. LXII. De pastoribus sive aliis dampnuin facientibus cum bestiis. LXI1I, De his qui ponunt paleas : foenum : granum panicum et huiusmodi in ecclesia. GIORNALE LIGUSTICO 261 V. ( Pier Fran.co Cavallieri 1 Bernardino Baldone ] Thomaso Bracelli Marco Morucci ! Cesare Petrizzolo Cane, ( di consenso di Fieramonte Magno. ' GIORNALE LIGUSTICO 273 stato dato, et così eseguirete, dando di ciò parte a detti Antiani 1 rioii e Protettori in nome nostro in risposta di detta loro lettera. Nel resto essendo ragione che li denari e redditi di detti Hospitali s impieghino solamente in quello che risguarda solamente 1’ uso e commodo di detti hospitali e non in altro, così habbiamo per nostro decreto ordinato e statuito che nell’ avvenire non si debba nè possa spendere denaro alcuno, nè cosa appertenente a detti hospitali in cosa alcuna, che a uso e commodo di detti hospitali, senza licenza nostra, nè di drizzare armi ne epitaffij senza detta licenza sotto ogni pena arbitraria al Senato Ser.m° come più diffusamente e distinta-mente se contiene nel decreto sopra a ciò fatto, di cui vi mandiamo copia autentica alligata alla presente acciò che lo facciate, come lo farete subbito, intimare a representanti cotesta comunità et agli altri ministratori di detti hospitali et ad ogni altro a cui spetti, acciò che non possano pretendere ignoranza. Di Genova a 22 d’Aprile 1600. Cop. Gio Andrea Segretario. 1600 die 21 Aprilis Serenissimus Dux et excellentissimi Domini Gubernatores Serenissime Reipub.ct Genuen. Consulentes indemnitati Hospitalium Sarzanae videlicet Sanctorum Lazari et Bartholomei negotio prius examinato, et ad judicium calculorum deducto , omnimodo : Decreverunt et virtute presentis decreti decernunt et statuunt, quod in. posterum non possit nec debeat peccunia ac redditus et fructus dictorum Hospitalium in aliud impedi nec errogari, nisi in usum et commodum dictorum respective Hospitalium, nec pariter de peccunia et redditibus predictis non possit· errigi nec affigi ullum insigne, minusque epitaffium alicui ex Mag.ci' Commissarijs dicte civitatis pro tempore vel alicui alij quo vis nomine et causa absque licentia Ser.”1 Senatus sub qua vis pena ipsi arbitraria, Mandantes presentem decretum inviolabiliter observari ab omnibus ad quos spectat, obstantijs quibusvis non obstantibus. Jo And.a ·. (1) Manno A. — L’opera cinquantenaria della R. Deputazione di storia patria di Torino; pp. 92 e 293. (2) Vol V, Chartarum tom. II [1853]. giornale ligustico 281 A pag. V comincia il « \ Catalogo | Degli Autori, e delle Opere \ Da cui sono ricavate \ Le presenti Memorie \ ». Il quale Catalogo giunge fino a pag. XXVIII. Seguono le Memorie a pag. 7, essendo state tagliate le 3 carte che contenevano le pp. 1-6. A pag. 7 dunque : | Memorie \ Per servire alla Istoria | Della Famiglia Malaspina Parte Prima | che mostra i pri?icipi di questa Famiglia | ,· la successione e istoria di molte linee della medesima I sino alt' anno millecinquecento ottantaquattro, j II tutto copiato sul Maccioni, Muratori \ e Porcacchi | ». Sotto il qual titolo comincia subito il testo: « Ea sunt indubiae antiquitatis testimonia qi//bus Malaspinensium generis splendor statuitur, » ecc. Giunto in fondo della p. 7, anziché continuare a pag. 8, 1Ά. scrisse sulla pag. 9 ; e cosi sempre nel progresso dell opera lasciò in bianco le pagine di numero pari. Perchè facesse ciò è detto nella « Nota » seguente, da lui posta a pag. 8 : « Nota. In un Prospetto di questo » e de’ segg. tre tomi di Memorie istoriche Malaspina che diramai » a varj o Letterati o amici e che poi ho stampato, sebbene con » qualche variazione, in agosto dell’anno 1828, per egualmente di-» stribuirlo, questi quattro Tomi sono detti constare di pp. 1376 » tra tutti. Veramente le pagine scritte non sono che la metà di d.° » numero. Ma le pagine in bianco avendole lasciate appunto per » aggiunte o correzioni, e di dd. aggiunte avendone in pronto sì » ampia mole che anche stralciandone le parti poco interessanti » (relativamente all’ argomento s’intende) ne resterebbero ancora » tante da sorpassare le pagine e scritte e non scritte di questi » quattro tomi, ho creduto di poter asserire come qui esistenti a » compimento di dd. pagine 1376 le notizie contenute in dd. ag-» giunte, le quali non diversificano da quelle che sono già qui de-» scritte se non in questo, che in questi tomi le date si succedono » per ordine e in quelle trovansi disposte secondo che risultano ne’ » tanti scrittori o documenti che di mano in mano lessi per farne » estratti ». Le aggiunte però, di cui Γ A. parla in questa Nota, non sono pervenute all’ Archivio di Stato di Firenze. Il testo non comprende se non estratti o copie dagli autori citati nel titolo ; i quali estratti o copie sono disposti cronologicamente sotto i principali individui della famiglia, cominciando da Bonifacio I, ann. 813 (p. 81). Il tomo I termina colla pag. 286; il tomo li ha pag. 413; il III ha pagg. 579; il IV ha pagg. 381. Ogni tomo ha it solito frontespizio coll’ indicazione « Nel Novi- 282 GIORNALE LIGUSTICO siato di S. Vittore al Corpo ». 11 secondo colla data ancora del iMDC.CC VII ; il III.» e il IV.?· coll'altra: MDCCCVIII. 11 tomo 1 comprende tutte le notizie fino al 1124; il II.° dal 1124 al 1369; il III.° dal 1369 al 1604; il IV.° dal 1604 al 1795· Nel tomo IV.° dopo questo ultimo anno, a pag. 283, è posto: « Il fine della quarta ed ultima parte ». A pag. 284 segue un « | Epigramma \ che si legge I un vecchio Albero Genealogico \ Della Famiglia Malaspina : | Mar-chiones Malaspinae veteri licet fortunae statuum », ec., che comincia: « Plus iuvat in modico late dominari et orbe ». A pag. 285 ha principio L'Appendice \ De'principali Documenti | citati nelle riferite Memorie, che termina a pag. 303, dopo la copia di soli quattro documenti, che sono : a) Fondazione dell’Abbazia di S. Caprasio di Aulla [884]; b) Pax Lucensis tra i Malaspina e i Vescovi di Luni [1124]; c) Diploma di Federico I Barbarossa a Obizzo I [1164]: d) Vendita di Pizzo di Corno [1168]. Seguono molte carte bianche (1). (1) Nella Biblioteca del Re a Torino si conserva un codice, che forse già appartenne all’ab. Fabrizio Malaspina, o che fu messo insieme da lui. È il codice miscellaneo in-fol. che porta il n.° 129, e ha per titolo: Mala-spiim — Documenti, monete e sigilli. Contiene : 1. « Informazione de’feudi Malaspina della Provincia di Lunigiana fatta dal S. Marchese Cris.° e del suo Stato istorico, geografico e diplomatico ». [Si divide in tre parti: I. Stato geografico e diplomatico; II. Stato politico; III. Importanza della sua situazione. È corredata del « Tipo della Spezia e sue adiacenze », fatto a penna. 2. a Sei stampe rappresentanti Γ antica città di Luni e varie altre antiche reliquie della medesima », tratte dalla seconda edizione delle Rela· Xioni d’alcuni viaggi fatti in diverse parti della Toscana dal dott. Giovanni Targioni Tozzetti. 3. « Bolle pontificie attenenti all’ Abbazia di S. Caprasio di Aulla nella Provincia di Lunigiana » [di papa Onorio II, del 1126; di Leone X, del 1517; e di Giulio III, del 1550 e 1 554]· 4. ci Fondazione dell’ Abbazia dell’ Aula ». 5. Diploma, a stampa, di Leopoldo I imperatore, a favore di Gio. Manfredo e Ippolito Malaspina, del 22 aprile 1698. 6. « Diploma dell’ imperatore Massimiliano 11 al Marchese Guglielmo GIORNALE LIGUSTICO 283 Di queste sue Memorie P ab. Fabrizio Malaspina ne discorre a lungo in una lettera che scrisse il 20 aprile del 1854 a un altro Malaspina, il marchese Carlo, del ramo di Fosdinovo, figlio di Giuseppe e di Elena Agliata, nato in Pisa il 18 dicembre del 1816 ; lettera nella quale tratta anche della genealogia della famiglia Malaspina compilata dal conte Pompeo Litta, e delle relazioni che ebbe con lui. Essendo inedita, e per più conti importante, mi piace di qui trascriverla. Amico carissimo, Torino, 20 aprile 1854. Dopo un inverno qui cessato senza aver sentito gran freddo, ha fatto il suo bell’ ingresso la primavera, e continua a dare giornate Malaspina di Tresana, col quale vien concesso a d.° Marchese il privilegio di Conte Palatino, di poter crear notari, di poter legittimare bastardi, di batter moneta », del 28 ottobre 1571. 7. « Privilegio di batter monete concesso e rinnovato dall’ imperator Leopoldo ai Marchesi Malaspina l’anno 1666 [io aprile], copiato dal suo originale esistente appresso i SS.'1 Marchesi Malaspina di Posdinuovo ». « Disegni delle medesime monete, sigilli, ec. ». [Le monete sono undici. Seguono illustrazioni, appunti, lettere di Gabriele Malaspina Marchese di Fosdinovo, di un Malaspina Abate dell’ Aulla, di Antonio Alberico Malaspina di Pallerone, di Lodovico Antonio Fantoni di Fivizzano, dirette al Marchese Manfredi Malaspina di Filattiera]. 8. « Monete d’ oro, d’ argento e di rame di Alberico Cvbo Malaspina Principe primo di Massa in Lunigiana, le quali sono nella raccolta universale del Sig. Gio. Poggio Baldovinetti in Firenze, delineate da Giuseppe Bonaiuti 1’ anno MDCCLIII ». 9. « Lettere relative a monete e sigilli dei Malaspina » [di Reginaldo Sellari di Cortona, scritte nel 1769, e indirizzate al Marchese Manfredi Malaspina. Seguono le descrizioni, co’relativi disegni, de’ sigilli di Riccar-dino Malaspina Marchese di Oramala e Filattiera, d’Ippolito Malaspina Mar- ^ chese di Filattiera e Signore di Rassing, di Francesco Maria Malaspina Marchese di Tresana , e di Cosimo e Alessandro Malaspina Marchesi di Castel dell’ Aquila], 10 « Iscrizioni appartenenti alla famiglia Malaspina ». 284 GIORNALE LIGUSTICO sempre serene. È giunto dunque il tempo nel quale mi faceste sperare che sarei favorito di vostra visita. Io 1’ ho sempre affrettato e 1’ affretto co’ miei voti questo momento, che mi sarà di così grande consolazione. Vi sto attendendo del miglior cuore. Ottimo divisamento è il vostro di far conoscere al pubblico gli abbagli presi dal Litta nella sua Storia Malaspina, non che le omissioni di cose ben rilevanti che si mostrano nella medesima ; e lessi con molto piacere nell’ ultima vostra lettera quanto avete già in pronto per effettuarlo. Tutto vi è bene appropriato, ma soprattutto interessantissimi sono i documenti ufficiali riguardanti il Marchese Alessandro Malaspina di Mulazzo, che vi siete procurati dal Ministero Spagnolo; i quali saranno avidamenle letti non nella sola Italia, ma da tutta Europa, da quanti si piacciono di scoperte di nuove terre, di che 11. « Descrittione di Pontremoli » [Oltre varii appunti, contiene una lunga lettera d’ Ippolito Camici, de’ 29 novembre 1780, sul Compendio storico della Lunigiana dell' Anziani], 12. « Scrittura a stampa fatta dal Pubblico di Pontremoli per dissuadere la vendita di quella Terra ». In-fol. di pp. 4 non numerate, senza nota di luogo, d’ anno e di stampatore. 13. « Scrittura manoscritta riguardante Pontremoli, diretta al Magistrato straordinario di Milano ». 14. « Descrittione della Lunigiana, sito d’essa, sue qualità, conditione dell’habitanti, luoghi insigni, padroni che la dominarono e sua divisione ». 15. « Stato dei Marchesati dei Marchesi Malaspina nella Lunigiana nell’anno 1710 ». 16. <■ Notizie riguardanti il castello di Moneta, posto in Lunigiana ». 17. « Notiate diverse riguardanti la famiglia Malaspina ». 18. « Particula testamenti Marchionissae Ricciardae Malaspina, sub die 15 maii 1553, sub rogitu Filippi de Andreonibus de Massa ». 19. « Notizie riguardanti la storia naturale della Provincia di Lunigiana » [Son precedute da una lettera di Lodovico Antonio Fantoni, scritta da Fivizzano il 1.” luglio 1752 e indirizzata al Marchese Manfredi Malaspina di Filattiera]. 20. a Arme della Terra di Filattiera in Lunigiana ». 21. a Al Serenissimo Senato della Serenissima Rep.* di Genova umile rimostranza difensiva per Sarzana » ; stampata a Lucca nel 1729. GIORNALE LIGUSTICO 285 furono oggetto i viaggi marittimi di quel celebre navigatore. Nell’ Archivio di questa R. Accademia delle Scienze trovasi una di lui lettera al conte Angelo Saluzzo, di lei presidente, nella quale prima di accingersi a quei viaggi, chiedeva informazione sugli oggetti di storia naturale, la cui esplorazione gli avrebbe potuto rendere al pubblico più proficui. Non fu diretta a me, nè tratta d’affari di rilievo, una altra di lui lettera, in data dell’anno 1791, che possiedo io, ma non lascia d essermi molto cara, perchè scritta di suo carattere (1). Il conte Pompeo Litta fu in lungo carteggio di lettere con me, dopo che 1 anno 1818 ebbe da una dama di Pavia un mio prospetto manoscritto (poco differente da quello che poi diedi alle stampe) delle Memorie per servire alla storia della famiglia Malaspina, da me raccolte e cronologicamente ordinate in quattro tomi. Ne raccoglieva anch’egli fin da quel tempo, coll’intendimento di pubblicare tra le sue Famiglie celebri d1 Italia, ed infatti già molti anni prima che questa desse alla luce, cominciò ad annunziare al pubblico, sul cartone di altre famiglie, di cui pubblicava la storia, che si disponeva a pubblicare anche questa. Contemporaneamente a questo annunzio volle impegnar me alla revisione di tutte le sue genealogie parziali della famiglia, prima di darle allo starnutare, acciò, secondo egli si esprimeva, io vi annotassi aggiunte o correzioni, secondo che le notizie da me raccolte potessero suggerirmi Se ne’ quattro tomi annunziati nel sopra nominato prospetto vi (I) Tutti questi documenti riguardanti Alessandro Malaspina furono poi pubblicati da Giuseppe Campori. Cfr. Notizie della vita del Marchese Alessandro Malaspina, memoria del signor Marchese Giuseppe Campori presentata nell’ adunatila del iS maggio 186S; nelle Memorie della Regia Accademia di sciente, lettere ed arti in Modena; toni. IX [sezione di lettere], pp. 49-72. Intorno a questo celebre e disgraziato viaggiatore sono da consultarsi : Una causa de F.stado, por D. Màrcos Jiménez de la Espada; nella Revista contemporanei1 di Madrid; tom. XXXI, vol. IV, an. VII, n.° 126, 28 febbraio 1881, pp 401-439; tom XXXII, vol. Ili, an. VII, n 0 129, 15 aprile 1881, pp. 279-305; tom. XXXIII, vol. IV, an. VII, n.° 134, 30 giugno 1881, pp. 401-431. Un italiano alla Corte di Spagna nel secolo XVIII — Alessandro Malaspina — per Emanuele Greppi; nella Nuoi'a Antilogia, serie seconda, vol. XXXVII! (1883), pp 33-57. 286 GIORNALE LIGUSTICO fossero contenute tutte le notizie Malaspina da me raccolte sino a quel tempo, niente mi sarebbe stato più facile che servirlo, e l’avrei fatto con gran piacere ; tanto più che all’ unico intendimento di procurarmi un impiego di tempo e di sodisfare una mia curiosità, io mi era occupato di quelle ricerche, e il mio prospetto medesimo accennava che le notizie di cui vi si annunziava la collezione potevano servire per altri. Ma quel prospetto era stato formato da me sino dall’anno 1808, e le notizie da me raccolte posteriormente superavano dimoiti doppi le contenute in quei tomi; e queste restavano ancor disordinate in modo, che per ogni nome contenuto nelle tavole genealogiche del Litta avrei dovuto scorrere foglio per foglio tutti i miei scartafacci, per vedere se vi si rinveniva, e rinvenendosi estrarne ciò che fosse stato all’ uopo per dette Tavole genealogiche. Mi gravitava già sulle spalle il peso di circa settant’ anni, e più pesanti li rendeva una paralisi ed una nevralgia, delle quali non mi è poi mai riuscito di liberarmi. Dovetti perciò, mio malgrdo, rappresentargli replicatamente che non mi era fattibile di compiacerlo ; ed egli desistè dal mandarmi quelle sue Tavole. Se non che, avendo egli poco dopo dato principio alla edizione delle sue Tavole genealogiche della R. Casa di Savoia, alle quali io mi era associato per due copie, parvemi emergere per me un nuovo motivo di prestarmi alla revisione delle sue Tavole genealogiche Malaspina, dall’avermi egli mandato le due prime Tavole della Casa di Savoia, e indi altre, con cassato il prezzo sul cartone di una. Gli scrissi che mi era associato per due copie, e ringraziandolo di sua disposizione a farmi dono di una, la quale mi si trasmetteva da’ RR. Archivi di Corte, insistei che voleva pagare anche questa; ma seguitò a pervenirmi con l’istessa cassatura la edizione di questa storia fino all’anno 1846, e sommato il prezzo delle Tavole che le compongono, viddi che ascendeva alla vistosa somma di lire trecento austriache. Insistei nuovamente presso il conte Litta di voler pagare anche le Tavole pervenutemi dai RR. Archivi di Corte, e avendo egli finalmente condisceso, effettuai questo pagamento. Intanto essendo io in Varzi in sul finire del medesimo anno, e pervenutami di lui lettera, nella quale diceva che nell’anno prossimo sperava di pubblicare la prima parte della sua storia Malaspina, nella 0 GIORNALE LIGUSTICO 287 quale sarebbe compreso il ramo di S.'1 Margherita, molte carte concernenti 1 Malaspina avendo egli ricevuto da una famiglia di Milano, ed altre concernenti i Malaspina di S.*‘ Margherita attendendo da altra famiglia di Piacenza, ed aggiungendo che se avessi avuto qualche cosa da suggerirgli, gli sarebbe stato molto grato, parvenu questa occasione propizia per concorrere aneli’ io a dargli notizie e purgarmi pure maggiormente da qualunque taccia che mi si potesse mai op-porre per non essermi prestato alla revisione delle Tavole genealogiche da lui preparate per questa storia. Avevo io colà in mia casa tutti gli scartafacci, nei quali aveva registrato le notizie tutte quante, sì genealogiche, che storiche, della famiglia, da me rinvenute fino a quel tempo. Scrissi al Litta che li rimetteva a sua disposizione, e che passava espressamente da Milano, nel mio ritorno a Torino, per fargliene la consegna; e sebbene nel rispondermi si limitasse a dirmi che le avrebbe molto gradite se gli avessi portato notizie, carte e zibaldoni risguardanti la diramazione di Varzi, persistei nel mio divisa-mento, tutte le mie notizie sulla detta diramazione essendo frammiste in quegli scartafacci con quelle di altre linee Malaspina. Sono tutte in disordine, come ho già detto, le notizie in quegli scartafacci registrate; ma portano con sè i dati con cui ordinarle, ogni Malaspina nominatovi avendo annesso 1’ anno in cui viveva, e quasi sempre a quale linea apparteneva, e quanto alle notizie estratte da istromenti notarili anche il nome del rispettivo genitore. Con tali sussidii io aveva messo in ordine cronologico tutte le notizie comprese ne’ quattro tomi sopra nominati, deducendole dal primitivo mazzo di detti miei scartafacci. Non passò gran tempo che io fui a Milano con tutte le mie memorie Malaspina, scritte su de’ quaderni che formavano quattro grossi mazzi. 11 Litta fu a vederli nella locanda in cui io avevo preso alloggio. Diede un’ occhiata a qualche foglio del primo e del secondo mazzo.....L’unico mio scopo in questo viaggio era stato di metterli e di lasciarli tutti questi mazzi a di lui uso tutto quel tempo che gli fosse occorso valersene.....Non gli accettò. Stimai che egli avesse deposto il pensiero di ulteriormente occuparsi delle famiglie celebri d’Italia, tanto più che al primo vederlo in sua casa mi era parso molto occupato dalle idee politiche di quel tempo, 288 GIORNALE LIGUSTICO avendomi tosto interrogato se io sapeva che il Papa, il Re di Sar degna e il Gran Duca di Toscana si disponessero a dare una Costituzione ai loro Stati, e avendo risposto io che nulla ne sapeva, egli dopo breve pausa aveva soggiunto, e battendosi un ginocchio colla mano: = eppure la cosa va =. Cessò non molto dopo il di lui carteggio con me ; 1’ ultima sua lettera a me pervenuta portando la data del 15 Luglio 1846, e quindi mi riuscì veramente improvvisa la edizione di lui, fattasi nell’anno 1S52, delle due prime parti della sua storia Malaspina, lasciandone al suo decesso sotto i torchi la terza ed ultima parte (1)· Le due parti stampate avendole lette, non ebbi a pentirmi d essermi anch’io occupato dello stesso argomento, poiché le memorie Malaspina contenute ne’ miei scritti, sebbene non siano mai state destinate alla stampa, somministrano maggiore copia di notizie politiche, non che d’altre di diverso genere e di qualche importanza, e tutte dedotte da opere edite od inedite, 0 da documenti autentici, al rispettivo luogo in essa citati. Sono, per altro, ben lontano dal volerle comendabili per la loro mole, tanto maggiore di quella dell Istoria Malaspina del Litta, a giudicare dalla parte che resta ancora inedita delle due che ne furono pubblicate ; che anzi, sotto questo riguardo, dovrei implorare indulgenza da chi volesse leggere quelle memorie, ricordandogli il fine che mi aveva indotto ad occuparmene, come ho già superiormente additato, e che fu pure mia intenzione di toglierne il molto che v’ebbi poi a riconoscere di superfluo, e che 1 avrei <>se (1) Le tavole della Famiglia Malaspina, compilate dal conte Pompeo Litta, videro la luce in tre volte, essendo state dall’autore divise in tre parti. La parte I, che forma il fascicolo 13 3 delle Famiglie celebri ila urne, fu a stampata nel 1852 », abbraccia le tavole I-VIII, e ha per corre 0 una carta geografica, rappresentante « La Lunigiana, Signoria de Malaspina, dal 1164 vincolata all’impero ». La parte II, che forma il fascicolo 135 dell’opera stessa, e che venne parimente « stampata nel 1852 », contiene le tav. IX-XVI e una veduta de’ castelli di « Lusuolo in Lunigiana » e di u Mulazzo in Lunigiana ». La parte III, che si compone delle XVI1-XXIII, fu « stampata nel 1855 », e venne fuori per cura di Federico Odorici, il quale nella Prcfaiionc dichiara « di porre in luce con precisione » quasi direi religiosa queste Tavole del Litta colle quali si termina » Famiglia dei Malaspina ». GIORNALE LIGUSTICO 289 guito nel mettere in ordine tutte quelle che ancora noi sono, se lo stato di mia salute non mi avesse vietato d’ intraprendere un sì lungo, sebbene non difficile lavoro. Ma poiché mi è occorso di parlare di documenti citati ne’ miei scritti, non lascerò di aggiungere che parecchi di quei documenti leg-gonsi in oggi inscritti nel sesto volume, testé pubblicatosi da questa R. Deputazione sopra gli studi di storia patria., della quale ho 1’ onore di esser membro residente; e ve n’è uno, il diploma di Federigo 1 imperatore al marchese Obizzo 1, in data 29 settembre 1164, accompagnato da mia annotazione, nella quale se ne fanno delle rilevanti deduzioni, sfuggite al Litta, il quale altronde malamente qualifica ed esagera la dipendenza dell’ Imperio, in cui furono costituiti i Malaspina da quel diploma; come erroneamente insinua, al tempo stesso, che fu quello il primo atto per cui i Malaspina si misero in quella dipendenza. Non avrebbe opinato così, per quel che a me sembra, se avesse posto mente alla condizione in cui mantenevasi tuttavia 1’ Impero Romano rispetto all’ Italia in quel secolo, e se avesse riflettuto che 1’ atto della pace di Lucca, stipulatosi 1’ anno 1124 tra il Vescovo di Luni. da una parte, ed il marchese Malaspina, padre di Obizzo e suoi consorti, dall’ altra, oltre all’ aver avuto tra testimoni un Messo Imperiale, si vede scritto con queste parole: « Deo, gratia » Dei, ab Henrico Romanorum Imperatore Cesare Augusto Judex » constitutus et predictae causae Arbiter electus, praedictam sen-» tentiam confirmando subscripsi ». Ma quante non sono in vero le gesta del marchese Obizzo da lui taciute, come sarebbero i patti con cui accedè sul finire dell’anno 1167 (non l’anno 1168) alla Lega Lombarda in un trattato stipulatosi tra lui e i Piacentini., e 1’ accettazione di lui d’alleanza coi Tortonesi, seguita l’anno 1174, e le condizioni con cui fu stabilita la guerra fatta da lui ai Genovesi negli anni 1172-1173, etc. etc. nelle quali avrebbero egualmente potuto sfoggiare i suoi pensamenti politici, che campeggiano, così in questa, come in altre sue famiglie celebri ! Tutto il carteggio del conte Pompeo Litta con me lo conservo; come parimenti conservo lo sbozzo delle mie risposte. Nelle divisioni 18 aprile e 7 giugno 1278, concernenti, la prima le terre e possessi di Lunigiana, e la seconda le terre e possessi di Giumv. Liciti tco. A mio XXII 19 290 GIORNALE LIGUSTICO Lombardia tuttavia in comunione tra i discendenti di Obizzo III, condividenti l’anno 1221 con Corrado, ebbero porzione, per una terza parte, il marchese Gabriele, stipite dei marchesi di Fosdinovo, ed il marchese Azzo, stipite dei marchesi di Varzi, rappresentati da Cubi-tosa d Este, loro madre, trovandosi essi orfani di padre ed in età minore. Fra questi due fratelli dovè seguire successivamente qualche atto di divisione, o al più tardi dovè seguire tra’ primi loro discendenti ; non avendo io mai trovato che nel secolo decimoquarto verun discendente di Gabriele possedesse in Lombardia, nè che verun discendente di Azzo possedesse in Lunigiana. Io mi limito qui a prendere il secolo decimoquarto come quello in cui appare già seguita una divisione almeno di fatto; perchè in suo testamento, fatto l’anno 135 — j '1 marchese Spinetta Malaspina, figlio di Gabriele, dispone anche di beni che aveva in valle di Stafora, cioè di beni detti di Lombardia nella seconda delle sopradette divisioni ; e anzi prescrive che ove egli venisse a morte in Lombardia, il suo cadavere dovesse essere seppellito nella chiesa pievana di Varzi. Se nel tanto dovizioso vostro Archivio esistesse 1’ atto da me qui indicato di divisione, mi sarebbe molto grato di averne una copia. La divisione sopranominata del 7 giugno 1278 seguì in burgo Vartii in camma/a Marchionum, e questa caminata faceva parte della casa allora del Castello di Varzi, la quale esiste ancora, niente variata quanto all’esterno, e pochissimo nell’interno, ed è d’ esclu- · siva proprietà della mia famiglia, dopo che nell’anno 1552 dagli altri Malaspina, compadroni della medesima, furono donate le rispettive lor ragioni su di essa al marchese Antonio di lei discendente e ad un suo fratello protonotario apostolico ed arciprete di Varzi, di nome Mercurio, con patto che la restaurassero, come fu da essi eseguito. Dopo di quella, altre notabili transazioni seguirono nella stessa casa tra i Malaspina di Varzi. Ma ben più notabile pel danno, che in progresso di tempo loro ne venne, fu una transazione che vi stipularono l’anno 1604 colla casa Sforza di S.*' Fiora, una delle case principesche di Roma; col quale atto, confermatosi poi nell’ anno 1613, i Malaspina riservatisi le loro rendite su quel feudo, quanto alla giurisdizione su di esso a loro appartenente, ne fecero donazione irrevocabile a Sforzino Sforza, figlio naturale del Cardinale Francesco Sforza, GIORNALE LIGUSTICO il quale indi legittimato ne ebbe investitura da Filippo III Re di Spagna e Duca di Milano, e ne andò al possesso. Sforzino Sforza non aveva allora che undici anni, e potrebbe esser dubbioso che seguisse quella donazione per maneggi del Cardinale, al quale era di tutta convenienza l’allontanare detto figlio da Roma, come di fatto 1 allontanò, cedutigli parimenti i suoi beni allodiali e gli altri suoi feudi ilei Parmigiano, nel Piacentino e nello Stato di Milano ; l’atto della donazione noi dice, e vi è detto spontanea e derivante dal sincero amore che i donanti portano alla casa Sforza, e dalla sincera dilezione che era stata sempre fra di lor progenitori ed antenati, e quelli della medesima casa. Ma realmente provenne da che quella potentissima casa intrusasi allorché regnavano nello Stato di Milano i Duchi Sforza, suoi parenti, in una terza parte del marchesato di λ arzi, non aveva indi mai cessato d’ intaccare la giurisdizione sulle due altre terze parti rimaste ne’ Malaspina; ed era oramai riuscito ad usurparla inappellabilmente, avendo il predetto Cardinale Francesco ottenuto nell’ anno 1599 dal Re di Spagna sunnominato un espresso comando al Senato di Milano d’ interinare un diploma dell’ Imperatore Carlo V, col quale dell’ intiero marchesato di Varzi, come anche di quello di Cella, parimenti usurpato ai Malaspina, era stato nell’anno 1545 investito il conte Sforza S.’·1 Fiora, padre del medesimo Cardinale; diploma che, per essere evidentemente orrettizio o surrettizio, il Senato non aveva sino allora voluto interinare. Il diploma era intieramente fondato su d’ una esposizione fatta dallo Sforza all’ Imperatore, che le concessioni di que' feudi alla sua famiglia per le calamità dei tempi erano andate perdute, ma che quello di Varzi lo possedeva da tempo immemorabile, e quanto a quello di Cella i di lui antenati da molti anni ne furono in possesso, come anch’ egli d’ ambedue lo era attualmente. Falsissimo. La primordiale investitura del Marchesato di Varzi a quella famiglia esiste anche attualmente nell’Archivio dello Stato di Milano, detto di S. Fedele; e fu concessa il di 11 dicembre dell’ anno 1466 dalla Duchessa Bona di Savoia, vedova di Galeazzo Maria Sforza, Duca di Milano, e da Giovanni Galeazzo Sforza, figlio di lei e del predetto Duca, allora pupillo, a Bosio Sfona ; e intanto si espose come perduta, perche non conveniva all’ intento di far conoscere che l’investitura ottenuta da 2Ç)2 GIORNALE LIGUSTICO Bosio era soltanto di un terzo di quel marchesato, detto il Terziero di Menconico, che restava presso la Camera Ducale per donazione statane fatta da tre fratelli Malaspina al Duca I-'ilippo Maria Visconti, al quale era succeduto il predetto Duca Giovanni Galeazzo. Quanto a quello di Cella, gli Sforza, gli antenati di Sforza di S.*" Fiora, non ne avevano mai avuto,'come non l’aveva neppur egli, la proprietà; e non potè essere che per esagerarne 1’ antichità di quel preteso possesso, che nell’esposizione fatta all’imperatore sono essi nominati. Il primo degli Sforza di S." Fiora che ebbe ingerenze nel marchesato di Cella, non fu che Bosio II Sforza, padre dell’esponente, e lo cominciò ad avere soltanto nell’anno 1530, e non come padrone, ma unicamente come depositario, avendolo lui dato in custodia il Duca di Milano Francesco II Sforza, dopo averne spogliato ingiustamente i feudatarj imperiali Malaspina. Resta ancora a notarsi, quanto al marchesato di Varzi, che di questo il medesimo Imperatore ne aveva, precedentemente il diploma del 1545 conceduto al conte Sforza di S.u Fiora, cioè nell’anno 1533, rinnovato l’investitura totale, secondo le antiche investiture imperiali, già concessane ai Malaspina in favore del M.” G. Batista Malaspina e suoi consorti Malaspina in quel marchesato ; e che questa investitura, nell’ intervallo di tempo corso dal-1’anno 1533 all’anno 1545, non era mai stata abrogata; come neppure motivo non vi era stato di abrogarla; sebbene i Marchesi Malaspina di Varzi non avessero potuto rendere all’ Imp." Carlo V quei servigi che alla testa di un corpo di truppa affidatogli dal Papa Paolo III, suo avo materno, gli aveva reso nella guerra di Germania il Conte di S.1* Fiora, e quelli ancora che ne sperava, come si esprime nel citato diploma dell’anno 1545; ed ecco che riconoscerei d’aver fatto, senza pensarvi, anche una piccola aggiunta alla famiglia At-tendolo Sforza del Litta; la prima delle famiglie celebri da lui pubblicata. Di qualche aggiunta è ben probabile che sia suscettibile anche la terza parte della Storia Malaspina lasciata morendo sotto i torchi da lui; ed io, in quanto a ciò che vi conceme la diramazione de’ Malaspina Marchesi di Varzi e terre già annesse a quel marchesato, pregai con mie lettere il Conte Balzarino Litta Biumi, suo figlio, di volermela dare in comunicazione prima che fosse stampata, esibendomi, GIORNALE LIGUSTICO 293 occorrendo, a suggerirlo di notizie avute da me ; nè io pretendeva certamente che egli fosse obbligato ad accettare quelle aggiunte sulla mia sola parola; ma non me n’è mai giunta veruna risposta. Col sig. Carlo Froja, uno de’ nostri più distinti letterati, ebbi aneli io la bella sorte di essere in qualche corrispondenza. Tengo sempre presente 1 onore che mi fece desiderando ccfpia della mia dissertazione sulla patria e sull’ età del Cronografo Novaliciense, la quale gli fu indi da me trasmessa, unendole una copia stampata del prospetto di Memorie da me raccolte per la Storia Malaspina. Rinnovatemi, vedendolo, alla di lui memoria co’ miei rispetti. Il M. Faustino vi saluta, e io godo di potermi dire, come il sarò sempre, Vostro Obb."° aff."° Agnato e amico A. Fabrizio Malaspina. P. S. Questa lettera era già scritta molti giorni prima delle feste di Pasqua. Mi sorse dubbio se dovessi mandarla alla posta cosi prolissa com è. L’ ha vinta finalmente il riflesso che non vi dispiacque altra mia lettera, egualmente lunga, a voi pervenuta con tale mezzo. Mi sarà grato un vostro avviso d’ averla ricevuta ; e più ancora se sarà a viva voce. L’ab. Fabrizio ha ragione. Le tavole genealogiche della famiglia Malaspina del Litta son piene d’ errori. È un lavoro che va rifatto di sana pianta; e nel rifarlo torneranno di giovamento grande gli abbondanti materiali raccolti appunto dall’ab. Fabrizio; e per questo ho voluto segnalarli all’attenzione degli studiosi. Massa di Lunigiana, 3 febbraio 1898. Giovanni Sforza. (Segue ΓAppendice in un altro fascicolo). 294 GIORNALE LIGUSTICO ANDREA D’ORIA E LA CORTE DI MANTOVA (Lettere illustrate) (Continuazione vedi pag. 204) Seguitavano intanto in Milano i dibattiti per il Monferrato, e il duca, sicuro ormai del valido appoggio del DOria, a lui singolarmente faceva capo per consigli e per uffici. Nel luglio gli aveva spedito il suo segretario Sigismondo Fauzino della Torre, e quando questo fu tornato con liete notizie, egli esprimeva la sua viva gratitudine a tanto protettore: 111.01° etc_ Anchora che con grand.m·1 confidenza, io mandasse il Mag.co Sigismondo della Torre mio Secret.0 a V. Ex., aspettando da lei opera piena d’amore et di prudentia, nondimeno con el riporto suo conosco quella avere avanzato ogni espettatione et speranza, tanto amorevolmente et prudentemente si è passata nel discorso suo et nella exhibitione della opera sua in questi miei affari, di che gli resterei molto debitore, quando V. Ex. non fusse debitrice di quel debito che può havere il padre con figliuolo, di aiutarmi sempre, perchè circa ciò non mi diffonderò con longa cerimonia di parole, per non fare iniuria alla possessione che tiene V. Ex di me et di ogni mia cosa, havendo, corno ella ha in tutto, non solo quella parte eh’ io li ho molte volte offerta, ma anchora quella che la si ne guadagna col farsi come authore, mediante gli consegli et aiuti soi, di farme guadagnare et conservare quello tutto che son per havere. Non mi resta donche altro che dire al presente, se non piegar Dio che conservi longamente V. Ex. sana et in felice stato, sì corno essa stessa desidera, et a lei con tutto il core mi rac.Jo. Da Marmirolo il xxviij di Luglio 1534. Come si vede, le cose in favore di Federico erano bene avviate, e grandi le speranze; cosi l’opera del DOria si chiariva sempre più sollecita ed efficace. GIORNALE LIGUSTICO 29 5 Gli infedeli s’erano in questo mezzo preparati a tentare nuove imprese, ed una poderosa armata, sotto la guida del Barbarossa, muoveva verso l’Italia. Il D’Oria parti alla volta di Sicilia con sei galere, a fine di congiungersi alle altre, le quali si trovavano nelle acque di Messina, ed impedire le devastazioni dei nemici; ma incontrò per via quelle navi, e seppe da esse quanto fossero considerevoli e minacciose le forze dei Turchi ; onde di conserva si ridusse a Genova, di che dava avviso al duca: 111.mo et Ecc.m° S.r mio oss.rao Essendo ritornato pur hieri qua sano con tutte le gallere mie è parso avisarne V. Ecc.‘, acciochè ella sappia dove comandarmi sempre con quella affettione che continuamente desidero servirla. Di novo non saprei però che dirle, se non che in Provenza era arrivato una galera di Barbarossa con ambassatori del Turco et del Re francese, che andavano in corte, de ditta gallera sono disbarcati doi Genovesi liberati et fatti franchi da Barbarossa, li quali rifereno quanto vederà V. Ecc. per la alligata copia (i) la quale sarà causa de non esser in questa più esteso........Et a quella mi rac.Jo et bascio le mani. Da Genova alli xxvij di ottobre mdxxxiiij. Di V. Ecc.* Ser.orc Andrea D’Oria. La galera di Barbarossa portava i legati, che conclusero la tregua di tre anni tra la Francia e il turco, e fermarono l’obbrobriosa alleanza alla quale, seguendo una politica nefasta, si lasciò trascinare quegli che si intitolava il Cristianissimo. L’ammiraglio trattenutosi in Genova brevi giorni, e dato ordine alle difese a fine di prevenire un possibile assalto dei turchi, riparti verso la Sicilia, per spiare i movimenti dei nemici. I quali, devastati molti luoghi delle coste napoletane, (l) Questa copia manca. GIORNALE LIGUSTICO s’erano avanzati audacemente fino a Fondi, che misero a sacco ferocissimo, per vendicarsi, siccome è fama, della fuga miracolosa di Giulia Gonzaga, preda desiderata dal loro ardito condottiero. Ma compiuta quest’ultima impresa, Barbarossa, deludendo la vigilanza del D’Oria, navigò difilato a Tunisi e se ne impadronì, smascherando in tal guisa lo scopo vero per il quale s’era messo in mare, abilmente coperto fino allora dalle scorrerie sulle coste italiane (i). Questo fatto, per il quale gli infedeli acquistavano tanto potere e tanta superiorità nel mediterraneo, indusse il papa, la repubblica di Genova e il D’Oria a proporre a Carlo V di snidare con la torza da quella importante città il Barbarossa, ed egli, prestando orecchio altresi alle sollecitazioni di Muley-Hassan, il cacciato sultano di Tunisi, con sommo ardimento politico si fece banditore della guerra santa, e consenti a muovere in persona contro l’Aifrica, per debellare un nemico baldanzoso ed accorto, annidatosi troppo vicino a’ suoi stati e arbitro del mare. Deliberata così Γ impresa mandò a Genova Don Luigi d’Avila con le istruzioni per il suo ammiraglio, che doveva essere capo supremo dell’ armata (2). Sull’ aprirsi dell’anno 1535 incomincia il periodo febbrile degli apprestamenti, e il D’Oria ne scrive al duca: Ili."10 et Ex.mo S.r mio oss.n'° ..........Credo che V. Ex. haverà havuto noticia della bona ressolu- tione che S. M.,à ha fatto sopra 1’ armata, la quale vole che in effetto si facia grande come conviene ad Imperatore, et alla sicurezza delli mari de’ Christiani et expugnatione de la turchesca che ha Barbarossa. (1) È stato giustamente osservato che la condotta del D'Oria nel tempo in cui si svolgono questi avvenimenti cosi audaci del Barbarossa, riesce per lo meno strana, e desta non pochi sospetti, avvalorati dal silenzio degli storici e dei biografi, e dalla scarsità dei documenti. Manfroni, op. cit., p. 307. (2) Arch. Mod. - Lett. del Trotti da Milano 2 gennaio 155s- GIORNALE LIGUSTICO 297 Questa ressolutione 1’ ha portata don Luis d’Avila Gentilhomo de la camera di Sua M.u, qual ha già portato —- ducati per spendere in questa cità, oltra le provisioni che già si son fatte et si fano dii continuo a Napoli et Sicilia, Spagna et Sardegna di vittuaglie, galere et altre cose per questo effetto, sopra la qual armata S. M.li fin di adesso ha deliberato si conducano fanti tra Italiani, Spagnoli et Allamani, che penso ancora potriano essere maggior numero delli m , et in Allamagna parimente ha provvisto de denari, et hogi si è partito di qua il detto don Luis de ritorno a S. M.,d informato della diligentia che si usa, et se userà da queste bande in la expedi-cione, et de quello che più ultra mi occorre circa detta armata, et parimente hogi ho inviato un mio parente a Napoli et Sicilia per solicitare meglio quanto S. Μ.,Λ comanda, di modo che con 1’ aiuto di Dio spero ne debbia succedere il desiderato frutto, del che rni è parso per debito della servitù eh’ io tengo con V. Ex dargliene particolare aviso. Nè altro mi resta dirli che del continuo racc.mi in sua buona gratia basandoli le mani. Da Genova alli ij di Gennaro MDXXXV. Di V. Ex. Servitore Andrea D’ Oria. E alquanti giorni dopo allo stesso proposito: 111 ra<> et Ex.'no S.r mi0 oss.mo .........Poi dalle nove che per 1’ antecedente mia scrissi a V. Ex. ho havuto un’altra lettera da S. M.'1 Ces.J delli x del presente, la quale mi scrive che ’l S.mo Re di Portogallo manderà in questa impresa xx caravelle et un galeone benissimo ad ordine, et che di più S. Ces. M.'A fa venir di Biscaia altri vinti vascelli, che si chiamano azabras quasi conforme a caravelle, su li quali venirano mille homini che si vogliano ritrovare in questa giornata, et oltra li xxij capitanei che S. M.'J fece spedire fin giorni passati per fare detti fanti, sono dipoi avisato che n’ habia fatto expedire al numero di trenta altri cap.ci per lassare guarnite tutte le frontere. GIORNALE LIGUSTICO Qui s’ attende a dar pressa et expedicione a quelle cose che sono necessarie per 1’ armata, et per poter imbarcare — fanti, cioè sei XIJ millia allamani, che già si devono essere cominciati a fare , et altri tanti Italiani, alli quali si darà principio gionto che sia qua il S.r Marchese dii Vasto che aspetto di brevi, al quale S. Μ.,Λ ha datto tal cura, et spero che tutto s’incaminerà corno conviene per servicio di N. S. Dio et di S. Ces.'