GIORNALE LIGUSTICO D I ARCHEOLOGIA, STORIA E LETTERATURA DIRETTO DAL PROF. GIROLAMO ‘BERTOLOnO Anno XXI — Fascicolo I—II. Gennaio-Febbraio 1896 GENOVA TIPOGRAFIA R. ISTITUTO SORDO-MUTI MDCCCXCVI Proprietà letteraria IN MEMORIA DI LUIGI TOMMASO BELGRANO Non qui, in capo ad una commemorazione funebre, e proprio nei primo fascicolo del nostro Giornale, avremmo mai pensato di dover segnare il nome venerato ed imperituro di Luigi Tommaso Belgrano. Pochi mesi sono trascorsi dacché egli stesso ci incoraggiava a richiamare in vita il vecchio « Ligustico » , alla cui direzione egli aveva partecipato per oltre venti anni. Nè di consiglio solo ci era stato cortese, ma anche della sua cooperatone ci aveva dato affidamento ed accettava subito che il suo nome fosse inscritto tra i nostri Collaboratori. Due giorni pi ima che la morte cogliesse improvinamente Lui, il quale colla penna in mano cadeva come un prode coll’armi in pugno sul campo, il nostro Belgrano, più espansivo del solito, quasi trasmettendo a noi giovani la fiaccola della scienza ch’egli aveva per tanti anni così valorosamente agitata, trovò per noi una parola indimenticabile, che conserveremo gelosamente secreta nel cuore: una parola, ad un tempo autorevole ed affettuosa , che exsuscitat animos et maiores ad reni gerendam facit. Lacrimevole coincidenza ! L estremo colloquio con lui avvenne in quella stessa sala della Biblioteca Beriana, nella quale doveva colpirlo, quarantott’ ore dopo, il maloie fatale: in quella stessa sala dove era spirato, il 22 4 GIORNALE LIGUSTICO febbraio l’abate Gio. Batta Spotorno, che fu il pi imo fon- datore del Giornale Ligustico, ed il primo Bibliotecario in ordine di tempo, come il Belgrano ne fu, certo, il primo in ordine di merito , per la competenza bibtioteconomica e per le molte sue benemerente storiche e letterarie. ATon è ora il tempo di esaminare l opera sua, veramente lipa-ratrice e restauratrice, di cui la Beriana conserverà per sempre Γ impronta: ragioneremo del Bibliotecario in uno dei prossimi fascicoli; ma nè dell’ Uomo, ne dello Scienziato ci sentiamo di potere adeguatamente parlare. La figura di Belgrano sara h alleggiata degnamente da un altro concittadino,, che fu pei tanto tempo compagno di lavoro al nostro illustre Defunto : che ne conobbe, in tutti i particolari, la carriera operosa ed intemerata: che alla nobiltà dell’ ingegno accoppia la magnanimità e la probità della vita: che il palpito del cuore sa tradurre in alta ideadta e transfonderla viva nell’animo degli uditori col fascino potente dell' eloquenza. Anton Giulio Barrili dirà, dunque, del nostro Belgrano, in ima solenne commemorazione che si terra pubblicamente in Genova nell’ ultima decade del venturo Aprile. Sarebbe quindi, per parte nostra, presuntuosa l'impazienza dell’attesa: tuttavia non ci basta V animo di rimetterci sul cammino, per cui il nostro « Giornale » era stato avviato dall’ Uomo che tutti con desiderio e lacrime ricordiamo, senza- rivolgere un mesto e memore saluto allo scrittore, al collega, al maestro, del cui conforto ci troviamo ad un tratto così crudelmente orbati. E noi vogliamo mandargli questo vale dolorato: vogliamo rendergli questo tributo di gratitudine, pubblicando le parole veramente affettuose e sentite che il venerando comm. Cornelio Desimoni, un superstite glorioso della falange di studiosi a cui apparteneva il Belgrano, trovò la forza di dettare (malgrado la sua tarda età e la salute non buona) nell’adunanza della Società Ligure di Storia Patria, il 2 Febbraio 18)6, quando, per effetto GIORNALE LIGUSTICO 5 appunto della dipartita del suo Segretario Generale, che, per ben treni' anni, ne fu Γ anima e la mente direttrice, la Società stessa sentì il bisogno di ricostituire il proprio Ufficio di Presidenza. Eccole : Signori, — Voi, sempre benevoli, voleste ora chiamarmi al-Γ onore di presiedere questa adunanza. Credetti un dovere di accettare, benché il grave pondo dell’età mi costringa a declinare d’ora in avanti qualunque uffizio che la vostra o l’altrui cortesia desiderasse di accollarmi. Ma, in un convegno che dovrebbe essere tutto lieto e sereno, non posso nascondervi che mi assale un senso di mestizia e di meraviglia. Come di fatti non essere mesti quando vediamo mancar qui Luigi Tommaso Belgrano, l’uomo che era il nervo della nostra Società e che sotto la modesta apparenza di Segretario Generale seppe per trenta e più anni condurla a tale da comparire nobilmente onorata fra le sorelle italiane, e studiata fra quelle straniere? Meraviglia mi prende se considero che, secondo l’ordine naturale delle cose, il compianto amico avrebbe dovuto parlare sulla mia tomba, se me ne avesse stimato degno, mentre per contrario sono io che devo piangere sopra una vita troncata troppo immaturamente e nella ancora piena virilità. Ma non aspettate da me questo troppo doloroso ufficio: ormai mi pesa lo scrivere ed il parlare e angoscie recenti mi hanno ancora aggravata la mente. Non nutro alcun dubbio che alcuno dei vostri, brillante d’ingegno e largo di cuore, in altra vostra tornata più solenne, deporrà degnamente i fiori e le palme dovute al merito: io dirò soltanto alla buona poche parole. Tommaso Belgrano solo da sè rifece sè stesso: fu un self man, come dicono gli inglesi; già dal 1860, 0 circa, io ammiravo lui giovanissimo, intento tutto il giorno alla Biblioteca a studiare e prender note intorno alla storia ligure, e pronto, 6 GIORNALE LIGUSTICO come fu sempre, ed aperto d’intelletto e di mano, lo vidi in poco di tempo abbozzare un racconto patrio, debole ancora bensì, ma che mostrava ex ungue leonem. Dovrò io ancora seguire, per singolo, i tratti d’una vita tanto operosa a voi, i più dei quali mi foste compagni nello assistere al rapido svolgimento dei suoi lavori, delle sue numerose pubblicazioni? Del suo zelo per la società, dell’abile e disinteressato indirizzo che seppe infonderle ? Se alla società dovette, a dire il vero, il cominciamento della sua fama e valore, fu egli poi che seppe conquistare i cuori, attirare in suo favore i più nobili intelletti d’Italia ed anche di fuori, dedicarsi tutto alla scienza, astenendosi sempre dal chiasso politico , che troppo turba la serenità della mente. E ciò non ostante, riuscì ai più alti e delicati uffici, anche presso le autorità politiche del regno. Se io non temessi essere tacciato di profanare parole santissime, applicando alle virtù di natura quelle che furono dette per i doni sopra natura, direi: consumptus in brevi explevit tempore multa. Queste cose non è facile narrar degnamente, ma è molto facile il saperle da tutti, comecché la vita del compianto si aggirò in aperto e alla cognizione dei molti amici, dei molti suoi discepoli, dei corrispondenti e degli ammiratori. Però la sola mia luns[a consuetudine con lui mi testimonia le in-time parti d’un ingegno tanto flessuoso nelle varietà delle cose da. lui trattate, tanto furono ad aiuto e servizio delle persone che a lui ricorrevano, come a maestro : e non ricorrevano invano. Dire quante volte io lo trovai a sudare sugli scritti a^ru'j correggendo ed aggiungendo, senza nemmeno che si sapesse in palese, sarebbe lungo assai. Tacerò anche più quali fossero le mie relazioni con lui, aprendoci a vicenda lateralmente quanto ci suggeriva l’amore della scienza e lo zelo dell’amicizia; ma non tacerò Γ ultimo immenso suo sforzo per la cura, la GIORNALE LIGUSTICO 7 revisione, la correzione, la corrispondenza per la edizione della Reale Commissione Colombiana, di cui era Vice-Presidente. Più volte mi feci ad ammonirlo; ma egli ristè ancora sperandone prossimo il termine, finché cadde sotto il peso, e ravviato per poco nella illusione di rifiorimento ricadde irreparabilmente lasciando sì lungo desiderio e rimpianto. L’ultima volta che ti vidi alla tua Biblioteca, povero Bei-grano, presso al Natale, non avrei creduto un istante al colpo fatale che t’avrebbe colto fra pochi giorni. Tu dimostravi intelletto sereno e salate più che mediocre, e m’indirizzavi augurii del cuore, mi accompagnavi alla mia dipartita con effusione di parole, direi quasi, più affettuose del consueto, quasi presago che non ci vedremmo più su questa terra. E troppi già erano stati in tempi non lontani i lutti nel seno della Società che precedettero la perdita del nostro Belgrano e che ebbero od aspettano da voi onorata memoria: Vincenzo Ricci, M. G. Canale, Emanuele Celesia, Santo Varai, Giuseppe Isola, Avignone, Franchini, e fra i più a me devinti d’amicizia, dopo l’illustre e venerando Padre V. Marchese, il non meno venerando Abate Angelo Sanguineti, il Canonico Angelo Grassi e i tre Remondini, Marcello, Angelo e Γ Avvocato Pier Costantino. Quest’ultimo era d’ingegno e dottrina stragrande, ma più ardente nello apprendere che nell’ insegnare; peccato che abbia lasciato incompiuto per morte un dottissimo commento al Trattato sull’Astrolabio del genovese Andalò Di Negro, che fu maestro del Boccaccio (i). Pleiade degna di splendore in qualunque dotto consesso, ombre care (i) Il « Trattato » di Andalò fu pubblicato dopo la morte del Remondini, negli Atti della Società Ligure di Storia Patria (vol. XXV) dal socio prof.. G. Bertolotto, che lo riprodusse dalla rarissima edizione ferrarese del 1475, aggiungendovi un’introduzione sulla vita, le opere e la bibliografia del dotto matematico genovese. GIORNALE LIGUSTICO e liete, io mi penso se dalla loro sede possono assistere al nostro convegno ! Cosi la Società nostra, come si capisce, languiva, languiva: non sedute e non letture: scarse, benché non al tutto, mancanti, le pubblicazioni : appariva ormai, spento il Belgrano, morta più che agonizzante. Ma, viva Dio!, non è morta: rimane la scintilla, e questa scintilla io la depongo in questo convegno che mi tempera il dolore aprendomi in cuore le più liete speranze di un ravvivamento, di un ringiovinamento robusto. Voi covatela gelosamente la scintilla, nutritela di molta e varia stipe, fate che si levi in fiamma degna di voi, degna di riacquistare il suo posto non inglorioso fra le città sorelle, degna infine della meritamente detta superba Genova: superba nelle sue glorie, nei suoi annali (primi fra i comuni italiani), nella operosità della vita commerciale e marittima, dell’evo medio come dell’odierno. Io ne gioirò e vi accompagnerò almeno col pensiero e col desiderio finché mi basti la vita. Laboremus! Cornelio Desimoni. IL MUSEO CIVICO DEL PALAZZO BIANCO Questo articolo serve di introduzione ad una serie di note illustrative sul Museo di Palazzo Bianco, le quali sta scrivendo, dietro nostro invito, il ch.mo comm. Vittorio Poggi, che fu già R. Commissario per le Antichità e Belle Arti in Liguria ed ebbe parte precipua nell’ordinamento del Museo suddetto e del prezioso Medagliere del medesimo. N. d. D. I. Enrico Heine che visitò Genova nel terzo decennio del secolo in corso, così riassumeva le impressioni che ne aveva GIORNALE ligustico 9 riportato : « Questa città è antica senza antichità, stretta senza » intimità e brutta al di là d’ ogni misura (i). » Sullo stesso argomento egli nota in un altro passo che « ai » Genovesi, quasi tutti mercatanti, le case non servono guari che » per fondachi e nella notte per stanze da letto. Durante il giorno, » dato intiero al traffico, percorrono la città o stanno seduti in-» nanzi alla loro porta, o per dir meglio, sulla porta, perchè altri-» menti si urterebbero le ginocchia col vicino di rimpetto. » Questi giudizi dell’ Heine possono citarsi quali esempi di quell umorismo caustico e paradossastico che è la nota predominante del suo spirito e a cui s’informano in generale i suoi pronunciati; ma danno in pari tempo la misura dell’esagerazione a cui egli si lasciava facilmente andare, pur di contraddire all’ opinione dei più. Si capisce come, essendo la città costrutta sopra una roccia al piè di montagne disposte ad anfiteatro, per economizzare uno spazio così limitato, sia stato giuocoforza far le case alte e le vie stiette : e certamente la rete delle viuzze e dei car uggì che faceva della topografia di Genova, all’ epoca del passaggio dell Heine, cioè prima dell’apertura o sistemazione delle arterie stradali ond’è solcata oggidì, una specie di labirinto, non era tale da dare alle prime impressioni del tourist un’ intonazione gradevole. Ma non si vuol dimenticare che molte altre città fra le più 1 agguardevoli d Europa non erano a quel tempo in condizioni miglioii, per quanto risguarda la viabilità interna: con questa differenza, però, che nessuna delle dette città poteva vantare tali e tanti edifizi monumentali, così pubblici come privati, da state a paro con quelli di cui Genova andava, allora come oggi, a buon dritto superba. (i) « Diese Stadt ist alt olme Alterthümlichkeiten, enge oline TrauJichkeit » und kàsslicJi über alle Massen » (Reisebilder, XXXIII). IO GIORNALE LIGUSTICO Diti usa e incontrastata era da secoli la fama della magnificenza dei palazzi di Genova. Dal Vasari, il quale, a proposito delle opere architettoniche di cui Galeazzo Alessi (1512-1572) abbellì la Strada Nuova di Genova, scrive che « molti affermano in niun altra citta » d’Italia trovarsi una strada più di questa magnifica e grande, » nè più ripiena di ricchissimi palazzi » (1), al Rubens che divulgava per le stampe i disegni dei più insigni palazzi genovesi (2); da Federico il Grande, di Prussia, che nel 1751 dava incarico al conte Francesco Algarotti di raccogliere e fargli avere le stampe dei principali editìzi di Genova (5), al presidente Dupaty, il quale nel suo bel libro sull’ Italia, da lui pei coi sa nel 1785, esprime il giudizio che « se si vuol conosceie la » più bella strada che sia al mondo intero, convien vedere » in Genova la Via Nuova » (4); è tutto un concerto sullo stesso tono, al cui grandioso effetto nulla può detrarre la nota stridente dell’ Heine. Dopo tutto, l’Heine stesso non si perita di 1 iconoscere altrove che, « sebbene per la maggior parte in rovina (sic), » i palazzi dei già signori di Genova, dei nobili, sono bellissimi » e risplendenti di lusso; » asserzione, questa, che mal si accorda colla qualifica di « città brutta al di là d ogni misura. » Circa all’ antitesi di « stretta senza intimità, » la sua indole subbiettiva e congetturale ha appena bisogno di essere (1) Le opere di Giorgio Vasari, Firenze, E. G. Sansoni, 1878-85, VII, p· 5 5 3' (2) La raccolta di stampe dei palazzi genovesi, di Pietro Paolo Rubens, ebbe due edizioni; la prima è datata da Anversa, 1622, e l’altra, più completa, non porta data. iji Veggasi nel Giornale Ligustico del 1885 (p. 256, seg.) il carteggio fra l’Algarotti e il genovese Girolamo Curio a cui il primo erasi rivolto per aver le stampe desiderate dal re. (4) Lettres sur l’Italie. Paris, 1788. GIORNALE LIGUSTICO rilevata; essendo inammissibile che, durante il suo breve soggiorno in Genova, P Heine abbia avuto campo di raccogliere tanti e tali elementi di fatto da poterne dedurre con cognizione di causa un giudizio così assoluto sulla mancanza d’intimità fra gli abitanti. Havvi tuttavia un punto circa al quale è d’ uopo convenire che il bisticcio dell’ umorista tedesco non era fuor di proposito nè destituito di fondamento, ed è quello che riguarda la formula « città antica senza antichità. » Scarsissime, infatti, e poco note erano in Genova le antichità che potessero fornire argomento di curiosità al forestiero o soggetto di studi all’ archeologo. Dell’ antica metropoli dei Genuati nell’ epoca preromana non esisteva in Genova altra reliquia che la Tavola di Pol-cevera nella ;>ede dell’ Amministrazione comunale. Dell’ epoca romana, nessuna traccia di quanto abbonda in generale nelle città che ebbero qualche importanza durante il periodo imperiale, dico avanzi di terme, di anfiteatri, di fori, di basiliche, di templi, ecc. Eccezion fatta di pochi frammenti epigrafici o figurati, disseminati qua e là e ignorati dai più, nulla che parlasse dell’esistenza storica di Genova come Municipio romano ed emporio dei Liguri sotto 1 Impero , segno del poco o niun conto in cui il Governo della Serenissima avea tenuto le antichità patrie. Gli stessi monumenti medievali erano scarsi in proporzione e trascurati. Molti di questi, del massimo interesse archeologico e storico O * erano andati e andavano via via scomparendo sotto il piccone demolitore per dar campo a nuove costruzioni; altra vittima illustre della tirannia dello spazio era stata, pur allora , la chiesa di S. Domenico, la più grande e ira le più antiche e monumentali di Genova, un vero santuario di patrie me- 12 GIORNALE LIGUSTICO morie (i), la quale, in un coll’ annesso convento, avea dovuto cedere il posto per la erezione del teatro Carlo Felice e del palazzo dell’ Accademia. Altri, come la Metropolitana, S. Donato, S. Stefano, il palazzo delle Compere di S. Giorgio, ecc., erano stati a più riprese deturpati da restauri e raffazzonamenti, senza il menomo rispetto al loro carattere originario. Altri, finalmente , come la Porta Soprana, quella dei A^acca, S. Agostino, la torre degli Embriaci, ecc., erano lasciati nel più indecente abbandono. Se i monumenti e i cimelii antichi aveano avuto poca fortuna in Genova, l’Arte dal secolo XVI in qua e ravi, per contro, largamente e splendidamente rappresentata nelle sue più svariate estrinsecazioni. Le chiese e i palazzi genovesi, spettanti in gran parte al detto periodo, si imponevano all’am-mirazione del visitatore non soltanto per la ricchezza dei marmi e per la prolusione dell’ oro, ma sopratutto pel pregio delle opere d’arte che ne costituivano la decorazione. A queste aggiungevansi le cosi dette Gallerie, collezioni di opere dei più insigni pennelli, nei palazzi Reale, Balbi-Senarega, Durazzo, Spinola, Cambiaso, Doria, Adorno-Cattaneo, Brignole-Sale, Pallavicini, Serra, De Mari, Sopranis, Raggi, De Fornari, Centurioni, Gropallo, Negrotti-Cambiaso, Pinelli, Doria, Donghi, Peloso, ecc. . allora non ancora depauperate di molti capolavori. Per non parlar che di quadri di primo ordine, Genova contava in que’ tempi, da sola, tanti Van Dycks quanti diffi- (i) La chiesa di S. Domenico misurava in lunghezza palmi genovesi 360, cioè metri 90 circa. Per i monumenti d’ arte in essa contenuti, si consulti la Guida di Carlo Giuseppe Ratti : InstruTjone di quanto può vedersi di più hello in Genova in pittura, scultura ed architettura ecc. Genova, Ivone Gravier, M ■ DCC · LXXX, pag. 67 e segg. GIORNALE LIGUSTICO 13 cilmente avrebbero potuto metterne insieme dieci fra le più cospicue pinacoteche d’ oltremonte. Nè mancavano collezioni di altre classi, specialmente di numismatica. Citerò fra queste ultime il medagliere genovese del cav. Heydecken, Console di Russia in Genova dal 1826 al ’3 5, passato dopo la morte di lui a costituire il nucleo del medagliere dell’Università; i due ricchissimi dell’avvocato Gaetano Avignone e di Luigi Franchini, finiti entrambi al-1’asta, il primo appena pochi mesi fa e il secondo nel 1879. Allo stesso periodo sono parimenti da riferirsi altri minori collezionisti di monete genovesi, quali Luigi Gazzo, il Lavaggi, il march. Agostino Adorno, Federico Carminati, ecc.; e fra i raccoglitori di altre serie, quel cav. Sereno Cacciatori di Biandrate che donò poi al Municipio di Genova un medagliere di oltre a tremila monete romane e della Campania, entro elegante stipo d’ ebano intarsiato d’ avorio. Queste e altre collezioni erano però tutte di proprietà privata. Il concetto d’un Museo pubblico di storia, d’archeologia e d’ arte patria, non sussisteva in quei tempi che allo stato di utopia, oggetto di platonici voti. Dopo tutto, una simile istituzione, quand’anche attuata, avrebbe trovato il pubblico indifferente. Confrontando ora quell’ epoca colla presente, è pur d’uopo riconoscere che nel frattempo l’ambiente si è assai modificato e un profondo cambiamento in ordine alla soggetta materia si è venuto man mano effettuando nell’ opinione pubblica. Il risveglio degli studi storici in generale , e in particolare di quelli di storia patria, ebbe per effetto anche qui, dove men vivo era il sentimento dell’ antico, di promuovere il culto delle patrie memorie e conseguentemente l’investigazione delle antichità locali, il rispetto e la conservazione dei monumenti e dei cimelii d’interesse storico 0 archeologico. Le interessanti monografie del Grassi sulla Tavola di Poi- 14 GIORNALE LIGUSTICO cevera, del Banchero sul Pallio bizantino, del Celesia sui poi ti e vie strate dell’antica Liguria, del Sanguineti sulle isciizioni romane, del Remondini sulle medioevali, del Belgiano, dello Staglieno, del Resasco, del Braggio sulla vita privata dei Genovesi, dell’Alizeri sugli artisti liguri o che opeiaiono in Liguria, del Gandolfi, dell’Olivieri, del Ruggero, del Desimoni sui conii genovesi, del Luxoro, dell Isola, del Varni, del Neri e di tanti altri su cimelii d’ arte e d industria patiii, fuiono altrettanti passi, nel campo degli studi, verso il nuovo indirizzo. Nell’ordine dei fatti corrispondono a quel movimento, da una parte i restauri della Porta Soprana, di S. Donato, del Palazzo di S. Giorgio, del Duomo, ecc.; dall altra le collezioni d’ oggetti d’ arte e d’ antichità dell Accademia Ligustica di Belle Arti, di S. A. R. il Principe Odone di Savoia, del Mylius, del dott. Peirani, di Santo Varni, di G. B. Villa. Queste collezioni, e in ispecial modo la prima, preludiavano alla istituzione d’ un pubblico Museo , di cui ormai si sentiva il bisogno. E già il pubblico genovese avea potuto pregustarne un saggio nella primavera del 1868, quando, cioè, nell occasione dei festeggiamenti per gli sponsali degli odierni Reali d Italia, la benemerita Accademia Ligustica si propose di aprir le sue sale ad una Esposizione artistico-archeologico-industriale, mettendo a pubblica mostra gli oggetti d’ antichità, d arte e d industria da essa posseduti o presso di essa depositati fra cui la citata raccolta di S. A. R. il Principe Odone, passata, dopo la morte di lui, per liberalità di S. M. il Re \ ittorio Emannele II, al Municipio di Genova — come pure quegli altri che il Municipio, i Corpi Morali e i privati fossero per porre , a tale effetto, a sua disposizione. Quell’ Esposizione, giovi qui ricordarlo a titolo di lode pei benemeriti promotori, ebbe un brillante successo per la rie- GIORNALE LIGUSTICO *5 chezza non meno che per la genialità del suo contenuto (i) , e non solo raggiunse pienamente lo scopo propostosi, di presentare, cioè, ai visitatori un quadro della storia, delle arti e delle industrie artistiche nazionali e più specialmente regionali, a illustrazione della vita ligure, ma fu, sopratutto, per effetto dell’ attrattiva da essa esercitata sul pubblico colto che il concetto d’ un Museo patrio passò dal campo delle astrazioni in quello delle idee concrete. Rimaneva a percorrersi un ultimo stadio , quello del trapasso definitivo nel campo della realtà. Le difficoltà a superarsi non erano poche nè lievi. Si escogitò dapprima un accordo fra il Municipio e l’Acca-demia Ligustica, nel senso che il primo unirebbe, a titolo di deposito, i molti oggetti d’arte e d’archeologia giacenti nei diversi uffizi civici e in altri edifizi di proprietà municipale a quelli di proprietà dell’Accademia o presso di essa depositati, e questa a sua volta si obbligherebbe a curare l’assetto e 1 ordinamento dei cimelii commessi alla sua custodia e ad aprire al pubblico le sue sale costituite cosi a Museo. Questo progetto che mirava a risuscitare, in proporzioni ridotte e con carattere permanente, 1’Esposizione del 1868, ebbe anche un principio d’esecuzione sotto il sindacato del march. l\egrotto nel 1S87; ma? Pe1' quanto apprezzabile dal punto di vista economico, dovette essere abbandonato come poco pratico e troppo inadeguato allo scopo; i locali della Ligustica non potendo a gran pezza sopperire simultaneamente alle opposte esigenze dell’ insegnamento accademico da una parte e della sede d un Àluseo pubblico dall’ altra. Da pai te sua, e d uopo riconoscerlo , il Governo non tra- (1) λ eggasi 1 interessante Catalogo compilato per la circostanza da M. Stagliene e L. T. Belgrano e pubblicato coi tipi del R. Istit. dei Sordomuti, aggiuntovi un Supplemento in data XIV Giugno MDCCCLXVIII. ι6 GIORNALE LIGUSTICO lasciava dì mostrarsi in ogni occasione dispostissimo a promuovere e favorire col suo concorso 1 impianto in Genova d’ un Museo patrio regionale, all’ incremento del quale avrebbe fin da principio contribuito col deposito di tutto il materiale archeologico ed artistico che il Demanio possedeva in Genova per effetto della soppressione di chiese e corporazioni religiose in città e provincia, come pure degli oggetti provenuti al medesimo per acquisti, lasciti, donazioni e scavi. La difficoltà maggiore consisteva pur sempre nel trovare un ambiente idoneo : sul che il Ministero dell’ Istruzione Pubblica avea a più riprese richiamata Γ attenzione e chiesto il parere della Commissione Conservatrice dei Monumenti della provincia, non senza successivamente incaricare il comm. Giulio Rezasco, poi me, assunto nel 1890 al nuovo ufficio di R. Commissario per le Antichità e i Monumenti della Liguria, di curare e proporre una conveniente soluzione del quesito. Parecchi furono i locali allora indicati al Governo, primo fra tutti, Γ antica chiesa di S. Agostino, per la quale erasi pronunciata favorevolmente anche la Commissione Consei'matrice dei Monumenti, e la cui cessione da parte del Ministero della Guerra, che Γ avea ridotta a magazzino di materiali del Genio Militare, fu oggetto di lunghe e sterili pratiche Ira l’oradetto Ministero, quello dell’istruzione Pubblica e il Mu nicipio. Altri tra i locali via via proposti in quel frattempo come sedi possibili del Museo da costituirsi, furono il palazzo Casella, olim Saliceti, all’Acquasola, che dovea essere espropriato e in parte demolito per la sistemazione delle mura di S. Chiara; il palazzo di S. Giorgio, di cui era stato decretato il restauro; il Palazzo Bianco, legato al Municipio di Genova dalla munificenza della duchessa di Galliera per essere destinato a sede delle esposizioni artistiche annuali, e in pari tempo d una pubblica Galleria di Belle Arti da formarsi coi quadri e altri GIORNALE LIGUSTICO oggetti d’arte e d’industria artistica legati al Municipio collo stesso testamento, più coi dipinti e altre opere d’arte antica e moderna che si andrebbero di mano in mano acquistando dal Municipio o che ad esso perverrebbero per lasciti e donazioni. Quest’ultimo sarebbe stato certamente, fin d’allora, il più indicato; ma ad alcune clausole del testamento della duchessa, a quella, in ispecie, di doversi mantenere in perpetuo il palazzo, coi suoi giardini, terrazzi e adiacenze, nel preciso stato in cui si trovavano, senza aggiunte o modificazioni di sorta, a quella che limitava la sede della Galleria al solo piano nobile superiore, e all’ altra che determinava gli elementi di cui dovea costituirsi la Galleria, veniva data in quel tempo un’interpretazione molto restrittiva, di fronte alla quale una proposta tendente a far del Palazzo Bianco la sede e della Galleria De Ferrari il nucleo del Museo civico da costituirsi non avrebbe trovato che ben poche adesioni. Ed eccoci finalmente al 1892, data memorabile per la solenne celebrazione in Genova del quarto centenario della scoperta dell America. 11 movimento delle idee , in generale , a ' O “ cui diede luogo il Centenario Colombiano, e in particolare la maggior libertà d’azione e disponibilità di mezzi lasciate in questa circostanza alla Giunta municipale, come permisero all’Amministrazione presieduta dal barone A. Podestà di raddrizzare molte storture, concretare e dare un principio di esecuzione ad una quantità di progetti che in tempi e circostanze normali diffìcilmente avrebbero potuto avere una pratica estrinsecazione, cosi le porsero occasione e modo di compiere ciò che da lunghi anni era nei voti di quanti in Genova professano il culto delle patrie memorie, l’istituzione del Museo civico. Essendosi deliberato dall’Amministrazione municipale che si dovessero aprire al pubblico nell’ occasione del Centenario Gioru. Ligustico. Anno XXI. , iS GIORNALE LIGUSTICO Colombiano le sale del Palazzo Bianco, destinate alla Galleria di Belle Arti istituita dalla Duchessa, venne del pari approvato che, ad accrescere lustro e importanza olla solennità, si oidi-nasse in esse una pubblica Mostra di Arte antica. Con ciò venivano orettate le fondamenta del nuovo Museo Civico, i cui ÌD incunabuli figurarono appunto in quella Mostra. Infatti, il materiale archeologico e artistico da esporsi nella Mostra dividevasi, anzitutto, in due categorie, cioè in transitorio e permanente. Il transitorio constava degli oggetti che sarebbero stati depositati da privati o da enti morali pei rimanere esposti al pubblico soltanto durante il periodo della Mostra. Il permanente , invece, dopo il periodo dell Esposizione, sarebbe rimasto a far parte del Museo Civico da 01-dinarsi stabilmente nel Palazzo Bianco (i). L’Esposizione, riuscitissima, fu una delle grandi attrattive del Centenario Colombiano: e quando essa si sciolse col ritiio degli oggetti temporaneamente depositati dai privati e dalle amministrazioni, il suo elogio funebre potè compendiarsi nel non omnis moriar di Orazio, giacché colla fine dell Esposizione ebbe principio il Museo. Il materiale con cui si inaugurava il Museo era dunque, e rimane, in parte di proprietà municipale e in parte di pio-prietà governativa. Quello della prima specie compì ende, anzitutto , gli oggetti d’ arte e d’industria artistica legati dalla duchessa di Galliera come primo nucleo della Galleria a cui destinava il piano nobile del Palazzo Bianco, oggetti già esistenti nel palazzo Deferrari in Genova, nella sua villa di λ oltii e nel palazzo di sua abitazione in Parigi; poi i cimelii d aite (i) Vittorio Poggi — L. A. Cervetto — G. B. Villa — Catalogo degli oggetti componenti la Mostra d’Arte Antica aperta nelle sale del Palalo Bianco destinato a sede del nuovo Museo Civico. Genova, Stabilimento Fratelli Pagano, 1892. GIORNALE LIGUSTICO *9 e d archeologia pervenuti al Municipio da demolizioni di edifici, da acquisti, da lasciti testamentari, da doni. Il materiale di proprietà governativa consta di lapidi, monumenti sepocrali, quadri, marmi e terrecotte ornamentali e figurate, due medaglieri e altri cimelii, provenienti come già si accennò da chiese e corporazioni religiose soppresse e da acquisti diversi, ed erano dapprima giacenti, alcuni presso 1 Accademia Ligustica , altri in magazzini del Palazzo Ducale e altri nella R. Università. Il Municipio avendo fatto istanza al Ministero dell Istruzione Pubblica affinchè tutto il materiale aidieologico ed artistico di proprietà governativa in Genova gli venisse concesso a titolo di deposito per essere ospitato nelle sale del Palazzo Bianco, S. E. il Ministro aderiva graziosamente a tale domanda, dando incarico allo scrivente di compilare il catalogo descrittivo del materiale richiesto , non esclusi i medaglieri della Biblioteca Universitaria, e di passare il tutto in consegna all’Autorità municipale. A questo ricco contenuto voglionsi aggiungere molti altri cimelii di proprietà privata, che rimasero in deposito al Museo anche dopo la chiusura dell’ Esposizione, e altri ancora, di proprietà comunale, che non aveano potuto figurar nella Mostra per mancanza di spazio. Aggiungansi a tuttociò i doni per-\enuti in questi ultimi anni, e finalmente i nuovi acquisti fatti dal Municipio , fra i quali ricorderò soltanto le belle e rare monete genovesi acquistate recentemente nella vendita all’asta del medagliere Avignone (i). Intanto per consentire all’ in-ci emento del materiale e dare una disposizione più razionale ad alcune serie, e specialmente alle numismatiche, già si è do\uto occupare un nuovo piano inferiore al nobile, il che (i) Per 1 acquisto complessivo di questo medagliere, il Municipio di Genova avea offerto, tre anni addietro, agli eredi Avignone la somma di 45>°oo lire. 20 GIORNALE LIGUSTICO può dare uria qualche misura della potenzialità del nuovo Museo in questo primo stadio della sua esistenza. Non è qui il caso di spender molte parole per tesser la storia del Palazzo Bianco, conosciutissimo in Genova. È un edificio di stile nobile e grandioso, sebbene un po’ pesante, eretto nella 2.a metà del secolo XVI dal patrizio Nicolò Grimaldi su disegno di Giovanni e Domenico Ponzelli di Oneglia. Ha un atrio spazioso, d’onde per uno scalone si accede ad un loggiato sostenuto da marmoree colonne che gira tutt’intorno OD al cortile, e il cui lato anteriore è decorato sulla fronte da due statue colossali, Giove e Giano, portanti la firma di Pietro Francavilla, fiammingo, e la data del 1585. Il piano nobile, sede principale del nuovo Museo, consta di un salone fiancheggiato da una fuga di grandi sale che mettono ad un giar-dino pensile adorno di peschiere e a terrazzi marmorei del più imponente effetto. Tutto in questo edificio, dalla grandiosità delle linee architettoniche alla ricchezza degli accessorii decorativi, rispecchia le condizioni della vita del patriziato genovese in un periodo di grande prosperità materiale, quale fu per esso quello dei due secoli scorsi. Nei mezzanini di questo palazzo studiò e scrisse nel secolo XVII l’illustre senatore Federico Federici, a cui tanto deve la storia genovese. Il piano nobile fu a nostra memoria abitato da quel march. Francesco Pallavicini che per l’ingegno e la dottrina fu giudicato degno della nomina a Segretario Generale dell’ Vili Congresso Scientifico di Genova. Egli aveva fatto della sua abitazione un tempio dell’Arte, ricco di capolavori antichi e moderni. Tale è, per sommi capi, la storia delle origini del nuovo Museo Civico. Se dall’ unghia può divinarsi il leone, sarà lecito trarre dai primordi della nuova istituzione i più fausti auspicii circa al suo sviluppo avvenire. GIORNALE LIGUSTICO 21 Uno dei caratteri, infatti, per cui il nuovo Museo genovese si differenzia dalla maggior parte dei suoi affini d’altrove, è questo, di non essersi, cioè, accresciuto per successiva e lenta aggregazione di elementi intorno ad un piccolo nucleo, occulto, velut arbor, aevo; ma di aver fatto la sua prima apparita in tali condizioni di decoro da meritar subito un posto cospicuo fra le istituzioni del suo genere. Se Genova ha dovuto a lungo aspettare prima di essere dotata di un’ istituzione vivamente invocata dalla cittadinanza, questa può consolarsi pensando che il nuovo Museo ha raggiunto fin dal primo suo nascere un grado di splendore che molti altri non asseguirono dopo secoli di progressivo sviluppo e all’ apogeo del loro incremento. La robustezza del neonato ci compensa ad usura della lunghezza del periodo di gestazione. Vittorio Poggi. Col prossimo fascicolo cominceremo una serie di articoli illustranti dal lato artistico ed archeologico i MONUMENTI di GENOVA e della LIGURIA. Ci siamo rivolli a cooperatori egregii, scultori, pittoi i, architetti, archeologi ci hanno promesso loro scritti. L instancabile amico nostro, comm. Vittorio Poggij ha già in piotilo una memoria sul Sarcofago di S. Fruttuoso di Capodimonte, la quale riuscirà un prezioso contributo ad un catalogo dei monumenti e oggetti d’arte ed antichità della Liguria. Annunciamo — giacche se ne presenta il destro — che la Sezione di Belle Arti della rinnovellata « Società Ligure di Storia Patria », o ? ha deliberato di fare oggetto dei propri sludi la raccolta di iscrizioni del Palalo Bianco. 22 GIORNALE LIGUSTICO L’ EPIGRAFE SEPOLCRALE DELL’ULTIMO DOGE DELLA SERENISSIMA REPUBBLICA DI GENOVA L’ultimo Doge delia Serenissima Repubblica di Genova fu Giacomo Maria Brignole. L vero che nei cataloghi dei Dogi talora dopo di lui veggonsi figurare ancora Gerolamo Durazzo di Marcello e Gerolamo Serra di Giacomo; ma il primo fu Doge della Repubblica Ligure nel 1802, la quale successe all’aristocratica Repubblica Serenissima, e Γ altro, più che Doge, fu Presidente della effimera Repubblica, che si tentò di far risorgere sopra basi, parte vecchie e parte nuove, nel 1814, dopo la caduta del regime francese, e che cessò coll’ aggregazione della Liguria agli stati di S. M. il Re di Sardegna. Costoro perciò non possono dirsi Dogi della vecchia Serenissima Repubblica, la quale cadde e mori per sempre, in seguito alla rivoluzione democratica del 1797, mentre appunto era Doge Giacomo Maria Brignole. Egli era nato il 10 dicembre 1724, da Francesco Maria e da Lavinia Spinola di Giacomo, e giovane ancora aveva coperto con lode importanti magistrature, onde ne riportava fama di grande perizia nel maneggio dei pubblici affari. Due volte poi venne eletto alla dignità di Doge, cosa non mai vista dacché la Repubblica era stata riformata colle leggi del 1528 passando dal governo popolare coi Dogi a vita, ad un governo aristocratico con i Dogi biennali. La sua prima elezione a Doge avvenne à 4 marzo del 1779, cessando dalla carica ai primi del marzo 1781. L’ultima à GIORNALE LIGUSTICO 23 17 novembre del 1795, per cui avrebbe dovuto cessare à 16 novembre 1797. Ma la rivoluzione democratica scoppiata in Genova il 22 maggio 1797 lo detronizzò prima. La serenissima Repubblica cessava per sempre, e con essa il suo Doge. Successe un governo provvisorio, installato à 14 giugno, il quale doveva aver a capo un Doge Presidente, ed il generale Bonaparte, a seguito degli accordi presi col trattato di Montebello, vi designava appunto Giacomo Maria Brignole. Egli però estremamente pio, attaccato alle forme dei vecchi sistemi, e di carattere piuttosto debole , male si poteva adattare alle esigenze di un nuovo sistema che tutto voleva cambiare e riformare, per cui dopo poco abbandonò la carica. Disgustato degli uomini e degli avvenimenti, amante della pace e della tranquillità, si ritrasse a Firenze, ospitando presso i Padri di S. Teresa nel loro convento di S. Paolino in via Palazzolo, ove morì addi 21 dicembre del 1801, essendo egli in età di anni 77. Dal suo matrimonio con Barbara Durazzo, sposata il 28 giugno 1760, egli aveva avuto tre maschi, Giovanni Carlo, Francesco Maria, ed Emanuele e tre femmine. Giovanni Carlo ebbe onori e dignità dal nuovo governo dei Re di Sarde gna e ne fu ministro delle Finanze. Di lui è viva tutt’ora la discendenza nella persona di Benedetto, figlio di Nicolò suo nipote da figlio, e perciò pronipote del Doge. Il quale Benedetto è l’unico rappresentante questa illustre e benemerita famiglia, non essendovi più alcuno di cognome Brignole, fra i patrizi di Genova. Di Francesco Maria, sposato con Gio-vannetta Cattaneo Grillo, la discendenza maschile si estinse con Giacomo, che fu cardinale e morì nel luglio del 1853. Emanuele visse celibe, e non ebbe prole. Giacomo Maria Brignole fu sepolto sotto il coro, nelle tombe dei frati, e la seguente epigrafe collocata in terra davanti all’altare di S. Teresa fa memoria di lui. 24 GIORNALE LIGUSTICO a m Ω MEMORIAE · ET · CINERIBUS lACOBI · MARIAE · BRI GNOLES DUCIS · GENVENSIVM · BIS Q.UOD · POST · REMPVBLICAM A ■ POPVLARIBVS · AD · OPTIMATES · TRANSLATAM NVLLI · ALII · CONTIGIT VIXIT - ANNOS · LXXVII · D · XI OBIIT · FLORENTIAE · XI · K · IAN · MDCCCII IN · AEDIBVS · THERESIANORVM QVAS · QVIETIS · AtATISQVE · CAVSSA QyiNQVENNIO · ANTE ■ SIBI · DELEGERAT FRANCISCVS · ET ■ IO · CAROLVS · ET · EMMANVEL · FILII PATRI · AMATISSIMO · POSVERE L’ epigrafe è vicina all’ ingresso della sagrestia, e perciò in qualche punto corrosa e guasta dal continuo passaggio. Degli stemmi poi, l’uno di Genova e i’altro della famiglia, posti in capo alla stessa, più non appare visibile che il primo, per cui, rimanendo l’epigrafe in quel posto, fra non molto, in più righe, sarà resa illegibile. Sarebbe pertanto a desiderarsi che di là venisse tolta e che ristorata alquanto fosse addossata a qualche parete. La memoria dell’ ultimo Doge della Serenissima Repubblica di Genova, mi pare che meriterebbe .di essere conservata, tanto più che tutti ignorano la data e il luogo della morte di lui e dove venne sepolto. M. Staglieno. GIORNALE LIGUSTIBO 25 UN EPISODIO DELLA VITA DI VINCENZO RICCI L’u dicembre del 1832 cessava di vivere in Genova, in avanzata età, il marchese Gerolamo Ricci, intendente generale delle Gabelle del regno di Sardegna ; e il suo primogenito, Vincenzo, che allora teneva l’ufficio di Sostituto Avvocato Generale di S. M. presso il Senato di Torino, fattosi tramutare a quello di Genova, per accudire agl’ interessi della famiglia e assistere la vedova genitrice, ad onorarne la memoria, scrisse alcuni cenni biografici del padre. I suoi congiunti e in particolare uno zio materno, Giacomo Causa, facoltoso negoziante, già membro della Camera di Commercio di Genova e chiamato poi a far parte della Commissione incaricata dal Governo Sardo di studiare l’introduzione delle strade ferrate, il quale morendo eternava il suo nome erogando le proprie ricchezze in un pio istituto a benefizio degli abitanti di S. Francesco d Albaro, espressero il desiderio che quella biografia di Gerolamo Ricci fosse stampata per averne tutti una copia. Arrendendosi al volere de’ suoi, l’autore faceva leggere il manoscritto a giudici competenti per averne Γ avviso sia dal lato letterario sia dal lato polìtico ; e ciò innanzi di mandarlo alla R. Censura. Ora a titolo di curiosità e quale documento dei tempi, di poco anteriori alle riforme costituzionali, piacerai narrare le vicende di questo manoscritto rimasto inedito. Anzitutto darò un cenno, con qualche estratto, del lavoro. Dopo un breve esordio, dove si distinguono « gli uomini che per magnanime imprese, o per isplendidi doni di fortuna levarono alto grido di sè » da quelli altri « che ricchi per 2 6 GIORNALE LIGUSTICO doni di mente e del cuore vissero vita modesta, e non affatto oscura nè oziosa » viene cosi a parlare del padre : « Stefano Gerolamo Ricci nacque da Vincenzo e Camilla Promontorio nell’anno 1755 fortuitamente alla Spezia, dove ritrovavasi il padre suo come Governatore politico. La famiglia di lui era antica, ascritta al patriziato genovese ed affezionata alla patria. Il Foglietta ne dà l’origine dal 1183. La madre fu l’ultimo rampollo di un casato assai illustre ». Discorso quindi della sua educazione e dei suoi studi di giurisprudenza, soggiunge : « A’ nobili genovesi all’ età di 25 anni era aperta per diritto di nascita l’entrata nel Maggior Consiglio della Repubblica; sotto il quale nome intendevasi l’Assemblea generale in cui risiedeva l’autorità sovrana. Da questa facevansi le elezioni alle principali Magistrature. Ordinariamente eran richiesti i due terzi dei voti per la nomina a simili cariche; sicché formava la guarentigia di probità e di senno di chi veniva prescelto, non potendo sfuggire le vere qualità degli eletti all’ esame di sì gran numero di concittadini. « Questi diversi Magistrati erano temporarii, collegiali, e affatto gratuiti. Ognuno dirigeva qualche ramo di pubblica amministrazione. Con tal metodo veniva mantenuto il principio di non perpetuare l’autorità nell’istesse mani, ed inoltre for-mavansi uomini non solo istrutti in qualche parte speciale, ma versati in tutte le diverse materie delle scienze economiche. » Accennato a questi principii d’ordine costituzionale, e detto poscia come il padre suo venisse chiamato a’ più importanti di tali uffici, prima a quello della Zecca, quindi fra i Conservatori del Mare, e dappoi nei Protettori del Banco di S. Giorgio, spiccando ovunque per la sua illibatezza ed abilità, aggiunge che non solo della pratica, ma altresi delle teorie scientifiche si dimostrava studioso in tutto ciò che riflette la pubblica economia. GIORNALE LIGUSTICO 27 Successivamente Gerolamo Ricci fu mandato quale governatore della Spezia, e a questo proposito F autore ricorda la grande responsabilità che pesava sui governatori, sottoposti, insieme allo stesso Doge, al Magistrato dei Supremi Sindicatori; quindi compiuto l’onorevole ufficio venne chiamato a far parte del Minor Consiglio dal quale erano diretti gli affari più gelosi della Repubblica e specialmente i politici. Dopo la rivoluzione francese del 1789, mentre « governi poco amorevoli fomentavano intestine discordie », ed era quindi « ufficio importante ma difficile il presiedere alla sicurezza sociale », Gerolamo Ricci venne eletto a Commissario della città, « incarico, scrive il figlio Vincenzo, per cui doveva guardarla dalle insidie esterne e vegliare alla interna tranquillità. E somma fu la lode che riscosse in tale geloso ufficio, che richiede in chi lo esercita animo contenente, gran rispetto alle leggi ed ai segreti delle famiglie, poiché altrimenti la polizia con esito contrario alla propria istituzione non riesce che torbida ed insidiatrice della domestica e della pubblica pace «. Detto poi degli uffici coperti dal padre durante il periodo napoleonico, scrive: « Dopo nove anni il Congresso di Vienna cambiava le sorti della Liguria. Or qui duplice fu la via seguita dai più illustri cittadini genovesi. Alcuni, il cui nome e le di cui virtù civili erano note oltre l’Italia, e che negli ultimi tempi avevano adempiuto ad uffici politici, preferirono di abbandonare le pubbliche cure e protestarono, con dispettoso silenzio, contro le ingiurie della fortuna. Altri, di men chiaro grido, ma non meno affezionati alla patria, non vollero esporre, ritirandosi, la sorte dei loro concittadini a mani straniere o di quei mercenari che non mancano giammai in ogni società, d offrir servigi non disinteressati a nuovi governi. Restando in ufficio tutelarono questi con la loro autorità non pochi interessi pubblici e privati ». Rimase perciò Gerolamo Ricci nell’ ufficio di governatore 28 di Sarzana, che teneva all’atto dell’unione della Liguria al regno di Sardegna; nel luglio del 1815 venne mandato Intendente Generale a Casale, e in capo a due anni nella stessa qualità in Alessandria, dove, « nel frangente politico del 1821 salvò egli da pericoli, mercè il suo saggio ed avveduto contegno, parecchie delle cose e persone che da lui dipendevano ». Nominato da ultimo Intendente Generale delle Gabelle, reco in questo importante ufficio tutto il vasto contributo dei suoi studi economici, facendo adottare importanti provvedimenti doganali nell’ interesse e sviluppo del commercio e delle industrie. E qui Vincenzo Ricci traccia la storia dei provvedimenti suggeriti dal padre suo e adottati dal governo sardo, fra i quali lo stabilimento dei diritti differenziali, per favorire.la bandiera nazionale, la libertà interna concessa al Portofranco di Genova, 1’ approvvigionamento del sale e dei tabacchi, oltre all’ introduzione di notevoli economie nell’ azienda da lui dipendente. Nel suo complesso il lavoro del futuro ministro di Carlo Alberto è mite, non arieggia al rivoluzionario; ma per l’anno 1833 ha il difetto di essere troppo sincero, di non essere laudatore ad ogni costo del governo sardo. \ i si legge poi tra le righe la simpatia per un regime costituzionale, vi si parla troppo d’Italia e di libertà, non vi è invece alcun inno a Casa Savoia. Tuttavia l’autore non si sarebbe mai più aspettato che il suo manoscrittto dovesse avere tante avventure e creargli tanti fastidi. Il cavalier Ludovico Sauli il 2 aprile -1833 scriveva a Vincenzo Ricci, dopo aver letto il lavoro : L’ordine eh’ Ella ha seguito mi par chiaro e naturale, e il modo dimostra com’ Ella veda molto innanzi nelle dottrine dello Stato, segnata-mente economiche. Son sicuro che un tal lavoro le farà molto onore, sia per rispetto alle doti del cuore e dell’ animo suo, come per rispetto a quelle della mente. Dov’ ella parla dei favori conceduti alla bandiera nazionale GIORNALE LIGUSTICO 29 bramerei eh’ Ella dicesse che il padre suo era congiunto di mire cogli uomini più avveduti e meglio sperimentati per invocarli. Io parlo solamente del merito letterario e storico del suo lavoro eh’ io lodo. Per ciò che riguarda alla prudenza, sarà qui ufficio della censura dire il parer suo. Ma per effetto della confidenza di che Ella mi onora piglio ardire a significarle come forse incontrerebbe minor difficoltà o veruna dove si facesse a modificare quel passo che si riferisce al governo provvisorio della repubblica ed al passaggio sotto il dominio di S. M Ella capisce lo scoglio di questo punto. Non consiglierei mai di tradire la storia, ma si di presentarla in guisa, che non possa offendere chi comanda, e nuocere a chi scrive. Il Sauli aveva subito intravisto dove stava il pericolo pel Ricci e pel suo manoscritto; ma l’ufficio di censura trovava altri motivi non per vietarne la stampa sibbene per ostacolarla; motivi curiosi, per non dire ridicoli, che ora vedremo. Intanto il Ricci proseguiva a sottoporre il proprio lavoro all’ esame d’altri letterati, e fra i molti a quello del celebre padre Spotorno, autore della Storia letteraria della Liguria, il quale cosi gli scriveva il 13 giugno dell’ anno citato : Se v’ha persona ch’io dovessi e bramassi servire prontamente, certo è V. S. 111.™1, cui tanto debbo; ma si accerti che tra M. Pardessus e il sig. Graberg, pei quali, ma specialmente pel primo, ho dovuto far molte ricerche, per l’opera del Giureconsulto francese — Historié du Droit maritime etc. — acciochè i Genovesi vi facciano buona figura, non ho avuto un momento libero. Adempisco ora, ma tardi e con mio rossore, al mio debito. Ho letto due volte attentamente il suo scritto : io non posso se non che ammirarlo in ogni sua parte. Farà onore e a chi loda e al lodatore. Alcune minutezze, quasi pedantesche le ho notate, per ubbidirla, in una nota che accludo. Chiedo scusa della mia negligenza, non volontaria, e spero eh’ Ella, gentile com’è, vorrà darmene il perdono; specialmente pensando che ho speso le giornate per essere utile alla storia del nostro diritto marittimo. E pedantesche davvero sono le correzioni fatte dallo Spotorno (i). (1) Ad esempio: « Riunione della Liguria, forse unione sarebbe migliore in grammatica e in istoria; codeste: i più severi vogliono coteste »; e altre di tal peso o poco più. 30 GIORNALE LIGUSTICO Il 19 dello stesso mese di giugno il Ricci riceveva il giudizio, con altro foglio di osservazioni e correzioni, da Carlo Alberto Nora, allora Intendente di provincia, il quale rilevava come una bellezza quel punto del manoscritto dove « getta un tratto sopra la polizia ». Modificato nella forma il suo lavoro, Vincenzo Ricci lo spediva alla R. Censura in Torino onde averne licenza di farlo stampare; e con lettera del 2 ottobre 1834 il Sauli lo informava di aver ritirato il manoscritto con la seguente annotazione da parte del Revisore : Non vi sarà difficoltà per la permissione di stampa del manoscritto intitolato : Cenni biografici intorno a Gerolamo Ricci, quando 1’ autore voglia attenersi alle seguenti osservazioni : 1. Di dare più esatte notizie sull’acquisto dei tabacchi e la tabella di variazione dei prezzi delle foglie dall’anno 1821 all’anno 1831. 2. Di prescindere, nel proclamare l’amministrazione delle gabelle, stata diretta dal Marchese Ricci con principii di stretta economia, e con spirito di giustizia e saviezza, del dare ragguagli particolari di certi consigli e di provvedimenti che forse non ebbero per autori e per mezzi quelli indicati nel manoscritto. 3. Di tralasciare dal far menzione speciale di certe economie, come sarebbe quella ottenuta nelle spese d’ufficio della generale azienda delle gabelle dall’anno 1825 al 1831. E per ultimo sarebbe meglio cosa per l’autore, anche in omaggio alla memoria del sig. Marchese Ricci, e per il buon effetto che potrà produrre nel pubblico, che trattasse in genere dell’ ingegno e del merito del suo consanguineo nell’amministrazione delle gabelle senza farlo autore di quanto fu operato e senza entrare nelle particolarità dell’ ufficio della generale azienda e nei risultamenti speciali dei rami di servizio che ne dipendono. Ricevuta comunicazione di queste amene osservazioni, il Ricci si dava attorno per modificare in qualche parte il proprio lavoro ; ma non così profondamente come avrebbe voluto la Regia Censura, alla quale diresse una lunga lettera spiegativa dei punti controversi, facendo singolarmente osservare che : GIORNALE LIGUSTICO 31 Il principio monarchico di riferire ogni lode al Principe non è dimenticato, e poi questo deve intendersi circa la somma delle cose, non d’ ogni minimo particolare del quale neppure dee occuparsi, essendo già grandissimo pregio se il Sovrano sceglie uomini intelligenti che vi provvedano. Una diversa spiegazione di quella massima non solo distrurrebbe la storia ma sarebbe falsa in fatto. Chi negherà che il Marchese S. Marzano sia stato l’introduttore in Piemonte dell’ alternato servizio dell’ esercito ? La Regia Censura, che per sua parte non avrebbe trovato difficoltà a concedere la licenza per la stampa, dovette comunicare il nuovo manoscritto alla segreteria di Stato per le Finanze dove fu posto a dormire. Il marchese Michele d’ Aste, faciente parte della Reale Commissione di Censura, invitato dal cugino Vincenzo Ricci ad ottenere una risoluzione, della sua domanda, gli scriveva in data 11 marzo 1835 : « Questo sig. Conte Provana non vuole sollecitare il Ministero delle Regie Finanze a rispondere alla comunicazione che questa Commissione di Revisione gli ha fatto, del vostro manoscritto, perchè egli dice che S. E. il conte I ralormo stesso gli ha detto eh’ ella sa d’essere in ritardo di suddetta risposta, ma che il di lei ufficio è tanto affollato d affari che per ora non può occuparsi di tali cose. Ora che volete che vi dica o faccia ? Ciò che posso dirvi si è che io mi sono dichiarato favorevole alla stampa del vostro manoscritto; e da canto mio non mi è permesso operare dippiù ». Altri a siffatto linguaggio si sarebbe acquietato e non avrebbe sollecitato una risposta che si poteva prevedere sfavorevole; ma il Ricci tenace e fiero non si sgomentò e il 1. aprile sciisse dilettamente al conte Bertrando di Pralormo, ministro delle finanze, il quale gli rispose molto sollecitamente cosi : Torino il 6 Aprile 1835 111."® Sig. Padr. Col.m“ La gravità ed importanza del manoscritto di V. S. 111.“% che ho letto io stesso e ben ponderato, tale in vero mi parve, che credei non decidere 32 GIORNALE LIGUSTICO cosa alcuna, od alcuna disposizione promuovere, senza prima intrattenerne la Maestà del Re, onde conoscerne le intenzioni. La M S., che pur legger lo volle egli stesso, non reputando opportuno sia dato alle stampe, se lo ha ritenuto. In tale stato di cose, mentre mi spiace non essere in grado di darle miglior riscontro, parrebbe a me prudente consiglio rispetto a persona onorata qu.il Ella è della R. grazia mercè distinto impiego, ed al figlio d un zelante e benemerito fra i precipui ufficiali del Principe, Γ astenersi da ogni insistenza, non foss* altro, per riaver quello scritto, insistenza che potrebbe per avventura increscere, e eh’ io per istima alla memoria ed a servigi del sig. di Lei padre, non vorrei le fosse origine di qualche rammarico. Ho 1’ onore di raffermarmi con distinta considerazione Di V. S. IH- Ol>l>l.ma Servitore DI PRALORMO Pochi giorni dopo, cioè Γ 11 aprile, un amico, clic avea tardato a rispondere alle insistenti sue sollecitazioni per avere ragguagli circa il manoscritto, scriveva al Ricci una lunga lettera, della quale trascrivo una parte che dimostra ancor più P irritazione del ministro delle finanze contro P autore della biografia di Girolamo Ricci : Mi sono ipso /acto occupato del suo affare c se non sono ricsato ad appagare le sue giuste brame non è mia per certo la colpa. Essa è del demagogico' suo scritto, la di cui lettura ha irritato altamente l’animo del Ministro, per modo che venni da persona amica, c, quel che t più, spregiudicata e pizzicante un tantino del liberale, consigliato a non fargliene muover parola da chichcssia. Marchese mio, quali massime ha egli mai sostenute, quali idee il suo cervello ha mai procreato, da suscitare una si sublime collera? Quali sono cotesti principii di pubblica economia al cui aspetto trepidar tutta deve la forte e potente nostra Monarchia ? Ha egli forse innalzato la bandiera del 95 e gridato morte ai tiranni ? Bisogna pure che la sia cosi, se l'individuo di sopra accennato mi persuase a scriverle che si guardasse dal rimescolare le ceneri semispente di quel gran fuoco, per tema non si riaccendesse più gagliardo di prima, e me con esso lei interamente consumasse. Mi arresi a tali consigli, ma volli astenermi dal farle parte di questa disgustosa vicenda, nella speranza che il manoscritto GIORNALE LIGUSTICO fosse stato rimandato alla censura e si potesse quindi, senza pericolo, ritirare dalle mani dell’ intellettuale inquisizione. Incaricai di ciò una terza persona, conoscendo assai meno il conte Provana del conte Pralormo, ma quest’originale oggi con una scusa e domani coll’ altra mi ha tratto fin qui senza sapermi dire se il manoscritto sia o non nelle unghie della spaventcvolis-sima Censura. La conclusione di tutto questo, marchese mio dolcissimo, si è che le conviene di prendere in pazienza questo nuovo genere di barbarie, e a lasciare quel suo scritto sepolto nelle baccheche finanziarie, aspettando tempi migliori, e non possono essere lontani checché si faccia e si dica dal sig. Tiberio e consorti, in cui sarà concesso ad un figlio affettuoso il dimostrare pubblicamente la sua riverenza ad un genitore diletto e che non è più. Quindi l’amico lo consigliava a non reclamare più la restituzione del manoscritto per non crearsi imbarazzi e danni. Ma il Ricci non si volle dare per vinto. Nè la lettera del Pralormo nè quella dell’ amico valsero a temperargli P animo, certo disgustato e inacerbito per il rifiuto oppostogli alla stampa del suo lavoro; e subito scrisse al Ministro delle Finanze altra lettera che tutta rivela il carattere indipendente, fiero ed inaccessibile al terrore del futuro uomo di Stato. È pregio del-P opera riferirla nella sua integriti : 111."“’ ed Ecc."0 Signore, M’ affretto di porgere a Vostra Eccellenza i dovuti ringraziamenti per la gentilezza con cui Le piacque riscontrare al mio foglio del primo corrente. Dopo Γ assoluta approvazione della R. Commissione di Revisione, e gl’incoraggiamenti pervenutimi da S. E. il Cav. Cesare Saluzzo e altri molti poco inferiori per dignità e dottrina che videro l’opuscolo, non avrei creduto potessero insorgere difficoltà alla distribuzione di qualche esemplare. A questo solo deve V. E. attribuire le istanze indirizzatele colla mia precedente. Ma oramai non oserò d’introdurre nuove discussioni con V. E. Debbo unicamente sottoporle che il manoscritto contenente la vita di un Padre riesce ad un figlio riconoscente, di troppo alta importanza perch’ io possa acquietarmi a perderlo, anzi il ricuperarlo e custodirlo è per me un sacro dovere che non posso immolare a considerazione veruna. Ciò cagionerebbe troppo intenso dolore alla rispettabile mia madre e le accrescerebbe Ciò»*. Ligustico. Anno XXI. , 34 Gli UNA LE LIGUSTICO per avventura e ronderebbe almeno vieppiù addolorati i pochi anni che le restano di vita. Altronde ogni opera finché rimane manoscritta, come quella di cui trattasi, per quanto insignificante, costituisce un oggetto materiale di proprietà su di cui 1’ autore ha un diritto di dominio che non si distingue da qualsivoglia altro, e quindi non potrei dubitar punto d’un rifiuto a si onesta dimanda. Supplico pertanto V. E. a voler degnarsi di farmi pervenire il ms. e lo invoco da V. E. qual singolare favore per cui le professerò eterna gratitudine, senza indagare se non sia forse un primo dovere di savia giustizia. Ho 1’ onore di ripetermi col più profondo rispetto, ecc. La lettera, malgrado le forme di devozione, era viva. Faceva appello a dei diritti, in tempi nei quali ι cittadini di fronte al governo non ne avevano; e non v lia dubbio che se la stessa fosse pervenuta al suo indirizzo avrebbe procurato dispiaceri non piccoli all’ autore, già poco in odore di santità presso 1’ autorità di polizia. Dico se fosse pervenuta, perocché il 17 aprile, il Pinchia scriveva, al Ricci onde largii avere due importantissimi avvertimenti: L’uno che usi prudentissimamente nel discorso e nel tratto perJiè sappia di buona sorgente essere Ella in grandissimo sospetto; 1 altro, che la di lei lettera per ridomandare quel tal manoscritto lu trovata ardita, ed avrebbe potuto procurarle gravi dispiaceri se, pervenuta a mani amiche, non fosse stata trattenuta Io lui dunque consigliato a scriverle di consentire che quella lettera fosse annullata ed inviare prontamente un altra lettera di semplice ridomanda del manoscritto, senza commenti. Non trovo nel carteggio clie ho alle mani se Vincenzo Ricci abbia accettato il consiglio dell’ amico, in quanto riguarda il ritiro e la sostituzione della lettera ; ma certo non tralasciò d’insistere direttamente e indirettamente per avere il proprio manoscritto. Il conte Gallina, allora primo uffiziale al Ministero della Finanze, gii scriveva il 21 maggio di aver riscontrato che: / Ο Οι' Con foglio delli 6 aprile di questa R. Segreteria, il Ministro le fece risposta talmente categorica, ch’io non credo convenevole eli’Ella insista GIORNALE LIGUSTICO 35 sulla restituzione del manoscritto che S. M. ha ritenuto presso di sè, mentre tale insistenza potrebbe riescirle poi increscevole e non condurre a nessun bene. Memore forse del motto antico, chi la dura la vince, il Ricci prosegui ad insistere, e tanto fece, che finalmente nella prima quindicina del giugno 1835 ebbe in restituzione il suo lavoro, senza, ben inteso, il permesso di poterlo stampare. li qui sarebbe finita la storia del manoscritto, se non che trovo opportuno pubblicare a chiusa dell’ episodio larga parte d una lettera che il Cav. Piacenza, Avvocato generale presso il Senato di Torino, scriveva a Vincenzo Ricci il 26 ottobre 1833, nella quale si accenna ai sospetti di cui negli avvertimenti del Pinchia. Stimo opportuno , per dimostrarle viepiù la sincerità del vivo mio interessamento per la cara sua persona, di soggiungere per di lei norma, ed in tutta confidenza, che sono stato informato che già fino dal 1831 si elevarono de’ sospetti sulla di lei condotta politica, attese le relazioni eh’Ella aveva con persone implicate in procedimenti criminali per delitti politici, o notate come gravemente sospette in tale materia per le conosciute loro opinioni avverse al Governo; che parimenti nel corrente anno insorsero eguali sospetti a di lei riguardo, e venne indicata come avente dei rapporti dell anzidetto genere; e che sebbene queste poco favorevoli note sul di lei conto esistessero già prima della sua nomina, si passò tuttavia oltre alla medesima, sia in vista della buona testimonianza da me più volte resa alla di lei integrità e capacità, sia perchè punto non si dubitò che se qualche inconsiderata amicizia poteva aver dato troppo a dubitare della rettitudine de suoi principi, il Sovrano favore che le veniva compartito ed un salutare avvertimento non valessero a richiamarla ed a mantenerla nella via del dovere e dell’ onore. Il Ricci protestava nel 1833, nel 1835 e successivamente quando si dimetteva dall’ ufficio dell’ avvocheria generale contro tali sospetti, dichiarando di non aver relazioni con individui compromessi ; mentre in effetto non era torse ignorata dalla 36 GIORNALE LIGUSTICO polizia 1’ amicizia sua con Federico Campanella, con il libraio Antonio D’Oria, con Γ Avv. Michele Giuseppe Canale, con la famiglia Ruffini, tutta gente conosciuta per gl’intimi rapporti con la Giovine Italia. Non faccio menzione del Mazzini, perchè nel carteggio che posseggo non ho lettere di lui, ma da quelle del D’Oria posso argomentare che anche tra Giuseppe Mazzini e Vincenzo Ricci fossero cordiali relazioni d’antica data. F. Donaver. Nel nostro Giornale, che si propone di illustrare la vita storica del popolo Ligure in tutti i suoi molteplici aspetti, non ci parve abbia a riuscire stonata una Nota Dialettologica, la qua'e, tratto tratto, analizzi lo svolgimento fonetico di quei vocaboli del nostro idioma volgare che più fermano Γ attenzione dello studioso. Ci siamo perciò assicurata la collaborazione di due ottimi giovani, il orof. P. E. Guarnerio, libero docente alla nostra R. Università, e del dott. G. E. Parodi, del R. Istituto di Studi Superiori di Firenze, ben noti nel campo della glottologia dialettale. Essi ci prepareranno per i fu turi fascicoli una serie di ETIMOLOGIE GENOVESI le quali riusciranno, speriamo, di non poco interesse ai nostri lettori. Intanto, per cominciare, diamo qui alcuni appunti sopra tin* importante figura di ufficiale del nostro primitivo Comune : C INTRACO Non è per dire cose nuove che metto in carta queste poche righe sul « cintraco »; ma per rilevare un errore, il quale, già da un pezzo confutato, tende a risorgere e ad infiltrarsi nel grosso pubblico dei lettori. GIORNALE LIGUSTICO 37 Chi conosce anche superficialmente la storia genovese, sa che sul primo sorgere del Comune, il Cintraco ci appare come una figura assai complessa: ora bargello, ora capitano di giustizia, ora pubblico usciere o banditore. Le attribuzioni svariate di codesto pubblico ufficiale sono del resto chiaramente numerate nel Liber lurium (I, col. 78-79); doveva egli ordinare le guardie ed invigilare perchè esse facessero il dover loro: chiamare il popolo a parlamento: battere i ladri ed i malfattori: citare in giudizio: prendere i pegni: fare i bandi. Oltraciò doveva custodire il sacro fonte di S. Giovanni nei giorni solenni ed avvisare i cittadini che stessero attenti al fuoco ogni qualvolta soffiava forte il maestrale. Per comprendere la ragione di quest’ultimo uffizio del Cintraco, che potrebbe parere assai strano ai di nostri, bisogna ricordare come in quei primi tempi del comune genovese e in secoli posteriori, la maggior parte delle case erano costruite di legno, cosicché (lo sappiamo da molti documenti) non solo a Genova, ma anche in altre città, degli incendii repentini spesso bruciavano dei quartieri completi (1). Intanto si vede chi fosse primitivamente il « Cintraco » e quali le molteplici cure di lui. Però man mano che andava complicandosi la « burocrazia » di quei tempi, man mano che andavano moltiplicandosi le magistrature, a ciascuna delle quali venivano affidate incombenze speciali, anche il Cintraco andò perdendo la maggior parte delle primiere attribuzioni; e ben presto si trova negli statuti di varii paesi il vocabolo « cintraco » e tutte le varietà dialettali di esso, come sinonimo di « precone », « araldo », « banditore pubblico ». Inteso in questo ultimo significato ristretto e meno antico, il vocabolo stuzzicò ben presto la curiosità degli etimologisti, (n Cf. Belgrano, Vi la Trivella dei Genovesi p. 5 e segg. 3S GIORNALE LIGUSTICO i quali (è facile immaginarlo) si sbizzarrirono a lor posta nelle più strambe fra le congetture. Il Ducange, nella parte latina del famoso lessico, suppose perfino un neutro cintracum, accanto a cintracus, che dovrebbe significare « lo scuotere del pubblico tintinnabolo », cornei! Tocsin dei francesi. Ma l’esistenza di codesto neutro non è dimostrata da alcun documento, e le varietà di quel nome (cintracus, cintragus, gintragus) denotano non già un dato ufficio, bensì la persona che doveva esercitarlo. Perciò, a ragione, la suddetta congettura del Ducange fu rifiutata poi dall’ autore del supplemento al lessico della media ed infima latinità. L’on. Carlo Randaccio nel suo recente libro sull’idioma e sulla letteratura dei.liguri (assai pregevole per altri rispetti, ma in cui non mancano gravi inesattezze ed ingenue affermazioni anche in pagine serie), ha voluto proporre anch’ egli la etimologia di cintraco. E parte egli pure dal falso preconcetto che il cintraco altro non fosse che un pubblico banditore. Però 1’ egregio uomo (p. 15), convinto che nel ligure-genovese sia avvenuta una mistura di elementi greci, cita un buon numero di voci greche che ancor vivono nei nostro dialetto. Ma fra le parole da lui reputate come e graeco fonte detorta ne figurano molte che propriamente col greco non hanno a che fare; e molto curiosa è la etimologia del nostro cintraco, che egli fa derivare dal verbo συντρέχω. Codesto verbo significa concorro, quindi, secondo il Randaccio, cintraco, sarebbe colui che per pubblici bandi « fa concorrere » il popolo. Chiunque abbia qualche conoscenza di greco, non può che sorridere di una simile volata: dal verbo citato non se ne può fare, a nessun modo, un sifatto nome di agente, che, tutto al più, sarebbe un σύνδρομος con significato di agente diretto e non causativo, come dovrebbe essere il nostro cintraco. Il Randaccio ha però una attenuante: egli deve aver preso la peregrina etimologia dell’illustre Girolamo Serra, che nella GIORNALE LIGUSTICO 39 sua storia dell’antica Liguria e di Genova (IV, p. 101) aveva già, molti anni prima, emessa la stessa sentenza, la quale fa a calci con tutte le buone ragioni della glottologia. Ed anche della storia ... ! Infatti abbiamo visto che il cintraco non era — in origine — soltanto un « banditore » che convocava la plebe : per la molteplicità delle sue attribuzioni, il cintraco corrispondeva assai bene al centenarius del basso impero. Ed allora niente è più probabile che il nome sia la traduzione letterale della parola ibrida (latino-greca) Κένταρχος = centurione, che, come sappiamo da varii autori, era in uso nel linguaggio militare ed amministrativo della bassa grecità. Le forme dialettali, già ricordate, cintraco, gintrnco ecc. sono effetto di una metatesi, dovuta alla presenza di una liquida e comunissima in tutti i parlari antichi e moderni, morti e viventi. Forse all’on. Randaccio non è passato sott’occhio l’articolo di Giacomo Lumbroso sul nostro soggetto. OD Certo, s’egli lo avesse veduto, avrebbe respinto la vieta etimologia del Serra ed accolto come plausibilissima quella dell egregio autore del « commento sulla storia dei Genovesi avanti al MC (p. 19-26). Il dotto scrittore, osserva il Desi-moni (1), ha veduto nei nomi di centarcus (capo di 100) nella città e di decanus (capo di 10) in un villaggio della Riviera di Ponente (Liber Jurium II, 983) uno dei resti degli istituti germanici trapiantati anche in Liguria e negati invano dai nostri storici ». L etimologia viene, del resto pienamente confermata da un crisobullo (diploma suggellato con bolla d’oro, che più non esiste) dell’ imperatore Isacco colla data greca del 6700, aprile ind. ioa = al 1192. Vi si parla frale altre cose dell’uffiziale (1) In Giorn. Lig. 1. p. 164. 