·1 M.,J Di Barbarossa non si ha altra nova d’importancia adesso, se non che per tempesta et fortuna di mare li sono andate traverse XIJ galere, nove fuste et altri vascelli che si trovavano fora de la goletta di Tunisi al numero di circa trenta in tutti, che non li serà stato di poco danno. Io so bene S.r 111.mo che la Ex. V. tiene più memoria di me et cose mie eh’ io non merito, nientedimanco desiderando quanto facio d’andare in questa impresa bene ad ordine, cossi de forsati corno del resto, non lassarò di suplicarla che occorrendo in questo mezo delli malfattori, si voglia racordare delle galere et del servicio che possono fare. In bona gratia di V. Ex. sempre mi rac.do. Da Genova alli xxx di genaro 1535. Di V. Ex. bon ser.rc Andrea D’Oria. La causa per i diritti del Monferrato continuava intanto ad agitarsi in Milano, e sembrava volgere a buon fine per Federico, quando improvvisamente Carlo V l’avocò a se, onde il seguito e la risoluzione definitiva erano serbati alla corte Cesarea. Questo fatto pose in gran sospetto il duca, al quale parve di veder lesi i suoi interessi, e s’argomentò che l’imperatore, forse per mire d’opportunità politica, volesse lavorire alcuno dei suoi avversari. Nè mancarono i partigiani di Francia, per cercare di trarlo dalla loro, di gettar dubbi nell’ animo suo e di solleticarne 1’ amor proprio, affinchè s’accendesse di sdegno. E in parte vi riuscirono; ma prima di farne dimostrazione aperta, 0 di muover lagnanze stimò GIORNALE LIGUSTICO 299 prudente aprirsi col D’Oria, sentire il suo consiglio, e impegnarlo così sempre meglio ad aiutarlo. Gli mandò quindi il suo segretario Fauzino della Torre, il quale, compiuta a dovere la commissione, partito da Genova e sostato brevemente a Fassarolo, volle dare al duca il 14 Febbraio una sommaria relazione dei suoi colloqui con l’ammiraglio. « Perchè mi rendo certo, » egli scriveva, « che V, Ex. starà in molta espetatione intender quello che babbi exeguito sino qui circa le commissioni con che son venuto......... venendo al negocio col S.r principe io sarò sforzato essere un poco prolisso, pur non voglio restare di dare un poco di faticha a V. Ex. di legere, poi che non ho causa di scrivergli cosa che non gli habbi da essere di satisfatione, et che non merita di essergli taciuta sino al ritorno mio...... Hieri mattina son stato con S. Ex. a mio piacere, et hogli detto molto diffusamente la mala contenteza di V. Ex. et le giuste cause che la movono ad sfocarsi con lei, come quella persona in che ragionevolmente tiene tanta confidentia che nessuna maggiore ne può havere figliuolo alcuno di proprio padre, rendendosi certa che Γ amore et prudentia sua bastarano per dargli quelli ricordi et consigli che convengono, et l’autorità per scaldare et favorire le cose di V. Ex., sì che se giovamento gli ha da venire da alcuna parte, ha da esser da questa. Et per non replicare quello che non importa, sapendo V. Ex. tutto el discorso che in tal caso gli ho potuto fare, circa che non ho lassato indreto cosa che mi sia persuaso convenire in tal caso al ragionamento, dico che sono stato con molta attentione ascoltato, et finiti gli ringratiamenti de la fede che tiene V. Ex in lui, et altre parole conforme alla cortesia sua et alla osservantia in eh’ el mostra di tenire V. Ex., mi ha risposto che prima di’ el venga alla risposta particolare che ho discorso seco, vole fare doi presuposti, l’uno et l’altro di quali tiene per tanto fermi che non dubita punto che non siano giornale ligustico veri. Il primo è che Γ amore de lo Imperatore verso V. Ex. sia singulare et di quella bona sorte che può desiderare un ser.re del S.r suo, in che sa di non abusare. » E qui riferisce il Fauzino i molti argomenti con i quali il D’Oria intendeva provare l’affetto dell’imperatore per il duca ; « unde,» seguitava, o non può se non concludere che quella sia cordialissi-mamente amata da S. M.,à, et che per conseguente non ha da aspettare da lei se non benefitio et piacere et non danno et dishonore. Il secondo è, che se bene alcuna volta et spesso accade che gli sdegni grandi possino assai negli homeni, et tanto più quanto sono più giusti et sono in animo più generoso, di che esso sa parlare per esperientia, perchè nel picolo grado suo a qualche tempo gli è occorso essere in fatto, non di meno che le persone savie non si lassano tanto vincere allo impeto di quello che transcorrano in cosa che gli possi portare pregiuditio, et che in questo proposito gli parea bene venir un poco più al particolare, et dire cosi che hoggi di si può concludere che tutta la Christianità sia divisa in due affetti, Γ uno de lo Imperatore 1’ altro di Franza, et che quasi sia necessario passare per uno di questi camini ad ogni persona di momento. Che quello de lo imperatore mo sia il migliore non gli pare che per quanto se ne possa vedere et conietturare per ragione non gli sia dubio, perche le cose sue sono fundate sopra fundamenti stabili et di tal certezza, che per ragione se possa poco dubitare che non habbino bono exito, et per contrario quelle dei francesi siano tutte cose incerte et vane, et de le quali chi non vole in tutto esponersi al beneficio di fortuna, non se deve presto confidare, perchè non se ne può sperar bene nè ne lo excesso, nè nel meggio, nè ne lo exito, perchè nè ragione, nè forza, nè industria tale è in loro che se ne possi promettere bon fine. Nel meggio perchè la complession luoro è di esser larghissimi promettitori, ma scarsi osservatori de le luoro promesse, le quali GIORNALE LIGUSTICO 3OI sono tanto grandi quando pensano di tirare alcuno alla soa via, che malamente possono adempirle, et spesso anche che possono non vogliono, perchè se gli dissegni gli riescono se insuperbiscono di sorte che non stimano persona, et per consequente non curano de mancargli; et se non gli riescono vogliono che sia per colpa di chi sono obligati a riconoscere, si che in ogni caso non si può aspettare da luoro effetto alcuno de le promissioni, perchè v’ è sempre la impossibilità 0 la ingratitudine, unde è da concludere che ’l dare orecchie a sue pratiche, non possi portare salvo che detrimento. Il che si rende certissimo essere altrettanto a V. Ex. quanto a lui, se bene esso ha hauto de le occasioni che 1’ anno fatto dottissimo de la natura loro, et però giudica che et per l’uno presuposito et per 1’ altro, cioè o per fede che habbi da havere V. Ex. ne lo amore de lo Imperatore, o per diffidentia che meritamente s’ habbi da havere in questi altri, V. Ex. non sia per lassarsi portare tanto oltra il sdegno suo che la manchi del bon proposito in che è stata sempre, o almeno ad non coprirlo talmente che non possa nascere alcuna dubitatione de la tede sua, come si rende certo che V. Ex. conosca che l’una et l’altro sarebbe errore. Et però fatti questi presupe-siti, venendo mo al punto di dir il parer suo, egli lauda che V. Ex. non solo non dimostri de haver havuto a male che S. M.'1 s’habbi avocata la causa a se, ma che gli sia stata nova gratissima et che ha sempre desiderata, come che conoscendola justissima come è, non ha se non da sperarne et più presta expeditione et più conforme alla justitia, perchè facendo altrimenti sarebbe pur segno o di soverchia confidentia in questi judici di qua, o di qualche diffidentia in S. M.tà, et che quanto al giuditio suo egli è di oppinione che questa ressolu-tione non sia se non buona per V. Ex., perchè ogni modo questa causa non s’havea da risolver qui, et pur al fine bisognava ridurla in Corte, ove quanto più presto gli serà, tanto 302 GIORNALE LIGUSTICO più presto terminerà, et sopra ciò si diffuse con infinite ragioni, le quali io pretermetterò, per non dare sì longo fastidio a V. Ex. Io replicai tutto quello che mi parve in proposito, ma sopra tutto havendo veduto come mostrava, cosi sotto certa coperta, di considerare eh’ el sdegno di V. Ex. la potesse spingere a qualche mutatione d’animo, mi fermai in questo dicendogli non potersi già negare V. Ex. non sentire grandissima alteratione, et tanta quanta merita di essere sentita, ma che avenga che lo interesse suo fusse grandissimo et quasi senza comparatione per trattarsi di cosa tanto importante quanto è uno stato di quella sorte, però che quella era più offesa per quello che gli tocca in questo caso come a ser/' di S. M.t4 che come ad interessato nel suo particolare, parendogli che questa mala dimostratione verso lei fusse di si tristo exemplo presso ad ogni persona, che se bene non aparesse cosa mala in V. Ex. come in persona tanto immersa nel servitio di S. M.u che per cagione del mondo non mancarebbe mai di quello, pur è per donar materia agli altri di confidarsi meno, et per ponere subietto tanto ragionevole in bocca de quelli che pensano al disservitio di S. M.t4 che se ne possano valere con quelli che non sono tanto confermati come è V. hx. Il che tanto più conosce quella esser vero quanto che la sa de renfacciature che gli ne sono state date da pochi dì in qua, le quali se ben non ponno far effetto in uno animo tanto bene disposto quanto è quello di V. Ex. pur danno gran fastidio. Et circa ciò si dissero de molte parole per S. Ex. in demostrare di convenire meco in oppenione tanto de la constantia di V. Ex. quanto del malo exemplo etc.1 Finalmente io venni a dirli che ne l’ingresso del mio ragionamento havea richiesto a S. Ex. et consiglio et favore, 1 uno era sattisfatto ottimamente, restava che quella satisfacesse a l’altro, di abbraciare le cose di V. Ex. et favorirle. Mi rispose che di questa parte non mi havea tocco come di cosa GIORNALE LIGUSTICO 303 che reputava superflua, non di meno che poi che a V. Ex. parea così, non mancarebbe di farlo, et che mi volea dire in confidentia una cosa, ben che non me la potea dire molto largamente per alhora, che passariano pochi mesi, anci poche settimane che gli vemrebbe una occasione di fare uno rilevantissimo servitio a V. Ex. in questo negocio, et tale che lo conoscerebbe da lo effetto. Io gli volsi replicare alcuna cosa ma interruppe dimandandomi quando era per partirmi, io gli dissi che pensavo partire la mattina seguente, et alhora mi disse che ogni modo tornassi da lei così a cavallo, perchè ini voleva riparlare, et cosi mi parve di expedirmi. Et per dire il vero veni in qualche speranza che si dovesse allargare un poco più sopra quella occasione eh el disse gli verrebbe di corto. Il che non m’ è però riuscito, che essendoli tornato heri mattina el non mi ha detto altro che questo: Voi sapete quello vi dissi hieri, il medesimo vi raffermo, dite al S.r Duca eh io senza fallo haverò presto maniera di fargli tal servitio che conoscerà per gli effetti, eh’ el non ha servitore più aflfettio-nato di me, io non posso al presente dirvi più oltra, quando sarà il tempo S. Ex. lo saprà et conoscerà che gli dico il vero, andate a bon viaggio. Infinite altre cose furono dette, ma perchè è onesto che hormai resti di fastidire V. Ex. et che mi riserbi anche qualche cosetta per dire a bocca, farò fine. » Questa relazione è assai notevole, non solo perchè rivela in qual modo sinistro era stata interpretata la mossa di Carlo V per la causa del Monferrato, e scopre i maneggi per voltargli contro il duca, ma perchè ci manifesta l’avvedutezza del D’Oria nel calmare gli sdegni di questi, mettendoci innanzi nel tempo istesso con mirabile chiarezza il suo pensiero rispetto ai francesi, che egli giudica alla stregua della esperienza propria. Nè alcuno, leggendo queste severe parole, potrà rimanersi dal ricordare le ragioni principalissime per le quali sette anni innanzi abbandonò il re di Francia, per met- GIORNALE LIGUSTICO tersi al soldo di Carlo V. Se gli affidamenti dell’ ammiraglio, espressi forse a studio in una forma reticente e un po’ sibillina , non ebbero quel sollecito effetto che se ne riprometteva, giovarono tuttavia ad acquietare da un lato Γ animo di Federico, mentre dall’altro misero il D’Oria maggiormente nel-l’impegno di spiare la buona opportunità, a fine di ottenere dall’imperatore quanto il suo protetto desiderava, e ciò, come vedremo, gli riuscì l’anno seguente. Continuava frattanto a tenere intorniato il duca intorno agli apprestamenti guerreschi : IH. m° et_ ecc_"o sr mio oss."'° ..........Poi che dissi a Mes.' Sigismondo suo secretario le nove che di qua occorrevano, quasi conforme alle già scritte, non è comparso niente altro degno d’aviso, excetto che IIIJ fuste di Barbarossa si ha nova che sono andate traverse in la costa di Calabria, et una n’hano preso in altra parte le galere di Rodo, et un’altra ha con-dutto qui un turco che si è fuggito da lui et venuto per farsi Christiano. 11 S.r marchese del Vasto gionse qui tre giorni sono, et cussi si è dato principio al fare delle fanterie Ittaliane. Nè altro occorrendo alla bona gratia di V. Ex. sempre mi racc.Jo et baso le mani. Da Genova alli xvij di fevraro 1535. Di V. Ex.' 1 Aff.w° ser.rc Andrea D’Oria. Anche nel mantovano si dovevano assoldatare milizie, e a quest’uopo era inviato colà con una credenziale del D’Oria il capitano Camillo Beretta (1), mentre nello stato del duca di Ferrara veniva spedito, al medesimo fine, il giorno stesso il capitano Lazzaro da Como (2). (1 Novati, I manoscritti ital. di ale. bibliot. del Belgio e dcU'OlanJa (Estratto dalla Rassegna bibliog. d. lett. ital.) Pisa, 1896, p. 27. (2) Arch. Mod. - Lett del D’Oria 25 febbraio 1535. GIORNALE LIGUSTICO 305 Nè vuoisi dubitare che Federico abbia concesso di levar soldati, tanto più che arrivato il Fauzino, ed apprese diste— s.unente le cose discorse col D’Oria, se ne mostrò contentissimo, e ne scrisse a Genova cosi: IH. etc. Anchora che de l’amore che V. Ex. mi porta io mi possa promettere di lei talmente ogni cosa che desideri, che ogni oblatione che mi facci non mi sia nova, non di meno la cortesia delle parole sue referiteme dal Fauzino mio secret.0 et la dispositione dell’animo suo, che non è minore, et io la conosco et vcddo, è tanta che non mi posso contenere de non ne ringratiare V. S. et pregarla che in questi miei affari tenga quella cura delle cose mie che delle proprie sue, come sono. Et con quella occasione che la spera d’havere operare per me, come confido, che l’assicuro, lassando a parte che ogni beneficio che mi fa è collocato in un suo obedientiss.u figliolo, la si opera per la più giusta causa che si possa imaginare, et per il tanto sincero et devoto ser.rc di S. Μ. ι·; quanto altio della conditione sua si possa trovare, come li effetti mostrerano in ogni opportunità che se offerisca, con quella prontezza che altre volte si è usata, et con maggiore sei sarà possibile, in bona gratia di V. Ex. me racc.Jo. Da Mantua alli viij martij 1535. Il duca tuttavia non voleva fosse intermessa ogni diligenza, perchè le sue ragioni avessero a prevalere, e perciò s’era dato a far preparare tutti i documenti, che reputava utili nel suo interesse venissero conosciuti ed esaminati in corte. E già fino dal 20 febbraio aveva scritto al D’Oria che gli sarebbe occorso di dover mandare fra un mese « in Spagna molte scritture pertinenti alla causa del stato di Monferrato, et tante che sarano una bona soma » ; nè voleva spedirle per terra, « perchè haveriano a passare per il stato di Savoi » , quindi preferiva la via di mare; pregava per ciò « se fra questo tempo acascasse passagio alcuno sicuro », di farlo avvisato. Al che il D’Oria subito rispondeva : Giorn Ligustico, énn» XXIII 20 506 GIORNALE LIGUSTICO 111."’0 et Ex.m0 S.r mio oss."’° Oltra che di qua partano spesso nave per Spagna, penso, anzi tengo per certo che alla fine di marzo haverano causa di partire de qui per Spagna alquante galere, che sarà uno di quelli passagli più sicuro da potere mandare le scritture che V. Ex. mi scrive, et però dentro da questo termine essendo possibile, o quanto più presto sarà bene che quella le facci venir qui, che delle cose sue non accadde poi me ne dica altro, ma che facia conto si ne averà quella cura che debbo havere in servire un tanto mio S.r com’è V. Ex., alla quale me racc.Jo et baso le mani. Da Genova xxv de fevraro 1S 35* Di V. Ex. bon ser.re Andrea D’Oria. Pervenne intanto al D’ Oria una lettera dell’ imperatore da trasmettersi al duca, con la quale gli richiedeva della polvere, ed egli si affrettava a spedirla aggiungendo di suo: Ill.mo et Ex.1"0 S.,'r oss.mo Sua M.tà Ces.cl mi ha comandato eh’io mandi 1’alligata a V. Ex., per la quale parmi gli recerchi certa polvere d’ artiglierie per bisogno di questa S.t:l impresa, et contentandosi V. Ex. di accomodarla et servimela, come mi persuado per tutti gli rispetti, la sup.£° che quanto più presto la voglia far mandare almanco per fino alla Speza, o Sestri di levante in queste rivere di Genova, che havutto l’aviso dell arrivata di detta polvere a la marina, subito la mandarò a levare, et quanto sarà maggiore la quantitade tanto sarà maggiore il piacere et servicio che ne sentirà S. M.li et honore di V. Ex., alla quale baso le mani. Da Genova alli nj di marzo mdxxxv. Di V. Ex. Ser.re Andrea D’Oria. A questa lettera venne risposto dal duca cosi: Ill.mo etc. Ho visto la richiesta che V. S. sotto una di S. M. ” mi fa di qualche quantità di polvere per bisogno dell’armata. Io Sig.rc, giornale ligustico 307 sì come è il debito mio sono in ogni cosa a me possibile, pronto sempre al seivitio di S. M.tJ, et per dimostratione di questo mio buono animo me incresce non posser più di quel che mi possa, che farei vedere in quanto gran cosa la si potesse servire di me. Hora quanto sia alla polvere se havesse il modo ne manderei quantità grandiss. ">1, ma in altre occurrentie di S. M.'-‘ che V. S. non lo sa forsi, mi e convenuto servirgliene di tanta che me ne trovo hora si può dite in tutto exhausto, 0 almeno con tanta poca quanta si possa dire, il che molto me incresce, non tanto per me, quanto per il servitio di S. M.,J, la quale ha da considerare che essendo questa città, la quale io tengo a servitio di quella, dell’importanza che è, non è bene lassarla sfornire di simil sorta di monitione, di modo che in ogni caso la non si potesse difendere et mantenire alla divotion che hora è et sarà sempre mentre vi sarò io et quelli che dipendono da me. Et così può esser certa che la monitione che ne averà qua vi sarà in suo servitio non meno di quello che possa essere sì per oidine di quella si manderà altrove. Non di meno per dimostrare la obedientia mia in tutto ciò che mi è cennato essere di mente di S. M. , di quella poca che ne ho, le ne faccio volentieri parte, la qual parte se si misura col bisogno dell’ armata et con la aspettatione che si può havere della vera servitù mia verso S. M. parerà forse piccola, ma se si riguarda alla poca quantità che ne ho et alla quasi privatione in che per servirlo ne resto, si conoscerà che è grandissima, et se potesse essere magiore mi sarebbe infinitamente più grato, sì per il servitio di S. M.'1, sì anche per 1’ honore di V. S., quale ne haverà da me cento pesi. Io li manderò a Viadana, che non ho nè comodità nè modo di farla condurre fino alle marine. Da Viadana la potrà pigliare ordine che le sia condotta fin dove la vorrà. Et in questo la priego ad havermi escusato se non faccio magior dimostratione di quel che faccia, el che è per non potere, non per non volere, che la voluntà è tanto buona, come ella può sapere senza che io mi diffunda in narrargliela, et con questo facendo fine di bon cuore me gli racc.do. Da Mantua alli xj di marzo 1535. I anto egli si mostrava desideroso di raffermare i sentimenti di devozione verso l’imperatore, e sollecito in un tempo di non 308 GIORNALE LIGUSTICO scontentare Γammiraglio. Anche il duca di Ferrara, richiesto, aveva fornito della polvere, e il D’ Oria ne scriveva a Carlo V per fargli sapere quanto « gratiosamente » si tosse dato premura di mandarla (1). (Continua) A. Neri. Schaube (Ad.). Die Wechselbriefe Konigt Ludwigs des heiligen (Le cambiali di San Luigi ber la sua prima Crociala, e il loro influsso sul sistema monetario di Genova). Le due crociate di S. Luigi (1248-70) tanto degne di storia per Γ universale, guadagnarono particolarmente ai Genovesi un largo influsso nel loro commercio di mare e di banca, che i nostri notari scrissero nei loro Atti ; lasciandoci un tesoro quasi sepolto per secoli, ma venuto a maggior luce ai nostri giorni. E la luce fu fatta per la infaticabile operosità del compianto Prof. Belgrano fino dal 1859, vale a dire nei primissimi anni dei "suoi studi archivistici: con mirabile coraggio intraprendendo in quasi tenera gioventù la non facile lettura dei registri di quel tempo, la faticosa raccolta di documenti smarriti fra la .vastità di migliaia d’affari d’ogni sorta; e mandandoli alla stampa a proprio rischio, allorquando il risveglio storico era appena ridestato coll’ alba della formazione della Società Ligure di Storia Patria. Senonchè appunto per queste ragioni il suo libro giacque quasi dimenticato: ed egli stesso intendendo che il lavoro richiedeva una illustrazione proporzionata e che non manco di annunziare, non la pose in effetto; contentandosi di apporre in nota numerose e importanti spiegazioni sui luoghi, sulle (1 Arch. Mod. — Lett. del Rossetti di Spagna 14 febb. x > 3 >- giornlae ligustico persone, sui vocaboli tecnici ed oscuri, mano mano indicati negli Atti Notarili; aggiungendo inoltre da altre fonti, specialfrancesi, paiecchi documenti che ne rincalzassero l’intelligenza generale (r). Ora a questo gran bisogno d’illustrazione viene a sopperire il Dott. Adolfo Schaube, già chiaro per dotte scritture sul commercio, sul cambio e le tratte, e specie per noi sul consolato del mare in Genova (2). Forse primo fra i tedeschi il Schaube rileva 1 alto valore di questi atti del ricchissimo archivio notarile genovese. Lamenta che degli affari così vivi, ad esempio quelli intrapresi nell’anno 1253, i documenti in Francia non ne dicano parola; donde nasce il bisogno di sottoporli ad un esame complessivo e scientifico. Si sapeva che San Luigi, intraprendendo la sua prima crociata, incominciò col nominare due ammiragli genovesi, Ugo Lercari e Iacopo di Levanto, e che conchiuse col Comune di Genova patti solenni per essere aiutato da loro con persone, con navi e fornimenti. Ma colla pubblicazione del Belgrano '•engono fuori con questi nomi di persone le circostanze ignote la più parte che ci fanno come assistere di presenza ad un movimento commerciale e bancario che non si sarebbe mai immaginato in vigore fin dal secolo decimoterzo nella nostra città. 1: il Dott. Schaube vi si ferma sopra con amore armato di buona critica, e rileva la costruzione, i noleggi delle navi, le galee e taride da trasporto, i ferri, i missili impiegativi, insieme a tutto il giro degli affari delle accomandite, dei giri, 1 Champollion Ftgeac. Mélangés historiques... tirés des Ms. de la Bibl. nationale 1843-48, Vol. II; — lai. pacta naulorum. 2 Schaube. Des consulat meers in Genua 1S86. — Ve n’è una recensione del prof. Manfroni nella Rivista Marittima 1895, ottobre, p. 199. Non pare che conosca questi documenti il Dott. Heych che fece del resto una reputata Memoria anch’ egli col titolo: Genua uni scine Marine nel secolo delle Crociate, Inspruch. 1886. 310 GIORNALE LIGUSTICO delle cessioni, nella vasta mole dei debiti contratti coi genovesi dal re al santo scopo. I documenti editi dal Belgrano sono in numero di trecento e corrono dal 1246 al 1278; trenta dei quali soltanto sono attinti ad altre fonti, il resto tutti atti dei nostri notari. Di un solo di questi (Bartolomeo de Fornari) qui se ne contano cento ottantuno. Appartengono alle due crociate, ma la parte principale è della prima impresa e fra questi stessi Atti della prima, i più importanti sono gli Atti dell’anno 1253 che ne conta cento settantuno. Quindi con ragione il Schaube preterisce stendersi a quest’annata, ne forma una diligente ta\ola di ottantotto o meglio di novantatre Atti fatti da 71 genovesi, colla loro data, la somma implicatavi, segnando il numero corrispondente a quello della pubblicazione del Belgrano. La somma totale del 1253 a cui giunge il debito di San Luigi è di lire 102,780 */, in moneta di lire tornesi, che era la più comune e favorita a quel tempo, oltreché in Francia, in Italia e dovunque, per la quantità del buon argento in essa contenuto. A questa somma egli aggiunge quella di otto Atti riguardanti li interessi dei Templari coi creditori genovesi che calcola in lire di tornesi 5,545 e sold. 16. Ma siccome vi sono altre somme di società e di particolari, non ben definite nella loro quantità di cui reca esempi, egli non esita a comporne una totale rotonda di lire tornesi 104,000. Passa ad esaminare il valore di questa somma che vuol ridurre ad espressioni meglio note nel nostro tempo. La lira tornese (dice) corrisponde ad ottanta grammi d argento fino. Ciò concedo tanto più volentieri, in quanto io stesso ho già spiegato questo stesso valore nella mia Memoria sulla Moneta ed il Rapporto dell’oro all’ argento (1), facendo constare che il (1) Nelle Memorie della R. Accademia dei Lincei, Classe di scienze mo rali. Vol. Ili, part. 1, pp. 5, 6 dell’estratto. giornali, ligustico 311 Orosso d argento toinese da un soldo sta al peso di grammi 4-_i ed al fino di gr. 4.04 e si può ridurre al rotondo di grammi 4 di puro argento, donde venti soldi 0 una lira torna a grammi So (1). Ma, quando lo Sch. per spiegare il valore antico in moneta moderna ragguaglia il valore di una lira tornese a 26 marchi di Germania, non so bene come abbia proceduto nel calcolo. Se si tratta di marchi equivalenti in Italia alle nostre L. 1.25, ogni marco mi pare dovrebbe contenere gr. 5.62 d argento fino, quindi 26 marchi darebbero gr. 146. i_ ben lontani dai gr. 80 della lira tornese. Egli veramente dice che fa tale calcolo in considerazione del rapporto corrente a quel tempo tra i metalli nobili, e rimanda per maggiore spiegazione, più abbasso al Capo III, §§ 3.° e 4.0, ma questa è una parte ignota per noi. Qui è meglio tentar la riduzione delle Lire tornesi in genovine, ma anche questo non è facile, per manco di documenti precisi in mezzo all’abbondanza di valori che abbiamo qua e là e nelli stessi atti del i-ί·) in ragguagli cambiarli, perchè ad alterarne il giusto concetto non può mancare Γ usura, il cambio e simili. Attenendoci ai valori precisi del 1139, del 1172 e del 1288, fra i quali naviga il 1253, i nostri calcoli ci diedero pel 1159 un soldo genovino di fino argento pari a gr. 87.84, donde la i ra de! tempo sarebbe pari alle presenti lire italiane Γ9.50; l'Oscia col grosso di buon argento da den. 4, da noi introdotto verso il 1172, un soldo è un po’ diminuito al fino cioè di gr. 83.52 colla lira a lire italiane 18.54. Col nuovo grosso da un soldo del 1288 siamo discesi a gr. 2.80, donde la lira è pari a lire italiane 12.43 (2)· (i) Qui parliamo di grosti tornesi da non confondere coi piccoli, che cosi vanno intesi ai nn. ij-19 del Belgrano e che sono valutati a soldi 50 per marco di argento, ma sono di lega molto più bassa. 12) Vedi le nostre Tavole dei valori in lire antiche e in lire italiane delle monete d’oro e d’argenta genovesi dal 1159 al 1804, inserite' in fine del 312 GIORNALE LIGUSTICO Ma quando entriamo nel 1253 è buio pesto, non ostante Γ allora coniato Civitas jantia di noto peso e fino, ma d’ignoto valore (se di denari sei, otto 0 dieci), visto anche il noto peggioramento nel titolo di queste ed altre monete nell’anno medesimo. In altra nostra Memoria (1) abbiamo toccato di questo punto ed in mezzo ad esitazioni abbiamo creduto mantenere all’incirca il nostro parere già espresso nelle citate Tavole, cioè di gr. 64 per una lira di genovini del 1253, la quale verrebbe al valore attuale di L. 14.21, poco meno di una media fra le 18.54 del rI72 e r24> del Ι2^8· a'tra parte una lira di tornesi del fino di gr. 80 viene al valore d'italiane lire 17.76. Quindi richiamandoci alla somma di lire tornesi 104,000 implicate come sopra in interessi genovesi alla Crociata nel 1253, s* arriva alla somma di lire italiane i milione e 847.000. Ma, s’intende, questo è un valore puramente metallico; indica cioè la quantità dell’argento che si è dovuto consumare nell’impresa; però si rifletta che quella quantità oggidì sarebbe lungi dal soddisfare ai bisogni di pane, di mano d’opera, di stipendi e salarii che bastava a quel tempo. Gli economisti sono concordi nel parere che per quei secoli la quantità d’argento allora bastante, ne richiederebbe una somma maggiore oggidì se si dovessero eseguire gli stessi lavori o soddisfare gli stessi bisogni, ma poi non convengono nello stabilire la differenza. Chi dice due, tre 0 anche cinque sei e più dell’ argento che si spendeva allora. Il conte Cibra-rio (2), che cita parecchi di tali autori e le loro diverse Belgrano, Vita privata dei Genovesi, Genova, Tipograha Sordo-muti 1 :">7 5 > tav. X, per 1’ argento. (1) Le prime MimeU della Zecca di Genova ed il loro valore (11)9-1490 in Atti della Società Ligure di Storia Patria, 1888, Vol XIX, pp. 187. (a) Della Economia politica del Medio Evo, Voi 2, tavole, pp. 165-199, Torino 1861. giornale ligustico opinioni, ha intrapreso egli stesso uno studio lungo e pazientissimo, ricco di dati e di valori dal 1257 creduto poterne inferire che per quel lungo periodo di più di tre secoli, una lira media paragonata sui valori del frumento che è come la base generale di quei servizi e spese, corrisponderebbe a italiane lire 1.77 de’ nostri tempi Ma io pur sempre ammirando il suo ponderoso lavoro, sono d’avviso che non corrisponda bene per la metà del secolo XIII. Per questa prima età i suoi ragguagli sono troppo pochi 0 dubbi, mentre abbondano pei secoli seguenti, quando cresceva a rotta di collo il deprezzamento del denaro. Quindi per quel secolo dovreb-besi triplicare per lo meno, se non anche quadruplicare o quintuplicare la somma di quella quantità metallica. Noi però volendoci tenere a una misura bassissima contentiamoci di raddoppiare le lire 1.847.000, che abbiamo detto, corrispondenti in metallo alle tornesi L. 104.000, e troveremo che accenderanno a 3 milioni e 694.000 lire italiane, cioè ad un valore commerciale, corrispondente, il minimo possibile, alle esigenze della vita sociale di quel tempo. Cosi sarebbe questa la somma impiegata dai genovesi in un solo anno e per questa sola impresa. Il Sch. passa a considerare la medesima somma di lire tornesi 104.000 in relazione a tutto il bilancio annuale di San Luigi, quale risulta da più dati ed anche da un prezioso documento edito dal Belgrano; e con sottili investigazioni ne deduce che quel capitale genovese assorbiva i nove decimi del bilancio reale. Qui ci fa entrare la questione dell’ ammontare del riscatto del re prigioniero dei Saracini e commenta la lotta molto calda fra i dotti signori Marcheville e Blanchard, ma non vi entreremo ; limitandoci a notare che anche noi abbiamo partecipato alla lotta sotto certi altri rispetti (1), essendoci 1) Desimoni. La Monda e il rapporto deir oro all'argento citata; dell’estratto pp. 5 e 45-56, su questo rapporto ai tempi di San Luigi. 3I4 GIORNALE LIGUSTICO trovati d’accordo col signor Marcheville molti anni prima di conoscerci. L’autore vuole pure studiare l’usura, censo o agio de] cambio, a cui fu costretto di accedere il re coi genovesi in questi contratti, e lo stima a un dieci per cento e più. Veramente San Luigi nei primi anni del regno aveva vietata l’usura, uniformandosi alle leggi canoniche; ma nell’intraprendere un’ impresa religiosa delle più ardue, non poteva non capire la necessità del cambio e di contratti simili per riuscire, perciò dovette assoggettarsi alla necessità, come vi si dovettero assoggettare i papi medesimi. Nè possono considerarsi gratis el amore i mutui, per quanto contratti sotto questo bel nome. La diligenza scrupolosa dello Schaube gli fece scoprire, nella pubblicazione del Belgrano, errori e confusioni nei nomi dei notari che scrivevano quegli atti. Cosi anch’ io sulla traccia di lui ho verificato negli originali, che li instrumenti indicati coi nn. 90 e 108 b's assegnati dal Belgrano al Bartolomeo De Fornari vanno restituiti al Notaro Giuanino de Predono. Ma pare a prima fronte che egli trascorra troppo, cercando di trasportare a questo de Predono i numeri 221-225 che dal Belgrano sono assegnati al de Fornari. Riconosciamo vera, e non senza sorpresa l’osservazione dello Sch. che il Fornari comincia ogni atto ex abrupto coll’eco 0 nos, mentre il De Predono ha sempre in testa la forinola in nomine domini amen. Ma questa non sembra un’obbiezione fondamentale; il Fornari terminando il Registro 1253, per qualche ignota o casuale ragione può aver cambiato for-mola, adottando quella del Predono che è anche comune ne’ nostri notari; ciò tanto più che tutto il Registro del 1254, in cui sono gli atti 221-25, conserva sempre la nuova formola in nomine... (se prescindiamo da due mazzi di fogli colla intestazione deH’i£c, i quali differendo anche nel carattere, vi GIORNALE LIGUSTICO 315 sono stati intrusi evidentemente). Ma è un fatto incontrastabile, che quel Registro del 1254 porta sul dorso e nel frontispizio il nome di Bartolomeo De Fornari come l’autore del Registro, e questo nome è scritto non solo di carattere del secolo scorso, rtia vi era già scritto di carattere, se non sincrono, per lo meno al più tardi del secolo XVI; quando dunque vigeva la buona tradizione, e si era molto prima delle bombe nefaste di Luigi XIV, le quali nel 1684 sconvolsero tutto ΓArchivio notarile, tanto bruciando e tanto confondendo i salvati che è * oggi una pietà a volerli raddrizzare. 1 uttavia l’autore reca in appoggio un argomento intrinseco che fa pensare. L’atto N. 224 (egli dice) ci richiama ad altra carta dello stesso giorno facta manu Iohannini de Predono, e quest’altra carta si vede appunto a fianco delle due carte riguardanti uno stesso Iacobino de Marini e sulla stessa materia (1). Quindi ne argomenta che tutti questi atti sono del de Predono, come già faceva sospettare la diversa intestazione in nomine.... La mano di scrittura del Registro di Predono del 1253 è un po’ più serrata e pare un po’ più piccola di quella del 1254 fin qui attribuito al Fornari, ma in sostanza, come nel sistema delle abbreviazioni, si può ritenere identica. Checché ne sia ciò non importa al nostro soggetto, perchè in ogni caso si tratta di atti evidentemente originali ed autentici. Così passato in rivista il complesso delle nostre carte sulle Crociate, il Schaube rileva l’abbondanza, la ricchezza, e l’influsso dei mercanti genovesi di quel tempo sugli affari d’oriente che allora così potentemente agitavano l’Europa. Erano al certo molto vigorosi i banchieri anche in altre città italiane, (i) Noto però che qui é un altro errore del Belgrano che ne assegna l’esistenza al foglio 261 del Registro, mentre tutti tre gli atti, nn. 223-22$ sono scritti sul foglio 71 recto. jio GIORNALE ligustico i Fiorentini, i Senesi, i Veneziani, i Piacentini, con largo capitale che svolgevano anche fuori di Francia, come i Bardi e Peruzzi col re d’Inghilterra. Su questo soggetto è importante il libro del Piton (i), un libro un po’ abborracciato nell’ordine e nelle ripetizioni, ma ricco di dati e di estratti di documenti e ricchissimo per le cose genovesi, sebbene non conosca la pubblicazione del Belgrano; egli vi promette inoltre una serie di altri simili lavori che non so se siano più pubblicati. Ma, come ben nota lo Schaube, in questo affare delle crociate di San Luigi i genovesi furono senza contrasto stati più -partecipi ed operosi, ed egli ne espone le gravi somme dai singoli impiegate e ne evoca le singole famiglie che compariscono in questi atti, e sono le più illustri e benemerite della nostra nobiltà; gli Spinola, i Di Negro, i De Marini, i De Mari, i Camilla, i Grillo, i Grimaldi e un Marchese Grimaldo di Gavi (nn. 132-134-136), oltre ad un Ottone di Gavi (n. 14), precettore degli Spedalieri che è incaricato da San Luigi d istruzioni pei noleggi e per gli affari della crociata. Fra queste famiglie primeggiano i Lercari per 1’ opera quanto pel contributo di danaro. Già sul principio del 1288 Ugo Lercari con Iacopo di Levanto furono gli ammiragli della flotta regia; morto Ugo prima del 1250, troviamo ammiraglio il tìglio Guglielmo e cooperanti con loro i nipoti e i consanguinei, Ido, Giacomo, Enrichetto, Giovanni, Belmosto e il giovane Belmostino, banchiere del re e agente del conte di Dampierre. Il re concede ai successori dell’ammiraglio un annuo feudo (pensione) di cui continuiamo a scorgere le traccie fino al 1299 (2)· (1) Les Lombards en France el a Paris. - Paris, Champion, 1892. (2) Dopo i documenti del Belgrano vedisi nel citato Piton pp. 179, 189, dove trae, dai conti del re al Louvre, più volte il nome di Belmostino, ma guastato in ìialmonlinus Lancar. Ivi dagli stessi conti abbiamo più volte gli GIORNALE LIGUSTICO 3 I 7 Altro feudo perpetuo ebbe dal re di Francia il nostro primo capitano del popolo Guglielmo Boccanegra, il quale cacciato da Genova si rifugia presso quel re e intraprende per lui, spendendovi tornesi L. 5000, l’opera ancora oggi non del tutto perduta della cinta e fortificazioni di Acquemorte; là sulla stretta striscia della costa provenzale, dove San Luigi avea bisogno di un porto per uscire al mare e incontrarvi le navi genovesi in partenza per la crociata. Di ciò parla largamente il comm. Belgrano (1) citando i patti fatti da Guglielmo con Filippo 1 Ardito figlio di S. Luigi in maggio 1272 e, morto il Boccanegra, una istanza del gennaio 1274 con cui la vedova Giacopina coi figli Nicolò, Rainero, Ottobono chiedono al re esseie liberati dai pesi della convenzione del 1272. Ora una maggior luce ci viene dal Sig. Piton, p. 223; il quale dal- 1 Archivio Nazionale di Parigi trae un atto di quietanza al re dalla vedova e figli per quelle L. 5000 tornesi mediante il pagamento di simili L. 4734 loro fatto da due procuratori del re. Senonchè in questo atto vi è un errore evidente nella data assegnatagli del i.° aprile 1270; posto che, come vedemmo, la convenzione di Guglielmo col re non fu che del 1272, e quegli appare morto soltanto al gennaio 1274: per il che si può supporre che la quietanza sia di questo stesso anno *74. Uno dei procuratori del re al pagamento ivi si chiama Guglielmo Buchuz, castellano de Sumidrio (Sommières) evidentemente il Guglielmo Buccuccio già notato dal Belgrano che prova essere questi genovese e di un ramo della famiglia De Mari (2). Si può esser certi pure dell’ identità di stipendi del celebre Benedetto Zaccaria ammiraglio del re pel 1298 al 1300 e del nostro capitano del popolo Oberto Spinola pp. 179-189-197-209-204-212 colla giunta ad vitam. come già altro Lercari erasi meritato un feudo annuo nel regno latino di Gerusalemme (Belgrano η. 109Ί. 1 Giornale Ligustico, 1882, pp. 326, 331. (2) Id. pp. 533-38 3i8 GIORNALE LIGUSTICO questi con quel Guglielmo Boccaccio genovese citato dal Piton, p. 221, come testimonio nel 1277 alla Ordonance sui Consoli lombardi per le fiere di Nimes. Ritornando a riassumere il Schaube, bello è il vedere tosto in opera nei presenti atti i Lercari, fino dal 1248, contrarre società coi concittadini per la divisione de’lucri, affrettarsi a noleggiar navi, galee, taride da trasporto, acquistar Luoghi (azioni) sulla proprietà d’altri legni, farne costrurre ed armare di ferri, di missili, di vettovaglie; e così di tanti altri genovesi, come si vede dalle tabelle dell’ autore sovra accennate e dal valore impiegatovi. Il Schaube poi ci presenta i notari che viaggiano colle navi in Terrasanta, quali un Saporiti, un Lavaggi e quel Giovanni il Vecchio che anche in questi atti lasciò scritture di sua mano. Vediamo partire da Cesarea per mare lo scrigno di S. Luigi colle sue lettere e cambiali per O O Bianca la regina madre. Le navi sono di ritorno a Genova da due passaggi oltre mare; uno d’estate che reca le lettere del re. mentre egli era in Giaffa, colla data dal 30 marzo al 27 aprile, e giungono a terra avanti il 10 luglio; l’altro d’inverno che reca quelle colla data 21 agosto - 29 ottobre dimorando il re in Sidone, le lettere arrivano in Genova avanti al 14 novembre. All’arrivo d’estate si ammira la fretta onde le parti vi moltiplicano sopra i contratti, le cessioni, giri, procure, eambii, mutui, accomandite; se ne fanno 10 atti e perfino 21 in un giorno. Nell’ arrivo d’ inverno si procede un po più lentamente, entro un mese o poco più (14 novembre al 23 dicembre). Gli atti recano quasi sempre a fondamento loro due lettere di San Luigi, 1’una aperta e l’altra chiusa. In quella aperta egli riconosce il proprio debito ed assegna pel pagamento al creditore una data per lo più di 15 giorni a vista alla cassa del Tesoro del Tempio a Parigi, oppure ad alcuna delle fiere GIORNALE LIGUSTICO di Francia, specie alla fiera di Lagny che correva dal 2 gennaio a \ febbraio (i). L’altra lettera chiusa che accompagna quella aperta, deve contenere l’ordine del pagamento alla Cassa del 1 esoro, col suggello del re. L atto N. 225 è fatto sulla piazza dei Malocelli, ove si dice Jie dimorano i cambiatori; un altro di quegli atti, il N. 11, doP° essere stato compiuto, al domani per lo stesso notaro si dichiara finto (n. 12); la ragione della finzione si suppone die sia per acquistarne un titolo apparente verso i terzi colla protezione del re, capo della crociata. In siffatta guisa vediamo quasi risorgere, e porsi all’opera innanzi agli ^occhi nostri gli svegliati ed operosi concittadini del secolo XIII. Constatiamo come il danaro , da essi accumulato colla severità dei costumi e colla vasta intelligenza, fruttasse non solo alle ardite imprese a prò della patria, ma anche all impresa della crociata. Comprendiamo meglio i gravissimi oneri ai quali si è assoggettato il re non solo per conto proprio quanto per conto di lolanta di Borbone (qui appellata Iohanna), de suoi baroni e vassalli e degli ordini militari del l'empio e dell’ Ospedale. A favore dei quali tutti si costituisce sigurtà, anzi principale debitore verso i terzi. Nè per questo pare che se ne diminuisca il credito del re; però in alcuno dei nostri atti si prevede la possibilità di un ritardo al pagamento, e il da fare pel ritardo. Con ciò lo Schaube chiude la sua Memoria, rilevando, il grande sviluppo della banca e del commercio metallico in Genova fin dalla metà del secolo XIII; mentre poi anche nel XVI il Comune manteneva per questo rispetto la sua preponderanza in Europa. Già ampi particolari sul soggetto generale del commercio genovese di banca troviamo raccolti nel citato libro del Piton, ove appariscono così numerose le famiglie partecipi; numerose pure sono le famiglie genovesi notate nelle pergamene di quei secoli, già nelle carte del notaro Courtois, ora nella Biblioteca nazionale di Parigi, fondo Latino \T. 17.803, numerosa collezione che anche noi consultammo e ne discorremmo in uno dei nostri appunti (2). Nel quale (1) Essendo tale il corso della fiera di Lagny, pare che abbia ragione l’autore nel ritenere errata l’espressione al N. ut del Belgrano, in proximis nundinis Lagiuti novembris, in luogo della quale ultima parola l’altro atto N 138 colloca venturis. Io non ho consultato il testo originale. '2: \ ed. le nostre « Spigolature genovesi in Oriente », nel Giornale Ligustico, 1884, pp. 338-39. — L’autore giustamente desidera che delle 520 GIORNALE LIGUSTICO articolo riportammo pure un documento notevole del 1251 .1 cui anche allude il Schaube e in cui San Luigi avverte i Genovesi, che furono sequestrate in mare ai pirati centoventi delle sue lettere di debito verso di loro, ma si lagna che 55 di queste lettere portano ancora intatto il suggello reale, mentre, essendovi ragioni di credere estinto il debito, doveva-quel suggello essere cancellato. Noi dunque riconoscendo in tutto ciò la perpetuità della fibra ligure, ne possiamo andare orgogliosi ed insieme ammirare la prematura civiltà genovese; la quale, dopo aver provveduto con buone norme e posto in esercizio il buon ordinamento dello Stato, della Finanza e del Commercio, non dimenticò di assicurarne la Storia pei posteri; fin dal principio del Consolato costituendo PArchivio generale e segnatamente la collezione Notarile che cominciò fin dalla metà del secolo XII, e che, non ostante le parecchie rovine sofferte, per ricchezza, diuturnità e varietà ha poche pari, nessuno la supera. Genovu, 10 Agosto iSq8. C. Desimoni. NECROLOGIA Il 19 di Luglio cessò di vivere a Massa di Lunigiana, dove era nato il 3 novembre del 1817, il cav. uff. Ferdinando Compagn . Figlio del cav. Lazzaro e della contessa iVlarianna Colombini, ece a Pisa gli studi e si laureò in giurisprudenza, ma senza che mai eser citasse I’ avvocatura. Sedè ne’ Consigli del Comune e della Provincia e nella Giunta provinciale amministrativa; due volte fu Sindaco ce a nativa città. Ebbe la presidenza della R. Accademia de Rinnovati, e appartenne come socio effettivo alla R. Deputazione di storia patria delle Provincie Modenesi per la Sotto Sezione di Massa. Coltivo con amore gli studi di patria erudizione, occupandosi specialmente^ 1 genealogia e d’araldica. Lascia alle stampe: Notizie intorno hi >'‘a e gli scritti di Carlo Frediani, che stanno in fronte a Due ragio namenti storici di Carlo Frediani, colla giunta di alcune iscrizioni italiane del medesimo, Massa, pei torchi dei fratelli Frediani tipogra ^ ducali, 1847; in-8 " di pp. xx-80 ; e Pietro Alessandro Guglie ni commemorazione, Massa, Stab. tipografico di Vincenzo] Mfenzione| 1886; in-12.0 di pp. 20. Carte Courtois, tanto finora dibattute, si faccia una buona esposizione scientifica; il Piton parea che volesse accingervisi egli stesso. Luigi Ferrari proprietario. 321 ANDREA D’ORIA E LA CORTE DI MANTOVA (Lettere illustrate) (Continuazione vedi pag. 30S) Già erano iti buon ordine le galere e dal marchese del Vasto e dal D’Oria si aspettavano i soldati tedeschi per l’imbarco, non se ne aveva notizia sicura, onde parve cosa ben fatta il richiederne a Mantova: 111.0,0 et Ex.m° S.r mio oss."'° Desiderando il S.r Marchese del Vasto ed io d’havere nova certa dove si trovano li allamani, et se sono ancora passati Trento o tutti o parte, o se per sorte gli è occorso et occorre alcuno impedimento, et finalmente tutto quello che è seguito et segue di loro, parendone non poterne havere più certa et distinta informatione, como per opera di V. Ex., la suplicamo ambi insieme ne voglia far gratia che di ogni particolarità restiamo bene avisati, et quando lei non 1’ havesse cossi in prompto, sia contenta mandarlo subito ad intendere, et con lo exhibitore presente qual si mai.da a posta chiarirne bene il tutto, che altro non mi accadendo d rii con la presente resto basando le mani di V. Ex. et in sua bona gratia rac.n,i. Di Genova alli xxj di marzo 1535. Di V. Ex. bon ser_rc Andrea D’Oria. Come la domanda giunse sollecita, chè fu spedita per uno speciale corriere, cosi giunse del pari prestamente la risposta : 111.'1"1 etc. Non mi è accaduto a travagliare molto per havere informatione de questi genti alemani secondo che V. Ex. mi ricercha, perchè già doi giorni sono sul mio dominio, et questa sera passarono al fiume de Olio a Marcharia pure mia terra et se alloggiarono a S. CtinftK l.iovsTico. Anno XXIII. 522 GIORNALE LIGUSTICO Martino, che è loco d'un mio nepote et tanto vicino a Casalmaggiore ove hanno a passare il Po , che dim ine a sera gli devono essere passato, li sarano sul parmisano. Penso che debino essere assai presto ove gli serà ordinato, perchè caminano senza alcun impedimento per el viaggio loro et vengono per quel che intendo di boniss.1 voglia. Altro non mi resta che racc.™' infinitamente a V. Ex. recordandogli di me quando serà tempo. Da Mant. xxij marzo 1535- Ricevuta questa notizia si mandò subito ]’ ordine che le truppe s’avviassero alla Spezia, dove sarebbero andate le galere per imbarcarle. Era quindi imminente anche la partenza di Andrea per la Spagna, di che avvertito il duca, gli scriveva il 29 di avergli spedito due casse di frutti da recare al suo ambasciatore per la corte, e rispetto alle scritture di cui aveva parlato il mese antecedente aggiungeva: « Non si mandano, prima perchè lo essere sopragiunto questi giorni santi ha impedito che non si habia potuto rilevarle tutte et affrontarle con li originali, poi ancho perchè non si essendo per anchora risoluta S. M.u in questa causa quanto sia al particolare delle persone che la habbiano ha conoscere, mi pare de non le incaminare fin a tanto che non si sapia questa resolutione ». Indi a pochi giorni ne riceveva questa replica: 111. mo et £Xi mo 5/ mio 0SS.m Le casse che la Ex. V. mi ha fatto consegnare le condurrò in mia compagnia in Barcellona, et questo et ogni altra cosa che sia di suo servicio non mancarà per le mie mani d’havere bon recapito, et cussi le lettere di V. Ex. per lo S.r marchese di Vasto anderano fin da questa sera a posta alla Speza dove sua S. 1 si trova, et dove già sono andate tutte le nave dell’ armata per imbarcare li allemani corno vi siano gionti, et fatto le lor mostre, che spero sarano finite fra quattro giorni, et io medesimo me partirò domane la notte piacendo a Dio per detto loco, per aiutare et solicitare la partenza del-1’ armata, la quale subito che stia a la vela, ritornarò qui ad expedirme GIORNALE LICUSTICO 3 2? dii resto per andare con le mie galere in Barcellona, et portarò le lettere medesimamente per l’oratore di V. Ex., alla quale di continuo in sua buona gratia racomandomi et basoli le mani. Da Genova alli iij de Aprile 1535. Di V. Ex. Ser.re Andrea D’Oria. Si recò infatti alla Spezia, e provveduto alla spedizione, se ne era tornato a Genova, a fine di dare l’ultima mano agli apparecchi, e poi far vela per la Spagna. Quando fu 111 punto scrisse al Duca : Ill.mo C£ £x g r m;0 0SS.mo Sapendo che questi giorni passati il S.r marchese dii Vasto ha datto aviso a V. Ex. delle occorrentie di queste bande,, io non ho curato replicarglielo con mie lettere, hora dovendomi partire ancor hoggi col nome di Dio per Barcellona, mi è parso innanti la mia partenza basare le mani di V. Ex., la quale sup.co che in tutti li lochi dove mi trovo si degni comandarmi corno a suo bon ser.re, et per tale non mancarò gionto eh’ io sii da sua M.t4 operarmi per le cose sue dii Monferrato, secondo potrà poi essere avisata dal suo oratore ressidente in Corte, al quale si faranno consignare le casse et lettere di V. Ex. Et perchè mi disse il p.t0 S.r marchese che la desiderava intendere il proprio della venuta di S. M.'\ ancora che li respondessi quanto mi occorreva, saperà V. Ex. che per tutti li avisi che si hanno, non si può salvo credere che S. M.’·' debia volere trovarsi in questa impresa d’Africa, et quanto a me cussi lo credo. Hieri hebbi lettere di quella delli xmj che mi solicitano tuttavia a l’andare, dicendomi che 1’ armata di Spagna sarà tutta ad ordine, et già mi sarei partito se li tempi in mare l’havessero comportato, però non havendo quasi mai havuto vento l’armata che conduce il S.r Marchese del Vasto, ne anche potuto partirsi di qua alcuni altri vascelli che si hanno da giongere con quella, non mi saria stato licito aviarmi senza veder prima aviata la detta armata, cussi facendo fine in bona gratia di V. Ex. mi rac.Jo et baso le mani. Di Genova alli xx di Aprile 1535. Di V. Ex."4 Ser.re Andrea D’Oria. 324 GIORNALE LIGUSTICO Era sorto il dubbio se, come da principio venne bandito, Carlo V sarebbe poi andato egli pure in Affrica, e quantunque tutto lo facesse credere, pure la deliberazione definitiva doveva prendersi quando il D’Oria fosse giunto a Barcellona; infatti da questa città appunto scriveva l’ambasciatore estense che la risoluzione dell’ imbarcarsi o del restare di Sua Maestà « depende dalla venuta del Principe D’Oria et suo consiglio » (i). Quale doveva essere il consiglio dell’ ammiraglio è agevole rilevare da quanto con prudente riserva, ma con bastevole chiarezza, ne scrive al duca Federico. Questo stesso giorno, secondo si proponeva, parti da Genova, e contemporaneamente si mosse quella parte dell’armata che si trovava alla Spezia. Egli navigava sopra « una quadrireme, legno non usitato », e fatto da lui costrurre « per vedere se riusciva bene, per servirsene, riuscendo, molto utilmente » (2). Giunse a Barcellona il 1.° maggio « due bore dopo il mezogiorno expetato da S. M.'4 et tutta la corte sopra il mare in la spiaggia ; et nel giungere che fece solennissimamente al solito suo e con le galere adornate di fronde conveniente a tal giorno, fu salutato molto solennemente et superbamente da l’armata del re di Portogallo. Smontò da la sua quadrirema capitanea et venne a fare reverenda a S. M.'4 cum tre Gentilhomini; la quale M.'4 stava ad una finestra sopra detta spiaggia. Et fu raccolto come conviene a la humanità di Sua M.t4 e a li meriti di un tal capitano ». La nave nuovamente costrutta era veramente splendida « e tale che a gran iatica non si potrebbe meglio pingersi nò immaginarsi » (3). Le straordinarie accoglienze fatte al D’Oria erano pur segna- ci) Arch. Mod. — Lctt. del Rossetti di Barcellona, 19 aprile 1555. (2) Arch Mod. — Lett. del Trotti da Milano, 12 febbraio 15 3 5. Cf. Guglielmotti, Guerra dei pirati. I, p. 409 sgg. <3) Arch. Mod. — Lett. del Rossetti da Barcellona, 1 maggio 1535· GIORNALE LIGUSTICO 325 late dall’ ambasciatore del duca di Ferrara in Milano: « Il nncipc DOiia al primo gionse a Barcellona, ove da lo si volentieri veduto, et da tutto il resto poi de Ja Corte honorato che è cosa de meraviglia. Tal che si pensava che da lui havessero al tutto a dipendere le leggi et i pro- I *’ et c^le paitita, et il quando et il come fosse tut.to ) mani » (1). Ciò dimostra evidentemente a qual grado d’autorità fosse giunto in corte il nostro genovese; onde riesce facile intendere come Carlo V, secondando il suo paioli., si decidesse a mettersi in mare e facesse pubblica questa deliberazione (2). Infatti il 31 maggio s’imbarcò « in la qua-driieme, la quale è la più bella galera che si possa imaginare, e a popa li è preparata una cameretta ove dormi » (3). I- impresa d Affrica si compì con notevoli risultati, quantunque il Barbarossa, come dimostrò palesemente in que’ giorni medesimi, non fosse per nulla avvilito, e avesse mandato a \uoto il proposito del D’Oria di sconfiggerlo del tutto e ridurlo all impotenza. Quando meno si credeva, eccolo più audace ed ardito tornare alle sue scorrerie, dopo le quali si ritrae ad Algeri. L ammiraglio, finita la campagna, aveva condotto Carlo V in Sicilia ed a Napoli, dove si trattenne qualche tempo per la celebrazione delle nozze di Margherita con Alessandro de’ Medici. Anche il D Oria stette alquanti giorni colà e a lui va attribuito il consiglio dato all’ imperatore di tenere in sue mani il ducato di Milano, rimasto allora vacante per la morte di Francesco Sforza; consiglio che accolto da Carlo fu cagione che la Lombardia fin da quel tempo cadesse nel dominio spagnuolo, (1) Arch. Mod. — Lett. del Trotti da Milano, 16 maggio 1535. (2) Arch. Mod. — Lett. del Tebaldi da Venezia, 18 e 24 maggio, 1 c 3 giugno 1535. (3) Arch. Mod. — Leu. del Rossetti da Barcellona, 31 maggio 1535. 326 GIORNALE LIGUSTICO e diede esca alla nuova guerra con Francesco I. Sui primi di dicembre sembrava che Andrea dovesse tornare a Genova, e perciò il duca di Mantova si affrettava a spedirgli il Fauzino con questa lettera : HI.™ etc. Havendo havuto aviso da Napoli de la gionta di V. S. Ul.ma et de ia partita che era per fare de lì per Genoa, m è parso de mandarla a visitare et allegrarmi con quella de la gionta ad salvamento et de li felici suoi successi, et perchè ho appresso da fare conferire a V. S. Ill.n,a alcune cose che molto mi sono a core, sì come importano, et d’intenderne da lei de 1’ altre, mi è parso di fare det-terminatione in questo di Mes.r Sigismondo Fauzino mio secretario, come de persona che a pieno sodisfarà in quanto gli ho detto, et con la qual V. S. potrà liberamente allargarsi in dirle quanto la conoscerà essere di mio desiderio et espediente alli casi miei, non men con quel che la potesse con me proprio. Così la prego a voler fare et prestarli pienissima credenza, che mi sarà gratissimo, et rimettendomi alla relatione sua facio fine etc. Mantoa X X.br'5 1535· Ma il D’Oria non si era mosso ancora da Napoli , e il Fauzino non potè compiere la commissione. L interesse che pungeva Federico a questi uffici presso il D’Oria era grande, perchè ormai in lui si affidava singolarmente, come abbiamo veduto, in ordine alla risoluzione della causa per la successione del Monferrato, e sperava che avendo acquistato tanta preponderanza sull’animo dell’imperatore, avrebbe con miglior fortuna patrocinato in suo prò. Il che veramente, secondo le sue promesse e i suoi impegni, egli aveva fatto mentre si trattenne in Napoli, con la cooperazione dell ambasciatore mantovano Nicola Maffei, che ne informò il duca, al quale Andrea, tornato a Genova, scriveva il 23 febbraio del 1556. « Dal conte Nicola mi persuado che V. Ex. sarà stata eguagliata di quanto tra lui et me fu ragionato in Napoli, et della risposta che S. Μ.’Λ mi dette, però non mi accade replicarli altro ». Le notizie erano buone e se ne videro più tardi gli giornale ligustico 327 effetti. 11 duca poco dopo spediva a Genova il suo segretario Giovanni Abbadino, probabilmente per le stesse ragioni, ed anche pei informare il D’Oria d’alcune cose politiche, che potevano tornargli assai utili nei momenti calamitosi in cui stava nuovamente per rompersi la guerra fra i due possenti rivali. Ne abbiamo indizio da questa lettera : 111.™° et Ecc.mo S.r mio oss.m° Ho ricevuta la lettera di V. Ecc.a in credenza dell’Abbadino suo secretario, dal quale ho inteso quanto mi ha esposto per parte di quella, alla quale bascio mille volte la mani delli avisi che mi ha dato, sì per quanto tocca al servitio di S. M.,i4 come allo interesse mio particulare, per il che tanto de 1’ una come dell’ altra ne resto in tanta obbligatione con V. S. che per adesso non le posso dire altro se non che quel poco da viver che mi resta sarei per consumarlo per tutto dove V. S. mi comandasse, però facci di me come di suo affezionatissimo ser.rc, et prego Dio le dia longa vita con ciò che più desea. Da Genova alli xij d’ aprile mdxxxvj. Di V. IH.™ S.'1 Ser.rc Andrea D’Oria. Fu questo un anno in cui, dall’ aprile in poi, poco si trattenne in Genova il D’Oria. Dopo che Carlo V, mosso da Napoli, ebbe dimorato alquanti giorni in Roma, e poi a Firenze, si mise in via alla volta del Piemonte; a Sarzana trovò il D Oria che eragli venuto incontro, e di compagnia, passando per Pontremoli PAppennino, se ne venne in Alessandria e quindi ad Asti, dove adunò a consiglio i capitani ed i principi suoi parziali. Quivi si decise l’impresa di Provenza, onde Γ ammiraglio tornò in patria a fine di mettere in ordine le galere, con le quali parti alla volta di Nizza sul cadere di luglio. In sua assenza Genova ebbe a sostenere l’assalto dei francesi guidati dai Fregoso e dai loro partigiani, già tramato due anni innanzi; ma egli fu sollecito a spedire con alcune navi buon nerbo di soldati, che accrebbero le forze della città. 328 GIORNALE LIGUSTICO e mandarono a vuoto il tentativo dei nemici. Come è noto 1 impresa di Provenza fallì interamente, e l’imperatore imbarcatosi a Nizza il 4 ottobre giunse a Genova il giorno ir, e « montò sopra 1111 ponte al palazzo del Principe D’Oria ; il qual ponte haveva preparato il principe acciò che si potesse dire che Sua Maestà senza mezzo di battello o schiffo, havesse disceso de la galera in casa sua, il che dimostra quanta comodità vi sia da lui, et per arte et per il sito congiùnta ». Per questa opportunità il palazzo, a preparare il quale era stato spedito sulla fine di settembre Cristoforo Lomellino gentiluomo di Andrea, venne addobbato di un « guarnimento tutto di nuovo differente da quello de l’altra volta et di valore et di bellezza » (1). Qui si recò a riverire l’imperatore i.i duchessa di Savoia, essa pure accolta nel palazzo del principe e sontuosamente trattata. Ma perchè Carlo « soggiornava qua più di quello che era stato di suo pensamento » , cosi i; 25 ottobre fece dire al suo ospite « che non volea che da mo inanzi li facesse le spese, ma volea spendere del suo » (2). Il D Oria sciolse in questa occasione la promessa fatta al duca, il quale vide finalmente resa paga la lunga aspettazione. I' a credere per ferino che con la sua parola autorevole ed efficace riuscisse a vincere le esitanze dell’ imperatore, poiché la sentenza con la quale la causa del Monferrato viene risoluta in favore di Federico reca la data di Genova 3 novem-bre 1536, ed apparisce emanata « prò tribunali sedente in camera superiori palatii sui Imperialis, domus III.' Prin.15 Mel-phii domini Andreae de Auria sita in suburbio Genuae Portae Sancti Fhomae » ; in questa guisa il nome del protettore (1) Arch. Mod. — Lett. del Rossetti da Nizza e Genova, i, 4 e 11 ottobre 1536. (2) Arch Mod. — Lett. del Trotti d.i Genova, 26 ottobre 1536. GIORNALE LIGUSTICO 329 veniva quasi a porgere solenne testimonianza dell’opera sua in prò del protetto. L foise il duca stesso si recò a Genova in questo tempo, come ce ne dà indizio una lettera del D’Oria dell’anno successivo , nella quale gli raccomanda la definizione di certe investiture feudali di spettanza della moglie, per luoghi posti nella dizione monferrina, « secondo che qua li fu ragionato a bocca » ; parole che accennano a colloqui avuti fra loro in Geno\a qualche tempo innanzi. La mancanza stessa di car-teggio a cui avrebbe dovuto certamente porgere argomento la sentenza, avvalora sì fatta ipotesi. D’altra parte, poiché sappiamo come bederico tutto il mese di decembre si trattenesse a Casale, è ovvio il ritenere che, venuto a Genova o per sollecitare la pratica, o, dopo la sentenza, per ringraziare Cai lo \ ed il D Oria, sia poi andato a prendere possesso del marchesato. Ma anche questa volta i casalaschi insorsero e chiesero 1 ausilio dei francesi; gliene incolse però danno gravissimo, che presa la città da Alfonso d’Avaio venne miseramente saccheggiata. 00 L imperatore si fermò in Genova fino al 15 novembre, giorno in cui prese imbarco. Il viaggio fu lungo e disastroso ; prima per il sospetto di una sorpresa da parte delle galere Irancesi e delle iuste barbaresche, le quali, secondo alcuni segreti avvisi, si preparavano a Marsiglia per assalire l’armata, onde il D Oria dovette star in guardia e ordinare ogni cosa per un possibile combattimento (1); poi a cagione di una fiera burrasca dalla quale le galere vennero assai danneggiate, ed alcuna travolta dalla furia del mare. Lasciato Carlo V a Barcellona, e presi a bordo duemila soldati spagnuoli l’ammiraglio si restituì a Genova, stanco, oppresso, col naviglio (1) Arch. Mod. — Lett. di Francesco d’Este dalle isole d’Hyeres, 1 dicembre 1536. 33 ο GIORNALE LIGUSTICO stremato e scomposto. Di qui Γ 11 gennaio partecipava al duca il suo ritorno scusandosi di non averlo fatto più presto, « che tanti sono stati li fastidi) et travagli] dii camino, et maxime quelli che hano patito le galere, che non ho reputato poca gratia poterle ritornare in qualche riposo »; intanto a rifornire le ciurme sollecitava Γ invio di nuovi condannati. Il duca, rispondendo il 17, si rallegrava del ritorno, e gli rimetteva alcune lettere che inviava per lui da Bologna Bernardo da Rieti, in cui si dava conto particolare della uccisione di Alessandro de’ Medici. In queste faccende fiorentine non manco d immischiarsi anche il D’Oria, per favorire gli intendimenti imperiali, e a questo fine furono ordinate le sue mosse e i suoi consigli. Il 3 febbraio Federico scriveva a proposito di Don Ferrando: « Hieri mio fratello parti per Venezia et de li pigliarà la via per Sicilia con la maggiore celerità si possa, di modo che non vi è dubbio eh’ el non sia in Sicilia a tempo di provedere a quanto sarà bisogno. La causa del suo andare a Venetia è per consultare col S.r Duca d’ Urbino nostro cognato il caso suo per la calunnia di Franza, di che si è formato qui un cartello, parendo di non posser far di meno, qual si consultarà a Venetia. Che finalmente per la via di Venetia si sono habute lettere dal Zaffardo ai vij del passato, che accusano tre altre mude di lettere scritte in prima, de’ quali alcuna non è comparsa, ove dice non haver possuto parlare al Re della cosa di esso Sig.”, perchè sin dal principio che gionse alla Corte et dal Gran M.ro a chi fece capo et da altri a chi conferì la cosa, fu dissuaso de parlarne al Re, con dirgli che havendo quel tristo che lo ha incolpato, affirmata più volte la cosa, et ultimamente ratificata alla sua morte nanti il Consiglio, non sapeano che cosa vi potesse fare il Re, anzi tenevano per certo che non l’ascolterebbe, et se lo cazzaria dinanzi come gli ne cominciasse a parlare, et perchè gli era pur data GIORNALE LIGUSTICO 33 I promessa che se ne vedria di fare col Re qualche buono ufficio, egli s andava intertenendo dandogli anco dilatione per causa, delle nozze, et doppo molti dì instando pur egli col gran M.ro di essere appresentato al Re per esseguire la commissione, gli fu risposto che lo presentarla, ma che gli comandava a non essere ardito di muover parola de’ casi di esso Sig.re, eh’ el Re non ne volea sentire parlare, et repplicando pur esso per vedere di posserlo fare, gli replicò che non lo facesse per cunto alcuno, et che di già ei si scusava et protestava d’ ha-verlo ad\ertito, acciò che se di ciò ne fusse intervenuto a me vergogna et a lui danno non si potesse dolere ch’ el non fusse stato premonito, el che ha latto eh’ egli non ne parlò, et dice che quantunque per varie vie 1’ habbia tentato doppo di farne parlare al Re, non vi è stato ordine, che ognuno se ne tirava indietro, ma eh’el Gran M.ro et gli primi di quella corte con chi ne ha parlato laudavano bene eh’ el S.or Don Ferrante non manchi di diifensar 1’ honor suo, esponendovi la propria vita, che vedendo non posser far altro haveva pregato il Gran M.ro a voler fargli havere una copia del processo, quale per altra via non haveva possuto haver, et dar lui la lettera del S.r don Ferrando al Re, acciò che con qualche ressolu-tione el se ne potesse venire; che haveva preso tempo a pensarvi promettendoli perhò di espedirlo eh’el potesse essere di presto ritorno, et che se gli sarà atteso potrebbe in breve esser qua ». E 1’ ammiraglio pochi giorni dopo, manifestando il suo compiacimento perchè Don Ferrante aveva deciso di partire per la Sicilia, al cui governo era stato preposto, soggiungeva : « Ben mi dispiace della cosa di Franza, però attenta la mala impressione presa con cussi poco colore di ragione, non era da aspettarne altro, nè credere che li sia cara, anzi reiectare ogni justificatione, acciò eh’ el loro fondamento non venghi a dimostrarse vano, nientedimanco per quel altro modo 33 2 GIORNALE LIGUSTICO che V. Ex. mi scrive non potrà mancare la satisfatione de , Γ honore di S. S.ri·’ ». La « calunnia di Franza » alla quale qui si accenna è l’accusa di aver tatto propinare il veleno al Delfino, figlio di Francesco I, venuto a morte nel 1536. Come si sa, questi, avendo bevuto dell’acqua fresca, portatagli da Sebastiano Mon-tecuccoli suo coppiere, mentre sudava, venne colto da violenta pleurite che lo condusse al sepolcro. Sorsero sospetti di veleno; il coppiere fu preso, e posto alla tortura gli furono estorte pretese confessioni, per le quali venne condannato all’ultimo supplizio; fra i nomi di presunti compiici strappatigli dalla bocca era quello altresi di Don Ferrante (1). Questi, a fine di scagionarsi, scrisse al re la lettera seguente : Sacrat.1"·1 et Ch.ma M.'* Havendo io presentito a questi giorni essere stato scritto di Franza a molti S.ri de Italia che lo 111. S.r Delphino è stato attossicato, et che da quel tristo del conte di Montecucolo sono imputato di haver tenuto mano a questa sceleragine, anchor che habbia pensato questa credenza non dover per modo alcuno capir nella mente di V. M.ta, come quella che sapendo ch’io sono et donde son nato et la vita che sempre ho tenuto, non possa a l’iudicio mio persuadersi nè tale nè simil cosa di me. Non di meno io sto di tal caso cl più discontento homo del mondo, per non haver havuto sorte di saper questa infamia datami, nel tempo de la vita di quel scelerato, perch’io crederei haver havuto più facile maniera de iustificarmi, come intendo che molti altri hanno fatto, ma perchè semo in tempo de bisognare che si pigli altro camino, ho pensato con la presente mia supplicare a V. M.'4 che, considerate le sopradette cose, sia servita levarsi de 1’ animo ogni sinistra opinione di me, quando per caso pur alcuna ve ne restasse, e tenermi per quel cavallier d’ honore che mi presu-pongo inanti questa imputatione essere stato da lei tenuto, facendone i Cfr. Martin, Histoire de France, Paris, 1858, t. Vili, p. 239. GIORNALE LIGUSTICO tal segno che da 1’ esempio di V. M.<* tutti li altri habbino cagione di concorrere nel medesimo, et io possa restar con 1’ animo quieto et ben contento. Pur quando V. M* non fusse servita farmi gratia di que petitione che a me pare iusta e ragionevole, la supplico che almen non se prendi a mal grado eh’ io cerchi, per quelli mezzi che mi pareranno convenirsi, iustificarmi di tale infamia et conservarmi nella limpidezza de 1’honore mio, il che mi sforzarò di fare, tanto perch’ ella habbia a restar del tutto ben sodisfatta et in bona opinione di me, quanto per tutto el resto del mondo, le cui sacratissime mani con obni debita reverentia basando in sua bona gratia con tutto el coie mi ìacc. humil.". Di Genoa alli xvj di novembre del 1536. A recai questa lettera a Parigi venne inviato dal duca il Zaffardo, con la speciale istruzione di ottenere udienza dal re, a fine di giustificare anche verbalmente don Ferrante, e di procurarsi copia del processo istruito contro il Montecuccoli. Ma egli non iiusci ad avere il processo, neppure per vie indirette, e per molto tempo non vi fu modo che potesse recapitare al re la lettera, nè parlargli. In corte di Francia c’era una singolare avversione al Gonzaga, e dall’Italia si soffiava nel fuoco, dicendo ogni male, cosi di lui, come del duca suo fratello. Vedendo adunque che era inutile continuare le pratiche e trattenersi più oltre, Don Ferrante deliberò di andarsene al suo governo di Sicilia, lasciando incarico al duca d’Urbino, e al duca di Perrara di fare in suo nome quello che stimassero più utile, affinchè « a tempo congruo » gli fosse « lecito tornare, senza pregiudicio delPhonor » suo, « a dar compimento a quel che sarà obligato a tare per giustificarsi et per levarsi una tal macchia ». Prima però di partire stendeva, con 1 intervento di pubblico notaro, la seguente dichiarazione: Essendo pervenuto alli dì passati a notitia di me Ferrando Gonzaga cav. del Toson Viceré et Cap.° generale del regno di Sicilia, un certo rumore, eh’ io habbia consentito che se atosichi lo Ill.m° Delphino di Franza, come inocente di questo, ricorsi con mie lettere di- 534 GIORNALE LIGUSTICO rettamente al Christianissimo, confidandomi che S. M.'·' Ch.ma per esser quel justo principe che è, dignasse per bontà sua admettermi a quella sorte de justificationi eh’ io imaginava convenirsi alla grandezza sua et qualità della persona mia. La quale Μ.,Λ o perchè non ha voluto veder detta mia lettela, nè ascoltar sopra questo particolar 1’ huomo che la portò, mandato dall’ 111."’0 S.r duca di Mantova mio fratello e S.r<; a questo effetto, secondo eh’ il p.t0 homo ha scritto per lettere sue di vii di genaro da Parisi, per il che mi ha dato et dà strada, per tutti quelli modi ch’io posso a preservatione de l’honor mio, al quale son tanto obligato, di far penetrare alle orecchie di S. M.1’ con quella reverentia eh’ io debbo la innocentia mia, acciò che, insieme con il mondo, ella resti capace che tal rumore è falso, e che S. M.’·1 nè altri deveno dargli credenza. Dico ed affermo adunque in presentia de vui testimonij et notaro, che per sodisfare S. M. Ch.1" et il mondo, mi offero parato a quelli cimenti per justification mia che saranno iudicati convenirsi, concludendo che qualunque homo par mio habbia detto o dirà con animo di affirmarlo per vero, ch’io habbia consentito a tale o altra simile cosa, nè eh’ io sappia niente di questo, ha mentito et mentirà sempre che lo dirà, offerendomi parato, senza preiudicio di quelle ragioni che aspettano a’ pari miei, in tal caso fare intorno a ciò quanto portarà il debito, et a voi notaro di piena autorità che di questa mia declaratione ne faciali instrumento publico, dandone a qualunche vi ne ricercarà una et più copie autentiche secondo ne sareti richiesto. Come si vede, è un cartello di sfida, secondo le costumanze e le consuetudini cavalleresche del tempo; cartello accennato dal duca nella sua al D’Oria. Il quale a dir vero doveva conoscere a pieno tutta questa faccenda, e forse ebbe ad esporre in proposito il suo consiglio, poiché la lettera di Don Ferrante al re fu scritta a Genova e reca la data del 16.novembre, il giorno seguente alla partenza dell’ imperatore; ma non sembra v’abbia egli data grande importanza, nè, per quanto ci consta, si è mostrato troppo sollecito di occuparsene direttamente. Gli accordi stipulati fino dall’ anno precedente tra la Francia GIORNALE LIGUSTICO 3 35 e la Turchia erano intesi ad un’azione comune contro l’imperatore. Nè questi lo ignorava, e i preparativi che s’andavano facendo dagli alleati, consigliavano a provvedere. Infatti il i.° aprile il D’Oria, raccomandando al duca Gerolamo del Forno, inviato del duca di Calabria, scriveva: « Intenderà V. Ecc.' da Don Hieronimo le provisioni che fa S. M.'4 contra le cose turchesche, tanto di mandarli all’ oposito numero di spagnoli et alamani, come d’ armare vascelli per tutto dove si può in Italia, però mancando anchora qualcha altra cosa, et specialmente 1 ordine espresso del numero delli vascelli che si hanno d armare, non se gli può dare per adesso principio, nè effettuare; ma spero fra quindici giorni se cominciarà ad eseguire et provedere a quanto bisognerà. S. M.·1 ha fatto con li Foccheij un cambio per Handra di centomila ducati ». Xè Andrea, pur aspettando gli avvisi dalla corte, si stava inerte. Dava ordine intanto alPapprovvigiamento delle galere, ed alla riunione di tutta 1 armata, al quale proposito affermava che Sua Maestà avrebbe avuto in pronto assai presto ben no-unta navi, quarantacinque della quali già egli teneva raccolte in Genova, e « ad ogni comandamento » le avrebbe armate « tutte Ira lo termine de giorni quindese », aggiungendo « che non vede 1 hora de ritrovarse nel fatto, promettendose riportare victoria contra lo 1 urcho, et affirmando cii’ el se ringiovanisse » (i). In questo tempo si sparse una voce che dovette riempiere di gioia gli animi, e suonar graditissima all’ orecchio del D’Oria; ciò fu la notizia che Barbarossa era morto. Il duca di Mantova, avvisatone per lettere da Venezia, la comunicava subito all’ ammiraglio, e questi, certo secondando i suoi desideri, vi dava credenza, e non nascondeva il suo compiacimento, onde ringraziava d’avergli avvisata questa morte, « la quale », (i Arch. Mod. — Lett. del Tehaldr da Venezia, 31 matzo 1537. GIORNALE LIGUSTICO dice, « tengo certissima, essendomi scritta da V. Ex., et tanto più per li precedenti avisi di sua infirmitade, et de la etade assai matura ». Ma ben presto la nuova si chiari interamente falsa. Anche la Signoria genovese prudentemente provvide a ditendere ed a munire la cittù, e mentre si lavorava alacremente alla cinta delle nuove mura, si assoldavano fanti per esser pronti a qualunque evenienza. A questo fine appunto il D’Oria inviava al duca, con una sua commendatizia, due luogotenenti del capitano Bastiano «Lercaro che erano incaricati v di fare alcun numero di fanti » nel mantovano, onde lo supplicava si contentasse « concedergli licentia che li possano cavare senza perturbazione et condurli » a Genova. Si venivano in questo mezzo più chiaramente delineando le intenzioni dei turchi, i quali già cominciavano a muoversi, minacciando le coste d’Italia. Il duca si faceva premura di mandare al D’Oria il 13 maggio « un summario de li avisi » giunti a Venezia da Costantinopoli, « per essere di qualche momento »; intorno a che egli il 3 giugno scriveva: « Quando hebbi tutti li avisi di V. Ex. delli aparati turcheschi, attesi a fare un despachio per Spagna, et se inviorono a S. M.u , parendomi cosa degna di noticia et importante al servicio di quella. Mi persuadeva dovesse fra questo mezo sopravenire qualche nova di Spagna, o d’altra parte, con la quale potessi rendere il contracambio a V. Ex. de detti avisi, et benché siano venute le galere di quel regno, per essere gran tempo che partirno, non hanno portato salvo un duplicato vechio. Vero che hora per hora si aspetta diverse risposte et resolutione di S. M.'1 di quello si haverà da exeguire per suo servicio, et in ogni caso penso di breve dovermi partire di qui con le galere, per andare a dare una visita, et forsi chia-rirme dell’ effetto che ha da portare con lei questa armata turchesca ». GIORNALE LIGUSTICO 337 La mancanza di lettere e di istruzioni dalia Spagna teneva inquieto il D Oria, tanto più che le cose incalzavano, e occorreva sollecitare una definitiva deliberazione; quindi, in seguito agli avvisi del duca, si era deciso a mandare una galeotta a Barcellona per sapere come regolarsi. Ma ecco che altre notizie gli pervenivano dal duca: Ill.mo etc. Ancorché ragionevolmente mi debba persuadere V. Ex. dover essere avisata diligentemente delle cose importanti et precipuamente di quelle che toccano de gli apparati del Turco, nondimeno perchè io tengo le poste di qui a Venetia, et forse quello che se ne può sentire potrebbe alle volte pervenire non poco più presto a mia notitia, desidererei, et per el servitio di S. M.,à et 1’ honore di V. Ex. di potere fare che in un attimo la sapesse ciò che fosse degno de lei, onde mi è parso avertirla che quando gli paia poter per questo meggio avanzare tempo in sapere lo eh’ io intendo più presto che per li altri suoi mezzi, per il mio, la facci premonire il Mastro de la posta Ces. in Pavia, che quando gli capiteranno mei dispacchij per V. Ex. subito gli invii, perché sin lì io mi valerò della posta mia ordinaria che tengo per Casale, come anche faccio di presente, ha-vendo havuto gli avisi che per l’incluso summario V. Ex. vederà, gli quali m’ è parso mandarli, et così farò di quelli che mi parerà convenire, come è detto, al servitio di S. M.'1 et a 1’-honore di V. Ex. gli quali forse da qui inanti seranno più frequenti, riscaldandosi queste cose come pare che facciano etc. Da Mantua il 3 de Junio 1537. Con questo servizio d’informazioni più sollecito il D’ Oria poteva e vagliare e completare le notizie che certamente gli pervenivano d’altronde, onde l’opera del duca tornava in questi momenti assai profittevole, di che gli si mostrava grato l’ammiraglio : Ill.mo et Ex.mo S.r mi0 0SS.mo Con la lettera di V. Ex. delli nj ho receputo li avisi che con essa mi ha mandati, delli quali et della diligentia che in questo ha fatto Giorni. Lioumco. Anno XXIII. 338 GIORNALE LIGUSTICO usare et usa per servicio di S. M.tJ et per amor mio gli ne baso le mani, et poi che tal debito non posso satisfare con altro, ne ho fatto et farò almanco quella rellatione a S. Μ> che si conviene dal canto mio, et cussi sup.*0 V. Ex. si degni fare perseverare che ne receverò singolare gratia, non obstante che da 1' ambas.re de S. M.tA ressidente in Venetia ne sia sempre fatto noticia di quanto li occorre, che fra tanto si prevenirà il M.ro de le poste in Pavia ad ciò mandi subito le lettere qui come V. Ex. raccorda.......Ho scritto al p.'° amb. di S. M> in Venetia che quando quella 111."" S.n·' se risolvesse volere totalmente correre una medesma fortuna con S. M.<*, et assicurare le cose loro da ogni dubio cìie possi portare con lei la detta armata turchesca, che sì come io stava già deliberato aviarmi alla volta di Sicilia, per dar animo et princ pio alla conservatione di quelli mari di S. Μ.,Λ, io mi anderei a congiongere con la lor armata a Corfù, o al Zante secondo meglio lì paresse, et per potere stare a fronte et anche con 1 aiuto de Dio combattere con la infedele, si pigliariano tante nave in compagnia delle galere, che saressimo sufficienti per questo effetto, et che niun altro rimedio più sicuro et expedito non vedo si potesse ritrovare al presente, al quale mi son movuto tanto per l’interesse della p " S.rla IH.™ quanto per il particolare di S M·'4, oltra il servicio di Dio et beneficio della Christianitate, et pensando che per aventura il con.r° qual si expedisce in diligentia al p.'° oratore per havere quanto più presto la risposta d’ epsa Μ.™·1 S.oru te-nerà cjuesto camino, mi è parso farne noticia a V. Ex. non solamente per debito della servitù mia verso di quella, ma ancora per raccordarle se forsi li paresse al proposito proponerla similmente lei con dextreza ad alcuno suo amico in d.:·' cità, che la potesse fare penetrare più al gusto della p.'·1 S.1·'·1 111. che fosse possibile, che in vero questo sarebbe la più certa sicurtà delli stati loro et de tutta la Chris.", altramente non potendo S. M.1·* sola in assai poco spacio farli quella assistentia che bisogneria, convenerà attendere al meglio che si potrà alla conservatione et diffesa de soi proprij regni. Nò altro mi resta che dire con questa a V. Ex. salvo in sua bona gratia sempre racc.™. Da Genova alli vmj di Giugno 1537. Di V. Ex. Ser.rr Andrka D’Oria. GIORNALE LIGUSTICO 339 Federico si dovette sentir lusingato dell’ incarico, e non avrà certo trascurato l’opportunità di adoperarsi secondo quegli richiedeva; ma non ne abbiamo testimonianza. Intanto con due lettere, di cui ci manca il testo, mandava altre notizie; e dovevano essere per fermo di qualche importanza, se il D’ Oria aveva reputato conveniente inviarne, specie di quelle di Roma, un’apposita relazione in cifra all’imperatore. Dovevano probabilmente riferirsi alle trattative iniziate da Paolo ΙΓΙ, e sulle quali a lungo si discusse, per costituire una lega con Venezia e Carlo V ai danni dei turchi; negoziati a cui anche si collegano le aperture del D’Oria per un’azione comune. L’ammiraglio replicava al duca: Ill.mo et Ex.mo S.r mio oss.mo Risponderò con questa a due di V. Ex. delli ix et xi basandoli le mani delli avisi clic per esse mi ha dato, et delli primi di Roma già con un despachio fatto a S. M.’4 gli ne ho inviato una copia in zifra et sotto forma che non ne può seguire inconveniente, conforme a quello che V. Ex. mi tiene avertito et comandato. Alli ix li scrissi con un corriero despachiato in diligentia per Venetia, et mi maraviglio che alli XI la lettera non forse ancor comparsa da quella, et io non aspetto salvo il ritorno di detto corr.!0 per intendere la mente di quelli S.n sopra la proposta che li ho fatta, dipoi subito mi partirò alla volta di Napoli et di Messina per procedere più inanti secondo conoscerò essere più servicio di M.u..... Le ultime nove turchesche che V. Ex. mi ha mandate par che si confirmino, tuttavia con le precedente et con quella diligentia che si potrà, si vedrà, con 1’ aiuto di Dio, farli maggior obstaculo che sarà possibile, avisando V. Ex. che p;r rellatione di tre caravelle gionte hieri sera in questa cita, partite di Cadexe et navigate da Malta fino in Maiorca in compagnia di 26 nave, che portano 8.™ fanti spagnoli a Napoli et Sicilia, comprese altre tre nave che seguivano a presso, si tiene per certo che dette nave a quest’hora, attenta la qualità de’ tempi che son stati, siano arrivate in detti regni, perchè sono dodeci giorni che queste caravalle si dipartirno in Maiorca da loro, che an- 34° giornale ligustico davano con bon vento, et per questo ho scritto alli S.rl Viceré di Napoli et di Sicilia detengano le dette nave, fin alla gionta mia in quelli regni, che, piacendo a Dio, non tarderò dui giorni a partire ad ciò che bisognando con aitri vascelli inscieme, si ne possiamo prevalere. Et questo è quanto per adesso mi occorra dinotare a V. Ex. suplicandola in tutte le parti dove sarò voglie tenerme et comandarme come a suo bon servitore, in bona gratia della quale sempre mi racc.1,0 et baso le mani. Da Genova alli xv di Giugno 1537- Di V. Ex. Ser.re Andrea D’Oria. Era ormai deciso a partire, e l’aver indugiato fino a qui, oltre ai preparativi, si deve ascrivere alle pratiche da lui fatte, per mezzo dell’ambasciatore spagnuolo a Venezia, Lope de Soria, affinchè quella repubblica si unisse all’armata imperiale nella impresa contro gli infedeli. Ma Venezia, diffidente, non senza ragione, della politica di Carlo V, non seppe risolversi ad accettare l’invito ; di che ebbe poi a pentirsi quando il D’ Oria le rifiutò il suo aiuto nell’ impresa di Corlù. E qui è degno di rilievo il fatto che mentre l’ammiraglio nel richiedere alla repubblica la sua cooperazione affermava essere « sufficienti » le armate riunite a « stare a fronte et anche combattere con la infedele », secondo abbiamo veduto nella sua lettera dell’ 8 giugno, poco dopo alle insistenti domande degli stessi veneziani rispondava, con palese contraddizione, che nulla poteva fare per aiutarli, perchè le loro forze unite non erano sufficienti per combattere il Barbarossa (1). Donde apparisce assai chiaro il proposito di vendicarsi del primo rifiuto, tanto più se si pensa alle astuzie usate dall’ammiraglio a fine di accendere lo sdegno dei turchi contro i veneziani (2). Fece dunque vela da Genova verso il 20 giugno, e tenne il mare sino all’autunno, senza notevoli imprese, salvo il (ï) Makfrom, op. cit., p. 322. (2) Manfroni op. cit., p. 321. GIORNALE LIGUSTICO 34I troppo vantato combattimento delle Merlere in cui il D’ Oria ìiuscì vincitore, ma con perdite gravissime. Quindi se ne tornò in patria. I francesi frattanto si apparecchiavano alla nuova guerra in Piemonte, e pareva imminente uno scontro; perciò il marchese del Vasto dava opera ad afforzarsi, ed a guarnire le città, secondo il bisogno. Trovò nella marchesa di Monferrato inattesa opposizione a ricevere in Casale i soldati tedeschi, e fattone consapevole il D’ Oria, questi scriveva al duca : 111.'”° et Ex.”° S. mio oss.m° Perchè intendo che dessignando il s.1 Marchese del Vasto, per non potersi forsi resistere a questo primo impeto et sforzo grande dell’ e-sercito francese, repartire le gente che tiene nelle cità et terre d’ importantia, et fra 1 altre mettere certi alemani in Casale, come passo molto necessario per conservatione delle cose di S. M.tJ, ma che ΓΙ11.“’ S.ri sua socera non li habbia voluto consentire, non ostante che, oltre 1 inteiesse del servitio di S. M.ta le fanterie alemane siano pure quelle che vivono più regulatamente perchè sono continuamente pagate, mi è pai so come devoto ser.re di V. Ex. et che 1’ ho sempre conosciuta desideiosissima de 1’ honore et grandeza di S. M.'1 sopra tutte le altre cose, et quella tenerne tanta confidenza, quanto d’ alcuno altro suo vero servitore, supplicarlo che in questo bisogno et servitio tanto importante voglia farne tal demostratione che la M.tà sua non si trovi ingannata della buona openione già concetta di lei, come son certo V. Ex. debba operare, attento che quando quel stato andasse in mano di Francesi, non è dubio per la necessità de le vittuaglie, oltre la volontà che forsi havriano, sarebbe trattato alla pegio. S. Ex. è prudentissima, sa ch’io gli son sincerissimo servitore, et quando S. M.,à sia principe grato et justo, che dovea dire prima; la supplico haverli quella consideratione che gli parerà più conveniente per testimonio dell’animo et servitù che tiene con S. M.,J, et facendo fine li baso le mani. Da Genova il vij de novembre 1537. Di V. Ex. Ser." Andrea D’ Oria. 342 GIORNALE LIGUSTICO Queste parole, che non nascondono una certa dffidenza , dovettero colpire Federico, come se tosse posta in dubbio la sua devozione all’imperatore; tanto più che il vecchio capitano genovese dava consigli ed ammonimenti con un tono insolito, sebbene in forma cortese: onde il duca non indugiava a giustificarsi : 111."° etc. Quanto io sia stato sempre pronto a tutti li servitij di S. M.tà Ces." esponendo ad ogni pericolo tutte le cose mie et la persona propria quanto è stato bisogno, avegnache tutto il mondo sappia, V. Ecc..a ne è sempre stata certissimo testimonio, et cosi sara, sì per che non sono mai per mancarne di fare mio debito et tutto quello che possi fare servitore alcuno che habbi S. M.ta per fidelissimo che si sia. Io subito che intesi la volontà del S.r marchese del Vasto di poner in Casale et Trino quelli allemani, senza una dilatione al mondo espedii in posta l’Abbadino mio secretario a Casale. L’ è vero che l’111.”· M.° mia socera havea fatto difficultà in far accettare detti allemani, parendo a S. Ecc.a che la commissione dovesse venire da me, et perhò me ne havea fatto dar aviso, sì che l’Ecc.-' V. e certa che già è stato complito dal canto mio quanto ha ricercato il S.r marchese, il quale perhò ho mandato a pregare che si contenti di far differire più che si può lo introdurre quelle genti in la città di Casale, facendoli stare appresso tanto che in un tratto si vi possono mettere, perchè certo è che intrando soldati in essa sera de grandissimo danno a quella, non di meno tanto serà tolerato da me con patientia essendo servigio di S. M.:a Questo è per risposta delle lettere di V. Ecc.·1 di vij del presente, nè altro accade dire se non che a V. Ecc.a di cuore mi racc.° pregandola a voler fare di suo suoliti officij paterni verso di me in giustificare 1’ actioni mie. Da Mantua alli vinj de novembre 1537. (Continua) A. Neri. GIORNALE LIGUSTICO 345 L’Ab. FABRIZIO MALASPINA E LA GENEALOGIA DELLA SUA FAMIGLIA COMPILATA DAL CONTE POMPEO LUTA (I) APPENDICE Saggio delle Memorie per servire ali’ istoria della famiglia Malaspina raccolte e ordinate da Onorio Filarcheo. Anno 1369. Il Marchesato di Varzi, il quale dovea avere avuto principio poco dopo l’anno 1319 per divisione seguita tra li Marchesi A^o e Gabriele figliuoli d’Isnardo Malaspina e di Cubitosa d’Este, od in altro modo, [V. Part. II, anno 1252, pag. 225. Ivi, a. 1275, pag. 241 e 247. Ivi, a. 1319, pa-gina 313], era ancora a questo tempo di una bella estensione. La di lui giurisdizione si estendeva per lungo tratto delle Valli di Stafora e del Curone e comprendeva, oltre il borgo di Varzi, li luoghi di Fico e Prato, Cavagnolo, Rosera, Bo-gnasco, Pietragavina, Santa Margherita con sue ville, Montetorte, Fabrica, Gremiasco, Pirrociruccio, Selvapiana, Lacha, Sarrogni, Montecapraro, Brentasio, Garadasio, Moreliasio, Lunestio, Bruggi, Monteacuto e sue ville. Tutti questi luoghi erano soggetti « cura mero et mixto imperio, et omnimoda iurisdictione » alli Marchesi Bartolomeo, Stefano, Luchino, e Giovanni figliuoli del quondam Marchese Federico; alli Marchesi Ano e Bonifacio figliuoli del quondam Marchese Obii-lino; e al Marchese Isnardino Malaspina fratello delli detti quondam Federico e Obi{{ino, i quali sono egualmente qualificati (i) Vedi a pag. 275 e segg. 344 GIORNALE LIGUSTICO col titolo di « egregi e potenti uomini » nel documento che somministra queste notizie. Erano però delle grandi dissensioni tra essi per la divisione da effettuarsi di questi territori, eccettuatone il Marchese Isiurdino, il quale pare che avesse çià la sua porzione separata, tuttoché non si conosca quanta si fosse; e le dette dissensioni ebbe torse principalmente di vista Benvenuto da Imola, scrittore d’allora, il quale compassiona la famiglia Malaspina per le discordie che a que’ di la tenevano agitata [V7. Benven. Comment, in Dant. Covi.; Antiq. Med. Aevi, tom. primo]. Ma finalmente, avendo li Marchesi dissidenti fatto compromesso nell’ egregio milite Manfredino da Beccaria, cittadino pavese, loro consanguineo, il medesimo effettuò la partizione fra loro e ristabilì la concordia e la pace. Si ha il lungo laudo da lui pronunciato e registrato in lungo strumento, di rogito di Giovanni de’ Pico, notaro pavese. Anno 1502. Viveva tuttavia in Gremiasco il Marchese Nicolò o Niccolosio Malaspina (1). Aveva per moglie una dama della famiglia Fieschi di Genova, nè avendo figliuoli, dovevano ereditare li suoi nipoti per parte di fratello, cioè An-tonio-Maria, Battaglino, e Giovan-Francesco Marchesi di Fabrica, ai quali pareva che vivesse troppo in lungo. « Che '> però Lina volta venuti a Gremiasco, e nel ritorno verso » Fabrica accompagnati dal zio per affetto e atto di buona >' creanza e civiltà, fuori di Gremiasco e del borgo, su per (1) 11 nostro A. lo ricorda sotto l’anno 1470 con queste parole: « il Marchese Nicolosio Malaspina qm. Pietro, e fratello di Bonifacio, li 15 aprile dava istromento d’investitura, rogato Manfredino Penice, ad un certo Bernardo di Monteforte, e s’intitola così : Magnificus dominus Nicolaus Marchio Malaspina Vartii filius magnifici domini Pelri [Annot. ad Alb. Genealogico de’ Marchesi di S. Margherita e di Fabrica] ». GIORNALE LIGUSTICO 345 » la stiada a dietro al fiume Curane, dove sono ripe ossia » argini alti, uno di loro, fingendo d’inciampare e cadere » all improvviso, dette così una spinta o urtone al zio, get- » tandolo giù per la ripa. Dio volle che si salvò fra le spine » e stei pi 5 e subito dichiarò ingrati detti suoi nipoti e in- » degni dell eredità, e ne fece donazione al Conte Gio. Luigi « Fiesco , suo parente per la moglie » [ Albero manoscritto e Memoiie Tamburelli]; il che fu con atto degli 8 gennaio. Anno 1543. Possedevano li monaci Olivetani in Valle di Nizza e nel luogo detto Butrio un monastero intitolato a S. Maria e S. Alberto Abate, che 11’ era stato ii fondatore, e il di cui sacro corpo vi è ancora venerato. La tradizione di que contorni racconta che quel monastero fosse stato fondato con beni donati al santo istitutore dalli Marchesi Malaspina, divoti di esso per la penitenza ed esemplarità della vita eremitica eh egli menava in quelle parti, e di tale divozione può esserne indizio il nome di Alberto portato da molti antichi della famiglia, poco lontani da’ suoi tempi. Posteriormente ancora ricevette quel monastero altre donazioni dalli Malaspina, avendogli i Marchesi di Pizzocorno, (del qual luogo e de Signori si fa menzione anche negli Statuti di Cecima, nei quali sono esentati dal dazio in quel luogo i Marchesi Mala-spina di Pizzocorno), rimasti senza figli, donato quel luogo ; e altri legati gli lasciarono i Marchesi Malaspina di Casalassio. A questi giorni erano grandi liti tra li suddetti Monaci ed il Marchese Cesare Aialaspina, nominato anche sotto l’anno precedente (1). Egli pretendeva di aver giurisdizione in alcuni i) Ecco quello che il nostro A. scrive sotto l’anno 1542: « Essendo tutti morti li Marchesi di Treschietto, li quali nell’anno 14S8 li 11 ottobre [V. pag. 139] avevano fatto convenzione di non poter alienare in favore di estranei veruna porzione del Marchesato da essi posseduto, si ratifica e GIORNALE LIGUSTICO luoghi soggetti al Monastero, forse credendo nulle le surriferite donazioni ; e vi aveva fatto intimare dei proclami con cui obbligava quegli abitanti a notificargli le loro terre e proprietà; nel che era stato ubbidito. I Monaci ricorsero all’imperatore Carlo V, ossia al Senato di Milano, il quale sotto li 2 agosto del 1540 diede un rescritto con cui si ordinava alla parte loro avversante di addurne giuridicamente le sue ragioni, e che intanto desistesse da ogni novità. Essendo pero accaduto nel tempo de’ surriferiti contrasti che fu ammazzato in un sito detto Campora del territorio di Go-diasco, ossia di Riva di Nazzano, un monaco procuratore del monastero di S. Alberto, per nome fr. Giovanni Antonio, gli Olivetani si ritirarono affatto da S. Alberto. Si combinò quindi tra la casa Sforza di Roma, la quale godeva già da molto tempo parte del Marchesato di Varzi e Menconico, e tendeva per ogni maniera ad aumentare la sua potenza in quelle vicinanze (e ne può far fede la investitura di Cella, da essa avuta l’anno 1545, non ostante la già riferita sentenza Senatoria in favore del medesimo Marchese Cesare, di cui si parla, e la infeudazione pure accordatale un anno prima da papa Paolo III degli luoghi di Cecima e di S. Ponzio, salvata una tenue corrisposta annua alla Mensa Episcopale di Pavia, cui que’ luoghi appartenevano) e la Congregazione Olivetana, che questa cedesse a Mario Sforza P Abazia di S. Albeito di Butrio e l’annesso priorato, con cura d’anime, del luogo di rinnova il medesimo patto con istromento 12 giugno di quest anno dai loro successori, il marchese Pompeo qm. Gio. Lorenzo abitante nel castello di Treschietto, stipulante ancora a nome di Gio. Lorenzo, suo nipote, il marchese Cesare di Godiasco qm. Giovanni, abitante nel luogo di Godiasco, e li marchesi Galeazzo e Dondazio fratelli, abitanti in S. Giovanni, giurisdizione di Piumesana, li quali tutti sono qualificati Marchesi Malaspina di Treschietto e Piumesana ». 