40 GIORNALE LIGUSTICO che deve giurare in Genova il trattato per certi privilegi da concedersi ai genovesi di Costantinopoli (i). ταϋτα πάντα α περιέχε' ή παροϋσα γραφή ΐνα όμόσωσιν d Ινόνσουλοι πάντες Γένουας οιατηρν,σα'. και δ λαός Γενούας διά τοΰ ΕΚΑΤΟΝΤΑΡΧΟΓ καί ώς ομνύω ταϋτα χωρίς δόλου καί περι-νοίας, ούτως Ϊνα μοι βοη 9"$ δ Θεός. Ora questo Ufficiale tra noi si chiamava appunto il Cintrago: e difatti Balduino cintrago giura Γ osservanza del suddetto trattato in pubblico parlamento a Genova pochi mesi dopo, e precisamente nel 2 agosto 1192. È quindi evidente la perfetta corrispondenza di Ικατόνταρχος = κενταρχος = centrago ecc. G. Bertolotto. CONTRIBUTI ALLE RELAZIONI TRA GENOVA E L’ORIENTE Una lettera del Pontefice Innocenzo III e un privilegio di Guido Re di Gerusalemme e Signore di Cipro. Se vi fu epoca del romano pontificato, che sia stata in miglior guisa tratteggiata è quella, che abbraccia il pontificato di Innocenzo III (1198-1216) il personaggio che, al dire di Federico Huiter, austero ne’ costumi, semplice nelle abitudini, rigido censore di ogni mollezza e d’ogni cupidigia, povero in mezzo alla grandezza, sovrastò a tutti per i tesori della sua mente e per la dovizia delle qualità morali. f 1) Micklosich e Müller, Acta et diplomata graeca ecc. p. 34. L’originale è nel nostro archivio di Stato. GIORNALE LIGUSTICO 41 Egli, che con quell’ ardente zelo e quella tenace perseveranza, che lo caratterizzano, si era prefissa 1’ impresa d’ abbattere la potenza dei nemici della chiesa, non dimenticò tra gli innumeri privilegi accordati un umile cenobio, situato non lungi da Genova, in cui i benemeriti figli di Cistercio avean tatto fiorire la regola di S. Benedetto. Lo zelo spiegato nella crociata albigese dai Cisterciensi, tra cui primeggia quel Fol-chetto, l’antico Ir ovator di lai maestre, poi Vescovo di Tolosa (1205-1231), per non tacermi di Maestro Tedisio Camilla, canonico della cattedrale di Genova, poi Vescovo di Agde in Francia (1215-1236), dovea esser premiato nell’onorare altresì i cisterciensi della città, dove avean spirato le prime aure di vita quei baldi campioni, che non a torto furono detti i martelli dell’ eresia. E in tal modo il Pontefice dava opera a che lo stendardo di S. Giorgio, sempre temuto e trionfante, continuasse a sventolare, non piegandosi mai, sopra mura e sopra torri novelle. Sul poggio del nostro Zerbino, che, come vedremo, tolse pure il nome di Montagna nera, sorgeva il monastero di S. Maria. Di esso così parla il Giscardi (1): « L’anno 1136 si fondò un insigne monastero dell’Ordine cisterciense con titolo di Abbazia che fu capo di altri Monasteri sparsi in diverse parti di Europa, cioè del priorato di S. Biagio nella città di Nicosia in Cipro, come dagli atti di Antonio Foglietta notaro, del prijrato di S. Giorgio di Antiochia e del monastero di Santa Maria di Val di Christo già molto celebre presso Rapallo ». Innocenzo III il 24 agosto del 1215 prendea sotto la sua protezione immediata detto monastero del Zerbino, confermando tutti i suoi possedimenti. (1) Origine e successi delle chiese etc. M. S. alla Biblioteca Civico-Berio, Pag· 437· 42 GIORNALE LIGUSTICO La bolla pontificia fu presentata insieme ad un altro privilegio reale, di cui ragioneremo in seguito, il 4 Dicembre del 1456 per essere autenticata, e il notaio della Curia Arcivescovile Andrea de Cairo registrava i due privilegii , che qui riproduciamo. Sono del seguente tenore : Transumptum. — In nomine Domini Amen. Hoc est exemplum sive Transumptum cuiusdam privilegii Apostolici Antiqui felicis recordationis in Christo Patris Domini Innocentii Pape Tercii Venerabilibus Religiosis Abbati de lubino in montana nigra eiusque fratribus tam presentibus quam futuris gratiose concessi sive infrascriptc particule ex dicto privilegio sumpte in pergameno scripti subscripti manibus propriis et signis prefati Domini Innocentii Pape et duodecim Cardinalium sancte romane ecclesie in eo nomimtorum ut ex eo apparebat dati Anagnie per manum Thome subdiaconi et notarii electi neapolitani VIIII kal. septembris Indictione tercia Incarnationis Dominice Anno MCCXV pontificatus vero domini Innocentii pape tercii prefati Anno octavo decimo eius vero bulla plumbea cum filiis cericis crocei rubcique colorum more Romane curie impendenti bullati sani et integri non viciati non cancellati nec in aliqua sui parte suspecti ut prima facie apparebat. Ab una parte cuius bulle sculpta erant duo capita Apostolorum cum cruce in medio et litteris desuper sic dicentibus — S. Pa. S. Pe. — et ab alia parte — Innocentius P. P. III. — Item hoc est exemplum sive transumptum cuiusdam sumpti sive exempli in forma vidimus cuiusdam privilegii regalis et seu quondam Serenissimi Principis domini Guidonis dei gratia in sancta Civitate Iherusalem latinorum Regis Octavi et Cypri domini concessi ecclesie beate Marie de lubino facti per quondam bone memorie dominum fratrem Petrum miseracione divina Archi episcopum appamensem in pergameno scripti et sui sigilli in cera impressi in carta pendenti muniti sani et integri et ut prima facie apparebat in suo sigillo sculpta est Imago episcopi ct litterc legibiles sic dicentes. S. Petri Archiepiscopi appamensis. Quodquidem privilegium apostolicum et sumptum sive vidimus dicti privilegii Regalis coram Egregio legum doctore domino Iacobo de Striucis de plumbino Vicario sale superioris Magnifici domini presidentis potestacie civitatis Ianue et districtus originaliter presentata exhibita ct producta et insinuata fuerunt presentibus uobis notariis publicis ct testibus infrascriptis per Reverendum patrem dominum fratrem Baptistam de Calignano Abbatem monasterii beate Marie de lubino extra GIORNALE LIGUSTICO 43 muros Ianuenses ordinis cisterciensis petentem et requirentem huiusmodi particulum ex dicto privilegio Apostolico extrahi ac dictum sumptum dicti privilegii Regalis transumi seui transcribi et registrar! et in actis curie dicti domini vicarii autenticari ac autorizari per dictum dominum vicarium et eius auctoritate et mandato cum intersit dicto transumpto in diversis partibus mundi uti pro cautela juris sui et dicti sui monasterii et timeatur de amissione dictorum originalium privilegiorum cuiusquidem privilegii apostolici tenor sic incipit. Innocentius Episcopus servus servorum Dei dilectis filiis Abbati de lubino in montana nigra eiusque fratribus tam presentibus quam futuris regularem vitam professis in perpetuum. Religiosam vitam eligentibus Apostolicum convenit adesse présidium ne forte cuiuslibet temeritatis incursus aut eos a proposito recedat aut robur quod absit sacre religionis infringat. Ea propter dilecti in Domino filii vestris justis postulationibus clementer annuimus et prefatum monasterium sancte Dei genitricis et virginis Marie de lubino in montana nigra in quo divino mancipati estis obsequio sub Beati Petri et nostra protectione suscipimus et presentis scripti privilegio communimus. In primis siquidem statuentes ut ordo monasticus qui secundum Deum et beati Benedicti regulam atque institutionem cisterciensium fratrum in eodem monasterio institutus esse dignoscitur perpetuis ibidem temporibus inviolabiliter observetur. Preterea quascumque possessiones quecumque bona idem monasterium in ' presentiarum juste et canonice possidet aut in futurum concessione pontificum largitione regum vel principum oblatione fidelium seu aliis justis modis prestante domino poteritis adipisei firma vobis ves-trisque successoribus et illibata permaneant. In quibus hec propriis duximus exprimenda vocabulis. Locum ipsum in quo prefatum monasterium situm est cum omnibus pertinentiis suis. Capellam sancti Thome de Antiochia cum cellario et ceteris pertinentiis suis et cetera et sic sequitur post multa inter cetera ut infra. In Cypro in fundo Nicosie ducentos Bisancios et in casale Gonit vigintiquinque. In Laodicea jardinum unum et cetera et postea sequitur post multa ut infra. Decernimus ergo ut nulli omnino hominum liceat prefatum Monasterium temere perturbare aut eius possessiones auferre vel ablatas retinere minuere seu quibuscumque vexationibus fatigare sed omnia integre conserventur eorum pro quorum gubernatione et substentatione concessa sunt usibus omnimodis profutura salva sedis Apostolice auctoritate et in predictis Capellis Diocesani Episcopi canonica iustitia Si qua igitur in futurum ecclesiastica secularisve persona hanc nostre constitucionis paginam sciens contra eam temere venire temptaverit secundo terciove commonitu nisi reatum suum congrua satisfactione correxerit potestatis honorisque sui 44 GIORNALE LIGUSTICO dignitate careat reamque se divino iudicio existere de perpetrata iniquitate cognoscat et a sanctissimo corpore et sanguine dei et domini redemptoris nostri Iesu Christi aliena fìat atque in extremo examine divine ultioni su-biaceat. Cunctis autem eodem loco sua jura servantibus sit pax Domini nostri Ihesu Christi quatenus et hoc fructum bone actionis percipiant et apud districtum judicem premia eterne pacis inveniant. Amen. Amen. Amen. Et successive post signa et subscriptione domini Innocentii pape et cardinalium predictorum sic finit. Datum Anagnie per manum Thome Subdiaconi et Notarii nostri electi Neapolitani Vili Kal. Septembris Indicione III Incarnationis Dominice Anno MCCXV Pontificatus vero domini Innocentii Pape III anno octavo decimo. Alexander. Alterius vero sumpti sive transumpti dicti privilegii regalis tenor de verbo ad verbum sequitur et est talis. In nomine Sancte et Individue trinitatis patris et filii et spiritus Sanctis Amen. Notum sit omnibus posteris et presentibus quod Ego Guido per dei gratiam in sancta civitate Iherusalem latinorum Rex VIII et Cypri dominus dono concedo atque confirmo ecclesie Beate Marie de lubino pro anime mee remedio et patris matrisque mee atque domine Sibille venerabilis Regine uxoris mee ducentos bisancios in assilla in comercio Nicossie per quatuor anni terminos annuatim recipiendos. Concedo etiam ut eosdem bisancios in ipsa terra Cypri vendendo et emendo libere valeant commutare et a predicta terra sine impedimento sive exactione aliqua vel drictura extrahere. Et ut hoc meum firmum et stabile donum permaneat presentem paginam scribi et sigilli mei impressione plumbei signari et virorum subscriptorum testimonio corroborari precepi. Quorum hec sunt nomina. Aimericus con-stabularius. Heufredus toroni. Hugo Martini. Marescalcus. Aymericus de River. Renerius de Gibelet. Galterius libel. Odo de Mauri Actum in Nicossia. Anno dominice Incarnationis MCXCIIII Indictione XII Epacta XXVII (i) XVIII Kal. Septembris. Nos Frater P. miseracione. divina Archiepiscopus Appamensis notum facimus universis Christi fidelibus quod nos presens scriptum sicut superius est expressum vidimus et inspeximus diligenter de verbo ad verbum sine aliqua diminucione in autentico contineri quod ut ratum habeatur et firmum ipsum scriptum duximus presentis bulle nostre munimine roborandum. (i) Nel r 194 correa 1’ Epatta 26 e non 27 che non sussiste mai in tutto quel secolo. È sbaglio forse del copista. GIORNALE LIGUSTICO 45 Nos frater G. miseracione divina Archiepiscopus Mamistanus autenticavi hoc scriptum vidimus et legimus de verbo ad verbum sine aliqua diminu-cione auscultavimus et ad majorem securitatem bullam apposuimus. Actum Ianue in sala superioris palatii causarum comunis ad bancum luris solitum dicti domini Vicarii sale superioris ipso ibidem pro tribunali sedentis. Anno a nativitate Domini MCCCCLVI Indictione quarta secundum Ianue cursum die vero sabbati quarta mensis Decembris post vesperos testibus ..............(i). II privilegio di Guido re di Gerusalemme e Signore di Cipro emanato forse per la nobile parte avuta nella ricuperazione di Terra Santa dai Genovesi, i quali tanto nella difesa di Tiro quanto nell’ assedio di Acri avean combattuto virilmente e fatte ingenti spese nel fabbricare macchine e pagare soldati (2), racchiude un’ importanza, che non isfuggirà certo ai cultori delle patrie memorie. Il chiarissimo storico L. De Mas Latrie (3) afferma che non si ha contezza di alcun atto autentico del Re Guido durante il breve spazio di tempo, che egli fu padrone dell’isola, di modo che s’ignorano pure le qualità che opponeva al suo nome. Conclude però che non dovea chiamarsi re di Cipro, ma, visto che il successore appellavasi Signore di Cipro, era pro-babil cosa che 1’ antecessore assumesse pure tale appellativo. La morte poi di re Guido dall’ illustre storico vien posta nel mese d’Aprile del 1194 e ciò in base all’autorità di storici, che lo precedettero. Il De Mas Latrie colse nel segno, dicendo esser probabile che re Guido si chiamasse Signore di Cipro per cui il nostro (1) Not. Andrea de Cairo Filza 12.', foglio 279. — Archivio di Stato. Sezione Notarile. (2) Ottoboni Annales in Pertz — Mon. Germ. Hist. Vol. XVIII, p. 104. (3) Histoire de l’Ile de Chypre - Tom. I, pag. 53. 4é GIORNALE LIGUSTICO diploma viene non solo a corroborare il pensiero del De Mas Latrie e riempire un vuoto lamentato , additandoci un atto del governo di questo Signore, ma fa conoscere altresì che questo campione della casa di Lusignano non era morto in Aprile, ma tuttora viveva il 15 Agosto del 1194. Nello stesso tempo il diploma ci somministra il nome di Pietro Arcivescovo Apamense e la sigla G. dell’ Arcivescovo Mamistrano, il primo metropolitano nella Siria li.-'1 e l’altro nella Cilicia II.% nome e sigla sconosciute e da aggiungersi alle serie pubblicate dal Le-Quien e dal Gams. L’Arcivescovo Apamense Pietro è forse lo stesso che il r 191 trovavasi presente in Limisso di Cipro al matrimonio celebratosi tra Riccardo Re d’ Inghilterra e la figlia del Re di Navarra (r). Della cappella di S. Tommaso o S. Giorgio di Antiochia, cui troviamo dato l’appellativo di Montagna Nera (2) il che c’ induce a credere essere i Cisterciensi della jMontagna nera d’Antiochia venuti a soggiornare al Zerbino, lasciando al monastero acquisito il loro nome d’ origine, nello stesso modo che i monaci basiliani profughi dall’ Armenia diedero il loro nome d’ origine alla nostra chiesa di S. Bartolomeo, non troviamo più memoria alcuna. Le ricerche fatte non riuscirono però infruttuose per S. Biagio di Nicosia. Nei Cartularii del cessato Banco di S. Giorgio del 1353 e degli anni successivi sotto la rubrica Monasterium S. Marie de Libino è registrata la somma di L. 4200 de’ cui proventi d’ ordine di Fr. Alberto de Brandaria, Abbate del Zerbino..... (1) L’histoire de Ercules Empereur en Recueil des Historiens des Croisades - Historiens Occidentaux, Tom. II, pag. 167. (2) I Cisterciensi in Liguria - Monografie del Sac. R. Remondini inserite in Giornale degli Studiosi, An. 1871, pag. 206 e seguenti. GIORNALE LIGUSTICO 47 .....respondealur Fratn Georgio de Cannandino in ecclesia seu mona- sleno seu prioratu Sancti Blasti de Nicosia Insule Cipri . . . . (r). Più tardi il 9 Luglio del 1455 Fr. Battista da Carignano, Abbate del Zerbino, Fr. Gioachino de Clusiano già Abbate e i monaci Fr. Agostino de Andrea e Fr. Bartolomeo Chiesa eleggevano loro solenne sindico e procuratore in loto repno Γ" b Cipri, un certo Francesco de Proanis, specialmente a difenderli perchè molti chierici e laici aveano occupati i beni del piioiato di S. Biagio. Nello stesso tempo approvavano un atto in cui Fr. Giovanni Giletto, priore di S. Biagio di Nicosia avea nominato vicario di detto priorato Fr. Giovanni di Monforte dell’ ordine cisterciense, affittandoli pure tutti i ledditi del priorato, a patto di sborsare annua pensione di 25 bisanti al Console di Genova nell’isola di Cipro (2). Alle relazioni tra il Zerbino e l’isola di Cipro dobbiamo se il monaco suaccennato Fr. Agostino de Andrea venisse eletto in Vescovo di Famagosta. Il Montaldo (3) e il Grassi (4) lo segnano al 1440. Il De Mas Latrie (5) non gli dà una data certa. Più ielici di loro nelle ricerche ebbimo la fortuna di rintracciare la bolla della sua elezione, fatta da Nicolò V 1’ 11 Maggio del 1450, essendo rimasta vacante la sede di Famagosta per morte del Vescovo Fr. Giovanni da Monleone, benedettino di S. Nicolò del Boschetto (6). Il de Andrea morì nel Luglio del 1455 e il giorno 23 dello stesso mese il Pontefice Calisto III gli assegnava un succes- (1) Compera Salis. P. S., 1353. Archivio di Stato - Sezione Arch. di S. Giorgio. (2) Not. Andrea de Cairo, filza 2.”, foglio 247. (3) Sacra Ligustici Coeli Sidera, pag. 87. (4) Cenni Storici sulla Liguria e su Genova, pag. 178. (5) Trésor de Chronologie etc. pag. 2205. (6) Not. Andrea de Cairo, filza 7, foglio 77. 48 GIORNALE LIGUSTICO sore nella persona del domenicano Fr. Domenico Michele (i)· Il dottissimo P. Vigna nel suo erudito lavoro delle Colonie Tauro-Liguri, riferendo la bolla d’elezione del Vescovo Fr. D ' Domenico Micheli, dicendo ivi che la chiesa di Famagosta rimase vacante per morte di Fr. Agostino, conclude che l A-gostino è di cognome e patria ancor ignoti (2). Sul cognome ora non vi può esser più dubbio alcuno. In quanto alla patria è genovese puro sangue, e forse è lo stesso Fr. Agostino da Genova segnato negli anni 1446-47 dal Re-bolini nelle Memorie sloriche di Pavia, come professore di diritto canonico all’ Università di Pavia. Il de Andrea fu Vicario in Genova degli Arcivescovi Giacomo Imperiale e Paolo Campofregoso e in tutti gli atti, che lo riguardano si segna sempre cosi: Frater Augustinus de Andrea decretorum doctor episcopus fa-mavustanus. o Arturo Ferretto Oltre ai musei, anche le nostre biblioteche, pubbliche e private, offrono un copioso materiale inesplorato: ne siano prova alcuni cimelii da pochi anni venuti in luce e prima ricercati invano nelle altre biblioteche italiane. E per questo «I escursione tra Codici e Pergamene potrà avere interesse per molti dei nostri lettori. Diamo intanto i seguenti appunto sopra. UN PRESUNTO CHIROTIPO DI GIULIO SALINERO La fama di Giulio Salinero, che egli credeva sicuramente affidata al suo commento su Tacito, è oggimai appena viva per una nota, 0 meglio per un excursus, da lui aggiunto in fine al suo dotto volume. (1) Bullarium ord. Fr. Praed. Vol. Ili, pag. 369. (2) Atti Soc. Lig. di Storia Patria, Voi. VII, Parte II, pag· 710· GIORNALE LIGUSTICO 49 Un prelato savonese del secolo XVI, Giovanni Battista Ferrerò protonotario apostolico, trovò a Savona una serie di minute, relative alla famiglia di Colombo, e si disponeva a pubblicarle quando la morte lo sorprese nel 1585. I documenti vennero a mano del nostro Salinero, che parecchi anni dopo, annotando il passo della Vita di Giulio Agricola di Tacito (Hinc ancius Oceanus . . . .) pensò a Cristoforo Colombo e ai racconti menzogneri sull’ origine patrizia della famiglia, che cominciavano a diffondersi per l’Italia. È insomma una digressione simile a tante altre che erano nel gusto del secolo X\T, simile a quella che ci offre Agostino Giustiniani nel suo celebre salterio poliglotto , dove inspiratosi al salmo Caeli enarrant gloriam Dei, trovò il modo di inserire una lunga biografia del sommo navigatore (1). Giacché il nome di Salinero (2) in grazia delle recenti commemorazioni Colombiane , ha riavuto il suo quarto d’ ora di celebrità, ci pare opportuno dire qualche cosa della sua famiglia e di lui, attenendoci a quanto ne scrive il Verzellino (3) e lo Spotorno. La famiglia Salinero oriunda dal luogo del Cervo nella nostra riviera occidentale, passò a Genova, ov’ebbe l’onore del patriziato ed a Savona ove fu tra le nobili annoverata. (1 Harrisse (H.) Christophe Colomb et Savone, pag. 58. — Celsus (Prospero Peragallo): Origine, Patria e Gioventù di Cristoforo Colombo. Studi critici e documentari con amplia analisi degli atti di Salinero. (2) 1 registri parrocchiali di S. Andrea di Savona, consultati dal P. Spotorno (St. lett. it., IV, 140), il Verzellino, il Chiabrera e tutti i libri delle famiglie nobili di Genova, nonché i titoli dei libri pubblicati dal nostro A., hanno sempre Salinero, ed è un errore scrivere Salinieri. (3) Delle memorie particolari || e specialmente degli Uomini illustri || della città di Savona || Di Gio: Vincenzo Verzellino |[ Lib. VI. |j Ms. Beriana, p. 476. Il Garoni nella sua Guida Storica di Savona, p. 221, ritenne codesto manoscritto come l’autografo dello storico Savonese. Contro tale opinions Giorn. Ligustico. Anno XXI. 4 SO GIORNALE LIGUSTICO « Giulio Salinero nacque di Paolo'Girolamo intelligente della lingua greca e latina, e di Anna Sacco sua moglie, e avendo OD appresa umanità e altre nobili scienze (i), s accompagno insieme co’ suoi cugini Pavesi nei principali studi d Italia, e particolarmente in quello di Padova, sebben ricevette in Torino la laurea in leggi; e vago d’ attendere alla prelatura, visse non discaro al cardinal Gioiosa, col quale passato in Francia, si trattenne qualche tempo; ma vedendo che Ambrogio suo maggior fratello non era in speranza di prole, gli convenne mutar pensiero; e, liberatosi dal corteggio, prese 111 moglie Paola Corsi, dalla quale ebbe due figliuoli maschi; diede ne^li anni di sua gioventù in luce l’Alceste (2) , tragedia in Ο O si confronti lo Spotorno (Storia lett. d. Lig., \ ol V, p. 12), il mio Indice degli Autografi della Beriana, e specialmente lo scritto di H. Harrisse: Verzellino et ses « memorie » (Genova, Donath, 1887). Le « memorie » del Verzellino si trovano oggi a stampa per cura del can. cav. Astengo. (1) Verzellino, p. 448, Ms. Berio (anno 1593): « In questo tempo fiori in Casa Salineri l’Accademia degli Accesi la cui impresa erano alcune legne e fuoco, col motto: Mox sese extollet; gli Accademici avevano nomi et imprese particolari, molto nobili e graziose che longo sarebbe volere ad una ad una raccontare, dalle cui lezioni ricevevano gli uditori non meno diletto che frutto, come che fossero d’uomini grandi e d’ingegno ed intelletto sublimi et erano questi Gabriello Chiabrera Ambrosio e / Salineri Giulio I Giambattista Ferrerò Giambattista Gavotto. Vedi anche Giuliani (N.) Ansaldo Ccbà in Giornale Ligustico, 1S84 e segg. (2) Alceste || tragedia || di Giulio || Salinero || detto VAbbandonato fra gli || Accademici Accesi || in Genova, 1593, per gli heredi di Girolamo Bartoh. Dedica: «Al molto || illustre Sig." || il Sig. Lelio || Pavese || Giulio Salinero .....Mossemi fortuna simigliante d’Amore a scriverla, e negli accidenti di Alceste, descrissi parte delle mie pene .... di Savona 13 Marzo 1 593· GIORNALE LIGUSTICO 5 I verso sciolto, compose l’Aspasia, e un’altra favola pastorale, che non si stamparono ; tenne cognizione della lingua Greca, Ebraica, Latina, Toscana e Francese, nel cui idioma tradusse 1 Apparizione di nostra Signora di Misericordia (1), acciochè Argomento: Alceste secondo genito del Rè di Tracia, innamorato di Lidia figliuola del Rè di Lidia, molte e grandi cose per conseguire l’amore di lei, et averla per isposa adopera ; ma non potendo per tante fatiche ciò impetrare dal Re avaro, nè dalla figliuola ingrata , privatisi a loro affetto da loro, si uccide. La favola si legge nell’ Orlando furioso dell’Ariosto et avvenne in Sardi principale città della Lidia. » Di questa edizione esiste un esemplare alla R. Biblioteca Universitaria, segnato 3.11 S., F. Ili, 64. Nel verso dell’ultimo foglio ha, probabilmente di mano dell Autore, o almeno in carattere certamente sincrono : Al Mag.co Sig.' Bortholo || Rac ? com ? al [| sia com y ad || (i) La moda delle pubblicazioni poliglotte era assai in voga nel seicento: basterebbe ricordare il già citato salterio del Giustiniani, Genova (1516). Nulla di più naturale che, sull’ esempio di costui, anche il Salinero concepisse l’idea di trattare egli pure un soggetto sacro ed in più lingue. Ma non dovette poi tradurre in atto il suo disegno: giacché, malgrado le accurate indagini sulla tipografia ligure fatte dal Giuliani e dal Belgrano (Cfr. Atti d. Soc. lig. di Storia Patria, voi. 10), non si ha notizia che un tal la\oro sia stato mai stampato a Genova, dove pure il Salinero pubblicò altri lavori; ancor meno probabile è che sia comparso altrove. Del resto neppur del manoscritto si è mai saputo qualche cosa di concreto, e ciò la supporre che quanto afferma il λ erzellino su questo punto sia poco attendibile. Forse V Apparinone del Salinero è una di quelle pubblicazioni di cui 1 autore lanciò nel pubblico il preavviso senza curarsi poi di portare a compimento il lavoro promesso. Ecco un po’ di bibliografia sulla questione: Picconi (Giacomo) : Storia dell’Apparizione di Nostra Signora di Misericordia in Savona. Genova 1760, pag. XX e XXI: « Si vuol qui avvertire essersi fatta grandissima diligenza per ricercare non solamente in Savona, ma eziandio nelle più antique e cospicue librerie di Genova, ed altrove ancora la descrizione fatta dell’Apparizione di Nostra Signora in lingua Greca, Ebraica, Latina e Francese da Giulio Salineri nobile Savonese e 52 GIORNALE LIGUSTICO appresso le Nazioni dell’ Universo fosse manifesto sì glorioso miracolo: dedicò le sue annotazioni a Cornelio Tacito al Cardinal Domenico Pinelli, nelle quali si mostra differente da molte opinioni di Giusto Lipsio e dei più eruditi uomini insigne letterato, che morì nell’anno 1612, ma non è riuscito a trovarne alcun esemplare. Onde si argomenta che una tal Opera non sia stata stampata, massime sul fondamento di ciò che asserisce il Sopranis nel suo libro degli scrittori liguri, ove parlando del mentovato Salineri dice che sebbene egli molto abbia scritto, la maggior parte però delle opere sue non uscì alla luce; e dando esso il Catalogo accenna solamente 1’ edizione fatta in Genova presso il Pavoni l’anno 1602 delle annotazioni di lui a Cornelio Tacito. Il Verzellino ancora che dà notizia delle stesse opere, dice bensì che stampò il Salinieri in tempo di sua Gioventù VAlceste favola pastorale, che compose l’Aspasia, ed un’ altra favola pastorale, le quali non furono stampate, che dedicò le sue annotazioni al Cardinal Domenico Pinelli ; ma non parla punto dell’edizione della sopramentovata opera in cui è descritto in quattro lingue l’Apparizione. Laonde ha preso sbaglio il Monti (Memorie, p. 397) il quale narrando le Opere del Saliniero asserisce che tutte sono stampate l’anno 1602, e quest’errore probabilmente egli fece, senz’ altra riflessione, leggendo un tal anno segnato in fine del catalogo del Sopranis a Tacito, in ultimo luogo pone la già citata Opera delle annotazioni e dal Sopranis ha ricavato il Monti la notizia che da delle Opere del Salinieri .... » Teofilo (il Minore) (Rocca Arcangelo): Istoria della stupenda apparizione di N. S. di Savona. Lione 1724, del Salinero non parla affatto. Pollero F. Alberto: Nel pianto il sollievo ecc. (Lione, 173°) P· IT>· Tra i vari scrittori della Storia dell’ apparizione non ricorda il Salinero,. ma ha, fra gli altri : « R. Giuliane Giancardi Sacerdote Secolare, ha composto tre libri stampati due nel Mondovì ed uno in Genova, ed in uno di questi v’è l’historia dell’Apparizione descritta in quatordici linguaggi differenti, imitando Giulio Salinaro (sic), che l’aveva pubblicata prima di lui». Ed a pag. 117: « Giulio Salinero Dottore insigne di Savona descrisse l’apparizione di N. S. di Savona in lingua Greca, Latina, Hebraica e Francese; stampata (sic!) in Genova l’anno 1602 riferita dal Sopranis p. 181 ». Garoni (Nicolò Cesare) nella sua Istoria dell’apparition e di N. S. di Misericordia, Torino, 1836, in 16.°, non nomina neppure la problematica narrazione. GIORNALE LIGUSTICO 53 del suo secolo. Scrisse un’opera contro de’Veneziani, intitolata de quibusdam Venetorum legibus, dedicata a Paolo V, e portatagli da Monsignor Geronimo Arcivescovo di Tarantasia, gradita da lui senza fine, che lo rese riguardevole. Scrisse la parafrasi sopra il Giob; sopra i treni di Geremia e sopra i salmi e nei passi più oscuri concordò i settanta interpreti con ï testi di diversa lettura; cantò in ottava rima, a richiesta della moglie, la vita di S. Carlo, sotto nome d’Inni, mandata -al Cardinal Federico Borromeo; confutò in parte i falsi dogmi del Re di Scozia; e il rimanente non potè terminare occupato per la morte di Alessandro Ferrerò (i) , che lo aveva instituito tutore dei figliuoli; tentò rimediare alcune cose in Tricarico e se ne venne a Napoli, per attendervi maggiormente; ma essendo in non buona disposizione di sanità, nella stagione di primavera attendendo a riaversi, prendendo alcune acque per la sciatica, che lo molestava non poco, e non potendo osservare la regola impostagli da medici gli saltò si tensissima febbre che in capo di cinque giorni peggiorando gli tolse la vita, giunto all’ età di anni 48, addi 29 di maggio del 1612; è sepolto nella Chiesa di S. Chiara di Napoli; fu alto di persona, bello d’aspetto ». * * * Questi sono i cenni biografici di Giulio Salinero che ci dà il Verzellino, facendoli seguire da un’ ode latina che in memoria del giureconsulto savonese compose Don Giovambattista Alberti. Ma essa non ha alcuna importanza per il nostro assunto , sicché, dopo aver dato la notizia del soggetto, passiamo alla descrizione del suo chirotipo presunto. (r) Sopra la famiglia Savonese dei Ferrerò, confr. le tavole genealogiche die V.ttorio Poggi compilò su documenti sineroni e pubblicò in appendice al suo lavoro su gli Avanci del mausoleo di Gastone di Foix in Miscellanea ■di Storia Italiana (1894). 54 GIORNALE LIGUSTICO Sogliono i bibliografi (i) con questa greca denominazione, designare quei libri a stampa nei quali Γ autore stesso ha cancellato o modificato, con nuove correzioni ed aggiunte, quello che egli aveva pubblicato; siccome poi i chirotipi comprendono al tempo stesso il testo originale e quello corretto dall’autore, sono e devono considerarsi come veri manoscritti, talvolta molto preziosi. Si comprende facilmente che non ogni libro con note o varianti manoscritte, o con notizie biografiche, de’ quali esiste un gran numero, deve mettersi fra i chirotipi. Quando la parte manoscritta non reca alcun cambiamento al testo, il libro non è un chirotipo; lo si può presumere tale quando le postille aggiunte da una mano evidentemente sincrona, ci appaiono come il lavoro preparativo dell’autore stesso ad una seconda edizione dell’ opera riveduta e corretta. Delle Annotationes Julii Sai inerii ad Cornelium Tacitum, la civica biblioteca Berio possiede un esemplare notevole per alcune correzioni a penna e postille marginali che si ha motivo di sospettare autografe (2). Ecco una descrizione dettagliata del volume. o * '■> * È l’edizione Pavoniana del MDCII in 4.0 Nel verso del 1 cartone trovasi scritta a lapis la postilla : « H. H. || 7 avril 1880 [| » L’honneur d’avoir pu rétablir les || noms véritables que » cachaient ceux de Sejus et de Titius (pro Conrad et Se’ba-» stien de Cuneo - infra pp. 542 s) (3) est attribué a Toni- li maso Belloro. Cependant dans l’autre exemplaire de cet » ouvrage de Salinerio que possède également cette biblio- (1) Grasel (A). Manuale di Biblioteconomia, vers, di A. Capra, Torino, Loescher, 1893, p. 120. (2) Ha la collocazione C. 9. 7. 32. (3) IIarrisse (H). Cristophe Colomb et Savone, p. 69 Titius et Caius. GIORNALE LIGUSTICO » thèque et qui porte l’autographe de Jo. Aloysii Belloro » (père ou parent peut être de Tom. Belloro) on trouvera » déjà ces désignations portées en marges manuscrit à la » page 342. H. H. » La postilla è evidentemente di mano del celebre americano, tanto benemerito degli studi colombiani , Henrj Harrisse : il secondo esemplare del Salinero, al quale si allude nella postilla, esulo in questi ultimi anni dalla biblioteca perchè, essendo uno aei doppioni devoluti ad altri stabilimenti, fu destinato verso 1 anno 1887 alla biblioteca della R. Scuola Superiore di Commercio; ed è merito del compianto comm. L. T. Belgrano di averne procurata la restituzione, fin dal primo anno del suo bibliotecariato, dopo che nella sua Relazione sulla Civica Biblioteca nel 1888 aveva giustamente deplorato i criteri, non sempre retti, con cui s’ era anteriormente proceduto alle distribuzioni dei veri e pretesi duplicati (1). Continuando l’esame del presunto chirotipo, crediamo a conferma della nostra tesi, trascrivere qui per disteso le varie correzioni che trovammo pagina per pagina ed altre note speciali che contraddistinguono il nostro volume. Nel frontispizio troviamo il nome del possessore: Di Salvatore I ! Bertolotto 1812. Pag. 9,1. 11 a celestibus è aggiunto per soprapposizione presens || Pag. 13, in calce (in relazione ai versi greci, ivi stampati): tetrastichon, et rectis lineis | quodque carmen disti-guedïï I altre correzioni minori, [j Pag. 21, nella 2.a nota marginale, linea 5 corregge la'as in usitatatas, V. mendarum correctio II Pag. 22, due correzioni di parole ebraiche || Pag. 23, V. (i) Pag. 13. 56 GIORNALE LIGUSTICO in. c. il Pag. 25, i.a, cunctandi, V. m. c. Marsos, non segnato || Pag. 26, 1. 21 iurisdictio, V. 111. c. || Pag. 28, arcesse n. s. || Pag.29, V. m. c. H Pag. 42, riferendosi ai due versi greci, scrive in margine disticbon. 11. s. || Pag. 44, c. s. tetrastichon distichon || Pag. 55, correzioni al testo greco, V. m. c. || Pag. 56, la stampa ha: Mox progeniem vitiosiorem, corretto a penna, cancellando il mox: progeniem mox daturos vitiosiorem E nella Mendarum correctio: mox progeniem datura vitiosiorem || Pag. 62. correzioni n. s. nella m. c. |j Pag. 63, tantü] V. m. c. || Pag. 66, cor. n. s. m. c. II Pag. 70, perverti, V. m. c. j| Pag. 78, cancella le parole verum... aperirentur, e scrive in margine : metus suos senatus | ..........? amoveriq(ue) | ( ) ineret 11. s. || Pag. 81 decebat n. s. || Pag. 85, Eque atque ipse, V. m. c. |j Pag. 86, vero, V. m. c. || Il Pag. SS, duodecim s. || Pag. 89, coepit s. |' Pag. 92, Thr(asullum) 11. s. II Pag. 97, linea 2-8; in margine: haec omnia rejicien[àa] sunt post finem \ [se)quentis annotati | [0] nis. || Pag. 100, adbibebat suam credulitatem viene corretto in credulus erat. n. s., oratorie s. [J Pag. 107, tanti s. || Pan. 112, correzione di lettere greche nn. ss. || Pag. 113, perstitit s. [| nigro s. || Pag. 119, ποΰε s. post s. || Pag. 127, et n. s. sequeretur s. || Pag. 139, (impen)det s. || Pag. 152, remque publica s. || Pag. 154, segna la soppressione di due linee di spazio vuote n. s. |J Pag. 164, latebris n. s. || Pag. 170, ευποαξητε (sic. senza spirito e accento) n. s. || Pag. 172, correzione greca via n. s. || Pag. 178 (a stampa 186), haberet n. s. Dopo la pagina 176,1a numerazione a stampa è sbagliata, saltando al i8>, ma è corretta a penna 177, 178 e 179: lascia scorretta la 1S8, 1S9, 190, 18r, 192. segue a stampa 185 sino a 192 rettamente: ricomincia l’enumerazione sbagliata a p. 201 che è corretta in 193 sino a 200. Corretto anche il titolo Hist. in Ann. (passim). Pag. 191 (a stampa), 2 voci ebraiche corrette. || pag. (202) 184, ostendit m. L, s. || pag. (205) 197, alle parole ; et statim GIORNALE LIGUSTICO 57 amisse etc., nota: minutis litleris s[unt] scribenda, 'j Pag. 204, corretta parola ebraica s. j| Pag. 205, vivunt s. || Pag. 212, έλαίας s. || Pag. 213, innania s. || Pag. 214, Noricum s. j] Pag. 215, μιλησιου (sic. s. acc.) n.s. || Pag. 216, κατά s. οικρ9·εισης (sic) n.s. |j Pag. 217 (con)fessus || Pag. 225, alla linea 4.% alle parole is... terruit scrive: \i\nclusa parvis litteris exaranda n. s. || Pag. 230, voce ebraica corretta n. s. || Pag. 232, nimium n. s. || Pag. 236, πλεΐτα (sic per πλεϊστα) n. s. || Pag. 240, luto n. s. || Pag. 251, descensio s. || Pag. 255, alla riga 3.“: ha da essere principilo') | d’annotatione || Pag. 263, Flavianis n. s. || Pag. 268, alie parole Abditi in tabernis nota: principio d’annotatione, jj Pag. 287, alie parole Cuius disparem nota: principio d’annotatione. || Pag. 292 opu’st n. s. jj Pag. 293, ιερόσυλα sic n. s. || Pag. 294, videbant n. s. ]| Pag. 294, πλαγχίΙ-η (sic) n. s. || Pag. 294, per artem n. s. || Pag. 295, parola ebraica corretta s. | correctio s. | Leviae s. j| Pag. 318 (a stampa 326), correzione greca αμαη. s. βιάς s. || Pag. 330 (a stampa 3 38), Ustore (nella m. c. textore) || Pag. 332 (a stampa 240),per can-tara tutte lana da esso avuta (altra mano più recente). || Pag. 354 (a stampa 362) vivos (| Pag. 358, (a stampa 366), districtos s. * * * Chiunque voglia collazionare il volume della Beriana, da noi descritto, ed esaminare attentamente Γ apparato critico sopra esposto, si convincerà facilmente che molte delle correzioni e degli appunti sono tali che nessuno avrebbe avuto interesse a farli se non l’autore stesso. Disgraziatamente non conosciamo (almeno fin qui) nè da atti notarili, nè da altro documento alcun autografo di Giulio Salinero. Ne ho fatto invano ricerche negli archivi, e persone amiche di Savona, da me interpellate, non hanno avuto miglior fortuna. Però niente di più facile che il volume descritto sia proprio un esemplare posseduto dal suo autore, la cui biblioteca fu appunto venduta e dispersa in Genova. Questa notizia ci è 58 GIORNALE LIGUSTICO data da Gabriello Chiabrera, che, scrivendo a Bernardo Castello (lett. 167), dice: « Se con questa ne sarà una (lettera?) » per mio compare Borzone, di grazia mandategliela subito, » perchè tratta una vendita di una libreria del fu Giulio Sali-» nero; e il marinaro sa la vostra stanza, ma non la sua e di » cuore mi raccomando ». La lettera è datata d3 Savona li 17 aprile 1614. Un poscritto aggiunge: «tenuta sino ai 20; non mando altra lettera OD O « che questa per Γ Inquisitore, la quale vi raccomando per « subito ricapito ». Borzone, nominato nella lettera, è Luciano Borzone illustre pittore genovese, amico e compare al poeta Savonese. Questi ricorreva qualche volta a lui (e non di rado per mediazione), quando trovandosi in ristrettezze finanziarie , aveva bisogno di alienare qualche oggetto di valore o d aite. E per Γ identico scopo si valse il Chiabrera, in altra occasione, dell’amicizia di Bernardo Castello, quando si trovò nella necessità di vendere un quadro, creduto di Tiziano, al patrizio genovese, G. V. Imperiale (1). G. B. SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA ASSEMBLEA GENERALE. SEDUTA DEL 2 FEBBRAIO 1896. ORDINE DEL GIORNO. I. Proposta e nomina di soci effettivi. — 2. Klezione del Presidente e degli altri Ufficiali. — Pratiche diverse. — 4. Distribuzione del vol. XXVII degli Atti. La seduta è aperta alle ore 13 '/4, in mancanza del Presidente, dall’avv. conim. Cornelio Desimoni, assistito dal Vice Segretario Generale Prof Cav. Sac. Luigi, Beretta, essendo presenti 21 soci. (i) Cfr. Nuova Rassegna (Roma 1894). GIORNALE LIGUSTICO 59 Letto il processo verbale della seduta 6 giugno 1892, viene approvato L avvocato comm. Cornelio Desimoni dice che, onorato dalla benevolenza dei soci, consente di occupare per poco il seggio presidenziale, ma che la tarda età e la malferma salute gli vietano ornai di accettare qualsivoglia carica sociale, cui non potrebbe attendere colla necessaria solerzia. La solennità del momento lo consiglierebbe a tenere un discorso per commemorare i vari soci deceduti dopo 1’ ultima adunanza, ma le cause dianzi esposte glielo interdicono, ond’egli ha dettato solo alcune brevi pagine nelle quali porge un mesto tributo di lode alla memoria del benemerito Segretario Generale, il compianto prof. Luigi Tommaso Belgrano, rapito immaturamente alla Società, della quale fu cooperatore sapiente ed operoso (i). Il fungente da Presidente invita l’Assemblea a procedere alla votazione per la nomina dei soci stati proposti nell’ ultima seduta, ed invita i soci, avv. cav. Enrico Lodovico Bensa e dottor cav. Girolamo Bertolotto a fungere da scrutatori. Partecipa che il socio prof. Gio. De Negri ha mandato la propria scheda che egli depone nell’ urna. I votanti quindi sono 22. I socii proposti: Della Torre conte Giulio di Lavagna. — Assereto comm. Ugo, maggiore generale nella riserva. — De Ferrari avv. Gerolamo. — Sertorio march. Desiderio. — Botta cav. Augusto, Vice Console di Russia. — Sauli march. Onofrio — Pozzo cav. Matteo. — Corradi sac. dottor -Seba stiano, professore nel Seminario. — Schiappacasse sac. Nicolò, curato a Cravasco. Binda Giulio, Sotto Archivista allo Archivio di Stato. — Calvini avv. Alarico. — Corsi avv. Dionigi. — Rosi dottor Michele, prof, di storia all Istituto Tecnico. — Raffaelli sac. Gian Carlo, Direttore dell osservatorio metereologico di Bargone (Sestri Levante). —- Garavini prof. Antonio. — Bozzo Antonio. — Assereto Tommaso, di Savona. — \ iale comm. David, R. Liquidatore. —Graffagni avv. comm. Angelo. — Paoletti cav Vincenzo. — Negrotto Cambiaso march. Lazzaro, Senatore del Regno. Dellepiane cav. A. Emilio, avendo ottenuta la maggioranza dei voti, vengono proclamati soci effettivi. Si comunicano le seguenti proposte di nuovi soci: Dai soci Bertolotto e Massa: il prof. Garassini G. B. (Savona) e dott. Varni Giulio (Genova). Dai soci Imperiale e Barrili: il cav. avv. Pietro Ansaldo, Assessore Mu- (1) Riportiamo le parole del comm. Desimoni al principio del presente fascicolo, porgendo vivi ringraziamenti all* A. per averci favorito 1* autografo. 6o GIORNALE LIGUSTICO uidpale. — Prof. dott. R. Benzoni (R. Università). — Prof. dott. Camillo Manfroni (R. Università). — March. Francesco Gaetano Spinola. — March, cav. Ugo Spinola. - March. Paolo Spinola. — Avv. cav. Enrico Zunini. Dai soci Imperiale e Bertolotto'. Cav. Uff. Leonida Olivari. Dai soci Imperiale e Barrili: Avv. Pier Francesco Casareto. — Avv. Pier Giulio Breschi. Dai soci Bertolotto e Staglieno: Avv. Benvenuto Pesce. — Avv. prof. Vincenzo Pace. Dai soci Bertolotto e Barrili: Avv. prof. Ippolito Isola, Bibliotecario civico. Dai soci Barrili e Imperiale: Avv. Odone Sciolla. — Sig. Carlo Pipia. Dai soci Campora e Imperiale : Avv. Michele Poggi. Dai soci Barrili e Imperiale : march. Camillo Carrega. Il fungente da Presidente invita ΓAssemblea a procedere alla votazione per la nomina del Presidente della Società. 11 socio cav. Luigi Augusto Cervetto prima che si proceda alla votazione e facendosi interprete del sentimenio comune a molti soci, considerate le benemerenze del chiarissimo comm. Cornelio Desimoni, che da tanto tempo è l’anima dalla Società pel sapiente e copioso contributo onde la Società stessa crebbe tanto nella generale estimazione, propone che l’Assemblea con una solenne dimostrazione affermi la propria stima nell’egregio uomo, nominandolo Presidente onorario a vita. Questa proposta viene accolta per acclamazione. Il comm. Desimoni si dice vivamente commosso della lusinghiera prova di stima, afferma che serberà grata memoria della benevolenza dimostratagli; e fa voti ardenti che il volonteroso contributo di tutti gli idonei abbia virtù di far rifiorire la Società e farle conservare l’altissimo posto cui è pervenuta nella estimazione degli Istituti scientifici e delle persone dotte. Si procede dopo ciò alla votazione per la nomina del Presidente effettivo. Fungono da scrutatori i soci avv. cav. Enrico Lodovico Bensa e il cav. prof. Gerolamo Bertolotto, essendo i votanti in numero di 21. Fattosi lo spoglio delle schede, risulta che il march. Cesare Imperiale dei Principi di Sant’Angelo ottenne l’unanimità dei voti, ond’ egli viene proclamato Presidente effettivo. Seguono le votazioni per la nomina del Vice Presidente e delle altre cariche sociali, e dai singoli spogli essendo i votanti 20 si hanno i seguenti risultati : GIORNALE LIGUSTICO 6 I A Vice Presidente viene proclamato l’avv prof. Enrico Lodovico Bensa con voti 17. A Segretario Generale il prof. cav. Don Luigi Beretta con voti 15. A Vice Segretario Generale il dottor. Girolamo Bertolotto con voti 19 (unanimità). A Consiglieri i signori prof. sac. cav. Vigna Vittorio Amedeo, prof. comm. Barrili Anton Giulio, cav. Cervetto Luigi Augusto, avv. comm. Centurini Luigi, Podestà Francesco e prof. arch. Campora Giovanni (unanimità). A Tesoriere della Società viene eletto per acclamazione il march, cav. Marcello. Staglieno Il fungente da Presidente annunzia infine la distribuzione del volume XXVII degli Atti, dopo di che, esaurito l’ordine del giorno, scioglie l’adunanza essendo le ore 14. 40. SEDUTA DEL 29 FEBBRAIO. In questo frattempo, per la solerzia ed operosità del nuovo Presidente, la Società trasportò la propria sede e la biblioteca in locale più decoroso, al 3° piano del Palazzo Bianco, Via Garibaldi N.° 13, dove ebbe luogo un assemblea generale il 29 febbraio 1896 col seguente ORDINE DEL GIORNO. i. Proposta e nomina di soci effettivi. — 2. Elezione dei Presidenti, Vice Presidenti, Segretari e Vice Segretari delle Sezioni di Storia, Archeologia c Belle Arti. — 3. Proposta di aggiunta al primo paragrafo dello art. 7 dello Statuto. — 4. Pratiche diverse. — 5. Distribuzione del vol. XXVII degli Atti. La seduta è aperta alle ore quattordici, in assenza del Presidente, dal- 1 avv. prof. cav. Enrico Lodovico Bensa Vice Presidente, assistito dal Vice Segretario Generale dottor cav. Girolamo Bertolotto, essendo pure assente il Segretario proi. cav. Don Luigi Beretta. I soci presenti sono in numero di 27. Letto il processo verbale della seduta 2 febbraio corrente, viene approvato. Il vice Presidente dice essere dolente di dover annunziare che il march. Imperiale, trattenuto altrove da imprevisto impegno, gli partecipa di non poter intervenire alla adunanza. Invita quindi l’Assemblea a procedere alla votazione per la nomina dei soci stati proposti nell’ ultima adunanza, ed invita i soci avvocati Astengo e Corsi a fungere da scrutatori. Si procede alla votazione essendo i votanti (2 GIORNALE LIGUSTICO in numero di 27. Comunica che il socio prof. Gio. De Negri ha mandato la propria scheda eh’ egli depone nell’ urna. I votanti sono quindi 28. I socii proposti: Ansaldo cav. avv. Pietro Assessore Municipale. — Benzoni prof. dott. R. K. Università — Breschi avv. Pier Giulio. — Carrega march. Camillo. — Casareto avv. Pier Francesco.— Ferralasco prof. Enrico. — Garassmi prof. Gio. Batta. — Isola prof. avv. Ippolito. — Manfroni prof. dott. Camillo, R. Università. — Olivari cav. uff. Leonida. —Pesce avv. Benvenuto. — Pace avv. prof. Vincenzo. — Pipia Carlo. — Poggi avv. Michele. — Spinola march. Francesco Gaetano. — Spinola march. Ugo. — Spinola march. Paolo. —Sciolla avv. Odone. — Varni dott. Giulio. — Zunini cav. avv. Enrico, avendo ottenuta la maggioranza dei voti, vengono proda mari soci effettivi. II vice Presidente comunica le seguenti proposte di nuovi soci : Dai soci avv. cav. Enrico Bensa e comm. Barrili : l’avv. Arturo Italiani e l’avv. comm. Giacinto Ratto, vice console di Venezuela. Dai soci sac. De Amicis e Ferretto: il sac. Pietro Olcese , arciprete di Recco, il march. Lodovico Gavoni e il sac. prof canonico Fontanini. 11 vice Presidente invita l’Assemblea a procedere alla votazione per la nomina dei Presidenti, vice Presidenti, Segretari, vice Segretarii delle sezioni di Storia, Belle Arti ed Archeologia, onde si compone la Società, ed invita i soci avv. Astengo e Corsi a fungere da scrutatori. I votanti sono in numero di 27. Fatto lo spoglio delle schede si hanno i seguenti risultati: Per la sezione di Belle Arti vengono proclamati: Presidente: il comm. Barrili Anton Giulio con voti 24 ^ ice Presidente: il cav. Corvetto Luigi Augusto con voti 26 — Segretario : Filippi avv. Antonio, con voti 25 — Vice Segretario: l’avv. Breschi Pier Giulio, con voti 20. Per la sezione di Storia: Presidente: il P. Amedeo Vittorio Vigna, con voti 26 — V ice Presidente. LeMesurier Algemon, con voti 26 — Segretario: Ferretto Arturo, con voti 26 — Vice Segretario: Corsi avv. Dionigi con voti 23. Per la sezione di Archeologia: Presidente: il march. Staglieno cav. Marcello, con voti 26 λ ice Presidente: il prof. Campera Giovanni, con voti 25 — Segretario: il prof. Grotta M. Aurelio con voti 25 — Vice Segretario: il prof. Massa Angelo con voti 2). GIORNALE LIGUSTICO 63 Il Vice Presidente dice che il Consiglio di Presidenza, considerata la procedura vigente per la nomina di nuovi soci, giusta la quale è necessaria la proposta in una Assemblea e la votazione di nomina neU’Assemblea successiva (ciò che richiede talora un lungo periodo di tempo), convenne nel- 1 opportunità di proporre un’aggiunta all’art. 7 dello Statuto sociale, diretta ad accelerare appunto le formalità di massima. L’art. 7 dello statuto dispone: " Presidente o due soci effettivi possono proporre le persone che repu-·> tano d’ essere aggregate all’ Istituto ; ma 1’ accettazione di esse si fa per » iscrutinio segreto nella tornata che segue a quella in cui ebbe luogo la » proposta ». Il Consiglio propone ora 1’ aggiunta del seguente comma all’ articolo anzidetto : « La proposta può anche essere presentata dal Consiglio di Presidenza, ed » in tal caso 1’ accettazione dei proposti è fatta nella seduta stessa in cui » ha luogo la proposta ». Ciò premesso il Vice Presidente invita l’Assemblea a discutere la proposta e ad esprimere il proprio avviso. Il socio ing. F. M. Parodi opina che, essendo il Consiglio emanazione deli Assemblea della quale ha piena la fiducia, possa vagliare conia necessaria maturità i titoli dei soci proposti, ed avocare pienamente a sè la loro nomina. Rileva come le adunanze abbiano luogo talora con lunghi intervalli di uno e più anni e propone di deferire al Consiglio di Presidenza la nomina dei nuovi soci. Il socio prof. cav. Desimoni Gian Carlo appoggia la proposta dell’ ing. Parodi, parendogli che, suffragato com’ è dalla fiducia dell’Assemblea, possa il Consiglio assumersi pienamente l’ufficio della nomina. Il λ ice Presidente osserva che il Consiglio non ha creduto sottrarre al- 1 Assemblea un ufficio che le compete ; ma bensì di proporle una riforma allo statuto, lasciando in suo arbitrio di adottarla o no. Il socio avv. Pozzo appoggia la proposta del Consiglio, come quella che a suo avviso raggiunge lo scopo di abbreviare la procedura di nomina. Il Vice Presidente osserva ancora che la proposta dell’ ing. Parodi è affatto radicale, e non essendo posta all’ordine del giorno non potrebbe essere messa in votazione. Il socio avv. Deferrari consente nell’ avviso del Vice Presidente. Il socio prof Crotta ammette che accogliendosi la proposta Parodi si verrebbe a sottrarre all’Assemblea qualunque partecipazione nella nomina dei soci: onde, per ovviare all’inconveniente lamentato, amerebbe fosse disposto che d ora innanzi l’Assemblea debba essere convocata almeno due volte GIORNALE LIGUSTICO l’anno. Al che risponde il Vice Presidente notando che lo statuto provvede esuberantemente, disponendo che l’Assemblea si raduni una volta al mese. Se ciò non venne fatto in passato, egli ha fiducia che col nuovo Presidente attivo ed operoso le adunanze avranno luogo in avvenire con maggiore frequenza. Adottandosi poi la proposta del Consiglio è manifesto che la nomina dei soci non soffrirà più il ritardo lamentato. Seguono altre osservazioni, cui prendono parte, oltre ai preopinanti, il socio Ferretto ed altri, finché avendo il socio ing. Parodi ritirata la sua proposta, il Vice Presidente mette ai voti la proposta del Consiglio, nei termini dianzi espressi, e la stessa viene approvata all unanimità. Il vice Presidente dice corrergli il dovere di porgere a nome dei soci i dovuti ringraziamenti al march. Imperiale per il valido impulso dato alla Società. Rileva come a lui si debba la nuova sede sociale, la quale sarà fra breve convenientemente illuminata a luce elettrica per le adunanze serali ed ordinata in ogni sua parte. Sarà del pari ordinata la Biblioteca, affidata 3] V Segretario prof. G. Bertolotto, ed aperta ai soci. Il ^ ice-Presidente propone di fare istanza presso il Municipio perchè siano collocate lapidi in alcune località rese illustri da uomini ed avvenimenti insigni, e venga inscritta in apposita tavola marmorea nel Palazzo di S. Giorgio la lettera di Colombo al Banco omonimo. La proposta è approvata.. Esaurito con ciò l’ordine del giorno, il Vice Pres. scioglie 1’ adunanza essendo le ore 15.4°· ' Una dille prime cure del nuovo Uffìzio di Presidenza della S. L. d. S. P. è stata quella di iniziare gli opportuni accordi colf Istituto Storico Italiano di Roma, per la pronta, pubblicarmi degli « Annali di Caffaro » curati dal compianto Belgrano, t dei quali si ha già il i.° volume. Ecco la parte lasciata incompiuta dall’illustre defunto: Sono composti, corretti, compaginati e pronti per la tiratura gli Annali di Ottobono Scriba e parte degli Annali di Ogerio Pane, cioi 6 fogli e tneitp di stampa in 10 / pagine. Sono composte e tirate in bone, in parte corrette, il rimanente degli Annali di Ogerio Pane e il principio degli Annali di Marchisio Scriba, per l’equivalente di circa 50 altre pagine. Il resto del lavoro è in gran parte preparato : sul testo edito GIORNALE LIGUSTICO 65 dal Pertζ, che serve per la composizione tipografica, sono riportate le varianti dei diversi codici. V’ ha poi una gran quantità di schede, note e riscontri che si riferiscono alla parte da pubblicarsi e che fanno presumere aversi tutti 0 quasi tutti gli elementi per portare a compimento il lavoro. COMUNICAZIONI ED APPUNTI [G. B.] Il breve della « compagna ■■■ del 115η. — Qualche anno fa, il sig. marchese Filippo Gentile donava alla Biblioteca Civica Berio una raccolta di codici e di pergamene, alcune delle quali hanno non poca importanza per la storia genovese. Degna di nota è, fra queste, una pergamena di grande formato (cm. 66 x 52 ‘/2, a due colonne), che contiene il giuramento della « Compagna » del 115 7. Il testo fu pubblicato da A. Olivieri negli « Atti della Società Ligure di Storia Patria » (1860, vol. I, pag. 176) con qualche grave errore di lettura. Siccome l’Olivieri affermava che la pergamena originale esisteva presso la Società stessa, se ne fece presso di quella più volte ricerca, ma invano: sicché la si credette perduta per presunta incuria della Direzione. La cosa sta invece diversamente: per cortesia della famiglia Gentile la pergamena era stata bensì provvisoriamente posta a disposizione della Società che voleva farne pubblicazione nei suoi « Atti »; ma più tardi fu richiamata. Siamo lieti di vederla ora, per la detta donazione, depositata definitivamente nella Civica Biblioteca, dove abbiamo potuto farne una attenta collazione. Ripubblichiamo quindi il prezioso documento, colmando parecchie lacune e scorrezioni del testo dato dall’Olivieri: In nomine Sanctae et individue Trinitatis ct concordiae sempiternae. A proxima ventura die purificationis Sanctae Mariae. Ego ad honorem Dei iuro compagnam usque ad annos quatuor. In praesenti quidem anno habebo quatuor consules pro communi, et vm pro placitis, qui publice in parlamento electi fuerint et consulatum iura-verint. Transacto vero hoc anno habebo consules sicut maior pars consulum de communi et de placitis et consiliatorum qui affuerint consilio in numero personarum concordata fuerint de quantitate tem-Giobn. Ligustico. Anno XXI. ç 66 GIORNALE LIGUSTICO porum et consulum et eorum electione. Et quodcumque ipsi electi consules laudaverint aut statuerint secundum quod in eorum brevibus determinatum est dc honore dei et ianuensis matris ecclesie, alia-rumque ecclesiarum ianuensis civitatis, atque Archiepiscopatus, et de lamentationibus que ante eos venerint observabo et operabor in laude eorum a portuveneris usque ad portum monachi, et a vultabio et a monte alto, et a savignone usque ad mare, et amplius in eorum laude cum domibus turribus, personis, filiis familiis sine fraude et malo ingenio. Et si alicui consulum ianue pro honore dei, aut pro honoie ianuensis archiepiscopatus, aut ecclesiae vel civitatis, aut pro vindicta vel pro iusticia, quam ipse secundum suum arbitrium bona fide laudet aut faciat guerram, me sciente apparuerit, adiuvabo eum bona fide sine malo ingenio usque ad finem guerrae. Et cum audiero campanam sonantem pro parlamento, vel cintragum clamantem populum per civitatem, si ero in civitate, aut in burgo, aut in castro sive in portu, et usque ad pontem sancti Thomae, et ab illo ponte usque ad ter-ricium, et inde usque ad castelletum, et a castelleto usque ad fossatum riviturbidi, et ab illo fossato usque in mare sarzani ibo ad illud parlamentum ad complendam laudationem consulum, nisi remanserit licentia consulum de illis consulibus qui fecerint sonare parlamentum, excepto Dei impedimento, aut periculo mortis, vel periculo captionis, aut infirmitatis vel sanguinis minutionis occasione. Si commune alicuius civitatis, vel alicuius loci vel aliquis homo et precipue lavaninus vel aliquis marchionum habuerit publicam guerram vel discordiam ultra ,cc. solidos cum communi ianue quamdiu guerra illa fuerit, non dabo ei consilium neque adiutorium ullomodo contra honorem civitatis ianue. De homicidiis palam factis et occultis stabo in laude illorum consulum qui vindictam facere inde debuerint. Quod si aliquis bis vel ter ad faciendum sacramentum compagnae specialiter et nominatim publice a consulibus vocatus fuerit, et non fecerit illud in eorum ordinatione infra. XL. dies postquam appellatus fuerit, suam peccuniam me sciente per mare ad mercatum nullomodo portabo, neque navigabo secum ultra portum veneris, neque ultra monachum, nisi in ligno ordinato pro communi ianue. Si vero habuerit homo ille ullam discordiam cum homine huius compagnae adiuvabo hominem compagnae in laude consulum. Ego non capiam neque capere GIORNALE LIGUSTICO 67 f.iciam ecclesias neque campanile aliquod neque turrem alienam, neque murum neque portam civitatis, neque turres eiusdem muri neque domum infra episcopatum ianuae ad faciendam guerram nisi pro honore huius civitatis. Ego non faciam neque facere faciam specialem et meditativum assaltum alicui homini istius compagnae in ianuensi portu neque in civitate neque in burgo, neque in castro, neque in littore maris a monasterio Sancti Thomae usque ad Sanctum Stephanum, et usque Sarzanum. Ego non subripiam neque subripere faciam furtive rem alienam in littore maris, neque in portu, neque in civitate, neque in castro, neque in burgo, neque in ecclesiis excepto pondere et mensura quod accidit ex consuetudine negociatorum et exceptis puerilibus furtis a .xii. denariis inferius. Quod si factum fuerit et infra •XXX. dies postquam sciero non emendaverit manifestabo consulibns, vel illi cui factum furtum fuerit. Nec in aliquo predictorum locorum tollam pecuniam que sit valens ultra .xii. denarios alicui homini per violentiam de suis rebus nisi meo homini, et nisi per communem utilitatem aut per licentiam consulum. Lanceas et museracos et sagittas, non detraham neque lanceabo super hominem compagne, et non percutiam eum specialiter et meditative ullo ferro neque macia a flumine bisannii usque ad caput faris, et a carbonaria et a maraxi usque ad mare nisi pro communi utilitate civitatis. Ego per civitatem neque per castrum, neque per purgum, neque pro littore maris, neque per portum, non portabo arma neque portare faciam nec cultellum cum puncta, qui non sit portandus excepto pro communi utilitate au licentia consulum, aut ut exeam foras civitatem aut burgum seu castrum et excepto si assaltus in me factus fuerit aut in eum vel in eos cum quo vel cum quibus fuero tunc non tenebor sacramento qum levare et portare facere possim infra illum assalti impetum. Devastationem aut incendium non faciam neque facere faciam meditative et specialiter ulli homini huius compagne ultra quod sit valens denariorum .xii. per totam istam compagnam in laude consulum. Non dabo neque promittam pecuniam, neque dare vel promittere faciam, neque faciam aliquod servicium sive sacramentum alicui falso testi, nec falsum testem inquiram me sciente. De turribus vero si consules pro aliqua utilitate communis mihi quesierint, in laude ipsorum stabo. Ammodo non dabo consilium neque adiutorium alicui persone que 68 GIORNALE LIGUSTICO criminata fuerit de communi re contra sentenciam consulum postquam consules sentenciam inde datam habuerint nisi ratiocinando. Compa-gniam de pecunia non faciam cum aliquo habitante ultra vultabium et savignonem, et montem altum, neque ultra varaginem, nec ullo-modo fraudulenter emam vel campio accipiam in civitate ista merces alicuius extranei ut ipse vel easdem postea alicubi recuperare, vel aurum vel aliquid aliud inde accipere debeat. Ego fraudulenter non dabo servicium pro iudicando placito alicui habitanti hanc civitatem ianue, nec ab aliquo illorum pro eo iudicando aliquid sub fraude accipiam. Si consules vel consul de placitis, aut arbitri seu arbiter quesierint vel quesierit mihi consilium, sub -sacramenti debito de aliquo placito quod debeant iudicare per bonam fidem sine fraude et malo ingenio dabo eis consilium inde secundum quod melius cognovero esse ra-cionabile, nisi eorum vel eius licentia remanserit. Kt si consul vel consules de commuui quesierit vel quesierint mihi consilium de communibus rebus nostrae civitatis dabo ei vel eis consilium inde secundum quod melius cognovero, ad proficuum et honorem nostrae civitatis, nisi eorum vel eius licentia remanserit. Et si quesierint mihi consilium de placito quod iudicare debeant, dabo eis inde consilium quod melius cognovero esse racionabile, nisi eorum licentia remanserit. Ego per totam istam compagnam non faciam ullam conspirationem neque coniurationem neque rassam per sacramentum, vel per fidem promissam, nec per obligationem ullam, nec dabo alicui consilium vel auxilium quod faciat, de communi videlicet compagna facienda aut non, neque de habendis consulibus vel consule aut non, nec quod aliquis civis habeat aliquod commune officium vel non, neque de collecta facienda aut non, sive specialiter de aliis communibus negociis nostre civitatis, nisi secundum quod maior pars consulum qui tunc fuerint cum maiori parte consiliatorum in numero personarum se concordata fuerit. Et si quis erit contrarius de collecta facienda consulibus, et ipsi quesierint mihi inde consilium vel auxilium, dabo eis bona fide. Ego me sciente non adducam extraneos mercatoies per mare, neque res eorum que sint contrarie nostris mercibus ab arno usque ianuam, nisi sint pisani et res illorum, neque a capite libero usque ianuam qui adducant res ex terris sarracenorum que nostris mercibus sint contrariae et nisi sint res illorum hominum qui habi- GIORNALE LIGUSTICO 69 tent a portu veneris usque vigintimilium, neque accipiam de rebus eoi um extraneorum mercatorum in extraneis terris pro eo quod debeam ei dare ianue precium exceptis pannis, et ramo, et stagno, et ferro, et coralio, et his similia quae non sunt nostris contraria, neque pcrtabo per mare de rebus eorum neque in ianua accipiam ad proficuum de mari. Ego non ero in consilio neque in facto, ut forici mercatores faciant mercatum cum aliis foricis mercatoribus in civitate ianua, neque in burgo, neque in castro, exceptis guarnimentis, et vianda, et equitaturis, vel aliis animalibus, quod si cognovero esse factum manifestabo pei me vel per alium consulibus communis per totum illum diem si potero, nisi oblivione remanserit. Neque faciam cum foricis mercato-libus mercatum pro aliis foricis mercatoribus in ianua, exceptis guarnimentis et vianda et equitaturis. Neque de rebus eorum foricorum in illo mercato dabo, excepto mercato quod per me aut per nostratem faciam sicut est consuetudo de rebus hominum huius terre facere mercatum, et postea vendere alienis mercatoribus. De rebus vero que pertinent consulibus de comuni ero districtus stare in laude ipsorum. De illis quoque que pertinent consulibus de placitis ero districtus stare in laude ipsorum sicut determinatum est in brevi consulatus eoium. Et si in exercitu ivero tenebor sacramento compagne consulibus qui in exercitu fuerint sicut teneor in civitate ianua. « Ego per totam istam compagnam specialiter et nominatim noncon-siliabor cum aliqua persona ut ego aut alter sim vel sit consul, nec elector consulum neque electorum, excepto si publice a consulibus in aliqua predictarum electionum vocatus fuero, tunc non tenebor sacramento qum bene cum sociis meis palam mihi datis, inde possim loqui et operari. Si fuero consul de communi ego mittam filium Philippi de Lamberto in consilium ut sit unus de consiliatoribus ianue si ipse fuerit in ianua et consiliator esse voluerit. Et si teneor aliquo sacramento quo non possim omnibus ianuensibus illis qui fuerint de compagna iusticiam complere et honorem ac utilitatem totius communis lanuae operari et si sum vassallus alicuius persone contra quam esse honorem comunis ianue non exceptavi, per totam istam compagnam non ero consul neque consiliator. Si fuero consul ego non faciam aliquem notarium nec illud officium alicui tollam, nec emancipabo 70 GIORNALE LIGUSTICO aliquem, nec etatem dabo alicui sine auctoritate Philippi de Lamberto sicut scriptum est in brevibus consulum. Et si consul de communi li-licentia maioris partis consiliatorum qui fuerint ad consilium per totam istam compagnam aliquid addiderint vel minuerint in brevi compagnae, prout addiderint vel minuerint sacramento tenebor observare. De omnibus illis placitis de quibus fui arbiter in duobus preteritis annis postquam arbitri fuerint constituti in ista civitate et de quibus sententiam non dedi, tenebor sacramento dicere el laudare iusticiam, sicut in preterito anno scriptum erat in brevi compagne. Si clue partes elegerint me arbitrum de aliquo placito et ego illud placitum suscepero ad iudicandum, bona fide et sine fraude dicam inde iusticiam, nisi licentia utriusque partis. « In civitate ista causa revendendi non emam pannos laneos nisi ad cannae mensuram. Ègo non depredabor nec ero in consilio aut in facto quod aliquis depredetur aliquam personam de ianuensi iurisdictione euntem vel redeuntem per mare et si quis hoc fecerit, postquam inde con-vinctus fuerit, et consules inde sentenciam dederint, nullo modo dabo ei scienter auxilium vel consilium contra sententiam consulum. Si coactus sacramento emi vel dehinc emero aliquam terram vel domum que sit citra ìoboretum et gestam et iugum, non vendam eam fraudulenter ut dimittam habitationem huius civitatis. Ego iudex habitator huius civitatis ianue, si persona que habitet in ista civitate, vel in burgo, vel in castro quesierit mihi consilium de aliquo placito non consiliabor ei inde mittere in placitum nisi videatur mihi ex verbis eius quod rationem habeat, et si mihi ex verbis eius visum fuerit quod racionem habeat consiliabor ei intrare inde in placitum, et pro dando consilio consulibus vel arbitris de sententia alicuius placiti non accipiam precium neque servicium. Pro expensis quas consules comunis ianue consilio maioris partis consiiatorum facient in meliorando portu et muranda civitate tenebor isto sacramento dare eis in eorum laude tantum quantum debebo dare per rationem illarum expensarum. Si fuero advocator de aliqua contentione quam habeat aliqua persona que habitet a Ro-boreto usque ad gestam et a iugo usque ad mare bona fide racionabiliter eam placitabo et adiuvabo. Contra ius tamen sciens infra iurisdictio-nem consulum de placitis nemini patrocinabor nisi usus contrarius sit GIORNALE LIGUSTICO 71 vel partes ambe de foris sint, vel nisi habitanti infra predictam iuri-sdictionem contra extraneum patrocinium prestem, et de placito, c. lib. vel quod sit, supra centum lib, quod habeat aliqua persona que habitet intra predictos terminos non dabo alicui singulari persone neque recipiam per me vel per alium pro illo placito disputando ultra solidos χχχ[ιπ] (i) et denarios mi. Et si placitum fuerit infra .c. libras usque in viginti non dabo inde neque accipiam per me neque per aliam personam ultra, mi denarios per libram. Et si placitum fuerit infra ,xx. libras non dabo neque accipiam inde ultra solidos .v. Et non accipiam nec dabo aliquo modo pro aliquo de supradictis placitando aliquod donum per me vel per aliam parsonam nisi ut predictum est. Et quotcumque questiones in aliquo de supra dictis placitis emergant vel appareant, non dabo inde nec accipiam per me vel per aliam personam plusquam de una questione dare vel accipere debeo. Et si habuero precium vel pignus pro aliquo de supradictis placitis quod placitare debeam, et antequam finiatur ivero ultra portum veneris vel ultra Albinganum, aut ultra gavi. dabo ei pro quo placitare debuero alium advocatorem pro me in sua voluntate, vel reddam ei aut suo certo misso pignus aut precium quod habuero inde nisi licentia illius remanserit. Et si accepero ab aliqua persona pignus vel precium pro aliquo placito quod placitare debeam et inde non placitavero reddam ei pignus vel precium [pro] quo placito vel placitis pro quo vel pro quibus non debeo ire vel alium mecum ducete ad placitandum ultra predictos terminos, vel quod habe... (2) que habitet intra predictos terminos. De aliis vero liceat mihi dare vel accipere secundum quod pactum fuero. Et si iudicem ext[raneum vel indijces. de foris duxero vel ducere fecero non tenebor isto sacramento qum possim dare ei vel eis secundum quod cum illo vel illis pactum fecero, de illo u.... acito vel placitis pro quo vel pro quibus specialiter et nominatim venerint. De aliis vero placitis non dabo plus quam supra determinat[um est]. Si de aliqua re que non possit extimari, ut est libertas ususfructus et similia que placitare debeam, aliqua dubietas emerserit quantum ad sa.....in arbitrio maioris (1) 11 III è soprascritto. (2) In questo luogo la pergamena ha una lacerazione in senso trasversale da sinistra a destra di 5 cm. di altezza. La larghezza massima è però di un solo centimetro. 