347 I izzocorno, ricevendo da lui Γ altra di S. Pietro di Bremme in diocesi di Pavia, di cui il suddetto, sebbene in età di 14 anni, era già da due anni dal Papa Paolo, che era suo zio, stato fatto Commendatario perpetuo. Ho io le rispettive bolle colle quali il Papa conferisce quella di S. Alberto e l’annesso prioiato allo Sforza, la quale è delli 16 febbraio 1543; e 1 altra con cui unisce al Monastero Olivetano di S. Bartolomeo in Strata di Pavia (in luogo della detta ad essa incorporata) 1 altra di Bremme; che è delli 23 giugno del medesimo anno. Fu effettuato dunque questo scambio con molto svantaggio del Marchese Cesare sopradetto, il quale non solo li possessi da lui pretesi contro 1’Abazia dovè perdere, ma ancoia soffrir danni ne’ luoghi da lui posseduti. Imperciocché nel mese di luglio dell’ anno seguente Pietro Paolo Della Porta di Castel Arquato piacentino, Commissario della Casa Sforza a Varzi, mandò Giovanni Lanfranco di Casteggio, suo notaio e Podestà di Pizzocorno, contro il castello di Casalassio in Valle di Nizza, preteso per ragioni del detto Monastero di S. Alberto dal Commendatario, e ne prese possesso a di lui nome, scacciandone Lodovico d’Oramala, possessore a nome del Marchese Cesare; e quelle genti predarono del bestiame e fecero anche prigioni alcuni uomini, massime della villa di Cozio, pretesi sudditi dell’Abazia, ed essi coll’altra preda condussero a Varzi. A queste procedure il Marchese Cesare sopradetto ed il Marchese Pompeo Malaspina, di lui consorte, diedero bensì querela di unione di gente, invasione di stato, ruberie, ecc. e fecero delegare dal Marchese del Vasto, Governatore del Ducato di Milano per Carlo V imperatore, ossia dal Senato di Milano, il dottore Alessandro Ugeresio, uno dei Vicari dello Stato, che andò a fare il processo; ma questo rimase probabilmente interrotto, opponendosi dallo Sforza trattarsi di cosa di Chiesa, e la commissione da Roma per la cognizione della causa nel Vicario vescovile della Curia 34^ GIORNALE LIGUSTICO di Tortona, il quale era allora di casa Busseta [Tamburelli, Memorie mss. ; Ratti, Della Famiglia Sforma]. Dopo la cessione fattane dalli Monaci Olivetani Γ Abazia di S. Alberto di Butrio rimase sempre in Commenda. L ultimo Commendatario ne è stato Monsig. Morozzo, torinese. Nell’autunno dell’anno 1806 io andai sull’erto e scabro monte su cui è 1’ antica Abazia, il quale, per opposto a molti altri, non compensa la dura fatica per arrivarvi colla mostra di un esteso o almen variato orizzonte. Si la chiesa, sì la canonica, che è un residuo del monastero, si risentono dell’ordinaria condizione delle Commende, le quali deviarono assai presto dal fine di loro istituzione eppur durarono dei secoli. Si entra nella chiesa per un vestibolo quadrato e non regolarmente; il di cui basso volto, dipinto a stelle, posa su d’ un pilastro, che è nel mezzo. Sono dipinti in uno dei lati e vi fanno un bel risalto, essendo a pietre intagliate, due antichi castelli, quello di Zucchi, di cui si mostra appena 1 insegna tra Livelli e Bagnera, e l’altro di Saliano, che finì di diroccare or son due anni. Un guerriero a cavallo, il quale porta una bandiera quadrilunga a fondo bianco, la meta occupata da due bovi rossi sotto il giogo, e P altra metà variata con larghe e paralelle fascie rosse, fa comparsa nell’area sottoposta. Chi s’intende di blasone, nel volger di pochi anni detestato e ristabilito dalla generazione presente, comprenderà chi sia il bravo. Il diametro del vestibolo è di braccia dodici, oncie 8 milanesi. La chiesa è della lunghezza di braccia 17 e mezzo, e larga braccia 7 e oncie 10. Il miglior ornamento n’ è un quadro a olio, però piccolo, rappresentante la Vergine, lavoro del Borroni. Vi ha un solo altare nel fondo. Il resto è coro, secondo l’uso degli antichi cenobiti, e da una parte ha otto stalli e dall’ altra sette, tutti senza suppedaneo e senza GIORNALE LIGUSTICO 349 genuflessorio. La divisione n’ è formata dalla porta d’ingresso alla chiesa ; a canto alla quale una fune, che pende, mostra la situazione del campanile sul volto della medesima. La campana che vi si osserva è delle tre più antiche che esistono in quelle vicinanze. È stata fusa nell’anno 1454, e nella seconda linea dell’ iscrizione (la prima non la potei capire) si legge . TADEUS DE BOXETO COMENDATARIUS ABACIE s. ALBERTI ; e le lettere sono attaccate con chiodetti, e sotto vi hanno ai tre lati tre bassirilievi, similmente attaccati, esprimenti la B. Vergine col bambino e un divoto ginocchioni e con mani giunte. Le altre campane accennate sono delle chiese di Mon-tefoite e di Menconico in Valle di Stafora, e sono la prima dell anno 1388 e 1 altra del 1473· k *n un oratorio attiguo alla chiesa e di lei vestibolo, e della lunghezza di ambedue, ma più stretto, che riposano le spoglie di S. Alberto. Il sarcofago è di materiale e posa immediatamente sul pavimento; ed è situato dietro l’altare, in fondo di esso. Neppur un lume gli ai de dinanzi! Solamente le muraglie intorno mo-stiano la pietà dei devoti, che l’hanno fatte dipingere nell’anno 1484 ed altri di quel torno. Anno 1551. Con istrumento 7 agosto, a cui fu fatto assistere a maggiore validità per consenso delle parti il magnifico Gio. Battista Ruinalia, Commissario di Varzi, li Marchesi Antonio e Pietro fratelli qm. Giovanni Bernabò qm. Lucino, Giovan-Francesco qm. Bernabò, e Bernabò e Giovan-Francesco fratelli qm. Baldassare, tutti Marchesi Malaspina di Varzi e condomini di S. Margherita e pertinenza, fanno donazione alli Marchesi reverendo Mercurio, arciprete della pieve di S. Germano di Varzi, ed Antonio, fratelli, qm. Spinetta Malaspina, altri condomini e Marchesi suddetti, loro consanguinei, per sè e loro eredi, « nominatili! de omni et cuiuslibet » ipsorum Marchionum, ut supra, contingenti parte sediminum 35° GIORNALE LIGUSTICO λ domorum. dictarum le Camminate, prò indiviso inter ipsos » dominos Marchiones, exist. in loco Vartii et ubi dicitur in ') le Camminate delli Signori Marchesi et seu in castro Vartii, » cui coheret ab una turris appellata delle Strie, mediante » curti, ab alia magnificus D. Nicolaus Malaspina, ab alia » prefatus magnificus Antonius Malaspina et ab alia strata » publica, etc. ». La quale donazione fu fatta con il patto che li Marchesi donatari, nel termine di 20 anni, dovessero averla fatta restaurare e ridurre in buono stato. [Istromento rogato da Francesco Travegati; originale]. Questa casa, unitamente alle due attigue, e di essa più estese, appartiene ancora alli discendenti del Marchese Antonio Malaspina predetto, erede di ambedue li donatari. Piacemi qui di notare come la medesima, in nulla sostanzialmente cambiata, fu la casa posseduta ed abitata in Varzi dal Marchese Obizzo [V. Part. II, pag. 59], il più nominato ascendente della gente Malaspina, del quale molte cose si sono riferite nella Prima e Seconda Parte di queste Memorie, e le di cui gesta non tace 1 istoria d’Italia. In essa seguì pure li 7 giugno 1275 la radunanza di Alberto Malaspina, di Maria d’Antiochia vedova di Bernabò di lui fratello e di Cubitosa d’Este vedova d’Isnardo, altro loro fratello, a nome queste de’loro figli, per eseguire, siccome fecero, la divisione de’ beni di Lombardia [V. Paît. II, pag. 247 e seg.] a loro tramandati da Obizzo suddetto, del quale li tre fratelli erano discendenti in quarto grado. E per lasciare altri atti meno importanti, in detta casa si effettuò, col-P intervento ancora di Lodovico da Gonzaga de Signori di Mantova, la partizione 12 giugno 1369 [V. pag. 5 e segg.]; pei cui li Malaspina di Varzi si partirono ne’ due colonnelli, uno de’ Marchesi di Varzi e S. Margherita e Pietragavina, e 1 altro de’ Marchesi di Varzi e di Fabrica e Val Curone. In una delle due cantine di essa v’ ha l’ingresso, ma in oggi murato, che mette in una strada sotterranea, la quale doveva essere GIORNALE LIGUSTICO 3 5 I ad uso delle sortite ii\ tempo d’assedio, perciocché questa casa era la principale del castello. Nel fondo della scala, che mette alle cantine, si osserva altra porta murata, di dove si andava sotto il cortile (e forse anche nell’annessa torre) dove è vuoto e fatto a volto, di un travaglio così compatto, che 1 acqua non 1 ha sin ora penetrato. La casa non ha ornamento d architettura, se non vogliansi prendere per tali le arcate ìotonde, in oggi chiuse, dalla parte del cortile, che sono fatte con qualche artifìcio d’intagli, ed il portone d’ingresso, che è a pietre quadre, ma liscie, e presenta prima un apertura quadrilunga e poi un arco acuto, cavato nella stessa grossezza del muro ; e sull’ arco era scolpita 1’ arme dello spino secco, stata rasa nelle ultime note vicende. Eccone le dimensioni, piccole, ma non inutili per un confronto delia maniera d abitare ne diversi tempi. Sono state prese per maggior comodità dal secondo piano; e ne resta escluso il cortile ed un pezzo più basso e più recente, che serve di rustico. La lunghezza è di braccia milanesi 26 e oncie 4. La larghezza braccia 21 oncie io'/2; ed è computata nell’una e nell altra la grossezza del muro; la quale é, dalla parte di levante, cioè del cortile, braccia 1 oncie 1 ; da mezzogiorno braccia 1 oncie 7; da ponente braccia 1 oncie ir; da settentrione, dove il muro serviva anche di cinta al castello, buccia 2 oncie 4 ‘/2. Confina a detta casa una torre separatane dal cortile, la quale è stata pure costruita dalli Malaspina, come mostrano gli stemmi tuttavia scolpiti sopra le finestre. Li oue primi piani della medesima sono di pietre quadre e lavorate e maestrevolmente unite. Il resto è di pietra usuale. La di lei larghezza è di braccia 12, l’altezza braccia 45, ma anticamente era maggiore. Tutto il contorno di questa torre è vuoto al di sotto. ' 352 GIORNALE LIGUSTICO Anno 1573. Vi aveva a questi giorni, nella Valle di Stafora e adiacenze una imposta detta del Capaìlo, introdotta da molto tempo [V. anno 1472, pag. 125] e chiamata così dal nome del Commissario Capallo, che fu il primo ad introdurla, ο a riscuoterla. Egli era stato Commissario del Duca di Milano in quelle parti. Ogni Capallo, chiamato Cavallo, importava soldi 50 al mese. Non ho trovato a che data precisa fosse introdotta quella contribuzione nel Marchesato di Varzi. In un Consulto del Cefalo, il quale scriveva a questi anni, si riferisce che un Federico de’ Marchesi Malaspina di Varzi « prò uno tertio totius Marchionatus petiit ab IH·00 Duce » Mediolani reduci summam equorum, ut asseruit, universo » Marchionatui taxatam ad aliam longe minorem ; et ita piae-» dictus D. Federicus notario stipulanti promisit quod ho-» mines suae portionis Marchionatus opportune solverent prout » solvebant vicini circumstantes, maxime homines Godiliascn » et Cecimae ». Prima dell’anno 1570 al detto Marchesato era addossato il peso di cavalli 19. Nell’anno medesimo, per decreto 23 dicembre del Duca di Albuquerque, Governatore di Milano, furono ridotti a 13. L’Opizzone, il quale fissa la riduzione seguita d’ordine del Magistrato delli redditi 01 dinari di Milano delli 5 aprile e 5 ottobre 1571, dovè aver riguardo alla esecutiva del decreto del Governatore. Al riferito paga mento per la loro parte aliquota dovevano concorrere Fabnca con Val di Curone, Gremiasco, S. Margherita, Monteforte, Pietragavina e Menconico, benché in questo tempo avessero territorio separato; il che mostra che 1 imposta del cavallo fu introdotta quando ancora facevano corpo con Varzi. Voci ferando però quelle Communità di non essei tenute a con correre con Varzi al pagamento, e mostrandosi renitenti, emanò quest’anno 1573 sentenza del sopra citato Magistrato con cui le condannava a soddisfare. Il riparto della tangente di ogni rispettiva Communità fu poi determinato nell anno GIORNALE LIGUSTICO 353 1575. Il tasso del cavallo dovè essere il primo aggravio in~ 1 . r OD troc otto in que luoghi dalli Duchi di Milano e loro successori. In seguito vennero le taglie, la privativa del sale e tabacco e polvere, e la carta bollata; per il che, sussistendo tuttavia le corrisposte a’ feudatari, la giurisdizione de’ quali soltanto sentivano anticamente coll’ aggiunta de’ tributi al Sov-lano, del cui Stato vennero successivamente a far parte, quei paesi, di per se stessi di poca cavata, dovettero notabilmente deteriorare di condizione. L anno 1588. Precetto li 27 luglio del Capitano di Giustizia di Milano a favore di Michele Gratone, nel quale, in esecuzione di sentenza Senatoria, intima che detto GratOne come figlio di Camilla, questa figlia ed erede di Susanna Malaspina (1), dovesse essere continuato nell’eredità dei Marchese Gio. Francesco Malaspina, condannandone alla dimissione Cristoforo, Camillo, Nicolao, Azio, Bonifacio, Marc’ Antonio, Marcello, Pietro-Benedetto, Cesare e Gio. Francesco Malaspina (erano tutti de’ Marchesi di Fabrica) e qualunque altro detentore (2). Per chi amasse di estendere alli più miti) Sotto l’anno 1547 scrive: « I! Marchese Gio. Francesco Malaspina qm. Antonio Maria di Fabrica, con suo ultimo testamento delli 31 dicembre, instituisce sua erede nella di lui pertinenza di Gremiasco ed altri suoi beni la Marchesa Susanna di lui madre. Li Marchesi Gio. Battista ed Angelo fratelli Malaspina opposero che detti beni come feudali non potevano essere occupati da femmine ed estranei, e quindi dovessero devolversi ad essi come agnati. 11 Senato di Milano però, presso il quale si fece la lite, sentenziò sotto il di i luglio a favore della Marchesa Susanna. Essa poi fece vendita di detti beni alla Casa Doria, la quale, per altri acquisti fatti posteriormente, ebbe tutto il feudo di Gremiasco. [Memorie mss. e sentenza 1687] ». (2) Di tutti costoro dà notizia sotto l’anno 1567. Ecco quello che dice: « Li 14 gennaio testamento del Marchese Gio. Battista Malaspina qm. Bat- Giorn. Ligustico. Anno XXIII. 23 354 GIORNALE LIGUSTICO auti dettagli le cognizioni statistiche, oggi giorno alla moda, ecco in che consistesse la detta eredità controversa. Oltre a pochi stabili nel territorio di Fabrica, comprendeva fitti perpetui frumentari, parte con omaggio ed altre provenienze, che si riscotevano negli infrascritti luoghi, e si pagavano riparti-tamente da varii particolari de’ medesimi per beni da loro goduti. — In Varzi fermento staia 38, quartai 16, copelli 6; vino brente 15; formaggio libre 20; capponi paio 1; cera libre 7; il dazio di Varzi per la nona parte; li molini di Varzi per la nona parte; il forno di Varzi per la nona parte. In Cavagnolo fermento staia 12, copelli 10. In Rosera fermento staia 9, quartai, 11 copelli 3 ‘/2; legna lesie 3, gallina η. i. In Monteforte e Castano fermento staia 23, quartai 5, copelli 6; legna lesie 1. In Carro tormento staia 63, quartai 2S, copelli 17; la terza parte del molino; legna lesie 4. In Pietragavina fermento staia 28, quartai 17, copelli 4 2/?; ^or' maggio libre 5.6; legna lesie 3; il dazio di detto luogo. Questo che si è scritto sopra, come proveniente dall’ eredita fatta dal Marchese Gio. Antonio Malaspina, convien dire che lo possedesse dopo questa data per acquisto. In S. Cristina taglino de’ Marchesi di Varzi, Valle di Stafora, Fabrica e Valle di Curone e loro pertinenze. Instituisce suoi eredi universali Camillo, Niccolò, Cristoforo ed Antonio-Maria, figliuoli suoi e della fu Maria Spinola qm. Guglielmo sua moglie; ed Azzo, Marc’Antonio e Bonifacio, suoi nepoti e abiatici, come nati di Battaglino, altro di lui figlio già defunto, con reciproche sostituzioni, ecc. E con condizione che ogni disposizione da sè fatta in questo testamento, se comparisse non potersi fare senza Γ espressa licenza e consenso dell’ Imperatore e di chi avesse autorità da lui in quanto alii beni feudali di Varzi, Valle di Stafora, Gremiasco e giurisdizioni o dignità; e rispetto alli beni feudali di Fabrica, Val di Curone e dignità senza il consenso del Vescovo di Tortona, la di lui instituzione e sostituzioni s intendano fatte sotto la detta condizione e non altrimenti [Rogito Leonardo Balena Siciliano qm. spettabile Giacomo noraro attuario del Tribunale e Banco di Fabrica ] » GIORNALE LIGUSTICO 3 55 fermento staia 12, copelli 5. In Fabrica e Val Curone for-mento staia 35 ì quartai 6, copelli 25; due galline e mezzo, una lidotta in denaro a ss. 16. 8; più in altro denaro ss. 7. 6; legna lesie 5 ; la terza parte del dazio di Fabrica ; la sesta parte del molino di Fabrica. In Brentasio il molino di Ponti per la sesta parte; fermento staia 22, quartai 2; biada staia 2; legna lesie 1; una gallina; soldi 8. In Bosmenzo fermento staia 11, quartai, 12 coppelli 22 '/4; cera once 12; legna lesie 7; due galline. In Ramenella fermento staia 22, quartai 2, copelli 2; legna lesie 9 ; in denaro lire 2. 19. 4. In Selvapiana fermento staia 38, quartai 6, copelli 8; biada quar. 8 ; una gallina ; formaggio lib. 12.6; in denaro fiorini 2 e lire 3.4; capponi paia 3; legna lesie 1 ; paletti lesie 1. In Aresia fermento staia 5 ; biada quar. 1; denaro lire 1. 12; legna lesie 1. In Monte Capraio fot mento staia 10; formaggio lib. 10; legna lesie 1; denaro lire 2. 4. In Caldirola fermento staia 2, copelli 1 ; formaggio libre 5; denaro ss. 6.4; legna lesie 1. In Salogno tormento staia 15, quartai 2; biada quar. 2; formaggio lib. 9. 6; legna lesie 1. In Bruggi fermento staia 1, quartai 5, copelli 5; formaggio lib. 25; denaro soldi 17. 16; legna lesie 3. In Pei-zaruzio fermento staia 4, quartai 3; legna lesie 1. Anno 1589. Nel dì 12 luglio trovasi in Varzi Girolamo Burgondio, Questore ducale, speditovi dal Magistrato delle entrate straordinarie dello Stato di Milano per rilevare Io stato delli Feudi di Varzi, Cella e Menconico, goduti, o in parte, 0 in totalità, dal Cardinal Francesco Sforza de’ conti di S. Fiora romano. Spedì la sua relazione con lettera del 31 luglio, della quale si forma il seguente racconto. La terra di Varzi, allora detta Varzo, è in paese montuoso, situata in modo che guarda mezzogiorno, a canto del torrente Stafera, nella distanza di circa miglia 15 da Voghera ed altrettanto da Tortona. È luogo di transito da Piacenza a 3)6 GIORNALE LIGUSTICO Genova e da Genova a Piacenza con varie merci. Dal territorio piacentino si provvede di frumento, biade e legumi; d olio, sale e sapone da quello di Genova; e tira il lino, tele e saie da S. Angelo sul Lodigiano; e senza del detto commercio non potrebbe sussistere. Sono dipendenti dalla detta terra quattro ville, cioè Castano, Bognassi, Rozara e Cavagnolo. Tutto il perticato del di lei territorio con le ville ascende alla somma di pertiche 17,400, tavole 22, piedi 22, oncie 2; nelle quali sono comprese pertiche 1271, tavole 22, piedi 21, oncie 69 di beni ecclesiastici. Ma buona parte di questi terreni sono inculti e di poca cavata; la quale, rispetto al valore, si dice essere di due, due e mezzo e tre per cento. I fuochi di Varzi si dicono essere 138, e nelle ville 61. Le anime dell’uno e dell’altro sesso sono 950; gli atti a portare le armi 150 circa. È la terra di v^arzi molto unita e ristretta e circondata di mura; ma alle mura sono congiunte le case, di poca considerazione, e mal costruite generalmente. Ha castello vecchio e diroccato, con poco sito e quattro o cinque stanze, nelle quali abita il Podestà, con una torre quadrata antica e assai ben fabbricata, che serve al presente di carcere; ed ivi si danno li tormenti, quando bisogna. Vi è una chiesa parrocchiale intitolata S. Germano, la quale è costrutta di nuovo e non ancora finita, per comodità degli abitanti, attesoché, la chiesa e parrocchia antica è discosta un quarto di miglio, ed è quasi abbandonata, se non che in certi giorni vi si dice Messa. È in essa parrocchia una cappella dedicata alli SS. Antonio e Giovanni, giuspadronato della famiglia Malaspina, istituito circa dieci anni sono dal Marchese Mercurio Malaspina, il quale era Arciprete, ed ha reddito di scudi circa settanta, ed è in testa del moderno Arciprete, pure Malaspina, cioè il Marchese Francesco. La entrata della Pieve o parrocchia suddetta è di scudi quattrocento in circa, e la giornale ligustico 357 p.iriocchia è governata da un Arciprete, che vi mantiene un curato. A canto della terra vi è un convento di frati dell’ Ordine di S. Agostino, intitolato dall’ Annunciata, nel quale, per 1’ or-d.nano, sono tre frati da Messa, e si dice che ha d’entrata lire 450 in circa. Vi sono trentotto botteghe, cioè tre da speziali, quattro da sartoii, cinque da calegari, una di spadaro, quattro di ferrari, quattro di stringaroli, tre di magnani, due di ciabattini, tre di rkendauioli di sale e tele, due di lino, ed il rimanente di tessitori e di venditori di pane, olio, sapone, formaggio, pelli, pelliccie ed altre minuzie. Il fare e vender pane, osterie e beccai ie e in li bei tà, nè sopra di ciò vi è gravezza alcuna; ma è lecito ad ognuno industriarsi come gli piace. Il maggior tiaffico sarà di scudi ducento l’anno per testa; ce ne sarà parimente di centocinquanta, di cento, di cinquanta e qualche cosa di più 0 meno. Si fa un mercato nella detta terra ogni settimana il giorno di venerdì, e vi si fanno ancora due fiere Tanno, una nelle calende d’agosto, e l’altra il giorno di S. Simone. A queste fiere e mercati concorrono diversi a vendere bestie bovine, cavalline, asinine, muli, porci, pecore, capre, formento ed altre biade e legumi, merci e vettovaglie di più sorte. Altri mercati si fanno in luoghi circonvicini quasi tutta la settimana, cioè il lunedì a Brignano, il martedì a Brignano piacentino, il giovedì a Godiasso e Montado, ed anco il lunedì, mer-cordì e venerdì a S. Sebastiano, il sabato a Bobbio e Zavat-tarelio. La Comunità non ha proprietà, nè reddito, eccetto un forno, per il quale paga ogni anno lire cinquanta di fitto, per un terzo alla Casa Sforza, il resto ad altri interessati (che erano li Malaspina); e se ne cava circa trecento lire ogni anno, più 0 meno, secondo il concorso; dalle quali GIORNALE LIGUSTICO vanno detratte le dette lire cinquanta e le riparazioni, che dicono importare circa scudi dieci o dodici. Pagano in Camera le tasse ordinarie de’ cavalli, li quali devono importare lire 400 l’anno, e pretendono essere sgravati di certa parte, sopra di che pende lite nel Magistrato. Dicono anche d’aver pagato la metà de’carichi straordinari, detratte le tasse duplicate; e tutti li carichi essere ripartiti sopra le terre, conforme all’ estimo. Dicono pagare salari di Campari, Orologiaro, Console, Cameriere, e Tesoriere, il Predicatore della Quaresima, spese ed utensigli grossi al Podestà, parte del salario al Cavaliero o Barigello, e al Messo pubblico, che anco fa l’ufficio di sotterratore, ed a’ Procuratori in Milano; sicché, per tutto il sopra detto e per altre spese straordinarie, essi fanno conto che un anno computato per l’altro pagheranno circa 2500 sino a 3000 lire, e più e meno, secondo 1’occasione. Nella quale somma non sono compresi li fitti che si pagano al feudatario, alle chiese e ad altri, (che erano li Malaspina, o loro cessionari). Le entrate del feudatario, per quello che a Varzi e sua giurisdizione spetta, consistono nelle cose infrascritte: prima nella terza parte di un dazio, ossia gabella, che ivi si riscuote per le merci e vettovaglie, a ragione di sei quattrini per soma, ma non da terrieri 0 circonvicini; e questo dazio unito si affitta scudi novantasei l’anno; sicché al feudatario Sforza ne toccano solamente scudi trentadue; e per un legato fatto dal Marchese Gio. Antonio Malaspina gode la casa Sforza nove parte di ventiquattro d’un altro terzo. E più, nel terzo di due molini con tre ruote ed un follo da panno, i quali si affittano in sacchi settantadue formento; sicché alla casa Sforza ne spettano sacchi ventiquattro; e per il detto legato del qm. Marchese Gio. Antonio gode di più sopra un altro terzo cinque sacchi ed uno staio. Le altre porzioni spettavano alli GIORNALE LIGUSTICO 359 Malaspina, come deducesi anco da vari istromenti. Ma il maggior nervo delP entrata consiste nelli fitti che se gli pagano da molti sudditi a minuto, cioè fermento staia 25, co— pelli 3 S/I2, spelta staia 7 S/I2, vino brente 15, boccali 8, formaggio libre 106, oncie 6, legna lesie 5, che saranno some dieci asinine circa, cera libre 8, once 8 '/2, capponi n.° 7 5/é, pepe oncie 9 ?/4, zafferano once 2, pernici n. 2, tordi n. 1, aranci n. 1. Vi è il terzo del fitto del forno, che sono lire 16 ss. 13.4. Però unite tutte le dette entrate, insieme con il legato, di cui sopra, si sono affittate all’incanto per una locazione di nove anni, finito il precedente, scudi 264, da lire 6 1’ uno. Dalle deposizioni de’ Consoli di Varzi raccoglie il Questore che il salario del Podestà, che al presente è togato, e pagasi dal feudatario Sforza, è di scudi 150; ma egli non lo crede, nè può verificarlo, dicendo il medesimo Podestà non averne scrittura, ma solo promessa a bocca. Ha il detto Podestà un emolumento, che si chiama la Daghia, cioè un soldo per lira di ogni dimanda che innanzi ad esso Podestà vien fatta, ed altrettanto per la negativa; ed un soldo ancora per la esecuzione; il quale emolumento si dice che cessa ove. si tratta dell’ interesse del feudatario e della Comunità. Ha di più le sportule, che dicono Candele, sopra processi; ed ha le pene delle accuse de’danni dati; ed ha similmente particolare mercede della visita per differenze, e per interporre decreti, e per far sigillature, e per li criminali, come dalla costituzione è permesso, con li giudici che non hanno salario dal pubblico. Esso Podestà non paga fitto di casa, perchè abita nel castello, il quale è posseduto dalla casa Sforza, e non si può presumere altrimenti se non che sia feudale, benché dicono quelli di Varzi di non saperlo. Fa l’ufficio di Fiscale in Varzi il Podestà di Menconico, che non è togato, e come Fiscale non ha salario. Vi sono 360 GIORNALE LIGUSTICO due Attuari, deputati come piace al feudatario, ovvero al Podestà, senza salario. Il Cavaliero ossia Barigello ha lire 18 al mese, delle quali sette e mezzo si pagano dal leudatario ed il rimanente dalla Comunità, quale pretende però non essere tenuta. Il Messo pubblico ha lire sei, soldi dieci al mese dalla Comunità e serve anco per sepoltore. Sino qui parla la relazione del Questore Burgondio al Magistrato Ducale delle entrate straordinarie. Dalla medesima si conosce che il cardinale Francesco Sforza feudatario di Varzi disponeva della nomina del Podestà di Varzi, e delle entrate feudali ne possedeva un terzo solamente per parte di casa Sforza, seguitandosi a godere il rimanente da’ condomini Marchesi Malaspina. Può agevolmente dedursi dal medesimo documento quale fosse a questo tempo la rendita feudale di questo borgo e giurisdizione. Quanto al detto possesso di giurisdizione, riferisce il medesimo Questore di avere inteso dire stragiudizialmente, e da persone che non poteva ridurre ad esame, che nè il Cardinale, nè i suoi antecessori Sforza non ne avevano avuto legittimo dominio; e dicevasi da quelle persone che il Conte di S. Fiora, padre del Cardinale, acquistò il possesso di tutta la giurisdizione per una via di fatto solamente; cioè ricusando 0 ritardando li condomini di Varzi di concorrere al pagamento del salario dovuto al Podestà, il Conte di S. Fiora si risolse di pagare del suo per tutti ; e con questo mezzo, e con esser uomo di grande autorità e potente, guadagnò e ritenne tutto il dominio di quella giurisdizione, portandosi dall’altro canto bene con li sudditi, e mantenendoli con amore e timore. E li Marchesi Malaspina, lesi di questa maniera nel loro diritto, soggiungevano le dette persone, 0 non avevano avuto ardire di contendere sopra questo con il Conte, 0 non avevano avuto provisione. In ordine alla medesima introduzione di casa Sforza nel feudo di GIORNALE LIGUSTICO 361 Varzi, Andrea Levati, notaio di Varzi, depose giudicialmente j’avere inteso dire e visto per istromenti che prima del Conte ne fu in possesso (deve intendersi parziale) il sig. Bosio Sforza, padre di esso Conte, (è rimarcabile che niuno cita la investitura 1466), e prima del sig. Bosio essere stata padrona e posseditrice di Varzi e Menconico la sig. Criseide Sforza; la quale egli credeva che fosse madre di Francesco Sforza. Narrò ancora il medesimo che la casa Fiesca occupò una volta per lo spazio di circa due anni la detta terra di Varzi, ma non sapeva con che titolo. Anno 1601. Muore li 26 marzo il Marchese Francesco Ma-laspina qm. Antonio, detto di Lunassio, de’ Marchesi di Varzi e S. Margherita, con avere istituite eredi universali le sue iìglie, Elisabetta, moglie del Marchese Gio. Battista Malaspina qm. Cristoforo di Pietragavina, e Lelia, moglie di Gio. Paolo Busseto, nobile cittadino di Tortona; alle quali venne disputata la detta eredità, quanto al feudale, sì dal Marchese Evangelista qm. Galeazzo Malaspina, prossimo agnato, sì dal Fisco; ma senza successo. Io ricopio qui il seguente estratto della relazione che di essa eredità feudale diede sotto li 6 maggio 1602 il Magistrato delli redditi straordinari al Governatore di Milano, non solo per la connessione che ha con ciò di che principalmente si tratta, ma ancora per le nozioni che dà intorno alli paesi ne’ quali esisteva. Riferiscesi dunque dal Magistrato che per mezzo del Questore, ch’egli aveva mandato a prendere possesso delli Feudi che possedeva esso Malaspina, si era ritrovato: I. « Che il suo Marchesato consisteva in una minima λ parte degli infrascritti luoghi, ma quanta parte questa fosse, » non essersi potuto sapere, atteso il grande numero dei con-» feudatari. 362 GIORNALE LIGUSTICO II. » Parte di questi luoghi essere nella Valle di Curone » e parte nella Valle di Stafora. III. » In quella del Curone esservi Caradasso, Lunasco, Monte » Capraro, Sarogno, Cadirolla, Brentasso, Serra e Forotondo. IV. » Nella Valle di Stafora constare che vi era S. Mar-» gherita, Casanova, Vendemiasco, Massinigo e Sala, e questi » luoghi piccoli ed alpestri senza entrata e senza castelli, con la sola ragione del Podestà, secondo il tempo, di ciascun » feudatario. V. » Nella Valle di Stafora constare che vi era la terza » parte della giurisdizione verso li sudditi, che sono di po-» diissimo numero; anzi per il più non essere sottoposti li » beramente ad un solo feudatario, bensì a diversi, perchè » molti sono li padroni, di modo che un uomo sarà sotto-» posto a due 0 più feudatari. VI. » Le terre essere tutte montuose e di pochissima » cavata, nè esservi cosa alcuna spettante al feudo, così depo-» nendo li testimoni esaminati. VII. » Ma essere vero che ciascuno può avere delli sud-» diti in quelle parti, perchè chi ha delle terre e le affitta a » livello ad alcuno, colui resta in omaggio obbligato verso il » padrone; e così anche chi ha da quattro in sei scuti, colui » resta obbligato a quel tale; e questi si chiamano omaggi, » di modo che chi ha delle terre e de’ denari ha delli vassalli, » se ne vuole. VIII. » Non cavarsi cosa alcuna dalle confiscaziom, » perchè li sudditi non hanno beni per l’ordinario; meno » dalle condannazioni pecuniarie, perchè non avendo proprietà, » piuttosto che pagarle se ne fuggono. IX. » Questi feudi, per le informazioni avute, parere che » siano transitorii ancora nelle femmine, ed in persone fore-» stiere dell’uno e l’altro sesso, massime in Genovesi, ed » ancora senza licenza. GIORNALE LIGUSTICO 363 X. » Che il detto Marchese Francesco avesse ancora » parte nel Marchesato di Varzo, luogo grande, quale ora si » tenesse dal Cardinal Sforza di S. Fiora, senza essersi potuto » intendere del tutto la cagione per cui venga da lui pos-» seduto. XI. » Che avesse giurisdizione nel luogo di Gremiasco, » tenuto ora dal Principe Doria; nè sapersi con che ragione » possegga anche la ragione del detto Marchese ». Ma in questa informazione è da osservarsi che si attenuano di troppo le rendite feudali che si pagavano da que’ paesi ; il che può essere provenuto dalla varietà di parere sulla natura di quelle rendite. Le due sorelle rimaste eredi, vennero prima ad una transazione per separare i loro crediti particolari sulla eredità comune; e quello della Elisabetta essendo stato convenuto in scudi 1700 d oro per causa dotale di Pellegrina Spinola, sua madre, ne ricevè in compenso tanti fitti, redditi, giurisdizioni e omaggi nel territorio di Varzi a rata del medesimo ; e Lelia per il suo credito di scudi 1400, risultante pure dalla dote materna, cioè di Cornelia Uggie, stata seconda moglie del Marchese Francesco, ebbe tutte le case, terre e boschi del territorio di Limassi e tutte le ragioni, fitti ed omaggi di ragione comune nel territorio di Gremiasco. Indi si venne fra loro ad una compiuta divisione, e alla Elisabetta toccarono principalmente il feudo, fitti e ragioni feudali della Val di Curone, escluse le dette di Gremiasco e Lunassi; le quali poi furono vendute dalli Marchesi Giuseppe e Giacomo-An-tonio, figliuoli di lei e del Marchese Gio. Battista Malaspina di Pietragavina, alla Casa Doria per il prezzo di scudi seimila di Milano, ossiano lire trentaseitnila, negli atti del notaro Giacomo Tamburelli [Sommario Evangelisti — Sommario Go-diasso — Memorie Tamburelli mss. — Instrumento mss.l. Giovanni Seorza. 3!■ Ignoro se gli Anziani della Serenissima di Genova si sieno occupati delle Sacre Rappresentazioni, andando sulle orme di quei di Lucca, i quali il 7 Aprile del 1442 decretarono che per opera di società e di confraternite le rappresentazioni, già inventate a causa di devozione, non si potessero più eseguire, senza speciale permesso, perchè vi si erano mescolate alquante indevotiones et periculum immineat propter multos alios respectus. (i) Litterarum Senatus, An. 1562, filza segnata col N. 72, foglio 51, Arch. di Stato in Genova, GIORNALE LIGUSTICO 367 E più tardi, il 9 dicembre del 1519 proibivano agli studenti di festeggiare con Iauliti, cioè palchi e scenarii, il giorno di S. Nicolò, essendo nate risse e contese (1). Se però lo stesso non fecero i nostri Anziani, da questi divieti Mons. Cipriano Pallavicini, Arcivescovo di Genova, prese le mosse per emanare alcune disposizioni, che doveano andar in vigore nell’ampia archidiocesi a sue cure affidata, e della quale eran Chiavari e Rapallo elettissime parti. Nel Sinodo celebrato nel 1567 al Capitolo De processionibus faciendis el repraesentationibus tollendis leggesi: Profanarum picturarum ad luxum praesertim et lasciviam comparatarum apparatus omnis removeatur ac ne in viis proponantur. Absint etiam tepraesentationes aliaque omnia quae Processiones retardare vel hominum mentes a pietatis studiis ad illecebras aures et oculi capiantur avocare. Repraesentationem luctuosam Dominicae Passionis historiam et admirabiles ac imitatione dignas sanctorum actiones oculis et auribus hominum tanquam in scena proponentes quas ad excitandos sensuum ope rudes imperitorum animos antiquitas introduxerat, horum temporum malitia et nequitia in pravos adeo detorsit usus ut ex eis pro lachrimis risus pro piis affectibus prava desideria excitentur. Itaque ne res in deterius magis magisque labatur easdem tam sacris quam profanis in locis praesens Synodus prohibet nisi ab Ordinario causa plene cognita licentia in scriptis sit obtenta (2). E al Capitolo De Disciplinatoribus el aliarum societatum fratribus : Sodalitatem omnium conventus invisat Episcopus; corrigenda si qua fuerint tam in iis quae ab eorum libros meditationes et preces quam ( 1) Inventario deI R. Archivio di Stalo in Lucca, Lucca 1872, Vol. I, pag. 2 3 5; Vincenzo de Bartholomaeis, Antiche rappresentazioni italiane in Studi di Filologia Romanza, Vol. VI, An. 1893, pag. 201, nota. (2) Synodi Diocesanae et Provinciales editae atque ineditae sauciae Genuensis ecclesiae, Genuae, ex tipis archiep. 1S3}, pag. 202. 368 GIORNALE LIGUSTICO quae ad reliqua pertinent omnia corrigat ; curetque ut sui quisque institutis regulas pie casteque observet; vulgari sermone conscripta Officia Beatae Virginis prorsus omittant; suadeatque ut eorum loco recitent officium eiusdem Deiparae Virginis a Pio V Pont. Max. instauratum ; atque posthac in Processionibus bini ordinate composite et sine clamore ac collocutionibus die (numquam antem noctu) divinis, ut decet, Laudibus Hymnis, precationibusque intenti flagellis ad pietatem non ad ostentationem aut ad quaestum sese caedentes, recte ad Ecclesias tendant; neve hac, illae, nullo ordine concurrentes spectandos se praebeant hominibus; comessationibus et compotationibus ne indul-geant ; Repraesentationes omittant; suaque officiatam mature conficiant; ut integrum cuique sit in Parochiali sua Ecclesia missam audire; neve Parochis sint in mora. Publica convivia quae a Sodalitatibas So-cietatibusque nonnullis ex communibus ipsorum reditibus vel legatis fieri solent omnino prohibemus (i). Pertinacium et eorum qui corrigi recusaverin et inobedientium societates tollant et aboleant Episcopi vel aliis poenis afficiant prout ipsis convenire videbitur. Il Pallavicini, avea imitato P amico suo Carlo Borromeo, Arcivescovo di Milano, che, radunato un Concilio diocesano (i) Non ostante il divieto continuarono i pubblici conviti, onde il visita tore apostolico Mons. Francesco Bossio, Vescovo di Novara, negli atti della visita fatta alla diocesi genovese nel 1582 emanò parecchi decreti peri con fratelli di S. Ilario di Nervi, di Bogliasco, Capreno, Sori, Camogli, Ruta, Moneglia, Cogorno, Levaggi e per tanti altri, perchè nel Giovedì Santo non mangiassero nei loro oratorii. E anche nel Sinodo celebrato il 6 ottobre 1604 da Mons. Orazio Spinola, Arcivescovo di Genova, si legge : Caveant confratres maxime per Dioecesitn ne in ecclesiis seti oratoriis eorumque foribus et vestibulis seu coemeteriis placentias et focalias ant panes vel vinum aliaque cibaria in die festo eorum Sancti vel die Iovis Sancii distribuant....... Interdicimus quascumque commensationes seu jentacula die Iovis Sancti per contraires vel alios in ecclesiis vel Oraloriis.....(Synodi dtocesanae eie., 1. c., pag, 64°)· GIORNALE LIGUSTICO 36 9 nel 1565 iacea introdurre negli Atti un capitolo severissimo De Actionibus et Repraesentationibus sacris (1). Al Sinodo Pallavicini tennero dietro i decreti del citato Mons. Bossio nel 1582. Così ordinava Γ inviato di Gregorio XIII: Choreae et saltationes praesertim publicae, ludi aliaeqiie profanae actiones etiam in honorem Sanctorum aliove quovis praetextu per cor-rutelam introductae cum ab eorum festorum dierum cultu alienae sint 111 diebus qui spiritalis commodi non profanae voluptatis gratia instituti sint, ne fiant. Alia item cuiuscumque generis inania spectacula ■excludantur. Nec vero personati et larvati homines per vias incedant quibus in rebus potissimum etiam censuris et poenis Rev.mus Archie-piscopus cum eis qui contrafecerint per parochos aliosque ministros agere ne omittat (2). E per il clero: .......d*e noctuve ad convivia comedias aliave publica spectacula ad cantandum vel instrumento psallendumne conveniat.... abstinendo a lusoriis chartis choreis saltationibus comediis hastiludiis larvis ludi- crisque armorum spectacul:s.....(3). * >i * L’ archidiocesi genovese non osservò del tutto i decreti, e, accanto alla drammatica sacra avea preso sviluppo la profana, (1) D Ancona, 1. c., Vol. II, pag. 179. Dei sentimenti di San Carlo Borromeo intorno agli spettacoli scrisse il canonico Castiglioni nel 1759. Cfr. 11 f'eatro a Milano nel secolo XVII, pag. 6, del Dott. Antonio Paglicci Brozzi. (2) Synodi diocesanae ecc., 1. c., pag. 271. (3) Synodi diocesanae ecc., 1. c., pag. 322 e 323. — Più tardi, il 13 ottobre del 1750, gettandosi alla Pieve di Teco le basi dell’Oratorio dell’immacolata, di S. Fedele da Sigmaringa e di S. Giuseppe da Leonessa per la liberazione degli Austriaci da Genova, inscrivasi nei capitoli che i confratelli schivassero tutte le occasioni dei mali come giuochi, mascherale, commedie e ciarlatani (lurisdiclionalìum, filza segnata 171-1242, Arch. di Stato in Genova). Giorn. Ligustico. Anno XXIII. 370 GIORNALE LIGUSTICO che svolgevasi ben anco nelle case (i), negli oratorii (2) vuoi a scopo di lucro, vuoi a scopo di beneficenza (3), mantenendosi Γ uso attraverso i secoli. Dissi che la drammatica sacra andava di pari passo colla protana. Infatti il Belgrano nel novero delle Rappresentazioni Sacre svoltesi in Genova, pone II Trionfo di S. Cecilia del Revelli (1638), L’Assunta del De Franchi (1646), il Giacob del Ruggero (1647), il Re David di frate Gio. Grisostomo da Diano (1650 circa), il Dramma Sacro del Palmaro (1674), ecc. tee... Però, dice il Belgrano, « fra tutti i componimenti religiosi rappresentativi il più universalmente usitato fu quello della Passione di Christo di che anche registriamo due esempi » (4). Ai precitati lavori aggiungiamo il « Libro de Sancto Ioanne Baptista stampato in Saona per Maestro Ioseph Bernerio V 22 settembre (1) Valga a tal proposito questa grida del gennaio del 1594: Per parte e di ordine e comandamento delli Ser.mi Collegi e della Ser.ma Republica di Genova si fa publica grida e comandamento e si prohibisce che non si possino far maschari di sorta alcuna nella presente città e borghi durante tutto questo carnovale sotto pma a quelli che facessero le commedie et alli po troni delle case dove si facessero 0 recitassero di scuti /00 per ogni uno di loto et per ogni volta et a coloro che si mascarassero di scuti 2/ per ciascaduno. Guardisi dunque ogn’ uno da contravenire perchè li disubidienti saranno 1 igo rosamente puniti et contro di loro esseguite le pene suditte. (Litterarum Senatus, filza segnata col N. 162, Arch. di Stato in Genova). (2) Ancora il 2 marzo del 1784 i confratelli della Casaccia dei discipli plinanti di S. Giovanni Battista presso le porte dell’Acquasola appigionarono il proprio oratorio ai Signori Dilettanti per la recita delle Comedie (luns-dictionalium, filza segnata 232-1303, Arch. di Stato in Genova). (3) Un decreto del 16 maggio 1678 stabiliva che gli Impresarii del Teatro soprassedessero dal fare recitare « per questi unno e per la metà del venturo stante la gran miseria che regna nello stato e qualora venisse concessa licenda il prodotto delle recite debba andar a sollievo dei Poveri (Politicorum, Mazzo XV, N. d’ordine 32, Arch. di Stato in Genova). (\) Arch. Stor. Zi., Vol. XV, Serie III, pag. 417 GIORNALE LIGUSTICO 37I del /522 ». Il Giuliani (1) l’appella rarissimo e molto curioso per la singolarità delle silografie intercalate nei testo in nu-meio di 61. È una specie di rappresentazione dei misteri, che certo facevasi a Savona (2) e dettata in orribili versi. Molte (ij Atti delia Soc. Lig. di St. Pair., Vol. IX, pagg. 61, 62 e 480. (2) Per la storia delle Sacre Rappresentazioni in Savona è notevole questo squarcio, che figura nel Sinodo, celebrato l’n novembre del 1699 dal Vescovo Vincenzo Maria Durazzo: Decernimus ne in ecclesiis capellis oratoriis el locis Deo dicatis in posterum ea fiant quae venerationi repugnant. Huiusmodi sunt comoediae tragediae el quaecumque scenicae representationes etiam spirituales quas omnes fieri in ecclesiis oratoriis et clictis locis piis sul· poena interdicti localis omnino prohibemus..... (Constitutiones et decreta etc., Mondovi 1701, pag. 651). Valga pure il seguente biglietto anonimo, pervenuto al Senato il 18 febbraio del 1727: .....Si mette in considerazione a V. V. S. S. Ser me il gran concorso di Piemontesi solito farsi in detta città di Savona in congiuntura della solenne Processione del Cristo di Pasqua la notte del Sabbato Santo dove interveranno da 12 in 14000 tra huomini e donne che alloggiano in ogni parte della città e massime nelle osterie e spalti vicini alla foriera il che non potendo essere che pregiudiciale detto concorso nelle congiunture presenti si stima non poter essere che accertata la proibitione di ietta fontione.....(Iurisdictionalium, filza segnata 133-1204, Arch. di Stato in Genova). Il Senato con decreto del 27 marzo 1784 dava licenza ai confratelli di N. S. del Castello di Savona di fare la processione nel Giovedì e Venerdì Santo dopo le ore 24 « portando i misteri che figurano la Passione del Divin Redentore (Iurisdictionalium, filza segnata 231-1302, Arch. di Stato in Genova). Del teatro in Savona scrisse Agostino Bruno (Vicende Musicali Savonesi dal secolo XVI sino al presente, Savona, Tip. D. Bertolotto e C., 1890). A pag. 17 dice che « non fu che tra il 1780 ed il 1790, cioè quando le idee d’innovazioni cominciavano a svegliare anche un po’ la Liguria che parve ai Savonesi di sentire il bisogno di un teatro». L’impulso era partito pochi anni prima, facendone fede il seguente bigliettino anonimo ritrovato nei Calici del Senato: Sei'.IHi Signori Più che regna la Miseria più cresce la voglia di gettar danaro 0 divertirsi. A Savona è venuta Vòglia d’aver Teatro. Questa è voglia d’olirsi e di ricchi 372 GIORNALE LIGUSTICO parole d’ origine evidentemente francese il farebbero supporre traduzione della Vie et Mystero di Monseigneur S. Jean Baptiste, il che però è quasi impossibile certificarsi. Merita pure un cenno la tragedia La Reina Ester, proibita dalla Congregazione dei Riti. Ne fu autore Ansaldo Cebà, mono nel 1623 (1). E le Rappresentazioni Sacre si mantennero in Chiavari, il che è una riprova, se ce ne fosse bisogno, della tenacità di certe tradizioni tra il popolo. A conferma del mio asserto trovo questa denuncia anonima tra i biglietti di Calice del Senato. Nel luogo di Chiavari in congiuntura delle Casaccie si fanno alcune rapresentazioni specialmente nella Chiesa delle Monache con uomini mezzo ignudi lo che serve di scandalo anche alle stesse religiose che perciò sarebbe di gloria a Dio se vi fusse dato qualche riparo. 1729 a 5 Aprile. — Inteso ne Serenissimi Collegi il contenuto in detto biglietto è stato deliberato di tramandarne copia all’ Illustre Ca- i quali per promoverla pensano d’impiegarvi una lascila di pio benefattore il qm. Girolamo Sacco destinata a spendersi a vantaggio pubblico e così di ricchi e di poveri in L. Soo circa cioè in riparazione di luoghi strade ed altre fabbriche ed usi publici a profitto di tutti. Il teatro serve a ben pochi, a gente ricca ed odiosa. J poveri, i giornalieri la gente di mezza sfera non ne godono an\i 'e ben fatto che non vi prodighino denaro e tempo massime in un paese povero che languisce. I progettisti cercano di farne gustare Γ idea al Ser.mo Trono con interessare 1’ attuale governatore il quale è giovane e ne applaudirà il pensiere. Ma la saviezza del Ser.mo Senato e la di lui paterna provvidenza non approverà che si distragga una rendita destinala in un articolo inutile e nocivo alla povera Savona. 1776. 20 Gennaio. — Letto a Serenissimi Collegi. È stato deliberato che s’incarichi V 111. Goni.re di Savona di non permettere che venga a costruirsi il sudetto teatro qualora per la spesa di esso venga a contribuirvi in qualsiasi anche picciola somma la sudetta pia opera. (Inrisdictionalium, filza segnata 213-1284, Arch. di Stato in Genova). (1) Giorn. Lig. d’Arch., 1888,. pag. 211. GIORNALE LIGUSTICO 373 pitano di Chiavari perchè vada al riparo che non succedano i disordini di cui in detto biglietto. Scritta e consegnata la lettera al traghetta Oliva (i). A questo biglietto altro si accorda trasmesso al Senato l’anno successivo e che porta sulla parte anteriore : Biglietto dei calici del Ser.™ Senato del 27 marzo 1730. Ricorda la proibizione di entrare le Similitudini nel monastero di Chiavari in occasione delle processioni del Giovedì Santo. E nella parte inferiore: Ser.ral Signori Si presenta che in Chiavari possa seguire il disordine che I* anno passato fu proibito cioè di portarsi in occasione di processioni al Monastero delie Monache con fare certe similitudini di persone troppo denudate con pregiudicio di quella modestia che si deve alle Monache onde si prega a proibire dette Similitudini in tutto come fu per deci eto di lor Signorie Serenissime praticato 1’ anno andato. 173° a 27 Marzo. — Letto al Ser.mo Senato. È stato deliberato si rimetta all’ 111.™ ed Ecc.ma Giunta di Giurisdizione perchè sul contenuto in esso dia tutte le ordinazioni che più stimerà. Per Ser.raum Senatum ad calculos (2). Il documento non fa conoscere se il responso della Giuttta ecclasiastica di Giurisdiz/one sia stato affermativo o negativo-per detta Processione figurativa, simile nell’ insieme a quella descrittaci dal D’Ancona (3), il quala afferma che sin dal 1591 trovasi in un diarista palermitano la descrizione d’ una processione fatta dalla Casazza della nazione genovese, e che erano queste Casale processioni figurative 0 come si dicevano ideali, rappresentanti la Passione con cento 0 mille individui i più (1) Secretorum, filza segnata 76-1631, Arch. di Stato in Genova. (2) Iurisdictionalium, filza segnata 140-1211, Arch. di Stato in Genova. (}) L. c., Vol. II, pag. 204. 374 GIORNALE LIGUSTICO meramente simbolici e rade volte parlanti, anzi il più spesso esprimenti con soli atteggiamenti la loro significazione storica. Tutto ciò non era nato allora, ma era la continuazione di usi anteriori modificati. * * * È opinione che già nel secolo XIV7 il predicatore narrasse e descrivesse la Passione di Cristo, esplicando il testo del Vangelo (i), ma nei momenti i più drammatici dell’esposizioni venisse fuori con brani di rozza poesia, in cui la forma dialogica predominava e gli attori già preparati ed istruiti si movevano ad ogni suo cenno per rendere evidente agli uditori quel che il predicatore descriveva o narrava. La parte recitativa che non era poi altro se non una lunga meditazione sulla Passione quale si legge narrata nel Vangelo di S. Giovanni, tutta era affidata esclusivamente al predicatore, e agli attori non ispettava il compito di por sott’ occhio allo spettatore tutti i particolari, ma le scene le più salienti e che si prestano ad essere, rappresentate colla sola mimica, p. e. la Flagellazione, la Crocifissione, la Deposizione, scene mute che usano farsi anche oggi in molti luoghi durante la Settimana Santa (2). Una Passione trovasi alla Biblioteca Civico-Beriana di Ge- (II Ricerche Ahlru^esi di Cesare de Lollis in Bullettino dell Ist. Slor. 11., An. 1887, pag. 86; D’Ancona, 1. c., Vol. I, pag. 166. (2j G. Ferraro, che nel Giorn. Lig. dell’anno 1893 descrive le feste sacre e profane della Sardegna, cosi narra come avvenga a Siniscola la deposizione di Gesù il Venerdì Santo: « Il Venerdì Santo sera pongono non molto lontano del pulpito di dove predica il parroco, il Crocifisso. La madonna vestita a nero con un fazzoletto bianco in mano è posta a distanza dal Cristo. Ai piedi della croce sono i Baroni Giudei, Nicodemo e Arimatea con vestito a mille colori che paiono due maschere. Il rettore sale a predicare e quando è giunto al momento comanda di schiodare il Padre Grande. Prima gli levano i chiodi dalle mani poi quelli dei piedi li mettono in un piatto d’argento e un bambino GIORNALE LIGUSTICO 375 nova in un manoscritto della Cronaca di Iacopo da Varazze scritta nel 1353 >n Genova nelle carceri dei Veneziani da un Giovanni de Bruno, carcerato, ed è interpolata qua e là di dialoghi tali da poter essere recitati (1). Cosi pure un codice della Biblioteca Urbana di Genova, scritto nella prima metà del XV secolo contiene una cronaca universale con una lunga serie di Vite di Santi e Sante, leggende di Balaam, Giosafat e di S. Margherita, l’epistola di Fr. Bonaventura da Bagnorea ad un suo amico e Le questioim de Boecio ecc. ecc. con versi intercalati alla prosa da poter pure essere recitati (2). La Passione veniva pure esposta sulle pubbliche piazze dai Cantari, i quali attraevano la folla a udire pure narrar le gesta di Rolando e Oliviero (3), fatti di storia sacra, romanzi di vestito da ^angelo li presenta al predicatore e questi li fa presentare alla Vergine e a Alaria Maddalena. Quando è fatta tutta questa funzione, ossia, dopo che l’han deposto di croce e schiodatolo prendono sulle fascie e lo presentano al popolo. 11 predicatore seguita a predicare, il popolo piange e v’ ha chi singhiozza proprio sul serio. Fatto ciò lo pongono sulla barella e lo portano in processione: il·feretro del Gran Padre è caricato addirittura di fiori. Dopoché la processione torna alla chiesa, corrono tutti per acquistare un ramoscello di quei fiori ed anche una fronda d’erba odorosa e li mettono in serbo che ciò è buono per ogni male ». Questo su per giù continuò a svolgersi in parecchi paesi della nostra Liguria e anche in tempi a noi vicini. I devoti prendono tuttora, invece di fiori, la cera detta Lumen Christi. (1) Fu pubblicata dal Prof. P. E. Guarnekio nel Giorn. Lig. d’Arch., Ann. 1893, pag. 270, e da E. G. Parodi neWArch. Glottologico Ital., An. 1896, pagg. 27-36. (2) Banchero, Genova e le due Riviere, pag. 513; Belgrano in Giorn. Lig., An. 1882, pag. 344; E. G. Parodi in Arch. Glott. Jt., An. 1896. Pagg· 37-97-, . · , (3) Nella erudita monografia 11 teatro di Milano e i canti intorno ad Orlando e Olivieri (Arch. Stor. Lombardo, 1887, pagg. 5-29) il Prof. Pio Rajna riduce al loro giusto valore le espressioni di un cronista anonimo del se- 376 GIORNALE LIGUSTICO amore e di cavallerie, freschi avvenimenti di vittorie patrie, lutti cittadini e meravigliose scoperte (i). E il Biadene (2) ricordando quest’ uso comune nei secoli XIII e XIV' sulle piazze dell’Alta e della Media Italia, accenna al Planctu Beatae Mariae Virginis, che è pure l’argomento d’una poosia di quell’anonimo genovese, vissuto fra il 1270 e 1320 (3). Accanto adunque alle rappresentazioni sceniche, che vedremo colo X\ , sulle quali si fondarono taluni per sostenere che a Milano in pieno medio evo si rappresentavano sul teatro le gesta degli eroi di Roncisvalle. Se a ciò si potesse apporre il suggello della verità, si potrebbe fare lo stesso ragionamento per Genova; se non che risalendo alle fonti, in cui attinse il citato cronista, tutto si riduce al fatto che di quegli eroi si cantava semplicemente al popolo raccolto sulle piazze e non solamente nel secolo XV-, ma nel XIV e nel Xlil e più addietro d’ assai. E alle copiose prove già note, m; piace aggiungere quella che si deriva dalla 2:' Parte delle Rim·: Genovesi Archivio Gtott. It., Vol. X, pag. 75) laddove il poeta dice che gli uomini Presti de oir assai pu son — qualche jugolur 0 un bujon — 0 un malvaxe ingannaor — ca un veraxe pricaor — romanci, canyon e fore — e quarte arte croje parole — de Rolando e ±le Oriver — tropo ascolan vorunter. (1) C. Desimoxi, Tre Cantari dei secoli XV e XVI in Alti Soc. Lig. St. Patr., Vol. X, pag. 622. — Il Promis diede comunicazione alla Società predetta dell’opuscolo stampato a Savona nel 1523, custodito nella Bibl. di S. M. in Torino « El lacrimoso lamento che fa el gran || Maestro de Rodi con li soi ca y valieri a tutti li Principi de [| la Christianilà ne la || sua partita da || Rodi ». È un lamento in 91 ottave e il Promis dice che tali e somiglianti poesie usavansi nel secolo XVI pubblicare e cantare per le strade (Atti id., Vol. IX, Pag- 340). (2) L. Biadene, La Passione e Risurrezione, poemetto veronese del sec. XIII in Studi di Filologia Romania, An. 1884, pag. 215. (3) Rime genovesi della fine del secolo XIII e del principio del secolo XIV per N. Lagomaggiore in Arch. Glott. It., An. 1875, Vol. Il, Parte li., pagg. 192-199, GIORNLAE LIGUSTICO 377 raggiungete il loro apogeo in Rapallo nel secolo XVIII, eranvi pure le rappresentazioni mute e simboliche. E di quest ultime parecchie veggonsi tuttora nei sepolcri, che annualmente si fanno nelle chiese della Liguria, dove nello sfondo di altari si fa una specie di palcoscenico ove son piantate grosse statue figurative o ingegni come si chiamavano per 11 passato, esprimenti scene della Passione. In Rapallo ìicordasi che per accrescere il numero dei per-sonaggi di legno, tu pagato chi ebbe la costanza di far la propria parte muta, o comparsa, con la lancia in resta, e ciò per molte oie di seguito in tempo del maggior concorso di popolo. A Sampierdarena (i) nella chiesa della Cella il Giovedì Santo esponevansi sull orchestra alcuni fantocci vestiti, raffiguranti personaggi della Passione e intorno ad essi cantavansi le Can-legoe de Cenando ossia i canti della Coma Demini (2). (1) Dei disciplinanti di S. Martino a Sampierdarena si hanno vetusti ricordi. Il 14 maggio del 1413 son nominati il priore, il sottopriore e 8 consiglieri, tra i quali Lanterio de Orello maestro di scuola in Sampierdarena (Atti del Noi. Giovanni di Pineto, filza 3.*, foglio 24, Arch. di Stato in Genova). Essi curavano la drammatica sacra, che avea campo presso i P. P. Benedettini di S. Nicolò del Boschetto. E come pallida rimembranza pervennero a noi le conosciute bellissime tele a chiaro oscuro, rappresentanti la Passione di N. S., già di proprietà di quei monaci. (2) A proposito della parola Cantegora il Prof. Gerolamo Rossi (Glossano Medioevale Ligure, Torino 1896, pag. 93) scrive: « Nel medio evo erano in uso alcune cerimonie strano miscuglio di sacro e di profano, che la morale del Cristianesimo non era efficace a combattere, avanzo di tradizioni troppo radicate, alle quali i cristiani non fecero che mutare di oggetto. Tra queste è degna di ricordo quella delle Cantagore specie di passeggiate, cui si dava d’ordinario uno scopo di beneficenza, quali tutono le Cantegore fattesi in Milano nel 1402 per favorire 1’ opera del duomo ricordate dal Boito a pag. 503 della Nuova Antologia del 1 Dicembre 1888. In Liguria era pure imitato l’uso di tali processioni, però non a scopo di beneficenza come ne fanno testimonianza le Constitutiones Synodales, pag. 46 3?S GIORNALE LIGUSTICO La chiesa sino al tramonto del secolo scorso ία retta dai P. P. Eremitani di S. Agostino. Nel chiostro vicino eravi un oratorio che sino al 1759 fu stanza della Confraternita Mortis et Orationis, che curava le recite sacre nel giorno del Venerdì Santo. Sloggiati i confratelli in detto anno, gli Eremitani ridussero il locale ad un elegante teatrino (1). * * * Tornando alle Rappresentazioni Sacre in Chiavari, senza tenia di errare si può dire che i Chiavaresi, i quali alle memorie si abbracciavano come a persona vivente e i nomi serbavano, quasi immagini di cosa amata che non è più, le eseguivano ancora nel 1768. Il primo luglio di detto anno il notaio Torquato della Cella rogava un atto, in virtù del quale Ambrogio del Vescovo Costa di Savona Alterum abusum qui dicitur Cantegore que in die palmarum incipit et solemnibus Pasche diebus perseverat, cantantibus puellis amatorias cantiunculas cum proximorum scandalo. E di tale costumanza trovo ricordo pure in Apricale, diocesi di Ventimiglia, in queste parole inserite nei suoi statuti incipiendo ad fontem cante glori usque ad aquam vallis ». Fin qui il Rossi. Le Cantegore si usano tuttavia nei paesi della riviera e delle valli più vicine a Genova per le questue che dopo la stagione della vendemmia, per tutto ottobre, sino a S. Martino, a mezzo novembre, si vanno facendo a suffragio dei defunti. Quante volte nelle nostre passeggiate su quel di Sestri e di Polcevera, non le abbiamo noi presenziate ! Quante volte quei canti flebili a cui si accordava il suono di qualche violino, echeggianti pel buio della sera, e nei quali si associano tanti pietosi pensieri verso i trapassati, non ci commossero! Negli Atti del Notaio Giannino de Predono (Reg. I, Parte II, pag. j, Ardi, di Stato in Genova) trovo che il 12 Genuaio del 1253 prete Lorenzino, rettore della chiesa di S. Maria di Paveto in Polcevera, dava in affitto la chiesa con tutti i beni mobili ed immobili exceptis dacitis que prestantur per homines Paverii prò cantariciis. (1) Parrocchie dell’Archidiocesi di Genova dei fratelli Remondini con aggiunte di A. Ferretto, Regione XV, Tip. della Gioventù, 1897, pag. 131. GIORNALE LIGUSTICO 379 Gaetano Bianchi, erede del fratello Gio. Battista, vende a Giacomo Copello un teatro dipinto o sia scenario con ciò che alio stesso appartiene assieme con quelli abiti presso di lui esistenti per rappresentare in teatro comedie sacre e profane (i) le quali però dovettero aver la peggio quando, al dire del Garibaldi, fu eretto in Chiavari nel iyyo il Teatro di S. Caterina a cui presero parte oltre gli esteri muni i dilettanti Chiavaresi e dove un certo Santini nel ιγ8ο fu il primo a produrre melodrammi (2). Arrogi che un decreto del Senato del 29 novembre 1777 vietava i teatri di qualsiasi genere, senza previa licenza, onde il Governatore di Chiavari facea bandire la seguente grida : Bernardo Oldoino Governatore di Chiavari e sua giurisdizione pei" la Ser.ma Repubblica di Genova commissionato. A tenore dell’ incarichi che ci sono pervenuti con dispaccio del Ser.mo Senato del giorno 29 novembre p. p. in vigore del presente publico proclama da publicarsi ed affigersi ne luoghi 'soliti e consueti di questo luogo si fa noto a chiunque che da ora in appresso non è lecito l’aprire publici teatri 0 far recite in città o luoghi sotto i modi e forme che stimerà di concederla e ciò sotto ogni grave pena arbitraria. Inoltre si fa pure noto che non solo ne giorni di Veneidi (3) e (1) Atti presso l’Arch. distrettuale di Chiavari. (2) Chiavari antico, pag. 106. (3) Con decreto dell’8 agosto 1685 il Senato proibiva al Venerdì qualsivoglia sorte di comedie, festini, halli, maschere e saltimbanco, estensibile il divieto anche ai giorni di N. S., della Trinità, Pasqua, Ascensione, Corpus Domini, Natività e Decollazione di S. Giovanni Battista. La grida veniva pubblicata il 15 agosto in Rapallo e il 16 in Chiavari e Lavagna. Con decreto del 24 gennaio j 681 sanciva che per tre anni nei giorni della Madonna fossero proibiti qualsivoglia sorte di balli comedie e maschere cosi in publico come in privalo (Gride, Mazzo 7 bis e 8, n. 26, 31 e 94, Arch. di Stato in Genova). Il 22 gennaio del 1685 il Doge e i Senatori, desiderando che il Sabato fosse rispettato come il Venerdì, proibivano ogni sorte di comedie, festini, balli, maschere, saltimbanchi e simili publicità (Politicorum, Mazzo 16, foglio 70, GIORNALE LIGUSTICO di altre feste e giorni già proibiti non sarà lecito ad alcuno far recita e publica rappresentanza ne tempi dell'Avento e giorni da Sabato sotto le stesse pene arbitrarie al prefato Ser.mo Senato. Data dalla nostra Cancelleria questo di 7 dicembre 1777 (1). I decreti degli Arcivescovi e del Senato fecero morire le Sacre Rappresentazioni in Chiavari, che da borgo soggetto a Lavagna potea considerarsi ornai come città d’importanza e sì progredita da meritare in tempi a noi vicini di essere elevata a vescovato. E man mano che i borghi progredivano, assumendo importanza, la Sacra Rappresentazione, troppo vecchia non si reggeva più e lasciava il campo a novità peggiori e migliori. Da una supplica però rilevo che nella processione del Venerdì Santo in Chiavari faceasi ancora alcun che di teatrale, qualche cosa insomma di equivalente ad una scena tragica e muta, prova evidente che i ricordi antichi non erano del tutto sbiaditi. Al Doge e ai Senatori perveniva la seguente : Ser.mi Signori Li R. R. preti della Congregazione di S. Filippo Neri in Chiavari nella chiesa di N. S. della Valle di cui hanno 1’ uso per tutte le lor sacre funzioni sogliono ab immemorabili alla sera di tutti li Venerdì di Quaresima fare al popolo che vi concorre il discorso sopra un mi- Arch. id.), come pure il 26 novembre 1734 che per I’ avvenire non possano recitare nei publici teatri opere 0 comedie nel tempo dell’Advento come nei giorni di Venerdì, Sabato e festivi ad onore della Madonna, onde in virtù di tale decreto il 30 ottobre 1739 si proibiva alla compagnia dei comici francesi di recitare al Falcone nel prossimo Avento, (lurisdictionalium, filza segnata 150-1221, Arch. id.). Infine ad istanza dell’Arcivescovo il t2 gennaio 1755 il Senato durante il tempo del corrente giubileo proibisce le mascherate, i balli, le rappresenlan\e e giuochi di saltimbanco (L. c., filza segnata 145-1216). (lì Diversorum Collegi, filza segnata 3-330, Arch. id. GIORNALE LIGUSTICO 381 Passione di Gesù Christo. Nel Venerdì Santo poi conchiu-detto discorso con uscire uniti alla maggior parte del Clero proc onalniente da detta chiesa portando sopra una bara decorosa-rnata a( lutto 1 immagine di Giesù Christo morto sotto nero sostenuto dalle persone più qualificate del luogo e dopo to*ro se ne ritorna ad un’ora di notte alla detta Chiesa si reci un discorso e si conchiude la fonzione coll’ inno proprio di quel giorno. la recente proibizione di V. V. S. S. Ser.nie che sospesero qualunque fonzione dopo le ore 24 ma avendola in venerazione de 01 dini i detti R. R. Preti anticipata di giorno hanno dovuto con sensibile dispiacere riconoscere molto diminuito il concorso e quindi animati ancora dall’esempio della grazia da V. V. S. S. Ser.me concessa due anni sono agli R. R. p. p. di S. Pietro in Vincola del luoj,o di Sestri di Levante di poter fare la consueta Processione nella sera del detto Venerdì Santo, supplicano riverentemente V. V. S. S. Ser.me di accordar loro un eguale facoltà e profondamente s’inchinano. Detti R. R. Supplicanti. 1783 a 26 Marzo. Letta a Ser.mi Collegi (1). * * * Sulle rovine del teatro sacro ebbe culla in Chiavari il teatro profano. Il 15 aprile del 1792 il municipio chiavarese dava in affitto a Battista e a Giovanni Bancalari una casetta situata in Chiavali in vicinanza dell oratorio di S. Antonio ad uso teatro detto la Bullona (2) e con deliberazione del 2 gennaio 1801 stabiliva che il detto teatro la Ballotta fosse traslocato nell’ex chiesa della Valle. Inoltre il 2 luglio dello stesso anno 1801 il consiglio radunato in sessione straordinaria, affine di prevenire possibili di- ti) Iurisdictionalium, filza segnata Arch. di Stato in Genova. u 1299 (2) Atti del Not. Giovanni Podestà, Arch, Distrettuale di Chiavari. 382 GIORNALE LIGUSTICO sordini nel corso delle opere in musica, che si doveano rappresentare nel nuovo teatro, decretava: 1.° Si deputano in Ispettori di questo teatro li cittadini Carlo Gafibaldo medico e Antonio Garibaldo fu Giuseppe. 2.0 Sarà loro cura di sorvegliare a che non venghi disturbata la quiete ed il buon ordine con clamori, alterchi, oscenità ed altri atti contrarii al buon costume. 3.0 Non verrà permesso a chicchessia di accendere la pipa o si-garina, nè fuoco di sorta alcuna. 4.0 Le arie che verranno cantate, non sarà lecito farle replicare più d’ una volta. 5.0 Nel caso che dopo 1’ amonizione degli Inspettori per Γ inosser-servanza dei precedenti articoli, alcuno si facesse lecito continuare nelle dette mancanze, questi verrà immediatamente arrestato, e incorrerà nell’ emenda di L. 50, o di cinque giorni d arresto secondo i casi e le circostanze. 6 0 Detti Inspettori daranno gli ordini opportuni affinchè l’opera venghi terminata alle ore 11 */2 astronomiche di sera al più tardi. j.° Non permetteranno l’apertura del teatro senza la guardia di sei soldali almeno. 8.° Detti Inspettori faranno in ogni giorno il loro rapporto al Comitato di Polizia, a cui resta affidata la cura per 1’ osservanza del presente decreto. Benedetto Bancalari Presidente (1). Da un altro atto del 21 dicembre 1802, rogato dal notaio Gio. Battista della Cella, tolgo che « i proventi che si ritraevano nel teatro della Battona dalle comiche e tragiche rappresentante che si eseguivano da Dilettanti di Chiavari quanto quelle che venivano eseguite da Comici 0 virtuosi esteri erano destinati ed ero- < 1) Devo la comunicazione di quest’atto all’amico Rev. Pietro Castellini, Cancelliere della Curia di Chiavari, membro della Soc. Lig. di St. Patr. e zelante cultore delle memorie della diocesi chiavarese. GIORNALE LIGUSTICO 3S3 ^ati a enefì^io e vantaggio della annuale funzione di N. S. dell Orto avut0> Sguardo alle strettezze, nelle quali versava la deputazione per jetta funzjone e qUella dell’ospedale, il Municipio cedeva a dette due opere Γ appalto del nuovo teatro, posto chiesa della Valle (1). Cosi ebbe origine l’attuale teatro in Chiavari, per i restauri Jel quale il marz0 rg2g j[ Municipio erogava L. 14,500 e altre 8000 nei mesi di giugno e ottobre. (Continua-ione). Arturo Ferretto. SAGGIO DI ETIMOLOGIE GENOVESI Barlügùn. Significa vertigine, capogiro, e deriva dal lat. bis lue , come 1 ital. barlume da bis -f iutnen. Si confronti a questo proposito il fr. bar long = bis -j- longus e l’it. baroccio = bis -J- roteus. Brigiassottu. Aggiunto di una certa qualità di fico {fico brigiotto o borgiotto). Deriva dall equivalente portogh. borjaçote 0 boreejote, per la cui origine il Caix (2) ricorda il portoghese borjaca — sp. bitrjaca (sacco, bolgia), da byrsa. Significherebbe perciò « fico formato a borsa o sacchetto ». Brignùn. 11 deputato Randaccio, a pag. 17 del suo Vocabolario etimologico genovese (Roma, 1894). dice di questa parola : « Etimologia probabil- (2) La chiesa della Valle nel 1628 era il soggiorno della congregazione Mortis et Orat:onis e il 26 maggio 1645 l’ottenne la congregazione di S. Filippo Neri (Garibaldi, Chiavari antico, pagg. 192, 193). (2) N. Caix, Studi di etimologia italiana t remania. Firenze, 1878, p. 88. 384 GIORNALE LIGUSTICO mente da Brignolles, città di Provenza , gran produttrice di prugni· secche. Per similitudine di forma e talvolta pur di colore, i genovesi chiamano brignùn il gelone». Ecco una delle tante bestemmie che infiorano il Voc. del Randaccio. E se sapesse l’on. Randaccio ch’egli fa nascere il padre dal figlio inquantochè è la città di Brignolles che ha ricevuto il nome dal frutto e non questo da quella? E se gli dicessi pure che i genovesi non hanno latto alcun ravvicinamento tr.i brignùn « pruno » e brignùn « gelone » ? Del primo infatti l’etimologia è così evidente, che bisogna esser ciechi per non scorgerla a primo aspetto. Quanto poi a brignuin — geloni, la sua derivazione dall’ equivalente lat. perniones basta a provare essere meramente fortuita la coincidenza formale di questa parola coll’ altra significante pruni. Circa l’eguaglianza di br = pr (onde brignuin = perniones), cfr. nap. sbratinore — splendore, tose, bnvilegio — privilegio (1) . brina = pruina e brugna accanto a prugna (prunum). Quanto a forme medievali, abbiamo negli Statuta Natini, cap. 58: « cerasas, susinas, briguas, ecc. (Cfr. Ger. Rossi, Glossario medioevale ligure. Torino, 1896, p. 28); e nei Bandi campestri di Alto: peri, pomi, cerese, brigne, ecc. (Rossi, op. cit., p. ili). Buriana. Turbine, vento, temporale; coll’« faucale come i riflessi di luna, catena, ecc. Il Caix (2) a proposito del tose, buriana (accolta di nubi, nebbia), venez, borana, che evidentemente corrispondono al gen. buriana, opina che derii’ino da *’vaporeus (vaporeana), rimandando di proposito all’ Etim. Wàrt. del Diez. — Pur rispettando 1 etim. da vaporeus, che presenterebbe nel caso nostro qualche difficoltà di foirna e di senso, non sarebbe meglio riferirsi ad un lat. borea?ia, da borea. (vento del nord, gr. β^ρέας. contr. βορράς), come il Diez ne deriva (3) (1) Cfr. Giov. Flechia, Nomi locali del Napolitano. Torino, 1874, pag. 20. (2) Opera cit., pag. 93. (3) Cfr. Gius.Flechia , Silvio Pellico, anno XX. (Torino, 1896), pag. 199. __ giornale LIGUSTICO 38) intasca i^boreasca, turbine di vento)? Tale infatti sarebbe anche il senso j „ nella parola buriana nei seguenti versi popolari : veddu neigru a tramunlana, vurià ftì quarche buriana, che suonano ■ ■ " vedo nera la tramontana (= il nord), vorrà fai qualche ’oufem ’ j I . Riguardo all' n faucale di buriana, proprio anche pemontese, si veda Ascoli, Arch., II, 127; Flechia, Arch. , X, >52, XIV, „8. Caruggiu. ’ Cl'ticchio. Dice il Randaccio (Oft. cit., pag. 177) a propo-b Id'' C*UeSta ^ (< Parrebbe affine al lomb. carróbio, che Zam-tiae da quadrivio, quadrivio, ma tale non è il senso delle due c,allo italiche, nelle quali scorgesi 1’ etim. (sic) carrulus, piccolo ^nc^e ^ fr· ant. aveva carouge col signif. di promenade près iillage », Anzitutto osservo che non è allo Zambaldi che si codesta etimologia, e faccio notare all’on. Randaccio (visto che lo sa) che lo Zambaldi ha raccolto nel suo Vocabolario i risultati eJÌ StUi^ fattisi sulla parola italiana, e non ha preteso, come fecero atri (che il Randaccio deve conoscere), di fantasticare perconto propri* nel campo dell’etimologia. Venendo poi a caruggiu, non v’ha chi non veda che realmente a quadruvio si deve riferire questa parola, la quale non potrebbe di niuna guisa, nè foneticamente nè logicamente, raddursi a carrulus come vorrebbe il Randaccio. Possiamo stabilire pertanto l’equazione seguente (1): caruggiu . quadruvium = gaggia ; cavea = lèggili I lev io (levis). Cuae. Desiderio, voglia. Si senta il Randaccio : « apocopato come spagn. corner dal lat. comederc, mangiare ». Splendida invero codesta etimologia! Di qual voce d’umana lingua, diceva bene il prof. Caix (2), (n Cfr. Giov. Flechia, Nomi locali dii Napolitano, pag. 11. — Flechla, Archivio Glottologico italiano, vol. Vili, pag. 337. (2) Op. cit., introduzione, pag. XXI. Giorx. Ligustico. Anno XXUI. 2. 386 GIORNALE LIGUSTICO non si troverà una base fonetica quando si contenti di accumulare ipotesi sopra ipotesi ? Se il Randaccio, prima di accingersi ad anfanare sul genovese , si fosse preso la briga di consultare gli studi che lo riguardano — come sarebbe dovere di chi studia seriamente, — avrebbe visto che 1’ origine di questa parola è ben diversa da quella eh’ egli vuol gabellarci. Nelle Rime genovesi dei secoli XIV e XV pubblicate nell’ Archivio Glottologico e illustrate dal Flechia, e nelle Laudi Genovesi (edite nel Giornale Ligustico) del sec. XIV, nonché in certe varietà del dialetto parlato ancora oggidì, questo cuae si trova sotto la forma di covea, e questo risponde al lat. cupedia (i), « immodicus cupediarum appetitus » , nel senso appunto di desiderio, voglia, onde 1’ aggettivo coveoso (desideroso, voglioso). Nel dialetto monferrino abbiamo queja (2), il quale, col gen. cuae, Dio sa come potrebbe riferirsi al lat. comedere. Curioso invero sarebbe poi il significato di questa parola, stando all’etimo del Randaccio, quando si usa in certe frasi che il tacere è bello. Fuàmme. Buco, foro, specialmente la cruna degli aghi. Dal lat. foramen col dileguo dell’ r tra vocali come in miiàgia — muralia, eoa — corata, mòli = moro, ecc.; e colla desinenza che abbiamo, ad es., in nummi (— nomeri), lümme (= lumen), ecc. Sul dileguo dell’ r intervocale nel genovese vedasi Ascoli, Arch., X, 123; Flechia, Arch., II, 149· G è a. Ghiaia ed anche bietola. A proposito àigèa il Randaccio (Op. cit., pag. 187) esce in queste parole: « Strano che il gen., così avverso ai sinonimi (3), abbia dato lo stesso nome alla ghiaia (rena) e alla bietola (erba). Quanto all’etim., la gca, ghiaia, è dal lat. glarea, se pur non è gr. gè, terra; quella di gca, bietola, non potendo venire da (sic) lat. beta, è ignota ». La derivazione proposta dal (i) Flechia, Arch. glott. il., Vili, pag. 342. f2) Cfr. Ferraro, Glossario monferrino, Torino, 1889, pag. 89. 3) Vorrei chiedere all’ on. Randaccio che cosa intende per sinonimi. GIORNALE LIGUSTICO 387 g1· i‘ Oeggi Υή) vale un Perù, e prova che il Randaccio non è persuaso della derivazione da glarea, che è la sola vera. Quanto al gca nel secondo senso, è appunto da beta e non da altra voce eh’ essa deriva. Del mutamento della labiale sonora b nella palatale sonora^-non mancano altri esempi, come gianat da *blancus, giastemma da blasphema, stàggm da stabulimi, ecc. Si confronti il gen. gearàva col piem. biaràva e col lat. beta rapa. Sul fenomeno si confronti Ascoli, Arch., II, 123-4; Flechia, Arch., X, 149. Delle forme medievali di questa parola citeremo soltanto quella che si legge negli Statuta Bajardi. cioè : « brassicas seu geas seu caules ». (Cfr. Ger. ROSSI, op. cit., pag. 52). La forma bletas si legge negli Statuta Mentoni dell’anno 1516. Giümescéllu. Dal lat. glomus, diminut. glomicellus, onde tose, gomicello, lomb. ganiisel, piem. grumiçel, prov. glomicel (1). Quanto alla forma geno-\ese giiimescellu, essa sta a glomicellus come il gen. giàndua sta a gianduia e come il tose, giaggiólo sta a gladiolus (con accentuazione romanza come si ha in figliólo da filiolus'). In alcune varietà del conudo questa parola subì l’aferesi del g e si ridusse a riimescellu (ad es., nel dialetto di Nervi), al qual proposito è bene ricordare la forma limixellos che troviamo in un documento medievale (Statuta Triorie, cap. 100; cfr. Rossi, op. cit., pag. 61). Cade inoltre qui in acconcio ricordare, sulle vicende di questa parola, che accanto alla forma ghiomo, in antico (e forse ancora oggidì) propria del dialetto pisano, la quale bene rispecchia il lat. glomus, si ha la forma diomo, propria del lucchese, il quale usa talora dia, die, dio per g Ino, ghie, ghio, come si ha in diaccio per gliiaccic, diecolo per ghiecolo, ecc. Nel Trentino il gomitolo è ancora chiamato oggidì giorn. (.1) Flechia, Nomi he. del Nap., pag. 10. — Ascolt, Arch. glotL, II, 109, 424. — Caix, Op. cit., pag. 112. 388 GIORNALE LIGUSTICO Loffa. Specie di fungo ed anche « crepitus ventris » ; aretino pure loffa, lomb. lofa, dal lat. lupea, come ben osserva il Caix (i), essendo tal fungo detto da per tutto peto di lupo. Ricorderò infatti, tra gli altri, il fr. vesse de loup, il prov. loffi de loup, il rumeno pufaiu e il monferrino loffa d'luv (2). Runfa. Russare. Tose, ronfiare, prov. ronfiar (3) , ven. ronfar, milan, ruufâ, dal lat. rc-inflarc che esprimeva il ripetuto ansare nel sonno (4). Il ladino ha gruflar col g profetico che s’incontra, ad es., nel mil. granocchie (cfr. fr. grenouille da ranuncula) ed in gragnolo da araneolus, per aferesi raneolus, raniolus. Nervi, Estate del 1S98. Giuseppe Flechia. DI UN PICCOLO MONUMENTO MEDIOEVALE E DELLA EPIGRAFE INSCRITTAVI I. — La pubblicazione delle iscrizioni medioevali della Liguria cominciata dal compianto d. Marcello Remondini nel volume IX degli Atti della Società Ligure di Storia Patria, venne per la sua morte interrotta; continuata in parte da L. T. Belgrano con i materiali lasciati in pronto dal Remondini, aspetta ancora chi voglia e sappia condurla al suo termine. Perciò questa di cui discorro essendo degli ultimi anni dell’ età di mezzo, e quella pubblicazione non arrivando che (1) Opera cit., pag. 120. (2) Raynouard, Lexique Roman, s. v. — Ferraro, Op. cit., pag. 68. (3) K. Bartsch, Provenzalisches Lesebuch. Elberfeld, 1855, pag. 150. (4) Caix, op. cit., pag. 37. ♦ GIORNALE LIGUSTICO 389 al 128-, non è compresa nella raccolta. Ma il Remondini 1 aveva già studiata, prima nella monca ed erronea lezione che ne fece il Falconi (1), e poi sull’originale ; e ne lesse una memoria nella tornata del 4 febbraio 1876 della sezione di Archeologia della Società ligure di storia patria; memoria che \ enne pubblicata sul Giornale Ligustico (2). Egli per altro non disse soprala iscrizione l’ultima parola, non avendo potuto determinare Γ anno preciso di essa, ed essendo incorso in qualche inesattezza, quantunque di lieve momento, nella lezione. Di più, nella iscrizione non essendo espresso, egli nemmeno ha potuto stabilire il motivo della erezione del piccolo monumento su cui è scolpita Γ epigrafe. Non credo perciò inopportuno tornare sopra l’argomento, cercando di esaurire definitivamente la questione, per evitare, in proposito di questa epigrafe, dubbi, inesattezze ed errori a chi vorrà continuare la interessante e utilissima raccolta delle iscrizioni medioevali della Liguria. Si tratta di una iscrizione scolpita per tutto il plinto del capitello soprastante ad una colonna di marmo che reggeva una piccola statua di S. Rocco, già esistente sulla piazza del Municipio alla Spezia, e tolta allorché venne fatto il nuovo pavimento. Ora tanto la statua che il capitello ed un pezzo del fusto si trovano nel cortile dei missionari Salesiani ; della base e del pezzo mancante della colonna non s’ ha notizia. Quando nel 1894 si parlò nei giornali della Spezia (3) di rimettere in piazza del Municipio quell’ antico monumento, o (i) Iscrizioni del Golfo di Spezia raccolte per cura di Agostino Falconi, Pisa, Tip. Ungher, 1874, pag. 27, n. 52. (2/ Giornale Ligustico di archeologia, storia e belle arti, fondato e diretto da L. T. Belgrano ed A. Neri, anno III, 1876, pag. 284-293. (3) Vedi: La Spezia, periodico settimanale, anno V, n. 221, 7 luglio 1894; e: Il nuovo Comune, già Comune, giornale della Spezia, anno IV, n. 29, 19 luglio 1894. GIORNALE LIGUSTICO di riporne gli avanzi nei corridoi del civico Museo, io, volendo scrivere in proposito un breve cenno storico sopra uno dei periodici locali, non conoscendo Γ anzidetta memoria del Remondini, ricorsi alla raccolta del Falconi, e non senza sorpresa trovai l’iscrizione del capitello riprodotta cosi (i): .....io . T2 msf . Gen . iper . Au GUSTIO . AdURN . GUBNATE . BnITO Adur . Cap . Io Facio .... apne Bgnno . Sindics . PU . DC. E nelle note: « Dalle indicazioni che si trovano m questa lapide, rilevasi che la colonna di S. Rocco fu eretta nel 1412 (2) ». Ho detto non sen^ct sorpresa perchè quel 2 arabico in una epigrafe — a detta del Falconi — del principio del secolo XV mi sembrava molto strano. Ma la mia sorpresa si accrebbe quando, capitatomi per le mani un almanacco intitolato Strenna del Golfo di Spezia per Vanno bisestile i8y6, anonimo, ma certamente opera del Falconi perchè in esso non si contengono che cose già conosciute per sue, vi trovai la interpretazione dell’ epigrafe, così : « Marchiane Theodoro 2 (secundo) Montis Ferrati, Genuae imperante — Augustino Adamo Gubernatore — Benedicto Aditrno Capitaneo — Iohanne Facio et capitaneo Bregantino sindicis — Publico Decreto » (3). Ora, per menar buona questa interpretazione, oltre la difficoltà di ammettere quel 2 in cifra arabica, di cui non si trova, credo, esempio in epigrafia nel secolo XV ad indicare il nu- li) Falconi , op. cit. ibid. (2) Op. cit. pag. 108. (3) Str. d. Gol. di Spezia, ecc., Spezia, Tipografia Monticoni. 1875, pag. 42. GIORNALE LIGUSTICO merale ordinale che distingue^T^T^T ~T-- serie di omonimi, un'altra maggiore e pii “rkT” ciava: quei marchese di Monferrato e Agostino a'< sooo contemporanei. Genova era bensì nel , "°” nlini0 di Teodoro Paieoio.o, ma ,Î governatore di Genova che verso la S„» j i , quando la Repubblica era sotto gli Sior2a di ΐ,Γ quarti di secolo pm tard,. Inoltre io „on ,romo ^ Î. α doro tosse mai stato distinto con l'ordinale mondo Non persuaso adunque della lettura della lapide fam H„l Falconi e tanto meno della su, spiegazione, volli vedere l’originale. Trova, ,1 capitello capovolto sopra il raurett0 di sponda d una scala che scende nel cortile dei Salesiani con qualche fatica riuscii a leggere l’epigrafe, che dice es’at-tamente così : .....IO GZ · MSF · GEN IPER AV GVSTIO · ADvRN · GVBNATE · BRITIO ADVR · CAP · SP IO FACiO · RAPH .... .....NN0 ' SIND1C1S · PV · DeCrETO .... (r) Ecco le differenze essenziali che riscontrai tra la vera e la lezione data dal Falconi: GZ — BRI I IO — SP — RAPH — DECRETO T2 — BNJTO —----— APNE - DC Con questi nuovi elementi, con la guida della storia, e consultando i libri dell’archivio comunale della Spezia, non mi (i) Le quattro serie di puntini corrispondono alle rotture di due spigoli del plinto, e alla conseguente mancanza di alcune lettere. Le lettere in carattere più basso delle parole Aduni, Facìo e Decreto corrispondono a quelle che nell’originale sono scolpite dentro l’occhio della lettera che precede. 392 GIORNALE LIGUSTICO fu difficile ricomporre Γ epigrafe, così: IQhanne GaleaZio Maria SForlici GENuae IwiPERa/ife, AVGVSTInO ADVRNo GVBer-λ'ΑίζΓΕ, BRITIO ADVRwo CAPitaneo SPediae, lOhanne FA CIO, RAPH aek (de) BrtGNoNO SINDICIS PV blico DECRETO..... Nel fatto, Gian Galeazzo Maria Sforza ebbe la signoria di Genova nel 1488, e Agostino Adorno vi fu eletto governatore per dieci anni (1). Adunque l’epigrafe era della fine del secolo XV, indubbiamente; e la colonna poteva essere stata eretta nello spazio di tempo che corre dal 1488 al 1494, anno in cui morì Gian Galeazzo Sforza. Il Remondini, messo sulla via, com’egli dichiara, dal Commendatore Cornelio Desimoni, e dopo aver esaminato il monumento, era giunto alle stesse conclusioni, cui io giunsi dopo. Soltanto, non avendo egli avuto agio di fare ricerche nell’archivio comunale della Spezia, non ha potuto determinare Γ anno preciso della erezione della colonna, lo scopo per cui lu eretta, ed ha fatto errate congetture intorno a quel BGNNO dell’epigrafe, che il Falconi aveva spiegato Bregantino, e ch’egli amerebbe meglio leggere Bergenno per ragioni paleografiche (2). E, in fatto, se non ci fossero venuti in aiuto i pubblici atti (1) Anno MCCCCLXXXVIII. « Conclusum tandem est, ut expulso Baptista , quem hactenus socium in omni re habuissent, Urbs Mediolani Duci cum prioribus legibus restituatur — Rebus hoc modo compositis, Augustinus per decennium Ducalis Gubernator cum maxima omnium spe declaratur. Barth. Senaregae, Commentaria de rebus genuensibus, in Murat., Rer. Ital. Script. Tom. XXIV, 517. (2) Per la recente rottura dello spigolo non rimangono ora di questa parola che le tre lettere NNO, come si vede dalla mia trascrizione : ma evidentemente era scritto BGNNO, sia perchè tanto il Falconi che il Remondini hanno letto così, sia perchè le due lettere che mancano sono la prima e la terza del nome della patria del sindaco Raffaele. GIORNALE LIGUSTICO 393 ^ bb f0<"' Un Bflgnono sindìcus, la questione sa-.. Se rimasta insoluta, tanto credo insolite abbreviazioni 1 cotesto §e»ere in epigrafia. , ,, ^kr° delle deliberazioni e conti dell’anno 1489 a omunita della Spezia, conservato nell’archivio comu-e’ 51 !'8ge a cte. ,-recto: t . n'ne domini amen anno a nativitate eiusdem Mcccclxxxviij (1 ) indictione vi- die xiii Januarij publi ^ ®at*S et coadunatis hominibus universitatis terre spedie in sanct i=eneiali parlamento voce preconis ut moris est in ecclesia Ue sPedia De mandato Magnifici domini Bricij Adurni Ducalis spedie ·. ■ ,. capitanei pro consulendo bonis expensis et causa or- dinandi offitiaipc comunis et terre spedie Juxta consuetum. Prefatus , , dominus Bricius ellegit homines duos Infrascriptos qui nabeant vocai-p , , Post modum quatuor alios homines, et qui quatuor habeant voca™ ... sinaicos et consiliarios comunis et terre spedie Juxta nationem • ctas temporibus preteritis, etc etc........ ocant in sindicos, videlicet Johannem condam Ser ^ ^ gf eletti condam Johannis antonij de bagnono. E<-co adunque trovato il Brizio Adorno capitano della Spezia sindici Giovanni Fazio e Raffaele di Bagnone della iscri-ne‘ 1100 avessimo altri indizi, basterebbero questi certa-ente a farci fissare la data della erezione della colonna ai 14^9- Ma abbiamo altre prove. (!) È proprio scritto 1488; ma è evidentemente un errore del notaio e scriba del Comune; errore che facilmente si spiega se si pensa che si tratta del primo atto scritto nel 1489 dal cancelliere, che aveva fatto la mano a scrivere la data .dell’ anno precedente. Del resto, il volume porta sulla coperta il millesimo 1489, e tutti gli atti che contiene sono dello stesso anno. 394 GIORNALE LIGUSTICO A carre II11 redo dello stesso libro trovo: -|- die xx“ Januarij D. Sindici et consiliarii congregatis ut supra una cum Infrascriptis xxiiobus offitialibus (i) pro consulendis rebus comunis necessaribus et ocurentibus nomina quorum sunt hec d. thedixius de fatio, Antonius biasoli, Antonius Johannis fabri, Dominicus de pignono, Do-minichinus de toraca, Antonius Spezini, Gasparinus barbarubea, Ia-cobus bregantini, Matheus de lorio, Ser Johannes baliardi thomas m. antoneli Meninus de fabiano, et Gasparinus perioli. Deliberaverunt quod etc. etc. Seguono quattro deliberazioni; dopo di che, al verso della carta : Item, deliberaverunt quod platea fori spedie alciatur et in ea expendatur de pecuniis comunibus .... totum quicquid et quantum videbitur et placuerit dictis sindicis et consiliarijs. Da ciò resulta adunque che nel 20 gennaio del 1489 fu deliberato di alzare la piazza dinanzi al palazzo pubblico dell.i Spezia, e che fa data facoltà ai sindaci ed ai consiglieri di fare le spese necessarie. A carte viij verso, nel bilancio preventivo dell’ annata, sotto la data del 4 di marzo è notata nell’uscita la spesa di 150 lire per la piazza: Item, pro platea, Lib. CL. In seguito venne fatta dai sindaci una convenzione con tre sodi di Carrara, i quali dovevano provvedere il materiale necessario ad eseguire il lavoro deliberato. Ciò resulta da quanto si legge a cte. 91 verso e 92 redo dello stesso libro. In fatto, nella prima sono nominati Iohannes dominicus dictus Bardela de canaria, Iacoponus de noredi et Pelegrinus de canaria; e nella pagina seguente, di fronte ai detti nomi è posta questa annotazione : (1) I nomi degli ufficiali non sono per altro che tredici. GIORNALE LIGUSTICO 395 Reportamus 1489 die xi novembris in parmis quatuorcentum scalmorum lapidum positorum in platea spedie circum circa dieta platea mensuratorum ad lungum per Iohannem de fatio et raphaelem de bagnono sindicis de acordio cum dictis Iohanne dominico et pelegrino qui ascendunt ad summam librarum septuagintaquinque...... Di fronte poi al nome del detto Pellegrino è notato , ed è questo che c’interessa: Item in eo quod habere debet occaxione unius columne marmoree pro platea Juxta conuentionem manu mei notarii scriptam (1) lib. xx. Ecco la prima memoria della colonna eretta sulla piazza della Spezia, evidentemente non ad altro scopo che di ricordare l’alzamento della piazza stessa, giacché il publico decreto della iscrizione si dfve riferire alla già citata deliberazione del 20 gennaio 1489. Venne adunque alzato il livello della piazza, la quale fu tutt’ in giro cinta di gradini di pietra per scendere nelle vie adiacenti, che furono lasciate all’ antico livello; e a decoro di essa fu innalzata la colonna sormontata dal capitello, la quale, coi nomi del signore della Liguria, del Governatore di Genova, e del capitano e dei sindici biella Spezia, ricordasse l’epoca dell’eseguito lavoro (2). Sopra il capitello non fu allora molto probabilmente posta alcuna statua od altro simulacro : la colonna sormontata dal capitello era monumento a sè: il San Rocco venne dopo. (1) Il notaro del comune della Spezia era allora Paulus de Ambroxinis. come dagli atti del tempo. (2) Trovo nello stesso libro molte notizie di pagamenti fatti per il lavoro della piazza, che credo superfluo riportare, meno la seguente, che si riferisce direttamente alla colonna : Item prò soluplis lohanni dominico bardele de canaria et sociis pro scalinis et pro columna marmorea Juxta compQsitionem captum cum dictis Iohanne dominico et sociis, lib. lxxxxv (Cte. cii). GIORNALE LIGUSTICO III. — Il Remondini aveva già rilevato giustamente che il capitello e la statua non sono coevi; nè so come abbia potuto sfuggire al Falconi Γ altra iscrizione del plinto della statua, che dice : D . Ο . M Mvs D . Paolvs VINCENTIVS LVMELLINVS CAP.KVS D . D . D . È ovvio quindi che, se il capitello porta un Brizio Adorno, e la statua un Paolo Vincenzo Lomellino, ambedue capitani della Spezia, le due parti del monumento non possono essere dello stesso tempo; della qual cosa del resto ci farebbero pure avvertiti i caratteri differenti delle due epigrafi. Quando fu posta la statua? È questa veramente una questione che non riguarda la iscrizione della quale ci siamo occupati; ma per completare le notizie circa il monumento occorrerebbe trattare anche di questo. Basterebbe trovare in quale anno il Lomellino fu capitano alla Spezia per avere la data precisa della erezione della statua. Il Remondini, avendo trovato che Paolo Vincenzo visse tra il 1516 e il 1586, congettura che il S. Rocco possa essere stato innalzato nel 1528, anno in cui una pestilenza travagliò o forse minacciò da vicino la Spezia, come desume da una iscrizione della parrocchiale di Riomaggiore. Ma ciò non è. Anzi tutto, se il 1516 è l’anno della nascita di Paolo Vincenzo, il che è probabile, è impossibile ch’egli a dodici anni fosse già capitano, come dire governatore, d’ una città. Ma poi sta in fatto che, se in quell’ anno veramente una pestilenza attaccò 0 minacciò la Spezia, come rilevo dai giornale ligustico 397 libri comunali del tempo (i), il capitano fu d’altra parte Antonio Doiia, il quale durò in carica anche per i due anni successivi. Per quante ricerche abbia fatto per trovare il nome del Lomellino, non m è venuto fatto; ho consultato tutti i libri esistenti nell archivio comunale dal 1489 al 1680 senz’ aver la fortuna di incontrarmi in esso: ho con speciale cura ri-ceicato in quelli che vanno dal 1516 al 1586, che secondo il Remondini sarebbero gli anni della vita di Paolo Vincenzo, sempre senza frutto. Disgraziatamente mancano in archivio i libii di paiecchi anni (2), e forse il nostro Lomellino si trovava per 1 appunto in uno di quelli. Mi auguro che qualcuno, più fortunato di me, riesca a trovare questa notizia che mi sfugge, e che varrà a completare la storia del monumento. Rileverò ora alcune inesattezze in cui è incorso il Remondini nella lettura e nella interpretazione dell’ epigrafe e nella riproduzione del capitello nella tavola annessa alla sua memoria. Dove il Falconi lesse PV . DC . e spiegò publico decreto, egli lesse PV . DICAR . OP . e spiegò publice dicarunt opus. Ora, còme si vede nella lezione che ne do io, le ultime parole che ci rimangono dell’epigrafe sono PV . DECRETO, leggibilissime, del resto; segue un frammento di lettera che ha tutta 1’ aria d’un P con l’asta tagliata dal segno di abbreviazione, al quale seguivano forse poche altre lettere scomparse per la rottura dello spigolo; lettere che io non cercherò di (1) Nel libro dei conti del 152S trovo le spese fatte dalla Comunità della Spezia per la guardia straordinaria delle porte della città e di uno steccato tempore pestis. . · " ‘ ' (2) Tra il 15 28 e il 1586 mancano notizie dei seguenti anni : 1535, 1538, 1540, 1546, 1550, 1554, 1555, 1566., . .i·;.. . GIORNALE LIGUSTICO sostituire con la fantasia, tanto più che quel che ci resta della iscrizione ce ne dà perfettamente Γ intero senso. Ma che la lezione publice dicarunt opus del Remondini non sia la vera, nè possa reggere, è chiaro : da qual subSietto, infatti, sarebbe retto quel dicarunt, se nel resto dell’epigrafe non sono che ablativi assoluti? Nella nostra lezione, ad onta della mancanza del verbo, d’altr’onde facilmente sottintendibile e forse espresso nelle lettere mancanti, il senso corre, e n’avanza! Il Falconi, pur leggendo male, aveva indovinato bene! Noto ancora che il capitello di cui si discorre non ha nemmeno una lontana idea di quello, inteso a riprodurlo, disegnato dal Remondini nella tavola che accompagna il suo scritto. Questo è di forma goffa e sproporzionata, con grandi volute che ricordano il capitello ionico; il nostro è di buona scoltura del rinascimento, arieggiante il corinzio. Nelle quattro facce sono scolpiti in rilievo altrettanti scudi: il primo, cioè quello del lato sopra cui corre la prima linea della iscrizione, è pieno: forse vi si doveva scolpire l’arme degli Sforza; fors’anche vi fu prima scolpita; e poi, cessato il dominio milanese in Liguria, cancellata. Per altro il campo non serba tracce di cancellazione. Sul secondo scudo è lo stemma della Spezia : una torre quadra di due piani merlati sostenente un’aquila coronata: l’aquila vi fu tolta via a colpi di scalpello durante i rivolgimenti politici del 1797, ma se ne vede l’impronta esattissimamente, nè so come il Remondini abbia potuto scambiarla per un albero, perchè è un albero quello che, nel suo disegno, esce dalla torre. Nel campo, ai due lati della torre, sono incise le due lettere S.P. che subito suggeriscono Γ idea che siano le due iniziali della parola SPedia. Ma forse non è così: le due lettere sono di fattura tutt*affatto moderna, differenti assai dal carattere della iscrizione, e io non esiterei a dirle scolpite durante i primi bollori della Repubblica Ligure, e significanti Sovrano Popolo 0 qualcosa di simile. GIORNALE LIGUSTICO 399 teizo scudo porta la croce di Genova; il quarto fu scal* pellinato, ma si vedono benissimo nel campo le tracce d’ una banda, talché, senza rimanere un istante in forse, posso asserire esser quello lo stemma della famiglia Adorno. In fatto, è questo d oro alla banda scaccata di tre fili di nero e argento. Nel nostio si scorge assai bene la forma degli scacchi nella banda, e del resto e assai verisimile che lo stemma degli Adorni fosse scolpito in quel capitello, nella cui iscrizione sono ricordati due soggetti della famiglia: Agostino, governatore di Genova, e Brizio, capitano della Spezia. La Spezia, agosto 1898. Dott. Ubaldo Mozzini. NOTIZIA LETTERARIA Opere di A. Manzoni. — È venuto alle stampe il volume quinto e ultimo delle Opere inedite 0 rare di A. M. pubblicate per cura di Pietro Brambilla da Ruggero Bonghi e Giovanni Sforza. [Milano, Enrico Rechiedei, editore, 1898; di pp. xx-384]. Contiene: « Le regole grammaticali »; « Modi di dire irregolari »; « Una critica della dottrina del Condillac sulla formazione delle idee generali e sul metodo rispetto ad esse » ; « Esame della dottrina del Locke e del Condillac sull’origine del linguaggio »; « Una discussione sui dialetti nel secolo XVIII »; « Il sistema del P. Cesari »; scritti dati alla luce per cura del Bonghi ; non che : « Due lettere al P. Antonio Cesari sulla lingua italiana »; « Lettera a Nicolò Tommaseo sul Dizionario dei Sinonimi »; « Lettera a Giacinto Mompiani sul Vocabolario agrario toscano » ; » Brani inediti dell’ opera : Della lingua italiana, libri due [prime stesure] λ ; « Nuovi frammenti sui Traslati »; « Giudizio dell’ abate Antonio Rosmini sull’opera: Della lingua italiana »; « Della parte che compete agli scrittori nelle lingue »; scritti pubblicati per cura delio Sforza, del quale è pure la prefazione che sta in fronte al volume. 