72 GIORNALE LIGUSTICO partis consulum, vel illorum ante quos placitum erit date et ìecipeie possim. De hominibus qui habitant ultra predictos [ter]minos potero accipere secundum quod cum eis concordatus fuero. Si laciona-biUter probatum fuerit quod aliquis nostrorum consulum habeat factum contra sacramentum consulatus deponatur et alius ponatur loco eius, et nullo modo illi debiti simus .§. Ego non ero contrarius consulibus volentibus facere collectam super revenderolis et ceteris similibus prout in brevi eorum scriptum est. Ego non faciam neque faceie faciam galeam neque sagitteam neque carracam et postremo nullum lignum cursale nisi pro communi utilitate a barchillona usque pisas, nec armabo galeam neque armari faciam, nec ulli hoc facere volenti pecuniam prestabo neque consilium neque auxilium ex hoc alicui dabo, excepto per licentiam maioris partis consulum de communi qui tunc fuerint, excepto navarro quem deierare non costringimus. Ego par-menterius non faciam neque fieri permittam ullam fraudem vel lesio-nem in opere alicuius cui operari debeam. Si discordiam habuero cum homine de ianuensi compagna ego non ducam neque ducere faciam nec tenebo soldaderios nisi licentia maioris partis consulum de communi. Ego posquam rediero ex aliquo itinere antequam lignum exhonerem ponam nummos vel pignus in potestatem custodientis portum, vel nautae sive nautarum meorum secundum quod usus et consuetudo itineris exigerit, et ego nauta vel nautae accipiam vel accipiemus pignus vel nummos ab unoquoque secundum quod similiter usus itineris exposcit, et hoc similiter ponam in potestate eius cui portus cura commissa fuerit. Ego nullomodo infra iurisdictionem huius civitatis emam vel vendam alicui de eadem iurisdictione singularem cebellinum ultra quantitatem sol. XL remota omni adiuncti occasione neque uxori meae neque filiis, postremo nulli de familia mea permittam orlum deferre ultra predictam quantitatem, his exceptis qui nunc facti sint, vel qui ab aliquo in legatione proficiscente in futuro fient. Si quis vero alias curiam pape vel regis vel imperatoris adire voluerit, ultra predictam quantitatem orlum licentia consulum deferre possit. Ego observabo conventum imperatoris sicuti consules fecerunt cum demetrio macropolita legato imperatoris, et si fuero emendator brevium non auferam istud capitulum de brevi compagne. Haec omnia que superius scripta sunt observabo et operabor bona GIORNALE LIGUSTICO 73 fide sine fraude et malo ingenio in laude consulum salvo nostro usu nisi quantum remanserit iusto dei impedimento, vel oblivione, aut licentia consulum. M. CLV1I. Indic, quarta. * + * P. Maroncelli a Genova.— Dal Codice della Beriana D>s, 2, 5, 20, che contiene una preziosa raccolta di lettere autografe dirette al celebre maestro Angelo Mariani, togliamo questo biglietto del Maroncelli, che crediamo fin qui inedito. Carissimo Mariani, Nizza, li 30 Agosto 1832. Prima di partire fui a casa tua per salutarti, e per darti la ricetta che ti avevo promessa. Più tardi infastidito dalle noie che precedono una partenza, mi usci di mente la prescrizione delle pillole, e vengo con questa a rimediare alla mia dimenticanza e nello stesso tempo a dirti addio prima di lasciare la terra italiana. Voglio anche dirti che sono stato contentissimo di aver fatta la tua conoscenza e che mi è stato molto caro di riconoscere in te uno dei degni figli della nostra cara e disprezzata patria. Se io valessi mai a poter fare qualche cosa che potesse essere di tuo gradimento e di tua utilità puoi esser certo che farò sempre ogni cosa con molto mio piacere e se avrò tue nuove mi saranno sempre carissime. Attendi a star sano, e continua a meritarti la lode che hai sin d’ora saputo guadagnare cosi onorevolmente. Salutami gli amici che sono costì ed ama 11 tuo ^ Aff>‘ amico P. Maroncelli. ★ * * Sul cognome Cybo. — Anche il Giscardi dedica non poche linee all’ etimologia di questo celebre casato genovese. Al nostro buon amico cav. L. A. Cervetto (al quale auguriamo tanta vita che gli basti a portare alla lettera Z, la sua interessante serie di appunti sulle Famiglie liguri) segnaliamo questi curiosi distici composti da uno che si dichiara « ^Gesuita^più che nonagenario, indignato per 1’ errore del volgo che vedeva in quel nome 74 GIORNALE LIGUSTICO qualche allusione a ghiottoneria ». I distici sono tratti da un ms. della Civico Beriana - Miscellanea 3, 4> 3> N. 51· Sanctissimus D.-N. Innocentius XI. Eminentis. Cardinalem Cybo Eligit peculiariter ut sibi assistat et in regimine opituletur Quisquis verborum sonitu percussus eodem, Forte Cibum credU, nescius esse Cybum Littera Pittagorae (sic) luci subiecta fideli, Omnino est oculis inspicienda tins. Inveniesque, Cybus quod non sit edulis, et esca Vulgus, ut ignarum, pro ruditate putat. Nam ΚΓΒΟΣ Helladico, Cybus est sermone latinus Quem docti norunt significare Cubum Scilicet in partes vaga sphaera volubilis omnes Non potis est ullo sistere firma loco. At Cubus accepta nescit statione moveri Fortuitamque tenet tessera tacta situm Quadratam ergo virum Capitoli immobili saxum Vult merito lateri semper adesse suo. Quidam e Soc. Jesu, nonagenario major, aegre ferens errorem vulgi apinantis; cognomen Cybo significare vescum quid: quam indigno bandus, qua gratiola-buudus, hos versiculos scribebat. * 4 * II signor Luigi Neri, della R. Biblioteca Universitaria, sta compilando un indice sistematico di tutti gli articoli comparsi nel « Giornale Ligustico » di questi ultimi 20 anni. È un lavoro di cui si sentiva la opportunità e che dovrà riuscire certamente utile agli studiosi. — La ben nota competenza bibliotecnica e bibliografica di Luigi Neri ci è cagione di bene sperare. * >!< ★ Trovasi a buon punto la stampa del volume VI della « Bibliografia storica degli Stati della Monarchia di Savoia » compilata dal Barone Antonio Manno, per incarico della R. Deputazione di Storia Patria di Torino. Il detto volume sesto contiene, disposto sistematicamente, l’indice delle pub- GIORNALE LIGUSTICO 75 blicazioni relative a Genova. Avendo potuto vedere le bozze, possiamo assicurare che questo ingente lavoro bibliografico è ben condotto (come lo sono del resto altri dell’ illustre segretario della R. Deputazione) e sarà un validissimo ausilio per tutti i cultori della storia ligustica. BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO Boscassi (Angelo). Illustrazione Storica dello stemma di Genova. — Bari, direzione del Giornale Araldico, 1895, opus, di pp. 12 con V tav. [Recentemente la R. Accademia Araldica Italiana apriva un concorso sul tema dal titolo: « Illustrazione storica di uno stemma municipale italiano ». Il B. presentò una memoria sullo stemma di Genova che venne meritamente premiata. In essa 1’ A. risalendo con sintesi ehiara e felice la storia del nostro Comune, da lui divisa, secondo l’intento del suo lavoro, in sette periodi principali (I. Epoca romana. II. Sotto i barbari e consoli. III. Sotto i podestà e i capitani del popolo 1130-1339. IV. Sotto i dogi a vita 1339-1528. V. Sotto la Repubblica aristocratica 1528-1797. VI. Sotto la repubblica democratica e sotto i francesi 1797-1814. VII. Sotto il Piemonte) passa in rassegna gli emblemi e le divise che si succedettero nello stemma, nella bandiera, nel sigillo e nelle monete genovesi, cioè Giano, il castello, il grifone, la croce rossa, San Giorgio, 1’ Agnello, il Libertas, la Madonna, il fascio e il berretto frigio, simboleggianti rispettivamente le più importanti mutazioni: esse sono adeguatamente chiarite anche dalle 5 tavole che stanno in fine dell’opuscolo. Già il Giuliani fino dal 1869 (Atti Soc. Liç. d St. P. vol. IX) accennava alla grande utilità di uno studio completo delle insegne e dei sigilli del nostro comune. A noi pare che il lavoro del B. ne sia un buon contributo. Lo stesso Barone Antonio Manno che fu incaricato del-Γ esame delle due monografie premiate dal « Giornale Araldico » , pure notando alcune « lievi mende che si potrebbero facilmente correggere » conclude il suo giudizio, affermando che nel complesso e nei particolari, la memoria del Boscassi i bene ideata, studiata e scritta], G. B Roggero (Egisto). — Vecchie storie musicali. — Milano, Casa Editrice Galli, 1895. [Arriveremmo troppo in ritardo se volessimo dare una recessione estesa di questo simpatico volumetto, del quale si è occupata favorevolmente la stampa periodica italiana. Ai lettori del Ligustico segnaliamo 76 GIORNALE LIGUSTICO tuttavia il capitolo di « indiscrezioni » sopra Verdi in casa sua. Quantunque comparso, a parte, in una rivista, esso sarà riletto con piacere da quelli che gii conoscono tale studio e sarà gustato da quelli che lo leggeranno per (" R la prima volta]. Rossello (Adolfo F.j. — Programma del corso libero di epigrafia giurìdica latina nella R. Università di Siena e nel Circolo Giuridico 1892-1895. [Sono poche pagine '4) e ciascuna pagina contiene poco più di righe. Pure valgono assai più che lunghe ed inutili chiacchere diluite in un grosso volume, poiché il programma di un corso di epigrafia latina vi 6 tracciato con mano maestra e con piena conoscenza della materia. Ci è cagione di gioia vedere il giovane ed egregio Autore traslocato da libero docente in Siena a professore straordinario nell’Ateneo Genovese, nel quale, non solo come professore di diritto Romano alla facoltà di Giurisprudenza, ma come libero insegnante di Epigrafia Romana alla sezione di Belle Lettere, sarà di lustro e decoro alla nostra Università]. G. B. Dosaver (Federico) Genova t dititorni. (Genova Sordo-Muti jSyó). [È una nuova guida descrittiva e artistica illustrata da 40 fotoincisioni con una pianta topografica di Genova. L’ appellativo di Guida apposto al volume è forse troppo modesto perchè il lavoro del Donaver più che una guida arida è una descrizione assai forbita e brillante di quanto ha di più bello la nostra città dal lato artistico, storico e topografico. Il Donaver con soda eruzione illustra tutti i monumenti più belli di Genova facendone la stoiia e rilevandone i pregi artistici. Il volume del Donaver è interessante non soltanto per i forastieri che hanno vaghezza di imparare a conoscere la nostra città, ma anche per molti genovesi i quali hanno il difetto di non occuparsi col dovuto amore di tutti i tesori della natura e dell’ arte onde è ricca la nostra Genova.] Sforzv (Giovanni . Gli studi archeologici sulla Lunigiana e i suoi scavi dal 1441 al 1S00. — (Modena, tip Vincenzi, 1895 Estratto dagli Atti e Memorie della R. Deputazione di Storia Patria per le Provincie Modenesi S. IV. v. VII. [Discorre colla nota competenza della topografia della vetusta Luni. Altra pubblicazione, del medesimo autore e che si aggira sullo stesso soggetto, i quella che ha per titolo: Scritti Archeologici sulla Luntgtana di Mons. Celestino Cavedoni: vi sono raccolti alcuni scritti, in parte inediti, dell’illustre archeologo, che risguardano l’iscrizione lunense di M. Minatio Sabello; l’ara carrarese sacra alla Mente Buona: un ripostiglio di monete romane scoperte presso Carrara: le iscrizioni romane della Liguria, raccolte da A. Sanguineti: un carteggio inedito del Cavedoni col marchese Remedi di Sarzana, su questioni di numismatica ] GIORNALE LIGUSTICO 77 Faldella (Giovanni). I fratelli RuJJini - Storia della Giovine Italia. - Libro i. . L antica Monarchia e la Giovane Italia. Libro 2.°: La famiglia Raffini, I orino, Roux Frascati e C. 1895. [Argomento difficile a trattarsi colla necessaria spassionatezza politica. Il i. libro è la risultante di un discorso letto al teatro Alfieri di Torino il 14 Marzo 1895 per il Circolo Monarchico degli Studenti: il secondo libro è 1 ampliamento di una conferenza tenuta a Genova alla « Società di Letture e Conversazioni scientifiche » la sera del 2 Aprile 1895. Questo ha, più del primo, un carattere positivo e narrativo. Nella famiglia Ruffini il Faldella trova « 1 pm esemplari e completi, i più artistici e filosofici quadri della nostra storia patriottica: la ribellione sanguinosa alla tirannide, con lo stoico suicidio di Jacopo, con la condanna mortale di Giovanni e con 1’ esilio di questi e di Agostino; la sapienza e il sacrifizio, per cui Giovanni ed Agostino ravvisarono poscia nella monarchia di Savoia il perno del risorgimento italiano, sedettero ambi due deputati costituzionali nel Parlamento Sardo, e Giovanni divenne presso una delle principali potenze d’Europa, ambasciatore di questa maesta, nel cui nome sedici anni prima era stato condannato a morte ignominiosa: infine 1’ambasciata letteraria presso i popoli più efficace di ogni ambasciata politica presso i governi; e la purezza della vita nei tre staili ritratta dalla santità della madre Eleonora ». Questi due libri costituiscono il principio di un più vasto lavoro storico, nel quale sarà più opportuno dare un giudizio sereno ad opera compiuta.] N. B. — Abbiamo avuto anche due recenti pubblicazioni tedesche di G. Caro relative a Genova: un nostro collaboratore ce ne ha promesso una lunga recensione per il prossimo fascicolo. SPOGLIO DEI PERIODICI [Nello spoglio delle riviste, che procureremo di fare con molta attenzione, rileveremo specialmente gli articoli interessanti la nostra Liguria. Per com' pletare la lacuna degli anni in cui è rimasta sospesa la pubblicazione del « Ligustico », cominciamo il nostro spoglio dal 1894]. Nuova Rassegna (Roma) I, p. 123.— G. Bertolotto, Vincenzo Bellini a Genova. [Vi è pubblicata una lettera inedita di V. B. al Florimo, la quale GIORNALE LIGUSTICO è stata poi riprodotta dal signor Antonino Amore nel suo volume sul cigno catanesc. Id, p. 428: Verdi e Mariani. [Spigolature da un carteggio inedito del Maestro col celebre direttore d’orchestra del Carlo Felice, Angelo Mariani: il carteggio esiste alla Beriana], Id., pag. 592: La mano destra dei P. Antonio Cesari. [La destra del Cesari fu recisa da Mons. Stefano Rossi, che, morendo, la legò per testamento alle Civica Biblioteca Beriana , ove tuttorasi conserva. L’A. ne conferma con documenti 1 autenticità]. Fabbri (Federico), Monsignor St/fino Rossi. [ A proposito delle ricerche del Bertolotto sopra l’autenticità della mano del padre A. Cesari, la conferma. Inveisce contro il Rossi, come delegato apostolico di Ravenna]. Id. p. 714: Una lettera inedita di Massimo d’Aqrglio. [Si riferisce al soggiorno di d’A-zeglio in Genova nel 1856]. Id., II, p. 285: L'Epitaf ^ di Gabriello Chia-brera. [Si riteneva fin qui che la famosa epigrafe in lode del Chiabrera, esistente al Municipio di Savona, fosse stata dettata dal pontefice Urbano Vili. Il B. tenta di provare che essa fu redatta dal celebre letterato fiorentino Francesco Rondinelli. L’articolo ha importanza anche per la nota e noiosa questione della patria di C. Colombo]. Id., p. 442 ; Onorato d Urfé e una lettera del baron Vernala. [Onorato di Urfé, gentiluomo di corte di Carlo Emanuele I di Savoia, fu da questo incaricato di stendere un giudizio sopra 1 Amtdtida di Gabriele Chiabrera. Qpesto « Jugemant »> esiste autografo nella biblioteca del Re a Torino. La Beriana di Genova ne ha copia di mano del P. Celestino Massucco. È una storia dolorosa delle vicende che dovette subire il poeta e il poema àcWAmedeida minore, fino a che col-YAmedeida maggiore si acquetarono le pretese di Carlo Emanuele I e le angustie finanziarie del poeta savonese. Il « Jugemant » è tuttora inedito, il B. ne promette la pubblicazione]. Id., p. 572: Un quadro di Τιχϊαηο posseduto da G. Chiabrera. [Il Chiabrera aveva un debito di 500 lire col ricco e munificente patrizio genovese Gio. Vincenzo Imperiale. A tacitazione di tale debito concede un quadro, da lui creduto del Tiziano. Bernardo Castello, pittore genovese, lo crede di poco merito, ma si fa mediatore del Chiabrera, presso l’imperiale. II quadro è ora irreperibile]. Natali (Giulio), p. 589: Gabriele Chùibrera t G. V. Imperiale. [Articolo polemico sulle ragioni che causarono la rottura delle relazioni amichevoli tra il Chiabrera e l’Imperiale]. G. Bertolotto, p. 628: Per un'ipotesi. [Confuta le argomentazioni dei signor Giulio Natali, dimostrando che soltanto ad un ripicco letterario va ascritta la nimistà di G. V. Imperiale contro il Chiabrera. qui finisce la polemica]. Id., Anno II, N. 2, p. 35: Genva. [Dà relazione di un poemetto rarissimo di Gio. Maria Cataneo. Di questo ne possede\a una copia il marchese M. Staglieno : altra copia è al Britisi) Museum di giornale ligustico 79 Londra. Il B. ebbe la fortuna di trovarne un altro esemplare (più completo degli altri) alla Beriana. — Il poemetto è stato pubblicato con introduzione , apparato critico e commenti nelli Atti della Società Ligure di Storia Patria, vol. XXIV, fasc. 2]. Id., N. 25, p. 115: Caffaro. [A proposito dell opera di Cesare Imperiale di S. Angelo, Caffaro e i suoi tempi. Torino, Roux e C., 1894]. Nuovo Archivio Veneto. V. 18; 1895. — Monticolo G., L’ Apparitio Sancii Mai ci ed i suoi manoscritti. [La notizia dell’apparizione di S. Marco a \ enezia 1094, che A. Dandolo diede nelle sue cronache, eragli giunta non soltanto da sue informazioni particolari ma anche dalla « leggenda aurea » di Jacopo da Varagine. In appendice vi è pubblicato il testo da cui derivarono le notizie A. Dandolo, Iacopo da Varagine e Pietro di Chioggia. Nel fascicolo seguente (18) il Monticolo dà altre correzioni ed aggiunte sullo stesso soggetto]. Rivista di Storia, arte e archeologia della Provincia di Alessandria. Π . 12. 1895. Documenti di Gavi. [Pubblicazioni di documenti, alberi ceneologici, statuti comunali, procure, delegazioni, deliberazioni consulari e consigliari, vendite ecc. a cura di C. Desimoni], Atti dell’Accademia delle Scienze di Torino. XXX. 5. 1894-1895. _ Filippi G., dedizione di Savona a Filippo Maria Visconti (1422) [Con documenti rileva le condizioni poste dai Savonesi nel 1422 al loro giuramento di fedeltà al Visconti]. Bollettino Senese di Storia Patria (Anno II, fasc. 1II-IV. M. Rosi discorre di alcuni Documenti genovesi sull’assedio di Siena. (Continua). OPERE PERVENUTE AL « LIGUSTICO » Faldella (Giovanni). - I fratelli Ruffini - Storia della Giovine Italia [Libro primo. L’antica Monarchia c la Giovine Italia. — Libro secondo. La famiglia Ruffini], Torino, Roux Frassati e C.° 1895, opuscoli 2. Pastore (Antonio). — I figli del Secolo. Genova, Stabilimento Tipografico Genovese, 1875. δο GIORNALE LIGUSTICO Torelli (Enrico), tenente nel 63.° Reggimento Fanteria. Delle fortificazioni ili Alessandria - Cenno storico. — Alessandria, Tip. G. Jacquemod 1894. Bigoni (prof. Guido). — La tempesta di Shakespeare. - Memoria letta alla R. Accademia di Archeologia, Lettere e Belle Arti nella tornata del 12 Marzo 1895. Napoli, Tip. della Università, 1895. Bigoni (prof. Guido). - G. Bolero e la quinta parte delle relazioni universali - Note ed appunti. Firenze, Tip. M. Ricci, 1895. Rossello (F. Adolfo). — Di alcuni studi ausiliari della storia del Diritto Romano (Filologia - Paleografia - Epigrafia). Prolusione al corso di Storia del Diritto Romano nella R. Università di Siena, 18 Febbraio 1892. Siena Tip. Nara, 1S93. Rossello (Adolfo F.). — Programma del corso libero di Epigrafia giuridica latina nella R. Università diSiena e nel Circolo Giuridico 1892-1895. Siena, Tip. C. Nara, 1S95. Roggero (Egisto). — Vecchie storie musicali Milano, Galli, 1895. [Gislimberti (P.V). — Banchetto a Paolo Boselli e suo discorso (21 Maggio 1895, Elezione politica di Savona], Tipografia Nazionale, 1895. Boscassi (Angelo). - Illustrazione storica dello stemma di Genova [Premiata al Concorso del « Giornale Araldico »]. Bari, 1895. Migone (Giuseppe) Avvocato che non esercita - Appendice all’ opuscolo per la conservazione di Porta Pila . . . Genova, Tip. Sordo-Muti, 1895. Pace (Avv. prof Vincenzo). - L’Italia ed i suoi commerci - Studio di Geografia Commerciale. Genova, Sordo-Muti, 1895. Pace (Avv. prof. Vincenzo). - La scuola primaria e la sua condizione giuridico-sociale - Conferenza data in Genova nel Gennaio 1893. Genova, Tip. della Gioventù, 1895. Rocca (G. A.) — Savona attraverso i secoli e il porto e la ferro\ ia per Sassello ed Acqui .... Savona, F.“‘ Burnengo, 1895. Gonetta (G.). — La donna e 1’ emancipazione - Studio intimo sociale. Sesta edizione - Riveduta ed ampliata. — Genova, Sordo-Muti, 1 9 Caro (G.) - Studien zur Geschichte von Genua.. I. Die Verfassung Genua’s zur Zeit des Potestat’s (1190-1257). Caro (G.). — Genua und die Machte am Mittelmeer (1257 1331 ) * * · ' Band, Halle, 1895. Prof. Girolamo Bertolotto Direttore Responsabile. la solenne inaugurazione DELLA NUOVA SEDE DELLA « SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA » La Società Ligure di Storia Patria tu fondata circa quaranta anni fa, e precisamente nel 1857, C°1 precipuo intento di indagare le memorie del passato: illustrare le antiche cronache e porre in luce le più meritevoli tra esse: zelare la conservazione dei monumenti liguri: trarre dagli archivi, così pubblici come privati, quei tesori di patria erudizione che vi giacciono ancora negletti : dare opera insomma a porgere efficace incitamento allo studio di ogni notizia civile, commerciale, letteraria, religiosa, biografica, archeologica, artistica di Genova e della Liguria. Essa ha il vanto di essere una delle più antiche delle Società storiche d’Italia e di aver meritato di essere segnalata dal Ministero della Pubblica Istruzione come modello di dottrina e di operosità (1). Al suo sorgere, ebbe il più lusinghiero accoglimento dall’autorità municipale: fu appunto nell’aula magna del Municipio che la dotta ed eloquente parola del compianto Padre Marchese esprimeva, per la prima volta, quali fossero gli intendimenti, quali i destini vagheggiati per il nascente sodalizio, che seppe poi giungere a così gloriosa meta. (1) Vedi: Seduta straordinaria del Consiglio Comunale di Genova 30 Agosto 1874. Giorn. Ligustico. Anno XXI. 5 b 82 GIORNALE LIGUSTICO A darle lustro concorsero subito gli ingegni più nobili, il cui nome figura o fra gli Uffiziali della Società (che ebbe a Presidenti effettivi il march. Vincenzo Ricci (provvisorio), il p. Vincenzo Marchese, Γ avv. Antonio Crocco, il nobile Pasquale Tola, il march. Girolamo Gavotti) oppure nell’albo dei Socii onorarli, dove troviamo, fra gli altri, Michele Amari, Camillo Benso di Cavour, Cesare Cantò, Gino Capponi, Alessandro Manzoni, Federigo Sclopis, D. Luigi Tosti, Pietro Yieussieux ecc. Una vera rivoluzione si produsse negli studi storici che riflettono Genova e la Liguria, per opera del benemerito sodalizio. Quelle che sembravano allora ancor tenebrose epoche, sulle quali gli antichi storici avevano intessute ingenue e bizzarre leggende, furono rischiarate dai luminosi studi del Desi- OD 5 moni sulle Marche (1), dalle illustrazioni del Registro Arcivescovile del Belgrano. Cosi furono diradate dalla fitta selva delle leggende le origini del Comune , le genealogie delle antiche famiglie viscontili, fu trovato il nesso che lega le vicende delle prime epoche a quelle delle successive, fu cominciata la preziosa raccolta degli Statuti liguri, e dichiarata, con ammirevole chiarezza, la serie dei nostri Consoli, la storia e le vicende della nostra Zecca, illustrati con preziose monografie i nostri monumenti, le nostre Colonie, le nostre Chiese, la vita privata dei Genovesi. Furono raccolte le inscrizioni greche e romane della Liguria, e cosi per opera del Grassi, del San-guineti e del Desimoni venne messo in chiara luce Γ importanza della famosa tavola di Polcevera ; le iscrizioni del Santo Sudario, ossia della celebre Imagine Edessena, custodita nella Chiesa di S. Bartolomeo degli Armeni, trovarono un perspicace Edipo nell’avv. Pier Costantino Remondino. La numisma- fi) Le lettere del Desimoni al Promis sui marchesati d’ Italia furono ^ pubblicate nella Rivista Universale fi868). GIORNALE LIGUSTICO 83 tica ligure ebbe buoni campioni nei socii avv. Gaetano Avignone e nel colonnello Roggero ; nè meno studiate furono la cartografìa, la geografia, la storia del commercio e delle colonie : basti ricordare il Codice Diplomatico delle Colonie Tauro-Liguri durante la Signoria dell’ Uffizio di San Giorgio (I453_75)) ordinato ed illustrato dal P. Amedeo Vigna, che contiene 1148 documenti. Così sulla tipografia ligure non si potrebbero oggimai desiderare notizie più minute di quelle raccolte dal Giuliani, dallo Staglieno e dal Belgrano ; e nel campo delle belle arti esercitarono il loro ingegno molti benemeriti che ora non son più tra noi, da Santo Varni a Federico Alizeri, da Antonio Merli al Belgrano, ai quali dobbiamo le applaudite illustrazioni del Palazzo del Principe Doria a Fassolo. Accenniamo soltanto una piccola parte del lavoro compiuto dal Sodalizio Genovese. E non è maraviglia se esso è ora in corrispondenza con tutti gli Istituti scientifici del mondo: se il Ministero di P. I. ha voluto accompagnare il lusinghiero giudizio, già riferito, con un cospicuo sussidio: se la Giunta Provinciale ha deliberato di concorrere aneli’ essa con un assegno alla pubblicazione degli Atti delia Società Ligure di Storia Patria che, oltrepassati i confini dell’Europa, sono conosciuti anche nelle lontane Americhe e costituiscono a tutt’ ο^σΐ una OD doviziosa raccolta di ben 27 volumi in 8.° grande (1). L’ « Istituto Storico Italiano », stabilisce nel suo statuto, che la Società Ligure abbia presso di esso un deputato speciale: un delegato della Società stessa fa parte della Commissione Provinciale per la esportazione degli oggetti di Antichità e (1) L’indice analitico delle materie contenute negli Atti fu stampato, l’ultima volta, nel 1885 ed abbraccia gli anni 1858-1884. Nell’anno corrente, dovendosi iniziare la 5.’ serie degli Atti, sarà ristampato ed esteso a tutto il 1895. 84 GIORNALE LIGUSTICO Belle Arti in Liouria. Ciò dimostra 1 alta estimazione in cui è tenuta la Società Ligure di Storia Patria. La Società, appena fondata tenne le sue sedute , per concessione del Municipio, nelle sale della Civica Biblioteca Beriana: di là passò a quella delle Missioni Urbane e quindi in un locale privato di via della Maddalena, che, insufficiente ed inadatto anche per le tornate ordinarie, sembrò meno che decoroso quando nelle solenni commemorazioni Colombiane del 1892, Genova fu scelta a sede del V Congresso Storica Italiano e la Società dovette far gli onori di casa ai rappresentami degli Istituti Storici, non solo d’ Italia, ina di tutto il mondo civile. Ricostituitosi nel 2 febbraio di quest anno il nuovo Uffizio Direttivo, fu ventura per la Società che il voto unanime dei socii nominasse Presidente effettivo il march. Cesare Imperiale di Sant'Angelo, il quale dimostrò subito il suo interessamento per il Sodalizio, ottenendo dalla saggezza del-l’Autorità Municipale che la rinnovellata Società trasportasse i suoi uffizi e la sua biblioteca nel 3·0 P'ano del Palazzo Bianco, in quelle stesse sale che già diedero stanza ad un dotto studioso di cose patrie, il senator Federico Federici. E fu appunto nella sera del 2 maggio del corrente anno che ebbe luogo alle ore 20 '/» solenne inaugurazione delle splendide sale addobbate con gusto (inamente aristocràtico e illuminate sfarzosamente a luce elettrica e candelabri. A questa seduta intervennero numerosi i socii : avvocati, professori, medici, sacerdoti, prelati, consiglieri ed assessori comunali ecc., rappresentavano in quella sera tutti i partiti, tutte le opinioni politiche e religiose con quella consolante concordia che si può trovare solamente nel sereno campo della scienza. Ci dispiace non poter dare l’elenco completo dei presenti, non tutti avendo lasciato il loro nome all’ Uffizio di Segreteria,, e ci limitiamo ad alcuni appunti presi alla rinfusa. GIORNALE LIGUSTICO 85 Abbiamo notato il prof. cav. C. Manfroni, Arturo Ferretto, sac. prof. Santo Mosso, avv. Antonio Filippi, prof. avv. Vincenzo Pace, prof. Quinzio, sac. can. Pietro Fontanini, prof. M. Rosi, Assereto comm. Ugo, ing. F.co Maria Parodi, avv. Matteo Pozzo, avv. Paolo Emilio Bensa , Rossi Alessandro, prof. Angelo Massa, prof. Adolfo Rossello, sac. can. Deamicis , avv. Didimo Grillo, sac. Silvio Monaci, cav. uff. Leonida Olivari, avv. Enrico Zunini, Le Mesurier Algernon, prof. P. E. Guarnerio, prof. Benzoni, pitt. Augusto Luxoro, avv. Dionigi Corsi, can. Lodovico Gavotti, arch. Benvenuto Pesce, avv. Vincenzo Capellini, prof. M. A. Crotta, avv. Alarico Calvini, Gian Luigi Cabella, Carlo Paganelli, Emanuele Grasso, cav. E. Dellepiane, prof. G. Genetta, cav. Nicolo Casale, avv. Miroli, avv. Pier Giulio Breschi, dott. Moretta ecc. La seduta è aperta alle ore 20 '/2 dal Presidente co.ll’assistenza del Vice Presidente cav. avv. Enrico Lodovico Bensa, del Segretario generale prof. cav. D. Luigi Beretta e del Vice Segretario generale dottor cav. Gerolamo Bertolotto, del Tesoriere march, cav. Marcello Staglieno e dai consiglieri Barrili comm. A. G., Centurini comm. avv. Luigi, Campora prof. Gio. Assessore municipale, Cervetto cav. L. A., Padre cav. Amedeo Vigna. Il Presidente comunica una lettera del comm. Cornelio Desimoni, Presidente onorario a vita, il quale si dichiara dolente di non poter intervenire alla tanto desiderata seduta inaugurale O > perchè, stante la sua tarda età e la malferma salute ha dovuto, per consiglio dei medici, partire per la sua villeggiatura di Gavi. Il Presidente, crede di interpretare il voto di tutti i socii esprimendo per iscritto al venerando vegliardo il rincrescimento per la sua assenza, il rammarico per la salute non buona e il tervido augurio di una rapida guarigione. La proposta è acclamata. 86 GIORNALE LIGUSTICO Quindi il marchese Imperiale pronunzia un elevato discorso, di cui diamo qui un breve sunto, toccando soltanto i momenti principali. Con un mesto, affettuoso saluto ai principali benemeriti della Società, quali il P. Marchese, i fratelli Ricci, i Morro, i Caveri, i Merlo, i Remondini, gli Olivieri, i Sanguineti, i Crocco, gli Ansaldo, gli Amari, giunto al nome di Andrea Podestà, rievoca con frase felice il ricordo dello scoppio unanime, profondo, di dolore con cui Genova dimostrò la sua gratitudine all’uomo che aveva dedicato a Lei tutta la sua vita febbrilmente e nobilmente operosa. L’anno 1X95 va annoverato fra i più funesti per Genova e per la Società, che sul linir del Dicembre perdeva insieme al suo Presidente march. Girolamo Gavotti, colto e geniale patrizio, anche il segretario generale , comm. L. T. Belgrano, il quale impersonava in sè la Società cosi che parve dovesse, colla morte di lui, anch* essa sparire. Riassunta l’opera scientifica di questi valorosi, per cui le più oscure pagine della storia genovese vennero illustrate negli Atti, Γ Oratore sente 10 strettissimo dovere di continuare nella via intrapresa « conservando colla stessa vigoria l’impulso che i fondatori e i primi continuatori del-l’opera le hanno dato ». Accetta la gravissima responsabilità col pensiero che « il vero nostro capo, la nostra guida, il nostro maestro, sarà sempre 11 comm. Cornelio Desimoni, quel venerando vecchio al quale l’ala del tempo ed i faticosi studi non hanno saputo recare altro oltraggio che di qualche ruga, lasciando intatta la più che giovanile memoria, la meravigliosa lucidità della mente, che dalle minuziose indagini analitiche sa assurgere alla contemplazione delle idee generali abbracciandone la sintesi coll’acuto sguardo dello storico e del filosofo. La Società lungi dall’essere una vana Accademia, come quelle del seicento, deve affratellare tutte quelle persone che in Genova (ove sono più numerose di quanto si crede) si rinfrancano dalle cure dello scagno e dei propri affari collo studio delle patrie memorie. Molecole agitantisi nello spazio, esse finiranno coll’ incontrarsi e dalla nobile gara verrà giustamente il titolo di colta a questa Genova che finora si è contentata di esser chiamata Superba. Superba ''non solo per la città, ma per l’indole scontrosa degli abitanti ed egoista: sono due antichi rimproveri a Genova, più giusto forse il secondo, perchè sinonimo di egoismo può dirsi quello spirito di indivi- GIORNALE LIGUSTICO 87 dualismo che ha sempre informato tutti gli atti del popolo ligure. Per la stessa posizione geografica e topografica, i liguri, stirpe di marinai e di montanari, nella lotta continua per la vita, acquistano presto la coscienza del proprio diritto, sono poco disposti ad accettar padroni, se non superiori per vigorìa di corpo e di mente. Questi i liguri di un tempo: quelli che popolarono di colonie 1’ Oriente, pronti alla rivincita dopo la sconfitta del Giglio: quelli che giudicarono temerario Pagano Doria vincitore, in una terribile notte di Febbraio, di tre flotte riunite : quelli che minacciavano tagliar naso ed orecchie ai Pisani, se osassero sbarcare in Sardegna, e ciò in presenza di quel Barbarossa che prima l’aveva venduta ai Genovesi e poi promessa ai Pisani: quelli che fieramente rifiutarono a Federico II il licenziamento del Podestà da loro liberamente eletto : quelli che al Re Sole, Luigi XIV, rispondevano : Genova non tratta sotto le bombe. « Ai liguri specialmente spetta il vanto di aver dato alla propria storia un’ impronta tutta propria, non presa a prestito da alcuno, neppure dai Romani, col cui Municipio il nostro Comune ha soltanto analogia di nomi, non propriamente di sostanza. « La legislazione commerciale e marittima è vanto dei liguri, come l’ordinamento mirabile delle Colonie e quello delle Compere e Banco di San Giorgio. « E liguri, schiettamente liguri, sono i personaggi della storia genovese : Guglielmo Embriaco, testa di maglio; Caffaro, annalista, ammiraglio, legislatore, commerciante, diplomatico; Guglielmo Boccanegra, Andrea Doria: I genovesi, gente economa, avida talvolta, sono poi capaci di miracoli di valore, di carità, di munificenza. Nè tali ricordi sono rievocati per sciocchi ed inutili rimpianti di regionalismo. « La mala pianta del gretto municipalismo, dice l’oratore, non alligna fra noi, in questa Genova che ha dato i primi martiri alla causa della patria, e va giustamente altera di chiamar suo figlio il grande pensatore, 1 Apostolo dell’unità Italiana; in questa Genova che potrà ricordare con legittimo orgoglio alle venture generazioni che dalla stessa terra donde salpavano un giorno le galee di quel Benedetto Zaccaria, che con Giovanni da Procida preparava ai danni del tiranno Angioino i Vespri Siciliani, partivano, per mirabile ricorso storico, su navi genovesi, alla volta di Sicilia i migliori fra i suoi figli col biondo eroe che pur si gloriava di sua ligure stirpe, per quell’impresa che doveva essere il meraviglioso epilogo dell’epoca eroica del nostro risorgimento e che attraverso i secoli prenderà nelle leggende popolari il posto delle favolose epopee d’Orlando e dei paladini della Tavola Rotonda ». 88 GIORNALE LIGUSTICO (Queste parole vengono accolte da applausi). L’oratore continua dicendo che, in generale, si sa poco la storia di Genova anche da persone coltissime, le quali conoscono invece non superficialmente la storia di Firenze, di Pisa, di Milano, di Venezia e mentre gli stranieri scendono a frotte a studiare negli archivi di Genova, dove nei secoli XII e XIII si facevano (come osserva il Cibrario) più contratti in un mese che altrove in un anno. Eppure Genova ha avuto una serie non interrotta di annalisti da Caffaro a Jacopo Doria (1099-1295); ha provato tutte le forme di governo ; ha, in fatto di politica, messi in pratica tutti i temperamenti escogitati dal-Γ ingegno umano ; cosicché la storia genovese offre materia di studio al politico, all’ economista, al filosofo. La storia genovese è poco poetica perchè scritta da persone gravi e coscienziose : da annalisti che preferiscono il documento alla leggenda ; però oggi la sua impopolarità è meno spiegabile e quasi ingiusta. Ma la storia risorge ora che la nostalgia del passato risorge dappertutto, conseguenza di tristi disillusioni, di una grande, forse esagerata, sfiducia nell’avvenire. « Mai come oggi, esclama l’oratore, mai come oggi si è parlato tanto di foschi presagi, si è declamato tanto sulla putredine, sul fango che sale; esagerati lamenti, declamazioni un po’ rettoriche, comuni a tutte le epoche di transizione come la nostra. Ma vivaddio ! Proprio oggi sul fango è caduto del sangue, sangue di eroi e di martiri del sacrifizio e del dovere. E il sangue è fecondo ; dal sangue è uscita la civiltà nostra, figlia del Cristianesimo che col sangue dei martiri ha debellato la mostruosa civiltà pagana; e dal sangue, per una triste fatalità storica, fu consacrato tutto ciò che vi è di grande, di duraturo, di bello al mondo, la scienza, la civiltà, la fede e la libertà ». Il sangue sparso in Africa ci dimostra che le nuove generazioni valgono per eroismo e per virtù quanto quelle che le hanno precedute: questo ci dà la certezza della speranza in quella rigenerazione morale della patria, primo e tormentoso pensiero degli animi veramente italiani. A questa rigenerazione morale concorrono tanto l’eroe sul campo di battaglia, quanto l’umile artigiano: tanto Io scrittore di genio, quanto il modesto raccoglitore di documenti. « Povera cosa invero, degna soltanto delle insulse accademie del seicento, sarebbe la nostra opera, se a noi tutti non sorridesse il pensiero che quella evocazione del passato, alla quale sono intesi i nostri studi, potrà un giorno, insieme al desiderio di rendere noi e gli altri migliori, ridestale in noi tutti una fede più intensa, più sicura nei nostri destini ». GIORNALE LIGUSTICO 89 Il discorso, detto con verve e spigliatezza, è interrotto qua e la da approvazioni e scoppii di buon umore nel pubblico, che segue attentamente l’oratore e da ultimo fragorosamente 10 applaude. L avv. cav. E. L. Bensa, vice Presidente, propone che il discorso del marchese Imperiale venga stampato nel prossimo volume degli Atti e si inizii con questo la terza serie di essi. L assemblea approva per acclamazione. Prima di procedere allo svolgimento dell’ordine del giorno, 11 vice Segretario prof. Bertolotto partecipa all’assemblea che, essendosi notificata la costituzione del nuovo Uffizio di Presidenza alle RR. Deputazioni di Storia Patria ed Istituti Storici del Regno e dell’ Estero, sono pervenute parecchie lettere di felicitazione e di augurio per il nuovo periodo di attività scientifica in cui entra la Società. Veramente in questi primi mesi, il nuovo Consiglio ha dovuto occuparsi specialmente dei lavori d ordine amministrativo, che potrà facilmente immaginare chiunque pensi che la Società , trasportata solo di recente la sua sede, si è ridesta appena da un lungo periodo di letargo, nel quale non dava altro segno di vita se non colla pubblicazione dei suoi Atti. Tuttavia il Consiglio ha già posto mano alla parte scientifica, ed è lieto, a tal riguardo, partecipare che il Presidente ha ricevuto dal comm. Cornelio Desimoni una nobilissima lettera, la quale e novella prova dell’ affetto che nutre verso il nostio Istituto e costituisce un vero e proprio programma dei lavori che i soci potranno intraprendere e pubblicare negli Atti della Società oppure proporre all’istituto Storico Italiano per la pubblicazione delle sue Fonti, quando però siano esaurite tutte le proposte già presentate fino dal 1885, delle quali una minima parte venne finora eseguita colla 1 O stampa del i.° Volume del Caffaro. Il Consiglio trarrà certamente ammaestramento e norma dalle saggie ed autorevoli 90 GIORNALE LIGUSTICO parole del comm. Desimoni, al quale esprime la sua riconoscenza. A questo punto il vice Segretario dà alcune informazioni sulle trattative fatte presso l’Istituto Storico di Roma per la pubblicazione degli « Annali di Caffaro e dei suoi continuatori » rimasta interrotta per la morte del comm. L. T. Belgrano ; ed insistendo sulla grande importanza che è destinata ad avere questa prima edizione critica degli annalisti genovesi, per la quale si travagliarono invano molti dotti del nostro secolo, fa una rapida rassegna dei varii tentativi che riuscirono soltanto imperfetti o fallirono del tutto. Gioverà appena ricordare, egli dice, che gli Annali furono pubblicati per la prima volta dal Muratori nel Rerum Italicarum Scriptores, ma su materiali scarsissimi ed inferiori al buon volere del dotto ed indefesso istoriografo, al quale la Repubblica genovese aveva vietato Γ ingresso negli Archivi. In principio del secolo si accinsero all’ impresa lo Zacchia e poi il Lagomarsino, ma desistettero all’inizio dell’opera. La R. Deputazione di Storia Patria di Torino, appena istituita da Carlo Alberto nel 1833, commetteva a Pietro Datta Γincarico « di preparare gii Annali di Caffaro per la stampa », ma il progetto non ebbe mai principio di esecuzione. Fallito anche il progetto di Luciano Scarabelli, la stessa Autorità Municipale volle farsi promotrice della tanto desiderata edizione, e fu dal 1862 al 1869 che, sotto gli auspicii del Municipio di Genova, il compianto M. G. Canale intraprese una ristampa del Caffaro rimasta però anch’ essa sospesa, ed oggi (meno che per sette esemplari) dispersa e scompleta. Ristampò gli Annali Giorgio Enrico Pertz nei Monumenta Germaniae Historica, ma anche questa ristampa ha difetti non lievi (r). (n Cfr. Belgrano, Arch. star, ila! Serie 3.*, Vol. II, Parte 2.*, pag. 121 sgg. GIORNALE LIGUSTICO 9 1 Istituitosi per R. Decreto del 25 Dicembre 1883 l’istituto Storico Italiano in Roma, col proposito di pubblicare appunto le Fonti della Storia Italiana, la Società, invitata a nominare il suo Deputato e a presentare un programma di lavori, proponeva la pubblicazione degli Annales Genuenses da farsi sul codice esistente nella Biblioteca Nazionale di Parigi. L’Istituto accettava la proposta: e 1’incarico di preparare l’edizione fu affidato al compianto comm. Belgrano che pubblicò nel 1890 accolto, al suo apparire, dal plauso dei dotti, il i.° Volume; vivissimo era il desiderio di veder presto comparire il secondo, per il quale il Belgrano aveva già in pronto quasi tutti i materiali, quando morte improvvisa lo colse. Il nuovo Consiglio Direttivo della S. L. di S. P., appena nominato, si mise subito in comunicazione coll’istituto di Roma, al quale propose che la pubblicazione fosse tosto ripresa sotto il nome di L. T. Belgrano. Il pensiero di rendere questo doveroso omaggio alla memoria dell’ illustre defunto fu assai gradito dalla famiglia e dall’ Istituto che non dissimulava però la difficoltà di trovare una persona la quale, con piena fiducia dell’ Istituto, della Società e degli eredi, potesse assumersi il lavoro. E il Consiglio Direttivo designava ad unanimità il proprio Presidente effettivo, signor March. Cesare Imperiale di Sant’Angelo: l’istituto, facendo così nuovo atto di deferenza alla Società, accettava pienamente tale designazione. È qui doveroso ricordare come al felice esito di questa pratica hanno contribuito efficacemente i buoni uffizi interposti presso l’istituto di Roma da un ligure, il cui nome, illustre per tanti altri titoli, è pur chiaro tra i cultori delle nobili discipline storiche: l’on. Paolo Boselli. Il Consiglio esprime all’uomo egregio davanti all’assemblea i sensi della sua viva riconoscenza e non dubita che la Società avrà presto occasione di dargli un solenne attestato di stima. r- GIORNALE LIGUSTICO Un’altra pratica trattata dall’Ufficio di Presidenza è quella relativa alla nomina del Delegato della Società Ligure presso la Commissione provinciale per la esportazione di oggetti di Antichità e Belle Arti. Secondo il Regolamento ministeriale del 1891 per la Liguria (provincie di Genova e Porto Maurizio) la Commissione fa capo all’Accademia Ligustica di Belle Arti in Genova, avendo nel suo seno un rappresentante della Commissione conservatrice dei monumenti e il Delegato della nostra Società. Siccome tale nomina è di spettanza del Consiglio, questi» nominava ad unanimità il socio prof. Giovanni Campora, che è anche Vicepresidente della sezione di Belle Arti. L’ordine del giorno reca, a questo punto, la nomina del Delegato della Società presso l’Istituto Storico Italiano ed il Presidente invita il Vice Segretario a dare all’assemblea qualche notizia sopra l’importanza dell’ Istituto di Roma e 1’ ufficio del Delegato della Società, affinchè i soci possano votare con cognizione di causa ed illuminatezza. Questo Istituto, come bene avvertirono l’ex Ministro Baccelli che lo fondò mediante R. Decreto del 25 Novembre 1883 ed il suo successore on. Coppino, che lo inaugurò il 27 Gennaio 1885, si propone di riuscire ad una vera federazione di tutti i sodalizi che, 0 creati per provvidenza di governo, o nati per virtù di spontanea associazione di studiosi, intendono a raccogliere e pubblicare nelle varie regioni d’Italia, gli sparsi documenti della storia nazionale. Nell’ Istituto siedono e votano quattro rappresentanti del Ministero di P. I., i delegati di tutte le Regie Deputazioni e di tutte le Società Storiche, lavorando nell’intento di rafforzare l’azione dei singoli sodalizi con un mutuo ricambio di notizie, di indirizzi e di raffronti ed ove occorra anche con quei sussidi d’opera e di mezzi che valgono ad incoraggiare le utili indagini ed avviarle ad uno scopo comune. GIORNALE LIGUSTICO 93 La nostra Società era rappresentata dal compianto comm. L. T. Belgrano e già Γ Istituto Storico ha fatto vive istanze perchè sia nominato il successore. 11 Consiglio Direttivo ha perciò deliberato che la nomina venga fatta dall’ assemblea, come sta scritto nell’ ordine del giorno. Il socio prof. avv. Vincenzo Pace propone che la nomina si faccia per acclamazione e invita 1’ assemblea ad affermarsi sul nome del proprio Presidente march. Cesare Imperiale di Sant’ Angelo. L’ assemblea con un lungo applauso approva la proposta del socio Pace. Il Presidente dice non reputarsi meritevole della nomina onorifica; nondimeno è lieto di scorgere in essa una prova della corrente di simpatia che si è stabilita ornai fra la Presidenza e l’Assemblea. Egli si studierà di rafforzare questa simpatia, ed accettando il mandato ora conferitogli, afferma che sarà sua guida costante la memoria degli esempi di chi lo ha preceduto : lo sorreggerà eziandio il pensiero che nel-Γ alto consesso egli rappresenta un Istituto che fu ed è onore e decoro della nostra Liguria. Resta un’altra pratica: Nomina di Soci onorari e corrispondenti. La Società che già si adornava di un’ eletta schiera di Socii onorarli, i quali, per 1’ elevata posizione, per l’altezza d’ingegno e per le chiare opere le accrescevano lustro e decoro, non conta oggi che un solo socio onorario superstite, il comm. Colucci. I morti di quest’ ultimo decennio sono Michele Amari, il principe Luigi Luciano Bonaparte, il principe don Baldassare Boncompagni, Cesare Cantò, Giulio llezasco, il conte Paolo Riant, il conte Luigi Torelli e l’abate don Luigi Tosti. Mentre, a norma dello Statuto, una commissione scelta nel seno del Consiglio di Presidenza sta esaminando i titoli di altre 94 GIORNALE LIGUSTICO egregie persone meritevoli di essere segnate nell’ albo d’ onore il Consiglio Direttivo propone di nominare a soci onorari : 1. S. E. Carutti di Canrogno barone Domenico, Senatore del Regno, Presidente della R. Deputazione di S. P. di Torino. 2. Villari comm. Pasquale, Senatore del Regno. 3. Boselli comm. Paolo, V. Presidente della R. Deputazione di Storia Patria di Torino. L’Assemblea approva per acclamazione. Il Vice Segretario legge 1’ elenco dei soci corrispondenti superstiti e soggiunge che lo Statuto sociale dispone comi; non se ne possano nominare più di quattro in un anno. Il Consiglio Direttivo propone intanto : 1. Quarenghi prof. cav. Cesare rescia. 2. Livi prof. Giovanni — Brescia. : 3. Sac. can. Francesco Gasparolo — Alessandria. 4. Prof. F. Tarducci — Mantova. Questa proposta viene similmente approvata per acclamazione dall’Assemblea. Esaurito con ciò l’ordine del giorno il Presidente dà il benvenuto ai soci intervenuti numerosi alla adunanza, e scioglie la seduta essendo le ore 22. * * * A questo punto..... l’aula ò invasa dai camerieri dello Stabilimento della Concordia, i quali servono gelati e avvertono i soci che la parte scientifica della serata è finita; i soci passano a visitare le sale di presidenza, di segreteria, di lettura e della Biblioteca sociale ove, per cortesia del Presidente, è pronto un magnifico servizio di dolci e rinfreschi. Fra allegri e dotti favellari, termina cosi allo spuntare del 3 maggio il lieto convegno che lasciò in tutti la più soave impressione. Genova, 4 maggio 1896. GIORNALE LIGUSTICO 95 Per darò un idea della simpatia che la ricostituita Società Ligure di Storia Patria ha incontrato presso ogni ordine della cittadinanza, diamo qui Γ elenco dei nuovi socii che in questo ultimo bimestre e cioè fino a tutto maggio, entrarono a far parte della Società (non ripetiamo 1’ elenco del i.° bimestre perchè già stampato nel Ligustico di quest’anno a p. 59). Cav. avv. Pietro Ansaldo, Assessore Municipale ; prof. dott. R. Benvolli, R. Università ; prof. dott. Camillo Manfroni, R. Università; march. Francesco Gaetano Spinola; march. Ugo Spinola ; march. Paolo Spinola; avv. cav. Enrico Zimini; cav. uff. Leonida Olivari ; avv. Pier Francesco Casarelo ; avv. Pier Giulio Breschi; avv. Benvenuto Pesce; avv. prof. Vincenzo Pace; avv. pi of. Ippolito Isola; vvv. Odone Sciolla ; sig. Carlo Pipia; avv. Michele Poggi; prof. doit. G. B. Garassini; march. Camillo Carrega; dott. prof. Giulio Fami; rev. Vincenzo Celesta, cappuccino ; prof, sac. Santo Mosso; avv. Arturo Italiani ; rev. Pietro Olcese, Arciprete di Recco ; prof. can. Pietro Fontanini ; march, can. Ludovico Gavotli ; rev. Giacomo Olcese ; avv. Claudio Carcassi ; avv. Santo Argenti; prof. Ferruccio Sorgenti; sac. Carlo Revello ; cav. Nicolo Casale, industriale ; avv. not. G. B. Gorgoglione : comm ò ò * avv. Giacinto Ratto ; Luigi Neri, Biblioteca Univ. ; doti. Giuseppe Genetta ; dott. Giuseppe Cerrato ; avv. Carlo Roncaglielo ; sac. P. Delucchi, Prevosto di S. Salvatore; march. Franco Lamba-Doria, Consigliere comunale ; dott. P. Enea Guarnerio ; Enea Cardini; prof. F. Rossello, R. Univers.; dott. Edoardo Moretta ; avv. Paolo Galegari ; march, ing. Giacomo Reggio ; Ettore Fontanabuona, Capo ufficio R. R. Poste ; Enrico Caveri; conte Girolamo Rossi, Senat. del Regno ; avv. Giulio Balbi ; cav. uff. Nicolo Bacigalupo ; avv. Girolamo Buonguadagno ; rev. Paolo Brachetto; prof. Luigi Ferretti ; cav. Carlo Parodi ; comm. Giacomo Richini ; prof. cav. Federico Eusebio; not. Gio. Maria Cervelli, R. Archivio ; G. B. Canevari, studente in giurisp. ; Caio Onesta; rev. Davide Trucco ; march. Francesco De-Ferrari; 96 GIORNALE LIGUSTICO avv. Pietro Zignoni ; ing. Carlo de Grave Sells ; march, rittorio Centurione; march. Tomaso Balbi; G. O. Torre', mai eh. Me-grotto-Cambiaso Pier Francesco ; avv. Girolamo Da. Passano, cav. Luigi Viale ; march, avv. Giuseppe Piuma ; rev. Francesco Brichetto ; avv. Alberto Valerio ; Pietro Figari ; avv. Marcello Cipollina ; comm. dott. Giuseppe Elia, presidente della Deputazione Provinciale; cav. Filippo Baghino ; avv. prof. Ranieri-Por rini. S. E. mons. march. Tomaso Reggio, Arcivescovo di Genova. Aw. cav. Francesco Pozzo, Sindaco di Genova. CONTRIBUTI AL CATALOGO GENERALE DEI MONUMENTI E DEGLI OGGETTI d’ ARTE E d’ ANTICHITÀ DELLA LIGURIA I. Il sarcofago romano di S. Fruttuoso. Poco nota λ coloro stessi i quali hanno qualche famigliarità colla Riviera di Levante è la Badia di S. Fruttuoso a Capo di Monte, annicchiata entro una piccola insenatura che si apre fra altissime e perpendicolari roccie di puddinga sulla falda meridionale del promontorio di Portofino. Era ab antico ufficiata dai monaci Benedettini, che la tennero fino al 1454’ poi fu costituita in commenda e finalmente concessa in gius-patronato alla famiglia Doria. Ancora pochi anni addietro , coloro che traevano alla spiaggia di S. Fruttuoso per visitarvi i resti dell’ antico cenobio e il romantico sepolcreto dei Doria — dove le tombe dei personaggi di questa insigne famiglia vissuti nei secoli XIII e XIV giacciono sotto una serie di arcate a sesto acuto e a GIORNALE LIGUSTICO 97 liste bianche e nere, poggianti su fasci di colonnine in marmo bianco vedevano di fronte alla torre quadrata, eretta dai Doria sul piazzale della chiesa, un filo d’acqua cadere entro una vasca o abbeveratoio, consistente in un sarcofago romano istoriato a bassorilievo. Non può destar meraviglia il fatto che questo monumento, nascosto in un angolo oscuro e cosi poco accessibile della Riviera di Levante, sia rimasto sconosciuto nella letteratura scientifica, sfuggendo persino alle diligenti indagini del dott. C. Robert, incaricato dall’ Imp. Istituto Archeologico Germanico di pubblicare la raccolta delle urne romane; quando gli stessi eruditi locali mostrano o di ignorarne benanche Γ esistenza , e sono i più, o di possederne una nozione affatto superficiale. Il Ratti (i), il Casalis (2), il De Bartolomeis (3) e, quel che è più, il p. G. B. Spotorno (4), per tacere di altri diligentissimi, non ne fanno neppure menzione. Bastano le dita d’una mano per contare gli scrittori che hanno parlato di questo monumento, sia pure di sfuggita, e quanto si può ricavare dalle loro indicazioni, si riduce in sostanza a men che nulla. (1) Carlo Giuseppe Ratti, lustrazione di quanto può vedersi di più bello in Genova in pittura, scultura ed architettura ecc. Genova, Ivone Gravier M-DCC-LXXX. (2) Goffredo Casalis, Dizionario geografico statistico-storico-commerciale degli Stati di S. M. il Re di Sardegna. Torino, 1833 - v. Camogli. (3) G. Luigi De Bartolomeis, Notizie topografiche e statistiche sugli Stali Sardi. Torino, 1840, libro II, vol. IV, parte II, p. 1492, sg. (4) Storta letteraria della Liguria. Genova, Ponthenier, 1824. Esiti accenna peraltro all’ urna cineraria di S. Margherita e al bassorilievo in marmo, con greca epigrafe, di Rapallo, I, p. 74. Certo, al sarcofago di S. Fruttuoso non sarebbe mancata prima d’ora una illustrazione corrispondente alla sua importanza archeologica, se la morte non avesse impedito allo Spotorno di dar esecuzione all’ opera che da lungo tempo andava meditando « Le antichità della Liguria illustrate ». Giokn. Ligustico. Anno XXL 98 GIORNALE LIGUSTICO Alcuni, intatti, ne toccano in modo affatto generico. David Bertolotti (t), dopo aver notato che del sarcofago non si vede che un lato e che a questo, eziandio, fanno velo il sedimento che vi lascia l’acqua e il muschio che ne tappezza qua e là la superficie, si limita ad intorniare il lettore che è « opera diligentemente finita », senza dir parola di ciò che rappresenta. Gio. Cristoforo Gandolfi, passando in rivista i monumenti d’arte e d’antichità delle due Riviere (2), appena è se ricorda che nel cenobio di S. fruttuoso trovasi « un pregevole sarcofago romano ». Altri finalmente accennano bensì al soggetto della rappresentazione scolpita sulla fronte e su uno dei lati minori del sarcofago, ma per darne un interpretazione del tutto arbitraria, del resto senza descrizione 0 dimostrazione di sorta. Federico Alizeri (3), che pur va per la maggiore come scrittore d arte, raffigura nel bassorilievo la « nascita di Bacco » ; M. A. Ai-raldi, autrice di una recente monografia su Santa Margherita Ligure (4), vi trova, invece, rappresentata la « guerra del Centauro »! Era destino che il monumento, rimasto cosi sconosciuto ai più e da tutti incompreso per molti secoli durante i quali giacque esposto all’aprico, diventasse finalmente argomento di studio e di illustrazione ora appunto che da pochi anni trovasi poco men che all’ oscuro sotto la volta a mezzogiorno della chiesa parrocchiale. Fortuna volle che nell’ occasione di un soggiorno climatico nella Riviera di Levante, durante i mesi di Marzo ed Aprile il) Viaggio nella Liguria Marittima. Torino, 1834, 3.°, p. 54· 2) Le 1 lue Riviere, nella Descrizione di Genova e del Genovesato. Genova, Ferrando, MDCCCXLVI, III, p. 342. 3! I migliori monumenti sepolcrali della Ltguna illustrati. Genova, Ferrando, MDCCCXXXIX. pag. 74 e seg. (4) Genova, 1895, p. 28. GIORNALE LIGUSTICO 99 dell’anno scorso, capitasse a S. Fruttuoso l’illustre prof. Federico von Duhn dell’Università di Heidelberg, al cui occhio, famigharizzato coi monumenti dell’ antichità figurata, non isfuggi il senso della rappresentazione incisa sul sarcofago, nè la peculiare importanza del medesimo dal punto di vista archeologico, come il più egregio rappresentante di una classe di cui non si conoscevano fin qui che due assai modesti campioni. l£gli tu sollecito a trarre del monumento alcune fotoerafie O alla luce di magnesio, per metterle a disposizione dell’ imperiale Istituto Archeologico Germanico, come supplemento al materiale pubblicato nel vol. II della raccolta del Robert. In pari tempo, il von Duhn dava relazione della sua scoperta in una dotta quanto interessante memoria inserita nel Archàologischen An geiger del Reimer di Berlino (1895, 3, pag. 159 sgg.) Dai dati e dalle osservazioni esposte dal von Duhn nella sua monografia (Achilleus auf Skyros. Ein Sarkophag in San Fruttuoso), il cui testo è opportunamente corredato da due vignette in eliotipia, riproducenti la fronte e il lato figurato del sarcofago, risulta evidente che il soggetto rappresentato appartiene all’Achilleide, e più precisamente all’episodio del riconoscimento di Achille in Sciro. In tesi generale, questa del riconoscimento di Achille non è rappresentazione che occorra di frequente nei monumenti dell’ antichità figurata. Sui vasi dipinti non se ne trova traccia : circostanza che milita a favore dell’ induzione che la leggenda relativa a questo episodio della vita di Achille siasi tonnata nell’ epoca postomerica. Il mito del riconoscimento di Achille sembra non essere stato trattato neppure dalla glittica; causa, forse, la ristrettezza del campo di lavoro di cui dispone il litoglifo. La messa in scena dell azione che si svolge in questo 100 GIORNALE LIGUSTICO mito esige, intatti, la presenza simultanea d una quantità di figure, superiore a quella che può essere raggruppata nello spazio offerto da una corniola o da un diaspro da incastonarsi in un anello per uso di sigillo. Niuno ignora quali e quanti sieno i protagonisti dell’ a-zione e come questa si svolga, secondo il concetto dell ai te antica. Teti istruita da suo padre Nereo esser destino di Achille vivere lungamente, però senza gloria, oppure acquistar gloria grandissima, ma a patto di finir presto i suoi giorni, manda il figlio a Sciro presso Licomede re dei Dolopi, dove sotto vesti femminili convive colle sette figlie del re. Queste 10 credono una donzella, tranne la primogenita, Deidamia, colla quale Achille ha ben presto dei furtivi rapporti, il cui frutto è un figlio, Pirro, o Neottolemo come altri lo chiama. Intanto i Greci, ai quali Calcante aveva predetto che 1 roia mai non sarebbe presa senza il concorso di Achille, si decidono ad andare in traccia di lui. A tale scopo, Ulisse e Diomede, in compagnia del trombettiere Agirte, approdano con una squadra all’isola di Sciro. Quivi Ulisse, per liconoscere 11 aiovinetto Pelide fra le figlie di Licomede, offre in dono ad esse degli oggetti spettanti al mundus muliebris e, frammiste a questi,delle armi. Le fanciulle ammirano e si disputano i primi: ma l’attenzione di Achille è tutta concentrata sulle seconde. Allora, ad un segno di Diomede, Agirte dà fiato alla tromba. Allo squillo guerresco il cuore di Achille trabalza; egli arteria le armi e, svincolandosi dalle braccia di Deidamia, seguita i Greci sotto le mura di Troia. Un soggetto come questo non poteva essere trattato efficacemente dall’arte che in pittura o in bassorilievo. Noi sappiamo, invero, che il mito del riconoscimento di Achille diede argomento a celebrate rappresentazioni condotte sul muro e sulla tavola da pittori di prim’ ordine. lì ancora viva nella storia dell’arte la tama del quadro di GIORNALE LIGUSTICO ΙΟΙ Poiignoto nella Pinacoteca dei Propilei ateniesi (i); nè spenta dopo tanti secoli è la memoria del dipinto in cui Atenione da Maronea ritrasse « Achillem virginis habitu occultatum, Ulixe deprehendenti » (2). La graziosa descrizione che Filostrato iuniore fa della rappresentazione figurata che forma argomento del primo dei suoi Ritratti (3), è evidentemente desunta dal vero, avendo sott’occhio un quadro molto ammirato ai suoi tempi. Ma di antiche pitture riproducenti questo mito non giunsero fino a noi che le poche di Pompei (4). Assai interessanti perciò sono le rappresentazioni che del mito stesso esibiscono i bassorilievi delle urne funerarie (5): se-nonchè il numero delle fin qui conosciute è assai limitato, come può vedersi nella raccolta del Robert. Ora fra i pochi tipi sotto cui si possono raggruppare i sarcofaghi decorati colla rappresentazione del riconoscimento di Achille, uno sopra tutti apparisce degno di peculiare considerazione così per la semplicità come per la precisione artistica della composizione, cosi per la chiara caratteristica delle singole figure come per i mutui rapporti delle medesime, non meno che per mostrarsi ispirato ad una particolare ottima tradizione, ed è quello, appunto, a cui si riferisce il bassorilievo del sarcofago di S. Fruttuoso. La serie dei sarcofaghi, riproducenti con varietà di partico- (1) Pausan., I, 22, 6. (2) Plin., XXXV, 134. (3) Philostr. iun., I. (4) W. Geli., N. Pomp, v. 69. Museo Borbonico, IX, 6. (5) Cf. Winckelmann, Mon. ined., 124; Visconti, Mus. Pio Clement., V 17, Raoul Rochette, Mon. ined. Achiìl., pl. X b, 12; Overbeck, Bìldvj., p. 288; A. Baumeister, Denkmâler des klass. Alterth., I, p. 6, tv. 7; etc. etc., e sopratutto la pubblicazione dell’imp Istituto Arch. Germ., per opera del dott. C. Robert, Le urne romane, II. 102 GIORNALE LIGUSTICO lari la rappresentazione desunta da questo archetipo, constava finora, non tenendo conto di alcuni frammenti, di appena due esemplari ; uno dei quali, male lavorato e peggio conservato, trovasi nella villa Panfili-Doria a Roma, 1 altro, molto restaurato, a Woburn Abbey, in Inghilterra (i), riprodotti ambedue nella raccolta dell’Istituto Archeologico Germanico, sotto i nn. 33 e 34 della tavola XIX. Il sarcofago di S. Fruttuoso che viene cosi ad arricchire una serie fin qui poco ben rappresentata, se non ha sugli altri due esemplari il vantaggio di una migliore conservazione, ha quelli, almeno, d’ una maggiore finitezza di lavoro e d’ una maggior copia di particolari; senza contare che, solo fra i tre, possiede una parte laterale, cioè uno dei due lati minori, nel quale è effigiato il centauro Chirone gradiente a destra, colla lira e il plettro, quasi andasse in cerca del giovinetto suo alunno. Il gruppo centrale della composizione incisa a bassorilievo sulla fronte del sarcofago di S. Fruttuoso è disposto come in quello di Villa Panfili. Nel mezzo è Achille, che, nonostante gli abiti femminili, si distingue dalle sue compagne così per Γ elevata statura come per Γ άναχαιτίζουσα την κόμην di cui parla Filostrato (2), non meno che per Γ impeto e la nervosità delle mosse. Dinanzi a lui si vede inginocchiata in atto di disperazione Deidamia: mentre una sorella di questa gli sta di contro in piedi, come se cercasse di coprire colla propria persona la scena allo sguardo dei Greci aggruppati sulla destra del quadro. Sul capo di Deidamia, la cui mano sinistra tocca, col tradizionale atto di chi supplica, il ginocchio di Achille, librasi un Eros, che su altri bassorilievi congeneri figura più propria- (1) Wohurn Abbey marbles, 7. (2) Op. cit., I. GIORNALE LIGUSTICO IO3 mente come il pargoletto Pirro. Questo Eros è meglio conservato del suo corrispondente di Villa Panfili: per contro, sul sarcofago romano havvi un secondo Eros, che manca, invece, su quello di S. Fruttuoso. Il gruppo dei Greci, occupante, come dissi, l’estrema destra del quadro, è concepito in modo assai caratteristico. Ulisse, dopo aver stimolato a voce sommessa i bellicosi istinti di Achille, è sul punto di dirgli come in Stazio: su via, non più indugi!..... tia, age, rumpe moras (Achill. II, v. 197); e intanto si volge all’uscita come per mostrargli la via. Diomede, la destra sull’elsa della spada, fa da sentinella come nel ratto del Palladio, ed è in procinto di avanzarsi, dopo aver fatto ad Agirte il convenuto cenno di dar fiato alla tiomba. Tanto il Tidide quanto Agirte figurano al di tuori della reggia, il che è indicato, secondo i canoni dell’arte antica, da un albero che sta di fianco al primo. Anche qui come in altri bassorilievi, lo spazio libero ai piedi dei Greci è occupato da una grande corazza. Il momento è quello, appunto, descritto da Stazio (v. 199 e sgg.). Achille più non resiste alle suggestioni di Ulisse, e già va slacciando con impeto 1’amitto dal petto, quando Agirte al cenno di Diomede fa eccheggiare 1’ aria d’ un forte squillo di tromba. A quel « suon pien di spavento » le altre figlie di Licomede, e sono cinque, che erano intente sulla sinistra del quadro ad osservare con giovanile curiosità i doni dei Greci, fuggono sbigottite, come si vede dalle vesti svolazzanti, verso la stanza del padre, lasciando cadere i diversi qua e là a terra, quasi che lo squillo di tromba sia segnale d’ un combattimento. Cadono disciolte dal busto di Achille le vesti femminili.