400 GIORNALE LIGUSTICO È sotto il torchio il primo tomo degli Scritti postumi di Alessandro Manzoni pubblicati -per cura di Pietro Brambilla da Giovanni Sforza. Fanno seguito alle Opere inedite o rare, pubblicazione rimasta interrotta per la morte del Bonghi. Il suddetto tomo primo conterrà: I. La Lettera sul Romanticismo , secondo il manoscritto autografo del 1823, con a fronte le correzioni che vi fece nel febbraio del 1871. II. La Risciacquatura in Arno de’ « Promessi Sposi ». [Prima, seconda, terza e quarta minuta dell’ Introdu-ziono, e testo di essa nelle due edizioni del 1825 e 1840, con le correzioni autografe. — Le parole e le frasi dialettali, frammento inedito d’ un discorso che doveva far corredo alla prima edizione del Romanzo. — Saggio delle correzioni ai Promessi Sposi fatte dalMan-zoni sulle bozze di stampa dell’ edizione principe. — Correzioni autografe ai Promessi Sposi, di G. B. Nicolini e di Gaetano Cioni. — La lettera al Casanova sulle correzioni al Romanzo, secondo la prima minuta, e nel testo definitivo. — Parole e frasi del popolo di Firenze raccolte dal Manzoni. — Bigliettini dell’ Emilia Luti con cui suggerisce al Manzoni le parole e le frasi vive fiorentine. — Modi di dire fiorentini somministrati al Manzoni dalla marchesa Marianna Rinuc-cini-Trivulzio. — Bigliettini di Luigi Rossari al Manzoni che trattano di cose di lingua. — Postille del Manzoni a opere sulla lingua. — Postille del Manzoni alla traduzione delle Commedie di Terenzio fatta dal P. Antonio Cesari. — Postille del Manzoni al Vocabolario della lingua italiana. — Postille del Manzoiv, del Libri, del Borghi, del Cioni, del Niccolini e d’aliri al Vocabolario milanese-italiano di Francesco Cherubini], III. La « Storia della Colonna infame » studiala ne' manoscritti, con un saggio delle ricerche preparatorie dell’ autore. IV. Il Manzotii agronomo [Schema inedito d’ una nuova nomenclatura botanica, e postille a opere agronomiche], V. Il Manzoni latinista [Postille a diversi classici latini]. VI. Il Manzoni giornalista [Articoli da lui pubblicati anonimi ne’ giornali]. VII. Pagine sparse. [Iscrizioni, motti per Album, ecc.]. ERRATA CORRIGE. 11 titolo della Memoria del Comm. C. Desimoni inserita nel fascicolo VII-Vili, pag. 308, deve leggersi così: Schaube (Ad.). Die Wechselbriefe Kônig Ludwigs des heiligen (Le cambiali di S. Luigi per la sua prima Crociala, e la loro attinenza al mercato monetario di Genova). Luigi Ferrari proprietario. GIORNALE LIGUSTICO 4OI ANDREA DORIA E LA CORTE DI MANTOVA (Lettere illustrate) (Continuazione vedi pag. 342) Avvenne in questo tempo un fatto assai clamoroso e in se stesso e per la qualità delle persone che vi ebbero parte, nel quale s intromisero principi ed uomini d’ alto affare ; se ne dovettero persino occupare il papa e Γ imperatore, nè mancò 1 opera del D’ Oria (i). Sui primi di marzo del 1532 era morto a Parma Roberto Sanseverino conte di Caiazzo, capitano di grido, lasciando la moglie Ippolita Cibo, sposata nel 1519, con due figliuole, alla maggiore delle quali, Maddalena, assegnava in eredità la contea di Caiazzo, all’altra, Lavinia, il possedimento di Colorno. Mentre era in vita egli aveva combinato di dare in moglie al figlio primogenito di Pier Maria de’ Rossi conte di S. Secondo la Maddalena, quando i giovinetti fossero giunti all’ età conveniente. Matrimonio fra parenti, poiché Roberto era figlio di Barbara Gonzaga cugina di Camilla, moglie di Pier Maria. Ma Ippolita non aderiva a questo parentado; infatti, rimasta vedova, non pensò per nulla ad adempiere la volontà del marito, desiderosa nella sua ambizione di trovare alla figliuola uno sposo di più alto stato. E di vero, allorquando Maria Salviati, la vedova di Giovanni delle Bande nere, secondata (1) Le fonti che mi hanno servito ad esporre questo episodio sono : Staffetta Il card. Innocenzo Cibo', Firenze, 1894, p. 33, 115 seg., 184 segg. ; Feliciangeli, Notizie e doc. sulla vita di Caterina Cibo-Varano, Camerino, 1891 , p. 121 sg. I documenti degli archìvi di Mantova e di Modena. Il prof. Staftetti volle gentilmente darmi copia di alcuni documenti da lui citati. Giorn. Ligustico- Anno XXIII. 402 - GIORNALE LIGUSTICO anche da papa Clemente, le propose il matrimonio di suo figlio Cosimo con la Maddalena, s’ebbe un aperto rifiuto, tanto la contessa era lontana dall’ immaginare che quel giovane dovesse poi diventare duca di Toscana; del pari aveva mandato a vuoto le pratiche fatte a favore del figlio di Giulio Sanseverino suo nipote. Si vede che le pretese sue e le sue mire, dovevano essere davvero straordinarie, se il papa ebbe a dichiarare apertamente che « aveva il capo in cielo ». Senonchè di questo strano procedere e degli indugi posti all’ accasamento della figlia dovette pentirsi amaramente. Sui primi di novembre del 1537 essa aveva presa dimora a Murano, ed era andato a trovarla colà Giovambattista suo fratello, vescovo di Mariana e poi di Marsiglia, uomo senza troppi scrupoli, tutt’ altro che adatto alla vita ecclesiastica, ma rotto piuttosto ai piaceri, alle scapestrerie, alle avventure, alle prepotenze, onde a ragione la pasquinata metteva fra le cose strane e curiose « el primo breviario che logorò el vescovo di Mariana ». Costui già aveva dato saggio delle sue prodezze a Venezia con un grave ferimento, ed a Bologna nel tempo della incoronazione di Carlo V, sollevando disordini notturni per la città unitamente agli amici Ippolito de Medici, ed al Sanse-verino suo cognato; più tardi venne messo in carcere, e fu a un pelo di essere giustiziato per una congiura contro Alessandro de’ Medici, della quale egli doveva essere 1’ attore principale. Liberato poi per intercessione dell’ imparatore, non s’era, a quanto pare, corretto. Di fatto, mentre, come abbiamo detto, si trovave a Venezia, si mise d’accordo con Giulio Cesare de’ Rossi conte di S. Secondo, un altro rompicollo della sua risma, e nella notte fra Γ11 ed il 12 novembre lo introdusse in casa della contessa con una mano di armati, e gli diede agio di portarsi via le figliuole invano opponendosi la madre. Le mire del rapitore erano rivolte sulla prima, la quale fu da lui condotta in un albergo vicino, GIORNALE LIGUSTICO 403 e dopo averla tenuta con se alcuni giorni, se ne fuggirono tutti portando seco la sorella sul ferrarese, avendo celebrato e consumato il matrimonio. Sembra che la Maddalena non solo non facesse opposizione di sorta, ma si mostrasse subito pLonta a seguire il Rossi, e che la sorella abbia voluto andare con lei; ciò darebbe assai forte indizio di precedenti amori de tdue giovani, e forse di accordi passati fra di loro ; siccome potrebbe avvalorare le accuse che vennero poi mosse contro la madre di maltrattamenti verso le figliuole. L’impressione a Venezia fu grandissima. « Il rapto de la Contessa di Caiazzo et de le figliole », scriveva l’agente del duca di Mantova, « homai è noto a grandi et piccoli di questa città, et se ne fanno le maggiori exclamationi del mondo, corno di caso enormissimo et non mai più accaduto qui, dopo che fu edificata Venezia, et si disegna farne quelle grande demostra-tione contra gli delinquenti, che merita la prosuntione et ribaldarla loro ». I propositi del Consiglio dei Dieci contro i rapitori erano assai fieri, poiché si parlò « di mandare exercito ad expugnare il loco dove di presente seranno redutti, de donare grossa somma a chi li ammazzerà et chi li brusirà le case » ; insomma si voleva fare « quella più aspra et crudele dimostratione » che fosse possibile. A ciò instavano 1 parenti delle giovani, specialmente il cugino Guidobaldo della Rovere, anche in nome dello zio cardinale Innocenzo Cibo. La condanna non si fece troppo aspettare, chè sul cadere di novembre il Rossi e Giambattista Cibo vennero « banditi perpetuamente dal dominio » veneto, « da li lochi di terraferma corno di mare et da navigli armati et disarmati con taglia di mille scuti d’oro, et di duecento scuti d’oro d’entrata ogni anno, a chi li amazzerà etiam in territorio alieno, et con potestà di redimere duoi de ogni sorta de bando », con la riserva per il Cibo che se « accuserà li complici li sia levata la taglia datali in dominio alieno ». 404 GIORNALE LIGUSTICO Intanto Giulio, con Maddalena e Lavinia, s’era riparato, come abbiamo detto, nel ferrarese, e recatosi dal duca personalmente aveva ottenuto di poter « tenere una persona » a lui « grata » in un castello del reggiano; onde, appena conosciuta la condanna, il duca stesso lo fece avvisare a Monte-vetro, dove si trovava, per mezzo del governatore di Reggio, invitandolo in un tempo ad allontanarsi dai suoi stati. Ançhe il papa, poiché si trattava d’ un suddito suo, occupatosi della cosa, aveva ordinato che Maddalena si costituisse nel monastero delle Grazie in Parma, per essere interrogata dal legato, affinchè esponesse liberamente la sua volontà. Al che volentieri essa consenti, e sui primi di dicembre, comparsa dinanzi a quel prelato, dichiarò senzJ altro che tutto era avvenuto « di voler suo », e che fra loro era stato « contratto vero matrimonio et volere in quello perseverare come debitamente è tenuta ». Guidobaldo duca d’ Urbino non cessava dal far pratiche in Venezia, stimolato dal cardinale Cibo, perchè la Signoria insistesse presso il papa cosi per la punizione del Rossi, come per chiamare Maddalena in altro luogo, dove potesse esprimere con libertà maggiore e con sicura coscienza qual fosse il voler suo. Inoltre, ben sapendo che s’ erano rifugiati nel reggiano, scrisse al duca di non concedere stanza al suo rapitore, e di far in modo che la Lavinia fosse restituita alla madre. Per il medesimo fine il duca di Mantova, con sue lettere, pregava 1’ estense. Ma questo fatto, oltre al togliere la possibilità di mandare ad effetto il matrimonio pur sempre caldeggiato da Pier Maria del suo primogenito con Maddalena, e per il quale s’era adoperato altresì Federico di Mantova, recava un gravissimo danno al conte stesso, poiché rompeva d’ un tratto le pratiche avviate appunto in quei giorni con sicurezza di riuscita, per essere condotto dai veneziani in qualità di capitano. L’ ambasciatore di Mantova, per cui mezzo si trattava la cosa, scriveva: GIORNALE LIGUSTICO 4°i « Se non interveniva questo caso la condotta del S/ conte con questi S.ri era come expedita, perchè il Collegio era già resoluto di condurlo, et havea mandato dui savi di terra firma a parlerne col S.r Duca d’ Urbino, qual per quanto ho inteso, ha fatto bono ufficio, di modo che restava solo a far passare la parte in pregadi, il che era facilima cosa, perchè il pregadi si rimette in queste cose de le condutte alli S.H del Collegio. Non feci mai la maggior fatica di quel che ho fatto in questa cosa della condutta di esso s.r conte, ma il diavolo è venuto a intricarla, et dubito forte che ogni officio che se ne farà qui inanzi serà in vano ». E la risoluzione favorevole si poteva considerare ormai come tanto sicura, che già s’ era parlato di prenderlo al soldo « con la medema conditione che fu proposto al S.r Alessandro Vitello » e di « mandarlo a Corfù ». Ora poi sorgevano delle voci sinistre a suo carico, le quali lo accusavano di complicità nel rapimento del fratello, e di essersi condotto male altra volta come capitano, così in Germania, come al tempo della lega quando avvenne il sacco di Roma. Furono pronte le giustificazioni presantate per opera dell’ agente mantovano, e fecero anche buono effetto, ma non ebbero virtù di condurre a felice risultato il negozio della condotta. Senza dare una assoluta negativa la Signoria prese un buon pretesto, e non se ne fece altro. Ce ne informa assai chiaramente 1’ ambasciatore di Mantova là dove scrive: « Ogni dì mi chiarisco meglio che le justificationi del S.r Conte di S. Secondo circa il rapto de la S.ra contessa di Caiazzo et de le figliole, sono state accettate di bonissimo animo da questi S.ri , ma il male è che cessato il bisogno a loro S.rie di condurre nuovi capitani per la tregua fatta tra Γ Imp.re et il Re, che, non venendo altro, la pratica che si haveva di far condurre esso conte si può tener per disperata. Ho fatto recercare mes/ Stephano Tiepolo Savio di terra ferma per un suo intimo amico, qual sia Γ animo di loro S.rìe circa il con- 408 GIORNALE LIGUSTICO mi comanda, cussi piacesse a Dio fosse in mia mano di sodisfarla in tutto coni’ è il debito et la voluntade., et senz’ altro dire le baso le mani. Da Genova alli xxj de novembre 1537. Di V. Ex. Ser." Andrea D’Oria. Aia la cosa interessava troppo al duca, e perciò tornava poco dopo alle istanze : IH.™0 etc· Raccomandai gli di passati a V. Ecc.' lo III."· S.r conte di S. Secondo mio cugino et quanto fratello carissimo, pregandola che la volesse favorirlo appresso S. perchè la seconda genita del già conte di Gaiazzo sia del suo primogenito, come doveva essere la prima per la voluntà delli patri, et credo che ella ne habbia fatto bon officio per 1’ amore paterno eh’ ella mi porta, nondimeno per un desiderio grande che tengo, che questa cosa habbia bon effetto, di novo ne la prego con ogni affetto, et appresso perchè importa molto havere in questo la bona voluntà del R.”° Mons/ card.1” Cibo, et sapendo di quanta autorità sia appresso sua R.1"1 S.rl' V. Ecc.” la prego che come da se, perchè anch’io le ne ho scritto , la voglia fare opera da indurla a condescendere al desiderio del p.” conte, peichè 1 habbia la seconda figliola con quel più che si può delli beni paterni, che li ne haverò obbligo, etc. Di Mantova alli xviij di Xbre 1537. A tutte queste premure, ii D’ Olia 1 ispondeva : Ill.m° et Ex.m° S.r mio oss.mo Quando non amassi, nè sapessi chi fosse il S.r Conte di S. Secondo, solamente per quello che S. Ex. già due volte mi ha comandato circa il procurare che la seconda genita del Conte di Caiazo sia datta al suo primogenito, poi che la prima non ha potuto havere effetto, io sarei debitore posponere ogn’ altro rispetto alla sua satisfattione, tanto più amandolo, et conoscendolo per tal cavalero che merita ogni servizio et favore, et per venire al restretto di questa pratica, parmi GIORNALE LIGUSTICO 409 che non sia da intendere in altro che in fare restituire detta seconda genita alla Matre 0 al R.n'° Cibo, 0 vero alla S." Duchessa di Camerino sua soiella, perchè dippoi si potrà fare con miglior animo et honoie di tutti li soi parenti il detto partito, altramente tutti mi re-spondano che parendo si facesse per forza, li sarebbe troppo disho-nore, ne li vogliano consentire a modo alcuno, et per dire il vero 1111 paie che in questo habiano molta ragione et che non sia bon consiglio pensarli per altra via, però che si come la prima viene a restare decaduta del stato di Caiazo, parimente seguirebbe della seconda se si maritasse senza il consenso di S. M.*', et quando la fosse una volta restituita alli soi, si potriano più facilmente per questo mezo placare et indurre a tutto quello che 1’ honestà volesse, et dal canto mio sarò sempre prompto operarmi per il d.'3 S.' Conte di San Secondo con quella bona voluntade come se tutto havesse da resultale in satisatione mia particulare, che cusì facendo fine a V. Ex. baso le mani. Dat. in Genova al p.”° di Gennaro MDXXXV1IJ. Di V. Ex. Ser.' Andrea D’ Oria. Per quanto è lecito argomentare da questa lettera il D’ Oria s era occupato della cosa, e ne aveva tratto il convincimento che non si potesse parlare del proposto parentado, se non quando Lavinia fosse tornata presso alcuno de’ suoi parenti. Ma sembra che costei non volesse in alcun modo consentire a si fatto partito, e dichiarasse aperto come con i suoi pa-lenti non sarebbe andata. Allora si fecero altre pratiche, ed è a credere v’ abbia avuto principalmente le mani il duca di Mantova, affinchè cosi lei come la sorella ed il cognato s’ accontentassero che la prendesse con se il D’ Oria stesso. Ne abbiamo indizio dalla lettera seguente del duca : III.”0 etc. Avenga che mi rendessi certo non potere havere altra risposta da V. Ecc.* di quella che ho havuta nel caso di San Secondo, pur mi è stato caro che alli altri molti testimonij della amorevolezza sua verso me si sia aggionto questo, di che le rendo gratie grandis- 4io GIORNALE LIGUSTICO sime, stando con ferma credenza che le cose non possano passare se non secondo el desiderio mio, poiché el conte è per havere in questo la protetione di V. Ecc. la autorità della quale in ogni logo so che può essergli de giovamento el maggiore che da altro luogo si possa sperare, et la speranza se mi accresce intendendo che 1’ altra parte è per contentarsi di rimettere in mano di V. Ecc.” la seconda figliola del già conte de Caiazza, el che penso che sia per sodisfare a Mons/ Rev/”” Cibo non meno che se S. S.m o qual si voglia delle sorelle la havesse presso di se, in questo caso é da credere che alla Ecc. V. sarà facile a disponere Mons/ Rev.m° pre/° a consentire che quella putta sia data al p.° genito del conte di Sansecondo et contentarsine S. R.ma S/', manco in S. M.a non vi serà difficoltà, però la priego a dare quel bon indirizzo alla cosa che desidero et conducendola ad effetto come spero vedere di fare, che de questa seconda resti più gran parte di stati paterni che si possa favorire, però el tutto con buona sodifatione del Mons/ R.mo Cibo, el consenso del quale si aspetta nella autorità di V. Ecc.”, si come se ne aspetta anco el resto, el che gli racc.do quanto più posso et me insieme. Di Mantova xxj di gennaro 1538. Al che il D’ Oria : Ill.mo et Ecc.m0 S/ mio oss.™0 Non bisognava che V. Ex. mi ringratiasse della buona volontà eh’ io tengo verso il S/ Conte di S. Secondo et qual si voglia sua sodisfatione, perchè oltre la conditione et virtù sua lo meriti, reputo niente al desiderio et obligo che ho di operarmi in tutte le cose che da V. Ex. mi sono comandate. Perhò sia certo che in questo della seconda figliola del già conte di Caiazzo, acciò che resti maritata nel primogenito di esso S/ Conte di San Secondo, io non sono per mancare dal canto mio nè più nè manco, come se la sua sodisfatione havesse da essere mia propria, et tanto più per ubbidire a V. Ex. che me lo comanda come ho detto, che senza altro dire le baso la mano. Da Genova alli 30 Genaro 1538. Di V. Ex. Ser.” Andrea D’ Oria. GIORNALE LIGUSTICO 4II La giovane venne veramente consegnata a lui, e il Rossi ne scriveva il 24 febbraio da Reggio al duca di Ferrara : « Le cause che mi mossero a dare la S.1 Lavinia mia cognata nelle mani del S.r Principe, furon che per esser S. Ex. parente alle figlie della bo. me. del Conte da Caiazzo, et molto confidente a quelli che contra noi cacciano, la puote pigliare, et la prese con fede et promissioni molto gagliarde a nostro profitto et d’esse figliuole ». Tuttavia con tutte le buone intenzioni del D’Oria, e le insistenze del duca di Mantova, Lavinia non sposò Troilo de’Rossi, primogenito di Pier Maria, ma, secondo desiderava il cardinale Cibo, suo cugino Gian Francesco Sanseverino, figliuolo di Giulio; quello stesso a cui Innocenzo alcuni anni innanzi voleva dare in moglie 1 altra nipote Maddalena. Rispetto a questa non abbiamo notizie chiare e sicure intorno al modo come sia andata a finire la faccenda; sappiamo che l’imperatore ordinò a Don Pietro di Toledo il sequestro delle entrate di Caiazzo, risetbandosi di deliberare sulla cosa, la quale veniva rimessa nelle sue mani; ma forse, mercè il patrocinio di Cosimo de’ Medici e del D’Oria in favore di Giulio, scese in seguito a più miti consigli, pensando probabilmente anch’ egli, come il suo ammiraglio, « che gli stati non si perdono per sì poca cosa ». Certo è che tre anni dopo i coniugi ufficiavano lo zio cai-dinale, affinchè s’interponesse per trattare 1 accordo con la contessa Ippolita. Nel marzo del 1538 il D’Oria parti da Genova alla volta di Spagna, dove imbarcò l’imperatore, il quale doveva recarsi al convegno di Nizza. Quando al ritorno, dopo il combattimento con le galere di Francia alle isole Hyères, ebbe dato fondo a Villafranca, ricevette questa lettera del duca : 111."10 etc. Penso che a quest’ hora V. Ex. haverà inteso la determinatione mia di trovarmi alla Corte Ces.", al che tanto più mi son 412 GIORNALE LIGUSTICO disposto, quanto che per gli miei sono avisato tal essere il cousiglio di V. Ex. Haverà anche inteso la comodità che io potrei havere per mezzo di due sue galere da Savona sino a Villafranca, circa che non mi affaticarò in farne pregare V. Ex., supponendo che la non sia per mancarmene, quando sia possibile che ne sia compiacciuto, et perchè presto spero di goderla non sono più prolisso con la presente se non per racc.™ infinitamente a V. Ex. Da Mantova alli li j di maggio 15 38. Alla quale richiesta subito il D’ Oria rispose aderendo : « Di cinque gallere che mi sono restate qui ne mando doe al servitio di V. Ecc., mi spiace bene non haverla potuta accomodare di megliore, come sarebbe stato il desiderio mio; quella accetterà la buona voluntà, non potendo seguire l’effetto, come a bocca intenderà più a pieno da Zorzo D’ Oria presente latore ». Il duca, partito da Mantova, se ne andò a Casale, dove trattenutosi un giorno ad istanza di sua suocera, proseguì per Savona, e vi giunse il 12 maggio. Le galere mandate dal D’ Oria avevano dovuto recarsi a Genova a rifornirsi di vettovaglie, ma tornarono subito; onde senza indugio salì a bordo, e il ié sbarcava a Villafranca. Le sua prima visita fu per l’imperatore, che lo « raccolse con tutta quella buona chiera che si possa imaginare ». Era stato consigliato « a pigliare alloggiamento in Nizza, come loco assai più comodo », ma si persuase della maggiore utilità di starsene a Yillatranca, sebbene grande fi'sse « la povertà e ruina del loco » e si mancasse d’ogni cosa 0 massimamente d’acqua fresca ». Mentre Carlo V già si trovava pronto al convegno, il re di Francia non era anche giunto ; l’aspettava con la regina e la corte per il 25 , e si diceva che si sarebbe fermato ad Antibo 0 a Yillanova. Il papa era sempre a Savona, nè si moveva, essendo nata controversia, per i tentennamenti e le gelosie del duca di Savoia, se gli si avesse a dare o no il GIORNALE L1GUSTIG0 41 3 castello di Nizza per dimora: finalmente partì, sperando appianare di presenza tutte le difficoltà, ma non ottenne il castello, « poi che gli paesani », scrive Federico, « Γ hanno in suo potere, et per cosa del mondo non vogliono admettervi persona, unde S. S.,à si è ridutta in uno monasterio poco fuori della città, et ivi se ne sta con più sdegno che comodo ». Intanto s’erano abboccati il papa e l’imperatore, e avevano fra loro discusso « della provisione et expeditione per levante, che la necessità de’ Venetiani ce li stringe, et non comporta più dilatione »; ciò in dipendenza della lega contro i turchi. Rispetto alle quali pratiche il duca riferiva a sua madre : « Hieri S. M.'à risolse gli ambasciatori venetiani del soccorso che di presente mandarà alla volta di Levante, che serà di 28 galere et 30 navi con ottomila spagnoli sopra, et il pagamento di cinque milia alemani. Generale de tutte le quali gente et dell’ altre che poi se gli manderano per 1’ Imp.re secondo il bisogno, serà il S/ D. Ferrando nostro, et haverà medesimamente la superiorità de l’armata in absentia del S.r Principe D’ Oria, quale con le galere che hora son qui non potrà andare, per lo impedimento che vi è di questo convento, nè quando non succedesse altro bene che questo della tregua firmata di presente (1), si pensa che vi anderia, avegnache la gelosia delle cose di Genova, per essere il Re armato di forse vintitre galere in el porto di Marsilia, et perchè l’armata turchesca potrebbe penetrare in questi mari ». Il D’Oria dunque, che pur era stato eletto, con poca soddisfazione dei veneziani, capitano generale dell’impresa, non avrebbe potuto, fin d’ora si diceva, recarsi così presto a raggiungere l’armata, e si metteva persino in dubbio la sua diretta e personale cooperazione. Il re Francesco frattanto era giunto, e le speranze di una il II 24 era stata prorogata la tregua per altri tre mesi. 4M GIORNALE LIGUSTICO prossima pace crescevano, per quel che ne andavano dicendo gli stessi francesi, i quali magnificarono le buone intenzioni da cui si mostrava animato il loro signore. Le pratiche procedevano « caldamente », e oltre ai « ragionamenti particolari » dei ministri dell’una e dell’altra parte con il papa, avevano tenuta un’ adunanza « tutti insieme et parve che si partissero assai bene satisfatti 1’ uno dell’ altro » , ed il pontefice « di tutte due le parti » ; perciò grandi erano le speranze, quantunque delle cose negoziate nulla si potesse trapelare, perchè si manteneva il più geloso segreto. Il duca Federico non tralasciava in questo mezzo di far le sue visite, e si recò altresi dal re di Francia. « La gratissima accoglienza », egli scrive, « che S. M.tà m’ ha fatta, et che da tutta la Corte ho ricevuta è stata inextimabile, et tale che ho conosciuto manifestamente essere stato cosi ben visto, et con tanta affettione raccolto et accarezzato, che me ne ritrovo ben contentissimo. Fui anche il di precedente, sapendo che la Regina veniva a basciare il piede al papa, ad incontrare S. M.,a oltre Nizza, circa un miglio, et 1’ accompagnai sino a S. S.tà, ma all’ hora andai con compagnia d’alcuni S.n di questa Corte, però soli et senza traino, così solamente per fare alcun complimento con essa, et non ingrata all’ Imp.re. Ma ieri poi stetti pur assai con la pretata Regina et con tutti quelli altri S.ri et me intratenni convenientissimamente et come persona che si è creata in Francia ». Ricordi della giovinezza che tornavano a muovere giocondamente 1’ animo suo, trovandosi in mezzo al fasto tradizionale della corte francese, spiegato pur anche in quella opportunità. Era naturale che la regina Eleonora, sorella di Carlo, visitato il papa, si recasse ad abbracciare il fratello. L’incontro avvenne a Villafraca il dì 11 giugno. Narra il duca : « La Regina accompagnata dalla S.mo Delphino et figlia del Re, con tutta la corte delle principesse et dame, et dal Contestabile et Card.le di Lorena con GIORNALE LIGUSTICO tutta la nobiltà della Corte, de’ Principi et gentil."*, è venuta a visitare Γ Imp.re con sedici galere. S. M.tA gli ha fatto quel honore che conveniva alla conditione dell’ amore et del grado suo, et sono stati insieme circa quattro hore, et poi ognuno se n’ è andato alli alloggiamenti. Vero è che non si deve tacere un bel passo, che il ponte fatto per el smontare di galera, nel più bello, quando l’imperatore et la Regina si abbracciavano, et tutti noi altri stavamo a far reverentia a S. M.tA et raccogliere quelle S.re, si è rotto nel bel raeggio, et fra quelli che si sono più bagnati di tutti sono stato io. La regina, la delphina et tre o quattro delle principesse si sono bagnate benissimo, et l’Imperatore non ne è andato asciutto; per gratia de Dio, con tutto el pericolo, che è stato grande, non è stata persona che s’ habbi fatto male. In stretto ragionamento è stato l’Imperatore et la Regina con la pre-sentia del Contestabile, et Lorena, et Covos, et Granvela, et si tiene eh’ el ragionamento sia stato di negotii che si praticano. et pare che la brigata da avant’ hieri in qua accresca in buona speranza ». Due giorni dopo le speranze si chiariscono interamente fallite, e « il tutto è rovesciato »; sono gli stessi francesi che « tengono la cosa per desperata et già il Contestabile et Lorena sgombrano le stanze sue di Nizza »; tuttavia « non si è già tanto fuori di speranza che non si creda che debba al fine sortire una tregua, per parer troppo vergogna nel papa, et troppo ostinatione in questi Principi di essersi convenuti per non riescire se non in una tregua di tre mesi ». Le cose ormai precipitavano; il papa faceva i preparativi della partenza ; il D’ Oria anch’ esso si apparecchiava a ricondurre l’imperatore; e il duca vedendo « esclusa ogni pratica di pace », a fine di non perdere l’occasione delle galere per il ritorno, parti il 15 per Albenga, dove, trovate le cavalcature, si avviò alla volta di Casale. Giustamente però egli argomentava che 4i 6 GIORNALE LIGUSTICO sebbene le cose si tenessero « per disperatissime, pur non è persona di iuditio che non creda che si publichi una qualche tregua ». Infatti la tregua decennale usci il giorno 18 giugno. Tutti sanno quali difficoltà incontrasse Paolo III in questo convegno, e come il principale suo intento, quello di comporre la pace e di riconciliare personalmente i due sovrani, non riuscisse. Essi non si vollero incontrare mai. Fu grande quindi la meraviglia quando poco dopo s’intese che ad Aigues-Mortes si abbracciarono cordialmente, festeggiandosi con ogni maniera di cortesie (i). L’incontro, creduto da alcuno casuale, fu promosso, a quanto si afferma, dalla regina e dal Montmo-rencey, e si può ben supporre ne fossero fermati i primi accordi nel lungo colloquio che Eleonora, insieme con i ministri di Francia e di Spagna, ebbe col fratello a Villafranca. È singolare; le speranze della pace durano sempre vive fino a quel giorno, e il duca di Mantova che si trova in mezzo alle due corti ne attinge le notizie, e ne riproduce le impressioni; dopo, le cose cambiano d’improvviso; non più pace, non amicizia; tutti se ne vanno e vieil fuori quella tregua che sembra una concessione di semplice deferenza al Pontefice per il suo incomodo; pare che i due principi debbano continuare a guardarsi in cagnesco più di prima ; invece pochi giorni appresso si stendono le braccia. Le cose negoziate in quella visita debbono aver avuto per certo il loro peso negli avvenimenti di quei giorni. Ma quali erano le ragioni particolari che indussero il duca a recarsi a Nizza in quella circostanza? Innanzi tutto il desiderio di non mancare là dove, intorno alle tre maggiori podestà europee, si accoglievano, o personalmente o per rappresentanza, altri principi e stati italiani; poi la necessità di (i) Cfr. Staffetti, Carlo V c Francesco I a^ Aigues-Mortes, in Giorn. Lig., a. XXIII, 216 segg. giornale ligustico 417 citate presso 1 imperatore le pratiche riguardanti la badia ^ Cedio 'n favore del cardinale suo fratello, e di mettergli . * at>li occhi in quali miserrime condizioni si trovavano P poli del Monferrato per la permanenza e la mala condotta dati spagnuoli e tedeschi. Ed egli si occupò dell’ una dell altra, ma si avvide assai presto come i negoziati po itici più importanti assorbissero l’animo di tutti, onde, per 0ra’ s/ Yvette contentare di buone parole e di promesse. Nè lasciò sfuggire 1’ occasione di richiedere al re di Francia lettela di naturalità per la duchessa », e di muovere qualche parola sopra il caso dall’ iniqua imputatione » lanciata conti o Don Ferrante « al tempo della morte del Delphino », al qual proposito parve che il re si mostrasse « più manso del solito ». Firmata la tregua e sciolto il convegno, il D’Oria condusse a Genova Carlo V; di qui indi a poco mosse per la Spagna, sostando per via ad Aigues-Mortes, dove avvenne l’incontro ra i due sovrani, e prosegui poi il suo viaggio per Barcellona ad accompagnare F imperatore. Intanto Γ armata della lega conti o i turchi, erasi adunata a Corfù aspettando Andrea, a capitano generale. Ma questi non si affrettò di troppo a recarsi là dove l’onor suo e l’interesse della cristianità lo chiamavano. Lasciato il 20 luglio Carlo V a Barcellona, se ne ritornò a Genova sui primi d’agosto, e il giorno 11, « prima confessato et comunicato, et facto lo so testamento », salpò per raggiungere Tarmata (1). Avvenne quindi quella indegna commedia alla Prevesa, la quale se fece palese la torbida politica spagnuola, impresse una macchia indelebile nella vita del D’Oria; le reticenti narrazioni degli apologisti 0 di interessati contemporanei, e i loro passionati giudizi, si come le difese postume di scrittori parziali 0 male informati, (1) Arch. Mod. - Lett. del Tebaldi da Venezia, 5 e 18 agosto 1538. Giorn. Ligustico. Anno XXIII. 27 4.13 GIORNALE LIGUSTICO non valgono contro la critica severa che sa trarre dalle tonti e dai documenti il lume della verità ; e quella oggimai ci assicura senza ambagi, come la condotta dell ammiiaglio in quella triste giornata, fosse la conseguenza delle pratiche segrete intavolate con Barbarossa, e tendesse evidentemente a tradire Venezia, lasciandola sola, isolata, esposta a tutti i danni del potente e imbaldanzito nemico (i). Sui primi di febbraio dell’ anno successivo il D’ Oria avvisava il duca di essere finalmente ritornato a Genova « dopo lungo e travagliato viaggio ». Qui riceveva la notizia della morte d’isabella, e mandava subito le sue condoglianze: 111.“° et Ex.” S.' mio oss.m° V. Ex.“ non si inganna persuadersi che come suo devoto servitore participi de tutte le cose sue, secondo la qualità delli successi, et può ben essere certissima che della perdita di Madama 111.™ sua matre, che in gloria sia, ne ho sentitto et sento infinito dispiacere, si per il caso che lo ricerca, come per il dolore et discontentezza nella quale comprendo V. Ex. restare. Però gli baso le mani de l’aviso che s’è degnata farmine dare, et benché reputi superfluo ogni raccordo alla prudentia sua, non lasserò, come amorevole servitore, suplicarla, volersi conformare tanto più con la voluntà di N. S. Dico, quanto il fatto è comune et inevitabile, et il caso seguito in quella sua età che fra mortali si suole più pacientemente tolerare, pregando S. D. M.li conservare la persona di V. Ex. con quella raccompensa di prosperità et consolatione che più desidera. Alla quale di nuovo baso le mani'. Da Genova alli XXJ di fevraro MDXXXVIIJ. Di V. Ex. Ser." Andrea D’Oria. L’imperatore in questo mezzo aveva ordinato di soccorrere Castelnuovo, preso Γ anno innanzi dall armata della lega, alla (x) Manfroni, op. cit., cap. XXI. GIORNALE LIGUSTICO 419 cui difesa, in onta ai veneziani, erano stati posti gli spagnuoli. Oia i turchi lo stringevano da ogni parte, onde si trovava ridotto all estremo; perciò il D’Oria, ricevute le istruzioni da Adamo Centurione, reduce dalla Spagna, si apprestava a partire, secondo egli stesso manifesta : lll.mo et Ex.™ S.r mio oss.”° Essendo ritornato Mes.' Adam Centurione dalla Corte, et dovendo io partire alia volta di Napoli et Messina, che sarà, piacendo a Dio, sabato o domenica prox.* al più tardo, mi è parso debito de mia servitù fargliene noticia ad ciò sapia dove comandarme, et più presto ali havrei datto aviso dei ritorno d’epso Mes/Adam qual giunse qui sabato, che fu alle xmj, s’el havesse riportato cosa di momento più di quello che S. M.td con un despachio poco innanti haveva comandato, cioè 1 andata mia, com’ho detto, per reparare a quelle cose che dalle occorrentie de’ tempi mi saranno consigliate. Et benché pelle demostratione passate resti certo dell’ affettione che V. Ex. per sua bontà et servicio di S. M.'à porta a questa cittade, nientedimanco, dovendomi partire ho voluto satisfarmi di suplicarla, che appresso li respetti sopradetti, sia contenta, per la servitù mia ancora, quando la sentisse alcun disegno 0 motivo contra di quella, farmi gratia di avertirne il d.'° Mes.r Adam Centurione con quella diligentia che alla qualità del caso li parerà convenire, poiché di epso come di me medesimo V. Ex. può confidare, et in questo ne riceverò gratia et favor singularissimo, et facendo fine li baso le mani. Da Genova alli xvnj Giugno 1539. Di V. Ex. Ser/ Andrea D’ Oria. La speciale raccomandazione di comunicare sollecitamente al Centurione qualunque notizia che riguardasse possibili tentativi contro la città di Genova, farebbe credere che si avesse sentore di qnalche trama da parte dei malcontenti o dei partigiani di Francia, così all’interno come al di fuori. Ma in- 420 GIORNALE LIGUSTICO torno a ciò nessun lume ci porgono gli storici e i documenti. Ben importa ricordare che il D’ Oria non raggiunse il fine pel quale si era mosso, poiché, solo ed inferiore di forze, non ebbe modo, e neppure ci si provò, di impedire che Castelnuovo fosse ripreso dai turchi; anzi mentre navigava sulle coste di Puglia, al sopravenire di Barbarossa, fu costretto a rifugiarsi in Messina, non senza perdite di navi e di soldati (i). E quivi si fermò « risoluto di non partire altramente per opporsi a Barbarossa » (2). Un mese dopo, e cioè sul cadere d’ottobre, secondo l’avviso che egli stesso ne dava al duca, era giunto felicemente in patria. Mentre nell’anno seguente si trovava a Palermo, provvedendo a difendere le coste dai turchi, che rimbaldanziti da vano prova di grande audacia, ebbe notizia della morte di Federico avvenuta il 25 giugno 1540, e si affrettò a spedire un suo segretario, affinchè presentasse al cardinale e alla duchessa, reggenti lo stato, le sue condoglianze : R.m° et 111“ S.rl oss.mi Non potendo di cussi lontano satisfare in tutto al debito de la mia servirtù, qual non recercheria mancho della persona mia medesma a dover dimostrare a V. S. 111.”' 1’ extremo et infinito dispiacere da me sentito per la perdita de l’Ex."" S.r Duca fe. me., ho pensato suplire in parte co’ il mezzo de lo exhibitore presente Mes.r Camillo de la Preda mio secretario, al quale ho ordinato venghi in nome mio a fare questo officio. Perhò sup.° V. S. 111."' degnano acetarlo per un segno de l’osservantia e servitù mia verso quelle, et prestarli in tutto quella fede, che cussi remettendoml a sua relatione non serò più exteso che a V. S. 111.”' basando le mani, pregare N. S. Dio (1) Manfroni, op. cit., p. 350. (2) Arch. Mod. — Lett. del Raziario da Napoli, 27 sett. 1539. GIORNALE LIGUSTICO 421 concedi quanto desiderano. Di Galera in Palermo alli xx di luglio 1540. Di V. S. IU.“ Ser." Andrea D’ Ghia. Gli pervenne poi la partecipazione ufficiale del decesso, alla quale replicò : Ret IU.” S." miei oss.ml Anchorchè le lettere de le S. V. R.“° et 111.” mi habbi portato dispiacere et dolore grande per la morte della fe. me. del S/ Duca suo non mancarò di basciar le mani all’ uno et all' altra di questa così amorevole demostratione di ’havermelo notificato, et certamente ne ho havuto tanto sentimento quanto possa havere un vero Ser.,c et benefattore come io mi reputo essere di S. S. 111.““, però essendo questo corso del vivere et morire tanto ordinario che non perdona a niuna persona, conviene accettare in bon grado tutto quello che a N. S. Dio piace, ben mi resta, come può restare ad ogni altro servitore, una satisfatione a l’animo, che S. S. 111."* sia sempre stata in vita così bon christiano, come ha dimostrato fino al termine delli ultimi giorni suoi. Mi resta solo supplicare V. S. 111."' insieme con li figlioli mi voglino tenere per quel certo et vero servitore eh’ io le sono et son stato alla p." fe. me., che se ben alla età mia resta poco da vivere, di bona volontà, non cederei il loco a qual si voglia altro, et così prego N. S. Dio con tutto il cuore gli doni pure all’ a-nima et a V.“ S.‘“ R.“ et 111.“’ contento et lunga vita, con ciò che più desiderano. Di Messina alli xxviij di luglio del mdxl. Di V. S.“ R.” et 111“ Ser.r“ Andrea D’ Oria. (Continua) A. Neri. _ 422 GIORNALE LIGUSTICO INTORNO AL GENOVESE CARLO ANTONIO PAGGI CENNI. Nel suo recentissimo opuscolo - Minugie di Critica - [Padova 1898, 8.°-gr. ié pag.] il chiaro Dott. Emilio Teza, con quel tino acume onde si distinguono i suoi lavori letterari, compendia una serie di interessanti osservazioni sul testo della seconda edizione della Lusiada Italiana, che il genovese Carlo Antonio Paggi stampò in Lisbona (1659), dopo trascorso esattamente un anno che quivi stesso e nella medesima tipografia (Henriqut Valente de Oliveira) avea pubblicato la prima edizione delle sue opere. Due sommi personaggi storici furono, con flagrante ingiustizia, dimenticati nella insigne epopea dei Lusiadi. Uno di essi tu Colombo, il cui nome è quasi inseparabile dalla storia delle scoperte portoghesi, sebbene l’immortale navigatore abbia, in servigio esclusivo di Castiglia, conseguito di penetrare colle sue caravelle nelle tenebre misteriose dei mari occidentali: l’altro personaggio è S. Antonio, il nostro eloquente Apostolo medioevaie. Non ci constò finora che qualcheduno abbia riclamato contro l’omissione dell’amabile e glorioso taumaturgo: quanto a Colombo, il suo compatriota Paggi fece una specie di protesta (1), profittando di un adeguato brano della sua Lusiada per inse- (1) . . . il Colombo nos:ro, che il poeta assai dissimulatamente passò sotto il silenzio . . . Lettera di Paggi all’ illustrissimo sign. Gio Giorgio Giustiniano. GIORNALE LIGUSTICO rit-vi una apostrofe concernente la Liguria e i Liguri, e applicandovi , come commentario, la postilla che il sig. Dott. Emilio Teza riproduce. « Amico il poeta, ma amica la patria, e il traduttore sdegna che il geografo dimentichi la sua Zena », — come acconciamente fa rimarcare il dotto professore Padovano. A queste sue note si può benissimo aggiungere un altro mazzolino di minugie, che ci paiono degne d’ essere registrate : e noi ci pigliamo la libertà di accennarle. Paggi fa il primo che trasportò i Lusiadi nell’ idioma di Dante. Si parla bensì vagamente d’una pretesa traduzione anteriore, ma ad ogni modo restò manoscritta; se forse non è pura leggenda. Di brani dei Lusiadi in italiano, solo si conosce la versione di quattro versi che il Cavalier Marino si appropriò, trapiantandoli in uno dei canti del suo Adone: E non ti basta ognor dai nostri lumi lagrimosi stillar ruscelli e mari ma spesso vuoi che gl’ infelici amanti spargano il sangue, ove son scorsi pianti (i). plagio che Duperron de Castera, già nel secolo XVIII (1735), severamente castigava (2). La versione di Paggi, meno poetica che quella di Antonio (1) Originale portoghese: Se dizern, fero amor, que a sede tua Nem coni lagrymas tristes se mitiga È por que queres aspero e tyranno Tuas aras banhar em sangue humano. (2) V. il nostro opuscolo — 0 Sonito di Torquato Tasso a Camoes e Vasco da Gama - Genova 1898 - 8.% dove è per la prima volta citata la critica del Duperron. giornale ligustico Nervi, ha però sopra questa il vantaggio della fedeltà. Armoniosi sono i versi del Nervi, altro genovese ; però egli non ci diede se non che una parafrasi del poema; parafrasi che per giunta si propagò in edizioni le quali non ci danno il testo vero del traduttore; siccome abbiamo dimostrato nello studio sopra As traducçôes italianas dos Lusiadas, Livorno 1897. L unica lezione autorizzata di Nervi è quella di Genova 1830, in due volumi, per Agostino Pendola. Questo testo contiene tutte le correzioni e le varianti fatte dall’ autore sulla edizione del 1814, che disgraziatamente è quella la quale servì di esemplare per le edizioni posteriori, ad eccezione di quella inserita nel Parnaso Italiano di Antonelli, Venezia 1847 (1). Paggi premette gli argomenti apocrifi ad ogni canto dei Lusiadi; e Nervi nel 1814 non ne ebbe contezza: essendo oggimai provato che, ignorando egli il linguaggio portoghese, si servì d’una traduzione francese o inglese. Fra il 1814 e il 1830 (data dell’unica edizione autentica) egli lesse per avventura questi argomenti nel Paggi, e gli aggiunse nella sua opera. Infelicemente però i moderni editori italiani, modellandosi sulla contraffazione di Milano del 1821 fatta nel supposto che Nervi fosse già morto, continuarono ad omettere gli argomenti in verso, sostituendoli con un rachitico sommario in prosa, come nella detta edizione del 1821. E noto che Paggi aggiunse in fine del poema sei ottave d. sua fattura, le quali il grande poeta Mmeida-Garrett voltò in idioma portoghese. Nelle pubbliche e private biblioteche della Liguria trovansi esemplari della Lusiada Italiana : onde il lettore può prendere conoscenza di tali ottave. Qui, per con- (1) Il citato nostro opusco'o, colla comparazione dei resti, non mai fatta prima di noi, giunge a queste risultato critico; come pure dà la notizia, fin qui perfettamente ignorata, che l’autografo di Paggi esiste tuttavia in potere del Dott. Giorgio Caneva. GIORNALE LIGUSTICO 425 fronto , riferiamo la versione di Garrett (1). E nel tempo stesso siamo lieti di presentare in pagine stampate in Genova il pei letto facsimile dell’incisione in rame la quale precede (1) Os Lusiadas - Epilogo de Paggi. 1. Co’ a doce voz 0 cysne lusitano Assim as proprias feras abrandava; Mas nem 0 Tejo, de seu canto ufano, Nem as ingratas Tagides tocava: De seu impio destino deshumano Nunca as iras fataes, nunca domava; Nem achou entre os seus humanidade Quem moveria as pedras à piedade. II. Ingrata patria, 0 ingenho sublimado Digno de um Capitolio em Roma antiga Tu nâo 0 ergueste desse baixo estado Emque só por tua gloria se affadiga ! O ingenho que te inveja malogrado Toda a naçào de meritos amiga, Tu na vida em miserias 0 deixaste, E em leito vil à fome 0 assassinaste. III. Vae! Sua gloria é mais hoje a maravilha Das gentes, porque mais 0 perseguiste; Morre 0 teu nome quando 0 seu mais brilha Despojam delle a tua lingua triste; Iberia 0 adoptou, França, 0 perfilha, Britannia 0 quer; e agora eterno existe, Que num e noutro italico idioma Entre os seus votos 0 colloca Roma, 426 GIORNALE LIGUSTICO il titolo dell’edizione del 1658, e naturalmente servi anche per quella corretta ed aumentata del 1659. Questa incisione manca in moltissimi esemplari; non se ne fa menzione nel .Dia:. IV. Tu fìca-te co’ os ossos deshonrados Que te accusarli de ingrata ao céo e a terra; Seu spirito, esse vae onde prezados Sao virtude e talento, e onde impia guerra Stulto o poder nào faz aos mais honrados; Mais de outros jà que teu, jd nào se incerra Num canto do orbe sua altiva fama Que Augusto a ampara e um Alexandre a acclama. V. Là onde surge da alto monte, e brilha Sobre a escolhida grey de Deus a estrélla, E egual àquella antiga maravilha Que os reis guiou a Deus, sobres os reis véla, Là onde ao merito 0 poder se humilha Beija a par da justiça a face bella, E de illustre Carvalho à sombra amena Descança Roma no velar de Siena, VI. Là vai minha obra, e desta luz roubada Tu leva a patria musa esses primores; Em falla ignota estava sepultada, Raios de extranho sol sùo seus fulgores. Vai, viveràs: tambem coni luz furtada Deu vida Prometheu. Se mais nâo fores, Seras reflexo de belleza, lustre, E de eterno splendor émula illustre. Garrett, « Folhas Cahidas ». 2.“ ed. 1855. GIORNALE LIGUSTICO 427 Bibìiogr. del sig. Brito Aranha, e nemmeno nel prezioso Catalogo da Collecçâo Camoniana à Jose do Canto. Noi la ripro- duciamo dal nostro esemplare che già appartenne al celebre genealogista Christovam Alào de Moraes, e che tuttora si trova in perfetto stato di conservazione. 428 GIORNALE LIGUSTICO Non ci venne mai dato di incontrare citazioni di versi di Paggi che non fossero tratti dalla sua Lusiada Italiana (i): solo testé il nostro amico e illustre investigatore Dott. Sousa Viterbo ci indicò una composizione poetica delP autore, finora pienamente ignorata, inserita in un libro poco volgare, intitolata: Panegirico a Andre de Albuquerque Ribafria... por Joam de Medeiros Correa. Lisboa. Domina os Carneiro 16 61. Si trova nelle pagine preliminari, ed è del tenore seguente: De Carlo Antonio Paggi, traductor insigne da Lusiada de Camòes ao Author. Sonetto Italiano. Qui dove al fatai colpo il suol premeste, O grande Heroe del Lusitano Regno, E di su libertà base, sostegno, Cedeste al fato sì, non già cadeste. Però con vostra morte, al suol batteste Baluardi, e trincee; senza ritegno L’ hoste precipitaste, e al maggior segno D’ estinti, e d’ armi vn Mausoleo vi ergeste. Fama che fatti così chiari, e tanti A vedere, Albuquerche, avida corse, Et apena cent’occhi htbbe bastanti; Al Medeiro Correa tosto ricorse, E per eternizare i vostri vanti La sua tromba medesma in man gli porse. (i) Nei preliminari il Paggi consacra versi al Duca di Aveiro, al Marchese di Niza, ai Comi di A:ougnia e di Cantanhcde, nonché ^gli Accademici Insensati di Perugia. GIORNALE LIGUSTICO 429 Quanto il Paggi fosse stimato dai più eminenti cultori della letteratura portoghese si può conoscere non solo dalla qualificazione del Sant’ Ufficio sottoscritta da fr. Gabriele da Silva, dalla approvazione di Antonio Barbosa Bacellar, e dai versi encomiastici direttigli da Giuseppe da Fonseca e Enrico de Quental Vieira, ma ancora da questo Sonetto di D. Francisco Manuel de Mello, stampato in Las Tres Musas del Mdodino : Merecidos Elogios al famoso traductor Italiano de maestro Carnées. SONETO LXXXI. Deste que en Vlisea, peregrina Concha, tradujo errante des de aquella Perla de Iano; que entre belles bella Por la bella ciudad, se denomina, Bien podrâ la corriente cristallina Del Varo y Macra, con vndosa huella Las rayas descriuir, que en oro sella. Donde a Liguria et termino, termina. La patria cenirâ, mas no la fama Del Camoens Ginoues, y Lusitano, A quien dos veces Hijo Apolo llama. Que Hijo de Apolo enfin, Nieto de Iano Dio con Musa bifronto, y doble llama Vôz al Tyrzeno y luz al Occeano. Per la trascrizione ci siamo serviti dell’ edizione di Lione di Francia 1661 (pag. 41); testo che si reputa scorretto, ma che basta al nostro proposito di provare con documenti la considerazione che Γ autore godeva nel concetto d’ uno scrittore tenuto giustamente in conto di classico, cosi nella lingua in cui scrisse, gli Apologos Dialogues, come in quella nella quale compose la Historia de la guerra de la Cataluha. 43° GIORNALE LIGUSTICO Agitandosi una accanita quistione fra la Confraternità Italiana della Madonna di Loreto e il Capitolo della Metropolitana di Lisbona intorno alla giurisdizione della nuova Chiesa dello stesso titolo di Loreto, riedificata più ampiamente, sulle rovine della vecchia Chiesa, distrutta dall’ incendio, a tutte spese della colonia italiana, il Dottore Carlo Antonio Paggi presentò verso il 1661-1662 alla Giunta Lauretana una allegazione giuridica, approvata e firmata da cinque fra i più distinti ed illustri Professori dell’ Università di Coimbra, con-termando pienameme il diritto degli italiani. Il testo di questa allegazione largamente diffusa e documentata esiste tuttavia nell’Archivio della suddetta Chiesa di Loreto. Dobbiamo questa interessante informazione al nostro dottissimo e illustre amico Cav. Prospero Peragallo. Si conosce da ciò che Paggi era un eminente giurisconsulto. Avrebbe egli per avventura esercitato in Lisbona la professione di avvocato, 0 avrebbe messo al servizio dei suoi compatrioti la sua scienza del diritto civile e canonico? Questi brevi cenni potranno certamente giovare a chi, con maggiore ampiezza, intraprenda di scolpire i contorni della figura letteraria del genovese Carlo Antonio Paggi. Agosto 1898. JOAQUIM DE ArAUJO. LA PRIGIONIA DI ANGIOLO PELLICCIA Ai figli suoi lustro e decoro del secolo XIX la patria riconoscente e ΓAccademia onorata d’averli suoi. Queste parole stanno scolpite sul monumento che a onore di sei concittadini innalzò la città di Carrara, il 1863, in una delle sale dell’Ac- GIORNALE LIGUSTICO 43* cademia di belle arti ; e d’ognuno v’ è il busto. Quello di Pellegrino Rossi lo scolpì Pietro Franchi ; quello di Carlo Finelli, Andrea Franzoni; quello di Pietro Ί enei ani, Giuseppe Lazzarini; quello di Emanuele Repetti, Alessandro Triscornia; quello di Domenico Cucchiari, Ercole Bogazzi ; e quello di Angiolo Pelliccia, il prof. Ferdinando Pelliccia, già Direttore benemerito dell’Accademia e allievo del Tenerani (i). Angiolo Pelliccia nacque in Bedizzano, uno de’ tanti paeselli che popolano i monti carraresi, il 3 marzo del 1791 » studiò medicina nell’ Università di Pisa, e vi ebbe , tra gli altri, a maestri Gaetano Savi e Andrea Vacca Berlinghieri ; esercitò la chirurgia per qualche anno al Borgo a Mozzano ; nella fierissima epidemia petecchiale del 1816, meritò le lodi del Governo e la riconoscenza de’ cittadini ; messa stanza a Lucca nel 1824, vi mori Γ11 marzo del 1863 (2). Scrisse di chirurgia e di medicina (3) ; con le sue opere (1) Raggi O. Di un monumento a sei celebri carraresi contemporanei inalbato dai loro concittadini, lettera al cav. Giulio Re\asco Segretario generale nel Ministero della Pubblica Istruzione, Massa - Carrara, Regia Tipografia Frediani, 1863 ; in 12. di pp. 20. (2) Sforza Pietro, Sulla vita e sulle opere del dott. Angiolo Pelliccia discorso ; negli Atti della R. Accademia de' Filomati in morte del dott. Angiolo Pelliccia, Lucca, dalla tip. Baccelli, 1864 ; pp. 5 - 18. Un Cenilo necrologico del Pelliccia, scritto dall’avv. L. Bertola/.zj , si legge nel n.° 49 dell’ann. I de L’Italiano, giornale del popolo, che si stampa a Firenze co’ tipi del Le Monnier. (3) Nuovi elementi di Chirurgia, Lucca, Benedici e Rocchi, 1X26 ; in - 8. Il solo )volume. Annotationi alla dottrina del sig. dott. Maurizio Buja- lini e proposta di conciliazione fra i diatesisti e i fautori di questa dottrim, memorie lette all’Accademia Medico chirurgica lucchese nella seduta del 1° mar~o e 2 aprile 182η, del Bufalini medesimo, Lucca, Benedini e Rocchi, 1827 ; in - 8. Esame critico della dottrina patologica del dottor F. G. Gei omini, discorso detto alla Società Medica di Livorno, Massa, Frediani, 1829 ; in - 8. 432 GIORNALE LIGUSTICO filosofiche si sforzò di richiamare Γ umanità a un principio solido e retto, che la guidasse al buono e al vero (i). Anche Lucca, sua patria adottiva , e dove pur troppo non gli mancarono crudeli amarezze, per pubblica soscrizione gli rizzo un monumento nel cimitero ; opera pregiata dello scultore Augusto Passaglia (2).' Nessuno, peraltro, de’ suoi biografi fa parola d’ una breve prigionia che ebbe a patire il 1823. Torna a onore di lui, e prova che fino dalla giovinezza mostrò quella intrepida indi-pendenza d’ animo, che non lo fece piegare giammai nè alle brutture dei tempi, nè alle ingiurie degli uomini e della fortuna. Era chirurgo al Borgo a Mozzano. Essendo stato messo a concorso dal Comitato di Sanità di Lucca l’uffizio di vaccinatore, fu tra quelli che si fece innanzi per ottenerlo. Non gli venne concesso ; anzi restò preferito uno che gli era inferiore, e di gran lunga, d’ingegno e di studi ; cosa non insolita sotto il reggimento de’ Borboni, dove tutto si faceva per favoritismo. Manuale di Ostetricia, Lucca, Benedini e Rocchi, 1837 ; in 12. Elementi di Patologia chirurgica, Lucca, Guidoni, 181 ; in - 16. Volumi quattro. (1) Del principio moderatore della Morale pubblica e della pubblica Salute, Lucca, Berlini, 1849 * ^S1 ; in - 8. Quattro volumi. Del principio moderatore della Salute e della Morale privata considerato nelle diverse classi e condi^oni sociali, Lucca, Fontana, 1852; in - 8." Due volumi. La scienza dell’ordine sociale, Italia [Lucca], 1^58 ; in 8. Due volumi. Del Pelliccia si trova pure alle stampe: Orazione in morte del proj. Giacomo Franceschi, detta nella solenne adunanza della R. Accademia dei Filomati il 20 dicembre 18)8 ; negli Atti della R. Accademia dei Filomati in morte del prof. Giacomo Franceschi, socio emento, Lucca, tip. Rocchi, 1839; pp. 3-15. Necrologia del prof. Luigi Pacini, Lucca, Bertini, 1855; in-8.° (2) Del Carlo E. Non sono morti, profili biografici, Lucca, tip. del Ser-chio, 1876; p. 147. giornale ligustico 433 Se ne tenne offeso, e con ragione, il Pelliccia, e con libere e fi anche parole espose al Comitato di Sanità il suo pensiero. « Un’ occhiata che io avessi gettata su tutti i me-» dici e chirurghi impiegati nei Dipartimenti delle varie » Comunità » (cosi scriveva, tra le altre cose) « bastava » a convincermi che io non poteva aver luogo nel regno » di Mida. D’altra parte, era naturale che succedesse ad » un chirurgo , con inaudito esempio, spatentato, un vac-» curatore degno del suo antecessore , e capace di rinnovare » gli stessi guasti nelle braccia dei teneri infanti ed ecci-» tare le medesime indignazioni nei loro genitori. Infine, se » io non era d’indole pregante, nè inclinato a baciare i » lembi delle vesti a coloro che si pascono dell’ ambizione 8 di conferire gli impieghi a quei miserabili che hanno la » debolezza di prostrarsi nella polvere, poteva io mai esser » vaccinatore ? » Queste e altre fiere parole che Γ illustre carrarese scriveva dal Borgo a Mozzano il 13 maggio del '23 infiammarono d ira il Comitato di Sanità. Il Presidente del Buon Governo ordino al Pelliccia che si recasse subito a Lucca. Obbedì. Gli comandò che si portasse dinanzi al Comitato a chiedere scusa di quelle parole ; ma a nessun costo volle piegarsi. Non valsero le preghiere, non valsero le minaccie. Fu preso e serrato nelle prigioni di S. Giorgio. Per nulla spaurito, rimase fermo, incrollabile , sereno. Il Presidente del Buon Governo, veduto che era assolutamente impossibile piegarlo a domandare perdono, venne a più mite consiglio : si contentò che il Pelliccia facesse una dichiazione che salvasse la vanità del Comitato, senza avvilire se stesso. Il 13 di giugno scrisse : « Eccellentissimi Signori. Il sotto-» scritto ritratta alcune espressioni irriverenti e lesive la di-» gnità del Comitato Sanitario, sfuggite in una lettera indiriz-» zata al Comitato medesimo per una posposizione che esso Giorn. Ligustico. Awio XXI1L 28 434 GIORNALE LIGUSTICO » non crede meritare, e protesta il massimo rispetto per il » Corpo Sanitario suddetto ». Lo stesso giorno gli venne aperta la porta della prigione. Giovanni Sforza. CENNI STORICI SUL CAPITOLO DELLA CATTEDRALE DI ALBENGA Capitolo Primo. 11 capitolo cattedrale di Albenga — Sue vicende. Dell’ origine dei canonici e dei capitoli cattedrali non è qui il caso di parlare; l’indole di questo brevissimo cenno noi consente. Giova soltanto premettere che, in molte diocesi d’Italia j si trovano già menzionati i canonici, co e reame dlnità capitolari, in documenti di data assai più remota di quella che, comunemente, si assegna dagli storici ecclesiastici, per precisare 1’ epoca in cui sorsero tali collegi presso le cattedrali e plebanie più importanti. Albenga, che e fra e più antiche diocesi d’Italia, dovette, ben presto, veder sorgere intorno alla sua cattedrale un corpo di canonici, che ne curavano il servizio e viveano vita comune. Secondo il Navone (i), lo stabilimento di un collegio di canonici in Albenga, in modo permanente, dovrebbe ascriversi a special merito del vescovo Frodonio e, precisamente, nell’anno 440· « Conoscendo egli, (i) Dell' Ingaunia, fase, terzo, pag. 78· GIORNALE LIGUSTICO dice il Navone, con Gaudenzio Vescovo di Novara suo amico quanto vantaggio apporterebbe alle anime il ripartimento della sua diocesi in parrocchie, alle quali destinò ecclesiastici illuminati e zelanti, come pure per officiare nella Cattedrale radunò un clero piuttosto numeroso, che ad esempio del grand Eusebio ridusse con edificazione a vivere in comune ». Puttioppo ciò non regge ad una sana critica ed anzi non è nemmeno certa l’esistenza di un vescovo Frodonio, che il Navone ammette sulla debole autorità del Bima, il quale però ne segna la morte all’ anno 398. Pare che nell’ anno 549 fossero già stabilite in Albenga le dignità capitolari, poiché si ha memoria di Vivenzio arcidiacono, che quale delegato del mitrato albinganese intervenne al concilio, tenuto in quell’anno in Orleans. Avvalora la congettura il modo con cui sottoscrisse Vivenzio, che si qualificò rappresentante del suo signore Ambrogio « episcopo al-bingensi ». Deve quindi ritenersi che si tratti di un vescovo albinganese, poiché il vescovo di Alby, in trancia , sempre fu detto episcopus albiensis non albingensis (1). Continua il Navone e, senza renderne note le fonti, dà il merito a Bono, vescovo d’Albenga, di avere, definitivamente, nel 680, ordinato il collegio dei canonici presso la sua cattedrale (2). Sarebbero eziandio opera di questo pastore il chiostro e casa per l’abitazione dei canonici, costrutti accanto alla cattedrale, e il primo corpo di statuti e di regole, colle quali doveano reggersi. Comunque sia la cosa, è certo che, prima del mille, doveva già esistere il capitolo dei canonici, con tutti 1 suoi diritti e preminenze. Nella donazione, fatta, nell’ anno 1076, dal vescovo Diodato ai monaci benedettini dell’abbazia di S. Pietro in Varatella, di un manso in Toirano, si (1) Op. cit. pagg. 119 e 150. (2) Op. cit. pagg. 129 e 150. 436 GIORNALE LIGUSTICO accenna chiaramente al consenso dei canonici, che sono indicati per classe e per nome. « Ideo laudatione nostrorum canonicorum, quorum nomina subtus leguntur: Hi sunt Valentinus archipresbyter majoris ecclesie et Obertus archidiaconus eiusdem, loannes presbiter et custos, Fulchus presbiter, Martinus presbiter, Petrus, Rufinns, loannes, Adam presbiter. Elefans, Villanus, Ingo, alter Ingo, Williermus, omnes isti diaconi. Obertus, Ogle-rius, Bellandus, Randulphus, Odo, Obertus, Enardus , omnes isti acoliti et subdiacones » (i). Cosicché, oltre le due dignità capitolari, i canonicati erano divisi in otto presbiterali, cinque diaconali e sette suddiaconali. È pregio dell’ opera rilevare come, in questo documento, l’arciprete ha preminenza sul-F arcidiacono , mentre , successivamente , vedremo , invece , comparire quest’ ultimo qual prima dignità del capitolo. In quasi tutte le successive donazioni, fatte alle chiese e luoghi pii dai vescovi di Albenga, sono menzionati i canonici, che, come di dovere, prestano il loro consenso. Alcune di tali liberalità sono fatte direttamente dal capitolo; valga, fra tutte, quella del 1225, colla quale i canonici, della cattedrale di Albenga, donarono le chiese di S. Maurizio di Villaregia e di S. Maria di Pompeiana, colle loro possessioni e pertinenze, al monastero di S. Stefano in Genova (2). Molte alti e possessioni e preminenze aveva il capitolo in vari paesi della diocesi, delle quali si dirà meglio a suo luogo, e tali diritti, in quei secoli turbolenti, furono occasione di frequenti guerie e discordie. Fra tutti i vassalli del capitolo, si distinseio gli uomini di Arveglio, recalcitranti sempre ad eseguire le loro obbligazioni verso la chiesa di Albenga, cosicché fu necessario venire a gravi misure contro di essi. Però, nel 6 ottobre 1275; (1) Navone, op. cit. pag. 204, Accame, Storia dell’abbatia di S. Pietio di Varatella, pag. 32. (2) Navone, op. cit. pag. 215. GIORNALE LIGUSTICO 437 si venne ad un compimento con cui Giovanni e Manfredino dei Conti di Ventimigiia, canonici della cattedrale di Albenga, e gli uomini di Arveglio fecero compromesso in Semenza de Semenzi e Mauro Cattaneo, dottori di legge, che pronunziarono lodo, registrato in atti del notaro Giacomo Briga, col quale condannarono gli uomini di Arveglio a far cavalcata, indifesa della chiesa di Albenga e a pagarle le decime (i). Le prebende, originariamente, come appare dalla donazione del vescovo Diodato, erano ventidue, dieci presbiterali, cinque diaconali e sette suddiaconali. Sino da antichi tempi, era riconosciuto al canonico anziano il diritto di optare per quella prebenda che si rendesse vacante; così, ad esempio, nel 13 giugno 1283, notaro Ciacorao Campi, Michele, canonico decano, dichiarò di scegliere la prebenda della valle d’Arosia, resasi, in quel turno, vacante per la morte del canonico Odino Albessano (2). In progresso di tempo furono ridotte a dodici le prebende e, successivamente, nell’epoca della formazione dei nuovi statuti, se ne fissò il numero in sette, comprese le due dignità capitolari (3). La terza dignità del capitolo, cioè la pre-positurale, sorse assai più tardi e, precisamente, nel 22 ottobre 1482, per opera del venerando vescovo Leonardo Marchese. Sulle istanze di Odino Rosso, arciprete della cattedrale e capellano della capellania Bonanato e di Bernardo Bonanato, patrono principale della stessa, il vescovo la eresse in prepositura (4). Veramente non mancano documenti, i quali accennano all’ esistenza di questa terza dignità capitolare in Albenga, sino da antichissimi tempi. E per fermo, nella donazione, fatta dal (1) Paneri, Sacro e vago giardinello ecc. voce Albenga. Archivio della curia vescovile di Albenga. (2) Paneri, luog. cit. (3) Documento in appendice. (4) Paneri , op. e luog. cit. 4?8 GIORNALE LIGUSTICO vescovo Adalberto, nel dicembre dell’anno 1123, alla chiesa di S. Nicolò di Diano, è menzionato Oberto, preposito (1) e di un altro prevosto Oberto si parla nella donazione del 1212, fatta dal comune di Albenga, al vescovo Enrico, ma di tale uffizio non si hanno ulteriori notizie, cosicché tutte le carte ed atti successivi accennano esclusivamente a due dignità, cioè Γ arcidiacono e Γ arciprete. Monsignor Luca Fieschi, nel 1582, distinse le prebende in sette presbiterali, quattro diaconali e quattro suddiaconali (2). Non si deve omettere che, in epoche successive, specie in occasione di visite pastorali, i vescovi, sopprimendo qualche piccolo canonicato, in chiese minori, ed altri benefìzi, che per Γ esiguità del numero e la modicità delle rendite a nulla riuscivano, ne unirono i proventi a quelli del capitolo. Il vescovo Costa, nel 1628 addì 20 ottobre, soppresse due canonicati in Andora e ne assegnò la rendita al capitolo cattedrale, in unione ad altri minori benefizi di molte altre chiese e cappelle (3). Pare che le condizioni economiche del capitolo , sull’ inizio del secolo XIV, non fossero troppo floride, poiché dall’atto, che porta la data del 4 gennaio 1313, riportato in appendice, risulta di provvedimenti presi per riparare a tale iattura. E, sopratutto, troppo scarsi essendo i redditi dell’arcidia-conato, fu deciso che l’arcidiacono fosse considerato quale canonico e conseguentemente, una delle prebende canonicali rimanesse unita a tale dignità, con facoltà all’ arcidiacono, come a tutti gli altri canonici, e secondo Γ anzianità, di poter optare per le singole prebende che si rendessero vacanti (4). Ugnale doveva essere la condizione dell’arciprete, lo dimostra (1) Navone, op. cit. pag. 209. (2) Paneri , op, e luog. cit. (3) Paneri , op. e luog. cit. Vedi pure documento in appendice. (4) id. id. id. GIORNALE LIGUSTICO 439 l’atto del 17 febbraio 1310, col quale i canonici, avuto il consenso del vescovo, concessero all’arciprete Emanuele, m considerazione dei servizi da lui resi alla chiesa cattedrale, di godersi, per tutta la vita, i proventi che il capitolo aveva in Coasco, Arvelio ed altri luoghi della diocesi (1). Morto Emanuele, la carica passò ad Oberto Albessano, già arciprete di 1 oirano, il quale, volendo sovvenire a tal penuria di entrate, nel 16 dicembre 1364, fece donazione di alcune sue possessioni situate nella pianura^di Albenga (2). Lunghe e spinose questioni ebbero a sostenere i canonici di Albenga coi irati di S. Domenico e di S. Francesco, a riguardo dei funerali che si celebravano nelle loro chiese. Dovette intervenire, per sedare le ire, 1’ autorità del sommo pontefice Nicolò V, il quale, nel 1448, incaricò il vicario generale della diocesi di prendere gli opportuni provvedimenti, valendosi anche delle censure ecclesiastiche, nonostante i privilegi dei frati, a salvaguardia dei diritti del capitolo (3)-Uguale contesa nacque, un secolo dopo, fra i canonici e lai-ciprete Giovanni Strata,frelativamente ai rispettivi diritti nei funerali, benedizioni degli sposi e delle puerpere e soltanto l’autorità di monsignor Buttignone, vicario generale del vescovo di Albenga, potè, nel giugno del 1548’ toglieila di mezzo (4). Causa eziandio di funeste dissensioni furono quei canonici, che, in buon numero, seguendo il pessimo costume de tempi, se ne stavano assenti dalle loro sedi, non d’altro curanti che d’intascare i proventi dei loro benefizi. Faro accenno a tre delle più importanti, che ebbero lungo ed involuto svolgi- ci) Paneri, op. e luog. cit. Vedi pure documento in appendice. (2) Documento nell’ archivio capitolare. (3) Vedi documento in appendice. (4) Paneri, op. e luog. cit. 440 GIORNALE LIGUSTICO mento e che determinarono Γ adozione di severi provvedimenti, da parte del capitolo, per sanare la cancrena e togliere tali parassiti dalla, vigna del Signore. La prima ebbe origine dalla condanna, in forti pene pecuniarie, dei canonici Guglielmo Baudano e Carlino di Giustenice, fatta da Emanuele, vicario capitolare, sede vacante, nel febbraio del 1306; l’altra si svolse nanti Raineri de Arborio, dottore di decretali, canonico di S. Lorenzo e vicario dell’ arcivescovo di Genova, iniziata da Melchiorre Multedo di Moneglia, altro dei vagabondi ca- O * D nonici della cattedrale di Albenga. Visti inutili i richiami e i monitori, il vicario vescovile, sull’istanza del canonico massaro, nel febbraio del 1387, pose sotto sequestro le rendite del suo canonicato. Comparve in Genova, a difesa del capitolo, il canonico Francesco Mignano, valente teologo e canonista O / o di que tempi, che presentò dottissime memorie , a sostegno delle ragioni dei canonici albinganesi, una delle quali porta la data del 4 marzo di quell’ anno ed è trascritta in atti del notaro Antonio Foglietta (1). La terza, finalmente, dibattutasi tra il capitolo e il canonico Benedetto Scorro, ebbe fine nel 15^5» grazie all’ intromissione ed ai buoni uffizi di monsignor Carlo Cicada (2). Non mancarono inoltre dissensioni e discordie con comuni e principi per tasse e balzelli che si volevano imporre sui redditi e beni del capitolo, nelle varie parti della vastissima diocesi; però fu pronto ed efficace il rimedio. Ricorsero i canonici al concilio di Basilea, ove era pure convenuto il mitrato albinganese Matteo del Carretto, e ne ottennero una lettera diretta ai vescovi di Savona e di Noli e al prevosto di S. Lorenzo in Genova, colla quale si ingiungeva ad essi di provvedere alla repressione di tali abusi, valendosi all’uopo Ό Documento nell’archivio capitolare. (2) Paperi, op. e luog. cit. GIORNALE LICUSTICO degli straordinari poteri loro concessi (i). Dal concilio di Basilea ripete il capitolo di Albenga il riconoscimento del-! antico suo uso di portare la cappa magna ed almuzia. « Nos igitur excellentiam et honorem Ecclesie vestre augeri cupientes htiiusmodi suphcatioiiibus inclinati vobis el successoribus vestris habitum ipsutn ut premittitur assumendi et prout vobis visum fuerit diversis anni temporibus capas et almutias huiusmodi dejferendi et dt nono introducendi plenam et liberam auctoritate universalis ecclesiae tenore presentitivi concadimus facultatem » (2). Ma le discordie partorivano effetti funestissimi, i beni e le mansioni erano lasciati in abbandono e i canonici non si curavano che d’intascarne le rendite. Dovettero perciò ricorrere al papa Sisto IV, chiedendo facoltà di vendere i beni sterili ed incolti e le case rovinate; il papa, nel 1467, delegò ogni opportuna facoltà al vicario vescovile (3). * » * Fecero parte, in ogni tempo, del capitolo cattedrale di Albenga uomini insigni per santità di vita e profondità di dottrina. Giova ricordare i nomi di Iacopo di Albenga, professore di gius canonico a Bologna e poi vescovo di Faenza (4), di Oberto Albessano, Francesco Mignano, Domenico Barbera, Pier Francesco Costa, Vincenzo Stefani, Giovanni Carezomo, Ambrogio Paneri, illustratore benemerito della diocesi, Gio. Agostino della Lengueglia, pittore paesista di non comune pregio ed altri molti, chiari anche per nobiltà di lignaggio e delle più cospicue famiglie genovesi. Vi furono anche aggregati ecclesiastici stranieri. Nel 23 maggio 1343, Guglielmo (i) Pergamena nell’archivio capitolare. (i) Documento in appendice. (3) Document? in appendice. 1 Accame, Notizie t documnli riguardanti le relazioni fra Genova 1 Ro- P»g. I)· 442 GIORNALE LIGUSTICO Andrea, parroco della diocesi di Narbona, rappresentato da Nicolò della Turca, canonico di S. Maria in Fontibus, è ricevuto quale canonico in Albenga (i). Nel 1523 addi 27 maggio, l’imperatore Carlo V, con suo rescritto, ordinò al vescovo e capitolo di Albenga di conferire il primo canonicato vacante al prete Dionisio Martini di Nizza, suo consigliere, incaricando di vegliare all’esecuzione di tal decreto, Γ arcivescovo di Colonia ed il vescovo di Nizza (2). Pur troppo ne fecero anche parte ccclesiastici indegni e, tra gli ahri, non si può lasciare in oblio quel Bonitacio Bamonte canonico e vicario di S. Margherita di Lusignano, percosso dalle più gravi censure ecclesiastiche, al quale si riterisce uno dei documenti pubblicati in appendice e della cui lurida vita il documento stesso non lascia travedere che una parte (3). Ed oltre a quanto nel documento si legge, pare che a lui debba pur darsi carico di un furto sacrilego di arredi e vasi sacri, perpetrato in quella sua chiesa di Lusignano, per cui si accese grave contesa fra lui e quei terrazzani, che ìli poi compromessa in Silvestro, abate di S. Maria e S. Martino della Gallinara, con atto che porta la data del 16 aprile 1344 (4)· E lontano accenno a costumi assai poco consonanti colla 11-servatezza e decoro, che dovrebbero essere propri d ogni ecclesiastico, contiene certamente il provvedimento preso d.u canonici nel 27 settembre 1369, di proibire, per lo innanzi, ogni invito a pranzi in occasione della solennità di S.JMichele, per togliere una consuetudine che viene qualificata « pessimam corruplelìam » (5). (i j Pergamena nell’ archivio capitolare. (2) Pergamena nell’ archivio capitolare (3) Documento in appendice. (4) Pergamena nell’ archivio capitolare. (5) Vedi gli statuti in appendice. GIORNALE LIGUSTICO 443 Dello zelo dei canonici verso la casa di Dio non rimangono molte traccie. h pervenuto sino a noi un convegno fra Lorenzo da Chiavari, canonico massaro, e Francesco pictor sanctorum de lamia, col quale il pittore si obbliga a « facere laborare unam coneam magnam altaris maioris dicte ecclesie sancti Michaelis bene et diligenter el subtili pictam ad aurum fintim et aratrum fintini cum aliis coloribus bonis el sufficientibus .... in qilaquidem conea sint castelli septem depinclis ad illas ymagines quas sibi dicet et mandauisset dictus massarius....... sit castellum in medio et alii castelli aliquantulum maiores cum duabus co-lumpuis pulcerrimis depinclis ad aurum et laborem pulcrum » e ciò per il prezzo di cinquanta fiorini in oro (i). Pare certo, come ritiene pure il Rossi, che questo pittore non sia altri che quel Francesco di Oberto, ricordato dallo Spotorno, nel secondo volume della Storia Letteraria, di cui si ha una tavola del i ?6S, già di proprietà del professore Mongiardini. Di altre pitture antiche della cattedrale si ha pure memoria. Il Rossi ricorda il testamento di Giovanni Maixia del 1271, che vuole essere seppellito nella chiesa cattedrale iuxta murtim ubi est pictura S. Antonii (2). Manuele Cepolla, nobile cittadino di Albenga, con testamento del 1345, legavit sepeliri in ecclesia Sancii Michaelis de Albingana, iuxta altare Sancti Michaelis ittici sus loculi1 ubi est Eucharistia, et in dicto loco ordinauit fieri per heredes suos imago domini nostri Ihesu Christi prout fuit crucifixus cum picturis beati Ioannis Evangelisti ab una parte et ab alia parte imago beate Marie Virginis el beati Ioannis Baptiste et inferius ad pedet crucifixi imago dicli testatoris, que imagines fieri debeant di gesso cutn picturis decentibus in quibus expendatur usque in quantitate librarum I. lamie ο (3). Nel 1444 i canonici conven- ti; Documento in appendice. (ì) Storia ài Albenga, pag. 121. (31 Documento nell'archivio capitolare. 444 GIORNALE LIGUSTICO gono coi fratelli disciplinanti di S. Caterina affinchè all’altare di S. Caterina, protettrice della congregazione, « constituta et edificata ac reposita sit una maies las nova pillerà et compelcntis valoris o (i). Della biblioteca capitolare si hanno poche memorie e ancor più pochi avanzi. Nel 1455 Emanuele Moreno lasciò lire 25 alla cattedrale « pio emendo missale unum vel alium librum cuius indigeat dicta ecclesia » (2) e qualche anno innanzi Pietro Rossano le aveva legato cinquanta fiorini d’oro per 1’ acquisto di una bibbia. Essa è tuttavia di proprietà del capitolo. È un manoscritto membranaceo , della prima metà del secolo decimoquarto, miniato e alluminato con interessantissime lettere istoriate e fregi di fogliami e code con figurine e grotteschi ed è lavoro italiano, comprato a Genova nel 1416. In essa si legge: « M.CCCCKVI die XI tnaji in latina ego Berthotius de Costarne'ana de valle Tarii nomine et vice ecclesiae Albingae emi hanc Bibbiam a dn0 Adatto Centurione pro pretio fior enor um quinquaginta in auro quos numeravi Io. Baptistae filio dicti Adatti in apotheca Nichelai Manicheri seaterii et batic commissionem feci ex commissione tnihi data per d"um Gasparem Ame-rium canonico et massario ipsius ecclesiae Albingae soluente pro herede q. Petri Rosani de Albingana qui dictam Bibbiam prefatac ecclesiae ligavit pro anima sua quae in pace requiescat. Amen ». Si ammirano inoltre i seguenti volumi che figurarono all’esposizione di belle arti in Torino nel 1880 e che sono così descritti : i.° Salterio ms. membranaceo in fol. del secolo XIV volume ornato di molte iniziali miniate e dorate, di letterine istoriate e di fregi e code a mostri grotteschi allungantesi sui margini. 2.° Frammento di messale ms. memb. in fol. secolo XV XVI. Esso è di scrittura gotica massima, ha belle iniziali istoriate, contornate di (regi a fiori ed a fogliami di (1) Documento nell’archivio capitolare. (2) Documento nell’archivio capitolare. GIORNALE LIGUSTICO 445 vivi colori e di oro brunato. Il messale apparteneva al vescovo Leonardo Marchese di Albenga, del quale porta lo stemma. 3.0 Breviario ms. memb. in fol. sec. XV-XVI. Volume con iniziali istoriate e fregi miniati, appartenuto al vescovo Leonardo Marchese, del quale porta lo stemma. 4.0 Messale ms. memb. in toi. di carte 324, sec. XV-XVI. Volume con fregi miniati e dorati ed iniziali istoriate, portante l’arma del vescovo di Albenga Leonardo Marchese. Possiede inoltre il capitolo il Salterio di Bartolomeo Bonfante, dovuto alla munificenza di Giovanni Rodino, il martirologio di Usuardo monaco, scriptum anno 1460 a die 10 maij ad dim I.a septembres e non pochi libri dei primi anni della stampa fra i quali non posso tralasciare la Stimma Angelica de casibus conscientiae. B. Angeli di Clavasio stampata a Chivasso nel i486, la Pratica Valesci de Tarante senza data, e le Costituzioni Clementine, stampate in Parigi nel 1512 presso Giovanni Barbier. A tutto ciò si aggiunga un’ infinita quantità di pergamene con diplomi di principi, bolle e brevi di papi e di concili, tesori preziosissimi che, con colpevole trascuranza, erano tenuti negletti in un angolo della sacristia, in balia dell’ umidità ed oggidì, furono riordinati e messi in luogo più degno, grazie alle cure dell’ottimo canonico D. Leone Raimondi, al quale, a nome di tutti gli studiosi, ne rendo qui pubbliche grazie. Capitolo Secondo. Diritti e privilegi del capitolo cattedrale di Albenga. Ho già accennato a molti diritti e possessioni del capitolo di Albenga, nelle varie parti della diocesi; or qui cade in acconcio parlarne alquanto più diffusamente, colla scorta di alcuni documenti importanti per la storia locale e che gettano molta luce sulla vita intellettuale e morale di que’ tempi. 446 GIORNALE LIGUSTICO Molte delle chiese della valle di Albenga erano afflitto di- , pendenti dal capitolo, il quale nominava i ministri che do-veano reggerle. Sino dal secolo decimoterzo si trovano prove di questo predominio; nel i 0 marzo 1285 Manfredo Cepolla, vicario generale, ordina a Gabriele Piato, notaro, di consacrare, con atto solenne, la deposizione del prete Giacomo Zignago, dalla carica di ministro della chiesa di S. Stefano in Cava-torio ed in luogo suo viene eletto Francesco Caneva, concorrendo nell’elezione Egidio Botello arcidiacono, Borello arciprete, Enrico, Lanfranchino e Bernabò di Negro e maestro Aicardo canonici (1). E nel 1297, sotto la data del 27 aprile, l’Aicardo suddetto, in quel tempo arcidiacono, accetta la rinunzia , fatta dal procuratore del vicariò di S. Antonino di Casanova, e ne conferisce il governo a Tommaso Gagino (?.). Questi diritti e possessioni presero largo sviluppo, dopo la donazione fatta dal vescovo Nicolò Vascone, nell’ ottobre del 1301, di tre parti ddle decime della pianura di Albenga, con molte terre e case, allo scopo di istituire, nella cattedrale, due capellanie (3). Alcuni dei borghi della valle di Albenga erano, anche nel temporale, sotto il dominio del capitolo, Curenna, fra gli altri, che fu dai canonici venduta al comune di Albenga, rappresentato da Fazio Barile, abate del popolo, con atto che porta la data del 13 novembre 1302 e per il prezzo di lire trecento, moneta di Genova (4). Preminenza e giurisdizione aveva inoltre il capitolo in Trovasti ed altre ville, le quali furono, più tardi, vendute al nobile Emanuele Cepolla (5). Ma, ciò malgrado, pare che i redditi delle singole (1) Documento Dell’archivio capitolare (2) Documento nell’archivio capitolare. (3) Documento nell’archivio capitolare. (4) Cottalasso, Saggio storico di Albenga, pag. 165. (5) Documento nell’ archivio capitolare. GIORNALE LIGUSTICO 447 prebende fossero esigui assai, cosicché, il 3 gennaio 1323, il vescovo Emanuele Spinola « attendens paupertatem, necessitatem ac euidcntem utilitatem ecclesie et capituli albinganensis » uni al capitolo stesso le chiese di S. Margherita di Lusignano, S. Metano di Massaro, S. Stefano in Cavatorio, SS. Giacomo e Cristoforo di Salea, S. Antonino di Casanova, S. Silvestro di Ortovero e di S. Maria e S. Dalmazio di Arnasco. Una parte, però, dei redditi di tali chiese dovevano essere riservati per il mantenimento di un vicario per ciascuna di esse, ohe vi celebrasse i divini uffizi e amministrasse i sacramenti (t). Tale unione non dovette troppo sorridere ai canonici poiché, come si vedrà, soltanto dieciasette anni dopo diedeio il loro assenso. Largo pure di benefizi fu il vescovo Federico, de marchesi di Ceva, il quale, considerando la tenuità dei redditi dell’ arcidiaconato e « attendens destructionibus dii uptionibus . dilapidationibus quas substinnit ecclesia sancte marie de ponte longo et hospitale eiusdem propter guerram temporibus retroactis nec non considerans graui lessione quam in spiritualibus ac temporalibus passa est dicta ecclesia propter malam gubernationem et admini stracionem prioris et canonicorum ecclesie memoiate » assegnò la detta chiesa e sue rendite all’ arcidiacono, onerandolo però di annue lire cinquanta genovesi, a vantaggio dei po\ eri di quell’ospedale. Ciò accadde il 2 febbraio dell’anno 1330 (2). Fu appunto in quell’ anno che i canonici si deciselo di rati tìcare l’unione al capitolo delle sette chiese ()). Pur tioppo tale provvedimento non diede buoni frutti, un anno dopo cominciarono le discordie ed il 18 ottobre, Carlino di Giuste nice, vicario vescovile, fu costretto a spiccar precetto contro i massari di S. Stefano in Cavatorio di Villanova , riluttanti ( 1 ) Documento in appendice. 1 Documento nell’ archivio capitolare. 3) Documen^ nell’archivio capitolare. 448 GIORNALE LIGUSTICO al pagamento di sei stari di grano ed avena, decima dovuta all arcidiacono (i). I vicari, deputati al governo di quelle chiese, le tenevano in modo deplorevole, ben lungi da quel decoro che dovrebbe regnare nella casa di Dio. Vero è che per lo più la scelta cadeva su persone indegne del santo mi-nisteio dell altare, fors’anco per colpa dei canonici medesimi, intesi a soverchio lesinare sui redditi che erano riservati pel sostentamento dei vicari. Gravi e turpi fotti ci ha rivelato il documento, riguardante il Bamonte, vicario di Lusignano ; fatti non meno gravi ci svela un’ altra carta che porta la data del 30 maggio 1343. Era avvenuta una visita delle sette chiese, fatta da Guglielmo arcidiacono e dall’ arciprete Oberto, visita che mise in luce enormezze incredibili, le quali necessitarono gravi provvedimenti. Fu condannato Giacomo, vicario di S. Stefano di Villanova in soldi trenta di multa perchè, in liete brigate, andò a nozze ed in soldi venti per irregolarità commesse nell’ amministrazione del battesimo. 1 eneva costui persone sospette, d’ambo i sessi, nella casa canonicale cadente in rovina, sprovvisto di messale e breviario, incurante dei divini uffizi e di tal ignoranza da non saper proferire le parole della consecrazione. La chiesa era tenuta a guisa di stalla e si rinvenne rotto ed inservibile il tabernacolo della SS. Eucarestia!! « Monetnus tutti sub poena excomunicationis quod debeat aptasse seu aptari jecisse ubi ponatur corpus christi bene et decenter in quodam armartelo ... item monemus.... quod ipse usque ad annum unum debeat emisse breuiaritim unum secundum curiam rotnanam, item eodem modo monemus eum quatenus reficiat et refici faciat domos et canonicas ecclesie predicte el expelli faciat de dictis domibus laicos et laicas personas.... item eodem modo quia nesciuit quibus verbis CONSECRATUR SANGUIS DOMINI SUSPENDIMUS EUM AB OFFICIO ». ( I ) Documento nell’ archivio capitolare. GIORNALE LIGUSTICO 449 Ne migliori si rinvennero le condizioni delle altre vicarie ; il prete Filippo peccava delle stesse magagne « monemus eum sub pena excomunicationis quatenus patenam sui calicis refici facial inira mensem unum. » rifaccia il tabernacolo « pro custodia corporis christi... et condempnamus eum quia ordinate non utitur neque debito modo verbis consecrationis sanguinis christi iu soldos XX ». Continua Γ inquisizione e si rinnovano gli scandali. In Ortovero, i canonici trovano il vicario di S. Silvestro , occupato in giulive brigate ed impeciato in turpi bagordi di osteria, sprovvisto di messale e colla chiesa che difetta di luogo decente ove si possa riparare il SS. Sacramento. La stessa scabbia era appiccicata a Nicolò, ministro di S. Maria in Arnasco, pubblico concubinario, il quale viene condannato a ricostrurre il tabernacolo, provvedersi dei libri necessari, sospeso dall’ uffizio propter defectum sacramenti » ed * n monito perchè, sotto pena di scomunica « concubinam dimittat et de domibus ecclesie abiiciat «. Uguali provvedimenti sono presi contro Giacomo, vicario di S. Stefano di Massaro e contro il prete Marino di Salea, che è pur sospeso dalla carica « quia ignora! verba consecrationis!! » (i). Erano questi i ministri dell’altare che dovevano riuscire d’esempio alle moltitudini, dirozzare ed edificare il popolo, ridurlo a migliori e più gentili costumi cd avviarlo in quella via che mena a curare con affetto e predilezione le cose di Dio ! Pur troppo tali sono i frutti di que’ tempi, in cui i benefizi erano in mani di persone indegne, per ogni dove vaganti, incuranti dei gravi doveri inerenti alla loro carica ed alla santità della sublime missione del sacerdozio. Nè i provvedimenti, per quanto severi, giovavano , poiché non valevano a togliere le cause del male ; cosicché continuavano le liti, gli scandali, le scomuniche e le sospensioni, brevemente interrotte da qualche momentaneo (i) Pergamena nell’archivio capitolare. Giorn Ligustico. Anno XXIII. 450 GIORNALE LIGUSTICO componimento, dovuto piuttosto ad intromissione di autorevoli persone, che a salutare resipiscenza. Nel 28 gennaio 1368 Ughetto di Bozolo, arcidiacono e il prete Ambrogio Ferrari, vicario di S. Stefano in Cavatorio, grazie ai buoni uffizi di Lorenzo Cafiarena, vicario vescovile, compromettono in lui tutte le loro differenze (1). Invalse perciò l’uso di dare le rendite e proventi in locazione e, nel 16 maggio 1391, il capitolo concesse al prete Serafino Mognano le decime del del luogo di Viano e un quarto di quelle di Cisano, escluse le decime di Leca e Massaro, per lire sei di Genova, ogni anno (2). Mei secoli seguenti tali contratti si fanno più frequenti , finché nel secolo XVI vengon meno le pretese di preminenza sulle ville di Leca, Casanova, Lusignano e Salea e, nel successivo, quelle che ancor rimanevano al capitolo su Cenesi, Villanova e Conscente (3). L’ archivio capitolare contiene moltissimi documenti, relativi a tali controversie e concessioni, che troppo lungo sarebbe esaminare ed in ordine alle quali, gioverà conchiudere che, col progresso de' tempi e la riforma del clero, venendo meno tali temporali pretese, cessarono pure gli scandali e gli abusi e si ebbero ministri degni della loro missione e pari alla nobiltà degli uffizi, ai quali erano deputati. Capitolo Terzo. Statuti e Cerimoniali del Capitolo di Albenga. 1 canonici vivevano vita comune e tuttora esistono, accanto alla cattedrale, gli avanzi del chiostro un di da essi abitato. (i) Documento nell’archivio capitolire. 2) Documento nell’archivio capitolare. (3) Cottalasso, op. cit. pag. 161. GIORNALE LIGUSTICO 45 I t quindi naturale che, per il buono governo di tale comunione fossero necessarie norme e regole, da essi stessi approvate, dietro sanzione del vescovo. Degli antichissimi statuti del capitolo nulla si sa, essi durarono in vigore sino al 13 gennaio 1313. Pare che quelle regole non fossero più in relazione allo spirito de’ tempi e qnindi il più volte ricordato vescovo Emanuele Spinola, supplicato dai canonici, le annullò, concedendo ad essi facoltà di compilarne altre (1). Intervennero a quest’atto, forse come consiglieri, Gotifredo Spinola di Lucoli, consanguineo del vescovo, arcidiacono della metropolitana di Genova e Montano Vacca, prevosto di Porto Mau rizio. Si accinsero i canonici all’opera e, nel 1313 addi 3 ottobre, convennero nel castello della Pietra, residenza favorita dei vescovi di Albenga in que’ tempi, Guglielmo arcidiacono, Emanuele arciprete, Bertolino Silva e Giovanni canonici, in rappresentanza di tutto il capitolo, e quivi dal vescovo, in presenza del sullodato Gotifredo Spinola, di Manuele, parroco della chiesa matrice di S. Nicolò della Pietra e di Gravio Spinola, furono approvati i nuovi statuti e registrati nei protocolli del notaro e scriba vescovile, Guglielmo di Toirano. Constano di un proemio e di 24 rubriche e cioè: De numero canonicorum. De distinzione prebcndarum. De diunione camerarum. Ut prebende dominici et anselmini ad mensam capitulireuertantur. De bursa communi capituli. De massario constituendo. De optatione preben'darum et camerarum. De iurandis statutis. De tenendo secreta capituli. Qnod mense communi medietas primi anni applicetur. (I) Documento in appendice. GIORNALE LIGUSTICO De consignanda parte massario et quod nullus parcat super reliquo. De restitutione prebende facienda ab herede premortili De stando in studio generali per septennium. Ut nullus accipiatur in eclesia ad beneficium nisi sii clericus secui aris. De horis canonicis. De oblationibus distribuendis. De ponendo priuilegia et statuta ecclesie sub claui. Ouod capitulum in reffectorio conuocetur. De constituendis sacrestanis et officio eorum. De conuertenda parte in utilitate camerarum. De capellanis in ecclesia instituendis. De consignanda parte per capellanos massario. De horis canonicis. Ut capellani obediant capitulo. Si stabiliscono in numero di sette le prebende canonicali, comprese le due dignità, e tali prebende sono minutamente descrittte ed assegnate, come pure le camere dei singoli canonici, nel chiostro della cattedrale. Vengono presi provvedimenti a riguardo delle prebende dei canonici Domenico, Guglielmo e Cepollino e si stabilisce « quod in ecclesia albinganensis sit et esse in perpetuo bursa siue mensa comunis que nocetur bnrsa ». Sono minutamente descritti e stabiliti i diritti e doveri del canonico massaro e riconosciuto l’antico diritto'ai canonici di optare per le prebende che si rendessero vacanti. È fatto obbligo a ciascun canonico, ctim primo potierit prehendam, di giurare l’osservanza degli statuti e di tener secrete le deliberazioni capitolari. Tutte le carte del capitolo debbono essere rinchiuse in un forziere, munito di due chiavi, l’una sarà custodita dall’arcidiacono, l’altra dall’arciprete. Il capitolo dovrà essere convocato nel refettorio comune col solito ordine e i capellani dovranno essere sottomessi al capitolo. Finalmente, importantissima disposizione, è concessa facoltà a eia- GIORNALE LIGUSTICO 453 scun canonico di rimanere per sette anni continui a Bologna, allo studio generale, seguitando a fruire dei redditi della sua prebenda. Queste sono le principali disposizioni di tale statuto. Credevano i canonici albinganesi, di avere, con tali regole, provveduto ad ogni eventualità, non tardò Γ esperienza a toglier loro ogni illusione. Le liti e gli scandali, originati dai canonici assenti e vagabondi e Γ insubordinazioni dei capellini resero necessari nuovi provvedimenti. Ricorsero al vescovo Federico, il quale allora tenea sua stanza nel castello della Pietra, ed ivi si adunarono Guglielmo arcidiacono, Carlino di Giustenice e Giovanni dei conti di Ventimiglia canonici, deputati dal capitolo e, con atto ricevuto dal notaro vescovile Guglielmo di Toirano, che porta la data dell’8 novembre 1335, furono approvate le nuove aggiunte agli statuti, le quali riguardano specialmente i canonici assenti, che si obbligano a rendersi al capitolo, personalmente 0 per mezzo di procuratore, il giorno della solennità di S. Michele. Fu stabilito che la terza parte dei redditi delle loro prebende fosse devoluta a benefizio della chiesa. Volendo il capitolo por freno alle frodi di molti canonici, che sotto pretesto di stare allo studio, facevano scorribanda in ogni parte d’Italia, si dichiarò che dovessero vivere a Bologna od in altra parte in cui losse studio generale. Furono poi presi vari altri provvedimenti per le capellanie, il buon governo dei beni del capitolo e per gli arredi sacri. Dal complesso di questi nuovi statuti pare che, ancor in quell’epoca, vivessero i canonici in comune, ciò che fa singolare contrasto coi capitoli di altre cattedrali, che sul finire del secolo decimoterzo, ed anche prima, rinunziarono alla comunione, abbandonando i chiostri per vivere, a bell’ agio, separatamente. Nel 1360 il vescovo ed il capitolo, volendo togliere di mezzo voraginem usurarum, stabilirono gravi pene contro i sacerdoti, « qui usurarios ad ecclesiasticam sepulturam admisserint ». -154 GIORNALE LIGUSTICO Durarono gli statuti in vigore per ben due secoli, ma, nel 1535, si resero necessari nuovi rimedi per riparare alla turbolenza dei capellani. « Capdlani diete ecclesie non se habeni prout eos decet circa divina officia » ; ed anzi erano in continuo contrasto con le dignità del capitolo. Furono, adunque, dal capitolo, composto di Pier Francesco Costa arcidiacono, Antonio Bonanato prevosto, Pier Battista Giorgi, Francesco Ce-pollini, Domenico Cepollini, Guglielmo Vio, Battista de Bertis e Gerolamo Folco canonici, nel 24 marzo 1535, date nuove disposizioni, che, nel 19 novembre, furono approvate da G. B. Fiesco vicario generale. Ma ciò non valse a far cessare gli abusi. Nel 1552 giunse in Albenga Giovanni Maria Butignone, vescovo di Sagona, visitatore apostolico. Eccitati da lui, si radunarono il 3 giugno e nei giorni successivi, i canonici ed, in assenza dell’ arcidiacono, intervennero al capitolo Antonio Bonanato prevosto, Domenico Barbera, Benedetto Roero, Pietro Ricci, Gerolamo Fossati, Giacomo Rolandi e G. B. Anfosso. In quelle radunanze furono adottati nuovi provvedimenti sul modo di regolarsi in chiesa, prescritto l’abito clericale nelle funzioni religiose, fu regolato il canto corale e date norme per imporre un devoto contegno in coro ed imposto che « omnes in dieta ecclesia officiantes clericam in capite rasam seti renovatam habeant ». Si precisarono le attribuzioni e i doveri del canonico massaro e dei sacrestani. Questi statuti, che contengono buon numero di rubriche, furono raccolti in atti del notaro Agostino Degregori ed approvati, nel 29 ottobre 1556, dal cardinale G. B. Cicada, amministratore della diocesi, allora dimorante in Sampierdarena. Con queste ultime disposizione si chiude il libro degli statuti del capitolo , che gentilmente mi fu favorito in comunicazione » (r). (1) Libro degli Statuti del Capitolo. GIORNALE LIGUSTICO * * * Quando alla vera grandezza e nobiltà di sentire si sostituì il fasto e l’albagia spagnuola, sorsero presso di noi strane pretese di privilegi e cerimoniali prima mai intese. E fin dove possa giungere l’umana vanità ci è dimostrato da una convenzione del 25 aprile 1785; stretta tra il capitolo ed il comune di Albenga, colla quale viene determinato con quali differenti segni si dovessero annunziare 1’ agonia e la morte dei cittadini, secondo il ceto cui appartenevano, e quali precise norme si dovessero seguire nella celebrazione dei funerali (1)· È nota agli studiosi la grave contesa, sorta nel 1753 ’ ^ra Mons. Costantino Serra, vescovo di Albenga e la Repubblica di Genova, a riguardo della sedia che teneva il Commissario della Repubblica, nella chiesa collegiata di S. Remo. Questa controversia fu definita dal papa Benedetto XIV, con norme che egli stesso dettò e che vennero senz’ altro eseguite e che io ho riferito nei documenti. Tale risoluzione fece nascere il desiderio nei reggitori genovesi di regolare pure il cerimoniale nella cattedrale di Albenga, alla stregua degli ordini del papa. Già ai tempi del vescovo Giuseppe De Foinari, il commissario Giulio Saluzzo aveva fatto collocare la piopria sedia in luogo acconcio, presso la cattedra vescovile, ma il vescovo, senza por tempo 111 mezzo, interdisse 1 aitar maggiore e si dovette togliere la sedia (2). Nel 1777 > 'n occasione della solenne incoronazione di N. S. del Pontelungo, nacque pure grave dissensione fra i Sei del governo ed il capitolo , circa il cerimoniale e furono deputati quattro soggetti per parte per riuscire ad un modus vivendi di comune soddisfazione; ma (1) Rossi, op. cit. pag. 326. (2) Archivio municipale di Albenga. Capìtoli e Cerimoniali coi Canonici. 