· egli imbraccia lo scudo e impugna l’asta; la trasfigurazione della donzella nell’ eroe si è compiuta. GIORNALE LIGUSTICO lavi pectus amictu Laxabat, quum grande tuba, sic iiissus, Agyrtes Insonuit: fugiunt, disiectis undique donis, Implorantque patrem, commotaque proelia credunt Illius intactae cecidere a pectore vestes. Iam clypeus, breviorque manu consumitur hasta, (Mira fides) Ithacumque. humeris excedere visus, Aetolumque ducem: tantum subita arma calorque Martius horrenda perfundit luce penates ! Havvi quasi sempre uno stretto rapporto ira l’arte e la letteratura d’una stessa epoca; fondo comune all’una e all’altra essendo la leggenda popolare o la tradizione storica. Nella fattispecie, perfetta apparisce la corrispondenza fra l’azione figurata su questo e sugli altri sarcofaghi della serie e quella descritta nel libro II dell’ Achilleidos di Stazio. Il cri: terio che emerge da questa correlazione, in un con quelli forniti dallo stile e dalla tecnica del lavoro considerato dal punto di vista artistico, consigliano a riferire al II secolo la data del sarcofago di S. Fruttuoso. Rimarrebbe a dire qualche cosa intorno alla provenienza del monumento. Circa a questa non esistono notizie nella letteratura locale, e nemmeno in quella che il von Duhn chiama Touristenlitteratur, la quale è d’ordinario la meglio informata in questo genere di particolari. L’autore della dotta monografia, che ha somministrato argomento e occasione a questi poveri appunti , non esita a proclamare il sarcofago di fattura urbana e lo ritiene trasportato da Roma a S. Fruttuoso per opera dei Doria, forse per dare in prestito alla loro opera un più lontano, per quanto secondario, tratto di romana grandezza a uni ihrer Schòpfung einen vjeiteren wenn auch unbedeutenden Zug romischer Gròsse mehr ru verleiben ». GIORNALE LIGUSTICO L illustre mio amico vorrà scusarmi se io non sono del tutto del suo parere. In tesi generale, nulla osta a credere che nel medio evo i Doria (e perchè non i Benedettini loro predecessori?) abbiano potuto far venire da Roma il sarcofago per adibirlo ad uso di abbeveratoio. Ma è egli necessario di ricorrere ad una tale ipotesi, quando 1 ubicazione di S. Fruttuoso sul littorale che costituiva il perimetro del Portus Delphini degli Itinerari (Antonin., p. 293. Maiit., p. 501) e di Plinio (III, 7, 2) basta a spiegare l’esistenza di questa e di altre antichità in questo come in altri punti dello stesso perimetro, fin dall’epoca romana? E canone di sana critica non doversi ricorrere per la spiegazione d un fatto ad una ipotesi per quanto probabile, ogni qualvolta il fatto stesso si possa spiegare mediante altra ipotesi più semplice. E qui siamo nel caso. La circostanza a cui accenna l’autore, del trovarsi, cioè, S. Fruttuoso indicato su documenti fin dal tempo degli Ottoni, senza menzione alcuna di avanzi romani in esso esistenti, ha per sè stessa ben poco valore, visto che manca parimenti ogni notizia relativa alla supposta provenienza da Roma del monumento. Intanto l’autore stesso ricorda una testa antica in marmo di Antonino Pio, da lui osservata col canocchiale sul muro di fronte dell’Abbazia : e notissimo è il bel cippo della vicina S. Margherita Ligure colla rappresentazione di Nike immolatrice del toro (1); come non mancano altre antichità nei dintorni. Ho io bisogno di ricordare gli oppidi romani di Tegliata (Lavagna?) e di Segesta Tigullìorum, Γ odierna Sestri di Levante ? Non vedo la ragione per cui si debba supporre che i Bene- (I) Federico Alizeri, op. cit., p. 29 e segg., tav. 4. Mommsen, Corpus inscriptionum latinarum, V, 7741. ιο6 GIORNALE LIGUSTICO dettini o i Doria abbiano fatto venir da Roma ciò che è lecito arguire abbiano potuto benissimo trovar sul luogo o in luoghi poco discosti. Nè con ciò voglio contestare che il sarcofago di S. Fruttuoso sia di fattura urbana : dico solo che questo e altri monumenti antichi hanno potuto essere trasportati da Roma nella Riviera ligure fin dall epoca imperiale, quando la Liguria era del tutto romanizzata e dava degli imperatori a Roma. In Liguria come nelle altre provincie dell’ Impero, i signori andavano a gara nell’ imitare i costumi romani, nel procurarsi da Roma oggetti d’ arte industriale romana e adottarono ben presto i riti funerari di Roma, spiegando molto lusso nelle urne cinerarie e nei sarcofaghi istoriati secondo la moda della capitale. A Roma fioriva un estesissimo commercio di monumenti votivi, di statue onorarie, di busti imperiali e sopia-tutto di sarcofaghi decorati a bassorilievo, che si spedivano nelle provincie. Ciò essendo, potrà sembrare alquanto superlativo il giudizio del Mommsen, a cui si appella l’autore, circa alla provenienza delle antichità romane esistenti in Liguria (i). Pubblicando le iscrizioni romane di Genova, il Mommsen incomincia coll’ eliminare tutti i titoli che per testimonianze certe o per probabili congetture si possono ritenere importati da altrove; e sta bene. Ma questa epurazione non gli basta. Nemmeno quei titoli della cui origine forestiera non consti debbono a suo giudizio ritenersi genovesi; e ciò perchè con molta facilità certi monumenti figurati o scritti, in specie poi le urne, le ciste e simili, possono essere importati nelle grandi città situate sul mare, eziandio da luoghi molto lontani. Per effetto di tali eliminazioni, appena è se a Genova rimarrà... la tavola di Polcevera ! « At his demptis, vix (i) Corpus inscript, latin., V, p. 884. GIORNALE LIGUSTICO quicquam restabit praeter tabulam illam aeneam... ». II Mommsen aggiunge bensì che quest’ una vale per molte ; « quae vera una est pro multis ». Ma, sia detto col dovuto rispetto all’illustre romanista, per Genova, emporio dei Liguri e municipio romano, mi sembra un pò poco. Vittorio Poggi ALBERTO MALASPINA o MANFREDI I LANCIA? fr Su Alberto Malaspina, celebre marchese di Lunigiana e trovatore, si scrisse con la massima competenza, specialmente da O. Schultz (i); ma non in modo, mi sembra, da risolvere ogni dubbio. E, in primo luogo, si riferisce veramente a lui e al sopranome, che dicono avesse di Moro, la nota canzone del trovatore P. Vidai Pes uberi ai? (2) Il Schultz non lo dice recisamente, ma ve lo rende propenso il ripetersi che vi si fa per ben cinque volte nella stessa strofa l’epiteto mal, mala, quasi alludente a Malaspina. Il Chabaneau invece è d’avviso che qui si tratti non del Malaspina, ma di Manfredi I (1) O. Schultz; Die Lebensverhàltntsse d. it. Trobad. Berlin, 1883, p. 15 sq. — Die Briefe d. Tr. Raimbaut de Vaqueiras, Halle, 1893, p. 125 e passim. (2) K. Bartsch; P. Vidal’s Lieder, Berlin, 1857, n· 29> vv. 61-84. \ ιο8 GIORNALE LIGUSTICO Lancia, marchese e conte di Loreto (i), col quale il Vidai ebbe anche a tenzonare. Ecco quanto scrive il Vidai, secondo il testo del Bartsch : E lans’ aguda (2) tengal Maur ab dur os et ab negra pel, e negra noit e mal coutel e crebacor e compenha e renhas ab que s’ estrenha. mal mati conques e mal ser, quan det Ceva per pauc d’ aver, seus es Vêlais e Mons antics Liatz a la eoa d’ un taur degr’ esser frustratz pel mazel d’Ast, on vesti Torre capei (3) de tracion...... el marques cui es Salonics li ditz : per que morir not gics ? et es assatz plus rics (4) que pics, e non pretz tot quant el retrai sa boca piena d’orre chai. Io leggerei subito in principio En Lans’ agnda invece che e lans’aguda, togliendo il titolo en al cod. C. e facendo di Lansa un nome proprio. E intenderei : « che ni esser Lanz a-» cuta tenga (abbia per sua pena) il mauro dalle ossa dure i Non potei conoscere lo studio del dotto provenzalista francese in Rev. d. lang. rom. XXXII, 209: in Genova la rivista non c’è. (2) Varianti del cod. C. en lansa dura. 15) Orre = orrido? Diez, Etim. W. s. ordo. — Cfr nell’ultimo verso: orre chai. (41 A rics, se non ironico, preferirei il secs del cod. U. In Monferrato si dice ancora secco come un picchio di persona macilente. L. M. hanno sers, se pure non sarà vert\, più verde di un picchio per analogia a essere al verde. GIORNALE LIGUSTICO » e dalla negra pelle e negra notte e mal coltello e crep.i-» cuore e funi, con che si stringa, perchè conquise mal _ » mattino e mala sera, quando dette Ceva per poco d’avere » egli, che possiede Vigliano e Monte antico......Legato » alla coda di un toro egli dovria esser frustato per man del » boia (i) d’Asti, dove vestì l’orrido cappotto di suo tradi- » mento----Il marchese, di cui è Tessalonica, gli disse: che » non sei morto ancora? ed è più secco di un picchio; nè » io pregio quanto ritrae la sua putida bocca ». Il V idal nomina, e prima e dopo, vari principi e signori di sua conoscenza, quali il re Luigi e il cesare Manuele con altri ancora : qui dunque si tratta pure d’un personaggio a lui noto. L’ epiteto mal, mala più volte ripetuto ad esprimere lo sdegno bollente del trovatore non mi pare che accenni in verun modo al Malaspina, sebbene formi la prima parte di ^ questo nome. Se poi prendiamo, come prendo io, il termine Maur (non riferibile nè al Malaspina nè al Lanza) per soggetto del verbo, che senso dà la frase ritenendo lans’ asuda o quale appellativo ? Facendone invece un nome di persona, ne vien fuori chiaro quello del marchese Manfredi I Lancia (2). E che si tratti proprio di lui, molti argomenti il proverebbero. I ralascio l’accenno a Bonifacio marchese di Monferrato e allora, quando il poeta scriveva, già re di Tessalonica (1204-7), col qual marchese ebbe il Lancia particolari relazioni e alleanza nella guerra contro Asti. Ma primieramente vedo nominate le tei re di Vigliano e di Monte, le quali appartene- (1) Interpretazione del Bartseh: veramente pel macello, pel mercato. (2) Sul sopranome Lancia cfr. Flechia, Di ale. criteri s. origin. d. cogn. it. in Atti Accad. d. Lincei, i8y8. — Lancia —|— aggett. sopravive p es f in Lanzavecchia. — Il primo documento attestante il sopranome di Lancia a Manfredi I è del 1201. GIORNALE LIGUSTICO vano al dominio loretano del marchese Manfredi (i). Poi il Lanza e il Vidal s’erano già scambiati cobbole ingiuriose, quegli schernendo il trovatore, che venuto un’ altra volta in Monferrato dava a intendere di aver sposata a Cipro la nipote e erede dell’ imperatore di Oriente e assumeva titoli e stemmi e aria da conquistatore; questi rispondendogli per le rime (2). E verisimilmente ci fu tra loro ancor dell’ altro, onde il Vidai tornerebbe qui all’ assalto per altri fatti poco onorevoli del Lancia, quali la cessione di Ceva (3) e il tradimento di Asti (4). Ma, se prima non era sceso a’ particolari, dicendo solo che il Lancia plus sovens vens castels e domejos no fai velha gallinas ni capos, qui mette i punti sugli i. E quali improperi ! Vada in man dei mori, gli venga il crepacuore, anzi si stringa al collo un (1) Villiano e Monte di Naale con altri luoghi si vedono però assoggettati pel fodro ad Asti nel 1163-4 (Cod. Asten. doc. 15). (2) Lanyi marques, paubre^a t nesceira (Bartsch, 33). (3) Veramente nessun documento attesterebbe che il Lancia signore delle Langhe e della metà di Loreto avesse ragioni su Ceva : ma di quanti luoghi e fatti e individui non abbiamo se non l’unica testimonianza de’ trovatori ? Viceversa la corte del Lancia, che era a Dogliani, era tenuta in comunione coi signori di Ceva e altri. — Il Malaspina con Ceva e Asti sembra non avesse che fare. — La storia del Lancia è tutta una sequela di cessioni e di vendite Cfr. C. Merkel, Manfredi I e Manfredi II Lancia, Torino, 1866). (4) Il Lancia prima impegnava a cittadini d’Alba e poi cedeva a Bonifacio marchese di Monferrato la metà della contea di Loreto, di cui i suoi antecessori aveano fatto omaggio a Asti; poi nella guerra tra Asti e il Monferrato 1191-12061 il Lancia, disdetta l’alleanza col comune astigiano, passava dalla parte del nemico monferrino. Ce 11’ è abbastanza quindi per il Lancia, perché il Vidai lo dica traditore. GIORNALE LIGUSTICO I I I capestro, o piuttosto legato alla coda di un toro lo si frusti, chè nulla di più abbietto può esservi di quel traditore. G. Cerrato. LO SCISMA IN GENOVA NEGLI ANNI 1404-1409 L — Il Prot. Gerolamo Rossi, benemerito illustratore della riviera occidentale , con quella competenza che è nota, tessè un’ erudita monografia intorno « Un Vescovo scismatico della chiesa Ventimigliese » (1; aumentando in tal modo la serie dei prelati scismatici, che risiedevano in Sospello, terra ragguardevole della diocesi di Ventimiglia sulle sponde del Bevera. La lettura di detta monografia non mi tu infruttuosa, e mi fece nascere tosto il desiderio di radunare il materiale che giovasse a lumeggiare lo scisma, che fu in Genova al tempo dell’ antipapa Benedetto XIII. I documenti da me raccolti sono innumerevoli e ne spigolo i principali. Come è notorio in virtù di nomine fatte da pontefici residenti ora in Roma ed ora in Avignone, si videro sopra una sola sede più prelati, e, se l’antipapa Clemente VII eletto in Avignone nel 1378, riusci ad avere aderenti nella vicina Ventimiglia, non fu cosi in Genova, che anzi contro di esso si era bandita la crociata. Infatti in un testamento del 24 dicembre del 1379 una certa Caterina moglie del qm. Enrico Tarrigo notaio, legava tre fiorini d’ oro... . prò substentatione auxilio (i) Arch. Stor. Ital. 1893. Serie V, Tom. XII, pag. 139. 112 GIORNALE LIGUSTICO et subsidio domini nostri domini Urbani Pape Sexti et /idei catholice expendendos et erogandos contra antipapam (i). Dobbiamo allo scisma, che lacerava la Spagna se due frati eremitani, Sancio e Turibio de Serra da S. Maria di Agnano nella diocesi palentina (suffraganea prima di Toledo e poi di Burgos), portarono le loro tende in Genova, come luogo più sicuro, gettandole basi del celebre monastero di S. Gerolamo di Quarto, ricevutane la facoltà da Urbano VI il 5 agosto del 1383 (2). Sfuggendo i Doria da Alghero in Sardegna, assediata dai Catalani fautori dell’antipapa Clemente VII, vennero in Genova e chiesero di fondare il priorato di S. Erasmo di Campi in Polcevera, in compenso del priorato di S. Maria di Alghero da essi fondato sulla fine del secolo XIII e che loro sfuggiva di mano. E il pontefice Urbano VI accordava la licenza con lettera data da Genova il 20 novembre del 1386 (3). I Genovesi, che per ragioni commerciali si recavano in paesi infetti dallo scisma, pronunciavano prima della partenza il giuramento di fedeltà al vero pontefice. Cosi fece il 7 maggio del 1386 Raffaele Vataccio, il quale dovendosi recare ad Acquemorte e a Rodez, e sapendo che quelle città aderivano a Clemente antipapa, prometteva a Iacopo Fieschi Arcivescovo di Genova di non favoreggiare lo scisma (4). I Genovesi non avevano ancora accolto lo scismi., e già facevano le più ampie dichiarazioni di attaccamento al legittimo Urbano VI, quando nel 1386 portossi -nella nostra città. Morto detto pontefice il 15 ottobre del 1389, i Cardinali (1) Not. Pietro Foglietta, foglio 34, Arch. di Stato in Genova. (2) Not. Antonio Foglietta, Arch. idem. È pubblicata pure dal Lancellotti nelle sue Cronache Olivetane. (3) Not. Antonio Foglietta, filza 1.", Parte II, pag. 107 e loia, Codex. Diplom. Sardineae Vol. I, col. 816, colla data errata del 12 dicembre. (4) Not. Antonio Foglietta filza 1.', Parte 1, pag. 54. GIORNALE LIGUSTICO ”3 preti e diaconi con lettera del 16 dello stesso mese comunicavano al doge di Genova Antoniotto Adorno, la triste notizia, e nel tempo stesso invitavano i Genovesi ad accorrere in Roma ai funerali del defunto papa (i). Per poco tempo rimase la sede vacante, e il 2 novembre veniva eletto Bonifazio IX. Il neo pontefice per vieppiù accaparrarsi l’animo dei canonici della cattedrale, con lettera del 9 novembre accresceva il capitolo d’un soggetto illustre, eleggendo in canonico Giacomo de’ Cambi di Pavia, scrittore di lettere pontificie (2) e per acquistarsi le simpatie del Comune genovese con altra lettera dell’8 dicembre '89 accordava speciali indulgenze a coloro, che avessero concorso all’ erezione della chiesa dei SS. Pietro e Paolo dei Frati Predicatori Uniti di Caffa, e della chiesa di S. Maria di Corona degli stessi Padri, distante un miglio dalle mura di Caffa, la quale per tre volte era stata distrutta dai Saraceni (3). E se nel 1389 da un“ parte investiva Tomaso Ravaschieri dei Conti di Lavagna della vallata del Taro, dopo quattro anni dava in feudo ad Antonio Fieschi dei Conti di Lavagna i castelli di Masserano, Montecapello e Crevacuore appartenenti alla diocesi di Vercelli, perchè i Fieschi aveano erogate la maggior parte delle loro sostanze nel combattere lo scisma (4). II. — Mentre parecchie città si agitavano in mezzo allo scisma, Genova rimaneva fedele al pastore legittimo e il 4 novembre del 1396 si dava spontaneamente a Carlo VI re di Francia (5). (1) Raynaldi, Ann. Eccl. Voi. VII, 517. (2) Not. Antonio Foglietta, filza 2.·, Parte II, pag. 168. (3) Ripolli, Bullar. Fr. Praed. II, 312. (4) Miscellanea Poch. Vol. IV, Reg. III, pag. 5 e 14. M. S. alla Biblioteca Civico-Berio. (5) Liber Iurium. Tom. II, col. 1237 e segg. GionK. Ligustico. Anno XXI. 8 114 GIORNALE LIGUSTICO Il iS novembre dello stesso anno Bonifazio IX scriveva a Giovanni Capogallo di Roma protonotaro apostolico e a Baldassarre Cossa Arcidiacono di Bologna, dolendosi dell occupazione di Genova fatta dai Francesi (i). Il Pontefice prevedeva lo scisma, di cui i Fiancesi erano proseliti, nè s’ingannava. Però il governo francese adottò una politica d’ astuzia, e gli effetti del suo lavorìo lento e incessante si sentirono solo assai tardi. A respingere lo scisma valse pure nel '99, sulla soglia del Rinascimento, quel meraviglioso commovimento di popolo, che rinnovava in Genova i tempi dei Disciplinanti. In uno dei hinjli ed afosi giorni di luglio eran venute in città più di cinquemila persone, a due a due, scalze e con tonaca bianca, cantando lo Stabat Mater (2). E si facevano pioces-sioni, alle quali prendeva parte il vecchio arcivescovo Iacopo Fieschi, che traslato nel 1382 dalla sede di Ventimiglia a quella di Genova, era stato uno dei principali oppositosi di Clemente VII. Iacopo Fieschi passò a miglior vita il 24 novembre del 1400. In detto giorno i canonici eleggevano in \ icario capitolare l’arcidiacono Domenico Fieschi, e l’indomani, dopo la sepoltura fatta in cattedrale del defunto pastore, il capitolo composto di Benedetto Adorno, prevosto, dell’arcidiacono suddetto, di Pietro d’Illione magiscola, e dei canonici Giovanni da Godiliasco, Giovanni da S. Stefano, Ludovico Rodino da Diano, Melchione Multedo, Marco de Cairo, Giorgio da Sestri, Tommaso Ri-tiliario, eleggevano in Arcivescovo Lachino Adorno, Vescovo di Famagosta di Cipro, ligio al governo francese, supplicando il pontefice a degnarsi di confermare detta elezione (3). (1) Raynaldi, Ann. Eccl. VII, 603. (2) Georgii Stellae, Annales in Muratori, S. R. I. Vol. XVII, col. 1173 e segg. (3) Not. Antonio Foglietta, Vol. II, Parte II, pag. 102. GIORNALE LIGUSTICO 1 r5 Il pontefice non assecondava la petizione del capitolo, e con lettera del primo dicembre del 1400 eleggeva in Arcivescovo il giovane Pileo De-Marini, protonotaro apostolico canonico palentino in Ispagna e canonico della cattedrale di Padova .... vite ac morum (dice la bolla d’elezione) honestate decoram in spiritualibus providum et temporalibus circumspectum oc aliis multiplicum virtutum donis insignitum .... (1). L’ eletto 1’ 8 dicembre del 1400 dalla sua abitazione posta nella parrocchia di S. Tommaso in Parione di Roma eleggeva procuratori i canonici Giovanni da Godiliasco e Melchiorre Multedo e altri laici a prender possesso dei beni spettanti alla mensa episcopale (2). Fece il suo ingresso solenne il 27 dicembre dello stesso anno « la qual entrata fu onorata quanto si possa dire perchè si commosse tutta la città a ricevere il nuovo Arcivescovo..... molto giovane ed ornato d’ogni virtù e di lui si aspettavano cose rare e grandi » (3). L Arcivescovo confermò subito in suo Vicario generale il canonico Giovanni da Godiliasco (4) che poi vedremo essere il principale fautore dello scisma. A lui si rivolgeva il 17 marzo del 1401 Bonifazio IX perchè ricevesse il giuramento di fedeltà da Pietro eletto Abate dei Cisterciensi di S. Maria del Zerbino, e questi il 24 aprile nella cattedrale presso 1’ aitar maggiore, giurava..... .... item disserentibus damnate memorie Robertum olim basilice duodecim Apostolorum presbiterum cardinalem dictum gebennensem tunc Antipapam fuisse verum papam vel Johannem olim dictum Sancti Marcelli presbiterum Cardinalem perditionis filiis iusto dei iudicio (1) Not. Antonio Foglietta, Vol. II, Parte II, pag. 108 e 109. ” ” » » III. (3) Annali del Giustiniani (ediz. Canepaj Lib. V, pag. 217. (4) Not. Antonio Foglietta, Vol. II, Parte II, pag. 45 e 125. GIORNALE LIGUSTICO auctoritate apostolica condemnatis et eorum sequacibus ac dantibus eis vel eorum alicui auxilium consilium vel favorem adherentibus cuiuscumque fuerint preminentie ordinis religionis conditionis aut status etiam si pontificali regali seu reginali vel quavis alia prefulgeant dignitate etiam si fuerint sancte romane ecclesie cardinalibus seu aliis quibuscumque per ecclesiam denotatis seu imposterum denotandis quamdiu extra gratiam et comunionem sedis predicte permanebunt non dabo quovis modo per me vel alium diricte vel indiricte publice vel occulte auxilium, consilium vel favorem (i).... ΠΙ. — I canonici della cattedrale non vedendo troppo di buon occhio il giovane Arcivescovo, anteposto al Luchino Adorno protetto da Collardo di Colleville governatore in Genova per il Re di Francia, chiesero a Bonifazio IX 1 esenzione del capitolo dalla giurisdizione arcivescovile, e, se il pontefice li appagava da un lato, per non inimicarseli, con bolla speciale del 15 luglio del 1401 (2), dall’altro lato, temendo che sotto il pretesto dell’esenzione, potesse celarsi qualche altro scopo, esigeva un giuramento di fedeltà e di attaccamento alla S. Sede, onde i canonici il 18 agosto del 1402 deputavano l’arcidiacono Fieschi a prestare il richiesto giuramento (3). Genova avea allora per Governatore il noto maresciallo Bucicaldo, venuto nello scorcio d ottobre del 1401. Egli a\ea acquistato molte simpatie e al dire del Giustiniani, 1 anno 1402 « Domenico Imperiale e Cosmo Tango ambasciatoli, i™Pe' trarono dal re di Francia che il governatore Boucichart dovesse governare in sua vita; della qual cosa 1 cittadini res a rono molto consolati, conciossiachè il governatore fosse dota o di tutte quelle virtù che si ricercano in uno principe, era nell’operare molto pronto, alieno da giuochi e dalla conversa zione delle donne, religioso ed osservantissimo delle cerimonie cristiane, elemosinaro, dedito all’orazione, osservatore ei (1) Not. Antonio Foglietta, Vol. II, Parte II, pag. 14l· (2) Not. Cristoforo Revellino, filza 14, pag. 187, Arch. di Stato in Genova. (3) Not. » » filza 14, pag- 218, 219, » GIORNALE LIGUSTICO IÏ7 digiuni ed ogni giorno interveniva a due messe, liberale, grazioso e magnanimo, intrepido, amatore della giustizia e circospetto più certo che non si conveniva a baron francese; tal che si sperava che sotto il suo governo la città si dovesse ristorare di tutti i danni e di tutte le tribolazioni passate E del mese di luglio arrivo a Genova con bella compagnia la moglie e la sorella del governatore in onor delle quali molti cittadini si vestirono di panno verde e molti di verde e di bianco eh’ era 1’ insegna del governatore e allog°iarono queste donne in la contrada di S. Matteo e la comunità fece uno presente alla governatrice, che valeva due mila lire» (r). Malgrado quest elogio, che il Giustiniani ricopia fedelmente dall annalista Giorgio Stella, il Bucicaldo non era gradito a Bonifazio IX, il quale, con lettera del primo ottobre del 1403, esponeva a Roberto, re eletto di Roma, che il predecessore Urbano VI avea chiamato in Roma Venceslao, re della Boemia, per fregiarlo di corona, a patto di porre un argine ai Francesi, che tenevano la signoria di Genova. Stigmatizzava Γ ignavia di Venceslao e da lui, scelto a re di Roma, molto attendeva (2). Il sospetto che i Francesi facessero in Genova propaganda per Benedetto XIII, succeduto in Avignone a Clemente VII il 28 settembre del 1394, stava per tradursi in realtà. Il Giustiniani all anno 1404 così dice: « Era la divisione in la chiesa ed era un Papa in Avignone e un altro in Roma e il governatore esortava il popolo che desse 1’ ubbidienza al Papa che era in Avignone nominato Benedetto terzodecimo, catalano della casata di Luna e per opera del governatore e di Battista Lomellino, Ludovico de Flisco fu di nuovo fatto cardinale da esso Papa Benedetto e si separò esso cardinale dal collegio dei cardinali di Roma, al quale prima aderiva, e si accostò a Papa Benedetto: e (il giorno 22) del mese d’ottobre si congregarono il venerando arcivescovo e i maestri di teologia e gli altri dottori e molti altri cittadini e fecero diligenti consultazione a qual Papa dovessino ubbidire e fu (1) Giustiniani, Annali, Lib. V, pag. 226, 227. (2) Raynaldi, Ann. Eccl. Vol. Vili, 94. X iS GIORNALE LIGUSTICO concluso di dover ubbidire a Papa Benedetto e lasciare il Papa Bonifazio » (i). IV. Ormai Genova avea lentamente e quasi senza avvedersene mutato bandiera. Già il 26 marzo del 1404 Fr. Giovanni Pelizzone monaco di Lerino, priore di S. Michele di Ventimiglia, degente nel monastero di S. Stefano in Genova in qualità di segretario dell’A bat e Commendatore Cardinale Ludovico Fieschi, avendo 12 anni prima ottenuto il priorato di S. Michele da Bonifazio IX, eleggeva un procuratore per rinunciarlo----in manu Sanctissimi Patris et domini nostrique domini Benedicti pape XIII.... et ad prestandam fidelitatem et recognitionem sublectionis et abin-rationis scismatis.... supplicando nello stesso tempo lo stesso Benedetto XIII ad accordargli legittimamente il priorato (2). L’Arcivescovo Pileo si mostrò dapprima restio nel pronunciarsi in favore dell’antipapa, e, se aderì, in tal repentino cambiamento non fu certo estranea la seguente minaccia: MCCCCXI1II die XI aprilis Nobilis miles dominus Hugo dictus Ielatonus capitaneus plathee de espressa commissione ei facta per Illustrem dominum dominum Regium ianuensem gubernatorem imposuit et iniunxit Reverendo in Christo patri domino Pileo Archiepiscopo Ianuensi quatenus sub pena heris et persone debeat in horas tres proximas venturas discessisse de civitate Ianue et subsequenter recto et continuato itinere excessisse abhinc ultra districtum (3). L’Arcivescovo fece di necessità virtù, e disapprovando in cuor suo e a preghiere del suo vicario Dino Pace arcidiacono di Lucca, aderì all’ antipapa, scongiurando in tal modo la minaccia dell’ esiglio. (1) Giustiniani, Lib. V, pag. 235. (2) Not. Lombardo di S. Stefano, filza i.‘, pag. 49, Arch. di Stato in Genova. (3) Diversorum, X, Registro VI, pag. 86, Arch. di Stato in Genova. GIORNALE LtGUSTICO II9 L’antipapa fu proclamato in Genova legittimo pastore della chiesa universale, tanto è vero che il 6 maggio del 1404 il Bucicaldo eleggeva Mastro Simone Civaie di Sori.... super ordinanda reparacione galearum requisitarum reparari debere pro parte domini pape Benedicti universalis ecclesie summi pontificis (1); Albenga avea già dato ufficialmente V esempio e il podestà e gli anziani di detta città ricevevano una lettera scritta in Marsiglia il 13 settembre dal sedicente pontefice, nella quale ringraziava il Signore di aver visto finalmente ricondotto al vero ovile quel popolo che dormiva nell’ errore e nello scisma. (2) Finalmente con ispeciale decreto lo stesso Bucicaldo ingiungeva O O a tutto il clero genovese di riconoscere per pontefice Benedetto XIII. «Nell’anno 1404 essendo stato decretato dall’eccelso governo della citta che si riconoscesse nella città e diocesi di Genova per vero Papa un tal Pietro da Luna che era antipapa sotto nome di Benedetto XIII, come dallo stesso decreto ricevuto dal segretario Giovanni Vallebella a 23 ottobre, fu in appresso il decreto medesimo intimato a tutti i beneficiati e religiosi della città ed in ispecie a Prete Alpino de’ Collis di Alessandria, che era uno dei canonici della cattedrale e altresì prevosto di questa chiesa di S. Donato » (3). Lo stesso giorno, in cui Genova riconosceva ufficialmente l’antipapa scismatico, giungevano lettere del nuovo Pontefice Innocenzo VII eletto in Roma a succedere al defunto Bonifazio IX, ma di esse niun conto si fece, giacché .... eius mensis octobris die dominico vigesimo sexto ter pulsata magna campana dominii ianuensis in majori tempio Ianuae celebrata (1) Diversorum, X, Registro VI, pag. 150, Arch. di Stato in Genova. (2) La lettera è pubblicata da Gerolamo Rossi, Storia di Albenga pag. 439 (3) M. S. segnato B, VI, 37 alla Biblioteca della R. Università di Genova. L’Alpino de’ Collis era pure scrittore in Roma di lettere pontificie e parecchie memorie di lui hanno le pergamene dell’ Archivio Capitolare della Cattedrale. giornali: LIGUSTICO est Sancti Spiritus Missa solennis cum inciperet Ianua dictum Benedictum in Papam habere. Ei Missae interfuit Archiepiscopus ac de omni ordine cleri interfuit et Gubernator cum Urbis Consiliariis alus-que quibusdam incolis fuitque praedicatio persuadens eumdum Benedictum in verum teneri Pastorem et ex nunc statuitur ut ipse suique Pontificatus Curia Ianuam absque multa dilatione se transferant (i)... . V. _Pietro di Luna era già stato in Genova nell’anno 1376, dal 18 al- 28 ottobre, allorché in qualità di Cardinale accompagnò il pontefice Gregorio XI di ritorno da Avignone, e nei primi di novembre trovavasi a Portofino e alla Cervaia (2). Essendogli ora stato preparato propizio il terreno, si accingeva a tornare di bel nuovo in Genova, rivestito dell usuipata dignità pontificale, preceduto dagli oratori del re di Fi ancia, i quali faceano propaganda in suo favore (3). Per meglio chiarire il suo itinerario, mi valgo d una descrizione fatta dal Gioffredo nella Storia delle Alpi Marittime: « Papa Benedetto intanto immaginandosi che col portarsi personalmente in Italia fosse per aumentarsi la divozione ci molte Provincie e popoli che per lui ogni giorno si andavano dichiarando, si parti da Nizza un mercoledì alle 6 di ™a?o10 imbarcandosi sopra sei galere seguito dai Cardinali d Aux, Vivariense, Aniciense, di Catania, di Girona, di Challant, e da Michele di Salva Vescovo di Pamplona. .. .. . scusandosi gli altri Cardinali che restarono in Nizza di accompagnarlo. Parve che il tempo presagisse poco felice successo di quel viaggio perchè appena nella spiaggia di Nizza si fu la Coite pontificia non troppo numerosa ma accompagnata da glosse guardie di armati imbarcata, che sopravvenne una terribile tempesta di lampi e tuoni e in terra diluviarono talmente le pioggie che le campagne restarono inondate dai fiumi e dai (1) Georgii Stellae Annales in Muratori, S. R. I. Tom. XVIII, col. 1206. (2) P. Spinola, Memorie storiche della Cervara. M. S alla Biblioteca della R. Università di Genova, all’ anno citato. (3) Raynaldi, Ann. Eccl. VIII, pag. 140. GIORNALE LIGUSTICO I2I torrenti. . . . Non avendo dunque il cattivo tempo permesso di poter passare più oltre con gran fatica le galere afferrarono il porto di Villafranca, dove fermatesi quella notte, il seguente giorno entrarono in quello di Monaco nel qual luogo furono al Papa presentate le chiavi della fortezza e resi altri ossequii da quei che lo custodivano per il comune di Genova e per il re di Francia. Passato il sabbato appresso alla città di Albenga ivi processionalmente incontrato dal popolo e dal clero, vi soggiornò sino al lunedi alloggiato nel convento dei Domenicani. Detto giorno incamminatosi a Savona la qual città era stata fa prima di quella riviera che gli aveva restituita l’obbedienza e ricevuto dal Vescovo Fr. Filippo e dal clero solennemente-ivi si fermò tutta quella settimana, accomodato nel convento dei medesimi Domenicani dove accolse il Cardinal riesco. . . . Allì 16 poi di maggio fece ia sua entrata*in Genova ». (i) Fin qui il Gioffredo. Più particolareggiata relazione dà il Giustiniani, togliendola a sua volta dallo Stella. A sedici di maggio (1405) il Papa Benedetto con sei galere arrivo nel porto di Genova e la ricezione sua fu molto solenne perchè prima se li fece un largo, bello e ornatissimo ponte per dismontare in terra comodamente ; gli andò incontro l’Arcivescovo con tutto il clero apparato e con le reliquie in mano, precedevano sua Santità duecento sessanta cittadini tutti vestiti di scarlatta, seguivano poi i Cardinalia cavallo e poi il Corpus Domini su una mula accompagnato da dodici cittadini con dodici fiaccole accese in mano, seguivano poi sei cavalli coperti di seta senza alcuno adosso e poi veniva la persona del Papa sotto il palio d’oro e il Governatore e il Podestà (Liverotto Ferretti d Ancona) a piedi sotto il pallio che tenevano le redini del cavallo in mano e il Governatore e il Podestà con tutti gli altri ufficiali (2) (1) Hist. Patr. Mon. Scriptores. Tom. II. pag. 989 e Rossi, Storia di Albenga, pag. 181. (2) Tra gli altri ufficiali eran compresi Amico Mascossi di Ripatnnzone Vicario del Podestà, Bonaccorso di Nicolò Torelli di Prato giudice del Podestà, Gerolamo di Sassoferrato giudice ai malefizii e Gregorio Marsupini di Arezzo Vicario del Bucicaldo. (Diversorum, X, Registro V e VI, pag. 71 e 140, Arch. di Stato in Genovaì. 122 GIORNALE LIGUSTICO della città erano vestiti di bianco e le strade piene d’ alberi, di rami e d’erbe verdeggianti e somigliantemente tutti i navigli del porto, così le galere come gli altri erano tutti ornati di rami verdi. Passò per Piazza Lunga e entrò in S. Lorenzo e poi per la via di Banchi e per S. Siro andò in S. Francesco dov> era il suo alloggiamento ed era accompagnato da una bella banda di ballestrieri così catalani come d’altre nationi e fu data al Papa per maggior sua segurta, la fortezza di Castelletto che si era fabbricata di nuovo e si fece un ponte coperto da S. Francesco al Castelletto per più comodità e per più segurtà del Papa: in la città si fece festa tre giorni e ninno poteva comparire con le vesti di lutto e ancor che il popolo di Genova avesse fatto onore al Papa Benedetto e che per cagion e rispetto del Governatore e del Cardinal de Flisco nuovamente fatto ciascheduno amasse il Pontefice, nondimeno la più parte anzi quasi tutto il popolo teneva in secreto che Innocenzo il quale dimorava in Roma fosse vero Papa e universal Pastore (i). Dai Cartulari! della Masseria e dai Diversorum togliamo la seguente nota che concerne la venuta dell’antipapa. .... Item XXX aprilis (1405) prò Manuele di Vivaldo patrono unius ex galeis pro domino papa et sunt pro diversis formmentis per eum emptis pro dicta galea vigore mandati magnifici domini locum-tenentis et consilii scripti manu Antonii de Credentia not. et cancel larii hoc anno die XIII Aprilis lb· 60 et sold· 6‘ Item VIII maii prò Leonardo de Franchis olim Tortorino patrono unius ex galeis pro domino papa et sunt pro certis expensis per eum factis in fornimentis prò dieta galea vigore mandati illustriss. domini et locumtenentis et consilii scripti manu Antonii di Credentia not. et cancellarii hoc anno die XV Aprilis lb. 66 et sold. 18. .... Item XI maii prò d. Iacobo de Campofregoso et sociis octo commissariis seu deputatis super provisione honorificentie exibende domino pape Benedicto et sunt pro ipsis expendendis vigore mandati (x) Giustiniani, Annali, pag. 236, 237. GIORNALE LIGUSTICO 123 Mag. d. locumtenentis et consilii scripti manu Antonii de Credentia not. et cancellarli hoc anno die III Maii lb. 312 (1). Egregius Miles dominus Heremita dominus de Faja MCCCCV die ultima Iulii incipit exercere et interesse consiliis. Et die sequenti que fuit prima augusti die sabati hora post XXII prefatus Illustris dominus Gubernator iturus in galea Lomellina Liburnum di portu Ianue recessit. Et rediens de dicto viagio Liburno Ianue aplicuit cum galea et duabus domini pape in portu Ianua die X septembris hora circa et post. XXII. Egregius Comes dominus Liverotus de Ferectis potestas Ianue deputatus locumtenens per dominum 111. Gubernatorem qui iturus \ araginem vel Saonam ascendit galeam grossam domini pape in portu Ianue MCCCCV die XVII septembris hora nona ante prandium et sumens in galea prandium tunc de portu Ianue recessit (2). VI- — Il Pontefice Innocenzo VII da Roma avuto sentore delle splendide accoglienze, fatte in Genova all’antipapa, non potè frenare il suo giusto sdegno; laonde, 1’8 luglio del 1405, scrivendo all arcidiacono Domenico Fieschi perchè accordasse dispensa di matrimonio a Giuliano Squarzafico e Violante Spinola, coglieva l’occasione di dichiarare amosso l’Arcivescovo De Marini : . . . cum Pileus (dice la bolla) olim Archìepiscopus Ianuensis cui esset in hac causa scribendum iniquitatis alumno Petro de Luna olim Sancte Marie in Cosmediu diacono cardinali nunc Antipape qui se Benedictum papa XIII ausu sacrilego nominari presutnit notorie adhereat (3). E con altra lettera del-l’ii settembre 1405 inviava in Genova a porre un riparo allo scisma il Cardinal Pietro Filargo dal titolo dei dodici Apostoli (poi Alessandro V) (4). (1) Masseria Comunis Ianuae, An. 1405, pag. 47 e 48 — Arch. di Stato in Genova. (2) Diversorum, X, Registro VI, pag. 192. (3) Notari Ignoti, filza 51, foglio 118, Archivio di Stato in Genova. (4) Raynaldi, Ann. Eccl., Tom. Vili, 140. 124 GIORNALE LIGUSTIBG Riuscivano inutili gli sforzi. L’Arcivescovo De Marini continuò ad essere ufficialmente fautore dello scisma, nè valselo a fai lo recedere le ultime proteste di Innocenzo VII, il quale ancora il 7 maggio del 1406 scrivendo ai P.P. Predicatori di Bonifazio in Corsica, soggetti alla genovese metropoli, aggiungeva ...cimi ecclesia Ianuensis ad presens Pastoris solatio destituta existât (ij. In Genova Pietro di Luna con lettere e con messi ora diretti in Roma al Pontefice, ora in Francia a re Carlo (2) trattò della causa dell’ unione e dell’estinzione dello scisma, universalmente desiderata. Un fiero castigo era piombato su Genova. La peste infieriva e mieteva vittime, onde l’antipapa fu sforzato a partite dopo brevi mesi di soggiorno anche per il sospetto avuto che da lui e dai suoi poco sinceramente si operasse. A Ili 8 di ottobie intraprese la strada di Savona. Da questa città inviò ambascia-tori al re di Sicilia, i regni e stati del quale pareva ritornassero a vacillare nella sua obbedienza, come appunto avvenne. Soggiornò molto tempo in Savona, perchè a Nizza infierita pure la pestilenza. Finalmente vi arrivò tacendo la strada di terra passando da Noli e da Finale (3). Partito da Genova Pietro di Luna, anche 1 arcivescovo De-Marini, lasciato in Genova per vicario della Curia il canonico Giovanni da Godiliasco (4), si trasferiva col canonico Lodovico Rodino e col Cardinale Ludovico Fieschi in un lembo della sua archidiocesi, a Portovenere, ospitato dalla famiglia Della Torre (5). (1) Ripolli, Bullar. Fr. Praedicat., II, 478. (2) Martene, Vet. Mon. VII, col. 686. (3) Gioffredo, 1. c. col. 1000. (4) Not. Simone de Compagnono, 1402-1415, Parte II, foglio 21, Arch. di Stato in Genova. (5) Not. Simone de Compagnono, 1401-1415, pag. 48, Arch. idem. GIORNALE LIGUSTICO I25 Anche il governatore Bucicaldo erasi portato altrove come tolgo dal seguente documento : Egregius Comes dominus Liverotus de Feretis potestas Ianue fuit relictus locumteneus per dictum dominum Regium ianuensem Gubernatorem qui iturus Niciam ad presenciam domini pape Benedicti recessit de Ianua MCCCCVI die XXVI marcii in sero super galea Andree Lomellini et rediit Iaaue visitata domo et familia propria in Perusio die mai (i) . . . Nello stesso tempo il luogotenente del Bucicaldo____animadvertes moderno tempore quosdam in copiosa multitudine Ianuenses cives feralis epidemie qua civitas latine et nonnulla adiacentia loca et ville affliguntur attonitos formidine ad effugiendum infecte urbis contagium iam in parte de Ianua recessisse et in parte dispositos ad recessum . . . ordinava la sospensione delle cause dal 15 luglio al 15 agosto (2). In Genova era rimasto ‘intrepido sulla breccia S. Vincenzo Ferreri, che accompagnava l’antipapa Benedetto XIII, di cui era confessore, e colle preghiere e colle pubbliche processioni cercava di scongiurare il castigo mandato da Dio. VII. — Da Nizza l’antipapa non tralasciava di occuparsi delle faccende della diocesi genovese, e il primo di Marzo del 1406 scriveva a Fr. Corrado de Clavica, Vescovo di Noli, affinchè accordasse un benefìzio vacante nella diocesi di Genova al chierico Filippo Croce (3). Da Nizza scriveva pure altre due lettere, una il 7 marzo diretta a Brancaleone Saivago prevosto di S. Ambrogio di Genova, onde conferisse il primo canonicato vacante in cattedrale di Genova al patrizio Marco (1) Diversorum, X, Reg. VI, pag. 192. (2) Notari Bartolomeo Sambuceto e Giovanni Paonese, pag. 13, Arch. di Stato in Genova. (3) Not. Simone de Compagnone, 1402-1415, Parte I, fogli 89. 12 6 GIORNALE LIGUSTICO Spinola (i), l’altra il 21 aprile, diretta a Luciano Lercari, Vescovo di Famagosta, perchè accordasse la prima prebenda vacante nella stessa cattedrale ad Andalò de’ Ghisolfi, già canonico di Famagosta (2). Non intendiamo di dare nemmeno una pallida idea delle lunghe vertenze tra Gregorio XII (succeduto il 30 novembre del 1406 ad Innocenzo VII (3)) da un lato e l’antipapa Benedetto XIII dall’altro per il convegno di Savona, dove si doveva stipulare un trattato di pace. Ne parla diffusamente il Rajnaldi (4). Al principio di Marzo del 1407 scrisse l’antipapa Benedetto ai Genovesi comunicando con iscaltrezza la risoluzione presa di rinunciare al pontificato per l’unione della Chiesa, onde il 12 marzo, giorno di S. Gregorio, nella nostra cattedrale l’Arcivescovo De Marini celebrò la messa dello Spirito Santo a fine d’impetrare la sospirata unione; alla messa intervenne lo stesso Bucicaldo e per la circostanza predicò S. Vincenzo Ferreri. Il giovedì 17 marzo si portarono in processione per la città le reliquie del Battista, e gli squilli del campanone salutavano l’alba del 26 aprile come quella che recava 1 annuncio dell’ aspettato convegno dei due Pontefici in Savona. L’indomani altra messa solenne veniva celebrata nel nostro bel S. Lorenzo, terminata la quale una lunga processione passò per le vie della città (5). Il convegno andò in fumo. E se con lettera del 23 aprile del 1407 Gregorio XII scriveva da Roma a tutti i Vescovi della provincia genovese dando contezza che, dovendosi recare a Savona, avea bisogno (1) Not. Simone de Compagnone, 1402-1415, Parte I, foglio 93. (2) Not. » » » » » » 107. (3) Per la data di elezione ci atteniamo all’erudita opera del Pastor, Storia dei Papi dalla fine del Medio Evo, pag. 132. (4) Ann. Eccl., Vol. Vili, 171 e segg. (5) Georgii Stellae, Annales in Muratori R. I. S , Tom. XVII, col. 1213. GIORNALE LIGUSTICO 127 di grandi spese e Γ erario pontificio trovandosi esausto, ordinassero la riscossione di decime (1); con altra del 20 agosto facea conoscere a Teodoro Marchese di Monferrato che dubitava delle insidie ordite dai genovesi, onde esigeva non solo il giuramento di fedeltà dai Savonesi e dai Genovesi, ma proibiva che questi armassero speciali triremi e chiedeva Γ invio di 100 ostaggi genovesi e di 50 savonesi e per soprassello la partenza del Bucicaldo (2) da Genova. Riuscita a vuoto la partenza del Bucicaldo, Gregorio a lui si rivolgeva con lettera del 13 ottobre, perchè valendosi della sua autorità, volesse mutare il luogo del convegno, offrendo come sicurtà il proprio fratello ed un suo nipote in ostaggio (3). vili. — Non si creda però che ai genovesi, sebbene sospetti di tradimentos, non istesse a cuore l’unione della chiesa e l’estinzione dello scisma. A corroborare questa opinione valga la seguente parcella di spese. MCCCVI1 die Vili aprilis prò lanoto Lomellino et sociis electis et deputatis ad recipiendum et honorandum ambaxiatores qui his diebus venerunt de Roma 5.,. Item XII aprilis pro nobilibus et prudentibus viris dominis Luca de Flisco, Magistro Georgio de Sarzana, Bartholomeo de Mari et Antonio Maruffo ambaxatoribus ituris Marsiliam ad dominum summum pontificem et sunt pro expensis per eos fiendis occasione dicte am-baxiate 1000. Item XII aprilis pro circumspectis et nobilibus viris dominis Antonio Iustiniano milite Antonio Cattaneo Urbano Piccamilio et Nicolao Giudice ambaxatoribus electis et ituris Romam pro unione sancte matris ecclesie et sunt pro expensis pro eis fiendis occasione dicte ambaxiate 1000. (1) Raynaldi, Ann. Eccl., Vol. VIII, 171. (2) Raynaldi, » » » 177. (3) Martene, 1. c., coi. 760. 128 GIORNALE LIGUSTICO Item XVIII iunii Carolus de Vivaldis, Ianotus Lomellinus, Andreas Maruffus, Carolus Ciconia deputati ad venerandum Patrem dominum Antonium Motonensem episcopum nepotem ambaxiatorem domini asserti pape debent 5° v1)· Da Nizza l’antipapa erasi recato a Marsiglia, di dove fece vela alla volta di Savona. Ivi cercò alleati nel clero e con lettera del 7 novembre eleggeva il savonese Bartolomeo Natone, arcidiacono della cattedrale di Savona, a canonico di quella di Genova, essendo rimasto vacante il canonicato per rinuncia del fratello Giacomo Natone, entrato nell’ Ordine Olivetano (2). Il 9 novembre scriveva ai suoi fedeli, lamentandosi che tanto nella festa di S. Michele quanto nel giorno d’Ognissanti, termini fissati per il convegno in Savona, il suo competitore Angelo Corrario non erasi presentato, e che i suoi nunzi aveano parlato di altri punti di convegno, cioè Portovenere, Sarzana, Pietrasanta (3). Finalmente Pietro di Luna, visti falliti i convegni, si decise a ritornare di nuovo in Genova. « Il Papa Benedetto ritornò a Genova la vigilia di S. Tommaso (20 dicembre 1407) e fu ricevuto onoratamente come 1’ altra volta e albergò nel monastero di S. Francesco.....il giorno della nati· vità del nostro Signore celebrò la messa pontificale in la chiesa di S. Francesco e fece uno splendidissimo convito al Governatore, agli Anziani e a molti altri cittadini e fu tanta 1’ abbondanza dei diversi cibi e tanto nobile 1’ apparato che alcuni non hanno temuto dire che questo tal convito eccedeva quelli del re Assuero ; ai frati ancora del monastero di S. Francesco nel lor comune refetorio diede da mangiar molto lautamente, tal che le torte dorate d’oro fino erano riputate per nulla; celebrò ancora la messa i due giorni seguenti ma non (1) Masseria Comunis Ianue, 1407, pag. 48 e 54. (2) Not. Simone de Compagnone, 140Γ-1415, pag. 72. (3) Martene, 1. c., VII, col. 763. GIORNALE LIGUSTICO I29 fece convito se non ai frati. Il giorno poi di S. Silvestro si parti con undici Cardinali- e andò a Portovenere e fu seguito dal Governatore eli Genova il quale desiderava assai Γ unione della chiesa e l’Arcivescovo Pileo vedendo che il Papa Benedetto non si curava troppo dell unione della chiesa si parti dalla città (circa il 25 maggio, festa dell’ Ascensione del 1408) e si ridusse in Toscana. E il Papa ai sette di giugno (1) si parti da Portovenere con sei galere e navigò verso Catalogna senza toccare altrimenti in terre dei Genovesi e si fece in Genova consiglio generale in presenza del governatore che era ritornato dal Papa e si deliberò che nè Gregorio nè Benederto si tenes-seio per Papi, con ciò sia che nè l’uno, nè l’altro andassero direttamente all’ unione della chiesa » (2). Prima della sua partenza da Genova l’antipapa il 28 dicembre j 407 conferì la prepositura dei SS. Cosma e Damiano al suo protetto Giacomo De-Rivo (3). Da Portovenere poi d’ordine suo il 13 febbraio del 1408 Francesco di Conzié, Arcivescovo di Narbona, cameriere apostolico, scriveva ad Antonio De-Grassi Abate di S. Andrea di Sestri, collettore delle decime della carnei a apostolica nella provincia di Genova, perchè soddisfacesse la madre del defunto Enrico Muschio prevosto di S. Gio. Battista di Andora (4), e il 15 febbraio il Cardinale Antonio de Chalanf dal titolo di S. Maria in Via Lata dava licenza a Suor Avenanzia di Fontanegli, monaca di S. Agata di Voghera, di trasferirsi alle cisterciensi di S. Maria della Cava di Carignano in Genova (5). (1) La data della partenza è errata, trovandosi ancor ivi, come vedremo, 1’ 11 di giugno; la partenza è fissata dallo Stella al 17 giugno. (2) Giustiniani, Annali, pag. 241, 245 e segg. e Georgii Stellae, Annales in 1. c., col. 1216, 1217; L. Belgrano, Delle feste e dei giuochi dei Genovesi in Arch. St. It., Serie III, Tom. XIV, pag. 78. (3) Not. Simone de Compagnone, 1401-1415, pag. 70, 71, 73. (4) Not. » » a s a B n ( 5 ) Not. » » » j, d j) n Giorn. Ligustico. Anno XXI. 130 GIORNALE LIGUSTICO XX. — Non appena l’antipapa era partito da Genova, nell’animo dell’Arcivescovo Pileo De Marini si era operato un altro mutamento. Il 22 febbraio del 1408 trovasi gii in rotta con Giacomo de Frassengis uditore della camera apostolica, che in un oratorio dei disciplinanti presso S. l rancesco di Castelletto (1) avea inaugurato il suo tribunale ligio all’antipapa. Il Frassengis protestava, perche il De Marini avea latto incarcerare uno scudiero del Cardinal di Aux (2). E il 13 marzo lo stesso uditore delle cause della camera apostolica minacciava di scomunica il detto arcivescovo, qualora nello spazio di quattro giorni non avesse restituito 50 fiorini dovuti a Lodisio de Marini (3). Da Portovenere il Bucicaldo insieme con Pietro di Luna macchinarono impadronirsi di Roma. Tolgo la narrazione del fatto da una lettera scritta in Lucca da Gregorio XII il 21 Maggio del 1408: ..... Ipse Petrus e Luna cura subsidio gubernatoris Ianue graviter innovavit in subversionem status et honoris nostri nitens precedente occulto tractatu sibi subiicere Romanam urbem pro qua obtinenda dictus gubernator cum galeis et nepotibus maioribus prefati 1 etri e Luna et aliis propriis galeis quas sub ficto colore occultabat esse ordinatas ad occupationem urbis vigesima dic mensis aprilis cum copiosa et forti armata exivit procedens versus urbem quum accessum secrete disposuit omnes versus ista loca in quibus cum nostra residemus curia venientes obsessis itineribus per quosdam dies capi et detineri faciens et inter alios quosdam ad nos venientes quibus diebus sub spe conventionis nos tenebat intentos.... (4)· Nel mentre succedeva questo colpo di stato, in Francia le cose avean già mutato di aspetto. Re Carlo, considerando che (1) Not. Simone de Compagnone, 1401-1415, pag. 94. (2) Not. id., pag. 68 e 74, 98 e 104. (3) Not. » « » » (4) Raynaldi, Ann. Ecd., VIII, 196. GIORNALE LIGUSTICO nessuno dei due papi avea grandezza d’animo bastante a por fine ad uno stato di cose lagrimevole, avea in data del 12 gennaio 1408, promulgato un decreto in cui stabiliva che per il giorno dell’Ascensione non si dovesse obbedire più ai due pretendenti al papato : il decreto fu seguito da un altro del 22 maggio fi); onde il 2 giugno il Patriarca di Alessandria, il Vescovo di Meaux e Maestro Pietro Plau oratori e nunzii di Re Carlo, della chiesa gallicana e dell’università di Parigi annunciavano il regio decreto all’Arcivescovo De Marini (2). E il 21 luglio il Bucicaldo, il consiglio degli Anziani e l’Ufficio di Provvisione accludevano ricevuta della lettera di Re Carlo (3). Con altra lettera gli Anziani di Genova dichiaravano di aver ricevuto gli ambasciatori dei Re di Francia, d’Inghilterra e di Castiglia, lodando il loro zelo spiegato per l’unione della chiesa, tacendo formale promessa di aderire alla sospirata unione (4). Indispettito Pietro di Luna lanciava da Portovenere i suoi fulmini ormai riputati telum imbelle sine ictu. Il 13 giugno rimproverava ancora Gregorio XII, accusandolo di contumacia, perché non era venuto a Savona (5) e il 15 giugno indiceva un solenne Concilio a Perpignano per la festa d’Ognissanti (6). X. — L’ arco era troppo teso. L’arcivescovo e il Bucicaldo in urto tra loro, aveano disertato dalla parte dell’antipapa. Il De Marini verso il 25 maggio abbandonò la sede genovese, lasciando vicario della curia Luca Cantarelli di Reggio (7). (1) Raynaldi, id., pag. 205. (2) Archivio Capitolare di S. Lorenzo, Pergamena N.° 93, Cassetta A. (3) Martene, Aned., Tom. II, pag. 1408, e Mansi, Sacra Conc. Coll Vol. XXVII, pag. 162. (4) Martene, Vet. mon , VII, pag. 778. (5) Martene, id., pag. 780. (6) Martene, id., pag. 781 e Mansi 1. c. 1104. (7) Not. Simone de Compagnone 1401-1415, pag. 104. τ 132 GIORNALE LIGUSTICO L’antipapa sdegnato per i lavori., che gli venivano meno, prima di partire da Portovenere volle coronare l’opera sua nefasta col dichiarare vacante l’arcivescovato di Genova, ponendo sulla sede di S. Siro e di S. Romolo un prelato scismatico, scegliendolo dal capitolo della cattedrale. Su questo punto interessante di storia genovese tacciono tutti gli annalisti e gli scrittori ecclesiastici genovesi e indarno facemmo ricerche nello stesso Archivio capitolare. Il nome dell’amministratore scismatico della diocesi genovese eletto 1’ 11 giugno del 1408 emerge dalla bolla seguente: Benedictus episcopus servus servorum dei dillecto filio Iohanni de Godiliasco canonico vicario et administratori in spiritualibus et temporalibus ecclesie Ianuensis salutem et apostolicam benedictionem. Cum ecclesiarum omnium solicitudo sedula nobis quamquam immeritis sit superna dispositione commissa de statu ecclesiarum ipsarum ex officii nostri debito disponimus cum oportet prout consideratis exacte personis locis temporibus et causis eorumque circumstantiis universis id in deo prospicimus racionabiliter expedire. Cum itaque ecclesia Ianuensis ex eo sit pastoris solacio destituta quod venerabilis frater noster Pilleus Archiepiscopus Ianuensis quem nuper ex certis causis racionabilibus ad nostram presenciam fecimus personaliter evocari spretis mandatis nostris et dicta ecclesia derelicta ad partes remotas se transtulit, nos ne propterea ecclesia in spiritualibus et temporalibus detrimenta sustineat provide cupientes ac sperantes quod tu qui apud nos de vite munditia honestate morum spiritualium piovidentia et temporalium circumspectione multipliciter commendaris ipsi ecclesie poteris esse plurimum fructuosus te vicarium et administratorem eiusdem ecclesie in spiritualibus et temporalibus constituimus et deputamus curam et administrationem plenam generalem et liberam ipsius ecclesie et bonorum et iurium ad mensam archiepiscopalem lanuensem spectantium tibi donec aliud duximum ordinandum in eisdem spiritualibus et temporalibus committendo ut ecclesiam ipsam tue gubernationi commissam spiritualiter et temporaliter iuxta tibi a deo prudentiam datam regas dirigas et augmentes ac de fructibus redditibus GIORNALE LIGUSTICO n? proventibus iuribus et obventionibus universis ad dictam mensam spectantibus ordines et disponas prout veri Archiepiscopi Ianuenses qui fuerunt pro tempore de illis ordinare et disponere potuerunt ac debuerunt alienatione tamen bonorum immobilium et pretiosorum mobilium dicte ecclesie tibi penitus interdicta. Cum igitur circha regimen et administrationem huiusmodi solicite et fideliter exercenda sic te exhibeas fructuosum quod prefata Ianuensis ecclesia sub tua gubernatione provida et salubri votivis in eisdem spiritualibus et temporalibus comodis amplietur nosque tue diligentie studium in hac parte dignis possimus in domino laudibus merito comendare. Datum apud Portumveneris Ianuensis diocesis III ld. lunii pontificatus nostri anno quartodecimo (1). Le lettere furono presentate e lette dallo stesso Godiliasco al clero radunato il 25 giugno, e il clero . . . quibus auditis et eis reve) enter intellectis cum qua debuit reverentia assenserunt et consensei unt eisdem et eumdem dominum Iohannem et Vicarium et administratorem ecclesie ianuensis et in omnibus et pre omnia prout 111 dictis litteris apostolicis viderunt el intellexerunt plenius contineri (2). Nello stesso tempo il clero supplicava il Bucicaldo perchè ponesse un riparo alle gabelle che si riscuotevano dalle famiglie di persone defunte che passavano sotto il nome di gabelle defuncto! um e dalla quale erano soli esenti i medici. XI. Il Godiliasco eletto in amministratore della diocesi, era nativo della parrocchia di Godiliasco in quel di Tortona (3). Fu dapprima canonico di S. Ambrogio di Genova, e il 22 agosto del 1362 permutava il canonicato con la rettoria di S. Antonio di Casamavari (4). 11 7 febbraio del 1387 è ri- (1) Not. Ignoti. Filza 52. Arch. di Stato in Genova. (2) Not. Simone de Compagnone, 1402-1415, pag. 88 bis. f5) Not. Oberto Foglietta, Vol. II, Parte I, pag.°i7, Arch. di Stato in Genova. (4) Foglio volante in Atti del Not. Antonio Foglietta, pag. 85. 134 GIORNALE LIGUSTICO cordato già qual canonico della cattedrale di Genova (x), indi arciprete di S. Cipriano in Polcevera (2) e più volte vicario degli arcivescovi Iacopo Fieschi e Pileo De Marini. Il 4 agosto del 1391 il re Ladislao con diploma dato da Gaeta lo eleggeva a cappellano e famigliare regio (3). Prese il Godiliasco possesso della sede genovese, e i numerosi atti della sua gestione conservansi tuttora nei protocolli del Notaio Simone de Compagnone aU’Archivio di Stato (4). Di questi atti parecchi si trovano in un’ altra filza dello stesso notaro che va dal. 1402 al 1415· ^ Godiliasco trovo subito un alleato in Genova in Arragonio Malaspina che lo stesso antipapa aveva eletto amministratore della diocesi di Luni, contrapponendolo al parmigiano Giacomo Rossi eletto vescovo da Innocenzo VII (5). Il Malaspina era protonotaro apostolico, canonico e poi magiscola della cattedrale di Genova e arciprete di quella di Albenga (6). Dopo alcuni giorni dall’ elezione del Godiliasco, il Collegio dei Cardinali, sedenti a Livorno, con lettera del 24 giugno 140S scriveva al nuovo amministratore dell archidiocesi genovese di (1) Notari Oberto e Antonio Foglietta, filza 3.·, pag. 13, Arch. di Stato in Genova. (2) Compera Mutuorum P. S. P. N. B, Arch. id. sotto la rubrica Ecclesia sancti Michaelis de Cachisfellone. (3) Not. Antonio Foglietta, filza 2.", Parte II, pag. 169. (4) Trovansi parte di essi insieme cuciti con gli atti di Corrado Stefano, notaro del secolo XIII, e hanno sull’aletta la data I40i-i415· (5) Not. Simone de Compagnone, x401-1415, pag. 364 e pag. 402. E a porre un argine alle lunghe liti nate tra il Rossi e il Malaspina, Giovanni XXII con bolla data il 28 gennaio 1415 da Costanza traslocava il Malaspina alla sede di Brindisi e il Rossi con altra bolla del 6 maggio 1415 alla sede di Napoli, eleggendo poi in V escovo di Luni Francesco da Pietrasanta (Not. Simone di Compagnone, 1402-1415, Parte III, foglio 108, e Ughelli, Italia Sacra, Vol. IX, col. 36). (6) Not. Simone de Compagnone, 1401-1415, pag. 364 e 402. GIORNALE LIGUSTICO 135 radunare il clero e dar poscia lettura della lettera recata da Giovanni Ghitardi della diocesi di Bordeaux, nella quale si chiedeva il concorso per provvedere all’unione della chiesa e Γ invio d’ una rappresentanza del clero al futuro concilio di Pisa. E lettere dello stesso tenore recava il Ghitardi scritte il 14 luglio 1408 dal Collegio dei Cardinali sedenti in Avignone. Il Ghitardi latore delle lettere cardinalizie arrivò in Genova sui primi di ottobre, e, radunatosi il clero della città con a capo l’amministratore scismatico Godiliasco, ricevettero con riverenza le lettere ... et omnes unanimes et concordes responderunt eidem domino lohanni nuncio quod ipsi quantum in eis est et iuxta possibilitatem eorum sunt parati et totaliter dispositi dictorum dominorum cardinalium monitionibus et litteris effectualiter obedire et ad prosecutionem extirpandi schismatis votis mentibus et affectibus anhelare ac venire aut mittere loco et tempore ordinatis ad concilium universalis ecclesie de quo in prefatis litteris fit mentio specialis parati pro sancta unione fienda in dei ecclesia devotis interim insistere orationibus et eidem clero diocesis ianuensis suadere et monitionibus intimare demum in omnibus facere et exequi prout dictorum dominorum cardinalium extitit requisitum......... Contemporaneamente furono nominati dodici sapienti tra i sacerdoti, perchè a nome di tutto il clero dessero esecuzione alle lettere cardinalizie. I dodici eletti il 5 ottobre ... considerando quod prò huiusmodi negocio opus est habere pecuniam expeditam attento quod hec, res unionis universalem clerum tangit diocesi Ianue .... imposero una colletta di L. 350 sui chierici da riscuotersi per la metà di Gennaio 1409 (1). Si stavano facendo i preparativi per il Concilio di Pisa. (1) Not. Simone de Compagnone, 1402-1415, Parte I, foglio 109. i38 GIORNALE LIGUSTICO cillium vel alios prelatos aut clericos ad quos spectaret assensum et consensum prestandum (i) . . · · ma il 29 aprile vedendo che la sospirata unione andava per le lunghe, il clero dichiarava non poter sopportare le spese di tre rappresentanti al Concilio di Pisa, onde revocava la procura latta nel prevosto e nel priore, li richiamava da Pisa e delegava unico rappresentante il De-Marini (2). Nello stesso tempo si decretavano 25 fiorini per ispese fatte in Pisa dal De-Marini, il quale oppresso dalla povertà, scriveva al massaro del clero genovese domandando con insistenza d’ essere risarcito delle spese fatte da parecchi mesi in Pisa. Il 2 agosto radunatosi il clero respingeva la domanda, dichiarando di pagarlo solo da quel giorno, in cui era stato eletto rappresentante del clero in Pisa e non prima che si facesse l’unione della chiesa, scrivendo nello stesso tempo a Branda di Castiglione Vescovo di Piacenza (già canonico di Genova) ad Arragonio Malaspina, a Domenico Fieschi pio-tonotaro apostolico (arcidiacono di Genova) ad Alpino de Collis di Alessandria, scrittore pontificio (canonico di Genova e prevosto di S. Donato) i quali si trovavavo al Concilio di Pisa, di comunicare al Pileo De-Marini la presa deliberazione e a pregarlo di non molestare il clero di Genova (3). XIII. _ L’amministrazione dello scismatico Godiliasco durò appena quattordici mesi. bis (1) Not. Simone de Compagnone, 1402-1415 foglio MS (2) » » » » !49- u » ,, 150. Al Concilio di l isa intervennero pure i Vescovi di Ventimiglia, Savona, Albenga, Bobbio, il priore della Certosa di Rivarolo, i procuratori delle Abazie di S. Andrea di Sestri, di S. Begnino, di S. Maria di Peroallo, di S. Bartolomeo de Fossato, di S. Maria del Zerbino, di S. Andrea di Borzone, nonché ambasciatori speciali mandati dal Bucicaldo (Mansi 1. cit. col. 1242, 5 , 1256). giornale ligustico 139 Eletto il 16 giugno del 1409 nel Concilio di Pisa Alessandro V, (1) il neo pontefice con bolla dell’8 agosto dichiarava finalmente amosso il Godiliasco e reintegrava nel possesso dell’ arcivescovato il legittimo Pileo De-Marini. La bolla, rimasta sino ad ieri inedita, è del seguente tenore: Alexander episcopus servus servorum dei. Ad futuram rei memoriam. Personam venerabilis fratris nostri Pilei Archiepiscopi Ianuensis paterna benivolentia prosequentes illa libenter ei concedimus que suis comoditatibus conspicimus oportuna. Sane dudum sicut idem Archie-piscopus nobis nuper exposuit iniquitatis filius Petrus de Luna qui olim Benedictus papa XIII in sua obedientia nominabatur contra eumdem Archiepiscopum odii rancore iniuste concepto ac pretendens licet minus vere ecclesiam ianuensem cui predictus Pileus Archiepi-scopus tunc etiam preerat pastoris solatio destituta per suas litteras Iohannem de Godiliasco canonicum ianuensem dicto Archiepiscopo a civitate et diocesi ianuensi tunc absente vicarium ed administratorem bonorum in spiritualibus et temporalibus eiusdem ecclesie constituit et deputavit curam et administrationem plenam generalem et liberam ipsus ecclesie licet tunc non vacaret ac bonorum et iurium ad ar-chiepiscopalem mensam ianuensem spectantium eidem canonico donec aliud duceret ordinandum in eisdem spiritualibus et temporalibus committendo. Quare pro parte dicti Archiepiscopi nobis fuit humiliter supplicatum ut sibi et statu suo in premissis opportune providere de speciali gracia dignaremur. Nos igitur huiusmodi supplicacionibus inclinati dictas litteras ac omnia inde secuta ex certa scientia auctori- (1) Alessandro V (Pietro Filargo da Candia) fu a Genova il 15 aprile 1388 essendo allora Vescovo di Vicenza (Liber Iurium II, col. 127). E colla data del 20 aprile 1388 trovo: .....Comune Ianue debet nobis lb. 250 pro precio unius baraxi per Bernabovem de Auria venditum comuni dati et largiti prò comune Ianue Rev. Patri domino Magistro Petro episcopo Vicentino qui ex parte Illustris, et Magnifici domini Comitis Virtutum venit hiis diebus Ianue____(Magistrorum Racionalium Introitus et Exitus Ann. 1388 pag. 54, Arch. di Stato in Genova). 140 GIORNALE LIGUSTICO tate apostolica tenore presencium cassamus et irritamus nulliusque decernimus existere firmitatis roboris vel momenti ac declaramus dominum Archiepiscopum perinde remansisse ac remanere debere plenarie in suis status et honoris integritate quoad huiusmodi regimen et administracionem bonorum ecclesie predicte ac si dicte littere nullatenus emanassent. Volentes nihilominus et auctoritate predicta decernentes quod dilecti filii capitulum ianuense et quicumque alii subditi dicti Archiepiscopi ratione sui Archiepiscopatus ianuensis dicto canonico pretestu constitutionis et deputationis predictarum in eisdem spiritualibus et temporalibus non obediant in aliquo de cetero vel intendant necnon ex habundanti cautella de plenitudine apostolice potestatis predictum Archiepiscopum ad regimen et administracionem predictam eorum plenum et liberum exercitium auctoritate prcdicta instituimus per présentes ita quod ipse etiam deinceps suam ianuensem ecclesiam et eius ratione sibi omnes et singulos subditos ipsos in eisdem spiritualibus et temporalibus regere libere et licite \aleat prout ad Archiepiscopum ianuensem quis est pro tempore pertinet de consuetudine vel de iure et prout illos regere potuit et debuit antequam predicte littere emanarunt. Decernentes etiam irritum et inane quidquid contrarium a quocumque quavis auctoritate scienter vel ignoranter contingeat attemptari. Nulli ergo omnino hominum liceat hanc paginam nostre cassationis irritationis constitutionis declarationis restitutionis et voluntatis infringere vel ei ausu temerario contraire. Si quis autem hoc attemptare presumpsent indignationem omnipotentis Dei et beatorum Petri et Pauli apostolorum eius se noverit incursurum. Datum Pisis VI Id. Augusti pontificatus nostri anno primo. P. de Verona. A. DE Baronibus (i). II Godiliasco radunava il clero tutto di Genova e in presenza di esso e degli arcipreti di Albaro, Camogli e Rapallo il 18 agosto umilmente leggeva le lettere concernenti la sua amo· zione, portate da Cornelio de Vardana cursore pontificio (2). (1) Not. Simone de Compagnone, 1401-141 >, pag. 41J- (2) » « n » » GIORNALE LIGUSTICO I4I XIV. — 1 ornato il De-Marini alla sua sede, seco portandosi il canonico pisano Pietro da S. Pietro, che installò per vicario generale della diocesi (1) promulgò un decreto, col quale dichiarava vacanti tutti i benefizii conferiti dal primo giugno 140S al 18 ottobre del 1409, stabilendone amossi i titolari, e annullando tutti gli atti della gestione del Godiliasco (2). Inoltre con decreto del 25 ottobre del 1409 ordinava che qualunque fosse preposto a chiesa avente cura d’anime, dovesse nello spazio di 15 giorni sotto pena di amozione far ivi residenza .... cum propter absenciam nostram vigente pravitate damnati Pett i de Luna et quorumdam sequacium suorum plurima in ipsis ecclesiis circumspicimus rcformacione digna. ... (3). II decreto veniva a colpire in pieno petto il Godiliasco, il quale tra le molte prebende avea continuato ad essere il parroco di S. Antonino di Casamavari. Egli dopo lo scacco avuto erasi ritirato nel borgo di Recco (4) certamente a meditare sulla caducità delle umane cose: e, non presentandosi alla sua chiesa, il 14 novembre veniva dichiarato amosso e la chiesa ad altri fu conferita (5). L’ espulsione poi del governatore Bucicaldo seguita nel settembre del 1409 e l’instaurazione del nuovo governo di Teodoro Marchese di Monferrato dava il colpo di grazia allo scisma, che avea incominciato a serpeggiare in Genova nel 1404. Arrogi che 1 Arcivescovo De-Marini avea promulgato sentenza di scomunica contro il Godiliasco, onde una lunga questione si agitava da tempo tra lor due. A pacificare i due dissidenti furono il 30 gennaio del 1411 eletti arbitri Manfredo De-Negri, Battista Iacop, Francesco (1) Not. Simone de Compagnone, 1402-1415, foglio 198, Parte I. (2) Not. » » 1401-1415, pag. 192. (3) Not. Ignoti, filza 52, Arch. di Stato in Genova. (4) Not. Simone de Compagnone, 1401-1415, pag. 196. (5) ” » » » 545. 142 GIORNALE LIGUSTICO Ritiliario legislatori, i quali condannarono il Godiliasco a sborsare L. 300 all’Arcivescovo in due rate e a restituirgli omnia et singula arnesia et snpelectilia; condannarono il De-Marini a pagare al Godiliasco tutti i frutti dei benefizii dai quali l’avea sospeso, più il prezzo del vino, che trovavasi nella camera del Godiliasco. Il 22 febbraio si stipulava un nuovo concordato e solo il Godiliasco pagò L. 200 all’Arcivescovo, il quale dichiarava restituito.....dictum dominum Iohannem ad eius pristinam gratiam et benevolentiam et dilectionem sinceram (1). Fatta la pace, il Godiliasco riebbe i suoi canonicati di Castello, di S. Nazario, di S. Maria delle Vigne e della Cattedrale nonché la rettoria di Casamavari, che prima teneva (2). Languì per parecchi mesi ammalato nel chiostro di S. Lorenzo, e, sentendo prossimo il suo fine il 3° novembre del 1412 facea testamento, lasciando erede universale il notaio Bartolommeo Foglietta. La morte lo colse il 4 marzo del 1413 e il 5 marzo fu sepolto in cattedrale (3). Il Godiliasco non ebbe mai la consecrazione episcopale, ond’è che durante la sua gestione troviamo che il 22 settembre del 1408 fece l’ordinazione l’alessandrino Giovanni de Trottis Arcivescovo di Corinto (4), il 22 dicembre 1408 Simone Fieschi Vescovo di Caffa e il 24 e 26 marzo del 1409 lo stesso Simone Fieschi (5). Il 6 aprile del 1409 la teneva Fr. Bernardo da Roma dei Minori Vescovo di Cardica nella chiesa di S. Maria Maddalena (6) e il primo giugno dello stesso anno Fr. Antonio de’ Sicheri da Pavia Vescovo liniense (7). (1) Not. Simone de Compagnone, 1402-1415, Parte II, fogli 93, 99· (2) » ,, » Parte II, foglio 85. (3) » u » Parte III, foglio 12. (4) Not. Simone de Compagnone, 1401-1415, pag. 102. (5) » » 1402-1415, Parte I, foglio 147. (6) (7) .. » 1401-1415, Pag· 403. 408 GIORNALE LIGUSTICO I43 Sebbene il nonagenario Benedetto XIII ripetutamente deposto nei Concili di Pisa e di Costanza, rifuggiatosi a Paniscola, continuasse, a dirla col Balbo, a papeggiare sino al 17 novembre r424> epoca di sua morte, nulla potè più in Genova, dove l’Arcivescovo De-Marini finché visse fu una barriera insormontabile a questo scisma, che ebbe pure il suo poeta, come si può vedere da una poesia pubblicata dal prof. Belgrano (1). Arturo Ferretto. IL GIUDIZIO DI ONORATO D’URFE sull’ AMEDEIDA PER LA PRIMA VOLTA PUBBLICATO Il signor Giuseppe Rua ha pubblicato nel Giornale storico della letteratura italiana (2) la prima parte d’un suo studio sopra Γ « Epopea Savoina alla Corte di Emanuele I ». Però del vasto movimento epico che si promosse alla Corte di quel principe in onor della Casa Sabauda, il Rua dichiara di voler esaminare soltanto quel periodo che si aggira intorno alle imprese dei principi di Savoia in Oriente: ed anzitutto ha fatto un'attenta disamina delle vicende dell’Amedeida (3) del Chiabiera : del poema, che, com’egli assennatamente °iu- c Î? dica, « ragion d’arte, rende il più meritevole di studio fra tutti quelli a cui fornirono materia le gesta dei principi di Casa Savoia ». Il Rua , a dir vero , in codesta parte prima del suo lavoro, ha compiuto un’indagine le cui traccie erano già (1) Atti d. S. L. d. S. P. vol. XIX. Il Belgrano la crede del 1407, ma forse è del 1404. (2) Vol. XXII (1893) p. 120 sgg. Continua nell’ultimo fascicolo 1896. (3) Pare che nell’ intenzione del poeta il titolo del poema dovesse essere dapprima Amedea,h: lo cambiò poi in Amcdeida. 144 GIORNALE LIGUSTICO state segnate qua e là abbondantemente dallo Spotorno., il dotto autore della storia letteraria della Liguria (i): questi aveva già indicalo come fonte principale per P indagine minuziosa sulla genesi àe\Y Amedeida il carteggio del Chiabrera col suo intimo amico, il pittor genovese Bernardo Castello (2). Del poema cbiabreresco, che ha per oggetto le gesta di Amedeo in Rodi, esistono a stampa due redazioni ben distinte: PAmedeida maggiore, ossia quella pubblicata dall autore nel 1620 coi tipi del Pavone di Genova, in 23 canti e 1335 stanze; Y Amedeida minore, impressa dal Guasco nella stessa città Panno 1654, e che consta di soli 10 canti e 667 stanze (3). Ma il Rua, esaminando attentamente due codici della Nazionale di Torino e colla scorta delle lettere del Chiabrera al Castello, ci presenta la dolorosa istoria dei successivi aumenti e diminuzioni che, più per indulgere al gusto del principe Mecenate, che per poca soddisfazione del proprio genio poetico, il Chiabrera dovette apportare all 'Amedeida, prima che, dopo il laborioso periodo di incubazione di quasi otto lustri, il poema potesse finalmente veder la luce nel 1620. Il disegno di celebrare gli « Eroi » di Casa Savoia, è dal Chiabrera lasciato già intravedere chiaramente nel pioemio della Gotiade in cui, rivolgendosi a Carlo Emanuele I, dice. Carlo che Febo in questa etate, e Marte Richiami glorioso agli onor tuoi ; Mentre co’ nomi delle antiche carte Tempro la cetra pei tuoi chiari Eroi. Ora mentre la Gotiade fu pubblicata per la prima volta nel 1582, è soltanto il i.° gennaio 1607 che il Chiabrera scriveva, esultando, all’ amico Castello : « Ho fornita 1 Amedeida (1) Vedi specialmente l’Amedeide Genova, Pagano, 1836, pag. 527 sgg. (2) Per comodo del lettore ho desunto dal carteggio qui accennato la cronistoria dell' Amedeida che aggiungo in appendice. (3) Ne citano anche un ediz. napoletana del 1635, ma nè lo Spotorno nè io la vedemmo. 14) c leggermente riveduta copierolla ». (i) Però questa prima redazione subì « aggiunte e tagli, allogamenti e dislogamenti » per introdurre nel poema quelle modificazioni che il Duca di Savoia suggeriva, tanto che si ha una seconda redazione in cui VAmedeida abbraccia 12 canti ed in tale assetto ce lo presenta un manoscritto (Ο. Ili, 5) della Nazionale di Torino. Ma neppure a questo punto poeta e Mecenate sono in ogni cosa soddisfatti : ed una terza redazione era annunciata dal Chiabrera al Castello il 12 ottobre 1616, la quale riuscì di 20 canti, e ci è conservata in un altro manoscritto (O.IV, 8) della stessa biblioteca: esso devesi reputare come il genuino autografo su cui Carlo Emanuele I di Savoia fece di proprio pugno correzioni e note. Ma, non pago del proprio giudizio, Carlo Emanuele I mandò il manoscritto nelle mani di Onorato d’Urfè, il quale scrisse un lungo Jugemant sur ΓAmedeida chc si conserva tuttora inedito nella biblioteca suddetta, e di cui fu fatta una esattissima copia autografa dal dotto baron Vernazza, per compiacere a un desiderio di Celestino Massucco, il traduttore ê commentatore di Orazio. Ho esaminato questa copia autografa che si conserva alla Beriana di Genova e mi è parso che meriti di venir pub blicata una lettera del Vernazza nella quale si danno notizie, non solo della copia, ma anche di Onorato d’Urfè, che non torneranno discaie agli studiosi anche dopo quanto ne han detto recentemente il Rua, il Menghini, il Rossi ed altri. * * * Eeco la lettera del baron Vernazza, che è autografa, inedita e si trova nello stesso codice Dbis, 4, 7, 4. (1) Dell’ Amedeida fa menzione a Gio. Vincenzo Imperiale nelle Canzoni, ed. Pavoni I612 « quando per Amedeo gonfiai la tromba ». Giorn. Ligustico. Anno XXL 10 146 GIORNALE LIGUSTICO « Al Padre Celestino Massucco delle scuole pie il Barone Verna^ja « Con lettera cortese del 12 di marzo, recatami dall’amabile sig. Ambrogio Viale, V. P. mi chiede il giudizio del-VAmedeida fatto da Onorato d’Urfè. Io la ringrazio che mi abbia dato occasione di adoperarmi in suo servizio, e però volentieri e prontamente gliene mando una copia, scritta di mia mano e fedelmente concorde con l'originale. Al tenue dono che ne faccio a V. P., siami lecito di aggiungere una breve notizia dell’autore, ed ella riceva amorevolmente ogni cosa, come significazione del mio buon animo. « D’illustre maritaggio nacque Onorato d’ Urfè (1). Imperocché Jacopo suo padre fu marito di Renata di Savoia, figliuola di Claudio, conte di Tenda e di Sommari va, e nipote del gran bastardo di Savoia. Egli nacque in Marsiglia addi 11 di febbraio 1567, ed ebbe in moglie Diana di Chateaumorand (2). Renata avendo ceduto a Carlo Emanuele I la contea di Ri-voli (3), n’ebbe a titolo di cambio nel 1582 Castelnovo e Vivieu il grande nel Bugey. Passò poi quel paese sotto il dominio della Francia, ed Onorato impetrò dal re di mutare il nome della Signoria, prendendo nel 1612 il titolo di marchese di Valro-mey (4). Dal regio diploma sappiamo eh’ egli era gentiluomo ordinario di camera del re di Francia e capitano di cinquan-t’uomini d’arme. Stette Onorato lungo tempo in Piemonte, e nel x618 ai 2 di febbraio fu creato cavalier dell’ordine supremo dell’Annunziata (5), insieme con Jacopo suo fratei mag- (1) Guichenon, Hist, Geneal., p. 1104, 1290. (2) Nicefon, mémoires, VI, p. 217. (3) Guichenon. Hist. de Bresse, p. 188. (4) ibidem, p. 192. (5) Blanc. Hist. de Sav., tom. III. — Capré. Catah, p. 202. GIORNALE LIGUSTICO giore, grande scudier di Savoia. Circa il luogo ed il tempo della sua morte discordano gli scrittori II Guichenon crede che e morisse nel 1621 in Piemonte. Il Niceron afferma che morì nel 1625 a Villafranca di Nizza. Nè finora si è potuto scoprir nulla di certo. « Onorato era uomo di non mediocre letteratura, e fu il primo scrittor di romanzi che li traesse dalla barbarie, vestendoli di più regolati abbigliamenti (1). Quello di Astrea (2) è il più ragguardevole, e tiene un luogo distinto nella biblioteca universale dei romanzi compilata dal sig. Bastide. Dilettossi anche di verseggiare; ma dicesi che il Malherbe lo dissuadesse da tal mestiere, e generalmente si crede che fosse miglior prosatore che poeta. « Varie sue opere inedite ed ignote al Niceron e al Verdier, ho veduto fra i manoscritti che si conservano in Torino nella regia pubblica biblioteca. « La prima è un romanzo in versi intitolato la Sireine (K. i, 81) (3) divisa in tre libri, i titoli dei quali sono le despart, l absence, le retour : ed in esso il poeta ragiona dei suoi amori con Diana. Il volume è dedicato alla principessa Margherita di Savoia, figliuola di Carlo Emanuele I. La dedicatoria è scritta da \7irieu ai 16 giugno 1600 e Γ autore nel frontispizio si qualifica ciambellano di S. A., colonnello della sua cavalleria e fanteria Francese e capitano delle sue guardie. a La 2a opera è la Savoisiade (1. V, 29) (4) divisa in otto libri; ma vi mancano il secondo ed il terzo, non già che il codice sia imperfetto ; ma forse non erano ancora finiti al (1) Cignadanti. Cvtal. d. cavalieri, p. 127. (2) In occasione del recente anniversario della morte di T. Tasso ha pubblicato una pregevole dissertazione C. Banti dal titolo: L'Amyntas du Tasse et l'Astrée d'Honoré d’Urfè. (3) Catal. Cod. MS. tom. 2, p. 467. (4) ibìd. p. 48g. I48 GIORNALE LIGUSTICO tempo che si copiarono gli altri, giacché tra il primo ed il quarto si vedono ventiquattro fogli vacanti. Il poema è dedicato al Duca di Savoia con lettera de’ 16 di agosto 1615 scritta da Torino. In essa il marchese dichiara che erano già corsi trent’anni dappoiché si trovava a servigio di Sua Altezza e che s’era quasi sempre trovato appresso di lei, e massimamente nelle guerre contro la Francia e la Spagna. « Un’ altra operetta è tra i sopraddetti manoscritti, cioè la Beroldide (K. 1, 69) (1), ma non è altro che un saggio e quasi 1’ abbozzo della Savoisiade. « L’ ultima operetta, di cui mi resta a discorrere è il Jugemant sur l’Amedeide, scritto di mano propria d' Onorato d’Urfè in prosa Francese, colla data dei 14 dicembre 161Ü. Aveva il Chiabrera presentato il suo poema a Carlo Emanuele I al qual nella stampa tu poi dedicato. Il duca lesse il poema, ed egli stesso vi fece alcune osservazioni, come appare anche da una lettera del Chiabrera (2). Poi volle intendere qual giudizio ne recava l’Urfè. Questi esaminò diligentemente il poema e ne mandò al duca il parere che in questi logli trascrivo con l’esattezza più scrupolosa dell autografo. « Ma io non ne ritarderò più oltre a V. P. la lettura. A me certo sarà sempre cara ed onorevole rimembranza 1 avei meritata l’amichevole di Lei benevolenza e 1 avere in qualche maniera servito alla gloria del Pindaro Savonese. « Torino 23 di marzo 1791 ». (1) ibid. p. 406. (2) A Pier Giuseppe Giustiniani lett. 35. « ..... Ho dato or,line, ovvero disordinato molte delle mie ciancie ; spezialmente ΐAmedeida ho ridotta a quella forma, che da prima componendola le diedi ; ni ho fatto altro che risecare quelle parti, le quali amici et il Duca medesimo mi sformarono a giungere riguardando più al secolo presente che ad altra ragione .... » Di Savona 1635. Il Baron Vernazza non conosceva ancora il carteggio del Chiabrera col Castello, edito soltanto nel 1838. GIORNALE LIGUSTICO I49 * * » Il Codice ha poi il testo dello Jugemant, il quale, premesse alcune considerazioni generali favorevoli al poema, si cambia ■subito in una critica fredda e minuziosa di ciascun canto. Il padie Spotorno (1) nell’edizione del 1836 riferisce gran parte delle ci itiche del D’Urfè e, pur ribattendone molte, è costretto ad ammettere che parecchie sono giuste e fondate. Ma ciò che desta un senso più vivo d’amarezza, osserva il Rua giustamente, si è lo scorgere come quelle censure si appuntino precisamente verso quelle parti del poema che il Chiabrera, certo talvolta a suo malgrado, aveva aggiunte per compiacere aL gust° del principe, gusto che era pure quello del suo secolo. Pei la storia del testo dell1 Aihedeide, pubblicata definitivamente coll’ aggiunta di tre nuovi canti oltre quelli visti dal D Urfé , il Jugemant sur VAmedeide è di grande importanza e mi son deciso a trascriverlo esattamente dalla copia del Vernazza e pubblicarlo, ben lieto di arrecare un modesto contributo a quell’ edizione generale delle opere di Gabriello Chiabrera che fino dai tempi di Celestino Massucco era P ideale degli eruditi della nostra Liguria: tentativo fallito anche nel secolo nostro e che speriamo abbia esito felice almeno pel 1938 se i Savonesi vorranno degnamente commemorare il centenario della morte del Poeta. Alle critiche del D’ Urfè contrappongo in nota le osservazioni dello Spotorno che mi paiono generalmente assennate. G. Bertolotto. (i) Il Rua scrive sempre P<\iorno invece di Spotorno. 150 GIORNALE LIGUSTICO JUGEMANT SUR L’AMEDEIDE POEME DU seig.r GABRIEL CHIABRERA (i) L’auteur a esté tres sougneux observateur de l’unité d’une seule action, & en cela il se peut dire auoir si religieusement obseruee, qu’il n’y a point eu de poete soit Grec, Latin ou Vulgaire qui l’ait deuancé. Les reigles d’Aristote y sont très bien pratiquées. En ce qui est de la tissure de l’œuvre, car le corps n’est n’y trop grand ny trop petit, et ny a rien de monstrueux en ce corps la, pouuant le lecteur suiure fort ayse-mant, avec la memoire du commancemant jusques a la fin de l’action. L’inuantion est bieu prise, car y en ayant plusieurs qui mettent que ce fut deuant Acre que Amedee secourut la religion de S.' Jehan, ditte al~ lors de Rhodes, et d’autres que ce fut Rhodes mesme, l’election qu’il a faitte de Rhodes est beaucoup plus a propos pour etre plus celebre, et conuenir mieux avec la deuise de F, E, R, T. De plus il n’v a rien en toutte l’inuantion qui contrarie aux bonnes, meurs qui est une chose très remarquable, & en la quelle faute presque tous les autres poetes sont [failly cancellato] taxes. De plus l’inuantion est toutte sienne, car son fondemant estant mis sur le vray, ou sur l’opinion receué uniuersellemant de tous qui est une mesme chose que le vray pour un poerr.e il n’en a rien priz que la seule these, Amedee a secouru Rhodes, tout le reste est de sa seule invantion, com-mant il y est allé commant il l’a commance, & commant executé. Quant a la disposition, elle est très belle, car vous n’y voyez rien de confus, rien qui soit mal placé, soit en la disposition de l’œuvre en generai, soit en celle de la colocation des epissodes; qui sont et beaux et fort poetiques, n’estant point trop longs n’y communs. L’elocution, est graue , et si le poeme heroique peut estre dit trop graue sans doute l’auteur sera plustost taxé du trop que du trop peu. Mais parce que la langue Italienne m’estant estrangere il est bien malayse que (i) Nella trascrizione ho mantenuto esattamente la grafia originale. GIORNALE LIGUSTICO j’en donne un bon jugemant ne pouuant pas recognoistre les douceurs ny les nayuetez de la langue, je ne m’arresteray point d’en parler, sinon que je trouue le stile fort veleué les metaphores presque ordinaires, parlant touiours d’un langage figuré & recherché, ce qui a mon opinion le rand un peu rhude. Les descriptions y sont très belles & represantées comme deuant les yeux, les passions, comme de la joye, & de la douleur, de l’amour & de la haine, de la colere de la frayeur & samblables y sont descrittes fort nayuemant & auec des parolles & comparaisons très bonnes & significatiues. Bref le poeme en soy est très beau & qui viura parmi les bons auteurs. Mais comme parmi toutte une moisson, pour bonne qu’elle soit il n’est pas possible qu’il ny ayt quelque espy qui ne soit pas si bien grenee, ou si meure que les autres, aussy sans offance de l’auteur qui véritablement est un très grand & très docte personnage, com’ estant l’un des premiers de son âge, l’on y pourroit desirer quelque chose qui n’y est pas & en changer quelques unes qui y sont. Ht puis que V. A. m’a fait l’honneur de me remettre le poeme entre les mains, & m’en demander mon auis je respondray en cette occasion comme en touttes les autres qu’il a pieu a V. A. me le commander [de le dire espunto], non point pour croire que je sois tel che ie (sic) puisse donner jugemant d’vn si graue et docte poeme, mai seulemant pous obéir à ce qui m’est commandé. Et pour le pouuoir faire auec plus d’ordre & plus intelliblemant ie suiuray les chants par ordre. Chant premier. 11 me samble que quand l'on parle des chrestiens, il ne les faut iamais blasmer, si le vice duquel on les accuse n’est chose très uerifiee. Quant l’auteur veut dire pourquoy Ottoman vint assieger les Rhodiens, il dit que c’ettoit d’autant que leur pechez auoient outrepassé les bornes de toutte misericorde & de tout pardon (i), et touttefois il n’y a historien quelconque qui raconte cela, et pour ce ie crois que ce n’est pas bien (i) Non piace al Critico che il Poeta abbia detto, come Dio Per le colpe di Rodi in ira sorse, C’ avean d’ ogni pietà varcato i segni. Ma il Poeta parti da un principio già proclamato daH’Ariosto, per non citar qui Teologi ed Ascetici, che cioè le guerre barbare o ingiuste, sono da Dio permesse a punire i peccati de’ monarchi e de’ popoli. 152 GIORNALE LIGUSTICO f.iit de blasrr.er ni une religioon si sainte que celle de ces honorables cheualiers de St Jehan, ni un peuple chrestien duquel personne ne dit mal que luy pour chercher subjet à son discours. Je voudrois plustost dire, que les esprits infernaux fasches que ces chlrs (chevaliers) eussent faict tant de grands seruices a la relligion chrétienne, du temps qu’ils estoient en hierusalein, et que maintenant a Rhodes ils fussent le rampart de la chrestienté, & les seuls qui enipechoient le progrez de la secte de Mahommet, pour les destruire, leur sussistent cet Ottoman pour [les espuntoJ ruiner les habitans, & desfaire du tout cette sainte relligion. Ht mesme que d’autant que depuis Ottoman fut chastié & toutte. son irmee si rigoureusemant, le chastimant en sambleroit plus iuste & la protection que Dieu a de son peuple plus assuree, & cet exemple seroit tousiours a ceux qui sont affligez afin qu’il esperent en ce Dieu qui est -.i bon et si puissant protecteur des siens. De plus le poete doit toujours preparer tant qu’il peut le lecteur a la commisération, Se disant que les Rhodiens souffroient cette affliction pour estre bons serviteur de Dieu cela le rand plus digne de compassion, ec. 2. La priere que S' Iehan fait est ce me samble un peu froide & qui pouuoit estre un peu plu pressante, car si quelque autre que S' Jehan faisoit cette priere il seroit supportable que l’on priât Dieu par les merites de S' Jehan comme procteteur particulier de cet ordre de chevaliers, mais que le meme S1 Jehan le fasse, il samble que la priere est vn peu présomptueuse. De sorte que quand la \rierge Marie y eust esté adioutee & que S1 Jehan eust represanté a Dieu les grands services que cette religion auoit faits aux chrestiens, & ceux qu’ils estoient pour faire, outre qu'vne brieue énumération eust esté très agreable & poetique tant du passé que du futur. Encore eust ce esté une bonne instruction au lecteur île voir que iamais les bonnes oeuvres ne demeurent aux prez de Dieu sans rémunération (i). 3. Puis que l’auteur a dit que les grands pechez de Rhodiens estoient cause que Dieu les affligeoit, il fai oit que le perdon fut ou deuancé, ou suiui de repantance et de quelque grande penitance faitte par eux, car (1) Giudica ttn peu froide la preghiera del Batista, e vorrebbe che S. Giovanni avesse numerate ad una ad una le belle imprese fatte dai Cavalieri e da farsi. — Forse è vero che la preghiera è un po’ fredda; ma doveva egli il Batista ricordare a Dio i meriti della milizia di Rodi ? Forse che Dio ha bisogno di sapere le cose per le parole de’ Santi ? GIORNALE LIGUSTICO i)3 nous auons tousiours veu que les perdons que Dieu a faits, soit en generai soit en particulier ont esté faits avec cette condition, comme Niniue, & Dauid (i). Outre que cela sert de grande instruction au lecteur pour luv montrer qu’il doit faire quand il est affligé, pour ses pechez aynsi que l’auteur dit de ceux cy. 4. La harangue de l’Ange et la responce qu’il fait faire par Amedee restrsignent la gloire d’Amedee toutte en Italie qui est ce me samble 1.15.18 vne bien petite partie de la terre pour retenir la renommée d’un si grand Héros (2). 5. Lors que l’Ange parle au commencemant a Amedee, n’y par ses paroles ny par ses actions, ny par le corps & la forme qu’il prand il ne se déclaré point estre autre qu’homme, et touttefois il fait dire a Amedee '-l8 di moy si tu es quelque immortel afin que ie t’adore. Il samble qu’en cela Amedee se monstre un peu perdu de courage puis qu’en son affliction a la premiere vue qu’il a d’une personne il la veut adorer. Peut estre l’auteur a voulu imiter Virgile au p.r de l’Eneide qui fait user de ce mesme termes a son Enee, mais il faut prandre garde qu’il dit, que sa beauté ny son visage ne pouuoit point estre d’un mortel (5). (1) Alla preghiera del Precursore Dio si mosse a pietà. Qui nota il Critico : « il faloit que le perdon lut ou devancé, ou suivi de repantance et de quelque grande penitance faitte par eux ». Ma è cosa verisimile che il Poeta volesse dimostrare quanto sia efficace presso Dio la intercessione del Batista. (2) L Angelo rimproverando Amedeo, che stava in ozio, così gli dice : Ma qual poscia in Italia, almo paese, Fia sculto marmo a le tue chiare imprese? Spiace al Critico, che il Poeta ristringa la gloria d’Amedeo « toutte en Italie, qui est, ce me semble, une bien petite partie de la terre ». Credo che il Chiabrera, sempre intento ne’ suoi versi alla gloria d’Italia, volesse far comprendere che ad un Principe che possedeva già una bella parte del nostro paese , doveva star a cuore d’ esservi specialmente onorato. (3) L’Angelo nel suo primo favellare ad Amedeo, ha tutte le apparenze d’ un uomo ; e nondimeno il Duca gli dice : Vivi mortale, od immortai .... ? Se m’appari celeste, ecco io t’adoro. Qui starei con 1’ Urfé, e mel perdoni il Poeta. 15-+ GIORNALE LIGUSTICO 6. il dit qu’Alfanges auoit les cheueux roux, & dans toutte l’osuure il fait la mesme description des cheueux, & mesme lors qu’Amedee tue Abenamar, il dit qu’il le prand par les cheueux & lui couppe la teste, et il ne prand pas garde que les Turcs se razent tous la teste, & et ne portent [che espunto] iamais cheueux. S’il disoit qu’Alfange eust la la (sic) barbe rousse il seroit bon, car les Turcs ont les moustaches, [Et espunto] mais il dit particulière les cheueux & parlant de toutte une trouppe il dist (fascia i capelli) ces remarques aux poetes son grandement nécessaires (i). 1.48 7· Auant que de descrire l’armee des Turcs il inuoque la Muse comme si c’estoit son but principal que d’immortaliser les Turcs au lieu qu’il deuoit montrer de n’en parler que par nécessité (2). 8. Et est a noter que cette seconde inuocation, descript la Muse comme a la premiere, crino adorno di stelle et di raggi. Et estant touttes deux dans un mesmes chant il samble qu’elles ne deuoient rien tenir l’une de l’autre (3). 9. Aynsi que l’on peut conter a cinq cents hommes pour enseigne comme il descrit les premieres, il mest 7300 de pied en l’armee d’Ot- !,67 man & seulemant mile cheuaux, il samble qu’encore que il ne fut pas necessaire de beaucoup de caualerie pour ce siege, touttefois la personne d’Ottoman y estant, il faloit pour sa grandeur y en mettre d’auantage, & mesme qne presque tous le combatts qu’il fait faire deuant Rhodes c’est presque tousiour a cheual. 10. De plus il ne fait ny icy ny ailleurs nulle sorte de mantion de l’attirail, des engins pour abattre les murailles, comme Belliers, Catapultes, Bricolles, & samblabJes instruments, nécessaires, & qui portent eston-neniant au lecteur, & admiration outre que cette recherche de la b.it-terie des anciens est curieuse, & agréable (4). (1) Dunque errò il Poeta e in questo canto i.° e ne’ seguenti, dando capigliatura ai Turchi. (2) Facendosi a descrivere l’esercito de’ Turchi invoca la Musì; di che si sdegna 1’ Urfé , quasi che il Poeta volesse immortaliser les Turcs. — Non merita risposta. (3) Ma il Chiabrera invoca nuovamente la Musa stessa già invocata nel cominciamento. (4) Il Poeta non conta se non se mille cavalli nell’esercito dei Turchi : e non descrive mai nè macchine, nè altri ingegni guerreschi che danno GIORNALE LIGUSTICO *55 Chant 2. n. Cette seconde vision de l’ange est superflue [soprascritto a inutile cancellato] parce que par la premiere il pouuoit faire la mesme chose, et pour ne remarquer tant de fois cette mesme considération, je me con-tanteray de dire, comme V. A. a très bien remarque que il use tant de lois des démons et des anges qu’il samble qu’il oste l’honneur de touttes les belles actions a ceux qui les executent, et veritable.mant il n’y a pas un chant ou il ne fasse interuenir cinq ou dix fois les exprits de soite que le poeme se pourrait aussy bien nommer Demonomachia, que Ame-deide, puisque il parle plus souuant des actions des esprits que de celles d’Amedee. Horace touttefois commande que Ion ne fasse point venir les dieux que quand c’est pour desnouer quelque chose qui est tellement embrouillée qu’elle ne [le cassato] peust estre esclaircie d’autre façon, ou bien pour quelque chose grandemant remarquable. 12. Quand l’Ange, & l’Ange Custode parle du pays d’Amedee, l’on le nomme Turin, & l’autre ny ajoute que la Dora. Il me samble que c’est faire 2.5.29 tord a la grandeur de son Héros, qui auoit des grandes prouinces, & de grands fleuues, & mesmes des costes de la mer, de sort qu’il faloit nommer plustost les Allobroges, ou la Sauoye, le Pau, & la mer Ligustique que non pas vne vile (sic) de Turin & un petit ruisseau comme est la Dore (1). 13. Il dit che l’Orsino estoit chef de la langue Italienne & le descrit 2.39 jeune, cela est contre [l’ordres cancellato] les statuts de l’ordre de ces cheualiers, parce que telles charges ne se donnent que par ancienneté, & cette ancienneté ne se peut auoir que auec l’age. bella varietà ai poemi. — Può rispondersi, i.° che in Rodi non doveva trovar luogo molta cavalleria; 2° che i Turchi allora, e alcuni secoli appresso, valevano ben poco nell’ arte di maneggiare le macchine da guerra. (1) Questa osservazione é contraria al costume di tutti i Poeti, che sono usi di nominare la città capitale, e il fiume, grande o piccolo, che la bagna. Così fece ultimamente il Manzoni, che nel 5 viaggio nominò l’umile Man^anares, non 1’Ebro, nè il Tago. E la Savoja non è dimenticata dal Chiabrera; perchè nella st. 32 di questo canto si legge: Qual Savoja ne* suoi virtù riserba, ed appresso, st. 35 11 buon Signor de’ Savojardi regni. i s6 GIORNALE LIGUSTICO Chant 3. 14. Il dit qu’Alfange est cogneu de Fernande & mesme il le nomme par son nom, combatant auec luy armé de toutte piece, & de mesme Alfange le nomme Espagnol en quoy il y a peu d’aparance s’il ne dit quelque chose au parauant qui soit cause qu’ils se recognoissent (1). 15. De plus en ce combat il fait qu’un amy d’Alfange luy parle tort long temps, & en presance de Fernande, & que peut on panser qu vn ennemy fasse, dans la chaleur d’un combat, 011 l’vn & l’autre c estoit blessé (2). 16. Faut noter que toutte la description de cet [comb cancellato] assaut est fort ennuyeuse tant parce qu’il est donné sans ordre ny san* art de guerre que d’autant qu’il y a fort peu d’incidants qui (iieritent d’estre racontez, & l’enumeration de tant de morts incognus, & mesn'es tous tuez d’un seul coup est fort ennuyeuse. Et encores que Virgile, & au parauant Homere en ayent quelque fois usé, il n’ est pas bon de les imiter en ce que Ion les a repriz outre que les temps sont fort différants & que le poete v doit faire une grande considération. Outre que il n est pas vray samblable qu’estant armez ils soient tous tuez d un seul coup (3). (1) Qual maraviglia, che un prode cavaliere spagnolo sia noto per il nome ad un capitano de’ Turchi, in una età, quando si combatteva continuo dagli Spagnuoli contro de’ Mori, e quando i Baroni cristiani sovente andavano a militare in Oriente contro de’ Turchi? (2) Ma nell’Amedeide, com’ è stampata, non è detto che Fernando fosse presente alle parole che Dardagnano dice ad Alfange, le quali si sten dono per soli quattro versi, che non durano certamente fori long temps. (3) Non credo che il Chiabrera possa meritar lode d’intelligenza nell’arte militare, essendo veramente senz’ ordine e senza strategia la sua descrizione dell’ assalto dato alla città di Rodi e della difesa che ne fanno 1 Cristiani. Ma vuoisi pur avvertire che i Turchi non avevano allora quella cognizione dell’arte del guerreggiare, che poi cercarono d’apprendere; e tutto facevano con impeto disordinato, supplendo col fanatismo e col numero degli uomini al difetto della scienza guerresca. E quanto a Cri stiani, non eran neppur essi tattici famosi; e il valore individuale, più che la forza delle masse bene ordinate, decideva dell’ esito delle pugne. Non vorrei che 1’ Urfé avesse giudicato de’ tempi di Amedeo colle idee e le arti de’ tempi di Carlo Emanuele. Egli è poi certissimo non esser verisimile, che un sol colpo uccidesse GIORNALE LIGUSTICO !57 Je ne dis rien icy de la remarque que V. A. a faitte ion a propos, s.i0.i de ce que N. D. sauve le Doria, qu’il fauorise presque autant qu’Amedee, &: plus beaucoup que folques le grand maistre, ce qui n’est pas raisonnable &: ne le peut escuser, sinon qu’il est genevois (i) aussy bien que l’auteur. Citant 4 (2). 18. La longue énumération des tuez d’un seul coup est si ennuyeuse que le lecteur ne se peut empescher d’en desirer la fin, parce qu’il n’v voit rien de nouueau, & que le plus souuant il ny a que les noms tout seuls, et encore des noms si fâcheux a prononcer qu’il est impossible presque de les [fa cancellato] lire sans y faillit (3). cavalieri armati di ferro da capo a piedi ; ma il poeta ci fa intendere assai volte la ragione perchè un guerriero cadesse al primo colpo nemico. Innanzi a tutto diciamo non essere stato mai costume de’ Turchi, di ricoprirsi con armature di ferro; e perciò dovevano essi cadere prestamente sotto le spade e le aste de’ forti cristiani. In secondo luogo, il Cavaliere cristiano non era invulnerabile ; non essendo nè potendo essere 1 armatura tutta d’ un pezzo ; e il pregio degli arcieri e de’ più destri combattitori stava in questo di mirare con le saette, e di volgere le punte de lor ferri, a quelle parti del corpo che non aveano riparo nè d’ elmo nè d’ usbergo, cioè alle giunture, dove le commettiture de’ pezzi diversi dell armatura lasciano un varco alle punte delle lance, delle spade e degli stocchi. E la storia ci fa conoscere che alcuna volta si perdettero battaglie per la grande uccisione cagionata dall’ accorgimento di serrarsi da presso al nemico, e con gli stocchi ferirlo nelle parti vitali, ovunque le commettiture lasciavano un piccolo varco all’armi di punta. (1) Vorrà dire génois. Nell’Amedeida Maggiore queste stanze furono allogate nel Canto 50. Lo Spotorno osserva: I poeti epici hanno un personaggio , che non è il principale, ma cui danno una grandezza e virtù ideale; nè alcuno mai pensò di condanarli con sì grave sopracciglio, come fa il censore dell’Amedeide. Bastino gli esempi di Turno dell’Eneide, e di Rinaldo nella Gerusalemme. (2) Del canto che figura quarto nelYAmedeide Maggiore, nulla si ha nell’Amedeide Minore; e niente che ad esso si riferisca, trovasi nelle osservazioni critiche del Cav, d’ Urfé. (3) Quanto alla parte prima di questa censura, cioè alla lunga lista di morti uccisi d'un colpo solo, si è già risposto nelle annotazioni al 15» GIORNALF. LIGUSTICO 19. Il faut notter qu’il met torce noms de maisons qui n’estoient point en honneur en ce temps la, 011 pour le moins qui estoient si vils qu ils ne pouuoient estre mis au rang ou il s’en sert, comme de fracastor, caponi, et plusieurs de Sauonne en quoi il fait tord a ceux qu’il nomme & qui estoient veritablemant illustre en ce temps la (1). 20. Le discours de Coldre et de son compagnon, qui parlent si longe-mant entre eux quand il rancontrent leur maittre en terre est bien superflu, car encore qu’il eust esté mort touiours estoit ce bien fait d emporter le corps de leur maistre pour l’enterrer, a quoy donq tant de propos se domandant s'il est en vie & s’ils l’emporteront? (2). canto III. Se al censore piacque di ripeterla, a noi spiace d annoiare i lettori. Riguardo ai nomi cosi malagevoli a pronunziare, il signor d’Urfé non é giudice competente. A me riesce più facile pronunziare, per es. Οι sino che de Boufiers, Trasideo che Bouchicaut ecc. ; ma io non conosco come fosse formato il timpano, nè come fatta la lingua dell Urfé. (1) Tra le doti egregie dell’animo del Chiabrera, non è ultima quella di uno sviscerato amore per la gloria della nazione italiana. Guidato da si nobile sentimento volle fingere che all assedio di R0J1 si trovassero molti cavalieri italiani ; dando loro i cognomi o di qualche famiglia per feudi e per guerrieri famosa, come Doria, Orsini e Baglioni, 0 per sommi letterati illustre, siccome Fracastoro e Castiglioni. L amoi di patiia fe cegli introdurre nel poema un Riario savonese. L’ amicizia gli dettò di innestarvi un Corsi fiorentino ed uno Sperone, padovano: per altre città scelse a piacere tra’ cognomi più nobili ; per es. in Asti i Rovèro, in Ancona i Ferretti. Vero è che non tutte queste case erano egualmente famose a’ tempi di Amedeo ; ma un poema non è un albero genealogico. (2) Nell’Amedeide, qual va stampata, tutto il lungo discorso di Codro e del compagno è ristretto in meno di cinque versi (V. 50). In tale stato duo scudier P han scorto lsmeno e Codro ; e favellava Ismeno : Codro, che direm noi ? del tutto è morto, O la grand’ alma anco raccoglie in seno ? E Codro : ecco ei respira ; abbia conforto, A lui medica man non venga metto : Fia forse alla sua vita alcun riparo. E sulle braccia il grave peso alzaro. Ma forse nel MS. presentato dal Poeta al Duca il dialogo degli scudieri sarà stato più diffuso. GIORNALE LIGUSTICO 1)9 Chant 5. 21. Je remarque deux chose et la tromperie que le démon veut faire a Amedee lorsqu’il se presente a luy, l’une que luy voulant persuader que Rhodes estoit deja priz il deuoit auoir priz la forme d’un homme de qui 6.22 le nom fust cogneu par réputation & non pas d’une femme du tout in-cognue que Amedee pouvoit auec raison croire s’en estre fuye de peur (1). 22. Et puis que l’auteur vouloit [prandre cancellato] donner cette forme au démon, il deuoit aussi y ajouter touttes les choses vray samblables, mais il n est pas vray samblable, qu’vne royne telle qu’il se dit soit avnsi seule parmi les rochers, & mesme ayant sa nauire encree a la plage voisine (2). 6.32 23. Et les discours d’Amedee me samble aussy peu vray samblable, car il ny a pas apparence, qu’vn si sage prince rancontrant une femme ex-ploree luy aille dire qu’il vient pour secourir Rhodes, ny moins qu’il 6.14.17 saille vanter que Dieu le mande pour donner ce secours, et puis enfin lu\ descouure que Dieu luy ayt envoyé un Ange pour ce subiet, & lui 6.49 en doiue enuoyer encore un autre, car ces grâces & ces visions se doivent celler a chascun a plus forte raison, a vue femme, & femme encore incognue (3). (1) Il critico ha ragione. (2) È verissimo che la fìnta regina dice ad Amedeo : E mentre qui m* ascondo, il mio naviglio Hd il nocchier là già m’ attende e pesa ; ma trattandosi di piccoletto legno, come chi dicesse una gondoletta, potea ben essere che nel naviglio si trovasse un solo marinaio; il quale, rimanendovi a guardia del legno,-non poteva accompagnare la regina; che non era poi la regina di Francia, ma di due isolette in levante. (3) Che le grazie e le visioni si debbano celare, non è sempre vero; Raffaele diceva a Tobia essere bene rivelare le opere di Dio. Lasciata dunque da un lato la ragione ascetica, non opportunamente allegata dal Cav. d’ Urfé, diremo che il Duca troppo apertamente scopre cose importantissime e segrete ad una principessa ignota; la quale, partendosi sul piccoletto legno, e divulgando il luogo dove Amedeo si stava, e i diseo-ni che volgeva nell’animo, avrebbe potuto nuocere moltissimo all’impresa del soccorso di Rodi. Insomma, in questo canto VI sono versi bellissimi, nobili sentenze, e locuzione elegante; ma non è degno di quella mente che il compose, nè di quella scienza che sempre apparir debbo in tutte le parti d’ un epico poema. ΐ6θ GIORNALE LIGUSTICO Chant 6. 24. Tout l’honneur che l’auteur doit attribuer a son héros il le luy oste par le moyen des armes inuincibles que l’ange luy donne, car le moindre s de Rhodes a qui ces armes eussent este aportees, en eust lait autant qu’Amedee, et il n’auantage en rien d’auantage son héros, si non en 1 e-lection que Dieu en fait, et s’il est vray que le poete doiue randre celui qu’il entreprand de chanter, le plus estimé qu’il est possiblr, il samble qu’il deuoit outre Γélection de Dieu, y ajouter quelque action de prudence & de valeur en celuy cy. Mais faire faire tout par la force des armes, & par les miracles c’est luy rauir une grande partie de sa gloire, et d’effet quand Homere represante son Achille impenetrable, il luy laisse touttefois vn endroit par ou il peut estre blessé, et encorcs que \ ir^ilc donne a Ænee des armees que Vulcan a forgees touttefois il ne dit pas qu’elles soient inuincibles & contre les quelles rien ne puisse resister, leur attribuant cette vertu celeste, l’homme ny [participe point cancellato\ contribue rien de sien, qui soit digne de louange, et aynsi le poete ne paruient pas au but qu’il a choisi, qui est de grandemant louer son héros Donques ie voudrois pour laisser quelque place a la vertu du Dr. Amedee, luy donner ces armes, mais [les cancellato] luy en conditionner force, comme si l’Ange luy disoit, ces armes sont telles que rien ne le pouvra resister si tu es courageux si tu as ton espérance en Dieu, si desseins sont tous a son honneur & gloire, si tu ne fléchis point à la peine, si tu ne te laisse point emjjorter aux voluptés & aut(r'· ) vi<.es & sa blables conditions, car par ce moyen il y auoit outre l’election de Dieu quelque chose du sien qui le randroit plus estimable. Mais de faire ] coupe a l’un la teste a l’autre le bras a l’autre la cuisse & a l'autre le travers du corps sans autre plus grande peine, & aynsi que lu\ auteur raconte en ce chant & en tous les autres combats les actions d’Amedee il me samble qu’il vaudrait autant raconter les herbes qu’un faucheur abat auec sa faux dans un grand pré ne montrant pas qu il y ayt plus de peine en l’un qu’en 1 autre (1). (i) Le censure di Onorato d’Urfé sono molto prolisse; e perciò ne daremo brevemente la sostanza. Non piace al critico che Amedeo riceva le impenetrabili armi celesti ; perciocché « faire faire tous par la force des armes, et par les miracles c’est luy (ad Amedeo) ravir une grande partie de sa gioire ». Osserva / GIORNALE LIGUSTICO 161 25. Il laut encore noter en ce chant & en tous les autres qui suiuent & ou il parle des combats d’Amedee qU’il fait tuer tous ceux qu’il ran-contre d un seul coup, sinon Ottoman, et il n’attribue pas seulemant cette force a Amedee, mais presque a tous les autres qui combattent ce qui est fort peu vray samblable estant principalemant armez comme nous sauons que le chrestiens vont dans les combats, & meme en ce temps la les cheualiers (1). 26. De plus & ce qui est bien a remarquer, il fait venir Amedee attaquer septante & tant de mile hommes, tout aynsi qu’un loup donneroit dans un trouppeau de moutons, sans prudence, sans art, ny sans autre artifice sinon qu il frape a tord et a trauers, qui samble un de ces conte desquels les nourrices endorment leurs enfants. Il faloit donque ce me samble y mettre quelque vray samblale quelque artifice & quelque prudence d’Amedée, quelque dissention qui fut auenue parmi les Turcs, quelque sortie de ceux de Rhodes, quelque Pan de muraille qui tumbant eust effrayé les assaillans, & qu’en mesme temps, estant chaudemant poursuiuis l’ennemy s’estoit effroyé & presque enfuitte, ou quelque autre chose de samblable. Car nous remarquons qu’en touttes les actions que Dieu a fait faire a Josue, a Gedeon, a Dauid & aux autres qui ont eu sa particulière assistance, il a tousiours voulu qu’ils y ayent contribue & leur peine, leur artifice, & leur prudence, & courage, l’enumeration en seroit trop longue a la raporter icy, mais elle est assez cognue de chascun. che Omero lascia ad Achille un endroit par ou il peut estre blessé; e che Virgilio non disse che fossero invincibili, le armi temperate nella fucina di \ ulcano per Enea. Conchiude il Censore : « Adunque io vorrei, per » Lisciare qualche luogo alla virtù del grande Amedeo, dargli quest’armi, » mettendo però certe condizioni alla forza; come, se l’Angelo gli di-» cesse : Quest’ armi sono cosi fatte, che nulla ti potrà resistere,°se tu » sei prode , se tua speranza metti in Dio, se i tuoi disegni sono tutti » ad onore e gloria di lui ; se la fatica non ti abbatte : se non ti abban-» doni alla voluttà ed ai vizi, e somiglianti condizioni ; perchè in tal » guisa, oltre l’elezione di Dio, sarebbevi alcuna cosa di proprio, che » farebbe crescere in pregio I’ Eroe. (x) Nota poi, come cosa fuor d’ogni verisimiglianza, che Amedeo, e pressoché tutti gli altri combattenti, uccidono i nemici con un solo colpo, tranne Ottomano ; la qual cosa non è poi vera così sempre, come dice il cav. d’ Urfé, e ne abbiamo già toccato altrove. Giokx. Ligustico. Anno XXI GIORNALE LIGUSTICO De plus, il n’est pas vraysamblable qu’entre tant Je cappitaines Turcs qui vo}'oient combient vn seul cheualier leur faisoit de mal il ne s en trouuat un seul qui raliant plusieurs auec luy, ne vint assaillir Amedee afin que ne pouuant le surmonter vn a vn, ils le suffocassent par le grand nombre, car encor qu’ils ne l’eussent pas pu faire a cause des armes inuincibles & l’assistance diuine, touttefois eux qui ne le sauoient pas, ne deuoient pas laisser de faire ce qui estoit raisonnable, & que les moindres personnes aguerries n’eussent pas'manque de faire. 28. L’on dit qu’il faut que le manteur ayt bonne memoire mais le poete sourtout qui est manteur & veut estre creu verirable, l’auteur samble en quelque sort manquer quand après auoir dit que les armes d’Amedee estoient impenetrable, [et que cancellalo] il escrit qu’un turc le frappe su 7.21.6 i»eauinîe & |e blessa, saldo la piaga scittica sostenne (1), & au mesme chant, Il dit qu’Ismeral s’adressant a Amedee qu’au parauant il auoit armé de toutte pièce 7*48-7 E col brando gl’assalta il fianco ignudo Et qu’Oronte aussy le frappe 7-74-4 In verso il sen eli il vincitor a nudo. Je ne say pas commant il l’arme de toutte piece, & puis qu il die qu il a le flanc & le sein nud. Il samble qu’en cela il y ait quelque contradiction (2). (r) St. 21. Canta il poeta che un maomettano ad Amedeo L’ elmo percote : ei come selce alpestre Saldo la piaga scitica sostenne- E il censore, rammentato, poco gentilmente invero, Γ antico proverbio « conviene che il mentitore abbia buona memoria » aggiunge che il Chiabrera non ricordando più le armi impenetrabili date ad Amedeo « il escrit qu’un ture le frappe sur l’eaulme, et !e blesse — saldo la piaga scitica sostenne ». Ma forse il poeta usò piaga per colpo: benché non mi sovvenga esempio di tal significato [cfr. πληγήJ. (2) St. 66. Narra il poeta die Oronte Avventa di due punte una zagaglia Inverso il sen che *1 vincitore ha nudo « Je ne say pas (dice il critico) commant il l’arme de toutte piece, et puis qu’il die qu’il a le flanc et le sein nud ». Sarà una distrazione del Chiabrera. giornale ligustico V. A. a très bien remarqué la mauvaise action que l’auteur fait faire a Amedee, lorsqu’Abenamar a genoux luy demande la uie, car verita- blemant si Amedee estoit en vie il ne confesseroit iamais cette cruauté, quand on le mettroit a la torture, et quoy quii samble que l’auteur sé veuille escuser sur l'ordonnance diuine, touttefois nous ne voyons point quii en ayt receu de tout tuer sans pardonner a personne, ou particu- haremant a ce Abenamat et si cette ordonnance luy eust esté faitte, jamais le poete ne deuoit le faire uenir a vne samblable action, qui est pleine d inhumanité, & mesme de la façon qu'il la fait faire, car il dit que d’une mam tout a genoux qu’il estoit il le prit par ,es clleveuX, & de l’autre i uy coupa la teste, et de plus l’ayant tué pour finir entieremant l’acte de parfaitte inhumanité. Amedeo calpestra (sic) le fredde membra (i). 30. Et encores fout il noter en cette action qu'il fait que Amedee prand Abennamar par les cheveux & l’auteur ne se souuient pas que les turcs sont tous razez sous le turban. 7.25 7.29 7.29 7.30 (i) St. 25-29. Abenamar, vedutosi sul punto di essere ucciso da Amedeo, • · - · l’arco di gemme luminoso Depose in terra e la faretra armata; E ginocchiato in ripregar mercede Umil baciava al gran nemico il piede . et Amedeo che in seno Chiudea memoria de’ voler divini . con la manca man gli afferra i crini E colà con Tacciar colpisce appieno, Ove il petto e la gola han suoi confini; Quei supin cade, et Amedeo calpesta Le fredde membra e di ferir non resta. In questo luogo il cav. d’ Urfé trova degna di grave riprensione la crudeltà attribuita ad Amedeo; e dice non vedere nel poema che l'Eroe abbia ricevuto ordini divini cosi severi, che non lascino luogo ad un atto di pietà. E il calpestare le membra del nemico ucciso, è fatto-non degno di alto cavaliere. Ricorda poi che i turchi non nutriscono i ermi,· facendosi rader la testa, che cuoprono col turbante. Ma forse non è rigorosamente vero, che tutti i maomettani si radano attuto il capo. tfeLGenó-vesato si afferma che lasciavano un ciuffo di capevi, detto dal vol*o nostro sciscìa. 164 GIORNALE LIGUSTICO Chant 7. s.14 31. Il dit qu’autour d’Ottoman il auoit ses barons, je ne sais commant il puisse attribuer ce nom aux turcs, qui n’ont point non seulemant de ces tittres de marquis contes ny barons, mais qui n’ont pas mesme celuy de noblesse (1). 32. Quant a la remarque que V. A. a faitte de ce que Lancastre meine s 40 ce Turc a Foulques sans sauoir s’il le veut, elle est faitte auec beaucoup de raison, car personne qui est commise a la garde d’une porte, la vile (sic) mesme estant assiegee, ne doit laisser entrer personne sans 1 expresse permission de celuy qu’y y commande (2). (1) Ha ragione il critico, ove il vocabolo Barone si voglia intendere nel senso feudale dell’occidente ; ma le parole pigliano assai più volte un senso più largo che non avevano a principio : così Marchese propriamente significava Governatore civile e militare di una vasta provincia, ed ora sono puramente titoli d’ onore. Ed anche si potrebbe dimostrare storica mente che i Maomettani, se non hanno de’ Baroni, hanno però de feudatari, che possono in nostra favella meritare quel titolo. Ma non occorre dir altro su questo proposito, sapendosi che Barone ne poemi italiani significa un capitano di alto grado nell’ esercito. (2) Comincia alla stanza 40 un episodio , intorno al quale furono proposte alcune opposizioni. Ad una porta di Rodi, della quale aveva la guardia Lancastro inglese, si presenta Agitercano, che, avendo ricevuto una grave ingiuria da Ottomano, viene ad offerirsi ai Cristiani, pi omettendo di uccidere il Signore de’ Turchi. Lancastro introduce Agitercano, e lo presenta a Folco gran mastro di Rodi. Parve al Duca di Savoia, udendo leggere il poema, che Lancastro avesse trasgredito le regole della guer introducendo nella città in tempo della oppugnazione, un incoDnito veniva dal campo nemico, senz’ averne prima ottenuta facoltà dal capita supremo. Il cav. d’ Urfé trova ragionevole, ed a buon dritto, l’osservazione del Duca; ed aggiunge che il Poeta « devoit avoir fait faire a ce » Turc quelque chose en vengeance de 1 offance de la quelle il se piai » gnoit ». E veramente non facendo più nulla questo Agitercano, 1’ episodio non è collegato col poema; e senza avere la bellezza di quello di Olindo e Sofronia del Tasso, ne ha il principale difetto. Un episodio che si può stralciare senza che il poema ne riceva danno, è contrario alle leggi della poesia. Ma 1’ Urfé propone un’ altra censura, che risguarda dia moralità; ed GIORNALE LIGUSTICO 33. De plus il me samble que pour ne randre point tant inutile cet epissode au reste du poeme il deuoit auoir fait faire a ce Turc quelque chose en vangeance de l’offance de laquelle il se pleignoit, ou bien le faire chastier par la justice diuine, par quelque hazard de guerre pour montrer que Dieu punit tousiours les traistres, et mesmes que ce soit veulent attanter a la vie de leur prince souuerain. Car le poete sur toutte chose doit tousiours s’etudier de proposer des exemples de rémunération, & de chastiemant des vertus & des vices, pour attirer aux uns & eloigner des autres les lecteurs. 34. Au contraire, qui est une chose que ie trouve un peu estrange, en-cores qu’Amedee ne se veuille seruir de luy en cette occasion, si est ce 9.52 qu’il luy dit qu’il a raison il me samble qu’une belle action ne deuoit point estre auouee pour bonne par un si grand Prince. [Il cancellato] J’aurois donque opinion que cet epissode deuroit este (sic) [la cancellato] osté, ou bien y ajouter quelque chose pour le randre tel que je dis & exemplaire, & pour s’attacher au poeme puis qu’en l’estat ou il peut estre du tout osté sans que le poeme en ressante nul deflaut. è questa, che il Poeta doveva trovare l’incontro di mostrarci punito Agitercano del suo tradimento « pour montrer que Dieu punit tou-» jours les traistres, et mesmes ceux qui pour quelque occasion qui ce » soit veulent attanter e la vie de leur prince souvrain ». — Perciocché, seguita a dire il critico, debbe il poeta sopra ogni còsa studiarsi ognora di proporre degli esempi di rimunerazione e di castigamento delle virtù e de’ vizi, per allettare a quelle, e da questi allontanare i leggitori. Sentenza degna di cavaliere cristiano I Com’ ebbe Agitercano palesato il disegno di uccidere Ottomano , veggendo Amedeo che il Gran Mastro non faceva risposta, così prese a dire al traditore (canto IX, 32): .....Guerrier, le tue ragioni intendo ; L’ opra del Re fu scellerata e rea : Il tuo disegno io volentier commendo ; Ma non vo’ che di pregio e che di gloria Sì scemi con tua man nostra vittoria. La qual risposta parve al cav. d’Urfé une chose un peu estrange : « Il me » semble qu une telle action ne devoit point estre avouee pour bonne » par un si grand Prince ». Nell’Amedeide minore non si legge parola di quest’ episodio di Agitercano. 166 GIORNALE LIGUSTICO Chant 8. 35. Il samble que quand Ottoman tue Aleman ce soit une chose contraire a ce que les grands Turcs ont accoutumé de faire, parce que leur ordinaire est de le faire taire par autre, touttefois s’il se peut excuser sur la colere ie m’en remets au iugemant d’autruy, & mesme s’il y a subiet de colere, puisqu’il estoit blessé & que mesme il dit que le sang couloit encore, & que Aleman le dit luy mesme a Ottoman (1). 36. En ce chant on ne voit presque rien que de songes, & des apparitions d’esprits & des discours des démons entre eux qui sont du tout trop ordinaires comme V. A. a bien remarqué. Chant 9. 37. Ce chant est aussy tout plein d’esprits, et ie ne say pourquoy Aletto qui fait ranforcer le combat & l’assaut contre Rhodes, fait ce qu’elle peut pour persuader la sultane de faire partir Ottoman & laisser la siege, il samble qu’il y ayt de la contradiction (2). (1) Quanto al fare che Ottomano uccida l’infelice di sua mano propria, vero è che i gran Signori de’ Turchi si servono in cotali uccisioni del braccio altrui; ma qui trattavasi di materia gelosa, e in ispecie nel-l’Oriente, ed in un secolo non ancora guasto dalla mollezza; e però il far trucidare Alemano alla scoperta, sarebbe stato come un far pubblica l’onta di una fiamma disonesta. L’ altra parte della censura, ingenuamente dichiaro eh’ io non l’intendo. Può essere che il Chiabrera mutasse alcuna cosa nel dare alle stampe il poema ; e da ciò verrebbe l’oscurità della critica fatta sul manuscritto. Più chiara è questa che segue. « En ce chant on ne voit presque rien que des songes et des démons entre-eux qui sont du tout trop ordinaires, comme V. A. a bien remarqué». Questo difetto tolse il poeta riducendo l’Amedeida a soli dieci canti ; e ordinando che fosse pubblicata lui morto. E su questo poema convien leggere le lettere del Chiabrera a Bernardo Castello, che si stampano dal sig. Ponthenier ; essendo in esse la storia minutissima dell’Amedeida. (Vedi Appendice). (2) Non v’ ha contraddizione di sorta. Al trionfo de’ Turchi 0 conveniva che Rodi fosse espugnata, o che Ottomano si ritirasse prima che una di lui sconfitta potesse rendere più gloriosi e più forti i Cristiani. Aletto perciò adopera due mezzi, che paiono l’un l’altro contrari, ma che ten_ GIORNALE LIGUSTICO 167 Chant 10. 38. L’auteur dit que Sangario estoit Magicien, & touttefois touttes les choses qu’il lui attribue eu descriuant cet homme ne sont que celles d’un sorcier qui est de gresler faire la tempeste & l’orage, faire mal au bestail & samblables, et il faut noter qu’il y a grande differance du sorcier au magicien, car le magicien fait ses sortileges auec art & le sorcier ne fait que les maux que le diable luy donne a faire, & par de choses lesquelles luy mesme n’entand pas (1). 39. Il est a noter qu’ils sont au deuant de Rhodes, & touttefois il descril l’habitation de Sangario, comme si c’estoit en sa propre demeure auec les paremants & horreurs qui sont dans les effroyables cavernes de telles gens (2). dono pure ad un fine medesimo; ch’è quello o di espugnar Rodi, dovesse pure andarvi la vita di Ottomano, o di farlo risolvere a ritirarsi avanti che fosse vinto con danno e vergogna de" Musulmani. (1) Quest’annotazione dell’ Urfé può dar motivo di risa al nostro secolo ; ma era cosa molto seria nei tempi del Chiabrera. Nel secolo XVIII il Tavtarotti con ,un libro pieno di erudite citazioni si sforzò di difendere altra cosa essere l’arte magica, ed altra la stregheria; negando questa, e quell’altra ammettendo. Contro a questo libro del Tartarotti, pubblicò il marchese Maffei due operette, YArte magica dileguata, e YArte magica distrutta; ed avendo il Tartarotti, e con lui molti altri scrittori, combattuto in difesa della magia, pubblicò finalmente YArte magica annichilata. Noi rimettiamo i dilettanti di stregherie e di magiche frodi a’ libri degli autori citati; aggiungendo solamente che la stregheria ammessa cosi seriamente dal cav. d’. Urfé, è negata dall’abate Tartarotti, che ammette solamente la magia. Cosi che a difesa del Chiabrera dovrem dire eh egli un secolo prima del Tartarotti pensò doversi attribuire alla magia tutte la operazioni che altri ripartivano tra la magia e la stregheria. (2) La qual cosa sembra non convenevole al censore ; perchè cioè ils sont devant de Rhodes, non già nella patria di Sangario, il quale nacque sul Nilo, pei giunse in Asia ed ottenne il favore di Ottomano. La censura è verissima , se non che nella stampa non si tro%Ta la descrizione della casa del Mago e de’ paramenti che orribilmente 1’ ornavano. Vero è che il poeta dice l'orribil stanza parlando del luogo , nel quale chiudevasi Sangario per operare i suoi studi di magia ; ma oltre che il Chiabrera I 68 GIORNALE LIGUSTICO 40. La sultane parie a Sangario de l’action que Amedee auoit fait le mesme iour comme s’il y auoit de moix & des annees / verme de l’alma Italia / e fece di sangue ogni sentiero ec. (1). 41. Sangario au comancemant de sa coniuration outraye le demon qu il 4 inuoque & l’appelle cruel & meschant, ce qui n’est pas suiuant les règles de semblables enchanteurs qui au contraire les louent tousiours. 42. Mais il faut noter icy une chose que ie ne say comme l’auteur a osé mettre les parolles mesmes des quelles le magicien se sert, chose qui est encore sans exemple , car c’est aprendre a faire le mesme sortilege , et tous les autres Poetes qui en ont parlé s’ils mettent les circonstances & les choses qu’ils font ils ne mettent point les parolles, mais disent seulemant, il murmura certains vers ou certaines parolles & s’ils mettent les parolles, ils passent sous silance les circonstances, mais celuy cy a mis toutes les deux (2). Et ce qui est cause que cela ne se doit pas, c’est que ou l’on aprand a estre sourcier si la recette est vraye ou bien si quelque curieux la uouloit espreuuer & ne la trouuant pas vray, il peut convaincre l’auteur de faux (3). non fa descrizione di paramenti, ognuno ben vede che il mago doveva avere una tenda , o trabacca , o cosa simile, dov’ esercitarsi ne suoi incantesimi. Adunque diremo che il poeta togliesse dall opera sua quella descrizione che giustamente spiaceva al censore. (1) L’ osservazione è giustissima ; e duoimi che il Chiabrera non abbia tolto dal poema questa dissonanza ; nè anche nel MS. che lasciò emendato per la seconda edizione. Io confesso la mia ignoranza assoluta del cerimoniale de’ maghi quando parlano a’ demoni ; ma dico che nel poema, qual è nella stampa, veggio che Sangario sul bel ptincipio manchi di rispetto a signori del regno tenebroso ; che anzi li prega e dà loro il titolo di Numi possenti. Forse il MS. venne riformato dal Chiabrera, dopo d’aver imparato dal suo censore il Galateo de’ diavoli. (2) Profonda è 1’ osservazione, per coloro che riguardassero le magiche frodi come un’ arte vera fondata sopra regole sicure. (3) Veramente io penso che non dorrebbe gran cosa al poeta d esser convinto di falso in arti magiche; ma se il Chiabrera voleva introdurre magie nell’Amedeide, doveva conformarsi a ciò , che secondo 1 opinione di coloro che prestano fede a’ sortilegi e simili sciocche ribalderie, è proprio dell’arte magica ; specialmente avendone gli esempi d’altri poeti. / GIORNALE LIGUSTICO 169 43. Ireine au commancemant lors qu’elle s’offre de mourir, dit que si pour appaiser, et contanter les esprits infernaux, il faut une fille pour sauuer Ottoman, elle est toutte preste, et puis quand elle se tue, elle leue les yeux au ciel, inuoque les esprits celestes afin qu’ils soient contants ,,.49 & satisfaits de ce qu’elle se sacrifie pour Ottoman, & ne fait aucune mantion des esprits infernaux (1). 44. Et sur cecy il faut noter, que ce démon auoit inuanté cette ruze estoit bien ignorant de la creance des Turcs parce que les Turcs ne croyant point en la pluralité des Dieux, mais a un Dieu seul createur de toutte chose, & ne font jamais sacrifice aux esprits infernaux. De sort que ie ne say commant ny la sultane ny Ireine soient si prompte l’une a le croire, 1 autre a se tuer, puis que cela est contre a leur creance (2). 45. Une autre chose est fort remarquable. Sangario, s’en va chercher un mont sur le lieu ou auoit esté fait le combat, & y fait son enchan- ,, lS temant & coniuration, et pour la seconde fois, il s’y en retourne auec Ireine, sans qu il fasse mantion ny de garde ny de santinelle, & y at il apparance que les Turcs ayant receu une si grande desfaitte, et les Rhodiens n ayant point de muraille en leur vile (sic), laisse l’espace qui est entre la vile & le camp sans garde ny santinelles (3). (1) Questa censura non è trascritta dallo Spotorno, perchè nel poema stampato non apparisce la contraddizione notata dal cav. d’ Urfé ; ed è la seguente: Irene s’offre a morire per placare gli spiriti infernali; ma nel- 1 atto di darsi la morte prega gli spiriti celesti ad esser paghi di tal sacrifizio. Se cosi era nel MS. ottimamente fece il poeta a riformare questa parte dell’ opera. (2) Ma, soggiunge 1 Urfé : il demonio che inventò 1’ artifizio di non far morire una vergine vittima agli Dei, era molto ignorante, non sapendo che i Turchi adorano un solo Dio, e non fanno sagrifizi agli Spiriti infernali. Questa osservazione non è da porsi in dispregio. E lo stesso diciamo della seguente. (3) Vassene Sangario a cercare un morto nel luogo dove il dì avanti s era combattuto; nè il poeta parla di sentinelle, che guardassero il campo; cosa troppo contraria alle regole di buona guerra. Si potrebbe rispondere che i Turchi d’allora non sapevano, o non curavano tutte le minutezze della nostra disciplina militare ; ma sarebbe risposta da non farne conto ; perciocché i Rodiani, specialmente essendo smantellata la città, e il campo ad essa vicino, non potevano rimanere senza guardie in faccia al nemico; secondo che ottimamente considera il censore. τηο GIORNALE LIGUSTICO ,,.5, 46. De plus il fait qu’Ireine se tue elle mesme, qui est une chose ina-coutumee & qui n’a iamais esté ditte que la victime se tua soy mesme (1)· Chant 11. 12.28 47· Il nomme l’Empereur de Costantinople Roy de bizance, les tittres se peuuent bien augmenter, sans estre repriz comme d’un duc 1 appeller roy de ses peuples, mais non pas le diminuer, il est vray que le mot de prince comprand toutte puissance souueraine (2). 12.3g 48. Les armes d’Ottoman sont descrittes trop au long & les choses qu’il y met ne sont d’aucune substance pour le poeme. estant presque touttes de fables & choses assez triuiales (3). 49. ΙΓ fait sortir en pleine campagne folques, auec deux ou trois mile hommes, pour combatre une armée de septante quatre mile hommes, en quov ie remarque trois [soprascritto a deux cancellato] choses un peu contre mon opinion. 12.53 La première que foulques qui est le chef de la place assiegee sorte (1) Qui altri potrebbe dire, che non si trattava precisamente di un sagri-fizio in tutto il rigore teologico ossia liturgico (che anche le false religioni hanno certe loro credenze e cerimonie fedelmente mantenute), ma si di far morire una vergine , della quale i demoni chiedevano la morte per salvare Ottomano. Come che sia, non piace, nè a me pure, quella Irene che da se medesima s’ uccide. Vorrem noi dire che il poeta pensasse con ciò di far meglio risaltare l’eroismo della vergine? È degno di osservazione che nel sec. XVI, anzi nel 1 5 55 ^ue Pr°te stanti inglesi, cioè il chimico Devi ed un Kellay suo compagno, avevano posto nuovamente in uso la sacrilega superstizione di tentare per mezzo de’ cadaveri di conoscere le cose occulte ; come si può vedere in un.i operetta del Gaspari intorno le avventure di Francesco Pucci. (2) Spiace al cav. d’ Urfé questo titolo di Re dato ad un Imperatore, dicendo che i titoli si possono accrescere, non già scemare; ma è censura troppo sottile ; nè un canto poetico è un diploma. Meno spregevole é l’osservazione che segue. (3) Per altro nella stampa, la descrizione delle armi non empie quattro stanze, e perciò non può dirsi troppo lunga ; e se non è di sostanza, è d’ ornamento al poema. È vero che anche il cavallo e gli arnesi che il coprono e l’adornano, hanno qui la propria descrizione ; ma questa similmente è breve, e i versi sono bellissimi. GIORNALE LIGUSTICO dehors, ce qui ne se doit faire selon l’ordre de la guerre pour quoy che ce soit (i). 50. L autre qu’il ne laisse presque personne pour defendre la ditte place si de fortune elle venoit a estre attaquée de quelque autre costé , mais au contrere (sic) en oste presque toutte la de deffance, et cela ie ne say commant auec une stance il n’y a remedié car il le pouuoit faire aysemant (2). 51. Et la troisiesme, commant deux ou trois mile hommes se vont 12.37 presanter deuant septante & quatre mile en pleine campagne, sen que le iour précédant il n’auoient point assez la force pour se deffandre dans la vile mesme (3). Et ne faut point alleguer, qu’ils estoient fortifies de l’assistance d’Amedee parce que il les fait combattre tant que deux liures se peuuent estandre, sans qu’Amedee y soit, qui est vne chose si [fort cancellato] peu vray samblable que ie ne say commant il n’a voulu couurir cette (0 '1 critico una più severa osservazione, che daremo suc- cintamente, perchè il poema stampato in questa parte sembra non rispondere esattamente al manuscritto esaminato dal cav. d’ Urfé. In primo luogo trova esser contrario ad ogni principio dell’ arte militare il rappreseutar Folco, comandante della piazza stretta d’ assedio, che ne esce fuora a ordinare le schiere per la battaglia campale. Ed è verissimo, comunemente parlando, che il comandante supremo d’ uua piazza non esce in persona , ma chi ne assicura che tal regola non possa avere le sue eccezioni ? E parmi che qualche esempio se ne legga nella guerra del 1813. (2) Rimprovera in secondo luogo al poeta, che faccia restare la città di Rodi quasi priva di difensori ; ed anche in questo trova giustamente un errore d aite militare; ma nella stampa non si vede quest’abbaglio cosi manifesto, come forse appariva nel testo a penna. (3) Finalmente , non sa darsi pace il censore veggendo due o tre mila cristiani presentar battaglia a 74 mila ottomani. Ma i poeti fanno di questi prodigi, e de’ maggiori: e poi, non è nuovo che pochi drappelli d’europei abbiano l’audacia di venire a cimento con eserciti d’orientali. La storia della Grecia antica può servire d’ esempio. Ed anche si vuol notare che i cristiani erano stretti dalla società ad accettar la pugna ; e che la vicinanza della città di Rodi gli assicurava in qualche modo, coprendo un lato del nostro piccolo esercito ; e offerendo un luogo di ritirata in caso di sventura. ιη2 GIORNALE LIGUSTICO tesmeritè & imprudence, de quelque auis celeste luy qui est si ranipli de samblables inuantions (i). Chant 12. ,2i 52. Le discours d’Astnodee et de Reliai seroit plus propre [a cancellato] d’estre obrnis, parce qu’il ne sert de rien au poeme & sinon a faire parler des démons qui ne sont que trop ordinaires en cet oeuure, & mesmes qu’ils ne doiuent iamais estre represantez que pour chose entièrement necessaire (2). 53. Il ne sert a rien de remarquer icy que tous les combats d’Amedee sont commencez & finis d’un seul coup , car nous auons desia (sic) dit que tous les autres sont de mesme. Et quoy qu’il pourroit estre permis d’attribuer ces grands et mortels coups tant a cause de sa propre force que des armes diuines qu’il auoît, touttefois cela ne le devoit pas estre aux autres puis qu’il n’est pas vray samblable. 54. Quand il dit qu’Amedee luy seul poursuit & chasse tant de mi-,20 liers d’hommes, ne samblet il point qu’il se moque du lecteur, et quand (1) Il cavaliere d’Urfé nota in primo luogo, che non doveva il poeta far combattere i due eserciti, quanto si stendono quasi due canti — sans qu’Amedee y soit. — Questo difetto sarà stato nel MS., ma non è nella stampa; dove il verso 3 della st. I ci rappresenta Amedeo che si travaglia in armi; e nella st. 5 il veggiamo ferire a morte uno de’ turchi più valenti, nominato Mustafà. Che anzi il critico stesso, dimenticando ciò che dianzi avea detto, ripete l’osservazione già fatta ne’ canti precedenti « que tous les combats d’Amedee sont commancez et finis d un seul coup ». Se non che allora così scrisse generalmente di tutti gli scontri d’ un guerriero contro dell’altro ; e qui rinnova la querela in modo speciale per Amedeo. A dire il vero, non può negarsi che i singolari com-battimenri descritti dal Tasso con tanta varietà di avvolgimenti e di ferite, non sieno spettacolo più belio e più gradito che non i colpi mortali del Duca di Savoia ; ma si potrebbe dire non meno, che 1’ autore della Gerusalemme trasportò in Palestina e tra’ combattenti le finte pugne delle giostre che vedeva in Ferrara alla corte degli Estensi. (2) Assai ragionevole mi sembra un’ altra obbiezione del critico, ed è quella che cade sopra le stanze 20, 21 e seg. « Le discours d Asmodee est [leggi et] Belial etc. ». Nulla si ha nel MS. del cav. d’ Urfé, che si possa riferire al canto XIV dell’Amedeide maggiore. Ô o giornale ligustico 173 il le fait entrer a cheu.il dans la nier & poursuiure Ics barques, ne le represante il pas sans iugemant, et il le fait plaindre & lamanter de peur de se noyer ne le fait il pas faible & perdu de courage, mais quelle action de iugemant & de prudence lui attribuet il? (1) 5 5· Le discours de Sl Maurice qui après l’auoir sauué luy raconte les actions de quelques uns de ses predecesseurs est ce me samble fait auec peu de raison, tant parce qu’il ne luy raconte que des choses passées, & qu il y a apparance qu’Amedee deuoit bien sauoir, que d’autant qu’il retient hors du combat celuy qui estoit le salut de tous les autres & ie ne sa> quelle appareance il y a de le tenir en discours cepandant que les autres [le cancellato] combatent & qu’il sont en teile estremité (2). Chant 14. 56. Il y a peu d’aparance en la dexcription du lieu qu’Amedee trouue, estant si beau, si delicieux, & tant de beaux arbres & telle quantité d’oy- (t) Maravighose prove ci narra il poeta, st. 1-20, del valore di Amedeo, quale urta 1 oste nemica, e la sospinge verso il mare a cercarvi riparo nelle navi : ma il cav. d’ Urfé non sa darsi pace di tante prodezze. Amedeo vedendo fuggire que’ vili « del vóto destrier salta sul dorso » spingesi fra loro nel mare, e fa scempio de’ nemici. E questo ancora spiace al nostro censore. (2) L inferno, a procacciare scampo a Maomettani, desta in mare una orribile procella; ed Amedeo, abbandonato il cavallo, e postosi a nuoto, invoca nel pericolo estremo il favore di S. Maurizio (st. 28). Ed il critico molto severamente ne rimbrotta il poeta. 11 critico era scrittore di romanzi ; e in questo genere di libri non vi ha virtù naturale nè eroica ; ma tutto è tolto dalla immaginazione e spinto agli estremi. 11 qual difetto parmi di ravvisare in questo tratto della sua censura; perciocché sarebbe stupidezza, non valore, il non sentir dispiacere di morirsi per naufragio. Il Chiabrera si ricordava dell’Eneide, 'ib. I, non delle virtù romanzesche. S. Maurizio ascolta la preghiera del Duca ; discende a consolarlo ; e gli narra le glorie de’ principi di Savoia di lui predecessori. Il cav. d’ Urfé con più di ragione condanna questa parte del poema ; adducendone tre motivi, che i fatti degli antenati non dovevano essere ignoti ad Amedeo ; che non v’ ha ragione di far palesare da persona venuta dal Cielo le cose scritte nella memoria degli uomini ; che non era quello il momento di trattenere Amedeo ad udire il racconto di S. Maurizio. 1S.2» 16.1 I74 GIORNALE LIGUSTICO I $.20 16.44 16.24 seaux si rares y ayant apparance qu’ou les armees si grandes seiournent le lieux soient si bien conseruez & les oyseaux si priues (1). 57. Il fait reposer Amedee sur cette riue delectable, cepandant que les autres se bâtent, qui est une mauuaise action pour un clilr (chevalier) genereux, & quoy qu’il die qu’il estoit las il samble que le faisant courre aprèr l’archer qui luy tire un coup de fleche en ce lieu, & mesme auec tant de vitesse il n’y a pas apparance qu’il ne put retourner au combat ou il estoit si necessaire, mesme que S‘ Maurice qui alla guérir dans le paradis terrestre de quoy luy redonner les forces le pouuoit aussy taire dans la bataille. 58. Le discours de l’Ange Custode de Rhodes, & de Leuiatan le démon sont si longs qu’ils tienneni une grande partie de ce chant, et ne say pourquoy il donne au démon le sauoir de prophetiser la peste qui est depuis auenue a Rhodes sen que le démons ne sauent point les choses futures (2). (1) Comincia il canto con la descrizione di un luogo amenissimo, in cui è ricoverato Amedeo. Ma il severo cav. d’ Urfé non si lascia vincere dalle delizie poetiche ; e rimprovera il Chiabresa con una censura da non dispregiare. Simil giudizio parmi che si possa pronunziare sopra l’osservazione che segue ; cioè non essere cosa dicevole che nel tempo che gli altri combattono, un Cavaliere si grande e sì prode, si riposi in ameni boschetti. E vana è la scusa della stanchezza di Amedeo; perciocché s’egli poteva correre con prestezza dietro all’arciere nemico eh’era venuto di soppiatto a ferirlo con saetta, non era così stracco da non potere andarne al campo, dove la sua presenza doveva essere di momento grandissimo alla vittoria. Finalmente S. Maurizio eh’ era ito nel paradiso terrestre a provvedere di che ricreare le forze del Duca, poteva così ristorarlo nel luogo della pugna, come nel bosco dilettoso. (2) Quanto è della lunghezza de’ ragionamenti tra l’Angelo e il Demonio, ha ragione il censore, formando essi la parte maggiore del canto ; e si può vedere dall’argomento pel canto siesso, che il Chiabrera medesimo in quel dialogo riponeva la somma di questa parte del poema. Non devo egualmente lodare 1’ Urfé dell’ avere negato che il Demonio potesse predire la peste, che non tardò molto a palesarsi in Rodi. I teologi concordemente attestano che gli Angeli rubelli, perduta la grazia e la gloria, non perciò rimasero privi del dono dell’ intelligenza che conviene agli spiriti. Questa dottrina è notissima, e il proverbio volgare — ne sa GIORNALE LIGUSTICO x75 Chant 15. 