45 6 giornale ligustico protestarono i Sei, che, con ciò, non intendevano essere pregiudicati nei joro privilegi e preminenze (i). Iniziarono adunque i governanti genovesi la pratica, con molta cautela e con lettera del 19 gennaio \η(>ο, chiesero gli opportuni schiarimenti al commissario e cioè: « di tulio quello si pratica in Albenga di cerimoniale a riguardo nostro nelle fan-ìiom della Chiesa ; cioè dove sia si trova la vostra sedia.... chi venga a ricevervi alla porla, chi vi presenti V acqua benedetta..... dove su siiiiata la Cattedra del Vescovo, e facendo formare un tipo del Sancta Sanctorum del Duomo 0 sia Cattedrale; il tutto però con la m.ag/* segreteχα. o destre&a, in modo che niuno ■ raspiri la presente incombenza (2). Rispose il giusdicente lagnandosi che il luogo assegnato alla sua sedia era indecente, disdicevole alla carica, per cui ufficialmente non si era mai recato in cattedrale e soggiungeva essere impossibile riuscire ad un accordo, stante l’ostinazione dei canonici e del consigliere del vescovo : « è questi di natura placida e quieta, ma non e d indole eguale chi lo regge e consiglia ». Si ricorse ad uno strattagemma; improvvisbmente, in ora acconcia, essendo deserta la cattedrale, il commissario fece rimuovere di « poco spatio » la cattedra vescovile, avvicinandola all’aitar maggiore, e collocarvi accanto la sedia del giusdicente, con ta\olato di poco più basso di quello in cui posava la cattedra de! vescovo. Ma troppo buon giuoco avevano il vescovo ed i canonici; nella notte, la sedia fu tolta e trasportata sulla piazza di S. Michele, con grande delizia dei monelli e di tutti gli sfaccendati. Il vescovo volendo « poner freno ad attentati sì temerari » fulminò la scomunica contro chi, in avvenire, tenesse accingervisi e, quantunque i canonici avessero concesso di aprire una tribuna, che, dal palazzo del governatore, riu- 0 Archivio municipale di Albenga. Capitoli e Cerimoniali coi canonici. '2) Documento in appendice. GIORNALE LIGUSTICO 457 sciva nella cattedrale, la fece chiudere con un tavolato, ciò che tu causa di gravi amarezze fra lui ed il commissario (i). Con tali ripicchi e meschinità si giunse sino all’anno 1780; ina in quell epoca, volendo la Repubblica por fine a tale pratica, instò perchè il governatore Antonio Bracelli ottenesse dal capitolo 1 assicurazione di uniformarsi alle disposizioni di Benedetto XIV. Mentre pendevano le trattative, il giorno della festa dei Corpi Santi, i Consoli e Consiglieri fecero porre un tavolato con gradini nella cattedrale e collocarvi sei sedie a bracciuoli, con fascia di damasco, di cui pure era coperto il genuflessorio, per P uso della magistratura civica, con l’assistenza di sei soldati muniti di archibugio (2). Di qui nuove censure e scandali, finalmente l’accorto Bracelli, abilmente destreggiandosi, potè ottenere dal capitolo una provvisoria dichiarazione, con cui si adottava il cerimoniale stabilito da Benedetto XIV, salvo a provvedere in modo definitivo e sentito il parere del vescovo. Seguitarono le trattative per giungere ad una conclusione definitiva, ma esse tanto dura-rarono che diedero agio alla rivoluzione francese di sopraggiungere a tor di mezzo cerimoniali e cerimonieri. (Confinila) Aw. P. Accame. LO STORICO DI ARCOLA F. IL SUO AVVERSARIO Il 25 novembre del 1890 cessò di vivere in Arcola il dott. Pietro Fiamberti, che toccava il suo ottantesimo quarto inno di età, essendo venuto al mondo il 14 ottobre del 1806; e Arcola, grosso castello in Val di Magra, feudo un tempo (1) Documento nell’archivio municipa’e di Albenga. (2) Documento nell'archivio municipale di Albenga. 458 GIORNALE LIGUSTICO de’ progenitori degli Estensi, de’ Marchesi di Massa e de’ Malaspina, e che appunto da’ Malaspina, il 1278, fu venduta a’ Genovesi ; Arcola pianse a doppio titolo il Fiamberti ; buon medico, che consumò la vita nel curare gl’infermi, mettendo nell’esercizio della professione sua la diligenza e l’amore più grande; lo pianse perchè ne aveva scritta la storia. Nella giovinezza il Fiamberti, mosso dal caldo amore che portava al paese nativo, pubblicò a Chiavari, nel 1835, i Cenni storici del Comune d’Arcola; volumetto di cinquanta pagine, compilato sui libri, senza alcun sussidio di documenti, e sprovveduto affatto di critica. L’autore ha però il merito di aver corredato il monco e sterile racconto delle vicende politiche con alcune notizie sui valentuomini fioriti in Arcola, sulle pubbliche istituzioni di cui è ricca, e sulle produzioni di quel territorio. L’operetta incontrò il gusto de’ conterranei, e il Fiamberti se ne compiaceva; quando ecco che un bel giorno gli viene spedito un grosso quaderno, contenente un’ amara e mordace critica del suo lavoro. Fu un colpo al cuore per lui, e preso dalla stizza rimandò indietro Γ odioso scartafaccio, scrivendoci in cima: E incompetente qualunque critica non pubblicata. Di quell’ idea infelicissima se n’ ebbe a pentire. Pochi mesi dopo quello scartafaccio gli tornava dinanzi, convertito in un libretto di sessantasei pagine, impresso a Genova, col titolo: Osservazioni critiche di Pietro Righetti sui Cenni storici del Comune d’Arcola del dott. Giovanni [sic] Fiamberti (i). Il Righetti, nativo di Pugliola in quel di Lerici, gii segre- (1) Cenni sierici |j del Comune £ Arcola || del Dottori || Pietro Fiamberti || Chiavari || dalla Stamperia di V. Botto. || 18)5; in-8.* di pp. 50. Osservazioni 1) critiche || di Pietro Righetti || sui || Cenni storici del Comune d’Arcola || del Dottore || Giovassi [sic] Fiamberti. || Genova β dalla tipografia di L. Pellas j Con permissione; in-8.* di pp. 66. GIORNALE LIGUSTICO 459 tario del Cardinale Alessandro Giustiniani, poi maestro per tredici anni nel Collegio della Spezia e finalmente professore di retorica nel Ginnasio d’Albenga, anche da vecchio ricordava con compiacenza quel suo scritto giovanile; e per provare che in fin de’ conti aveva qualche pregio, diceva che a Genova si trova nella Biblioteca Civica, e che P ing. Carlo Promis l’ha citato nelle sue Memorie deli’antica città di Luni. Il conservarsi un libro in una Biblioteca da quando in qua è divenuto un passaporto per la gloria? 0 che le Biblioteche comprano soltanto i libri buoni, utili, ben fatti? Se fosse cosi, sarebbe un gran mestiere difficile quello del bibliotecario! Della citazione del Promis, peraltro avrebbe avuto ogni ragione il Righetti d’andarne orgoglioso, se l’illustre archeologo non P avesse fatta per un motivo che non so qùanto onore rechi al critico del Fiamberti, quello di dimostrare che un’ iscrizione romana che il Righetti dà per genuina, e la stampa lui per il primo, è invece una manifesta impostura! Il Righetti vagheggiava allora il disegno di scrivere la Storia della Lunigiana, ma ne depose il pensiero, giudicandola «fatica ingloriosa, e ardua per penuria di documenti ». Che sia a ingloriosa » l’ha a dir lui; come ha a dir lui che per scriverla mancano i documenti. Se confessava invece con schietta franchezza che quel genere di studi non era fatto per lui, coglieva nel segno. Del resto, il Righetti fu buon conoscitore della lingua latina, e uomo di gusto, e possedeva poi l’arte non facile di sapere insegnare, e insegnar bene. Massa di Lunigiana, io ottobre 1898. Giovanni Sforza. 460 GIORNALE LIGUSTICO ILL.MO SIG.R DIRETTORE DEL GIORNALE LIGUSTICO Da un codice manoscritto di 262 pagine in 8.°, acquistato da questo Comune nel 1890 e intitolato Li Saggi Liguri di Antonio Maria Villavecchia genovese, Napoìi 16S2: distinto col N.° 1016 G. dell’Archivio Civico, tolgo la seguente nota la quale, parmi, non sia priva d’interesse per la storia delle famiglie cospicue del patriziato genovese. Gliela invio, perchè ove la S. V. Ill.mi la giudichi meritevole di stampa, Le piaccia inserirla nel suo accreditato Giornale. Con piena osservanza Devotissimo Angelo Boscassi. Genova, Novembre 1898. Genovesi Nobili che al presente possiedono Stati e Baronie in Regno di Napoli. Il Prencipe di Meltì, Doria. » Duca di Tursi, Doria. » Marchese de los Balbaces e Duca del Sesto di Casa Spinola. » Duca di S. Pietro in Galatina, Spinola. Li sudetti quattro sono Grandi di Spagna. » Prencipe di Francavilla e Marchese d’Oira, Imperiale. » » d’Angri e Duca d’Evoli, Doria. » » di Belmonte, Ravaschiero. » » di Satriano, Ravaschiero. » » di Geraci, Grimaldo » » d’Acquaviva, Mari. » » di San Nicandro, Cattaneo. » » di Cellamare, Giudici. » Duca di S. Angelo de’ Lombardi, Imperiale. » » di Castro, Pallavicino. » > di Cassano in Calabria, Serra. » »> di Corigliano, Saluzzo. GIORNALE LIGUSTICO 461 » Duca di Giovenazzo, Giudici. » » di Acerenza, Pinclli. « » di Telese, Ceva Grimaldo. » Marchese di Celsa Maggiore, Doria. » » di Genzano, Marini. « » d’Assigliano, Mari. » » di Civita S. Angelo, Pinelli. # » di Montescaglioso, Cattaneo. » di Latiana, Imperiale. » della Pietra, Grimaldo. » » di Capranica, Giustiniano. » » di Belante, Cattaneo. » » di Curletto, Riario di Savona. » Conte di Capaccio, Doria. » λ della Rocca, Ravaschiero. λ Barone di Striano, Spinola. ■1 » di Torrepinta, Spinola. » » di Colle Cervino, Pavese. » » di Frigiano piccolo, Pallavicino. » » di Lequille, Saluzzo. di Montella, Grimaldo, et hora Saoli. » » di Galignano, Levanto. 11 Signore della Padula, Prencipe di Massa, Cibo Malaspina. di Rocca Imperiale e Bollita, Raimondi di Savona. Si vede che tutti sono 40 Titolati, fra quali, quattro Grandi di Spagna; cioè 31 Titolati, sette Baroni e due Signori. Dislmtifltir de Titolati. Principi .... N. 9 Duchi . Marchesi. >. 9 » 11 Conti. Baroni Signori B 2 » 2 » 7 tutti N. 40. 462 GIORNALE LIGUSTICO Genoverì Cittadini Civili, che al presente possiedono Stati e Baronie in Regno di Napoli. Il Prencipe di Presiccie, Bertolotti. » Duca di Pomigliano, Ambrosini. » Barone del Vaglio, Massa. » » di Trentola, Massola. CONTRIBUTO ALLA STORIA DEL TEATRO IN LIGURIA LE RAPPRESENTAZIONI SACRE IN CHIAVARI E RAPALLO (Continuazione vedi pag. ; Sj) PARTE II. Il De Bartholomaeis (1) scrisse che se si studiasse la storia di tutte le confraternite e delle loro relazioni, i fatti, che ne verrebbero fuori per la diffusione dell’uso drammatico, sarebbero certo importanti. Edotto di questa verità, mi posi con amore a sfogliare i numerosi atti dei due oratorii dei Bianchi e dei Neri in Rapallo, e le mie ricerche non furono infruttuose. L’Oratorio dei Bianchi merita un poco di storia, prima (i) Antiche Rappresentazioni Italiane in Studi di Fil Rom. Vol. VI Ann. ^931 pag. 191 nota. 463 che io venga a parlare direttamente delle Sacre Rappresentazioni, latte da quella benemerita confratria. È nota la pia commozione, accaduta in Italia nel 1399 sulla soglia del rinascimento, e che diede origine ai Bianchi. Cosi ne parla il Muratori: « Portavano essi (1 Bianchi) cappe bianche ed ivano incappucciati uomini e donne cantando a cori Γ inno Stabat Mater Dolorosa che allora uscì alla luce. Entravano in processione nella città e con somma divozione andando alle cattedrali intonavano di tanto in tanto pace e misericordia. Passati quei d' una città all’altra se ne tornavano poi la maggior parte alle loro cast e quei della città visitata portavano ad un’altra in processione il medesimo istituto. A chi avea bisogno di vitto benché fossero migliaia di persone ogni città caritatevolmente lo contribuiva; essi nondimeno altro non richiedevano se non pane ed acqua. Fu cosa mirabile il mirar tanta commozione di popoli, tanta divozione sen{acbi vi si osservassero scandali come scrivono alcuni. Più mirabil fu il fruito che se ne ricavò, perciocché dovunque giungearw cessavano tutte le brighe; e si riconciliavano i nemici con infinite paci e i più indurati pecatori ricorrevano alla peni-tenia in guisa che le confessioni e communioni con gran frequenta e favore si videro allora praticale. Le strade erano sicure, si restituiva il mal tolto e jurono contati 0 vantati non pochi miracoli come succeduti in questo pio movimento. Siccome ne’ precedenti avevano avuta origine le scuole 0 sia le confraternite de’ Battuti, così n i presente ebbero principio altre confraternite appellate de’ Bianchi le quali tuttavia durano nelle città d'Italia. Tulle le storie italiane parlano sotto l’anno corrente di questa divozione, la quale secondo il Delaito venne fin da Granata, 0 pure per sentimento di Giorgio Stella nacque in Provenga 0 almeno da quella parte penetrò in Italia e per la Riviera d’Occidente nel dì ; di Luglio giunse a Genova imprimendo negli animi di 464 GIORNALE LIGUSTICO quel popolo il timore santo di Dio, la penitenza e la pace. Di là passò poi in Toscana (r) e Lombardia (2). » L’annalista Giorgio Stella descrive minutamente questo profondo e vasto movimento religioso, questa febbre che invase tutta l’Italia, rinnovando i delirii ascetici, di cui fu spettatore il secolo XIII colle compagnie dei Flagellanti, e che in Rapallo e Chiavari valse a sopire le antiche discordie dei Guelfi e dei Ghibellini. ......Plures namque viri et mulieres de Ianua Rechum iverunt ut ad novam linteorum devotionem hniusmodi illos induerent et haec transivit spiritualis devotio in Riperiam Orientalem lantiae unde in Regimine Clavari et Rapalli ubi erant acutissima odia solemnis cum populi multitudine ipse ritus spiritualis celebratus est quo Ghibellini et Guelfi illarum partium ad pacem venere sinceram...... (3). E lo Schiaffino negli Annali Ecclesiastici: « II 19 Luglio 1399 uscirono parimente in Processione per la città con loro crocifisso cantando Stabat Mater le compagnie degli Oratorii dei Disciplinanti che si flagellavano colle discipline avanti (1 Dalla Chronica antiqua Conventus Sanciat Caterinae de Pisis edita nel Tom. VI, P. II deWArch. Stor. It., pag. 577, emerge che Fr. Tommaso di Ser Michele di Nodica priore del Convento dei P. P. Domenicani di Sarzana .....duxit copiam utriusque sexus maxima cum devotione in Lucam cum consensu et mandato Rev. D. Episcopi Lunensis; et illi Lucani provocati ad poenitentiam fecerunt processiones per Tusciam. Frater Thomas autem cum suis Sereianensibus accessit ad Sanctum Miniatem; et ibi lucrificatis multis qui etiam se fuerunt albos ipse ivit Pisas et quantum fructum fecerunt ibi ex hoc apparuit quod pacem fecerunt omnes el universi ad lamenta poenitentiae sunt conversi et copiis multis ordinatis iverunt Senas et sic frater Thomas fuit radix et principium Γusciae circp tot bona Tandem rediens Sere\anam multum pro reparatione illius Conventus substinuit.....» |2j Annali d’Italia. Tom. VIII, pag. 476 (3; Georgii Stellae. Annales iti Muratori R. I. S. Tom. XVIII, coi. 1174. GIORNALE LIGUSTICO 465 d quali camminava il maestro della cattedrale colla S. Croce della 1 lebc detta la vera Croce in mes^o di due sacerdoti con lumi----erano questi oratorii 17.... » (1), Il pio movimento fu causa che in Genova e nella gemina riviera si costituissero altre nuove Casaccie e Confratrie, per le quali \ incenzo l-erreri, il benemerito figlio dell’ ordine del Gusmano, dettava speciali statuti, prescrivendo regolari offi-ciature e cantilene per il Giovedì Santo (2). *' Ciò accadde nel 1409, quando il Ferreri accompagnò in Genova il iamigerato Pietro da Luna, antipapa col nome di Benedetto XIV (3). 1; sarei d opinione che a quei tempi appartengano « i canti religiosi usati in una confraternita genovese del trecento » che sotto il nome di Laudi Genovesi, furono pubblicate dal Crescini e dal Belletti (4) e che sieno però anteriori di data quelle pubblicate dall’Accame, scoperte a Pietra Ligure nella diocesi di Albenga (5). mi I ra le numerose confratrie genovesi è da porre quella di S. Bartolomeo, di stanza a Castello, Ad essa apparteneva un codice membranaceo dei secoli XI\ -XV, contenente prose ascetiche dialettali, che conservasi a l'jrigi. Inventario dei Manoscritti Italiani delle biblioteche di Francia di Ci. Mazzatinti. VoL li, pag. 84). Fu studiato da Antonio Ive (Archivio Glott. It. Vili). 1) Accinelu, Liguria Sacra, Vol. I, pag. 459 (colla data del 1410). M. S. all.i Biblioteca Civico-Berio. (3) Per la venuta dell’antipapa Benedetto XIV cfr. A. Ferretto, Lo scisma .1 Genova nel 1,104-9 *n Giorn. Lig. An. XXI, pag. ili —143. '4) Giornali Lig. An. 1885, pag. 321 e segg. I i1 Mli delta Soc. Lig. di Si. Pat. Vol. XIX, pag. 3. — Albenga prima di Genova accolse con religioso rispetto forme di penitenti vestiti di scuro, cui era sovraposta una croce per met.\ bianca, per Γ altra metà rossa. Per essi ob reverentiam divinai Passionis se vtrberantibus ac crucem rubeam el albani jslantibui concedeva speciali indulgenze Eriberto Fieschi dei Conti di Lavagna, Vescovo d’Albenga, il 5 marzo del 1384. (G. Rossi, Storia della città e diocesi di Albenga. Albenga 1870, pag. 175). Gtonw. Ltocirtca. XXtIL 30 466 L’Accinelli aggiunge che.......fecero nel 14)6 dette casaccie le conserve fra di loro, cioè si uniformarono nelle loro cantilene et Ufficiature..... ma nel 16)S ΓArcivescovo Card. Durafóo additò loro gli Ufficii comuni del Salterò e le cantilene abolì. Molte di queste però ne furono stampate a Torino nel a spese di Antonio Biondi, uno dei confratelli della casaccia di S■ Stefano e composte furono da Antonio Semino..... (1). Però, come a suo tempo rilevai, il 21 maggio del 1346, trovasi già un libro iti quo scripta sunt capitula dicte societatis, e il 12 Agosto del 1577, essendosi costituita in Genova una nuova società tipografica, tra i libri da vendere, son già notati gli « Offitii di Compagnia di Casatie » (2). All’ accennata commozione religiosa dobbiamo se a Porto-fino, soggetto allora alla pieve di Rapallo, si cementò meglio l’antica confratria (3) dei disciplinanti della S.S. Annunciata, per i quali il parroco Rev. Bartolomeo de Ambrosi, ^elo devotionis accensus, gettava le basi di un apposito oratorio, avutane facoltà per decreto del 16 Maggio del 1494 14). Tra le cerimonie di detta Casaccia noto la lavanda Jei piedi, che facevasi a 12 apostoli il Giovedì Santo (5). (1) Liguria Sacra, Vol. I, pag. 348. (2) Atti della Soc. Lig. di St. Pat. Vol. IX, pag 521. ^3) Il 3 febbrajo del 1348 iacea testamento Fr. Andrea priore del romitorio di S. Antonio di Niasca di Capodimonte e legava soldi to * confratrie illorum de Portofino « Pergamene della Cervara, Mazzo I, Archivio di Stato in Genova). (4) Atti del Not. Baldassarre de Coronato foglio 256, Arch. di Stato. (5) La cerimonia della lavanda dei piedi, istituita dal Pontefice Onorio III [1217-1227] vien tuttora fatta dai confratelli dell'oratorio di S. Erasmo di Sori. II 3 Febbrajo del 1493 facea testamento il sacerdote Giovanni Torpiana di Levanto, mansionario della cattedrale di Genova, e dotava di luoghi 20 nelle compere di S. Giorgio la cappellania, da lui eretta il 9 Luglio del >488 nella chiesa di S. Andrea di Levanto, sotto P invocazione dei S. S. Stefano GIORNALE LIGUST1GO 467 Non mancarono i confratelli di curare la rappresentazione della Similitudine, e ancora a metà del nostro secolo fu piantato il palco sulla piazza di Portofino, essendosi per parecchi anni rappresentato il dramma di S. Giorgio Martire di Cappadocia, e la rappresentazione in omaggio al nome antico corrotto veniva e viene tuttora chiamata scimirindan-na. In S. Margherita prendeva più sviluppo la confraternita di S. Bernardo, la quale in una supplica inoltrata al genovese senato il 12 luglio del 1740, tessendo la sua storia, dichiarava che da quasi cinquecento anni era aggregata al Gonfalone di Roma (1). e Lorenzo, disponendo die il cappellano prò tempore nel giorno di Giovedì Santo lavasse i piedi a 12 poveri, distribuendo ad ognuno di loro 18 soldi (Atti del Not. Lorenio Costa, foglio 398, Arch. di Stato). 1 Registri poi della Masseria dei Canonici della Cattedrale di Genova forniscono curiosi particolari iutorno a detta pia cerimonia. A mò d’esempio nel Registro del 154.4 trovasi « pro expensis factis die lovis Sancti sold. 15 datis tredecim pauperibus, sold. 10 datis decem canonicis ac Ib. 4 confectionum ac pintas 4 vini..... et prò brandonis duobus ponderis lb. $ pro illuminatione disciplinatorum.... » Mons. Ambrogio Spinola, Vescovo di Luni-Sarzana nel sinodo celebrato il 6 Giugno del 1717, ordinava c in hebdomada sancta vel alias per annum nunquam admittantur nocturno tempore mulieres officiis orationibus pedum ablationibus aliisque piis operibus aut exercitiis quae a confratribus fiunt » (Constitutiones Synodales, Massa 1717, pag. 190). disciplinanti costumavano recarsi in cattedrale, anzi per il buon andamento di essi furono appositamente istituiti cinque Sindaci dell’ ordine senatorio (Auinelli op. cit. Vol. Il, pag. 103). 1 Sindaci emanavano decreti, applicavano multe etc. e tra le proibizioni fatte da essi accenno a quella del 26 Febbrajo 1756 in virtù della quale sancirono non potersi condurre cavalli in S. Lorenio come anche il cantare 0 far cantare laodi ne quali si canti S. Giacomo maggiore 0 minore 0 cose svnili da quali possa insorgere qualche inconveniente. (Busta Casacde, Archivio di Stato). (I) Iurisdictionalium. An. 1740, Arch. di Stato. 46S GIORNALE LIGUSTICO E siccome a Roma immediatamente dopo lo scoppio del movimento umbro (1264), nacque la confraternita del Gonfalone , cui particolare instituto erano recite sacre nel Colosseo il \ enerdì Santo, essendosi allora formato un centro oltre ogni dire importante di movimento drammatico (l), così a S. Margherita la confraternita affigliata a quella di Roma, non trascurò le recite sacre, e in tempi a noi vicini il dramma tragico, S. Margherita Vergine d'Autiockia (2), ebbe nel pittoresco borgo un esito felicissimo (3). Lavagna, alla cui pieve erano sutfraganee le due parrocchie di Chiavari, dopo il movimento del 1399 accolse i battuti, e per essi gettava le basi dell’Oratorio della Trinità, senza che i Fieschi, che ivi dominavano, movessero lagnanze (4;. A Zoagli costituivansi pure i Bianchi, che han tuttora il privilegio di aprir la processione, recando un gran ramo d’ ulivo. (IJ L’Arciconfratemita del Gonfalone, Memorie del Sac. Luigi Ruggeri, Roma 1866, pag. 18. (2) Martirio di S. Margherita d’Antiochia, titolare del Comune di S. Margherita Ligure, sacra tragicomedia in 5 Atti, Rapallo Tip. Economica 1871. (3) I disciplinanti di S. Bernardo aveano tomba speciale nella parrocchia di S. Margherita nella cappella di S. Chiara. Me ne avvisano le disposizioni testamentarie di Francesco Quacquero fatte il 6 Gennajo del i486 ('.Voi. Incerti An 1485-1494, Arch. distrettuale di Chiavari). Il 15 Settembre del 1504 i disciplinanti acquistavano dal pittore Giovanni Barbagelata da Rapallo un’ ancona con l’immagine di S Chiara (Noi. Gio. Andrea Ottoveggio, foglio 200. Arch. di Chiavari (4) I Fieschi avevano altrove proibito le confraternite dei Battuti. Il 22 Aprile del 1474 Leonello Villani avvisava il Duca di Milano che « in questo loco de Turrilia è principiata una sinagoga de battuti quale in altri tempi non gli foe mai più dove fin al presente gli sono congregati circa ottanta homini et tuttavia va crescendo. Intendo che altre volte volsero f.ire questo medesimo ma gli foe vietato per quelli dal Fiescho per suspicione che sotto pretesto di fare bene non facessero male.....che pare cosa pericolosa etc. » (Curiosità di St. Genovese tratte dalVArch. di Stato in Milano per Emilio Motta in Giorn. Lig. Vol. XIV, pag. 3)0). GIORNALE LIGUSTICO 469 Per essi il parroco Rev. Ugone Simonetti innalzava Γ oratorio di S. Caterina come dalla seguente lapide: ►£( MCCCCLXX HANC ECCLESIAM - FECIT FIERI VENERABILIS -PRESBITER UGO DE SIMONETIS - RECTOR ECCLESiARUM ZOAL1 DE - ELEMOSINIS OBLATIS A DEVOTIS - PERSONIS MAXIME NAVI-GANT-IBUS AD HONOREM DEI ET - SANCTE CHATERINE (i). L' oratorio però era già cominciato nel 1467, essendo in detto anno al 10 di dicembre beneficato da Lorenzo Bian-cardi (2). 11 13 Giugno del 1538 Mons. Marco Cattaneo, Arcivescovo di Colossi e Vicario dell’Arcivescovo di Genova, col consenso del Rev. Domenico Della Torre Prot. Ap., parroco di Zoagli e a richiesta di Battista Queirolo, priore dei disciplinanti di S. Caterina, confermava ad essi il possesso di detto oratorio, purché l’ingrandissero. (3) Aveva speciali capitoli, che trovansi all’Archivio di Stato, approvati il 1.° Luglio del 1724 dalla Curia Arcivescovile e il 20 maggio dell’anno successivo dal Senato (4). E in una lite incominciata nell’anno 1743 tra i tessitori di velluto e i marinai di Zoagli, è detto che da antichissimo tempo 1’ oratorio di S. Caterina fa pure « le sue processioni di penitenza con disciplina a sangue » nelle visite dei Santuarii di N. S. di Monte Allegro e di N. S. delle Grazie presso Rovereto (5). * * * Rapallo, seguendo l’esempio dei paesi soggetti, dava ricetto alla confraternita dei battuti di S; Maria e di S. Stefano, che (I) Remondini, Parouhit dtlTArchidincesi, Regione IV, pag. 124. (i) Alti dii Not. Nicolò Merello all’Arch. distrettuale di Chiavari. 5) M. S. segnato 598. Arch. di Stato. 14) M. S. segnato 664 id. 15) Iurisditionaliura, fiUa segnata 470 GIORNALE LIGUSTICO non tardarono ad aggregarsi al Gonfalone di Roma. Dapprima scelsero a teatro di lor gesta la vetusta prepositura di S. Stefano (i), poscia si eressero apposito oratorio, detto tuttora dei Bianchi, e nel 1451 cooperarono alla costruzione del vicino ospedale di S. Antonio per facoltà avuta il 15 novembre dello stesso anno da Giacomo Imperiale, Arcivescovo di Genova (2). I confratelli dei Bianchi di Rapallo, che mantennero cogli oratorii accennati strette relazioni, trasmettendosi il Giovedì Santo e nel giorno dei titolari le focaccie coll’ impronte dei loro Santi (3), aveano speciali capitoli, che, fatti e rifatti più volte, furono riconfermati il 2 Agosto del 1655 dal Card. Stefano Durazzo (4). Cura speciale della confraternita era ed è tuttora la processione alla sera del Giovedì Santo, che si reca a visitare altre quattro chiese di Rapallo, accompagnata da cantilene e musica (5). (1) La prevostura di S. Stefano di Rapallo fu dal 1474 al marzo del 1478 goduta da Raffaele Riario nipote del Pontefice Sisto IV ( Atti dii Not. Andrea de Cairo fil^a }}, foglio 88, Arch. di Stato). Il Riario da Cardinale « preferiva gli spettacoli degli Accademici pom-poniani e li faceva gustare al Pontefice e alla cittadinanza di Roma. Giovanni Sulspizio da Veroli in una lettera al Cardinale che prelude a una edizione di Vitruvio, attribuisce a sè medesimo la lode di aver istruita la gioventù romana nel recitare tragedie e a Raffaele quella di aver primamente innalzato il pulpito per rappresentarle sia nella Mole Adriana, sia in qualche piazza, sia nel suo proprio palagio, appropriandovi condecenti scenari. » (D’Ancona op. c. Vol. II, pag. 68: ctr. pure Rivista d'Italia, Ann. I, Fase. 8, pag. 626, Ann. 1898). (2) A. Ferretto, Rapallo, Spigolature Storiche, Genova 1889, pag. 55. (3J Cfr. Carteggio di ringraziamento del secolo XVII e XVIII. Arch. dell’Orat. dei Bianchi in Rapallo. (4) Documento nell’Arch. di detto Oratorio, e Arch. parr. di Rapallo. (5) Dopo che con decreto del 25 Aprile del 1590 ebbero i Serenissimi Collegi deliberato l’istituzione della Musica a Palazzo, non v’era festa e processione, dove non prendesse parte la Cappella musicale. A porre un GIORNALE LIGUSTICO 471 1 confratelli, come quelli che erano aggregati all' Arcicon-fraternita del Gonfalone, che, come dissi, curava la drammatica sacra, faceano non solo pubbliche rappresentazioni nella chiesa delle Monache e nell’Ospedale annesso, il che in più tardi proibito con ordine senatorio, ma inserivano nella loro processione i misteri della Passione, che la rendevano spettacolosa di molto. Ciò non andava punto a garbo dei massari e dell’ arciprete della parrocchia, onde si rivolsero direttamente al Senato, perchè ponesse riparo agli inconvenienti, che succedevano annualmente. Tale è la supplica. Ser."' Signori. Nel luogo di Rapallo si è costumato il Giovedì Santo dalla gioventù più libera inserire nella Processione della Casaccia alla visita del sepulcro il misterio che chiamano de Giudei rappresentante Cristo condotto da' manigoldi al supplizio. E per che tal fontione porta seco varii aiti e personaggi sconcissimi di Giudei insultanti il Salvatore è stata solita a riuscire di disturbo e irreverenza nelle tre Chiese che in Rapallo rappresentano il detto Sepulcro e perciò di scandalo a simplici e di nausea ad ogni pio fedele e signatamente da più predicatori quaresimali come forastieri offesi dall’ inusitato spettacolo, biasimala poi dal pulpito e lasciato tra ricordi questo di non rappresentar mai più simili profanità che del Giovedì Santo ne formano argini all'uso invalso pensò il Senato, onde il 18 Aprile del 1655 stabiliva che le compagnie dei disciplinanti, che nel Giovedì Santo recavansi a visitare il sepolcro in Cattedrale, non potessero essere accompagnati « da alcuna sorte di musica 0 altri istrumenti musicali tanto con cappa come in altro modo ». L’ordine fu riconfermato il 12 marzo del 1668 coll’aggiunta chc le processioni delle Casaccie terminassero appena suonate le ore 24 e che tanto il serpente maggiore come i suoi camerati non potessero portar piume e abiti pomposi nel Giovedì Santo (Secretorum al 1590 e Politicorum, Ma7.21 10 e 15, fogli 61 e 85. Arch. di Stato in Genova). 472 giornale ligustico un Carnevale. Ciò non ostante la gioventù nascente amica di novità ad onta delle buone esortazioni tenta quasi ogni anno simile impresa con grande strappazzo delle chiese e del mestissimo misterio che adorasi in tali giorni. Nè vale a frenarla ragione alcuna e l’impegnarsi alla negativa riuscirebbe pericoloso. Perciò li Massari della Chiesa Parocchiale di detto luogo di Rapallo giuntamente con l’Arci-prete vengono a supplicare V. V. S. S. Ser."" che vogliano degnarsi decretare che non sia lecito in detto luogo di Rapallo ad alcuno fare consigliare o fomentare sotto qualsivoglia pretesto o titolo anche di pietà il detto misterio che chiamano de Giudei sì nella Processione della Casaccia sudetta sì separatamente da essa sotto le pene che parranno a V. V. S. S. Ser.”1' sentendone quando così lor paia maggior informatione dal Sig. Capitano di Rapallo Camillo Maurizio Stalieno come pienamente informato. Il che tendendo a maggior gloria di Dio riverenza delle Chiese per altro convertite in scene di Comedianti e a giusta brama di tutti i buoni si spera dal loro zelo religiosissimo e a V. · S. S. Ser.“‘ fanno humile riverenza. Di V. V. S. S. Ser."' Devot.“‘ et Umil.”“ Sudditi. Gerolamo Merello Arciprete Bernardo Molfino \ Gio. Vincenzo Lencisa Massari Pompeo De-Bernardi ; 1688, 4 Maggio. L’111.et Ecc.”’ Giunta di Giurisdizione riconoschi il rappresentato prendi informationi se susistano li enunciati inconvenienti et al detto effetto facci scrivere tutte quelle lettere stimerà opportuno per riferire a lor S. S. S.~ Per Ser.™™ Senatum ad calculos (1). Questo documento interessante ci fa conoscere che la Rappresentazione non era una di quelle mute scene, contro cui avean tuonato e tuonavano i Vescovi della Liguria nei loro (i) Litterarum Senatus, filza segnata col N.» d’ordine 1402. Arch. di Stato. GIORNALE LIGUSTICO 47 3 Sinodi (1) e che il Tiraboschi (2) vedea eseguire in molte città d Italia, nelle quali gli attori si componeano bensì negli atteggiamenti propri di personaggi, che rappresentavano, ma non venivano tra loro a dialogo. Nella processione di Rapallo la gioventù più libera e nascente mante di novità si sbizzarriva con dialoghi a base d’insulti, quindi la necessità d’una misura coercitiva invocata di non consigliare 0 fomentare la Rappresentazione tanto nella processione quanto separatamente da essa. (1) A suo tempo riferii i decreti del Sinodo Pallavicini (1567), d' Mons. Bossio 1582 edi Mons. Durazzo 11(199), tendenti a vietare le Sacre Rappresentazioni. 11 Card. Benedetto Lomellini, Vescovo di Luni-Sarzana, nel Sinodo celebrato nel 1568, sanciva...... non fiant comessationes el compotationes in via iiic sptitcìcufo minus /Stantia..... tempore processionum et litaniarum non fiant comessationes convivia aut spectacula tantae devotioni non convenientia inebendo peculiarmente al clero..... choreis Iragediis comediis tripudiis saltationibus ac aliis histrionibus vel lasciviis nec canendo nec psallendo intersint..... (Constitutiones et decreta etc. Genova 1568, pag. 65, 97, 38). Nel Sinodo, celebrato il 12 Settembre del 1582 da Gio. Battista Braccelli, Vescovo di Luni-Sarzana, si ordina che nei cimiteri nec ludi nec spectacula fieri a Parochis permittantur, e al clero choreis tragoediis cotnaediis et aliis spectaculis non intersint ntc spectatores se exhibeant. Vi è pure un capitolo intitolato Dc processionibus faciendis ac litaniis et representationibus tollendis. (Constitutiones editae etc. Luca 1584, pag. 31, 38, 55). E Ambrogio Spinola, Vescovo di Luni-Sarzana, nel Sinodo celebrato il 6 Giugno del 1717, al capitolo De Processionibus decretava: Nec permittatur proponi populo per viam spectandas repraesentationes licet piae et Catolicae sint cum potius distrahant quam alliciant mentem a devotione venerabilis....... Inoltre : Circulatores et huius generis nebulones ridicula aut vana spectacula per plateas diebus festis die Ventris et Festis dicatis B. M. semper Virgini, Quadragesimae et Adventus tempore non exhibeant nec choreae aliae actiones operavi ulla a festorum dierum cultu aliena, vel quae animos fidelium a Christianae pietatis officiis dum divina celebrantur abstrahere possint ullo modo permittantur.... (Costitutiones Synodales etc. Massa, 1717, pag. 121, 127), 12) Storia della Lett. It. Tomo. IV, Parte II, pag. 563. 474 GIORNALE LIGUSTICO Gli inconvenienti lamentati ottennero certamente P etfetto desiderato. Documenti che conservansi nelPArch. Parr. ci chiariscono come il celebre Paolo Segneri facesse una fruttuosa missione in Rapallo, cominciata il io maggio del 1688 e terminata il 16 dello stesso mese con processione generale, alla quale intervenero ben 15.000 persone (1). Egli valse colla sua infocata parola a togliere appunto lo scandalo di quelle scene tragiche, che svolgevansi per la strada. I Bianchi non le permisero più, e, se dobbiamo credere alla seguente supplica, la processione non fu più fonte di disturbo ed irriverenza, ma riuscì sommamente edificante e divota. Signori Ser.mi La Confraternita di S. Maria e S. Stefano del luogo di Rapallo ha sempre dalla fondazione praticato di andare processio /talmente nel Giovedì Santo di prima sera alla visita del S. S. Sepolcro in detto luogo senza che in alcun anno inai siasi inteso il benché menomo richiamo per alcun inconveniente riuscendo invece detta processione sommamente edificante e divota; ma per decreto di V. V. S. S. Ser.”‘r si veggono li Confratelli della medesima obbligati a farla di giorno il che riesce assai incomodo e di grave pregiudizio a motivo che detto giorno si tiene banco aperto per P esigenza delle annate sì de fratelli che ascendono al numero di 700 che delle sorelle. Che però detti Confratelli supplicano umilmente V. V. S. S. Ser. " a degnarsi di accordar loro di poter fare la processione sudelta in queir ora e in tutto come si praticava prima di sudetto decreto grazia da V. V. S. S. Ser.mt già ad altre simili confraternite concessa. Il che sperando ottenere fanno a V. V. S.S. Ser.'"' profondissima riverenza. Detti supplicanti. JjSjj 8 Aprile. Fatta presente a Ser."" Collegi etc. (2). (1) A. Ferretto, Il Codice Diplomatico del Santuario di Monte Allegro, Genova, Tip. della Gioventù, 1897, pag. i)6. (21 lurisdictionalium, filza segnata 228-1299, Archivio di Stato. GIORNALE LIGUSTICO 475 In tempi a noi vicini la processione suddetta degenerò dalla sua prima pietosa istituzione, sicché fu necessario sopprimere affatto l’invocazione di « Pace Gesù, Misericordia Gesù » che per tre volte facevasi, invocazione originata appunto nel 1399, secondo 1’ opinione dell’annalista Stella, che dice che i disci-pfinanti d’ allora alla voce cuncti clamant ter Misericordia terque Pax (1). (Continua). Arturo Ferretto. BIBLIOGRAFIA UNA LETTERA INEDITA DEL GENERALE MASSENA. h generale Andrea Masseria chiuso nel 1800 in Genova da rigoroso assedio per le armi inglesi ed austriache, concorse colla sua resistenza a prep.ir.ire la memoranda vittoria di Napoleone riportata sui campi di Marengo. Di questo glorioso episodio della storia genovese è impareggiabile documento la lettera autografa colla quale il Massena ridotto allo stremò di ogni risorsa, rifiuta sdegnosamente la capitolazione offertagli dal generale Melas comandante l'oste imperiale. Tale documento, offerto al nostro Municipio, venne dalla Giunta municipale acquistato il 4 dicembre 1886 e deposto nell’Archivio civico, fino a che, per l'ordinamento delle sale storiche al primo piano nobile del Palazzo bianco, fu trasferito il 26 giugno 1895 e collocato con altri autografi in una delle vetrine della seconda sala, ove chiunque ne abbia vaghe/ra può reca-si a leggerlo nei termini seguenti : LIBERTÉ ÉGALITÉ Armée d'Italie Au quartier générai de Gènes le 1" floréal An 8' de la République Française une et indivisible. 476 GIORNALE LIGUSTICO Masseria Général en chef à Monsieur le Général de Cavalerie Baron de Mêlas. Monsieur le Général J'ai reçu la lettre que vous m’avez fait l’honneur de m’écrire pa* laquelle vous m’offrez une capitulation honorable; je n’en suis pas encore là, Général; il me reste assez de troupes pour vous prouver que je me peux me défendre. Le Général Suchet fut il battu, ce que j’ai bien de la peine à croire. Recevez, Monsieur le Général, le témoignage de ma parfaite considération avec la quelle j’ai l’honneur d’être Général Votre tris humble Serviteur ' Massena Genova, 19 novembre 1898 Ang. Boscassi. * • * Una lettera inedita di Sant’ Ignazio di Loiola alla duchessa Leonora di Toscana, pubblicata dal P. Pietro Tacchi Venturi S. I. (Estratto dalla Civiltà Cattolica, Ser. XVII, voi. III). La lettera del fondatore della compagnia di Gesù è tratta dall'archivio Mediceo, ed è indirizzata alla duchessa per indurla a permettere al padre Lainez di recarsi a Genova, dove si richiedevano i gesuiti da parte di alcuni patrizi, col beneplacito del governo. Ciò dà argomento all’ editore di illustrare convenientemente questo episodio storico, fermando in modo indubitato il tempo in cui si introdusse quell'ordine nella nostra città, con il rincalzo di nuovi documenti, frutto delle indagini da lui fatte negli archivi genovesi. Resta quindi chiaramente stabilito che il Lainez venne a Genova sullo scorcio del 1555 e coll’aiuto dell’Arcivescovo, de’ patrizi, e coll’ assentimento del Governo, riuscì ad instituire il primo collegio in S. Maria delle Grazie, dove vennero aperte le scuole. Il che mentre dimostra come per questo rispetto sia caduto in errore lo Spo-torno (Stor. lett. d. Lig., IV, 250), abbia invece esattamente riferito la notizia lo Schiaffino, dal quale l’ha poi desunta l’Accinelli (Conip. d. Stor. di G., (ediz. 1851) p. 88). GIORNALE LIGUSTICO 477 SPIGOLATURE E NOTIZIE 11 prof. Antonio Fiammazzo ha mandato in luce la seconda ed ultima serie della sua interessante Raccolta di Lettere inedite con un’Appendice dantesca (Udine, del Bianco, 1898). Queste lettere si leggono con utilità per le varie notizie che se ne posson trarre pertinenti alla storia letteraria, t.into più avendo P autore curato di illustrarle assai convenientemente in ispecie per ciò che si attiene alla biografia. Fra esse una è di un nostro ligure, Carlo Amoretti di Oneglia, e si riferisce al suo viaggio a Vienna nel 1807 con la marchesa Cusani. « Mi sono annoiato assai » , egli scrive, « specialmente perchè questo Governo che non so ben definire , dopo tutte le buone parole, e belle proteste, non ha mai voluto permettere che io andassi a vedere le miniere d’Ungheria. Di che cosa avesse paura, noi so indovinare. Temea forse che colla bacchetta divinatoria gli facessi scomparire tutto Poro, 0 glielo cangiassi in carta, come qui si costuma ? Bisogna riderne. A proposito di Bacchetta questa m’ ha qui occupato moltissimo. Non solo ho trovato gli uomini colti disposti a credere ; ma ho trovate molte persone dotate della sensibilità per le vene d'acqua, i metalli,! bitumi etc., ed ho avuto occasione di fare delle buone osservazioni ». A tutte queste cose accenna nel curioso libro stampalo a Milano l’anno successivo col titolo « Raddomanzia, ovvero Elettrometria animale La leggenda di Santa Elisaaetta d'Ungheria in dialetto savonese della metà del secolo XV (V. Poggi) . . . · » 1.'epistolario di Lodovico Ariosto (G. Sforma)....." 34 'Appunti storici intorno al Monte di Pietà di Genova 1485-1569 (M. Brunirne).........?Η· 52-115-169- X'Una sfida a Genova tra Torquato Malaspina March, di Suvero e Giacomo Malaspina March.di Fosdinovo(G.Sforma) » 71 Cenni Bibliografici............Pag· 77'15°‘23 5'47S Società Ligure di Storia Patria..........” 79'15 3 \Aodrea D'Oria e la Corte di Mantova (A. Neri). Pag. 8ι-ι8ι-294·}2Ι-4οι Un libro poco noto sull’origine e antichità di Carraia in Lunigiana (G. Sforma)............° 102 leggi della Compagnia di S. Luca d’Albaro (A. Boscassi). » 106 Di due iscrizioni Lunensi trascritte da Giorgio Cristoforo Martini detto il Sassone ne’ suoi « viaggi » inediti (G. Sfor{d..................® *34 La famiglia genovese Doria e la Sardegna (5. Pintus) . . » 1^7 Spigolature e notizie............Ραξ· I52'237‘477 Intorno allo storico Francesco M.‘ Accinelli (M. Stagliino). » 161 Un cronista Sarzanese sconosciuto (G. Sforma).....» 179 Ottave su la congiura del Fiesco (jD. Gravino).....» 204 Carlo V e Franesco I a Aigues-Mortes (L. Staffetti). . . » 216 I e rappresentazioni sacre in Chiavari e Rapallo (A. Ferretto). 220-564-462 Scoperte archeologiche negli scavi di Via Giulia (L. A. C.). » 239 L passaggio negli stati di Savoia della Legazione inviata a Parigi nel 1685 (G. Clarelta)..........» 241 Di uno Statuto Ligure sconosciuto dei primi anni del secolo XV (U. Macini)...........» 253 GIORNALE LIGUSTICO Due epigrafi di Agostino Pallavicino a Sarzana (A. Bosctissi). Pag. 267 L Ab. Fabbrizio Malaspina e la genealogia della sua famiglia compilata dal conte Pompeo Litta (G. Sforma) . . » 275·345 A Schaube (Ad.) Die Wechselbriele Kònigt Lodwigs des hei-ligen (Le cambiali di San Luigi per la sua prima Crociata, e il loro influsso sul sistema monetario di Genova) (C. Desimoni).............» 508 Necrologia...................320 Saggio di etimologie genovesi (G. Fiecchia)......» 583 Di un piccolo monumento medioevale e della epigrate inscrittavi (U. Macini)............» 388 Notizia letteraria...............» jgg Intorno al genovese Carlo Antonio Paggi \J. de Araujo) . » 4jà Ί La prigionia di Angelo Pelliccia {G. S/or^a).....» 452 Cenni storici sul capitolo della Cattedrale di Albenga (P. Accame..................„ 454 Lo storico di Arcola e il suo avversario (G. Sforma) . . » 457 Ill.mo Sig.r Direttore del « Giornale Ligustico » (A. tìoscassi). » 460