59. Il dit que Foulques auoit fait un bataillon de touttes ses gens tout i7.t entourné de piques, & en rond, de telle sort que rien ne le pouuoit of-lancer que le les fléchés, et touttefois il dit qu’Ottoman a cheual en tue vn grand nombre. Il samble qu’il y ayt en cela de la contradiction (1). 56 (sic) Il faut notter aussy que la coutume du Grand Turc n’est point de combattre jamais que l’auant garde ne soit desfaitte & vne grande pattie de la battailie desfaitte, et touttefois il fait combattre Ottoman tout seul & sans qu’il y ayt aparance de cette grande routte & nécessité (2). 57. Il dit qu’un Chrestien ayant tiré un coup de fleche a Ottoman, elle fuy aloit entrer dans l’estomac; mais Alecto la détourna, c’est chose que 17.17 più del diavolo — per accennare una somma acutezza d’ingegno, esprime appunto la dottrina delle scuole teologiche. Nè il predire una peste vicina è da dirsi profezia ; perchè tal flagello ha le sue cause in disposizioni naturali, che il Demonio conosce meglio e più presto che l’uomo ; e quantunque ogni pestilenza si debba riconoscere come un flagello permesso o mandato da Dio a nostra punizione, cotal dottrina verissima non toglie che la causa prossima e materiale non si debbia trovare o nel cattivo nutrimento, 0 ne’ miasmi, 0 in altre disposizioni si all’ uomo interne, com esterne ; di che lasceremo il discorso a coloro che professano la medicina. (1) La prima censura del cav. d’Urfé cade sopra un punto di tattica militare. Perciocché vedendo Folco, Gran Mastro di Rodi, che i suoi erano per trovarsi discio.ti e costretti a fuggire, ordinò che formassero un cerchio, ossia una battaglia ritoltila, e che mostrando il volto rispingessero colle picche l’assalto de’ nemici. È facile il vedere, che la battaglia ritonda si assomiglia (mutata la figura) al bataillon carré de’ tattici moderni. Ma veramente il poeta attribuisce ad Aletto l’aver aperto quella selva di picche per dar luogo ad Ottomano d’ entrare nel battaglione ritondo, e fate scempio de Cristiani; cosicché-non vi ha errore d’arte militare. ^2) Aggiunge Γ Urfé non essese costume del Gran Signore de’ Turchi lo entrare in battaglia, salvo il caso che v’ abbia pericolo d’una grande sconfitta ; e che perciò non doveva il poeta far combattere Ottomano in uno scontro, dove non era periglio sì grande. Parmi che il censore sia troppo severo: a’ poeti si debbono dare consigli e precetti, non porre le pastoie. GIORNALE LIGUSTICO le Diable de soy mesme ne peut pas faire, ouy bien l’Ange par l’ordonnance de Dieu (i). Je croy qu’il a voulu imiter Homere lors qu’il dit qu’en la guerre de Troye les Dieux deffandoient ceux desquels ils estoient partiaux, mais il n’a pas considere qu’en ce lieu la Homere les fait tous des Dieux, c’est a dire a faire ce qu’ils uouloient comme Dieux, au lieu che parmi les chrestiens la creance de la puissance des Démons est toutte autre. .20 58. Le discours d’Aleman & de Giorgo est trop long & le poete fait .55 que Giorgo se tue sans raison, car ne voyant point son amy encores mort il deuoit le porter, en lieu ou il le put faire panser, & s’il niouroit il luy eust esté alors plus permis de se tuer pour la perte de son amy ou pour la suiure (2). 59.. Alors qu’il nomme quelqu’vn il dit d’ou il est & qu il est & commant venu en ce lieu ce qui interromt. infinimant le discours, c est pour-quoy si ce n’est pour vn ou deux dans tout un [ch cancellato] liure, les poetes ont accoutumé d’en dire fort peu, en leur propre personne mais le font dire par d’autres, ou aux reueues generalles ou en quelque autre occasion (3). (1) Sottigliezza, non verità, ravviso in quest’altra censura del cav. d Urfé , dove riprende il Chiabrera per aver fatto che una saetta indirizzata da Valguarnera ad Ottomano, fosse traviata per cura d’Aletto (st. 17). ........Fe volar spedito Quadrel non vile infra maestri arcieri ; Ei ratto andava ad Ottoman nel petto ; Ma s’ interpose e traviollo A letto. Ciò non è possibile, dice V Urfé, per non avere il Demonio cotal possanza ; e se il poeta intendeva imitare Omero, dovea ricordare che nel greco sono Dei che fanno di si fatti portenti, non sono demoni. Ma se-rondo la volgar credenza sull’arte magica, uno spirito infernale poteva operare cose ttoppo maggiori che non è il deviare una saetta dalla mira cui l’indirizza 1’ arciere. (2) Con migliore avvedimento scrive il censore le parole seguenti. Non perciò approvo che Georgo potesse uccidersi per seguitare il suo amico ; ma, come già dissi, 1’ Urfé era scrittore di romanzi, e la virtù romanzesca non è la verace. (3) L’ultima censura non mi piace, dando colpa al poeta di ciò, onde altri dovrebbe lodarlo ; stantechè accennando il Chiabrera la patria e la casa de’ guerrieri si spianava la via ad onorare città e famiglie. GIORNALE LIGUSTICO 177 Chant 16. 60. Pante raconte a Dardaganio sa fortune, estant si blessée qu’elle ,g 5 meurt a 1 heure mesme, le poete la t’ait amuser en cet estât a descrire des choses ou il ny a pas apparence comme a particulariser la beauté des habits d’Alfange & de son cheual, ny ayant pas apparance que se l8 8 santant deffaillir elle s’amusat a ces petites choses (1). 61. Le discours long de Dardaganio auec sa maistresse est hors de 29 temps, car il s amuse a desduire les habits de sa maistresse, & la douceur de son chant, au lieu de vanger Pante, d’en aller quérir le corps & l’enterrer, ou faire quelque autre chose, au temps, & la personne (2). Chant 17. 62. Il fait que Ottoman vient aux mains auec Telamon sans nulle ob- i9.6 seruation de 1 art militaire, parce qu’ayant dit que foulques de toutes ses gens auoit fait un bataillon commant sans auoir dit qu’il soit ouuert ou seulemant attaqué dit qu’Ottoman vienne aux mains auec Telamon. Mais il ne faut pas trouuer ce combat estrange car tous les autres sont faits de mesme. 63. Les visions, discours, & apparitions des esprits contiennent la plus grande partie de ce chant, qui est une chose bien importune. Chant 18. 64. Il fait combattre Amedee et Ottoman sans dire commant cela pou- 21.4 uoit estre, parce que de croire qn’Ottoman soit veu combattre & mal traité & que les siens ne le secourent point il n’est pas vraysamblable, d’autant que ce n’estoit pas un combat assigné, ny fait auec les assurances d’un costé & d’autre (3). (1) Non ardirei allontanarmi dall’ opinione del critico. (2) È verissimo che Dardagano si piace nel descrivere il vestire e l’a-dornarsi il capo di Berenice ; ma non trovo che si fermi a parlare del canto di lei ; avendolo appena ricordato nell’ultimo verso della st. 38 : Lieta formavi ora sorrisi, or canti. (3) E vuol dire che Γ incontro di Amedeo con Ottomano non essendo un combattimento singolare concertato secondo le regole invariabili dell’antica cavalleria, per le quali niuno poteva recare soccorso a’ combattenti, è perciò cosa incredibile che i Turchi veggendo il duce loro in pericolo Giorn. Lioustico. Anno XXI. 21.IX 178 GIORNALE LIGUSTICO C’est pourquoy je panse qu’eut esté fort a propos de taire que la foule des Turcs voulant secourir Ottoman qui meurt incontinant après des grands coups receus. La balance que Dieu prand pour sauoir le quel de deux mourra, d A-medee et d’Ottoman, est vne imitation d’Homere, en ce qu’est d Achile (sic) Si d'Hector, mais ce me samble peu conuenablemant apropriée en ce lieu, car homere dit que les Dieux n’estoient résolu lequel deuoit vaincre, & en ce combat il n’est pas ainsy, car puis qu’Amedee auoit les armes inuincibles, & contre les quels rien ne pouuoit resister, il est certain que Dieu auoit desia résolu qu’il vincroit (1). non si movessero a dargli soccorso.. Ma si potrebbe dire m contrario, che sebbene i due campioni non avessero assegnato nè il giorno ne il luogo alla pugna, vero è non pertanto, che il dirizzarsi dell uno contro dell’altro, lasciando qualunque altra cura degli eserciti, veniva a costituire ipso facto una singoiar tenzone, in cui altri non si poteva introdurre senza disonorar se medesimo ed i campioni. E per tal motivo parmi al tutto fuor di proposito il suggerimento del critico. (1) Meglio ponderata mi sembra la censura seconda. Finge il poeta, che durando tuttora la campagna tra due campioni, 1 eterno Dio, .....alme bilance ei prese Splendide d’ or con infallibil mano, Et ivi dentro in un momento appese Che sperare o temer possa Ottomano ; Sua colpa in giù profondamente scese ecc. Ma con pace del censore, qui si trattava non se dovesse aver la vittoria Ottomano od Amedeo, sì se Ottomano avesse a cadere quel di precisamente sotto la spada invincibile del Duca. Giunto è l’ultimo dì...... Ora dunque Amedeo nel tragga a morte. Quanto al non potere Ottomano resistere alle armi di Amedeo, ciò vuoisi intendere con alcuna riserva : noi veggiam pure che Dal Turco infuriato esce percossa Che Amedeo trova e nella coscia il fere Gagliardo si, eh’ ivi tremar fe 1’ ossa : Tosto che rimirò le vene altiere La terra far del nobil sangue rossa ecc. Non é dunque da pensare che niun pericolo incorresse Amedeo combattendo coll’ armi temprate dal favore celeste. GIORNALE LIGUSTICO Î79 De plus Achille & Hector, estoient & l’un & l’autre soutenus par de Dieux partiaris, ce qui n’est pas en ceux cy, car l’un qui est Amedee est du tout soutenu de Dieu. De plus la balance estoit pour peser lequel estoit le meilleur pour le moins il dit que les coulpes d’üttoman le firent dessandre en bas, et cela il samble qu’il outrage Amedee & sa prud’hommie de le balancer luy qui est si grand seruiteur de Dieu auec un Turc qui en est si grand ennemi (i). 66. Il dit que les esprits infernaux pleignoient autour du corps d’Ottoman, et peu auparauant il auoit dit que l’Ange les auoit par commande de Dieu ranfermé tous en enfer, & mesme il en fait une longue description (2). 67. Il tait que les chrestiens se retirent après ce combat d’Ottoman, dans Rhodes, sms dire commant les deux armees se separent, & tout aynsi que si s’estoit une chose fort aisee & de nulle importance. Chant 19. 68. Ce chant est beau et tragique mais il me samble que les plaintes àt la nourrire, & du valet de chambre sont trop longues, parce que aux choses tristes il faut estre brief, parce qu’autremant l’esprit du lecteur se lasse & ennuye grandemant (3). (1) Ripeto che nel poema, secondo il testo a stampa, non si mettono sulla bilancia i meriti di Amedeo e di Ottomano, ma solamente si determina se le colpe del Turco siano giunte a quel segno che provoca il colpo finale della vendetta, ossia giustizia divina. (2) L ordine dato da Michele agli spiriti rubelli non era già che più non uscissero d’inferno, ma che più non osassero portare soccorso agli Ottomani: canto XX, st. 48 : Ma qui non sia chi sovvenir 1* oppresse Schiere con opra o con pensier pur tenti. Quantunque le osservazioni critiche dell’ Urfé sul canto XXI sieno assai deboli prese partitamente, tuttavia nel complesso non sono d’aversi a vile ; e concorro di buon grado con esso lui a giudicare poco avvedutamente introdotto l’episodio delle bilance nella mano di Dio, trattandosi di cristiani e d’infedeli, e di guerra apertamente ingiusta dalla parte dei Maomettani. L’ultima censura cade sull’arte militare; ed in questa, come si è detto più volte, il Chiabrera mancava di teoria e di pratica. (3) Ottimo è il suggerimento del critico ; e fu detto anticamente, ninna cosa asciugarsi più presto delle lagrime. 20.48 21.20 ι8ο GIORNALE LIGUSTIBO I Chant 20. 69. C’est sans aucune belle inuention que l’auteur fait predire par S' Maurice les actions du duc Emanuel Philibert, & de V. A. car il a fait venir si souuant les anges et l’esprits que cela en son poeme est aussy ordinaire que les moindres actions qu’il descriue. 70. Mais encores il me samble qu’il a laissé a dire les choses qui estoient de très grand poix„ car il deuoit mettre la bataille de S' Maurice,, & cela d’autant plus que c’estait S' Maurice qui parloit (1). Il deuoit dire quand V. A. recouura son corps & son espee de Vale-siens, & qu’elle ne leur voulut point donner la paix qu’a cette condition. Des guerres faites contre les deux plus grands Roys du monde, par si longues années. De la prise du Monferrat (2). Du siege d’Asti & cette action il la pouuoit egaller a celles de Rhodes a cause de la grande armee qui le tenoit assiégé. D’auoir conservé la liberté d’Italie, en rompant tant et de si grandes armees qui la uouloient subiuguer soit par la force, comme par la prudence. Bref descrire veritablemant les actions de quatre ou cinq annees dernieres. (1) Le osservazioni critiche del cav. d’Urfé sono molte, ma perchè fatte sul MS. non più rispondono in tutto al poema, qual si legge in istampa. Non piace, a cagion d’ esempio, al critico che l’autore faccia « predire » par S.t Maurice les acions du Duc Emanuel Philibert et de V. A. » (del Duca Carlo Emanuele)----il devoit mettre la bataille de S.t Mau- » rice, et cela d’autant plus que c’estoit S.t Maurice qui parloit ». Ora nella stampa la predizione si fa da S. Giovanni Battista ; e molto convenevolmente, essendo il protettore de’ Cavalieri di Rodi. (2) Quanto ai fatti che il Chiabrera non fece predire, e che il critico suggerisce come degni d’essere predetti, trovasi quello de la prise de Monferrat; ma il poeta che si godeva una pensione sulla tesoreria del Monferrato concedutagli da’ Gonzaga, allora principi sovrani di questo paese, non doveva toccare una corda così delicata, trattandosi di fatto recentissimo, con certezza di offendere il Duca del Monferrato suo benefattore. E perciò, tralasciando quelle cose che 1’ Urfé vorrebbe nel poema, che sono consigli, non critiche, dirò di due difetti da lui notati in quest ultimo canto. GIORNALE LIGUSTICO 181 De plus il me samble che le Beat Amedee ne devoit point estre oublié, tant pour la grandeur & honneur d’un prince si saint, que pour la conformité des noms. Il devoit aussy faire mention de l’ordre de l’Anonciade a causa de la deuise de F. E. R. T. pour luy montrer que l’action qu’il auoit faite seroit d’eternelle memoire. le croy que ces choses pour le moins deuoient estre briefuemant des duittes par S.' Maurice, puis que sont touttes actions essentielles , & connues de toute l’Europe. 71. Il me samble aussy qu’auant que de faire faire les actions de grâce par Amedee et Foulques, il faloit avoir faite uenir quelqu messager qui 2 eut raconte la faitte nocturne des Turcs, & l’orage qui sambloit de leur [desia cancellalo] auoir desia fait faire naufrage, car de faire faire l’action de grâce auant l’entiere uictoire quoy qu’elle soit promise, a Amedee, il samble que le peuple ne pouuoit pas avoir la grande ioye qu’il faut en samblable occasion, outre que c’est vne action generalle, & ou il samble que tous ceux qui ont participé au péril & a la peine doiuent aussy concourre. Ce qui ne se pouuoit pas faire les ennemis estant encores dans î’isle ou pour le moins ne sachant pas qu’ils en fussent encores sortis. Et de plus il me samble que les derniers vers de toutte l’œuure eussent esté beaucoup plus digne de la clorre par l’action de grâce, que par la description d’un naufrage des Turcs. 72. Je trouue aussy que d’auoir osté les armes diuines a Amedee n’est 2,.6 pas bien a propos, parce que iamais Dieu ne nous oste les grâces qu’il nous fait que quelque nostre demerite ne precede, de sorte que disant que Ion le despouille des ses armes il samble qu’il s’ensuivre qu’il oyt faite quelque faute. Mais i’eusse voulu le luy laisser & pour montrer la particulière protection qu’il plaît a Dieu d’auoir a iamais de la maison de Savoye, ie voudrois les luy laisser sa vie durant auec promesse de mettre ces armes inuincibles dans la Savoye, & les garder la a iamais pour la conseruation & assurance des estais de ses grands iustes successeurs, et pour oster 1 esperance a tout pouuoir humain de les surmonter iamais (i). (i) Confesso il vero, quel ripigliarsi Parmi celesti date al Duca, non mi sembra invenzione lodevole; ma forse il poeta non sapendo dove collocarle degnamente (chè il metterle in Savoia avrebbe potuto dispiacere ai i82 GIORNALE LIGUSTICO Voila Monseigneur ce qui me samble de ce poeme qui a la vérité est beau & docte, mais que ie croy qui plaira plus aux sauants qu’au vulgaire. Aussi n’est il pas permi a tous de se seruir de la masse d’Hercule, et touttefois ie ne suis estonne que l’auteur n’ayt embelly son oeuvre de ce qui s’ensuit. Il est certain que le poeme doit estre bastie ou sur la vérité ou sur l’opinion receue. Les Historiens disent [qu’en cancellato] qu’au secours d’Acre cette action de ce grand Prince fu faitte, & que le grand maistre foulques venant a estre tué, parce qu’il estoit grandement re~ doutte des Turcs, & estimé des chrestiens afin de ne point hausser le courage des ennemis, & abaisser celuy des chrestiens, les cheualiers bien avisez pour cacher sa mort supplierent Amedee de vestir sa cotte d’armes,. & combattre sous le nom de leur grand maistre, ce qu’il fit & après auoir gagné la bataille il le supplierent de vouloir en memoire d’une si belle action porter la croix blanche qui est leur marque, pour des armoiries, ce qu’il accepta & depuis lui & ses successeurs l’ont tousiours portee. D’autres auteurs disent que ce fut deuant Rhodes & en le deffandant que touttes ces choses furent faittes mais lequel de deux que ce soit il n im-. porte puisque l’auteur a fait la choix de Rhodes & auec beaucoup de raison comme nous auons dit au commancemant, mais encores que le dominii italiani della R. Casa) si volse al partito di farle trasportale colà dond’ erano venute. La censura seconda, eh’è pure l’ultima, cade sopra la chiusa del poema : i Cristiani vanno con Amedeo al tempio a render grazie all Altissimo Iddio per vedersi liberati dal pericolo ; benché i Turchi o non siano ancora partiti dall’ isola, o si trovino sulle navi vicino a Rodi. E bene osserva il cav. d’ Urfé che la vicinanza d’ un nemico potente mantenendo il pensiero del pericolo, non lascia luogo ad allegrezza intera e sicura ; e che perciò si doveva descrivere in primo luogo la tempesta che fece perire le navi co’ Turchi fuggitivi, e poi condurre i duci, i soldati e il popolo tutto a ringraziare di tanto favore il Dio degli eserciti. Questa censura è lodevole, non solamente per la ragione addotta dal Francese, ma sì per quest’ altra, che chiudendosi il poema col naufragio de’ nemici, il fine ha una certa tristezza, che lascia una sensazione dolorosa negli animi gentili ; dove al contrario, affondate le navi, perduti con esse i Turchi assalitori, viene il canto di grazie, l’allegrezza della vittoria, la sicurtà del paese ; tutte immagini gioconde che dolcemente si spargono per l’animo del leggitore, facendogli dimenticare gli sdegni, il sangue e le rovine della guerra. GIORNALE LIGUSTICO 183 historiens ne spécifient pas par le menu tout ce que ie viens de dire il n’importe puisque la commune opinion est telle , et que mesme il est aynsi passé par tradition, voire mesme qu’on en voit encores la cotte d’armes du dit Grand Maistre ou pour le moins que l’on croit estre telle. le ne say donq point pourquoy un grand personnage a laissé deux ou trois si belles choses & qui estoient tant a l’auantage du prince qu’il entreprenoit de louer, et mesmes qui pouuoient grandemant embelir son poeme. Taisant qu’Ottoman eust tué dans la furie du combat le grand maistre foulques, & qu’en ce meme temps Amedee prand la cotte d’armes, & soudain après en fait la uangeance en tuant Ottoman. Et puis après l’entiere victoire en randant les actions de grâce a Dieu dans le temple, il pouuoit descrire le remerciemant des chevaliers & la prière de recevoir la cotte d’armes, de porter la croix blanche pour me-moyre de cette action, et de prandre pour sa deuise F. E. R. T. Je croy que le liure eust esté bien [cloud cancellato'] conclud & que ces belles actions meritoient bien de n’estre pas oubliées puisque ce sont choses essantielles & desquelles les marques & les communes opinions sont encores telles. I’ay remarqué ces choses a la haste, & par le commandance qui a pieu a Y. A. de m’en faire parlant touttefois auec toutte sorte de respect d’un si grand personnage qu’est le Seig.r Chiabrera, voulant croire que puis qu’il a jugé autremant elles sont beaucoup mieux comme il les a faittes que comme ie les ay pansees remettant le tout sous le iugemant de V. A. au quel ie souhette (sic) toutte sorte de grandeur & de contantemant. Le 14 decemb. 1618. Vre très humble tres fidele & tres affec.“' seruiteur Honoré d’Urfé. APPENDICE. Come abbiamo promesso, raduniamo qui tutti i brani del carteggio di Gabriele Chiabrera con Bernardo Castello, che ci dipingono le varie fasi subite dall’ Amedeide prima di ottenere Γ approvazione di Carlo Emanuele I. Questi accenni costituiscono una interessante e schietta cronistoria del Poema. 184 GIORNALE LIGUSTICO I primi abbozzi. Lettera 2 di Savona a’ 26 di novembre 1590. « ... . Alle molte parole di gentilezza ch’Ella usa meco, risponderò brevemente, perchè non dispero alcuna opportunità ond’ella comprenda co’ fatti il mio amore inverso lei; ma della lusinga intorno all’Amedeade io la ringrazio, come di dolce stimolo a farmi poetare: tuttavia nè io spero fornirla, nè se io la fornissi spererei tanto onore, o, per meglio dire, non l’accetterei, essendo io per natura nimicissimo della presunzione. (1) Ora altro non soggiungerò ». Lettera 3 di villa a’ 7 dì maggio 1591. a ... . Ora perchè mi richiedeste alcun pezzo della Amedeade, io mando alcuni versi ; più ne manderei , ma lo scrivere erami gran fatica. Io le ricordo che sono abbozzati, avvegna che finiti per avventura saran peggiori; ma quali essi siano, voi li leggerete volentieri per amor mio, e pregovi a non darne copia, se per sorte alcuno vago di basse cose ne la richiedesse ; tengo i miei versi ascosi volentieri, perchè io sarò sempre a tempo a vergognarmi . . . ». Lettera 6 di Savona a’ 20 maggio 1591. 1 ... . Siccome voi mi commetteste, io già scrissi, e vi mandai alcuni versi dell’ Amedeade : mi risponde mio cugino ch’egli diede la lettera al Rev. M. Francesco: (2) io perchè non ho lettere da V. S. intorno alla ricevuta ne sto con pena, non volendo, se essi fossero smarriti, parere poco ricondevole del vostro desiderio e poco conoscente delle vostre molte cortesie; pregovi a farmelo sapere ». (1) Non appare chiaro di che natura fosse la lusinga fatta dal Castello al Poeta come. « dolce stimolo a poetare » e che fosse Vonore che il Chiabrera non sperava 0 non voleva accettare. Tuttavia siccome in principio della lettera si parla di disegni fatti dal Castello al poema del Tasso, e probabile che il pittor genovese gli promettesse ài voler illustrare allo stesso modo la Amedeade del savonese, esortandolo perciò a compirla presto. Cfr. lett. 166. Le figure al Tasso, cui si allude in questa lettera, sono evidentemente quelle della famosa edizione della « Gerusalemme » del ι^9°< c^e ^ Castello ristampò più volte e, ira le altre, nel 1615 e 1617 con argomenti di Gio. Vincenzo Imperiale. Cfr. Atti Soc. L. S. P. Vol. IX, pag. 218. (2) Non si sa chi sia. giornale ligustico 185 Ripresa. Lettera 50 di Savona a’ 17 di novembre 1594. « Io mi son messo ad ordinare alcune composizioncelle, perchè voglio non aver cosa che tiri a se il mio pensamento, ma tutto tutto impiegarmi nell Amedeade. Dio voglia che a me non avenga come a colui il quale saltò meno che in camicia che in giuppone ». Lettera 51 di Savona a’ 20 di novembre 1594. [In fine] « .... Ho preso gli stracci in mano dell’Amedeade ; nè altro voglio comporre ...... Lettera 52 di Savona a’ 22 di novembre 1594. ........ ora 10 ho data tuttd la »iia roba della bottega, nè sono per travagliare, salvo che intorno all’Amedeade, perchè se piacesse a Dio, eh’ 10 la fornissi, parendomi avere assai fatto corte alle muse, vorrei vivermi l’avanzo della vita sentendo altri, nè più farmi malamente sentire altrui ... ». Lettera 53 di Savona a’ 3 di gennaio 1595. " ’ ‘ ' ' 10 St0 bene’ ma non ho taito ozio e riposo quanto desidero per 1 Amedeide; (1) tuttavia convien fare come si può ... ». Lettera 59 di Savona 11 di giugno 1595. « .... In questi caldi stonimene in villa alcuna volta, ovvero quasi continuamente in casa nella stanza fresca, e sono intorno all’Aniedeide da senno, nè altro ho per le mani . . ». Lettera 91 di Savona a’ 21 di giugno 160c. « Dell’Amedeide io non negherò averne molte parti quasi fornite; ma non già a segno, che io deliberassi di darle agli occhi d’Italia per ora: e ciò non solo per l’imperfezione loro, ma per altre cagioni: (2) sicché non volendo che si divulghino è buon consiglio tenerle in mano mia, perche poi gli amici non possono venir meno agli desideri degli amici, e le poesie sogliono per loro natura essere desiderabili. Ben affermo che (1) È la prima volta che nel cartegaio col Castello, il Chiabrera cambia in Amedeide il titolo del suo poema che sin qui ha sempre chiamato Amedeade. (2) Il Chiabrera si riprometteva l'immortalità dall'Amedeida (ho posto il fine del mio vivere dopo la vita) e certo molto più che dalle liriche come appare dalla lettera seguente. Vedi giudizio uman____! x 86 GIORNALE LIGUSTICO io ho comune desiderio di fornire questo libro; e non sarebbe necessaria gran fatica a farlo: ma primieramente vi bisognerebbe il voler di quel-1’ Altezza, per servizio di cui cominciò a nascere, e dal suo volere s appianerebbe ogni intoppo, secondo che stimo. Che in mano di quel Principe siano quelle canzonette hannomelo scritto il sig. Gio. Maria Lugaro e dettomelo il signor Martino Doria, e ora me lo confermate voi cou si buon testimonio: io argomento meco medesimo, se all’Altezza di Savoia non dispiacciono gli scherzi, che sarebbe dei versi fatti da senno ? e che contengono le glorie dei suoi Avi, e in cui io ho posto il fine del mio vivere dopo la vita? Avrei avuto per gran ventura che il signor Commendatore (i), siccome si parte di Torino, cosi vi tornasse; tuttavia non può nuocere a quel poema la notizia, che se ne è fatta a personaggio di tal qualità, a cui vi piacerà di baciare le mani a mio nome ; che siccome egli vi disse, ben l’ho sentito ricordare; e avendo preso piacere di leggere minutamente le scritture corse per questi ultimi incendii della Francia assai volte ho letto il suo nome. E con questo faccio fine. Lettera 93 di Savona a' 29 di giugno 1601. « Scrivo al Signor Commendatore e lo ringrazio, siccome è mio debito. Ora altro non so che dire; se sarò chiamato, anderò, e son certo, si troverà via per la quale io possa fornir Γ Amedeide: io il desidero perchè o tutti gli amici m’ingannano, o farò alcuna cosa da non vilipendere ; ma vi confesserò pienamente il vero, tanti favori in tante citta, e da persone grandi in questi studi mi fanno sentire non in tutto bassamente di me, specialmente sapendo io, come ho gli anni consumati continuamente. E se le ciancie mi hanno fiuto onorarè, perchè disperare del canto? Or faccia Dio ... ». Altra sosta. Lettera 94 di Savona a’ 5 di luglio 1601. « . . Quanto all’Amedeide, io ho detto che conviene vincere alcun, intoppi; e questo è, che il signor Gran Duca ha ordinato, che .0 sia scritto fra i suoi gentiluomini con l’ordinaria provisione, e mi lascia in mia libertà e che stia a casa mia, o a Firenze 0 dovunque io voglia; nè ha voluto altro da me, salvo che io porti titolo di suo servidore ; stante questo io non posso impiegarmi in una sifatta scrittura senza sua buona licenza: io ho per facile ad ottenerla, ma io non voglio tentarla, e nel (1) Il commendator Bertone, di cui vedi lettele 87, SS, yo, 94» ^35‘ GIORNALE LIGUSTICO Duca di Savoia non trovo desiderio più che ordinario che quel poema si fornisca. E cosi mi risolverò, come io sia alla Corte. Ho caro che V. S. legga tuttoeiò e non ne parli . . . ». Il poeta ricevuto alla corte di Torino. Lettera 95 di Savona a’ 30 di luglio 1601. « Sono stato a Torino e ritornato; altro non dirò a V. S. intorno al mio viaggio salvo che quel Sig. ha desiderio che l'Amedeide si fornisca; me ne parlò il Sig. Gio. Botero, e poi Sua Altezza in camera per un’ora e mezza. Io dissi che al presente era a servizio di Toscana e che senza licenza del Padrone non farei nulla, che tenterei l’animo suo, e che con sua buona grazia io volentieri vi impiegherei lo studio ardentemente. Dissemi il Duca che il Cavalier Bertone gliene aveva scritto ; e io soggiunsi ciò che era passato costì tra V. S. e lui e me. Cosi me ne son°o ritornato pieno d’onore, e di offerte, e di liberalità; mandommi fra le altre cose una carrozza con quattro cavalli, con due carrozzieri, che mi conducessero fin dove io voleva; e mi dissero che aveano comandamenti di servirmi come la sua propria persona, e lo faceano per camino intendere agli osti : ebbi udienza in camera ove era solo co’ suoi figliuoletti. Ora questo è quanto posso dirvi e mi vi raccomando di tutto cuore, nè vorrei che di ciò parlaste, perchè non occorre per ogni rispetto ». La prima redazione; preparativi per la stampa. Il frontispizio del Castello. Lettera 126 di Savona li 6 dicembre 1606. « Ho molto considerato lo schizzo, il quale rimando a V. S. e su questo dirò così. Quanto comporta la maniera dell’ ornamento a me par bello, e consideratamente fatto ; ma è cosa tanto ordinaria, ed usitata, che a me non può parer bella, ed io sono d’umore di fare e trovare. Il mio pai ere è di torsi dal consueto e porre avanti alcuna invenzione peregrina ; e questo sarebbe in cambio di colonne, e frontespizi, e base, formare una cartella ed una figura piena di groppi e legamenti bizzari, la quale tenesse attento quel Principe e potesse farlo ragionare, e tanto più il vorrei, quanto V. S. ha speziale talento in queste sifatte invenzioni. Dunque io comporrei la cartella di alcune figure, come muse ed amori ed animali come delfini e cigni, e di rami, come allori ed edere; e perchè i Duchi di Savoia portano, nel collare dell’ordine loro, queste lettere F. E. R. T., le quali significano intieramente Fortitudo eius Rhodum tenuit, i8S GIORNALE LIGUSTICO che è memoria dell’azione cantata nel libro [dell'Amedeide], c’interporrei medaglie, nelle quali fossero quelle parole cosi puntate ; e lo spazio in mezzo sia capace del titolo del libro. Tanto posso io dire a λ . S. per incitare il suo ingegno ; rimettendomi a lei come a mastro ; ma per verità nelle cose, che debbono rubare gli occhi de’ veditori, la varietà è da desiderarsi sopra tatto, lo sono verso il fine della fatica; ne passeranno i 15 di questo che il libro sarà fornito; ma mio pensiero è fatto, il primo dell’anno di giungere a quella Corte, e vorrei vedervi, e se mi sarà possibile farò un passo costi, ma in ogni modo vi scriverò; ed intanto mi raccomando . . . ». Lettera 127 di Savona li 8 dicembre 1606. « Io non so che più desiderare su la cartella : λ . S. pensi Ella davan-taggio ; quanto a farvi dentro 1’ iscrizione non accade, perchè non vorrei che costi si divulgasse, se pure il vostro amico può tacere; queste sono le parole da porvi : Amedeida poema di Gabriello Chiabrera al Serenissimo Carlo Emanuel Duca di Savoja. E V. S. si ricordi che il foglio dee essere più grande di questo, cioè dee essere mezzo foglio reale come già mandai. Non spero poter essere in Genova inanzi il mio partire: se cosa alcuna posso per V. S. Ella accenni e Dio con noi ». Lettera 130 di Savona il primo di gennaio 1607. e ... Ho fornita Γ Amedeida, e leggermente rivedutola, copierolla, e poi non avrò, ne vorrò avere, che far più seco, e lascerolla all’arbitrio degli altri ... ». Lettera 131 di Savona li 16 gennaio 1607. «... Io vorrei ristorarmi, e poi passare in Toscana: non so se potrò far tante cose ; tuttavia ho fatto il più, ed é l’Amedeida, la quale vorrei leggerla con voi e con Cuneo nostro, il quale saluto. Altra pausa. Lettera 132 di Savona li 3 febbraio 1607. «... Io mi riposo e sto aspettanto se doverò passare in Toscana, non andando io farò, piacendo a Dio, Pasqua in Torino, ma averemo tempo a darci novella e Dio sia seco ». Le prime osservazioni del Duca. Lettera 133 di Savona li 10 giugno 1607. « A Dio grazie io sono ritornato con buona salute di Torino: debbo dire a V. S. come credendo essere il fine del poetare, mi conviene tare GIORNALE LIGUSTICO 189 una giunta in alcune parti al libro; cosi piace a quel Principe, ed io farollo volentieri, essendo cosi obbligato per le cortesi dimostrazioni ricevute da quella Afltezza], Non sono già le giunte per dovere essere di molta noia fatica. Mostrai il disegno di V. S., e nei discorsi col Signor Duca, piacquegli il capriccio del cartoccio, ed i luoghi del FERT, e gli uccelli, e i delfìni, ma non si soddisfece delle Arpie, come di cose non significanti. Disse poi ai Conte di Raviasco che gli pareva che sul frontispizio si ponesse S. Gio. Batta come capo di quella religione, ed a’ luoghi dell’Arpie il Valore e la Religione, ed intesi che aveva mostro e lasciato in mano il vostro disegno ad un suo maestro, acciò ne facesse uno del suo tenore, ch’io dico, e l’uno, e l’altro mi si manderà ». Lettera 135 di Savona li 20 ottobre 1607. « I viaggi nè si consigliano, nè si sconsigliano ; tuttavia quando acca-dino alcune occasioni non si può tacere : il Serenissimo di Savoia è in apparecchio di feste, e sollecita molte opere: io della gentilezza ed umanità di quel Principe posso essere testimonio ; ma le corti tutte sono le medesime, cioè gli umori delli cortegiani. A me pare che pingere in quella galleria, la quale è la più bella eh’ io m’ abbia veduta, sia opportunità di guadagnare onore; e questo piace a V. S. ; ma perchè si cerca anco altro in questo mondo a ben potervi vivere, è da porre mente come entrare in giuoco ; e questo dico, perchè corre voce che in quella corte si incominci meglio, che non si finisce; quantunque io non abbia esperimentato cosi, tuttavia la voce della fama così suona : là ha dipinto il Zucchero ed il Fichino, 1 quali vi lasciai questo maggio addietro, e questi sono uomini reputati, voglio dire che la reputazione vostra è per accrescersi e se a questa voi trovate che si accompagni la utilità, parmi che dobbiate andare. Io sono per partirmi per Toscana fra tre giorni, e perchè il mare è cattivo, può essere che io monti a cavallo, e così dormirò a Genova e cercherò di Voi: lettere farò per il Signor Conte di Raviano, il quale è solo da me conosciuto tra i Signori che si accostano alla persona del Duca, essendo ultimamente morto il Commendatore Bertone; scriverò similmente a Monsignor Nunzio ... ». Lettera 136 di Savona li 14 gennaio 1608. «... Del rimanente se \. S. servirà all’Alt. di Savoja, servirà ad un grandissimo Signore ; conosco ben voi per natura lontano dai costumi delle corti : entrando a quel servizio intendetevi chiaramente. Io ho sempre trovata qulla Corte a mio gusto ; non pertanto intendo dire che colà le spedizioni sono lunghe, e a V. S. mi raccomando; scriva alcuna 190 GIORNALE LIGUSTICO volta, io a Pasqua ritornerò in Toscana per aitare le cose di mio fratello ». Lettera 142 di Savona li 13 giugno 1610. « Io sono ritornato in patria dopo due mesi di ricreazione, e a V. S. 10 posso dire che sto ottimamente per la grazia di Dio; e ancora Le dico come ho pregato 1’ A. S. di Toscana a voler consentirmi. eh’ io possa presentare l’Amedeida al Serenissimo di Savoja, e benignamente ne sono stato compiacciuto. Io procurai questa licenza, perchè essendo provvigio-nato dal Gran Duca, mi parea ben fatto non disporre dei miei studj senza suo consentimento per servizio d’ alcun Principe ; ora io questa estate metterommi attorno a limarla e poi voglio raccomandare questa poesia alla buona ventura, come i rumori di guerra cessino per 1 Italia, de quali io stimo vano il timore dopo la morte del Re di Francia. spero che intanto nascerà occasione che ci rivedremo, perchè vorrei parlar seco per pigliar consiglio e discorrere sopra le stampe ... ». La seconda redazione in 12 canti. Lettera 143 di Savona li 20 giugno 1610. « Se potrò venire costi con buona occasione, io verrò e sentirò V. S. intorno all’ Amedeida, della quale se alcun ricordo di momento mi può dare, pregola che in sostanza me lo scriva .... Prego V. S. a far che 11 Signor Segaro mi acconciasse mezza dozzina di penne e un fiaschetto di buon inchiostro, perchè io voglio copiare l’Amedeida, e vorrei scrivere almeno bene, se io però averò composto male. Il conto V. S. dira al marinaio ed io manderollo ; qui mi dispero a provvedermene Lettera 144 di Savona li 12 luglio 1610. « Ho ricevuto, e ben volentieri, le penne e l’inchiostro del Signor Segaro, e con questa inchiusa io ne lo ringrazio, a \ . S. non dico i nostri Signori Anziani m’ aveano eletto a venir costi, ma 1 caldi mi hanno sforzato a farmi scusare; per certo la fatica mi tormenta, e anco non posso tormi di mano l’Amedeida, alla quale voglio in questi mesi lunghi por fine. Della quale quanto appartiene a sua bontà, 0 suoi vizi, io non voglio più sentire dispute, avendo fatti discorsi assai volte 111 assai luoghi e con assai persone, e assai valorose ; ciocché per me si e potuto fare: io non voglio più molestia d’animo: chi vorrà leggere, leggerà; altro che non vorrà lasceralla nella polvere. Io vorrei che muno n’avesse notizia nè desiderio, si come sarebbe dovere; perchè già non debbo es- GIORNALE LIGUSTICO 191 sere, nè posso essere dissimile da me medesimo, e avendo molte cose alla stampa, mal crede chiunque crede che io nell’Amedeida sia per riuscir nobile, essendo in queste scritture altro rimaso vile; ognuno fa ciò che può: questo sia il fine. Di Torino miei amici mi sollecitano ; e colà non posso essere salvo caro ; anco che quella A. S. non giungesse segnali a’ già fatti. Intorno alle forme della stampa, e del luogo, io ben voglio parlare una volta con V. S., ma ci è tempo massimamente se la guerra si bandisce ... ». Il poema e G. V. Imperiale (1). Lettera 145 di Savona li 10 ottobre 1610. «... sapendo che quel signore [Gio. Vincenzo Imperiale] non può avere bisogno più oggi che dimane di cotal somma, io non mi sono assediato, e avevo in animo di presentare l’Amedeida come queste armi si depongano, e di qui potrebbe essere che io comodamente avessi via da sborsare; e se il disegno mi verrà manco, io penserò ad altro; questo è stato il mio pensamento . . . L’Amedeida è divisa in dodici libri, quantunque siano brevi; mi è paruto meglio così partirla, e non ho che far più con quel poema se non presentarlo, e stamparlo. Intanto adagio lo scriverò in buona forma, e Dio gli dia buona ventura, e a noi tutto ». Lettera 149 di Savona li 22 ottobre 1610. «... sono in purga per una grande infiammazione di sangue, e leggere e scrivere mi nuoce; e certo questa estate ho troppo composto, desiderando di liberarmi dall’ Amedeida ». Lettera 148 senza luogo, li 6 marzo 1611. «... Io sto ragionevolmente; aspetto che le cose di Piemonte si tranquillino per uscire dell’Amedeida, la quale certamente non mi ha lasciato quietare, nè anco mi lascia ... ». Nuovo rifacimento. Lettera 149 di Savona li 7 Aprile 1611. «... Io sono stato con Amedeo, e conosco in prova che mai non ci contentiamo ; molte cose ho allogate e dislogate; alcune giunte, alcune scemate ; e se io non era sforzato a dipartire per tutto maggio , io mi toglieva questo peso da dosso: sono da comporsi cinquanta ottave, e poi (1) Cfr. G. Bertolotto. Un quadro di Tiziano posseduto da G. Gabriello (in Nuova Rassegna 189], N. 38, 41, 42, 43) dove si parla diffusamente delle relazioni tra il Poeta e l'Imperiale, 192 GIORNALE LIGUSTICO io non so più che fore ; lascerò che altri mi soccorsa di consiglio, e sono per leggerlo costi ad alcuni amici, ma non dottrinari, perchè cerco il giudizio di coloro in questo tempo a’ quali dirittamente si scrivano le poesie, al mio ritorno piacendo a Dio penserò a questo ». 11 poema e 1’ inquisizione. Lettera 150 di Savona li 27 giugno 1611. «... Io era a cavallo veramente per andare in Torino quando venne novella che il Duca di Savoia era stato assalito e ferito; mi fermai, e perchè avviso che colà sieno stagioni da altro che di poesie, io indugerò finché si rischiari quel cielo . . . L’Amedeida ho ridotto a quel segno che per me si può : non ho già molte cose aggiunte sopra quella che voi avete vedute, ma bene l’ho molto trasportate da un luogo all’ altro ; potrei ripulire molti versi e molti modi di dire, ma io non ho più testa: voglio uscirne e la stamperei senza farla vedere a quel Principe, al quale avendo ubbidito in acconciare alcune cose secondo il suo volere, stimo eh’ altro non avrebbe in mente di comandare sopra ciò; ma io antiveggo che coi Reverendi Padri Inquisitori averò forse da fare, se non altrimente, almeno per essere prestamente spedito; e perciò vorrei che S. A. raccomandasse questo affare come suo ai Reverendi Padri del suo stato, che così io subito mi spedirò; e se a me rimarrà cura di stampare quel libretto, io sarò costì e parlerò con V. S. per buon consiglio. Ho detto quanto posso intorno un negozio, eh’ornai emmi venuto a noia, e temo ch’annojerà chiunque pei vaghezza o per benevolenza si avrà avuto desiderio; pure questa carriera s’ha da fornire ... ». Lettera 151 di Savona li 7 luglio 1611. v . . . quanto all’Amedeida già ho tante volte detto a \. S. che io ho fatto quanto ho potuto, ma che ogni mia forza è debile a tanti e si gran paragoni : correrò mia ventura : io credo veramente e di buon cuore a tutti i vivT e ho gran paura dei morti, e questa è verità. Che V. S. mi lodi, è pure atto d’amore, ma io dico che in simigliami affari non ci vogliono preghiere d’amici; è mestiere che il libro si lodi per se medesimo, ogni altra cosa è vanità. Il Tasso fu accusato e riaccusato, e pur le accuse sono sparite, ed egli risplende con l’Ariosto : mi fermo dunque su la mia sentenza! Se il libretto arà parte di eccellenza starà in piede, se egli ne sarà privo, caderà ed a questo pericolo non è riparo . . . Del rimanente io almeno averò passato la vita mia corteggiando le Muse, ed Omero e Virgilio e gli altri ingegni ammirabili; e chi può più soave- GIORNALE LIGUSTICO '93 mente passarla? questa ricreazione presente goduta mi ristorerà della futura gloria non acquistata ... ». Lettera 152 di Savona li 2 agosto 1611. «... e veggo oggi di che i Reverendi Padri Inquisitori, hanno sbanditi gli scritti del Signor Tomaso [Stigliani], ed io non voglio andare in istampa con sifatti pericoli ... ». Vuole stamparlo in Genova. Lettera 156 di Savona li 9 ottobre 1611. «... intanto io sono alla lima dell’Amedeida, la quale vedrete molto lisciata, e 111 alcuna parte diversamente vestita. V. S. mi dice d’aver letta l’Iliade: certamente che se partirà dalle lezioni d’Omero, adombrerà alquanto sulla considerazione degli altri poemi ; ed a me sarebbe ventura inestimabile, che 1 nostri avessero alcuna amistà con le scritture de’ Greci Tuttavia sarà che Dio vorrà , disse Castruccio ; io desidero non essere lodato, nè biasimato su la prima veduta, e pure torrò in pazienza oo„i altro giudizio ». Lettera 157 di Savona 27 ottobre 1611. «... il Serenissimo Principe di Mantova mi comanda, e prega ch’io giunga alla sua Corte quanto prima, sicché domani partirò per Casale· farò ogni opera di prestamente ritornare : . . . voglio poi essere in Genova’ e trattar seco sopra l’Amedeida, così della stampa come degli orna-menti ... ». Lettera 163 di Savona li 26 febbraio 1612. « Si fa presso il mese di Marzo, nel quale io voglio andare a Torino per spedirmi una volta dall’Amedeida, e perchè io la stamperei volentieri in Genova per mia comodità, vado pensando al modo di adempire questa mia voglia; e questo non mi dispiace, vorrei che V. S. chiamasse il Pavoni nostro, e l’informasse della forma e del carattere che stabilimmo qui in Savona, cioè che fosse il carattere il corsivo adoperato ultimamente nelle mie canzoni, e la forma tale, che comprendesse in una fiaccata tre ottave in maniera, che tra l’una rimanesse lo spazio voto di una riga; vorrei che la carta fosse belissima, e lasciasse oltre la scrittura largo margine ; e con questa diligenza egli stampasse tre ottave, ma ben diritte, e con ogni diligenza : le ottave siano del Tasso e dell’ Ariosto ; e fatto questo vorrei che me le mandasse : io le porterò meco, e farò nascere occasione di mostrarle al Duca; son certo che S. A. si soddisferà Giorx. Ligustico. Anno XX1. I94 GIORNALE LIGUSTICO della stampa, e disperando di trovarla in Piemonte, torse si lascerà pre gare di lasciarmela stampare in Genova e così io sarei soddisfatto. Dunque V. S. mi procuri tutto questo . . . ». Di nuovo a Torino e Firenze. Lettera 164 di Savona li 10 luglio 1612. « Sono stato a Torino; diedi l’Amedeida al Duca il quale voleva leggerla, e mentre egli lo leggeva io fui percosso da una indisposizione di stomaco e di testa sì crudele, che io tre giorni era venuto meno e non mi reggeva : ventura fu che febbre non mi aggravò, che certo disperava di me medesimo ; mi consigliò il medico a venirmene comodamente a casa, ove le fosse stato bisogno purgarmi, e curarmi, l’avrei potuto fare con agio, e con quiete d’animo, e di corpo ; e così me ne venni in quattro giorni caminando di mattino solamente al fresco, ora sto alquanto e senza dolore di testa; ma lo stomaco è talmente languido, che io non digerisco ; anderò vedendo. Questo è stato il fine del mio viaggio, ho lasciato ordine ad amici che facciano scusa per me col Duca, e supplichino a dichiararmi la sua volontà intorno alla stampa del volume, e dovranno a suo tempo scrivermene, e se alcuna cosa doverò giungere, o scemare nel libro : V. S. sa il tutto e me le raccomando . . . ». Riduzione in 15 canti: altri disegni del Qistello. Lettera 165 di Savona il primo di ottobre 1613. «... ritornai di Firenze, ove i movimenti di Savoia con Mantova non m’hanno lasciato porre in campo alcuni miei pensieri, ed anco nn hanno interrotti quelli che aveva in altra parte, ma io mi rido d’ogm cosa... ». Lettera 166 di Savona li 5 dicembre 1613- « Sultana si avvelena sedendo in su la sponda del letto, ove giacea il cadavere di Ottomano, e si avvelena bevendo tosco in una coppa (1). Amedeo uccide Ottomano (2), combattendo ambedue a piedi, e nel campo della battaglia tutto coperto di morti. Ottomano per le ferite era caduto in su la terra: ed Amedeo li mise la spada nella gola, ed esso Amedeo versava sangue da una coscia ove Ottomano lo ave\a piagato. Amedeo è raccolto da Folco accompagnato da altri baroni fuori alquanto (1) Canto XXII, dell’ Amedeida maggiore. (2) Canto XXI, dell’ Amedeida maggiore. GIORNALE LIGUSTICO χ^- dalla Citta, ed era di notte. Quando Amedeo mette in fuga il campo dei Turchi, è aitato dal tuonare di Dio benedetto, e da procelle mosse in aria· ed anco un Angelo egli a caso („..... con un arco teso contra - nemid’ ma il tempo era di giorno. Nel primo canto l’Angelo apparo ad Amedeo in forma di vecchio romito, e lo risveglia, e poi gli parla; e sono in una spelonca. Credo avere risposto a tutto quello che V. S. mi dimanda -ben dico che alcune cose ho giunto, e di dodici canti sono cresciuti a quindici; e se il libro mi sta troppo fra le mani farassi anco più grande· per questo io non mi assicuro se i disegni già fatti da V. S. potranno rimanere; ma in ogni caso pochi se ne doveranno cangiare ... ». Daccapo Γ inquisizione. Lettera 167 di Savona li 17 aprile 1614, tenuta fino a 20 « Dacché io pani da V. S. i pochi giorni i quali sono 'corsi di qua dalle divozioni di Pasqua, 10 sono stato adosso l’Amedeida, e pensando pure assai tosto di stamparla, ho ricercato in lei tutto quello che secondo uso moderno possa annoiare il P. Inquisitore, e secondo me non vi ho lasciata parola che sia sbandita, dico, fato, fortuna e destini e simi-gliante; ... ». Redazione in 18 canti. Lettera 168 di Savona li 22 maggio 1614. «... polisco quanto posso l’Amedeida desideroso di tormi questa noia d attorno ...» n Lettera 169 di Savona li 6 giugno 1614. « ... Son tutto ne l’Amedeida, e se mai la rivedrete, converrà alterare 1 disegni, almeno intorno al numero, non essendo meno di 18 canti anderanno a 20 ... ». Altra pausa. Le lettere φ. <77. r,S, ,So. ,S,. ,S2, ,s„ „ 20s cM M 7 dicembre 16,4 „1 settembre ,6,s da,atl da firenzc , nm hamo importanza per la storia dell'Amedeida. Dovette partire da Firenze il ij come è nella lettera 206 scritta da Savona li js settembre, senia indicazione di anno, ma certo i6ij. (1) A questo punto c c ?iella lettera una lacuna. 196 GIORNALE LIGUSTICO Nuove trasformazioni. Lettera 209 di Savona li 17 marzo 1616. «... L’Amedeida fu messa a segno quanto per me si può ... ». Lettera 210 di Savona li 3 maggio (senz’anno). «... Piacemi che S. A. intenda il servizio che se le fa e si compiaccia nelle sue proprie glorie. Quando significherà intorno al frontispizio tanto è da fare prontamente ; ma ho voluto toccare un tasto al Sig. Lodovico, perchè una volta parlando il duca meco, voleva che io moderassi alcune sue lodi; voglio dire che i grandi sogliono essere modesti; ma in questo caso egli non dee legare le lingue, perciocché parlano senza suo comandamento. Quanto all’ amico mio, tanto, spero, faremo che l’accomoderemo, ed egli non è tanto gentiluomo che non possa entrare in ogni casa ricca. Della stampa vi raccomando 1’ onor mio, dovendo mandarla al Serenissimo Padrone ». Lettera 211 di Savona li 10 giugno, senz’anno [ma 1616]. » egli lo spedi alla signora Tessero. Piacque infinitamente anche a Lei : essa » recitava come prima attrice con Bellotti-Bon, e, per diritto di scrittura, » ogni dramma messo in scena dalla Compagnia rimaneva proprietà del » capocomico. La Tessero pensò di sospendere la prima recita onde non » dividere gli utili col capocomico che poco di poi lasciava. In quel turno, » Giacosa avv. Giuseppe scrisse la Partita a scacchi. Fatalmente la Paitita » a scacchi uccise la povera Camiola. Vi è in entrambe una scena identica. » Il dramma di Giacosa volò di trionfo in trionfo, e quello del mio povero » Paolo venne rimandato al di lui cassetto e vi giace ancora. Ciò che ne » sofferse il Paolo, nessuno può dirlo, io sola lo so. » Luisa Saglio ved. Giacometti. In quale seduta della Società di Letture scientifiche il Giacometti abbia letto i tre primi atti del dramma non sappiamo, giacché se la Società a cui si allude è quella stessa che tuttora vive e fiorisce in Genova, nessuna notizia in proposito abbiamo trovato nelle « Effemeridi » che la Società pubblicava verso quell’anno dalla tipografia Schenone. Ben più difficile ci sarebbe indicare quale sia la « scena identica » che la signora Saglio ravvisava nel dramma di suo marito e in quello del Giacosa, troppo noto perchè se ne debba qui riassumere il semplice intreccio. Invece la Corniola del Giacometti è in quattro atti: l’azione si svolge a Messina verso l’anno 1339, e, nella sua prima parte, rassomiglia di molto alla leggenda che il Poeta mette in bocca a Camiola nella scena I del III atto: Era Valfrida, giovane e bella, ricca signora di gran castella, ma disamata languia soletta la poveretta. Senza speranza che di morire pel figlio ardeva di crudo sire, schiavo a quei giorni degli invasori barbari mori. Gran prezzo il mauro ladro sovrano chiedeva al sire, ma sempre invano chè dal reo padre partia reietto il giovinetto. giornale ligustico 211 Chiusa Valfrida ne’ suoi pensieri di ori e gemme vuota i forzieri corre, discende, del bel garzone nella prigione pel cumol d’oro, pudica chiese solo una gemma per sua mercede chiede ed ottiene, la generosa 1’ anel di sposa. Camiola è figlia del marchese Turingo, e, come Valfrida, è ricca castellana, vedova del conte di Bonfiglio, si strugge invano, nell’ orbato letto, per Orlando fratello bastardo di re Pietro d’Aragona. Ella si è invaghita di lui ad un torneo in Napoli, dove diedegli, emblema di vittoria, i propri colori e le proprie insegne, ma non il bacio, ambito premio al cavaliere vittorioso _ Poco dopo, Orlando resta prigioniero di Roberto di Napoli, e solo a grande prezzo ne è possibile il riscatto. Camiola, come Valfrida, vuota i suoi forzieri, si priva dell’oro e delle gemme, e riesce a penetrare nel carcere di Orlando, il quale, davanti ad un sacerdote, giura a lei fede nuziale. Essa così esce ce 1 assicura il poeta — « sposa ma casta ». Però Orlando, più ambizioso che innamorato della sua generosa liberatrice, appena libero, vola non a Messina presso Camiola, ma a Saragozza, dove la cugina del re, Costanza d’Aragona, che è a lui fidanzata fin dall’infanzia, deve un giorno portargli un regno in retaggio. Camiola apprende ia terribile novella da suo padre e dal re stesso, Pietro, che in passato, avea nu-drito per la bella vedovetta una fiamma non corrisposta. Si vuole ora che un solenne tribunale di cavalleria, obblighi Orlando a sposare Camiola, per- chè ella..... lo ha comperato ed è perciò « possesso » di lei. Il Tribunale condanna Orlando, il quale è così « sposo forzato » di Camiola. Ma, mentre fervono i preparativi delle nozze, Camiola decide di rinunziare agli affetti mondani e, invece di comparire nel bianco abito di sposa, si presenta all’altare vestita da monaca Clarissa. Così ella, già invano desiderata dal re, vilmente ingannata dal regio bastardo, e in segreto adorata da un bravo gentiluomo, Palmiero, rinuncia a tutti e tre per farsi sposa di Cristo, esclamando: O buon Palmiero Altro rivale più non hai che Dio In verità ci pare che questo dramma — del resto assai difettoso — del Giacometti, non possa, per nessun rispetto, confrontarsi colla Partita a scacchi; ma ci ha da essere pure una ragione recondita per cui la signora Saglio ha 212 creduto vedere nel Giacosa il rivale vittorioso di suo marito, rispetto alla Camiola. Forse è vivo chi potrà saperne di più : e non sarebbe male per la storia del nostro teatro contemporaneo che anche questa nebulosa venisse dissipata. G. BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO Documenti relativi a Cristoforo Colombo e alla sua famiglia raccolti ila L. T. Belarono e M. Stagliene. Genova, Tip. dei Sordo-muti, 1S96, in 4° gr. Ben disse il nostro concittadino rev. Prospero Feragallo, l'acuto critico colombino, che dimostrare che Colombo è nato in Genova sarebbe oggimai fare un’ opera più inutile di chi provasse che due e due fanno quattro. (Crist Colombo e la sua famiglia. Lisboa, typographia portuense, 1888, pag. 67) _ Nè tale di certo fu Γ intendimento dei due illustri nostri concittadini sunnominati nel proporre alla R. Commissione Colombiana la stampa di questo volume, ultimo in ordine di pubblicazione della grande collezione di documenti ed illustrazioni concernenti il grande Navigatore, perchè le origini del Colombo in Valle di Fontanabuona e la sua nascita in Genova sono due cose chiare come il sole, tranne per chi non le vuol vedere. In questo volume i nostri A. A. adunarono in ordine cronologico tutti 1 documenti sparsi quà e là, parte già noti da antico e parte scoperti di fresco, che riguardano il nostro Eroe e la sua famiglia, ascendenti, discendenti e collaterali, a cominciare dal suo avo Giovanni (a. 1429) sino al suo ultimo discendente Diego II morto nel 157^· Il numero di questi documenti è di 138, per cinquanta dei quali la storia ne sarà debitrice al march. Staglieno che nelle sue pazienti quadrilustri ricerche ebbe la ventura di scoprirli parte nei nostri archivn notarili e parte in quelli del Banco di S Giorgio. I primi ottantadue seguono passo a passo il Domenico padre dell Eroe dal 1429, quando egli in età di anni undici venne da Quinto a Genova ad apprendere l’arte della lana, sino al 1471 quando egli si trasferì colla famiglia a Savona a tentarvi miglior sorte, donde poi fece ritorno a Genova intorno al 1488. E qui lo vediamo per 1’ ultima volta nel 1494 come testi-irionio al testamento di Carlotta Yernazza, moglie di Carlo Pi/zorno. GIORNALE LIGUSTICO 213 Gli atti più interessanti per il quesito delle origini della famiglia e per l’altro dell’anno di nascita del Cristoforo sono il n. 1, il 26 ed il 56 che fissano Γ origine della famiglia a Moconesi in Valle di Fontanabuona, 1’ emigrazione dell’avo Giovanni di là a Quinto presso Genova sul principio del secolo XV, e la nascita ivi del padre Domenico nel 14.18. È su questi tre documenti che dovrebbero fissare la loro attenzione gli oppositori che vanno sempre ricantando agli ingenui che le origini di Colombo vogliono ricercarsi chi a Savona, chi a Cogoleto e chi a Piacenza. In ordine poi all’ anno di nascita del Cristoforo è importantissimo il citato documento 1 che ci dimostra il Domenico di lui padre essere nato nel 1418. Or come si può ragionevolmente ammettere che il Cristoforo sia nato nel 1436 secondo i calcoli del conte Roselly de Lorgues? L’età del matrimonio per i maschi in Liguria fu sempre d’ ordinario passati i vent’ anni, ma qui nel caso del Domenico saremmo al 17° — E poi come si potrebbe conciliare la nascita del Cristoforo nel 1436 colla nascita del suo fratello minore Giacomo nel 1468, trentadue anni dopo!? Cf. doc. 68. Trentadue anni d’intervallo fra il primo e l’ultimo di cinque figli! Certo è più probabile la data del '46-47 dello Spotorno, accettata dal D’Avezac dal Desimoni e dai due nostri A. A. pag. 18. Altri oppositori circa la nascita del Cristoforo in Genova ricorrono ad un argomento specioso. « Sì, ammettiamo, essi dicono, che in Genova molti » anni prima della scoperta fatta dal grande Navigatore sia vissuto il » Cristoforo dei vostri documenti genovesi e savonesi, ma come provate » voi che il Navigatore e il vostro Cristoforo siano la stessa persona? » A questa domanda rispondono vittoriosamente i due documenti 31 e 105: Nel primo, che è una sentenza arbitrale del 28 Settembre 1470, si vede il Cristoforo di Genova condannato a pagare in solidum con suo padre Domenico L. 35 a Benedetto Del Porto maestro tintore; e dal secondo, che è il testamento di Diego figlio dell’Eroe in data 8 Settembre 1523, si rileva che quest’ ultimo aveva ordinato al Diego di pagare la somma di venti ducati agli eredi di Benedetto Del Porto di Genova (pag. 351. _Or dunque se i due Cristofori non erano la stessa persona, come si spiega che al grande Navigatore (estraneo a Genova come pretendono gli oppositori) dopo venticinque anni di assenza dall’ Italia sia venuto il pensiero di ordinare il pagamento di venti ducati agli eredi del fu Benedetto Del Porto in Genova che per lui dovevano essere persone ignote? L’induzione logica è che questo pagamento dovesse essere 1’ estinzione dell’ antico debito in base alla sentenza del .1470, aggiuntivi generosi interessi in ragione composta. — È 214 GIORNALE LIGUSTICO singolare poi che il figlio Diego abbia ritardato sino al suo testamento del 1523 a rivelare l’ordine che il padre gli aveva segnato in un semplice memoriale olografo. Finalmente la parentela del Cristoforo coi Colombo di Quinto suoi cugini è manifesta dal convegno fra questi (a. 1496, doc. 84) perchè uno di loro vada in Ispagna ad inveniendum dominum Christophorum de Columbo arrni-ratum regis Ispanie. Sempre la stessa istoria: l’interesse fa ricordarsi dei parenti lontani saliti in auge. Perchè non fecero allora altrettanto i Colombo di Cuccaro, di Piacenza e di Cogoleto appena scoperte le Indie? A questa raccolta è premessa una ampia prefazione dei due A. A. in esplicazione dei singoli documenti e del nesso fra molti di essi per cui si viene a provare la gcnovesità della famiglia di cui sono parte principale i tre fratelli emigrati in Ispagna, Cristoforo, Bartolomeo ed il Giacomo che colà cambiò il suo nome in Diego, lacóbum dictum Diegum. Cf. doc. 88. In fine della raccolta segue un completo albero genealogico di dieci grandi pagine, utilissimo a consultarsi per i varii dati annessivi ad ogni singolo membro, ed un copiosissimo indice di nomi propri e delle cose notevoli. Ed ora ci siano permessi alcuni lievi appunti: I. — Nell’albero, a pag. 282, figura un Luca Colombo di Moconesi come fratello del capo stipite Giovanni. Noi abbiamo cercato invano il documento che giustifichi questo grado di parentela. Se i due figli del Luca, il Giovanni e il Benedetto, ebbero dei rapporti amichevoli col Domenico, ciò non giustifica che abbiano a ritenersi come suoi cugini (pag. 19). II. — Parimente a pag. 48, sotto la data 28 aprile 1495 > ^ riferito un atto di affitto di un telaio per parte di un Giovanni Colombo, senza paternità, tessitore di panni ; e questi si vorrebbe che fosse il Giannetto di Quinto figlio dell’Antonio di cui nell’albero a pag. 283. — Ma nè anche qui vediamo giustificata la credenza degli A. A. III. — Parecchi documenti furono omessi in questa raccolta, sebbene opportunamente segnalati al rispettivo numero d’ ordine cronologico, per la ragione che dessi sono già riferiti in altro precedente volume della grande Collezione. Or questo sistema infastidisce in pratica il lettore non tanto per la perdita di tempo a rintracciarli, quanto per la fatica di dover compulsare dei volumi di un peso non comune e di un formato incomodissimo, cm. 40 per 30. Sarebbe stato molto meglio riferirli per disteso anche a costo di commettere qualche duplicato. Ma questi sono nei che non valgono a scemare d’ un jota 1 alto pregio di quest’ opera che può stare accanto al Ragionamento degli Accademici di GIORNALE LIGUSTICO 215 Genova, al libro dello Spotorfio, all’opera dell’Harrisse ed alle Questioni intorno a Cristoforo Colombo del nostro venerando C. Desimoni. Ed ora nel chiudere questo cenno bibliografico facciamo voti che il nostro benemerito march. Staglieno arrivi a scoprire nelle sue investigazioni il capo saldo della grande questione dell’anno di nascita dell’Eroe, il contratto di dote della madre di lui Susanna Fontanarossa. L. C. Renier (Rodolfo). Il Gelindo, dramma■ sacro piemontese della natività di Cristo, edito con illustrazioni linguistiche e letterarie. — Torino, Clausen, 1896. [Al pari di « Gianduja » è popolarissimo in Piemonte (1) « Gelindo », che è il tipo del buon campagnuolo piemontese, rozzo ina di buon senso, e non privo di una certa malignità; il cui nome ricorre in parecchie irasi e modi di dire, comuni anche fra le persone colte del Piemonte. Gelindo non è che un personaggio di un dramma popolare piemontese, che si riferisce al ciclo natalizio e la popolarità proverbiale che il tipo ha acquistato, dimostra ad evidenza quanto diffuso dovette essere il dramma a cui il personaggio appartiene. E il dramma infatti fu rappresentato infinite volte e ancora oggi si rappresenta nelle campagne; e ben fece il Renier a rimetterlo ora in luce con un prezioso corredo di illustrazioni linguistiche e letterarie nel volume, qui sopra annunciato, che costituisce un modello del genere. Comincia il Renier a darci il testo del dramma, di cui naturalmente non si conosce l’autore. Non lo dice la tradizione, nè lo dicono le stampe, del resto abbastanza moderne, che il Renier ha posto a base del suo studio. Il dramma è scritto parte in lingua letteraria, parte in vernacolo. Maria Vergine, S. Giuseppe, l’Angelo, i re Magi, Erode ecc. parlano in italiano più o meno corretto; Gelindo e gli altri pastori in dialetto, che il Renier, secondo la redazione più antica e genuina, ritiene essere l’alto monferrino arcaico. Delle quattro redazioni conosciute egli segue appunto questa, e così la parte dialettale trascritta con ogni più diligente cura ci fornisce anche un testo interessante per gli studi glottologici. E al testo infatti tien dietro un’illustrazione linguistica, della quale non è qui il luogo di parlare. Possiamo però dire che è condotta con una minuzia che parrà forse soverchia, ma certo con molta sicurezza e per- (1) E così pure nella nostra Liguria, 216 GIORNALE LIGUSTICO spicuità, sia nelle annotazioni fonologiche che in quelle morfologiche e sintattiche. Notevole è pure il glossario, che aggiunge nuovi materiali alla conoscenza dei dialetti dell’ alta Italia. Segue 1’ illustrazione letteraria, in cui, dopo aver toccato della popolarità del Gelindo e delle sue rappresentazioni, viene a parlare della costituzione di esso, delle sue varie redazioni e dei loro rapporti e cio-nologia. Questa parte merita non minori Iodi di diligenza e acutezza. Ci duole di non potere accompagnare il Renier nella sua felice indagine, però vogliamo riportarne almeno la conclusione: « Per queste ragioni e pel sapore generale del componimento, che ogni lettore un po’ esperto sarà in grado di apprezzare leggendolo, crederei di dover riporre le prime origini ed i primi ampliamenti del Gelindo nel seicento e di ammettere inoltre come cosa certa che nel secolo scorso esso fu elaborato, accresciuto, adattato ai vari gusti, colorandosi variamente nelle scene vernacole a seconda dei luoghi ove lo si rappresentava ». Nell’ultima parte del volume, allargando ed elevando le ricerche, il Renier tocca delle fonti che potè avere siffatto dramma e in alcuni appunti sulla fortuna che ebbe nelle arti il motivo della natività di Cristo, fa osservazioni acute e originali, chiudendo il libro con un importante Appendice sulle reliquie popolari del dramma sacro in Piemonte. Qui egli raccoglie copiose attestazioni dell’ esistenza di esso dramma nei secoli andati e dell’ attuale sopravvivenza nella valle di Susa, nel biellese e nel canavese, dando un sommario del « Giudizio Universale » del « Trionfo della Penitenza » e infine del Fra Dolcino, dramma non veramente sacro, di origine evidentemente letterario. Cosi col lavoro magistrale dell’ambasciatore Nigra sui canti popolari, con quelli dello stesso autore e dell’Orsi sulle rappresentazioni popolati (Natale e Passione) ed ora con questo volume del Renier, il Piemonte ha largamente esplorato un campo, in cui la Liguria ha fatto presso che nulla. Additando adunque l’ultima pubblicazione del valente professore di Torino, noi facciamo voti che simigliami ricerche si istituiscano anche qui, dove non possono mancare preziose reliquie di dramma sacropopolare (i)]. P. E. Guarnerio. (i) È per noi doveroso ricordare come un intimo amico nostro, troppo acerbamente rapito agli studi nelia verde età di 28 anni, il prof. Adolfo Maragliano presentava appunta come tesi di laurea un lavoro sopra le rappresentazioni sacre in Liguria: crediamo che il manoscritto sia rimasto presso la R. Università di Torino. d. D. GIORNALE LIGUSTICO 217 Olcese (Giacomo) Storia di Recco. — [L’ autore, che è attualmente Rettore di Casanova, intraprese fino dal gennaio 1895 questo lavoro che è ora giunto al suo compimento. Abbiamo letto da capo a fondo il volume, che è di circa 330 pagine in ottavo, e lo trovammo egregiamente condotto. Qualcuno è vero, notò qua e là qualche deficienza , altri avrebbe desiderato maggiori indagini negli Archivi, specie in quei di Genova, dove pure s’ aduna tanta parte della storia dei Comuni liguri, ma a far opera del tutto completa sarebbe occorso un lavoro paziente, minuzioso, di anni ed anni, e Recco avrebbe tardato ad avere i suoi cenni storici, forse dieci o quindici anni ancora. Ascriviamo dunque a merito del Rev.° Giacomo Olcese l’avere supplito alla deplorata mancanza e teniamo calcolo di quello che ha fatto, che non è poco. Merito suo è già quello d’avere saputo adunare ed ordinare notizie che si leggevano sparse in libri e manoscritti, di avere posto in luce documenti affatto ignorati, specie i preziosi che si conservano nell’ Archivio di Recco, d’ avere ricordato ai recchesi le glorie che essi ignoravano, d’ avere fatta luce intorno all’antichità del Comune, d’averne posto in bello rilievo l’epoca del soggiorno e della giurisdizione dei Vescovi milanesi, d’avere ricordato all’ ammirazione dei posteri i nomi, le geste d’insigni che in terra ed in mare, nelle arti, nelle industrie, nelle lettere, nelle scienze mantennero alto il decoro del paese e ne resero onorato il nome. Accuratissimi troviamo i capitoli intorno al registro comunale ai Podestà, Capitani, Sindaci, intorno alle invasioni dei Turchi, dei banditi, ai fatti d’ armi, ai costumi, alle chiese, ecc. Il volume è dedicato a Mons. Arcivescovo]. Accame (ami. Paolo) Storia dell’ Abbaca di S. Pietro di Varatella, Al-benga, Craviotto, 1893. [È una modesta contribuzione alla storia ecclesiastica della diocesi di Albenga con un ricco corredo di documenti inediti formanti una raccolta assai pregevole. L’Autore, ben noto fra i cultori delle discipline storiche, traccia la storia di questa celebre Abbazia, fondata da Carlo Magno (stanza dapprima di monaci di S. Benedetto sino al 1308 e dal 1313 al 1797 di monaci certosini) rilevando i benefizi arrecati dai monaci a quei paesi. L’ autore non cessa mai dal rendere omaggio a quell’eterna esigenza del vero, la quale deve essere suprema dote della storia. L’ opera è divisa in nove capitoli, a cui segue un’ elaborata serie di abbati, priori, vicari, monaci, avvocati e famuli 2l8 GIORNALE LIGUSTICO del monastero. Tra i documenti addotti sono notevoli tre bolle del secolo XIII, la prima di Gregorio IX (18 marzo 1231), la seconda di Clemente IV (30 dicembre 1267), la terza di Bonifazio Vili (settembre 1297) le quali mancano non solo nei Regesta Pontificum del Potthard, ma altresi nei Regesti parziali, che furono stampati dalla scuola francese a Roma. Il lavoro dell’ Accame è insomma un buon contributo alla storia del monachiSmo in Liguria]. A. F. Roggero (Esisto). Il settecento galante, Milano, Galli 1896. — [Questo libriccino grazioso deve precederne un altro dello stesso autore : le Figurine del settecento. Quello che ora presentiamo ai lettori , non vorrebbe essere altro, secondo il modesto autore, che « una breve causerie che dia la linea generale degli intendimenti galanti del secolo bizzarro che tanti buoni germi, nelle sue frivolezze e fatalità, ha pur lasciato a noi, suoi ultimi nipoti ». Il volumetto di pagine 68 si lascia leggere da principio alla fine d’ un tratto solo]. SPOGLIO DEI PERIODICI Giornale della Società di letture e conversazioni scientifiche (Genova) fascicolo I-II. Pagliaini A. Elenco sistematico e alfabetico delle pubblicazioni periodiche ricevute dalle biblioteche di Genova nel iSyù. [Sull’ esempio di Luciano dall’ Acqua, che nel 1864 registrava i periodici posseduti dall’istituto Lombardo e da altri Stabilimenti scientifici di Milano, e del-1’Elenco generale pubblicato a Firenze nel 1884 a spese del Ministero di P. I., il Pagliaini, bibliotecario della nostra R. Università, ha compilato un elenco dei periodici che si trovano leggibili nelle 15 biblioteche di Genova; dopo averle disposte per ordine sistematico, le ha anche enumerate in ordine alfabetico, cosicché il lavoro (modesto nella forma ma testimonio di diligenza e di competenza bibliografica) è un prezioso sussidio per lo studioso. Da esso apprendiamo che vengono in Genova non meno di 869 pubblicazioni periodiche, interessanti i varii rami dello Scibile. Precede l’elenco una breve ma concettosa prefazione del prof. R. Benzoni]. Bigoni (professore Guido) I Fenici nella Storia del Commercio. [È la prolusione ad un corso libero di Storia del Commercio nella R. Scuola d’ applicazione per gli studi commerciali di Genova]. w GIORNALE LIGUSTICO 219 Studi Senes!. XIII. 1-2. Filippi (Giovanni). — La terra di Vediti suoi Statuti dell’anno 1456. [Vezzi, piccola terra della riviera ligure occidentale, fu, secondo il Vìrzellino, acquistata da Savona nel 1132. Con deliberazione del 24 gennaio 1456 alcuni tra gli anziani di Savona prepararono gli Statuti, che furono la prima raccolta di leggi di Vezzi, foggiate su quelle di Savona. Il Filippi li ha trascritti e illustrati con una introduzioncella di circa 19 pagine]. Rassegna Nazionale. (Firenze). XVIII. 1.° Aprile 1896. Isola (I. G.) — Commemoratone di Cesare Cantù nel primo anniversario della sua morte con un’ appendice di alcune sue lettere. [P A., ebbe coll’ illustre storico antiche relazioni di amicizia e rievocando ricordi personali tesse una interessante biografia del Cantù, lumeggiandone alcuni punti controversi]. Annuario della R. Università di Genova. 1895-96. — Manfroni (professore Camillo) Luigi Tomaso Belgrano. [Il M. che successe al Belgrano, nella cattedra di Storia nella nostra Università ne tesse una notizia giudicandolo specialmente dalle sue pubblicazioni], (Continua). OPERE PERVENUTE AL « LIGUSTICO » Archeografo Triestino, edito per cura della Società del Gabinetto di Minerva, vol. XX, fascicolo secondo [Trieste 1895]. Commentarli dell’Ateneo di Brescia per l’anno 1895. Giornale della Società di letture e conversazioni scientifiche — direttore prof. R. Benzoni. [Gennaio-Marzo] Genova, Ciminago, 1896. Filippi (Giovanni). — La terra diVezzi ed i suoi statuti nell’anno 1456. Torino, Bocca, 1896. Accame (avv. Paolo). — Storia dell’Abbazia di San Pietro di Varatella. Albenga, Craviotti, 1893. Isola (I. G.) — Commemorazione di Cesare Cantù..... Firenze, Rassegna Nazionale, 1896. Manfroni (prof. Camillo). — Luigi Tomaso Belgrano [Estratto dall’Annuario della R. Università di Genova]. Genova, Martini, 1896. L'educazione del Popolo, Rivista Bimensile per le scuole e le famiglie, diretta da G. Carbone. Genova, Tip. Scuola Civica d’Arte e Mestieri. 220 GIORNALE LIGUSTICO Bigoni (prof. Guido). — I Fenici nella storia del Commercio. Genova, Ciminago, 896. Roggero (Egisto). — Il settecento galante. Milano, Galli, 1896. Imperiale (march. Cesare). Presidente della Società Ligure di Storia Patria. — Parole dette .... per 1’ inaugurazione della nuova Sede Sociale 2 maggio 1896. Chiavari, Gemelli, 1896. Pagliaini (A) ... — Elenco sistematico e alfabetico delle pubblicazioni periodiche ricevute dalle bioblioteche di Genova nel 1896. Genova, Ciminago, 1896. Puppo (prof. Antonio). — Nella solenne inaugurazione del monumento al Duca di Galliera in Genova XII aprile MDCCCXCVI. Genova, Sordomuti, 1896. Aracri (dott. Vincenzo). — La divinità, l’Uomo e l’Eliso in Pindaro. Genova, Sordo-muti, 1896. Atti e Memorie della R. Deputazione di Storia Patria per le provincie di Romagna. Vol. XVIII, fase. IV-VI. Bologna, 1896. Malaguzzi-Valeri (conte Ippolito). — La costituzione e gli statuti del-F appennino Modenese dal secolo VIII al secolo XVI. Rocca S Casciano, Cappelli, 1895. L'Archivio di Stato in Modena durante il triennio 1888-90 id. nell’annata 1891. Modena, Società tipografica, 1891-93. Spinelli (A. G.) — Elenco Sommario dei Statuti, Capitoli, Privilegi ecc. comunali e Provinciali. Biblioteca Critica della Letteratura Italiana, diretta da Francesco Tor-raca (Firenze, G. L. Sansoni 1895-96): N.° i. Giesebrecht (Guglielmo). — L’istruzione in Italia nei primi secoli del medio-evo. Traduzione di Carlo Pascal. » 2. Ozanam (A. R.) — Le scuole e l’istruzione in Italia nel medio-evo. Traduzione di G. Z-l. » 3. CapaSSO (Bartolomeo). — Sui diurnali di Matteo da Giovenazzo. Disertazione critica (2.“ ed.). (Il numero 4° non è ancora pubblicato). » 5. Paris (Gaston). — I racconti orientali nella letteratura francese, lra-duzione di Mario Menghini. » 6. Sainte Beu ve (C. A.) — Fauriel, Manzoni e Leopardi. Traduzione di G. Z-J. » 7. C ari y le (Tommaso). — Dante e Shakspeare. Prima versione italiana del prof. Cino Chiarini. » 8. Paris (Gaston;. — La leggenda di Saladino. Traduzione di Mario Menghini. ( Continua). Prof. Girolamo Bertolotto Direttore Responsabile. LA VENUTA IN GENOVA DEL CARDINALE UGOLINO D’OSTIA (Maggio - 1217) I. — Non v’è alcuno che, ponendosi a scrivere la storia degli stati europei del secolo XIII, possa dire cose nuove e sode, correggere i difetti degli storici che ci precedettero, investigare le cause degli avvenimenti e sollevarsi alla filosofìa della storia, senza tener l’occhio di continuo rivolto al papato. E, se ciò avviene in generale per l’Italia, in ispecial modo accade pure per Genova nostra, dove l’azione pontificia nei tempi di mezzo è uno dei punti centrali della nostra storia. Maschia figura che giganteggia e sulle altre si eleva, è senza dubbio quella di Ugolino Conti, congiunto in terzo grado con Innocenzo III, dapprima suo suddiacono e cappellano, di poi arciprete della basilica di S. Pietro, eletto cardinale nel 1198 e nel maggio del 1206 promosso dal titolo diaconale di S. Eustacchio all’episcopale di Ostia e Velletri. Principale consigliere ed esecutore della politica di Onorio III, gli successe poi nel pontificato (1227-1241) morendo più che nonagenario. Vissuto in tempi, in cui l’Europa, sebbene non ancora uscita dalla barbarie, andavasi man mano ricomponendo sotto lo spirito della civiltà, quando si venivano purificando i cuori e si erudivano gli intelletti, si addolcivano i costumi, si aprivano le scuole, si cominciavano a coltivare le arti e le scienze, Giorn. Ligustico, .-limo XXI. 222 GIORNALE LIGUSTICO e risorgeva la vita politica e intellettuale dell’umana famiglia (i), portò anch’egli il suo contributo alla grand’opera dell’umana rigenerazione. La sua salda tempra aveva addimostrato nel 1199 avanti a Marcoaldo ; la sua abilità di negoziatore nella legazione di Germania (1207-1209) prima a tentar di comporre la discordia tra i contendenti all’impero, quindi a dettar condizioni al guelfo Ottone per il prezzo della corona imperiale. Ma fu sotto Onorio III che quasi senza interruzione dal 1217 al 1221 Ugolino percorse e ripercorse la media ed alta Italia in qualità di legato, prendendo principal posto accanto al mite pontefice nel guidar la politica della chiesa con zelo ed attività veramente mirabili (2). II. — La prima legazione del Cardinale d’Ostia si esplicò fruttuosamente in Lombardia e Toscana. Nè devesi tralasciare che la curia romana, in omaggio ad un’antica consuetudine, spesse volte comprendeva pure in Lombardia le diocesi di Tortona, Ventimiglia, Savona, Albenga, Genova e Bobbio, racchiudendo la diocesi di Luni nella provincia toscana. Il campo non poteva essere più vasto. Il 23 gennaio del 1217 Onorio III dal Laterano scriveva a tutti gli arcivescovi, vescovi, abbati, priori, e altri prelati di chiese, a tutti i podestà e consoli, a tutti i fedeli cristiani di Lombardia e di Toscana, esortandoli a prepararsi ai soccorsi di Terra Santa e ingiungendo di prestare umile ubbidienza ai mandati di Ugolino, Vescovo d’Ostia, eletto Legato Apostolico (3). (1) Pietro Pressimi, Regesta Honorii 111, Introduzione, pag. X\ . (2) Guido Levi, Documenti ad illustrazione del Registro del Card. Ugolino d’Ostia in Arch. della R. Società Romana di St. Pat., Vol. XII, pag. 242. (3) Mss. Vallic , I, 53; Cod. Casanat. X, IV, 2, fol. 24; Bullar. Rom., ed. Taurini, III, 314; Horoi, Opp. omn., II, 205, n. 167; Potthast, Regesta Pontificum, I, n. 5430; Rodemberg, Epistolie selectae, I, pag. 9; Pressutti, I, n. 272. GIORNALE LIGUSTICO 223 Egli, rivestito di sì nobile dignità, pensò di recarsi in Genova, con un programma bene stabilito sulla predicazione e sulla preparazione della crociata, sulla pacificazione d’ogni discordia, che impedisse Γ unanime concorso dell’impresa e sulla tutela dei privilegi della chiesa e dei chierici (r). E questo triplice obbiettivo -fu pienamente conseguito in Genova. Forte della fiducia del papa e dell’ imperatore, colla guida delle decisioni del concilio Lateranense, il Cardinale d’Ostia giunse in Genova nel maggio del 1217. Lascio la parola all’annalista Ogerio Pane, uno dei continuatori di « Caffaro » : ----in mense madii venit in civitate Ianue Hostiensis et Veletrensis episcopus cardinalis legatus domini pape Honori qui de pace inter nos et Pisanos monuit; et habito consilio iuravit potestas stare mandatis ipsius cardinalis de discordia que inter Ianuenses et Pisanos vertebatur, secundo die iunii iter arripuit ipse cardinalis et potestas cum multis nobilibus civitatis nostre causa eundi ad Portum Veneris pro tractanda et complenda, quod feliciter dictum est, de pace et concordia inter ipsas civitates; et convenerunt se invicem ad Hylicem. ibi iuraverunt pisani, sicut et potestas nostra juraverat; et cum se invicem separarent, misit potestas ad recipienda iuramenta Pisas Raimundum de Volta et Nicholam Barbavariam qui iura-menta hominum. M. receperunt; et in civitate nostra venerunt Pisani nobiles viri Scorzalupus et Aldeurandus Suauicu ad recipienda iuramenta hominum. M. et cintragum in anima popali. venerunt die Veneris .XVI. iunii, et honeste recepti fuerunt, ipse namque cardinalis iurare fecit Andream de Massa stare suis ordinationibus de eo quod nobiles uiros Wilielmum Embriacum et Wilielmum de Nigro carceri emancipauerat; et eos absolui fecit a carcere Andrea; et obsédés quos dederant ipsi Andree, de manibus eius arripuit et Ianuam absolutos misit tam ipsos quam obsides (2). (1) G. Levi, Registro del Card. Ugolino d’ Ostia in Istituto Storico Italiano, Fonti per la Storia d’Italia, pag. X. (2) Riporto il passo di Ogerio Pane, servendomi delle bozze del II volume del « Caffaro e suoi continuatori » lasciato inedito da L. T. BeWano e che verrà pubblicato nelle « Fonti » dell’ Istituto Stor. Italiano di’ Roma, a cura del march. C. Imperiale. .k 224 GIORNALE LIGUSTICO Questo brano è davvero eloquente, e mostra in rilievo l’attuazione d’una parte del programma del Vescovo d’Ostia. HI. — Prima però di lasciare la città il nunzio apostolico consacrò la chiesa abbaziale dei PP. Benedettini di S. Stefano, presso dei quali egli avea preso alloggio. Il Piaggio (i) riporta la seguente epigrafe, che esisteva nel coro della chiesa. Ugo V Ostiensis episcopus Sanctae Romanae Ecclesiae Legatus de latere hanc Prothomartiri S. Stepliano Ecclesiam consecravit anno Domini. MCL VII pridie Kal. Iunii. La trascrizione dell’ epigrafe è errata. Infatti non comprendiamo quel V dopo 1’ Ugo a meno che non sia una L, dandoci in tal modo Ugol. Essendo poi stato letto MCLVII fu scritto che λ l’anno 1157 essendo abbate il B. Giovanni fu consecrata la chiesa di S. Stefano da S. Ugo francese monaco cisterciense ed Abbate di detto ordine, creato Cardinale da Eugenio III nel suo passaggio da Genova, mentre andava col carattere di legato ex latere della S. Sede contro gli eretici enriciani nella quale impresa si segnalò » (2). L’annalista Caffaro, diligente nel darci parecchi paiticolari all’anno 1157 (3), tace affatto di questa legazione. È uno sbaglio d’ anno, che derivò certamente senza dubbio nel secolo XVIII. Nel secolo XVII però si conosceva essere la consecrazione stata fatta nel 1217. Infatti il 30 ottobre del 1637, essendosi instruito un pro- (1) Monumenta Genuensia, Tom. I, pag. 183, M. S. alla Biblioteca Civico- Beriana in Genova. (2) Memorie M. S. nell’ Arch. Parrocchiale di S. Stefano. (3) Annali Genovesi di Caffaro e dei suoi continuatori in Istituto Stor. Ital. N. 11, p. 48. · GIORNALE LIGUSTICO 22) cesso per il rinvenimento del corpo di S. Ampegli, protettore dell·’arte dei fabbri, e dal 1258 venerato in detto monastero, il vicario dei monaci univa al processo questa parcella. Nota come ho trovato chi lo jorno ultimo di magio é la dedicatione de la presente ecclesia de Santo Stephauo facta ei consecrata per lo venerabile Hugutione Hostiense episcopo cardinale et Apostolicae Sedis legato celebrata MCCXVII (i). Agostino Schiaffino, storico non ispregevole del secolo XVIII, narrandoci la venuta del Cardinal Ugolino e riferendo il brano di Ogerio Pane, dice che il legato pontificio consacrò la chiesa di S. Stefano (2). Anche i Saggi Cronologici di Genova stampati nel 1668 all’ ultimo di maggio hanno : « S. Petronilla V. e M. Li Olivertani di S. Stefano dell’Arco fanno la Dedicatione della lor chiesa fatta dal Card. Ugone, Vescovo Ostiense legato ex latere del 1217 ». Di fronte a tali prove bisogna necessariamente ammettere che lo sbaglio provenne nel secolo XVIII, interpretandosi erroneamente l’anno accennato nell’epigrafe. Facea parte della comitiva del Vescovo Ostiense un altro prelato, genovese di nascita e della nobile famiglia dei Conti Fieschi di Lavagna. Era questi maescro Sinibaldo, che più tardi successe nel pontificato a Gregorio IX col nome di Innocenzo IV. « Cum Hugolino episcopo Cardinale Ostiense Apostolicae Sedis legato Ia-nuam . . . rediit ad sedanda Pisanos inter et Iantienses dissidia » (3). (1) Not. Gio. Batta Badaracco, filza 4.% Archivio di Stato in Genova. (2) Annali Ecclesiastici, Voi. Il, pag. 536, M. S. alla Biblioteca Civico- f Berio. (3) Potthast, Regesta, II, pag. 943 e le fonti ivi accennate. 22 6 GIORNALE LIGUSTICO E il· Pansa (+ 1558) istoriografo di Innocenzo IV di lui cosi parla: « Pervenuto a Roma vi fu molto stimato e particolarmente dal Cardinale Ugolino de’ Conti Vescovo d’Ostia, il quale essendo mandato da Papa Onorio III legato alla Repubblica di Genova, Sinibaldo, ch’era seco, si adoperò di forte che la pace fra Genovesi e Pisani allora potentissimi in mare tanto da Onorio bramata per l’acquisto di Terrasanta si stabilì per lo che egli fu creato Vice-cancelliere di S. Chiesa » (1). Fortunata la chiesa di S. Stefano, che in una sol volta accoglieva due prelati, scelti poscia a dettar legge dalla cattedra di S. Pietro ! IV. — In Genova pure Ugolino non cessò di bandir la crociata. E la sua parola dotta, persuasiva e affascinante, che tuonava sotto le gotiche arcate del tempio di S. Stefano, venne accolta con quell’entusiasmo, con che i Genovesi accolsero cento vent’ anni prima la parola di Ugo di Chateauneuf-d’Isère, Vescovo di Grenoble, e di Guglielmo I, Vescovo di Orange, predicanti nella chiesa di S. Siro (2). Il nunzio, sebbene sessagenario, avea ancora un bellissimo aspetto, era chiamato « fiume di eloquenza ciceroniana » (3), possedeva il segreto di conquistare i cuori e per la sua predicazione un nucleo di baldi crociati si era dato in Genova convegno. Infatti Onorio III il 24 luglio del 1217 scriveva da Ferentino a Ottone Ghilini d’Alessandria, Arcivescovo di Genova, informandolo di avere scritto al patriarca, al re, ai maestri è fratelli tempiarii e ospitalieri di Gerusalemme e ad altri principi, perchè andassero in Cipro ad incontrare Andrea, Re d’ Ungheria, Leopoldo duca d’Austria e altri nobili crociati. (1) Vita del gran pontefice Innocenzio IV scritta già da Paolo Panza Genovese e da Tommaso Corto, corretta etc. (Napoli 1601), pag. 4.^ (2) Cafari, Liberatio Orientis, pag. 101 in Ist. Stor. It. (3) Raynaldi, Ann. eccl. al 1227, § 13; Potthast, Regesta, 1, pag. 937. GIORNALE LIGUSTICO 227 Lo pregava di consigliare tutti i crociati, che aveano convegno in Genova, a procedere caritatevolmente per evitare gli assalti degli infedeli. Nello stesso tempo dava allo stesso arcivescovo facoltà di dispensare dal voto di pellegrinaggio quei fedeli, che avessero erogate a prò’ dei pellegrini le somme, che sarebbero occorse, qualora essi si fossero posti in viaggio (1). 10 non seguirò le fasi di questa quinta crociata, che ebbe triste e lieto epilogo a Damietta e dove i Genovesi diedero prova di impareggiabile valore. La pace però stipulata tra Genovesi e Pisani nel castello di Lerici, testimone di altre paci fatte tra le due rivali, e sempre infrante, reclamò le cure del pontefice Onorio III. Questi il 2 dicembre del 1217 scriveva al pavese Oberto Boccafolle, podestà e al popolo di Genova, nonché al podestà e al popolo di Pisa, ricordando di avere spedito ad essi il Card. Ugolino, il quale li consigliò di inviare a Roma apposita ambasceria. Avendo i Pisani mandato Gisberto, Albizzo e Leone e i Genovesi Oberto Spinola, Fulcone di Castello, Daniele Doria e Ugone Cancelliere perchè potessero trattar della pace e attendere al sussidio di 1 erra Santa, il pontefice imponeva queste condizioni: Restituiscano i Genovesi alla chiesa romana la custodia di Castel Bonifazio ; Facciano pace i Pisani col giudice di I orres e suo figlio; 11 Comune di Genova riscuota il censo in Arborea (2). (1) Theiner, Mon. Hung. I, n. 12 e Moti. Hung. Hist. dipi. VI, 145; Raynaldi, Ann. Eccì. al 1217 § 26; Mas Latrie, Hist. de Chipre, II, 36 (al 25 luglio); Potthast, I, n. 5586; Horoy, Opp. omn., II, 473, n. 1; Pressu tri. I, 672. (2) Originale in Arch. di Stato, Materie Politiche, Mazzo III ; Bulhr. Rom. ed. Taurini, III, 333, n. 17; Bulhr. Rorn. Pontif. ed. Coquelin, Tom. Ili, pag. 193; Potthast, I, n. 5626; Horov, Opp. omn., II, n. 69; Pressutti, I, 896. — Posi questa bolla al 2 dicembre, anziché al primo, 228 GIORNALE LIGUSTICO Come se questo monito non dovesse bastare, il Pontefice il 6 dicembre scriveva di nuovo ai podestà e ai popoli di Genova e di Pisa, ordinando che i Genovesi restituissero ciò che in Sardegna aveano occupato per ragione del giudice di Torres, e che i Pisani restituissero ciò che loro era stato imposto dal Card. Ugolino (i); ali’11 dicembre scriveva al podestà e al popolo di Genova, perchè giusta la convenzione stipulata fra essi e il Card. Ugolino, consegnassero il castello di Bonifazio all* arcivescovo di Genova e agli Abati di S. Siro e di S. Stefano, eletti a riceverne la consegna (2). V. — Anche quell’Andrea, Marchese di Massa, che ad istanza del Card. Ugolino liberò i prigionieri genovesi, venne da Onorio III ricordato, laonde il 13 dicembre gli comunicava concedergli in feudo la rocca di Massa ed altre terre dei suoi predecessori, a patto però che pronunciasse solenne giuramento di fedeltà (3). I Genovesi, avuti i prigionieri rilasciati dal Marchese di Massa, non poterono dimenticar tanto presto l’offesa e a loro volta avean fatto prigioniero Veltre suocero del marchese, onde il podestà Oberto Boccafolle, causa mali tanti, fu scomunicato. Ad evitar mali maggiori il 9 febbraio del 1218 Onorio III scriveva all’Arcivescovo di Genova perchè, qualora detto Andrea non volesse accettare dai Genovesi la soddisfazione che aveano promessa, ricevuta dagli stessi sufficiente cauzione come è segnato dagli autori citati, perchè Γ originale ha chiaramente IIII Non. Decembris, il che combina col verbale della conferenza, tenuta lo stesso giorno al cospetto del pontefice (Tola, Cod. dipi. Sardineae, 1, 3 32)· (1) Mss. Valliceli. I, 53; Raynaldi, Ann. Eccl. al 1217, n. 97; Pressutti, I, n. 904. (2) Mss. Valliceli I, 53; Pressutti, I, n. 916 e 917. (3) Mss. Valliceli. I, 53; Theiner, Cod. dipi. dom. temporalis S. Sedis, I, 48; Potthast, I, n. 56, 33; Horoy, Opp. omn. II, 554, n. 76; Pressutti, I, n. 921. GIORNALE LIGUSTICO di soddisfarlo e di porre in libertà il suocero, assolvesse pure il podestà di Genova dalla scomunica (i). VI. — Come si vede, la venuta in Genova del Cardinale ebbe i suoi frutti, e frutti maggiori ebbe certo il suo passaggio a Trebbiano, piccolo castello soggetto alla giurisdizione del vescovo di Luni e dove spadroneggiavano i signori Vicedomini. Un documento inedito del 24 luglio 1218, favoritomi dalla gentilezza dell’ amico M. R. Luigi Beretta, offre un minuto ed esattissimo quadro dell’ abile operosità di Ugolino Conti, della sua energia ed avvedutezza. Il documento è del seguente tenore : In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti Amen. Ugo miseratone divina Ostiensis et Velletrensis Episcopus Apostolice Sedis Legatus dilectis filiis universis presentem paginam inspecturis salutem in Domino. Cum Ildebrandus Vicedominus de Trebiano et nepotes eius Albertus et fratres ipsius Alberti auctoritate eiusdem Ildebrandi tutoris et curatoris eorum ex una parte et Ubaldus et Parentinus de V alechia Guido Actû Oppecinus et fratres Oppe-cini auctoritate Acconis actoris eorum ex altera sup:r omnibus controversiis et discordiis que vertebantur super castro de Trebiano et Vicedominatu et lionere eius et super damnis datis hinc inde et super omnibus que in sententia Venerabilis Lunensis Episcopi continetur prout apparet in carta scripta per manum Benvenuti Notarii sub pena tricentarum Marcarum argenti sicut in publico instrumento confecto per manum Monachi Notarii manifestius declaratur in nos tanquam in arbitrum compromisissent et tactis sacrosanctis Evangeliis Ildebrandus Albertus Ubaldus Parentinus Acto et Oppecinus nostris iurassent stare mandatis que super predictis discordiis per nos vel nostrum nuncium aut per nostras litteras faceremus. Nos habito consilio amicorum utriusque partis iusticie et equitati pensantes ad sopiendas discordias suprascriptas ita duximus statuendum ut infra. Ut Ubaldus teneat turrim communem castri Trebiani et tantum de eadem turri prius per Lunensem Episcopum dirruatur quod turri Ildebrandi et nepotem omnimodis adeque-retur et tanto tempore eam Ubaldus teneat quousque turris eius constructa luerit sicut tempus demolitionis exigat. Colectam sane ab Episcopo Lunense permissam infra duos menses Ildebrandus et Ubaldus sine fraude fideliter (1) Pressutti, I, n. 1074. GIORNALE LIGUSTICO auctoritate Episcopi coligant que pro turris constructione viris fidelibus assignetur ac vigintiquinque libras imperiales quas Gulielmus Marchio Malaspina promisit Ubaldo Ildebrandus exsolvat prius cautione fidejussoria quam Ubaldus habet a Marchione Malaspina in Aldebrandum ab Ubaldo translata (?) et Ildebrandus eamdem recipiet cautionem ut habeat facultatem liberam dictam pecuniam exigendi. Mandamus insuper Ildebrando ut quinquaginta libras imperiales vel competens pignus quinquaginta librarum assignet duobus amicis communibus quos ad hoc Episcopus deputaverit ita quod si omnis Ildebrandus ad refectionem turris solverit operas et expensas secundum quod statutum est per sententiam eiusdem Episcopi predicta pecunia seu pignus Ildebrando reddatur alioquiu de pecunia Ildebrandi operi suorum hominum suppleatui salva sententia eiusdem Episcopi sine exhibitione subsidii ab hominibus lacienda quod usque ad Ildebrandum neque ad Ubaldum spectare noscuntur. Volumus et mandamus ut lapides turris dirrupte que in communi edificio vel domibus castellanorum Ildebrandi apparent Ubaldo reddantur aut juxta exstimationem lapidum persolvatur omnia vero que de novo edificata fuerint ab Ildebrando et nepotibus et hominibus suis in preiudicium Ubaldi et con-sortum ipsius ad statum pristinum reducantur. Super honore autem \ ice-dominatus taliter ordinamus ut Ildebrandus Vicedominus et consortes ipsius duas partes proventuum redituum omnium juris honoris vicedominatus competentium tertiam vero partem Ubaldus cum consortibus suis pacifice habeant et quiete omni jure et possessione castri Trebiani in suo statu manentibus ut Ildebrandus et nepotes eius ut Ubaldus et sui consortes ipsum castrum et districtum ipsius cum omni jurisdictione et pertinentiis suis per Ecclesiam Lunensem libere possideant et quiete sicut hactenus habuisse tenuisse et possedisse noscuntur. Super omnibus vero aliis petitionibus mutuis actionibus et controversiis hinc inde propositis vel proponendis tam super jure vicedominatus quam super castro Trebiani et posse et pertinentiis suis utrique parti perpetuum silentium duximus imponendum precipientes utrique parti sub predicta pena tricentarum marcarum argenti et ex debito prestiti iura-menti ut ea que promissa sunt fideliter serventur et facient observari. Si quis autem contravenire presumpserit sententiam excomunicacionis incurrat et penam dictam fidem servanti pars infidelis exsolvat et pena soluta arbitrium et laudamentum et preceptum nostrum perpetuis temporibus inviolabiliter observetur. Datum et recitatum apud Calcem in palatio plebis Calcensis presentibus Ildebrando et Ubaldo supradictis D. Marsucco Lunense Episcopo et D. Andrea canonico sancte sedis lateranensis et presbitero Romeo plebano de V ico Rolandino et Grimano eius filio de Porcaria Gerardo Villano de Sarzana et GIORNALE LIGUSTICO ~3 1 Bona juncta jurisperito de Cassina (i) Benvenuto de Calce et aliis pluribus. Dominice Incarnationis Anno millesimo ducentesimo decimo octavo indi-cione quinta VIII Hai. Augusti (2). Colla partenza del Card. Ugolino da Genova non cessò 1 opera sua indefessa nel genovesato. Parecchi sono gli atti inediti da lui emanati, ma faranno parte dei regesti, che vedranno la luce nel prossimo volume degli Atti della Società Ligure di Storia Patria. Arturo Ferretto. INNOCENZO CYBO NEGOZIATORE DI COSIMO I DE’ MEDICI ALLA TREGUA DI NIZZA I. « Se ben pare che non resti speranza alcuna al bisogno della cristianitade, che questi due principi si accordino insieme con pace universale, nientedimanco la necessità delli tempi piesenti, e la buona natura di sua cristianissima maestade, e fi) Bonagiunta di Cassina oriundo rapailese, il 9 Agosto del 1264 è in Tunisi, interprete di lingua araba del califo Ab-Abd-Allah (Amari, I Diplomi arabi dell’Arch. Fiorentino, pag. 302). (2) Il documento fu ricopiato dal Beretta da un codice in pergamena esistente ad Arcola. È però trascritto a pag. 47 del Codice Pallavicino di Sarzana come da un transunto dello stesso ordinato Γ8 luglio del :Ó2i da Mons. Gio Batta Saivago Vescovo di Sarzana, transunto posto in fine del documento favoritomi. È accennato pure in una serqua di atti riguardanti i Visdomini di Trebbiano autenticati il 27 giugno del 1624 come in atti di Gio. Giacomo Pensa (Filza 3.* Arch. di Stato). 232 GIORNALE LIGUSTICO poi le persuasioni dell’ illustrissimo contestabile, e anco la desterità che forse al presente potrà adoperare la santità del pontefice con le persone istesse di loro maestadi, e finalmente quel lume che è da sperare che il nostro Signor Dio gli mandi avanti agli occhi per mostrargli il cammino alia conservazione della fede sua, faranno che se ben non riuscisse la pace universale, almeno potrà farsi qualche accordo o composizione » (1). Confortato da questa speranza messer Francesco Giustiniani l’anno 1538 era tornato in patria dalla Corte di Francia, dove la serenissima repubblica di Venezia lo aveva spedito con la missione di procurare una sollecita fine alle ostilità rinnovatesi nel 1536 fra Carlo V e il Re Cristianissimo. Senza alcun rispetto ai patti di Cambrai, Francesco I s era giovato sempre d’ogni occasione che gli si fosse presentata per far valere i diritti che pretendeva sull Italia e in particolar modo sul ducato di Milano; quando, finalmente, morì Francesco II Sforza, (i.° Novembre 1535), par vegli fosse giunto il momento opportuno per rompere ogni indugio, e rinnovò con tale ardore le sue pretensioni, da farne soggetto di serie dispute nei consigli dell’ imperatore (2). I ministri cesarei parevano disposti a cedere il Milanese al terzogenito del Cristianissimo, duca d’Angoulème, e ammogliarlo con Cristina vedova dello Sforza o con Margherita d’Austria, già promessa ad Alessandro de’Medici, sperando di governare a loro ai-bitrio il giovane principe e staccare così per sempre la sua politica da quella di Francia; ma Francesco I non si mosti ava favorevole a tale espediente, sebbene lo avesse messo innanzi (1) Albéri, Relazione degli Ambasc. Veneti al Senato, Ser. 1, λοί. I, pag. 209. (2) De Leva, Storia di Carlo V in correlazione all’ Italia, Vol III, pag. 153. GIORNALE LIGUSTICO la regina Eleonora sorella di Carlo V, e richiedeva Γ investitura pel suo secondogenito duca d’ Orléans. Adduceva che sperava di evitare in tal modo una possibile scissione fra il Delfino e il fratello, qualora costui avesse voluto far valere i diritti che, pel testamento di Anna, madre della regina Claudia ed ava di lui, gli potevano competere sulla Brettagna contro l’erede del trono di Francia; ma nè i ministri di Cesare avrebbero voluto consentire a togliere quel germe di dissidio fra i principi francesi, su cui avevano già fatto assegnamento (i), nè Carlo V stesso si sarebbe piegato a concedere Milano a quel duca d’Orléans che, pei diritti che potevano venirgli dall’ essere marito di Caterina de’ Medici, dava affidamento alle pretensioni della diplomazia francese sui ducati di Firenze e d’ Urbino (2). Il Re di Francia, dunque, mantenendo il pretesto di far valere i diritti dei suoi figliuoli, ma segretamente anelando di riacquistare in Italia la preponderanza perduta, si era determinato a riaprire le ostilità. Occasione propizia gliela porsero i protestanti di Ginevra e Carlo III duca di Savoia. Con costui Francesco I non Iacea conto d’amicizia e, sebbene gli fosse zio dal lato materno, (chè Luisa sua madre era appunto sorella del duca), lo teneva avverso perchè sposo di Beatrice, figliuola di Emanuele re del Portogallo e cognata dell’ imperatore ; ed era opinione di tutti che, avendo da cominciar guerra contra Italia, 1’ avrebbe cominciata in Savoia (3). Cogliendo pertanto il pretesto che certe sue genti condotte da Francesco di Montbel signor di (1) Papiers d’état du Card, de Granveìle, Discours après le trépas du duc Sforce, Tomo II. pag. 406. Cit. da De Leva, op. cit. pag. 155. (2) Cosci. L’Italia durante le prépondérance straniere, Cap. III, pag. 36. (3) Relazione di Francia del clarissimo Marino Giustiniano tornato amia-sciatore dai Cristianissimo Vanno 1535; in AlbéRI, Relazioni degli ambascia-tori veneti, Ser. I.', Vol. I, pag. 178. 234 GIORNALE LIGUSTICO _____A_ Veray, venuto in aiuto ai Ginevrini, erano state disfatte dal conte di Challant, maresciallo di Carlo III, e vantando diritti che veramente non gli competevano, nel marzo del 1536 aveva invaso la Savoia e il Piemonte. Ma non era contro il duca soltanto che egli voleva combattere; mostrò ben presto che mirava alla Lombardia e che aveva scelto gli stati di quello come base alle operazioni militari contro il ducato di Milano. Una nuova guerra in Italia sarebbe riuscita calamitosa, e ne temeano specialmente gli effetti il papa e la repubblica di Venezia; quest’ultima perchè avea, nel gennaio di quell’anno 1536, opposto un deciso rifiuto all’ invito di Solimano a entrare in lega con lui e con la Francia contro l’imperatore, e vedeva nell’ ambizione del Cristianissimo una minaccia costante alla propria sicurezza: Paolo III, poi, tenuto allora in buon conto dal re di Francia perchè facea professione d’esser neutrale fra lui e Cesare (1), non avrebbe voluto la guerra, benché desiderasse che la potenza di Carlo V abbassasse un poco, sempre fermo com’era nella sua politica di neutralità. Veneziani e pontefice, pertanto, si adoperarono presso Francesco I per indurlo a più miti propositi, e gli uffici del papa sortirono buon effetto perchè dalla Corte di Francia fu spedito a quella cesarea, Giovanni vescovo di Toul, cardinale di Lorena, per venire a trattati d’accordo. Le vicende della seconda metà di quell’ anno e dell’ anno successivo dettero nuova ansa al papa e ai Veneziani di procurare la pace: infatti per l’uccisione di Alessandro de’Medici, avvenuta la notte dal 5 al 6 di gennaio del 1537, l’attenzione dei due sovrani nemici era attratta alle cose dell’ Italia centrale e il nuovo duca Cosimo I potea contare sull’ ap- (1) Relai- di Francia di Marino Giustiniano ; in Albéri, op. cit. I, 1, Pag· 1)3· GIORNALE LIGUSTICO 2 3 ) poggio dei Cesarei, mentre i fuorusciti confidavano ne’ soccorsi francesi, onde nuovo incendio avrebbe potuto divampare in Toscana; per di più le navi dei Turchi facevano scorrerie lungo le coste del Regno e, per la negata alleanza di Venezia, ponevano a serio pericolo i possedimenti che la repubblica avea nell’ Ionio, minacciando troppo da vicino l’Italia. Perciò nell’ estate di quell’ anno medesimo la Serenissima spediva al re hrancesco I, col nome di gentiluomo, Francesco Giustiniani e vedemmo com’egli tornasse dalla sua missione, dopo breve dimora in Francia, abbastanza confortato nella speranza della pace. Alla quale da parte di Carlo V non po-teasi trovare opposizione ostinata, chè la infelice spedizione di Provenza aveagli ben mostrato come il Cristianissimo potesse contare sopra un esercito forte e ben disciplinato. Contro le fiere minacce del Turco 1’8 di febbraio del 1538 iu sottoscritta in Roma una lega fra il papa, l’imperatore, il re dei Romani e Venezia: ma gli effetti di questa lega cosi formidabile non potevano essere efficaci se Carlo V e Francesco I non facevano prima la pace. Già varie tregue erano state concordate fra i due monarchi : allora il papa si determinò d’invitarli a un convegno sperando d’indurli a quella pace di cui la cristianità aveva ormai assoluto bisogno. II. Fino dal gennaio s’ era detto che « Nostro Signore per cosi santa opera de pace avrebbe preso fatica di venire a Nizza » (1): come la sua offerta fu accettata, il pontefice si ‘apparecchiò a lasciar Roma sul cader del verno. Ma non bisogna credere (1) Lo scriveva il cardinale Caracciolo al cardinale, del Monte il 22 di gennaio del 1538. — Cfr. Carte cerviniane, Filza 41 nell’ Arch. di Stato di Firenze; cit. da De Leva op. cit. pag. 239, nota 2. 236 GIORNALE LIGUSTICO che egli si osse mosso a tale impresa soltanto per desiderio di provvedere agli interessi morali della civiltà cristiana e procurare il pubblico bene; non erano veramente senza ragione le accuse che gli imperiali facevano alla sua vantata neutralità, apponendola a destrezza politica per vendere più cara ia sua alleanza in prò’ del figlio Pier Luigi Farnese e de’ nipoti (1). Quello che, soprattutto, gli stava a cuore era di ottenere da Carlo V la mano della figliuola di lui Margherita d’ Austria per il nipote Ottavio di Pier Luigi e, oltre a questo parentado, ne avrebbe voluto fare un altro collocando onorevolmente Vittoria sua nipote con qualche grande signore della Corte cesarea. Ma trovò chi gli voleva attraversare i disegni ambiziosi. Cosimo I de’ Medici, signore di Firenze. Tra loro non c era buona armonia perchè Paolo III non vedeva volentieri il crescere della potenza medicea e invidiava particolarmente il duca per la grandezza a cui stava per salire; e, se dobbiamo credere al Varchi (2), non contento di aver fatto, poco dopo la sua esaltazione al pontificato, suo figlio Pier Luigi gonfaloniere della Chiesa e di avergli impetrato dall’ imperatore una grossa pensione annua, avrebbe visto volentieri la distruzione della casa Medici per far grande la propria. Però egli aveva continuamente favoreggiato i fuorusciti avversando quanti tenevano le parti del duca di Firenze (3). Il quale, fin dal primo tempo del suo governo, avea ben capito 1 ostilità del pontefice, confermatagli dal favore che costui avea dato ai cardinali (1) De Leva, op. cit. pag. 237. (2) Varchi, Storia Fiorentina, Lib. XIV. (3) Chi provò, prima d’ ogni altro gli effetti dell’avversione di papa Farnese pei Medici fu il Card. Innocenzo Cybo, ai Medici parente ed intimo consigliere. Cfr. Staffetti, Il Cardinale Innocenza Cybo, Firenze, Le Mon-nier, 1894, Cap. IV, pag. 131. GIORNALE LIGUSTICO Salviati, Ridolfi e Gaddi, quando, contrari alli Spagnuoli e al principato mediceo, sui primi del 1537 aveano tentato di soffocare in sul sorgere la sua signoria (1). Dalla protezione concessa ai fuorusciti dopo la morte di Alessandro, nasceva in Paolo III la speranza di poter alimentare in I oscana le discordie e la guerra civile a profitto di Pier Luigi suo figliuolo; e, fin d’allora, carezzava il disegno di poterlo far signore di Firenze, dando in isposa ad Ottavio la vedova dell’ucciso duca, Margherita d’Austria; e incaricava monsignor Gian Giacomo de’ Rossi, vescovo di Pavia, di stabilire le prime relazioni con lei, promettendogli il cappello cardinalizio se in tutto avesse favoreggiato e condotto prosperamente la pratica. Ma, fortunatamente■ per Cosimo, l’imperatore avrebbe certo preferito i Medici ai Farnesi nel governo della Toscana: difatti, rinunciato al desiderio che Firenze divenisse un feudo imperiale, Carlo V, fin dal tempo delle querele de’ fuorusciti contro il Duca Alessandro, s’era deciso a confermare costui nel principato, temendo che il governo repubblicano potesse tornare amico della Francia; dopo la tragedia del 6 gennaio indugiò qualche mese prima di riconoscere il nuovo° duca; ma intanto il favore del papa pei fuorusciti, che apertamente facean capo ai Francesi, doveano confermare nell’imperatore i sospetti sulle intenzioni di Paolo III, sospetti che Cesare avea concepito pochi mesi prima partendo da Roma punto soddisfatto per la poca propensione mostrata dal pontefice in favorire la politica imperiale. Il duca Cosimo volle appunto profittare di questo momento per guadagnarsi tutto l’animo di Cesare, e oltre l’ambasciatore Giovanni Bandini, gli spedi monsignor Bernardo de’ Me- (i) Cfr. Ferrai L. A., Cosimo de’ Medici, duca di Firenze; Bologna, Zanichelli 1882, pag. 16 e seg. Giorn. Ligustico. Anno XXI. 23S GIORNALE LIGUSTICO dici, vescovo di Forlì, per notificargli la sua elezione e pei averne il consenso e il riconoscimento, mentre, dal canto suo, Alfonso Davalos, marchese del A^asto, comandante supremo delle forze imperiali in Italia e governatole del Milanese, sollecitava Γ approvazione cesarea inviando alla Coite monsignore Bernardo Santi da Rieti, vescovo dell Aquila (i). Non molto tempo dopo (P ultimo di luglio di quel medesimo anno 1537), erano disfatti presso a Montemurlo i fuoiu-sciti fiorentini, cui Francesco I era stato largo di promesse e d’ aiuti. Sette giorni appreso Cosimo inviava in Ispagna Averardo Serristori per portare alla Corte la relazione dell accaduto e gli dava ampie istruzioni per le urgenti necessità dello Stato. Doveva, unitamente al Bandini, richiedere il diploma di riconoscimento a duca e principe della citta e del dominio, procurare la restituzione delle fortezze che erano tenute pei gli Spagnuoli e domandare la consegna di Filippo Strozzi, resosi prigioniero, in quella fazione, ad Alessandio \ itelii, quindi aprire trattative di un prossimo matrimonio del duca con la vedova Margherita d’ Austria, attraversando così i disegni di papa Paolo III, contro le immoderate pietensioni del quale 1’ ambasciatore avrebbe dovuto, finalmente, implorare da Cesare la necessaria assistenza in difesa dello Stato novello, aggravato, fin dal febbraio di quell’anno, di due nuove decime (2). (1) Quale opinione avesse sulle cose di Firenze il marchese del \ asto rilevasi da queste sue parole, cavate da una lettera che egli scriveva il 21 di maggio del 1537 al Conte di Cifuentes: « Et credo sia tanto maggiore » servitio di S. M. quanto a lui (Cosimo I) si fa più favore, et si dona » più augumento, perchè nè S. M. nè alcuna opera humana potrà mai » allevare quelli huomini fiorentini che non inclinino alla antiqua et na » turale passione franzese ». Archivio mediceo, fil. 331, Cfr. Ferrai, op. cit-, pag. 57· (2) Legazioni di Averardo Serristori, pubbl. da G. Canestrini, Firenze 1K47. GIORNALE LIGUSTICO 239 Alla prima delle richieste del Serristori Cario V prestò facilmente ascolto e il 30 di settembre inviò a Cosimo il diploma richiesto : ma serie difficoltà si opposero alle altre. Cesare intendeva legare Firenze all’ impero con vincoli ben stretti, poiché usava dire, « che stimava Fiorenza quasi quanto » il regno di Napoli, et perciò era desiderosissimo di occu-» parla et possederla per havere in sua potestà li estremi e » il centro d'Italia » (1); non si sarebbe però facilmente piegato a mettere in mano altrui le fortezze, tanto più che lo stesso marchese del Vasto avea dichiarato a Ferdinando de Silva, conte di Cifuentes, inviato straordinario di S. M. in Toscana, che credeva « due cose principali per la sicurezza » dello Stato di Firenze : la prima che le fortezze fossero in » potere di S. M., et Γ altra che vi si mettessero Spagnuoli » per maggior servizio di quella » (2). Quanto a Filippo Strozzi le pratiche fatte da Cosimo per averlo in sua mano erano attraversate dai partigiani di quello, che aveano inviato alla Corte di Spagna Bernardo Tasso per procurarne la liberazione, mentre Paolo III, d’accordo con loro, era riuscito ad ottenere da Carlo V la promessa che avrebbe fatto grazia della vita al prigioniero purché fosse risultato innocente della morte del duca Alessandro. Chi, poi, tenacemente opponevasi alla consegna di Filippo era il Vitelli che Γ aveva in custodia e che, destreggiandosi perfidamente fra coloro che Γ avrebbero voluto morto e quelli che ne desideravano la salvezza, per la cupidigia di cavarne il macior compenso pecuniario che fosse possibile, suscitò contro di sé (1) Lo diceva Bartolomeo Cavalcanti al Re di Francia. Documeuto VI pubbl. dal Ferrai, op. cit. (2) Lettera cit. 21 di maggio. Monsignor di Granvelle, primo ministro di Carlo V, aveva dichiarato al Bandini: « Voi potete pensare, che essendo » venute (le fortezze) in mano di S. M. la vorrà prima bene considerare » come le abbia a mettere in mano altrui ». Cfr. Ferrai, op. cit. pag. 68. 24° GIORNALE LIGUSTICO una viva contrarietà nel duca Cosimo, in messer Fiancesco Campana da Colle e nel cardinale Innocenzo Cybo, suoi fidati consiglieri (i). Le pratiche del Serristori trovarono quindi opposizione anche nell’opera del capitano Gio. Antonio da Castello, che Alessandro Vitelli aveva inviato alla Corte co! pretesto di intendere le opinioni dei ministri di Cesate (2). Per il matrimonio di Margherita d’ Austria, poi, 1 imperatore si riprometteva maggior vantaggio che non fosse quello di assicurare più stabilmente la quiete in Toscana (3), e sebbene non intendesse favorire i disegni ambiziosi del pontefice in prò’ di Pier Luigi riguardo alla signoria di Firenze, pure voleva servirsi della lusinga di quel parentado per aver dalla sua il papa, della mediazione del quale capiva bene quanta fosse 1’ opportunità in quel tempo per sedare le discordie con il Cristianissimo; oltre che bisognava se lo tenesse amico per la prossima convocazione di un concilio generale. Per queste varie ragioni Carlo V non prendeva veiamente a cuore le vertenze di Cosimo I con Paolo III, le quali si fa<_eano sempre più gravi perchè, oltre la richiesta delle decime, il papa avea voluto il possesso de’ beni romani del duca Alessandro e aveva investito, contro il volere del signoie di Firenze, suo nipote Alessandro Farnese del beneficio d Alto (1) Su queste contrarietà, che furono tenute segrete ed anche smentite da Cosimo, e che ebbero un seguito anche al convegno di Nizza, cfr. Sta- fetti, op. cit. pag. 179. . (2) Per le pratiche fatte dai fautori di Filippo e dai suoi avversari c r. la Vita di Filippo Strofi scritta da Lorenzo suo fratello, premessa alla tragedia del Niccolini e corredata di documenti da P. Bigazzi, Firenze, Le Monnier, 1847. (3) 11 duca diceva che Margherita era « conosciuta duchessa di Firenze » et da questi populi amata », però sarebbe stato meglio lasciarla in quella città. Arch. mediceo, Minute, fil. I. Cosimo I al card. Innocenzo Cybo, 18 maggio 1537. GIORNALE LIGUSTICO pascio (questione questa che doveva avere un lungo seguito e condurre fino alle minacce della scomunica), creando poi vescovo di Massa marittima il cardinal Farnese, con Γ intendimento di togliere prima o dopo agli Appiani lo Stato di Piombino, che Cosimo pretendeva come signore di Pisa (i). Nondimeno le richieste fatte dall’ ambasciatore Serristori in nome del suo signore alla Corte cesarea impensierirono il papa che, pioprio nel tempo che dava opera per indurre i due sovrani ad un convegno pacifico, fece offrire al duca di Firenze la sua nipote Vittoria Farnese, accettata la quale avrebbe potuto attendere liberamente alla pratica per avere Maigherita. Cosimo, pero, rifiutando il partito, scoprì addirittura le sue mire ad ottenere la vedova di Alessandro. III. Intanto Carlo V accogliendo favorevolmente la proposta fatta dal papa, si apparecchiava a partire di Spagna per andarsene a Nizza. Quando il duca Cosimo lo seppe da Giovanni Bandini pensò di profittare della occasione e recarsi di persona al convegno; avrebbe così potuto trattare direttamente coi ministri di S. M. e, fatto omaggio a Cesare, sollecitarne il favore (2). Seppe (1) Per aver Piombino Cosimo avea fatto proferire a Covos e a Gran-velie 10 mila ducati. Cfr. Ferrai, op. cit. pag. 71. (2) Lo scriveva il 23 di marzo del 1538 il duca medesimo al Serristori. « Hora siamo a 23 et altro non vi è che dire se non che comparseno » hiersera le vostre et di messer Gio. Bandini de 12 et 13 del presente, » in le quali non vi è che la risolutione del partire di S. M.la per Nizza. » Il che molto mi piace per e comodi ne possono nascere. Et potria por-» germi anco occasione con buona gratia di S. M.'* farli reverentia et ba-» giargli le mani. (Omissis) Di Roma ci sono lettere de 20 con resolutione » che S. S.“ vuol partire per Nizza et dichiarato il giorno per hoggi che 242 GIORNALE LIGUSTICO contemporaneamente che il papa s’ era risoluto di mettersi in viaggio il 23 di marzo in compagnia di otto o dieci cardinali. Ma poi mutò avviso : troppe erano le necessità dello Stato perchè egli potesse assicurarsi di lasciarlo , anche per breve tempo, alle cure d’altri; troppo fresca ancora la memoria delle brighe de’ fuorusciti per rovesciare il governo. Si determinò , allora , di mandare qualcuno de’ suoi più fidi e parvegli che la persona più adatta fosse il cardinal Cybo. Di lui e ragli nota la buona amicizia con l’imperatore; come principe della Chiesa, poi, sebbene non fosse in buoni rapporti col papa Farnese, avrebbe avuto 1’ opportunità di stargli vicino e di favoreggiare gli interessi del duca. Tale incarico stava molto a cuore al cardinale, che sperava di profittarne per Γ utile suo proprio e per sollecitarlo avea fatto grandissime istanze. Insieme con lui sarebbe andato anche messer Francesco Campana da Colle, già segretario di Alessandro de’ Medici ed ora primo segretario di Cosimo e suo intimo consigliere. Nè questi aveano ad essere i soli agenti del duca di Firenze che sarebbero convenuti a Nizza, perchè vi si doveano pur recare il Bandini, al seguito della Corte di Spagna, e messer Angelo Niccolini, oratore presso il pontefice, insieme con quelli che avrebbero accompagnato S. S. . Dall’ opera di tutti costoro ri prò mette vasi Cosimo buoni risultati pel conseguimento de’ suoi desideri, ma poiché non ebbero modo d’agire concordi, data la differenza de caratteri e dei sentimenti, non riuscirono a far paghi i desideri del loro signore. Per non dire che della pratica riguardante lo Strozzi, come potevano accordarsi col Bandini, gi.i amico e compagno di Filippo (del quale a niun modo avrebbe vo » siamo alli 23. Lassa legato il R di Napoli......Pensasi di habbi.i » haver in compagnia sua otto ο X cardinali » Archivio mediceo, Minute di Cosimo I, filza 1.* GIORNALE LIGUSTICO luto la rovina), il cardinale e il Campana decisi a volerne la morte ? Nè miglior accordo potea passare fra il Niccolini e il Cybo, che alla Corte di Roma avea mille intrighi e raggiri , non tutti, certo, in pro’ dei vari disegni del duca. t certo che il cardinale, come rilevasi dal suo esteso carteggio col Medici, fu quello che condusse a suo arbitrio ogni trattato e se non gli riusci di favorire in tutto Cosimo, non seppe fare nemmanco il proprio vantaggio , anzi sempre più si attirò lo sdegno del pontefice cui aveva, in qualche modo, attraversato gli ambiziosi disegni. Quando, al cadere di marzo, fu conosciuta la partenza del papa da Roma, Innocenzo Cybo, da Firenze, se ne andò in Lunigiana per attendere negli Stati della cognata Ricciarda Malaspina il passaggio di Paolo III e fargli onorata accoglienza in Massa, investigandone, possibilmente, P animo. .Di là incominciò un’attivissima corrispondenza col duca di Firenze e, per essere sicuro della sua confidenza, non tralasciò nessuna lusinga. Sapeva benissimo che tra le cose che maggiormente stavangli a cuore era 1’ attesa consegna di Filippo , però, mentre lo avvertiva con gran segretezza, scrivendogli in cifra, che il cardinale Niccolo Ridolfì se la intendeva da Roma coi partigiani dello Strozzi e cercava di metter lui, duca, in mala luce del marchese d’Aghilar. lo assicurava che avrebbe avuto conoscenza di ogni trama del Ridolfi e che, quanto all’ Aghilar, in un abboccamento che aveva avuto con lui non avea mancato « sgannarlo et mostrarli quanta pernitie si recano » dietro quelli ragionamenti fattili dal cardinal Ridolfi » (i). (i) In una lettera del 6 aprile, scritta da Pisa. Aggiunge : « Ne è restato » bene, nè si mancherà di fare il medesimo in futuro dove accadrà, nè reputi V. E che io sia per perdonare a nulla per lo stabilimento suo. » Chi lo informava da Roma era Ricciarda, sua cognata, chiamata la Contessa di Massa. In altra del 7 aprile, da Massa, il cardinale scrive : « Ho una lettera del 1 0 244 GIORNALE LIGUSTICO 11 papa era atteso a Massa per Γ otto d’aprile; i corrieri si succedevano ai corrieri, tutti erano in moto ed in viva ansietà per i) grande avvenimento che si preparava a Nizza : partita S. S.'a il cardinale disegnava aspettare il Campana la settimana santa poi avviarsi con lui verso quella città, a et » spero in Dio, scriveva, et nella iusta causa nostra mediante » la bontà di S. M.ta che riporteremo expeditione conforme » alii desiderii comuni nostri in confusione delli maligni » (i). Sollecitava intanto le provvisioni necessarie e, oltre una certa quantità di denari, per cui faceva istanza al duca che scrivesse a messer Ugolino Grifoni, suo segretario , lo consigliava a provvederlo « de qualche fiascho di Trebbiano buono, de » mazzolini freschi da poterne carcar in su una fregata et » presentar a Nizza a S. M.ta et a quelli Signori in nome » suo, havendomi detto il Signor Marchese Dolopis che non » si può far maggiore piacere a S. M.u che presentarli simili » baye et cosi a quelli Signori » (2). Dopo esser passato di Toscana, dove il duca Cosimo fu ad inchinarlo a Montepulciano , Paolo III, seguitando il cammino per la Versilia, arrivò a Massa la mattina del 10 d aprile. Il cardinale lo accolse onorevolmente nella ròcca, dove il pontefice pranzò restando poi in lungo colloquio con lui e assicurandolo « che non era stato retrogrado alle cose di Toscana » per servizio del duca, nè sarebbe mai, e questo conoscerebbe » dalla Sig." contessa et mi replica che di nuovo Ridolphi era stato da » essa et dettoli che allungo havea parlato col Sig. Marchese (d Aghilar)... » di maniera che si conosce 1’ anima di S. S R essere inclinato et volto » ad ogni danno di quella (S. Signoria, il duca Cosimo) et forse con in-» telligentia et indirizzo di quelli di costà (di Firenze , favorevoli allo » Strozzi) ». — Archivio mediceo, filza 3716', il cardinal Cybo al duca Cosimo. (1) Lett. cit. del 7 aprile. Arch. niid. filza 3716. (2) Lett. cit. del 7 aprile, ut supra. GIORNALE LIGUSTICO 245 » il Cybo anche meglio , andando alla Corte. » Non mancò Innocenzo di rispondergli a proposito « non gliene faccendo » buone però molte. » Dall’insieme, tuttavia, potè accorgersi che « S. Sta era tirata a questo abboccamento dal particolar » interesse più che del pubblico e che 1’ artetica sua era di » questo parentado, 0 di altro con l’imperatore simile. » A ogni modo, scrivendone a Cosimo , lo confortava ad aversi buona cura, chè al resto avrebbe provveduto lui opportunamente , protestando che « se ci conduciamo a questo abboc-» camento insieme col Campana, quale io aspetto con granii dissimo desiderio, si risecheranno assai difficoltà » (1). La sera stessa del 10 il pontefice fu a dormire a Sarzana, donde seguitando per Aulla e la vai di Magra intendeva essere a Parma la domenica delle palme e andar poi a far Pasqua in Piacenza. Pieso commiato dal papa, il cardinale s’intrattenne a lungo col marchese d Ag'nilar, che, pur quella sera, fu a cena e a dormire a Massa, e lo disingannò di molte cose che gli erano state dette dal Reverendissimo Ridolfi in odio di lui e del duca , talmentechè si partì suo partigiano e promise che per lui avrebbe fatto ogni cosa, persuaso esser tale il servizio di S. M.ta (2). (1) Lettera dell’ 11 d’aprile 1538. Archivio mediceo, filza 3716. (2) Lett. cit. dell’ 11 d’aprile. « Mi ha detto di Ridolphi cose del dia-» volo dell’odio porta a lei et a me: se bene mostra di confidare; et » S Ex. (l’Aghilar) il conosce et sa quello vogliono inferire quelle pro-» messe che lui fe all’ Imperatore et ministri di essa la quale bene li co-» nosce et tambien essi; che Lorenzo (Ridolfi) fu alla Scala a parlargli et » in causa Felippi (Strozzi) et in conformità del detto dal fratello (il » Rev.ra° Niccolò Ridolfi) a Roma. Però che V. S. istia sicura che per la » banda sua non harà cosa che molto li satisfaccia. Ci sono assai particu-» lari ritratti da esso non rilevanti a scriverli. » Arch. mediceo, filza 3716. Cfr. anche lettera del medesimo del 13 d’ aprile. Arch. mediceo, filza 3716. 246 GIORNALI·. LIGUSTICO IV. ' Ma se il duca di Firenze e il cardinale si adopravano con tanto calore per trarre il maggior vantaggio dalla venuta di Cesare a Nizza, non minori successi ripromettevansi i loro avversari e specialmente i partigiani dello Strozzi. Assicurati oramai dalla promessa dell’ imperatore al papa che gli avrebbe risparmiato la vita, volgevano la mente a ottenerne la liberazione: però i suoi figliuoli Roberto e fra Leone, priore di Capua, si apparecchiavano a recarsi anch essi a Nizza per trovarsi appresso di S. S.,a « et da quella pro-» curare nuovi favori, quali excedino tanto li passati quanto » le lettere cedono alla presentia » (1). Per attraversare questa pratica il cardinal Cybo, sebbene avesse già da qualche tempo spedito alla corte cesarea un suo agente, messer Antonio Guiducci, che lo teneva informato di quanto operavasi per Filippo e attendeva a persuadere Carlo V della opportunità di darlo in mano al Medici (2), credette opportuno di sollecitare (1) Lo scriveva Leone Strozzi a suo padre il 29 di marzo da Barcellona. Cfr. Ferrai, op. cit. docum. XXII. (2) <1 Quanto a quello deve venire da S. M.1* anchorchè per le lettere » di messer Antonio (Guiducci) si vegga che la prefata Maestà intende bene » il tutto e che aspettasi con la merzè del Sig.° Alessandro, (la taglia che » il Vitelli esigeva), risolvere ogni cosa , pure noi saremo là da essa non » passerà molto, nè si mancherà di ricordarli et farli istantia perchè si » venga ali’ effecto, et per ciò torna a proposito che il Campana si spedisca, « perchè quanto arrivassimo più presto saria meglio, vedendosi che ci sara » poco tempo, aspettando ciascuno questo convento, et maxime con vedersi » non molta intelligentia nè speranza di pace ; et saldato che si sarà con » S. M.1*, la tenta di V E. arriverà benissimo alla radice del male, il quale » certo è forza di medicare, perchè piglieria tanto campo che questo corpo » noi potria tollerare. · Deciferato d’ una lettera d’Innocenzo Cybo a Cosimo I, da Massa 15 aprile 1535. Archivio mediceo, filza 3716. Il decife- GIORNALE LIGUSTICO 247 lo spaccio del Campana « acciocché quanto più presto si » arrivi da S. M.ta; et si anticipassimo al Papa tre o quattro » dì, tornerebbe al mio giuditio non poco a proposito » (i). Perchè il cardinale sollecitasse di nuovo le provvisioni di Firenze, gliene diè causa la notizia che S. M.ta, « intesa la » partita di N. S. di Roma et la deliberatione dell’ abbocca-» mento, haveva risoluto passare con più celerità che fussi » possibile, nè si aspettava altro che le galere (di Genova), » et arrivate, senza guardare a’ dì sancti o altro respecto, si » imbarcherebbe, et si può credere possa in breve arrivare a » Villafranca » (2). Carlo V avea mostrato tanto zelo di secondare l’intrapresa del pontefice più per fare P utile proprio che per la speranza di pacificarsi col Cristianissimo. Fin dal gennaio egli avea detto che non voleva essere burlato la terza volta (3), e, in quei giorni, quello che dicevasi in Corte di Spagna « di » questo abbocamento , era che non servissi se non a com-» plimenti di dimostrazione, ma non a sortire effecto alcuno » et maxime che di Francia si scoprivano ogni dì difficulté, et » la ultima essere stata di annullare tutte le capitulazioni fatte rato stesso termina cosi : « La lettera di messer Antonio contiene V offitio » fatto con S JW> et certo prudente, et si conosce che la prefata M." in-» tende benissimo ogni cosa ; et sarà facile che risolva di maniera li affari » di costi: parlo quanto a Philippo. ■> (1) Lettere d’Innocenzo Cybo a Cosimo I, da Carrara, pure del 15 d’ aprile. Arch. mediceo, filza 3716. (2) L’avea scritto il Guiducci, 1’8 d’aprile, dalla Corte. Cfr. Lett. del card. Cybo a Cosimo I, da Carrara, il 17 d’aprile 1538. Archivio mediceo, filza 3716. (3) Francesco I avea mancato prima ai patti di Madrid, poi a quelli di Cambrai. Le parole di Carlo V son riferite da Bernardo Tasso in una sua lettera del 18 di gennaio al card. Salviati. Cfr. Documenti storici annessi da P. Bigazzi alla tragedia del Niccolini, già cit. pag. 292. 248 GIORNALE LIGUSTICO » usque in presentem dietn per annichilare la di Cambiai » (1). Però , sebbene la pace fosse desiderata da lui, preparava la guerra e, alla tornata da Nizza, aveva intendimento di fare gran provisione di gente e di danari, valendosi specialmente dell’oro che gli venia dal Perù. E per le cose d’Italia mostra vasi tenace , lasciando correr la voce che avi ebbe fatto Governatore di Milano Niccolo Perrenot di Granvelle, suo primo ministro (2). Occorreva, in tali necessità, che Cosimo si stringesse più che mai a Cesare, cui facean capo in quei giorni tutti quelli che temevano anche del signore di Firenze e , fra gli altri, il principe di Piombino , che aveva mandato un suo uomo a Sua Maestà per offerirglisi, parendogli « male stare senza ì) patrocinio in luogo periculoso a ogni incursione » (3)· Molto ripromettevasi Innocenzo Cybo, per tutte le faccende del suo signore, dall’opera del principe Andrea D Oria che si trovava presso alla Corte; ma costui aveva già dato buone parole anche ai fautori di Filippo e non si sai ebbe ceito pie-stato ai disegni del cardinale che voleva morto lo Strozzi ad ogni costo (4): però mentre adoperavasi in favore del duca (1) Cfr. citata lettera del 17 d’ aprile. (2) Dalla lettera cit. del 17 d’ aprile. (3) Lett. cit. del 17 d’aprile. (4) Filippo Strozzi medesimo scrivendo il 29 di novembre del 1537 al card. Salviati ex arce fiorentina gli avea detto che il reverendissimo Cjbo poteva molto nel consiglio di Cosimo e 1 odiava assai perchè da lui rite nevasi offeso « reputando che li frutti de suoi benefizi di Francia gli fus » sino impediti per mia diligenza. » Cfr. Documenti cit. del Bigazzi, pag. 278. A Bernardo Tasso il D' Oria avea promesso, fin dall’ ottobre , di aiutare lo Strozzi, consigliandolo, però, d’indurre Filippo.« a mostrare a S. M » d’ essere pentito del suo errore, e di avere animo d esserle servitore » richiamando i figliuoli e Piero, specialmente , dal servizio di Francia. Cfr. Lettere'del Tasso a Giulio e Lorenzo Strozzi, del 27 e dell ultimo d ottobre del 1537, da Genova. Doc. cit. del Bigazzi, pag. 265 e seg. GIORNALE LIGUSTICO 249 di Firenze contro le pretensioni di Paolo III e specialmente per quanto riferivasi alle pratiche del matrimonio ( r), per le cose dello Strozzi pareva piuttosto propenso a favorire Giovanni Bandini, decisamente avverso all’opera del Cybo contro la vita del prigioniero. Quando il cardinale ebbe la certezza di questa nuova difficoltà scrisse a Cosimo, in termini piuttosto risentiti, che il procedere del Bandini nella causa di Filippo era, come quello del Vitelli , « non poco pernitioso alla sa-» Iute sua » e che bisognava porvi mente perchè non si avesse a trovare « in qualche pelago, conforme a quello dove posono Alexandro (de’ Medici). » Attendesse però « a tagliarli dextramente il filo, non lasciando più correre questi errori, » ma profitasse dell’ occasione dell’ andata a Nizza per rimuovere dalla Corte quel poco fido ambasciatore, mandandovi, invece, qualche « confidente suo, il quale vi havessi almanco a stare » fino si fussi proveduto di persona satisfactoria ad essa et » grata a S. M,ta, perchè , essendo noi nel principio dello » stabilimento suo, non veggo in che maniera possiamo fare » a servirci di uno più d’ altri che nostro , anzi non punto (1) « Soggiunge messer Antonio (Guiducci) essere stato col Sig. Principe, » il quale li haveva detto che il dì avanti era caduto in proposito con » S. M.u venire a particulari di Firenze, et inter caetera sopra lo stabili-» mento di quello stato, et che S. E lo conduse nel parentado di quella » con la Duchessa, et che S. M.u lo consentì et mostrò etiam in esso più » sua satisfactione per tutti li rispetti. Però questa pratica esserli stata » mossa dal Papa, nè lei esservisi obligata: tamen non li esssere parso » troncare questo filo per li conserti publici; sopra di che S. E. disse ha-» vere replicate molte ragioni et confirmatele in quello che lei stessa molto » bene intendeva et affettava, et la risolutione essere stata che si saria a » Nizza et si vedrebbe come procedessimo le cose. » Lett. cit. del Cybo a Cosimo, del 17 d’aprile. Arch. mediceo, filza 3716. 250 GIORNALE LIGUSTICO » nostro » (ij. Lo confortava, nondimeno, a tenere « la luce » sua sempre fìssa in S. M.ta, che la condurrà al porto di » salute » assicurandolo che « da ogni banda si conosce come » essa (S. M.ta) ha electo V. E. per figlio, et non mancherà de » mostrarlo de maniera che li increduli saranno chiari » (2), e per confermarla nella speranza del patrocinio di Andrea D’Oria gli riferiva che il Guiducci, « ragguagliando il Principe » de sinistri modi che teneva S. S.ta con V. E. et dell inter-» decto , si voltò S. Signoria a messer Adamo (Centurione) et » li disse: « E possibile che non si ricordino d’Alemagna ? » » Et replicandoli il partito de diecimila ducati (che Cosimo » volea sborsare per Piombino) li disse che erano buttati a » dargliene; il che mi arguisce tanto il poco buon amore di » S. E. a S. S.ta, che viene tutto a essere in benefitio no-» stro » (3). Per conseguenza non dubitava che, mediante Γ amore grandissimo e la riverenza portata dal D’ Oria a lui, come principe del Sacro Collegio, come arcivescovo di Genova , e come discendente di una fra le più illustri casate genovesi , si doveva nell’ abboccamento di Nizza soddisfare al duca tanto ne’ publici come ne’ privati negozi (4). (1) 11 card. Cybo al duca Cosimo. Da Carrara, 15 d aprile. Arch. mediceo, fila 3716. (2) 11 medesimo al medesimo. Carrara, 22 d’aprile. Arch. mediceo, filza 3716. (3) Lett cit. del 22 d’aprile, ut supra. (4) Lett. del medesimo, da Carrara, del 23 d’aprile J53^· Ardi. rned., fil. 3716. « Il Guiduccio mi scrive che era stato col Principe di nuovo et » hayerli replicato il medesimo buono animo di S. M.ta verso V. E. et la » molta fede teneva in me, et giudica esso Guiduccio che mediante 1 amor » grandissimo et la reverentia che il prefato Principe dice portarmi, si habbi » in questo abboccamento ne privati et ne publici negotii a satisfare a V. * Ex. et a chi li è parente et servitore. » GIORNALE LIGUSTICO 251 V. Le pratiche fatte dal Medici e dal cardinale per mezzo del Serristori e del Guiducci in Ispagna condussero ad una conclusione prima della partenza di S. M.ta : si decise di assegnare al Vitelli una giusta mercede, dargli il generalato delle milizie in Italia e ottenerne in cambio la cessione della fortezza di Firenze, il comando della quale sarebbe stato dato a uno Spagnuolo , a Don Giovanni de Luna (1). Alla sua custodia dovevasi affidare anche lo Strozzi. Ma questo non potea produrre che il danno di Filippo, che, fidando nella promessa del Vitelli di salvargli la vita , faceva i conti con la sua cupidigia di guadagno e, quasi prevedendo tale sua disavventura, scrivendo, due mesi innanzi, a Benvenuto Olivieri gli avea consigliato che quelli i quali negoziavano per lui in Ispagna non facessero parola della taglia , ma solo cercassero di assicurargli la vita e di risolvere con Cesare « la parte attenente alle sicurtà che per S. M.ta si deside-» rassino avere di me » (2). Vero è che la decisione, dopo un consiglio tenuto fra i ministri cesarei e il Principe, fu mutata, per ragioni di convenienza (3), 0, piuttosto, sospesa, rimettendola al tempo del (iì Doveva passare in Italia accompagnata da Modesto Giugi, l’agente che il Vitelli avea mandato a Carlo V nell’agosto del 1537, subito dopo il fatto di Montemurlo per riferire sull’ accaduto. Cfr. Vita cit. di Filippo Strozzi, pag. CX. (2) Filippo Strozzi a Benvenuto Olivieri. Doc. cit. del Bigazzi, pag. 303. (3) « In uno consiglio fattosi con quelli signori et col Principe si variò, » et la causa (dicesij essere stata perchè non paressi bene in su uno tale » abboccamento si vedessi una alteratione simile, odiose a Francia, Papa λ et Vinitiani. et perchè vi furono alcuni che giudicavano bene di rin-» vestirne V. E., adeo che la cosa fu differita a Nizza. » Il card. Cybo al duca Cosimo, da Carrara, il 23 d’aprile 1638. Arch. med., fil. 3716. GIORNALE LIGUSTICO convegno di Nizza; ma tutto iacea sperare che « accadendo » la continuazione della guerra contro a Francia in la comune » difensione d’Italia, si potesse concludere il parentado della » duchessa e che le fortezze fussino ritenute da S. M.ta perfino » che Cosimo havessi uno figlio » (i). Il D’Oria giudicava fosse questa la vera via per P una e 1’ altra pratica e il cardinale concludeva: « Tamen noi saremo là (a Nizza) et non » si mancherà di procurare tutto quello habbia a essere la » salute sua » (2). Erano frattanto arrivate a Barcellona le galere partite da Genova fin dall’ otto del mese (3). L’imperatore voleva imbarcarsi il secondo giorno di Pasqua (4) e disegnava condurre con sè il duca d’Albuquerque, il conte di Benevento, il duca d’Alba, il duca di Aggera, Γ almirante di Napoli, Don Francesco d’Este , il conte di Santa Fiora e il cardinale di Sequentia ( 5). Quando si furon messi in mare, seguitata la costa fino al golfo di Narbona, li colse sui lidi francesi una fiera procella, finché, dopo varie vicende, riuscirono a dar fondo presso Villafranca di Nizza. Di qui mandò a prendere S. S.ta a Savona. Il papa., che, partito da Massa il το d’aprile, avea seguitato il cammino per la Lunigiana , fu nel Sarzanese incontrato da gentiluomini di Genova, a’quali fece sapere di visitar (1) Lett. cit. del 23 aprile. (2) Lett. cit. del 23 aprile (3) « Da Serezana mi scrive il Commessario havere avviso che insino « agli otto partirono le galere per Barzalona.. » Lett. del Cardinale al duca, del 13 d’aprile. Arch. med. , fil. 3716. (4) « Da Genova s’ intende che il secondo dì di Pasqua, che viene ad ·» essere domani, S. M. s’imbarcheria, et essendo li tempi buoni, si può fa-» cilmente credere debba di corto intendersi la arrivata di S. M. a Villa » franca. » Il medesimo al medesimo, 22 d’aprile. Arch. med., fil. 371^· (5) Lett. del med. al med. del 17 d’aprile. Arch. med., fil. 37*6- Cfr. anche. Lettera di Angelo Pendaglia, ferrarese, sul convegno di Νίίχα, pubbl. dal Can. Antonelli per nozze Avogli-Dal Buono, 1870. GIORNALE LIGUSTICO 253 la loro ai. Giunto , per la vai di Magra, a Parma venne accolto c molte carezze che lo . riconfortarono della gran paura av\ a Sarzana, dove scaricando certe artiglierie in suo onore, gli 'era venuta a cader molto accosto una palla grossa che lo ave? grandemente spaurito (1). Da Parma recossi a Piacenza, e:, passatavi la Pasqua, aspettava dal duca di Savoia la prome di avere la ròcca di Nizza, a chieder la quale il Marchese Aghilar avea spedito il Capitano Maldonato (2), e la notizi dell’arrivo di S. M.ta a Villafranca. Ma perchè Carlo III d Savoia pareva restio a cedere quell’ ultimo avanzo de suoi do ini, Sua Beatitudine faceva intendere che, quando non si foss. potuto avere il castello, avrebbe offerto di andare a Savona 0 a Genova o in altro luogo adatto e di sodisfa -zione al Re Cristianissimo e all’imperatore, e la voce corsa fece crede, a Genova che davvero S. M. potesse venire a Savona , nc fosse altro che per prendervi il papa, al quale la Signoria av ?a pur allora inviato ambasciatori messer Iacopo Grimaldi, r esser Corrado Vivaldo, Ettore Fiesco e Giacomo D Oria, per largii 1 atto di obbedienza non fatto prima e invitarlo nellai loro città quando si recasse a Nizza, « per 1’ intentione ch|: n’ avea dato di farlo a quelli che erano stati a inchinarla a' Sarzana » (3). A Piacene; venne incontro al pontefice anche il marchese del Vasto cjie discese a San Sisto, poco lontano dalla città, dove passò anche Paolo III, desideroso di avere « stanza comoda da1 andarvi a spasso per qualche di ». Pier Luigi Farnese, pejr amore del quale, specialmente, s’era mosso con tanti disagi il papa, sperando pur da quel convegno di stabilire le 1 se sue, non si lasciò sfuggire 1’ opportunità e (1) Lett. del (2) Lett. del (3) Lett. cit. Giorn. Ligust card, al duca, del 22 d’aprile. Filza 3716 dell’Arch. med. medesimo al medesimo, del 23 d’ aprile. Filza cit. del 17 d’aprile. ico. Anno XXi. 254 GIORNALE LIGUSTICO con tutti quei signori papali corteggiava assai U Davalos, ripromettendosene l’ aiuto. Si false sogliono talora essere le speranze uni: ne : poiché raggiunto F ambizioso disegno di avere la signori di Parma e di Piacenza, 1’ avrebbe perduta insieme con la vita per la congiura ordita appunto a Milano dagli Spagnuoli e dal successore del Marchese. In quell’attesa parve opportuno ad Angelo Niccolini, oratore del duca di Firenze presso S. S.'% profittare della occasione, e parlar col papa e con Pier Luigi dei casi del signor suo. Sulla quistione delle decime intervenne anche il marchesa del Vasto in modo « che il suo ricordo non si potè attribuire a zelo d’amore». Questo zelo non piacque al cardinal1 Cybo che ne fece rimostranze a Cosimo, desiderando si aspe tasse d essere a Nizza dove « si risolverebbero tutte le ambiguità nelle quali ci troviamo » (i). Il duca di Savoia mandò, finalmente, risposta di soddisfazione al papa, il quale partì di Piacenza arrivando, per Alessandria, a Savona il io di maggio. Qui seppe che il giorno innanzi Cesare era giunto a Villafranca, d’onde gli mandò a Savona 12 galere del principe D’Oria, per prenderlo, e S. Santità, imbarcatosi su quelle il 15 del mese, dopo due giorni di i ^vigazione, il 17 toccò le spiagge di Nizza, venendogli prilli.! incontro Carlo V con tutta l’armata, che facea grandissima allegrezza con pifferi, tamburi e scariche d’artiglieria (2) Ma perchè il duca non mantenne la promessa 'di cedergli il castello, il papa non volle entrare in città, e alloggiò nel monastero di S. Francesco, presso la marina (3). (1) Lett. cit. del 30 d’aprile. « A noi non pare che lo Ambasciatore debba venire in alcuna discussione, non vedendo possa giovare». (2) Pendaglia, op. cit. pag. 16. (3) Relazione di N. Tiepolo, tornato dal convento di Νίχχα , in Alberi, Ser. I, vol. II, pag. 79. GIORNALE LIGUSTICO 255 Francesco I avendo sentito che S. Μ. Γ imperatore si muoveva da Barcellona e che il papa aspettava il momento opportuno di partire da Piacenza, s’ era anch’ egli messo in moto per avvicinarsi al luogo disegnato; ma era quello che al convegno veniva più freddamente di tutti, sicché udivasi che, non ostante i disegni di pace, dava principio a rimettere insieme Γ esercito. A lui traevano adesso gli avversari di Spagna e anche i particolari di Cosimo tra cui Pietro Strozzi, che da Venezia s’ era indirizzato a Francia col Conte Guido Rangone, e il cardinale Salviati, il quale dovea passare per lo Stato di Milano per trovarsi in Provenza col Cristianissimo (1). Dovette il papa inviargli più messi per indurlo a sollecitare la venuta, specialmente per togliere dal suo animo una diffidenza che gli era stata inspirata all’ultim’ ora contro di lui (2). Finalmente, quattordici giorni dopo 1’ arrivo del pontefice, il re francese arrivò a Villeneuve, il 31 di maggio, fermandosi così, a 5 miglia da Nizza, sul suo. VI. In questo frattempo, giunto a Massa messer Francesco Campana gli ultimi d’aprile, il cardinal Cybo andava con lui a Spezia d’onde, per mare, si condussero a Genova, passando poi a Nizza dove arrivarono il 10 di maggio (3). Era ormai venuto il momento d’ agire e Cosimo scriveva caldamente al suo inviato, due giorni appresso, avvertendolo del (1) Lett. del cardinal Cybo al duca Cosimo, da Carrara, del 28 d’aprile 1538. Arch. mediceo, fil. 3716. (2) Relazione cit. del Tiepolo, pag. 82. (3) Giovanni Bandini ne avvertì Cosimo da Villafranca. Dicea che, dopo aver parlato col Principe, era ito, coi suoi e col Campana, a Nizza. Archivio mediceo, fil. 4296. GIORNALE LIGUSTICO ritorno a Firenze del Serristori con la conferma della buona mente di S. M. verso lui e verso il suo paese, notando che, quanto alla moglie, s’era riservato di trattarne a Nizza, dipendendo ciò « dalla pratica mossali da N. Signore ». Quanto alla cessione dello Strozzi lo avvisava esser tornato da Barcellona quel capitano Giovan Antonio da Castello spedito dal Vitelli, e che la sua venuta avea molto alterato la mente del Signor Alessandro (i). Terminava invitandolo a scrivergli se avesse creduto che il Bandini potesse far qualche uffizio in nome di lui e della città, profferendogli anche lettere credenziali se fossero occorse (2). Non pose Innocenzo Cybo alcun indugio a intavolare le pratiche e, poco dopo il suo arrivo a Nizza, fu a riverire S. M. anche a nome del duca di Firenze. Carlo V lo accolse con molta amorevolezza, volle sapere i particolari della morte di Alessandro, come si fosse pensato all’elezione di Cosimo e da chi fosse stato proposto il partito (3). Fra i signori della Corte il cardinale cercò aver dalla sua il marchese del A^asto e il principe D’Oria, nell’opera de’ quali riponeva molte speranze (4). / t (1) Gio. Antonio era partito mosso dalle parole del Principe, che a lui e all’ altro messo del Vitelli, Modesto Luigi, avea detto « esser ferma la merzè sua nel Ducato di Civita di Penne ». Arch. mediceo, Minute di Cosimo I, fil I. (2) Fin dal 7 di maggio il cardinale gli aveva chiesto procura ampia e rogata per servirsene, occorrendo, pel matrimonio. Gliela mandò, infatti, il 18 di maggio. Minute di Cosimo I, fil- I· (3) Nel carteggio mediceo manca la relazione del cardinale. Questi particolari si leggono in una lettera di Modesto Luigi al Vitelli, del 14 di maggio. Arch. mediceo, fil. 332. (4) Per allora la venuta del papa gli vietò di « entrare più addentro della prima negotiatione con questi Signori ». Lettera a Cosimo 1, del 18 di maggio. Arch. med. fil. 3716. GIORNALE LIGUSTICO 2 57 E, specialmente per ottenere la consegna delle fortezze, mise in opera ogni mezzo e riusci a persuadere il marchese che non era bene lasciarle nelle mani del Vitelli, gli andamenti del quale non erano troppo chiari. L’aperto favore dato da costui a Filippo, nel segreto intendimento di speculare sul prigioniero, aiutò il procedimento degli agenti del duca Cosimo, i quali seppero profittare della venuta a Nizza di Benvenuto Strozzi e di Lorenzo Ridolfi per abboccarsi, in casa del marchese d’Aghilar, coi ministri di Cesare, Covos e Granvelle, e riferir loro come lo Stato di Firenze fosse minacciato nella sicurezza sua dai raggiri del Vitelli e come fosse necessario provvedervi per tenerlo a divozione di S. M. Nè il cardinale lasciò posare la cosa: dopo l’abboccamento con quei Signori, avute buone promesse (i) dal Granvelle, si recò a Villafranca per conferire col principe D’Oria, il quale, intese l’accuse de’ sospetti contro il Vitelli, lo consigliò di parlarne con S. M., parendogli che dai procedimenti tenuti fino a quel giorno dal Giugi, 1’ agente di Alessandro, fosse confermata la condotta falsa ed ingannevole del suo signore. Nella seconda udienza che il cardinale ebbe da Carlo V, costui udì con somma attenzione i sospetti e le notizie del duca Cosimo, ne elogiò la saviezza ed espresse la maraviglia pei procedimenti del Vitelli, pel quale dichiarò di non aver preso ancora determinazione definitiva sul dargli una mercede o un’altra, non potendo disporre di Civita di Penne, come avea promesso, per riguardo al possibile trattato di maritare (i) «Mi rispose Granvela, et mi disse come la intentione di S. M. era » stata di provederci sino in Barzalona per evitar le molestie che ne haves-» simo potute havere in questo abboccamento; et come poi per non fare » se non quello havessi in tutto giovare et contentare , sendoli detto che » pareva più a proposito venire acciò in Niza et con il restante della » resolutione, si differì; però non si mancheria ». Deciferato di una lettera del cardinale al duca, del 24 di maggio. Arch. mediceo, fil. 3716. 25S GIORNALE LIGUSTICO secondo il desiderio del papa la duchessa Margherita, che su quella terra, appartenuta al duca Alessandro, avea giurisdizione. Riguardo a Filippo Strozzi risultò quanto già avea detto altra volta : nell’ animo suo essere deciso di dare al Vitelli una giusta taglia, non quella esorbitante di 50000 ducati, che il prigioniero s’era arbitrariamente imposto per campare la vita. Concluse assicurando il cardinale « che in ogni evento prima si parta di qua darà tal effetto a le cose nostre che noi ci contenteremo di lei » (1). Le affettuose parole di S. M. accrebbero la fiducia d’Innocenzo Cybo nel buon risultato della sua missione e lo persuasero che Filippo e i Filippini doveano ormai aver più e pochsperanze; e nuova ragione gliela porse la venuta dei figli dello Strozzi e de’ suoi più ardenti patrocinatori, al seguito della Corte di Francia (2), ciò che avrebbe aumentato i sospetti degli Spagnuoli. Non ugual fede aveva nella conclusione del matrimonio : alla Corte pontificia dicevano apertamente che per ottenere la mano di Margherita per Ottavio Farnese il papa si sarebbe disteso ultra neiitralitatem tacite ad minus (3): Cosimo nondi- (1) Lettera al duca, del 24 di maggio. Arch. mediceo fil. 3716. (2) C’erano Roberto e Leone Strozzi, Piero Strozzi, Ceccone de Pazzi, il Conte Guido Rangoni. Fra quelli che seguivano il Cristianissimo trovavasi anche Lorenzino, 1’ uccisore del duca Alessandro. i< Lorenzo delinquente è con la Corte, et per quello mi ha detto il » cavaliere de Marsilii che è col conte Guido, da loro è reputato per capo » della factione: maninconico al solito, col medesimo habito et istituto di » vivere del solito». Lettera del cardinale al duca, del 28 di maggio. Arch. mediceo, fil. 3716. (3) Il cardinale confessava che c’erano di gran contrappesi, ma pareva che il papa non volesse farsi raggirare, nè Carlo V avrebbe voluto perdere tale occasione di averlo dalla sua ora che in tante ansie lo tenevano le minaccie dei Turchi e la necessità di riordinare 1’ impero e di comporre il dissidio religioso in Germania. Lett. del 27 di maggio, ut rupra. GIORNALE LIGUSTICO 259 meno insisteva col Campana e col cardinale, e per quanto asserisse di contentarsi sempre di qualsivoglia gli avesse dato S. M., quando per! maggior servizio suo li fosse parso di consolare il papa, nondimeno scopriva il suo vivo desiderio per la vedova del duca Alessandro e affermava che, se non ci fosse stato forzato, Cajrlo V avrebbe fatto più il servizio proprio e quello della figliuola con lasciarla in Firenze dove era amata dal popolo e riconosciuta per sua signora (1). Tanto più, poi, gli dispiaceva, per ragioni a cui oltre la diplomazia non doveano essere estranei gli stimoli dell’ amor proprio, il sapersi preferito un figliuolo di Pier Luigi Farnese (2). VII. Seguitava la quistione delle fortezze, e, sebbene a Cosimo stesse a cuore avere innanzi la decisione del parentado (3), pure fu trattata ugualmente dai suoi rappresentanti. In una nuova udienza avuta da Carlo V, il cardinal Cybo gli fece istanza a considerare quanto danno portasse a Firenze il numero dei soldati e delle lance spezzate tenute dal Vitelli. Cesare rispose che aveva scelto appunto Don Lopez Hurtado (1) Cosimo al Campana, 18 maggio. Arch. mediceo, Minute, fil. I. Nel colloquio avuto il 4 di giugno con S. M., il cardinale gli disse «che gli » era necessario mostrare qualche segno di peculiare affetto a Cosimo e che » il più pronto e salutifero era l’accasamento di lui con la Duchessa». S. M. rispose di saper tutto, ma che « quando ella vedessi con la figlia di » poter fare uno acconcio generale et di molta importantia alla repubblica » cristiana » avrebbe dovuto negar questa e l’altra sua legittima. « Disse S. M. » similmente al Principe D’Oria tre dì fa, adeo che non si può sperare » nè desperare insino che non si vede dove queste pratiche parino ». Deci-ferato del 2 di giugno. Arch. mediceo, fil. 3716. (2) Cosimo al cardinale, 18 maggio. Minute, fil. I, Arch. mediceo. (3) Cosimo al cardinale, 26 di maggio. Minute ut supra. 260 GIORNALE LIGUSTICO de Mendoza, già spedito in Toscana fin dal geni ìaio di quel- 1’ anno, e che non avrebbe voluto tenesse più d i 200 fanti, tassando convenientemente le lance spezzate. Trati -arono anche del castello di Livorno, dichiarato dal cardinale' in termine tale da potersi dire che nessuno ne fosse padrone; e anche per questo l’imperatore si rimesse al Mendoza (i). Nè andò molto che questa quistione fu risoluta. La mattina del 6 di giugno era spedito al Mendoza monsignor di Sili, con la decisione che al Vitelli si assegnasse come sua mercede la terra di Amatrice negli Abruzzi con 3000 ducati di rendita e con Γ ordine di consegnare provvisoriamente il castello a Don Lopez, e di trasferirsi a Nizza, dove S. M. desiderava vederlo e dargli un comando nell’ esercito. Ugual cessione aveva a fare il capitano Fazio da Pisa della fortezza di Livorno, ricevendo dall’inviato cesareo un compenso di 400 ducati. Monsignore di Sili dovea assoldare 200 fanti spagnuoli per presidiare le due ròcche (2). Il sospetto che i ragionamenti degli oratori del duca di Firenze aveano suscitato nel marchese del Vasto lo avevano determinato a raccomandare alla Corte che si togliessero finalmente le fortezze al Signor Alessandro, che dovea avere segrete pratiche con Francia (3). (1) Deciferato del 4 di giugno, dov’è tutta la relazione del lungo colloquio avuto dal cardinale con Carlo V. Arch. mediceo, fil. 3716. (2) Partecipando questa notizia al duca il cardinale aggiungeva: « Mon-» signor di Sili, secondo la vederà in una di messer Giovanni Bandini, è » persona accorta et grata di qua. Però giudico bene, come lui ricorda, » V. E. lo riceva gratamente et li usi qualche gentileza ». Lett. del 6 di giugno. Arch. mediceo, fil. 335. (3) L’adriani dice che il Vitelli stesso chiese che S. M. pigliasse la fortezza. Cfr. Istoria dei suoi tempi, Lib. II, cap. 2.0, ma sembra realmente che gli fosse tolta per suo procedere punto rassicurante. Cfr. anche Ferrai, op. cit. pag. 95. GIORNALE LIGUSTICO Ma sebbene i partigiani dello Strozzi si ripromettessero addirittura da questa consegna la liberazione di Filippo (i), rimasero delusi dalla sottile astuzia degli Spagnuoli non meno che il duca Cosimo e i suoi, perchè se il temporeggiare era stata 1’ arte del castellano per guardagnar da più parti, fu pure P arte di chi lo surrogò nel comando del castello-Questa, del resto, era anche la condotta di Carlo V, che mentre avea promesso al papa di salvargli la vita se, nel processo, fosse risultato innocente della morte del duca Alessandro, lasciava poi sperare a chi ne volea la morte di abbandonarlo al suo tristo destino (2). Al cardinal Cybo, che gli si presentò di nuovo il 16 di giugno, dette lunga ed amorevole udienza benché « si sentisse pichata un pochetto della gotta » e gli disse di Filippo « come » il Papa fussi a Roma, che Lopez lo dessi in mano degli » Otto, et che voleva che fussi examinato severissimamente » et fattoli un bel processo et poi esequitone la iustitia, come » a bocca più a pieno ragionerò con V. Ex. » (3). Ala dovettero passare altri mesi e ci volle tutta P astuzia del cardinale non disgiunta dalla perfidia a cui lo spinse Podio smisurato contro lo Strozzi, se, per mezzo dell’arresto e della confessione strappata coi tormenti a Giuliano Gondi, potè ottenere il mantenimento della promessa ricevuta a Nizza dall’ imperatore. Del resto Carlo V non aveva nessun interesse a salvare (1) Cfr. Lettera di Benvenuto Olivieri al Cav. Covoni, in Venezia, scritta da Nizza il 18 di giugno e l’altra di Lorenzo Strozzi all’Olivieri del 25 detto. Doc. cit. del Bigazzi. Speravano che, venendo a Nizza il Signor Alessandro, si sarebbero stabilite le cose. (2) Anche i ministri cesarei non aveano diversa opinione. « Uomo morto non fa guerra », avea risposto Granvelle al Bandini che proponea salvarlo. Cfr. Adriani, op. cit. Lib. II, cap. I. (3) Il cardinale al duca; deciferato dei 17 di giugno. Arch. med. fil. 3716. 262 GIORNALE LIGUSTICO Filippo; quando, sul cadere dell’anno precedente, s’era ormai perduta ogni speranza per lui, P imperatore avea detto con rude franchezza: « Se Filippo mi desse un milione non so » quello che io mi facessi, ma perchè 100 o 200 mila ducati » non mi servirebbero, andrò adagio a lassarlo, et voglio » sapere della morte del duca Alessandro » (1). Non poteva , d’ altra parte, assecondare subitamente i fieri propositi di quelli che lo volevano morto, per non mancare alla promessa fatta al papa ed anche per non ricevere sopra di se tutta la odiositi che la uccisione d’un uomo, pel quale ormai s’ eran destate tante simpatie, gli avrebbe certamente attirato. Certo quando gli inviati di Cosimo partirono dal convegno di Nizza aveano la persuasione del favore di Cesare per la cessione del prigioniero e lo mostra il fatto che Don Giovanni di Luna, il nuovo castellano a cui Don Lopez dovea consegnare la fortezza e lo Strozzi, fu spedito col pieno consentimento del cardinale (2) e a lui come a « muy charo y muy amado amigo », lo raccomandava Carlo V stesso con sue O * credenziali date a Genova il i.° di luglio di quell’anno 153^ (3)· E se poi, venuto in Firenze e presa la consegna del castello, promise allo Strozzi che non 1’ avrebbe consegnato in mano al duca Cosimo, può credersi che il De Luna fosse leale e sincero, quando ormai sappiamo che era venuto col favore del cardinale, e raccomandato da Cesare a lui, che a ogni costo avrebbe voluto la morte del prigioniero ? (1) Lett. di Giovanni Bandini, Arch. med. fil. 4300. Cfr. Ferrai, op. di. pag. 84. (2) « La faccia buona cera a Don Giovanni et alli altri, perchè alla venuta » nostra sarà raguagliata particularmente ». Lett. del cardinale al duca, de! i.· luglio, da Genova. Arch. med. fil. 3716. (3) Le credenziali si conservano nell’Arch. di Stato massese, Carteggio del cardinale Cybo, ad annum. GIORNALE LIGUSTICO 263 Nè più veraci dovettero essere le lagrimette che F astuto spagnuolo versò alle grida di dolore delPintelice Filippo messo alla corda (1), perchè con quello che ne fu il più accanito persecutore continuò ad essere amico e famigliare anche quando per la sua mutata fortuna vivea come privato alla Corte di Massa in Lunigiana (2). Non senza importanza, adunque, ci sembra porre in chiaro questo punto della intelligenza perfetta fra il negoziatore del duca Cosimo e il nuovo castellano della fortezza di S. Giovanni, perchè di qui potrebbe scaturire nuova luce a diradare le tenebre, non ancora dissipate, che circondano la misteriosa e tragica morte di colui che fu chiamato Γ ultimo fiorentino. Vili. La missione del cardinal Cybo e del Campana a Nizza pareva dunque ben riuscita per la cessione delle fortezze avviata a miglior patto (3) e per le assicurazioni fatte a proposito dello Strozzi. Quello che non ebbe « votiva expeditione » fu il trattato del matrimonio. Nell’abboccamento del 16 di giugno il cardinale tornò a parlarne coll’ imperatore il quale gli « repplicò quello che mi ha detto sempre, che non si è » parlato di ciò da S. Santità, ma si ben che per diverse vie » la li haveva fatto pervenire alli orecchi che la desidereria » molto la figliuola: però che si era fatto le viste di non (1) Cfr. Ferrai, op. cit. pag. 98. (2) Nelle nozze di Eleonora, nipote del cardinal Cybo, col Conte G. L. Fiesco, celebrate a Carrara nel gennaio del IS43» il de Luna prestò al Cybo tutti ï suoi argenti e gli mandò un suo criado perchè lo servisse in ogni cosa. Cfr. Staffetti, Giulio Cybo-Malaspina Marchese di Massa; Modena, Vincenzi 1892, pag. 41, nota. (3) La bandiera di Cosimo sventolò sul castello di Firenze soltanto il 3 di luglio del r 543. 264 GIORNALE LIGUSTICO » udire, riuscendone bellameme di tal pratica; et concluse » che il papa era vecchio et V. Ex. giovane et quando pur » qualche acconcio grande la constringessi a negar la figlia » a quella, non mancheriano d’ una cosa sua, che la se ne » contenteria ». Il principe D’Oria spiegò le parole di Carlo V con dire che, in luogo della duchessa Margherita, S. M. sarebbe stato propenso di dare a Cosimo la vedova di Francesco II Sforza, Cristina, duchessa di Milano (1). Anche un altro partito fu proposto per il duca, la sorella del duca d’Alba (2). E, infatti, sebbene il cardinale dopo l’ultimo colloquio con Cesare dichiarasse : « Ci dobbiamo contentare della buona intentione », il Medici dovette rinunziare a Margherita, che il Mendoza ebbe incarico di condurre da Prato a Roma per farla entrare sposa in casa di Ottavio Farnese. Frattanto il papa avea dato opera per accordare Carlo V e Francesco I e più volte s’ era intrattenuto separatamente con ciascuno di loro per indurli ad un accomodamento, seguitando poi a negoziare ogni giorno con gli agenti dell’una e dell’altra parte. Non ebbero, però, le sue pratiche il risultato che si sarebbe sperato e non si sentiva possibile altra conclusione, « ma più presto si vede poca speranza di pace, tanto che se » cosa alcuna ne ha da riuscire si iudica una tregua, et questa » per sollicitudine del papa, alla cui santità parerla pur troppo » metterci del suo, se in tanto moto et in tanta dimora iacta » qui non si vedessi alcuno effecto » (3). Il pomo della discordia era pur sempre lo Stato di Milano che Francesco I a niun modo si sarebbe piegato a cedere al rivale (4), (1) Lettera del cardinale al duca, del 17 di giugno. Arch. med. fil 3716. (2) Cf. Ferrai, op. cit. doc. XXIV, pag. 273. (3) Lettera del cardinale al duca, del 13 di giugno. Arch. med. fil. 3716. (4) Il re cristianissimo si dolse cogli ambasciatori Veneti che S. S. si fosse mossa da Roma con tanto disagio e dichiarò loro: « Se il cardinal » di Carpi avesse scritto alla santità del pontefice la verità, e significatole GIORNALE LIGUSTICO 265 e sebbene anche la regina di Francia fosse andata a trovare con tutta la sua Corte l’imperatore suo fratello, salvo le dimostrazioni più calde d’affetto (1) non ebbe modo di poterne ottenere altro. Anche la conclusione della tregua presentò una difficoltà: il re la voleva per dieci anni e l’imperatore per cinque; pure S. S.ta « frugò tanto » che il 18 di giugno si stipulò per dieci, con garanzia del papa e dei Veneziani per Γ una e per Γ altra parte. Ma non fu possibile condurre il Cristianissimo « a declararsi nè a aiutar contro al Turco » (2). Formata una bolla con censure contra inobservantes « a cor- » per nome mio, che io non ero per consentire alla pace se non aveva lo » Stato di Milano, sua santità tentato l’imperatore di questo, e trovatolo » alieno, non s’averia mosso cosi leggermente da Roma per fare tanta » fatica indarno». Cfr. Relazione del Tiepolo in Alberi, op. cit. pag. 81. (1) Curiosissima è la descrizione che di questa visita fa il cardinale al duca: « S. M. Caesarea hebbe, non hier, l’altro (11 giugno), a Villafranca » la Regina, la Delfina et la figlia del Re con tutte le Dame, col Gran » Contestabile et Lorena, et essendo sbarcate tutte le Signore et passate » avanti a lo Imperatore in sul ponte facto sopra il mare, dove S. M. era » calata a ricever la Reina, il ponte si roppe apunto in quella parte dove » era S. M. la Reina et la Delfina et la figlia del Re, et tutti andorno in » la mare, chi fino alla gola, chi alla cintura, et chi al ginochio ; nè mai » S. M. staccò la Regina; quale accidente come in la prima vista dette » grande spavento, così subito si converse in riso, non vi havendo patito » alchuno salvo di rinfrescarsi, di che, per il tempo et per la calca, non » havevono poco bisogno. Usciti della mare, S. M. abbracciato con la Regina » et con cento baci li dette l’uno dietro a l’altro, si condusse nel palazo » et lì stettono per hore quatro a ragionare, et poi si ritornorno a Villa-« nova, incontrati et accompagnati poi dall’armata Caesarea, ornata come » può iudicare V. Ex. » Lett. del 13 di giugno. Arch. med. fil. 3716. (2) Lett. del 17 di giugno, tenuta al 18, ut supra. Mentre aspetta vasi l’arrivo del Re di Francia, il 26 di maggio, fra il papa, Carlo V e i Veneziani era stata concordata una lega contro il Turco, obbligandosi S. M. a mandare 52 galere e 50 navi, 18 il pontefice, e Venezia quante ne avea disponibili. Lett. del 27 di maggio cit. 266 GIORNALE LIGUSTICO roboratione et espressione dell’animo suo in futuro», il papa, pieno di giubilo per quanto era riuscito a concludere, stabilì la sua paitenza pel 20 di giugno, non senza aver prima cercato, pur in quegli estremi, di favorire in qualche modo la propria famiglia, offrendo la mano di una figliuola di Pier Luigi Farnese a uno di casa Saint Poi (1). Alla fine si mise in mare, accomodato di sei galere dal Cristianissimo, e andò a Genova, accompagnandolo l’imperatore con tutta la flotta (2). In questa città vennero anche gli inviati del duca Cosimo, che, attesa la partenza di Cesare per la Spagna e il ritorno di S. Santità a Roma, dovevano recarsi a Firenze per riferire al loro signore quanto avevano operato per lui. Lasciata poi Genova, Carlo V dovea avere col Cristianissimo, nel mese appresso, il famoso convegno di Aigues-Mortes, dove si trattarono piuttosto da amici ben noti che da avversari quali erano, mentre poco innanzi a Nizza mai s’ erano voluti incontrare. Paolo III sbarcato il 3 di luglio alla Spezia, seguitò per la Lunigiana fino a Pietrasanta, dove l’accolse con grande onore Pier Filippo Ridolfi, commissario del duca Cosimo in quella terra (3). Dalla Versilia si recò a Lucca e vi si fermò alcuni giorni che bastarongli a fomentare 1’ animo di quei Signori contro Lucrezia Estense Malaspina e contro Ricciarda, sua figliuola, cognata del cardinale Innocenzo Cybo, alle quali la Repubblica di Lucca intendeva muover guerra per le rappresaglie fatte dai Massesi su quello di Montagnoso, territorio della Signoria lucchese, per quistioni di confini. Se non può dirsi addirittura che il papa ne fosse la causa, certo le sue (x) Il cardinale al duca. Lett. del 23 giugno, da Genova. Arch. med. fil. 3716. (2) Lett. cit. (3) Pier Filippo Ridolfi al duca Cosimo 3 di luglio 1538. Arch. med. fil. 3^4. GIORNALE LIGUSTICO 26η parole, inspirategli dal risentimento contro il cardinale, che gli aveva attraversato gli ambiziosi disegni al convegno di Nizza, valsero a prolungare discordie, che soltanto l’energia del duca di Firenze e il timore che i ministri cesarei aveano da una piccola favilla non potesse divampare grande incendio in Italia, riuscirono a sedare. Luigi Staffetti. UNA LETTERA INEDITA DEL P. ANGELO GRILLO Il primo a raccogliere 1’ epistolario del P. Angelo Grillo, genovese, fu Ottavio Menini, che lo dette fuori a Venezia, co’ torchi di Battista Ciotti, il 1602; e trovò cosi buona accoglienza, che l’anno dopo ne fece una nuova edizione, assai accresciuta, la quale vide la luce essa pure a Venezia, ma « appresso la Compagnia Minima ». Gli levò, peraltro, la mano Pietro Petracci, « nell’Academia de gli Sventati di Udine detto il Peregrino », il quale, alla sua volta, metteva alle stampe le Lettere del Molto R. P. Abbate D. Angelo Grillo; e le metteva alle stampe « con nuova raccolta di molt’altre », e « tutte dal » medesimo ordinate sotto i loro capi, et di argomenti arric-» chite, con le prefazioni a ciascun capo ». Io ho nelle mani la « terza impressione » di esse, fatta « In Venetia MDCVIII. » Appresso Bernardo Giunti, Gio. Battista Ciotti et compagni »; e, tra le altre, vi se ne leggono quattordici (1) « al Sig. Prencipe di Massa », che è Alberico I Cybo-Malaspina, nato a Genova il 28 febbraio 1532. A Lorenzo Cybo, suo padre, (i) Pp. 132, 168, 250-251, 405, 527, 531, 649-650, 672, 739, 782, 793, 804-805, 808 e 811. 268 GIORNALE LIGUSTICO successe il 1549 nella contea di Ferentillo; ereditò dalla madre, Ricciarda Malaspina, il marchesato di Massa e Carrara; per sè e per i successori ottenne la dignità di Principe del Sacro Romano Impero da Massimiliano II il 1568; e morì a Massa il iS febbraio del 1623. Si hanno di lui poesie nella Part. I della Scelta di rime di diversi moderni autori non più stampate. In Genova, appresso gli eredi di Geronimo Bartoli, 1591, in-8.°. Se ne trovano sparse anche altrove; il che fece dire al Quadrio (1) che « applicò egli molto alla poesia e riuscì giudi-» zioso poeta in latino e in volgare ». Assai più nel vero è il Giustiniani (2) che scrive : « visse quasi cent’ anni, in-» tento alla conservatione et aumento delle prerogative di Casa » sua, non meno che allo studio delle belle lettere, con appli-» carsi tal volta anche alla poesia; per i quali rispetti fece egli » sempre conto degli uomini letterati, che nelle loro opere » si sono ingegnati di honorario in sommo grado ». Notò lo Spotorno (3) che le lettere del Grillo « potrebbero servir di » modello, perchè scritte con vivezza e concisione, se i con-» cetti e le arguzie non le corrompessero talvolta troppo » spiacevolmente ». C’è anche un altro difetto: P adulazione servile. Eccone la prova in questa lettera ad Alberico : « La » Casa Cybo è cinta di sì bei fregi di gloria che può render » glorioso ogni scrittore che faccia sua impresa lo scriverne. » Et se Oberto Foglietta nella sua historia ha tralasciato di □ » dirne molte cose, onde haverebbe per avventura potuto acqui-» star maggior titolo di diligente a sè stesso et più bello or-» namento dell’ opera sua, non è stato forse per altro che per » la moltitudine delle attioni eroiche et per l’ampiezza del » soggetto nobilissimo. Porgerà occasione ad altri di farlo com- f1) Storia e ragione d’ogni poesia; II, 368. (2) Gli scrittori Liguri; I, 38. lì) Storia letteraria della Liguria; IV, 145. GIORNALE LIGUSTICO 269 » piutamente con historia particolare. Cosi dia 1’ età nostra » valorose penne com’il suo sangue ha dato valorosi Prencipi, » acciochè non si habbia un Omero dove son tanti Achilli et » dove è chi rappresenta con moderno essempio l’antico valore ». Non manca d’importanza quest’altra lettera, scritta anch’essa da Albaro, e al solito senza data, come, del resto, son tutte quelle raccolte dal Menini e dal Petracci. « Piacerai d’inten-» dere il parere di V. E. intorno all’ usare la y greca nel nome » della sua famiglia, scrivendo ancora in questa lingua y: non » tanto perchè Cybo vien dalla voce greca κϋβος (i), nella » nostra suona cubo, quanto a differenza del verbo et del nome » cibo. Cosi dunque la scriverò nell’ avvenire et la conciero » nelle scritture passate, potendo il purgatissimo giudicio di » V. E. in questo non solamente, dove Ella ha tanto interesse » e tanto lume, ma in qual si che voglia altra materia di bene » scrivere, valere et per autorità et per regola ». Il 5 ottobre del 1585 morì ad Alberico una delle sue figliole, l’Eleonora, che era nata il 19 settembre del 1564 e che aveva sposato nel 1580 Agostino Grimaldi Duca di Evoli. Il P. Grillo la pianse in versi e due lettere di lui al Principe, scritte tutte e due da Brescia, hanno appunto per soggetto quella morte e que’ versi. A volte parlan tra loro di cose letterarie, come in questa, che ha la data « di S. Caterina »: « Ho considerato i due » saggi che V. E. mi ha mandati del poema lirico et dell’ e-» roico. Il soggetto dell’uno et dell’altro, nel vero, è tanto » alto che fa parer bassi i poeti: e l’arte è così vinta dalla » materia, che le vaghezze paiono mancate in mano agli arte-» fici. Li quali però son così degni di scusa, che toccano a » mio giudicio il segno della lode ». Pur, da S. Caterina, gli (1) Vedi a proposito del nome Cybus i curiosi distici di un « Gesuita più che nonagenario » da noi stampati nel « Ligustico » di quest’anno, pag. 74. Ni d. D. Giosx. Ligustico. Anno XXI. ig 2ηθ GIORNALE LIGUSTICO torna a scrivere : « Per parlare a V. E. più da filosofo che da » cortigiano dicole che la testura di quel sommario non mi » piace. Ma perchè il difetto potrebbe esser cosi del mio gusto, » come dell’opera, non v’assegno rimedio. Agli errori poi » di lingua et di ortografia, perchè sono manifesti et infiniti, » si potrebbe rimediare facendolo trascrivere da persona inten-» dente dell’ arte. Il che avverrà facilmente dovendosi man-» dare a Fiorenza, dove sono huomini eccellenti per simile » impresa ». Di che «sommario» si tratti, lo ignoro; senza dubbio era una delle tante scritture, in lode della famiglia, che Alberico commetteva ora a questo, ora a quel letterato. Anche in un’altra lettera il Grillo parla di una « historia », che Alberico gli aveva data a rivedere. Nel ricco e importante carteggio di questo Principe, che si conserva a Massa nel R. Archivio di Stato, vi è una lettera inedita del P. Angelo, nella quale dà il suo giudizio sul Dialogo dilla nobiltà dell’ Illustrissima famiglia Cybo, scritto da Innocenzo Cybo Ghisi, che fu stampato a Genova nel 15^, e che ora è introvabile. Ecco la lettera : Ecc.mo mio Sig.r' Poiché non m’ è conceduto di raguagliare λ'.* Eccellenza presentialmente di quel eh’ io sento intorno al dubbio che mi propose, per un poco d indi sposinone, le ne scrivo brevemente, e dico che le ragioni eh adduce 1 autor del Dialogo per provare che la casa Cybo non è tra le mediocri, mi paiono tanto reali, tanto vere, tanto lontane da soffisticherie, eh in questa parte non mi rimane che desiderare. Chi ha letto il successore dell historia del Platina, leggendo questo Dialogo, e non vedendo che si risponde alla lalsa e maligna openion sua, dirà: costui non vuol la gata, fugge la scola, perche non gli dà l’animo di porre in campo 1’oppositione; chi non 1 ha letta, resterà tanto pago delle ragioni che sono addotte, cosi per pro\ are la sua antichità, come 1’ attioni illustri de’ suoi, i titoli, i gradi, gli ulTicii principalissimi, i carichi e l’amministrationi di grandissima importanza, die non potrà se non stimarla per una famiglia d’heroi, come in vero mi pare. Stupisce la fede d’Arano, la costanza di Caterina, il valore de Franceschi, GIORNALE LIGUSTICO 271 de’ Lorenzi, de’ Giulii e degli altri, che risplendono come tante stelle fra le nubi dell’antichità. Questo è quanto mi occorre, rimettendomi sempre all’ ottimo parere di V. E.·, la quale non solo è atta a discorrere profondamente d’ ogni cavalleresca attione e virtù, ma ne può animosamente giudicare. E con questo le bacio le mani et me le offro servitore. Di S.’· Caterina, hoggi xij Gennaio 1589. Di V.* Ecc.' Ser.r‘ aff."" D. Angelo Grillo. (A tergo:) All’ Ecc.m° mio Sig/' e P.rone oss.“° il Sig. Principe di Massa Giovanni Sforza. IL CHIABRERA DAVANTI ALL’ELLENISMO Pindarici fontis qui non expalluit haustus. Il Pope, dice il Jonhson, non è da credere che sapesse troppo di greco; ma, quando non riusciva da sè chiedeva aiuto. Il Monti diceva di aver dichiarato ai letterati italiani eh’ egli non faceva professione d’ellenismo e dopo aver soventi ricorso al consiglio di Ennio Quirino Visconti, di Andrea Mustoxidi, di Luigi Lamberti, si facea bello (quel che gli è più onore) delle loro critiche piuttosto che delle lodi, « e le bandiva con quella sua voce potente ascoltata con amore dagli italiani » (1). Gabriello Chiabrera, invece, non solo è giunto a (i) Camerini (Eugenio) Vincenzo Monti (prefazione alla trad. dell’Iliade, Milano, Sonzogno 1874, pag. 15). 272 GIORNALE LIGUSTICO noi circonfuso dall’aureola di Pindaro Ligustico, ma tutti, e posteri e contemporanei, lo ritennero un dottissimo grecista. Da papa Urbano Vili all’abate Gio. Batta Spotorno, quanti ebbero ad occuparsi del poeta savonese, che tiene il primato fra i nostri lirici del secolo XVII, ne lodano ad unanimità la « rara cognizione del greco e del latino ». Eppure io son d’avviso che anche Gabriele Chiabrera, come il Pope e come il nostro Vincenzo Monti, non fosse capace di interpretare da sè uno dei tanti autori greci, di cui si è fatto, con tanta fortuna, imitatore. Fu precisamente nell’anno 1883, ad una lezione del compianto professore Adolfo Bartoli nello Studio Fiorentino, quando io esposi, per la prima Volta, il dubbio che il cosidetto Pindaro Ligustico poco o punto sapesse di greco. Era allora un semplice dubbio, non ancora per me confortato da argomenti precisi, ma soltanto da vaghi indizii, sorto nell animo mio all’ ispezione che verso quel tempo avevo fatta di un libro greco-latino appartenuto al Chiabrera. Sebbene 1 illustre maestro mi invitasse in quell’ occasione a studiare a londo la questione che il dubbio da me espresso veniva a suscitare, me ne ristetti per allora, occupato, com ero, in più diletti studi. Tuttavia, seguendo continuamente le molteplici indagini che in questi ultimi anni si son venute moltiplicando intorno a Gabriello, quel dubbio si è cambiato per me in convincimento sincero, e ne esposi i motivi in un mio scritterello stampato, cinque anni fa, per una fausta occasione, in limitatissimo numero di esemplari, tutti distribuiti fra amici ed ora completamente esauriti. Per soddisfare un desiderio manifestatomi da varie pai ti riassumo qui i punti principali della mia dissertazioncella. Dall’ autobiografia del Chiabrera noi apprendiamo che « Gabriele, giunto all’età di nove anni, fu condotto a Roma GIORNALE LIGUSTICO 273 ove Giovanni suo zio faceva dimora ed ivi fu nodrito con maestro in casa, da cui apparò la lingua latina ». Nessun biografo ci dice chi fosse codesto maestro, ma è ragionevole supporre che non certamente da costui abbia il Chiabrera potuto apprendere i primi elementi del greco; se fosse altrimenti, egli tanto innamorato dell’ ellenismo che, a significare cosa alcuna essere eccellente, « diceva (son sue parole) ch’el-Γ era poesia greca », avrebbe senza dubbio accanto al nome della lingua latina soggiunto anche quello della greca. « In quelli anni (continua Γ autobiografia del Poeta) lo tenne una febbre, e dopo due anni lo percosse un’altra, la quale sette mesi lo tenne senza sanità e lo inviava a morire »: e morire elico, aggiungono alcune stampe. Tredicenne adunque, il futuro poeta si trovò in condizioni tutt’ altro che favorevoli a studii serii. E infatti nel Collegio dei Gesuiti, dove « visse fino all’ età di 20 anni » udì le lezioni di filosofia, ma (ce lo dice egli stesso) più per trattenimento che per apprendere. Neppur qui si accenna ad esercitazioni ellenistiche, e, del resto, lo studio grammaticale di una lingua, certamente non facile quale sì è la greca, non era davvero l’esercizio più indicato per l’intendimento « sollazzevole » cui mirava il Chiabrera. Partitosi quindi da Roma e « dimorando nell’ ozio della sua patria, diedesi a leggere libri di poesie per soliamo, e si abbandonò tutto sui poeti greci: di Pindaro si maravigliò e prese ardimento di comporre alcuna cosa a sua somiglianza ». Così narra il Poeta ; ma non vi è chi non trovi strano come il Chiabrera, senza preparazione alcuna, diventasse ad un tratto grecista a Savona, e grecista silatto da aver dimestichezza nientemeno che con quel Pindaro, del quale, già nell’ età Alessandrina, i dotti a stento capivano la sentenziosa 274 GIORNALE LIGUSTICO sublimità e le difficoltà dialettali, e che ostico riusciva pure a quell’ eletta schiera di ellenisti usciti dalla scuola del Cri-solora, quali il Guarini da Verona, Leonardo Bruni ed altri, dai quali il Poeta Tebano non figura tradotto. Si noti, per di più, che Savona in quel tempo poteva offrire ben poche agevolezze a chi desiderava acquistare una coltura di poco superiore alla comune : e prova ne sia quel-l’Ambrogio Salinero, amico del Chiabrera stesso, il quale « vago di intendere più oltre delle sciente apprese nella patria » dipartitosi da Savona « lieto accostossi alle pubbliche Università e più rinomati Collegi e particolarmente allo studio di Padova », come afferma il Verzellino, contemporaneo ed intimo di entrambi. Mi si dirà che il Chiabrera, durante la sua stanza a Roma, udiva ragionare Paolo Manuzio, suo vicino di casa, ed ebbe famigliarità con Marcantonio Mureto e Sperone Speroni. La consuetudine del Poeta con quei valenti uomini (naturalissima tra persone colte) non dimostra punto che essi lo avviassero alle prime nozioni del greco idioma, e lo studio pubblico, ove udì leggere il Mureto, non era affatto un ginnasio ove si iniziassero dei ragazzi ai primi segreti morfologici di una lingua nuova, bensì un nobile arringo di elevate questioni filologiche, critiche e letterarie, come appare appunto da una lettera di Antonio Riccobono (i), diretta allo stesso Mureto, in data del i.° Dicembre 1583, nella quale sono enumerati gli autori tradotti e commentati dal Mureto. So bene che il Poeta savonese commise al pittore genovese (1) De gymnasio patavino (Patavii 1598), p. 85.... « memoriam illius temporis, cum me aliisque pluribus audientibus, quorum multitudinem amplus vix capiebat locus, libros Ciceronis de finibus, orationes Catilinarias, Tusculanas disputationes, Olynthiacas orationes Demosthenis, aliaque quam-plurima explicasti ». GIORNALE LIGUSTICO Bernardo Castello, un ritratto che doveva portare il troppo pomposo motto Pindarici fontis qui non expalluit haustus. So pure che di aver imitato Pindaro ce lo afferma, ad esuberanza, lui stesso ; così hanno ripetuto tanto i contemporanei quanto i posteri, salutandolo Cigno Dirceo redivivo sulle sponde del Letimbro. Ma badiamo bene. Il secolo XVII va famoso per una fioritura ricchissima di pindaristi e di produzioni pindariche : dal Ciampoli ad Urbano VIII, dal Cesarmi al Testi, dal Guidi allo Zappi, tutti costoro sognavano di avere in sè - per divina metempsicosi -l’anima di Pindaro, come già Ennio quella di Omero. Ma non bisogna lasciarci illudere dal titolo che ostentano sitane composizioni, nè dagli epiteti che, incensandosi a vicenda, si barattano i loro autori, ahimè troppo dimentichi della strofe Oraziana (IV, 2) : Pindarum quisquis studet aemulari Iule, ceratis ope daedalea Nititur pennis, vitreo daturus Nomina Ponto. Il Chiabrera, in tanta caterva, è forse il solo che abbia saputo far rivivere la tessitura dell’ ode Pindarica, più per reminiscenze di contenuto che di forma; ma è proprio al testo greco di Pindaro che attingeva per la sua imitazione? Fece egli uno studio diretto sul poeta Tebano, penetrandone la profondità del concetto, vincendone le aspre difficoltà dialettali, afferrandone i nessi sintattici ? Noi abbiam visto quanto scarsa preparazione egli avesse a far ciò. Non si tratta di un facile prosatore attico, per cui basti possedere una superficiale intelligenza del greco : si tratta di Pindaro, il libro forse più difficile di tutta la letteratura greca, più difficile certo di Eschilo e di Tucidide. GIORNALE LIGUSTICO Per riuscire a comprendere bene quel lirico, nonché ad assimilarselo, occorre tale uno sforzo che non è poi facile dimenticarsene tanto presto. Il Chiabrera, invece, nella lettera 33 a P. G. Giustiniani, si esprime dubbioso quasi « non ben ricordandosi » di Pindaro, semplicemente perchè « è gran tempo che non lo ha letto ». Letto sì, ma in qualche traduzione latina, come faceva, per sua stessa confessione, di altri scrittori assai più facili che non sia il sommo lirico dell’ antica Grecia. Nel 1883, come accennavo in principio, tra i libri del compianto professore Sac. Francesco Bertolotto, mio congiunto ed allievo carissimo del nostro povero Gaetano Trezza, io vidi in Savona un Omero già appartenuto al Chiabrera, come rilevai dalla firma autografa apposta dal possessore sul frontespizio del libro: l’esemplare aveva la versione latina a fronte del testo greco; ma mentre quella presentava molti segni a penna e traccie di essere stata studiata e tormentata, questo era vergine di richiami, di appunti, di note. Nella R. Biblioteca Universitaria di Genova, si conserva un Demostene, parimente appartenuto al Chiabrera: è l’edizione dell’ Oporino di Basilea. Anche qui abbiamo il nome del possessore, ma nulla ci indica che il Poeta savonese studiasse il testo greco del sommo oratore ateniese: la versione latina che vi sta a fronte conserva, invece, segni manifesti di essere stata compulsata assai più delle colonne in caratteri greci. La medesima Biblioteca ha pure un Isocrate edizione Oporino, Basilea 1582. Nel verso del secondo foglio il Chiabrera scrisse di proprio pugno due postille (1), le quali riguardano gli argomenti latini del Volfio e le note marginali che il Poeta « non sa di chi siano ». Ma quelle postille non hanno (1) Pubblicate da Achille Neri in Giorn. Lig., 1886, p. 190. GIORNALE LIGUSTICO 277 affatto carattere filologico, e appaiono scritte dal Chiabrera sotto P incubo della salutare paura che gli incuteva l’Inquisizione di quei tempi, per la quale il suddetto Volfio non era ' certamente in troppo odore di santità. C’ è di più : che il Chiabrera non leggesse nella lingua originale gli autori greci (che egli cita con tanta compiacenza) si rileva chiaramente dal carteggio del poeta stesso con Roberto Titi, il quale sullo scorcio del secolo XVI professava nello studio Pisano. Fra gli autografi che si conservano alla Nazionale di Firenze c’è una lettera del Chiabrera al Titi (27 Dicembre 1594) in cui gli chiede un « Appollonio Rodio tradotto ad verbum » che invano aveva « ricercato per tutta Italia, nè mai veduto salvo uno in Roma ». La raccomandazione stessa è ripetuta in altra lettera del Febbraio successivo. Il Titi trovò il libro richiesto e lo offerse al Poeta che con sua del 18 Marzo 1595 rispondeva, fra le altre cose : « ... lo desidero il testo ad verbum per essere securo del sen-» timento del Poeta, tuttavia farò alla migliore; nè special-» mente il desidero leggere salvo per gli amori di Medea, i » quali sono predicati come cosa bella, e per quanto ne discerno » dalla traduzione mandatami sono veramente tali » (1). Confessione più candida di codesta non saprei desiderare. Quando il Chiabrera, ormai quasi cinquantenne, non poteva capire il sentimento di un autore relativamente facile, come Apollonio Rodio, se non per il tramite di traduzioni ben letterali, è impossibile sostenere che, giovanotto poco meno che trentenne, abbia potuto addentare quell’ osso duro che sono le liriche greche di Pindaro. Neppure le pretese innovazioni metriche, per cui si è tanto (1) Ibidem. 278 GIORNALE LIGUSTICO lodato e decantato il poeta savonese, mi sembrano procedere da uno studio diretto sui classici greci, ed in questa opinione mi piace trovarmi in compagnia di Severino Ferrari, di Mario Menghini (miei buoni condiscepoli d’ un tempo), del Morsolin, dell’abate G. B. Giuliani e di tanti altri. I quali tutti con me sono d’accordo che se il Chiabrera Thebanos modos fidibus Etruscis adaptare primus docuit (come dice la epigrafe pseudo-Urbaniana) altri, prima del Pindaro Ligustico, li aveva adattati alle cetre latine e francesi : poco importa se questi sia stato Tommaso Ariberto, o Benedetto Lampridio o il Ronsard (1); non c’ era quindi bisogno che il Chiabrera rifacesse la fatica. E forse, non senza ironia, quel poderoso ingegno che fu il suo contemporaneo Ansaldo Ceba, rivolgendosi al « cigno savonese », gli ricordava un certo bel cammin francese che Gabriello sapeva battere assai più della via greca. Quanto ho detto riguardo agli studi Pindarici del Chiabrera si può ripetere a riguardo delle pretese imitazioni sue da Anacreonte 0, meglio, dal pseudo-Anacreonte. Chi ne desidera sapere qualche cosa di più non ha che a leggere il bello articolo di Severino Ferrari nel Giornale Storico della Letteratura Italiana (1892) dove tratta appunto delle Anacreontee in Italia. La composizione poi di vocaboli nuovi, le rime in consonante, lo scompiglio di parole in un verso (delle quali novità arrogavasi il vanto Gabriello) non hanno peso alcuno per la nostra questione : giacché se ne trovano esempi numeiosi anteriori al Chiabrera. Aggiungerò che di costui non si conosce (contrariamente al costume del tempo) alcuna traduzione in volgare da autoii greci, nessuna citazione greca, e neppure un vocabolo ellenico (1) Vedi lo studio del Gandar sopra il Ronsard come imitatore di Pindaro (Metz, 1854). GIORNALE LIGUSTICO 279 riferito, 0 nell’alfabeto originale, o, almeno, convenientemente translitterato; e mentre i suoi amici Giulio Salinero e Ansaldo Cebà — per citare due soli — si compiacciono di citazioni greche fino a cospargerne a sazietà i loro scritti, il Chiabrera, anche quando avrebbe il destro di riferire qualche sentenza di Pindaro, preferisce riprodurne la versione di Orazio: di vocaboli greci riferiti nell’ alfabeto originale, sfido a trovarne uno, uno solo, nelle opere del Chiabrera, sia a stampa, sia a penna, almeno in quelle fin qui conosciute : e quanto a traslitterazioni, davvero che quel poco ortografico Posthume Posthume (sic) della lettera 44 al Giustiniani, testimonierebbe troppo sfavorevolmente per un Chiabrera grecista. Certo è naturale che noi ci domandiamo donde mai è venuta tale fama al savonese ; ma niente è più facile a spiegarsi della genesi di codesta riputazione. Degli innumerevoli ammiratori e lodatori del Chiabrera, il maggior numero attinge alla autobiografia del Poeta, copiandosi Γ un P altro con progressive amplificazioni ed esagerazioni. Per tacermi degli altri, cito il Ghilini, il Crasso, il Giustiniani, il Soprani, l’Oldoino, Agostino De’Monti, il Corniani e lo Spotorno. Basti questo confronto : Soprani : Primo di tutti introdusse questo cigno di Liguria nel Parnaso di Toscana le greche Muse componendo versi e canzoni ad imitazione di Pindaro. Oldoino : Gabriel Chiabrera, omnium primus in Parnasum Etruscum graecas Musas introduxit, carmina et cantica scribendo Pindarico rythmo. Evidentemente il secondo traduce il testo del primo, ed entrambi non fanno che amplificare l’iscrizione che al Chiabrera avrebbe composto lo stesso papa Urbano Vili .... Thebanos modos fidibus etruscis adaptare primus docuit... 28ο GIORNALE LIGUSTICO Senonchè' neppur codesta iscrizione reca un chiaro marchio di autenticità, come già osservò lo Spotorno ed io ho ampliamente discusso in due miei studietti, ne quali sulla scorta di argomenti e di documenti ho tentato di piovare esser quella iscrizione, non di Urbano, ma di Francesco Rondinelli (i). Concludendo, io riconosco che il Chiabrera aveva una vasta coltura classica, ma non attinia- direttamente dai grandi modelli areci bensì da traduzioni, da una assidua lettura e da erudite o conversazioni; però, che avesse conoscenza del greco idioma parmi ancora da dimostrare. Chè se poi si proverà il contrario, la gloria del Ghiabrera non ne verrà punto offuscata, anzi rifulgerà di luce più viva. Colla solla potenza del suo ingegno egli seppe elevarsi a tanta altezza lirica ove non giunsero gli altri Pindaristi suoi coetanei, che disponevano di più validi sussidii esteriori e di una profonda cognizione del greco: esempio ne sia lo stesso Urbano Vili che per la sua forte coltura ellenistica fu detto Γ Ape Attica. Per il Chiabrera imitatore di Pindaro si potrebbe al più ripetere, variatis variandis, quello che altri ha già detto di Vincenzo Monti. « il miglior interprete di Omero è un ingegno altamente inspirato dalle Muse ». Girolamo Bertolotto. DELL’ARTE DELLA LANA IN SAVONA NEI SECOLI XIV E XV __9 Dell’arte della lana (2), che ebbe vita in Savona per alcuni secoli del Medio Evo, noi non possediamo nessuna raccolta (1) Cfr. Urlano Vili o F. Rondinelli? Genova, 1894. (2) Di quest’arte ha data brevissima notizia, valendosi dello statuto del comune appartenente all’anno 1404, G. B. Garassini, nel numero unico GIORNALE LIGUSTICO 281 completa di statuti. Quale sia stata la sua organizzazione, e quali per conseguenza le analogie del suo organismo con quello dell’arte della lana o dei mercanti di panno che incontriamo sovente nello studio delle vicende delle città italiane, noi apprendiamo dagli statuti del comune; statuti che sono pervenuti a noi felicemente, e dei quali abbiamo diverse redazioni appartenenti ai secoli XIV e XV. Da queste leggi del comune noi però argomentiamo che l’arte della lana ebbe in Savona, al pari delle altre corporazioni, il proprio statuto; anzitutto perchè, data l’organizzazione delle arti medioevali, non si può comprendere l’esistenza di una di esse senza ammettere 1’ esistenza di un corrispondente codice di leggi speciali; e perchè, sapendo che già sul principio del secolo XIV alcune arti di Savona possedevano propri statuti (1)., per analogia noi possiamo credere che anche i mercanti di lana, Pro Christoforo de Columho pubblicato in Savona (1892) per commemorare il IV Centenario della scoperta dell’America. (1) A. Bruno nella sua Storia popolare di Savona (Savona, Miralta, 1882, p. 65) ricorda i consules calegar iorum nel 1205, ed i consules ferrariorum nel 1209; e nel suo studio Gli antichi archivi del comune di Savona (Berto-lotto, 1890, p. 35) dà l’elenco degli Statuti delle arti conservati in quell’archivio, dei quali qualcuno appartiene al sec. XIV. Del resto negli Statuta antiquissima, alla Rub. CXXXXVIII del lib. I, la quale fu redatta « penultima die mensis madii MCCCXII in capitulo civitatis Saône » come è detto in fine ad essa, è sancito il diritto ad ogni arte di avere proprii ufficiali e proprii Statuti. «----omnes artes populi civitatis Saone possint et debeant habere consules videlicet quelibet ars seu homines dicte artis possint et debeant singulis sex mensibus eligere consulem seu consules ipsius artis qui regat et faciat officium ipsius artis consulatus sui. Qui consules sint de melioribus et legalioribus artis sue. Item quod quelibet ars seu homines cuiuslibet artis possint facere et ordinare inter se statuta et ordi-namenta seu capitula bona et racionabilia pro factis et negociis sue artis, dum tamen non sint contra publicam utilitatem constituta, que ordina-menta et statuta examinentur semel in anno per dominum potestatem et abbatem et octo sapientes ». 202 GIORNALE LIGUSTICO se allora essi già erano organizzati in corporazione, avessero loro regole e leggi. Ed essi erano certamente costituiti in arte sulla fine almeno del secolo XIII, perchè la natura del commercio al quale attendevano i mercanti di panno dovette presto riunire coloro che lo praticavano, con vincoli di particolare solidarietà, e negli statuti, cosi detti antichissimi, del comune, non posteriori all’anno 1345 (1), già è fatta menzione dell’arte della lana come di una corporazione solidamente costituita, ed onorata di privilegi dalle autorità e dalle leggi cittadine (2). Del resto, nello statuto del comune appartenente all’anno 1404, è detto chiaramente che ogni regola o decreto che sarà fatto dai consoli o consiglieri e tra gli uomini dell’arte della lana deve valere, come se di essi fosse fatta espressa menzione nello statuto della città, a condizione ben s’intende, che le leggi dell’ arte non siano contrarie alle leggi del comune (3). È ben vero che la quantità e la natura delle disposizioni relative all’esercizio dell’arte della lana che sono registrate negli statuti del comune può condurre a credere che l’arte non avesse statuti proprii, potendo forse bastare all’uopo (1) V. di questi Statuti le notizie da me date in Statuti dell’arte, degli speziali in Savona, Bertolotto (1890) pg. 17 e seg. (2) Lib. VII. R. C. « de arte lane facienda Saone ». Questa Rub. però manca nello statuto, perchè appartiene alla parte di esso che andò perduta. Lib. I. R. LVIIII « de sacramento draperiorum qui vendunt pannos ». Questa Rub. è conservata. Lib. III. R. XXXXVIII « de revenditoribus qui (sic) non teneant apothecas apertas in diehus festivis » e in questa Rub. è detto che tale divieto non si estende alle botteghe « artis lane qui possint aperiri in totum omni tempore impune ». Per le arti in Genova, V. Enrico Bensa, I commercianti e le corporazioni di arti nella antica legislazione genovese. Genova, Sambolino, 1884, dove a pag. 6 è detto che nessuna industria assunse mai m Genova una maggiore importanza di fronte alle altre, ed il commercio marittimo e di speculazione assorbì sempre tutta l’attività mercantile dei Genovesi. (3) V. doc. η IV pubblicato in appendice GIORNALE LIGUSTICO 283 quelli della città : ma se questa osservazione avrebbe valore quando si trattasse di altr’arte, meno importante nella storia della vita interna cittadina, non vale, o mi inganno, per la corporazione dei mercanti, dei lanaiuoli e di tutti coloro che formavano Γ arte della lana, giacché all* esercizio di tale arte erano commessi troppo larghi interessi cittadini, riconosciuti anche dagli statuti del comune (1), perchè oltre alle leggi della città non vi dovessero essere altre leggi speciali per il governo e per l’esercizio dell’arte. Comunque sia di ciò, mancandoci uno statuto dei mercanti di Savona, noi dobbiamo ricorrere, come ho detto, alle leggi del comune se vogliamo conoscere quale sia stata l’organizzazione dell’arte della lana; e più precisamente alla redazione di statuti che è nota col nome di antichissima, ed a quelle del 1376 e del 1404(2). Dalla prima noi attingiamo scarsissime notizie: dalle altre invece ricaviamo larga copia di informazioni non solo per ciò che spetta alla natura degli ordinamenti dell’arte, ma ancora rispetto alle modificazioni che essi hanno subito nel corso del tempo. Scrivendo le date 1376 e 1404 intendo di segnare il limite più prossimo a noi di due diverse redazioni di statuti comunali; non di indicare con precisione l’età nella quale essi furono composti; perchè anzi - (1) V. doc. η. Ili pubblicato in appendice, in principio. Anche gli statuti del comune di Firenze riconoscono che 1’ arte della lana dà grande beneficio alla città. V. Statuto del Podestà di Firenze (ms. in quell’ archivio di stato) anno 1324» lìb. V, R. XXVIII « quod qui operantur de arte lane subsint consulibus dicte artis ». Statutum et ordinatum est quod cum per artem lane et pannorum que fit in civitate florentie multe familie homines et persone tam civitatis quam districtus florentie. substententur et per eam et ipsa civitas augeatur, decens est ut comune flor, ipsam artem honore et gratia prosequatur ipsamque augeat et in bono statu conservet.... (2) Le Rub. di questi Statuti relative all’ a. della lana sono pubblicate in appendice a questo studio, e da esse sono tolte le notizie che seguono, quando non è indicata una fonte diversa. 2δ4 GIORNALE LIGUSTICO V. per non dir del secondo statuto - quello del 1376, nella rubrica relativa all’ordinamento dell’arte della lana, per il disordine evidente del suo contenuto e per altri caratteri interni, appare il prodotto di un numero non piccolo di correzioni e di rifacimenti; cosicché, anche se non si vuole o non si può ritrovare il limite a quo dello statuto stesso, noi possiamo facilmente ritenere che in esso v’ hanno disposizioni sancite in età assai più lontana di quella alla quale lo statuto appartiene. A Savona F arte della lana era composta (i), secondo lo statuto del 1376, dei mercanti di panno, dei battitori di lana, cardatori, tintori, tonditori e di tutti quegli altri che lavoravano nella lana 0 nei panno (2), con differenza pertanto da ciò che avveniva nel comune di Firenze dove, come è notissimo, P arte dei mercanti di Calimala aveva il privilegio di vendere i panni forestieri, e di perfezionarli con una particolare lavo- (1) Henry Harrisse nella sua opera: Christophe Colomb etc. Paris, Leroux 1884,ha pubblicato alcuni documenti tratti dagli archivi di Savona e di Genova, dai quali appare che Domenico Colombo appartenne all arte della lana: in essi il Colombo è detto « de arte textorum pannorum », «textor pannorum », « civis lanerius » etc. (2) V. Alessandro Lattes, Il diritto commerciale nella legislaiione statutaria delle città italiane, Milano, Hoepli, 1884, p. Si, dove si parla della riunione dei mercanti e degli artefici in una sola arte; e P. \illari, Il commercio e la politica delle arti maggiori in Firenze (in Politecnico, 1867, Vol. Ili, p. lett. pag. 580) dove scrive: « Queste arti (della lana e di Cali-mala) costituivano assai spesso, più che una industria sola, un insieme nu meroso di mestieri diversi, massime quella della lana, che andava dal cardare la materia prima fino al tingere e raffinare i più costosi tessuti. Così quando l’arte trovava in sè tutto ciò di cui aveva bisogno, e i me stieri destinati ad uno scopo medesimo non erano separati, essi non si potevano osteggiare col crescere i prezzi del lavoro 1 uno a danno del Γ altro ». GIORNALE LIGUSTICO 285 razione (1), e l’arte della lana attendeva alla lavorazione ed alla vendita di panni preparati in Italia. Per appartenere alla corporazione non bastava però attendere alla vendita dei panni od alle altre professioni che hanno con essa una stretta affinità (2). Bisognava pagare una tassa, che noi diremo di ingresso; tassa che negli statuti del 1376 è fissata in 60 soldi di Savona, e nello statuto del 1404, pur restando invariata per i casi comuni, è detto che può essere ridotta, a parere dei consoli e dei consiglieri dell’arte, ben s’intende quando concorrano condizioni e ragioni speciali. Nè era fatta eccezione per chichessia. Mentre alcuni comuni italiani escludono dalle corporazioni cittadine i forestieri, chi ha perduto il credito e la buona fama, ed anche i figli illegittimi (3), gli statuti di Savona aprono liberamente e facilmente l’ingresso nell aite della lana « a chiunque e di dovunque egli venga » (4) a condizione però che tutti prestino giuramento di obbedienza (1) \ . a questo proposito il mio studio su L’arte dei mercanti di Calimala in Firenze ed il suo più antico Statuto. Torino, Bocca, 1890. (2) A Firenze non a tutti era permesso 1’ esercizio dell’ arte della lana. Cantini in Legislazione toscana raccolta ed illustrata, Firenze, 1880, I, pag. 299 dice che « potevano esercitare quest’arte solamente quelli che della medesima avevano presa la matricola, la quale non si concedeva se non a quelli che avevano della perizia nell’ arte ». Lo stesso può dirsi di Genova. V. Bensa, op. cit., pg. 12-3. Chi voleva esercitare l’arte del tessitore di panni faceva prima un non breve tirocinio. Per Savona V. Harrisse, op. cit. tom. II, p. 437. doc. XXXV, 1484, 10 settembre: Giacomo Colombo ... « dedit et locavit se prò famulo et discipulo cum Luchino Cadam artori . . . per menses vigiliti duos ad addiscendam artem textorum pannorum promittens non recedere ac servire et furtum non committere, versa vice dictus Lupinus pascet et non expellet et quando terminus erit finitus, eidem dare diploidem una fustanei, par unum caligarum cum .... gavardinum unum panni biavi, et pitochum unum panni cum suis camixiis etc. ». (3) V. in Lattes, op. cit., a pg. 24 e nelle note relative. (4) V. doc. IV in appendice. Giorn. Lioustico. Αίμο XXL ΙΛ 286 GIORNALE LIGUSTICO al rettore, o, come altrimenti è detto, ai consoli ed ai consiglieri dell’arte. Ciò importa che della corporazione dei mercanti, così come avveniva delle altre arti, si doveva conservare una matricola, la quale rappresentasse, per dir così, lo stato quotidiano dell’arte e servisse a far conoscere agli ufficiali di essa i loro dipendenti. Di tale matricola però non è cenno nelle rubriche degli statuti del comune, che sono relative all’arte della lana. Ne consegue ancora che la qualità di inscritto nella corporazione doveva venir meno in chi cessava o di esercitare la professione per la quale era entrato nell’arte, o mancava all’obbligo chiaramente determinato dallo statuto, ed all’obbedienza agli ufficiali dell’arte (i). Perchè, se la disubbidienza agli ufficiali e le infrazioni di varia specie agli statuti erano punite comunemente con delle multe pecuniarie, non è lecito supporre che l’arte della lana abbia voluto privarsi di un rimedio sicuro, al quale molte altre arti ricorrono nel medio evo, dell’esclusione cioè di quel membro, che per grave colpa, o per dimostrata e continuata negligenza nel-1’ esercizio dei suoi doveri si fosse reso indegno di appartenere alla corporazione, e di godere della particolare tutela degli statuti di essa. Queste notizie noi non troviamo nelle leggi del comune; le troveremmo forse negli statuti dell arte. I quali statuti erano preparati e riveduti, come gli uiìici dell’arte erano occupati, da mercanti o da altra persona per ragione di professione appartenente alla consorteria. Però al lavoro, dovunque importantissimo, di riordinare e modificaie gli statuti attendevano ancora in Savona altre persone, non appartenenti all’arte, a ciò espressamente deputate. Ogni anno, dicono gli statuti antichissimi, in una Rubrica che appartiene (i) V. in Lattes, op. cit., pg. 25 e nelle note relative, le disposizioni contenute in vari statuti, rispetto alla cessazione ed alla esclusione dall’arte. GIORNALE LIGUSTICO 287 all’anno 1312, gli ordinamenti e le leggi proprie di ciascuna arte saranno rivedute dal podestà, dall’abbate, e da otto sapienti della città (1). Invece secondo gli statuti del 1376, al principio del mese di agosto, gli anziani del comune eleggono otto probi ed esperti cittadini, due per ogni quartiere, i quali avranno quella stessa autorità onde è rivestito il comune, di rivedere gli ordinamenti e gli statuti delle arti. Questi però non potranno fare nessuna legge che sia contro la legge del comune, od assoggettare agli ufficiali di un’ arte persone che già non appartengano all’arte stessa. Per attendere a quest’opera di revisione hanno tempo due mesi (2). Tali disposizioni in uno statuto appartenente forse al 1429 sono sensibilmente modificate (3). Anzitutto, è detto allora che non più annualmente, come prima avveniva, ma ogni cinque anni, gli anziani eleggeranno sei cittadini, tra i più esperti ed i più probi di Savona, dei quali due siano nobili, e due mercanti, e gli altri due artigiani, con facoltà di correggere ed ampliare gli statuti fatti dalle arti; e l’opera loro sia insindacabile, ed i loro decreti siano esecutori, purché non offendano le leggi del comune. Tolta però questa ingerenza, veramente notevole del resto, di un corpo speciale di statutari, il potere legislativo per l’arte della lana era nelle mani dei consoli e dei consiglieri. Il quale potere, sebbene gli statuti appena abbiano un cenno di esso, era senza dubbio in Savona e nell’arte nostra esercitato come negli altri comuni italiani; dava diritto cioè, ed obbligo ai consoli ed a quegli ufficiali che ai consoli per legge dovevano (1) V. la Rub. riportata alla nota n. 2 della prima pagina. (2) Lib. I, R. XXXV « de modo regulandi artistas civitatis Saone ». (3) V. Slattila politica et civilia, detti del 1404, in una Rub. (C. LX) « de modo et ordine regulandi artifices comunis Saone, appartenente all’an. 1429, o ad un anno seguente, perchè in essa è detto che la revisione deve avvenire ogni cinque anni « inceptis in Kalendis octohris anni de MCCCCXXVIII preteriti ». 2SS GIORNALE LIGUSTICO associarsi, di rivedere annualmente il corpo degli statuti dell’arte, di emendarli sopprimendone qualche parte, facendo aggiunte interlineari o marginali, e, in caso di bisogno, riordinando da capo a fondo il complesso delle disposizioni, dalle molteplici modificazioni disordinate, e perciò provvedendo P arte di un nuovo codice di statuti. Diverso fu nei diversi tempi il modo col quale i consoli dell’ arte venivano eletti. Per disposizione di uno statuto del comune dell’anno 1312 tutte le arti di Savona dovevano ogni sei mesi eleggersi uno o più consoli, traendoli dai più intelligenti cittadini (1); tali consoli, secondo uno statuto del 1376 (2), sono per la prima volta nominati dall’assemblea dei componenti la corporazione; ma non è detto in qual modo; è detto invece che essi prendono il nome di rettori, e che sono eletti insieme con otto altri consiglieri. Uno di essi deve appartenere alla classe dei mercanti, la quale da pure quattro consiglieri; l’altro al ceto degli operai, donde sono tratti gli altri quattro consiglieri. Passati però sei mesi, i due rettori o consoli, coi loro consiglieri, eleggeranno essi stessi i loro successori, togliendo così l’elezione delle più alte cariche dell’ arte ai componenti 1’ assemblea dell arte stessa (3). Nè è detto che gli usciti di carica non potessero essere rieletti dopo sei mesi; cosicché, se gli statuti dell arte, prevedendo il pericolo, non avevano trovata una con\eniente difesa, è giusto supporre che più di una volta nel corso dei sec. XIV e XV la corporazione dei mercanti di Savona siasi (1) V. la nota n. 2 della prima pagina. (2) V. doc. η. II in app. (5) A Genova (V. Bensa, op. cit., pag. 13-4) « i consoli il più delle volte si eleggevano dal corpo intero dei maestri : talora però erano i consoli stessi che sceglievano nella corporazione un numero determinato di maestri i quali insieme ai consoli scaduti provvedevano all’ elezione dei loro successori ». GIORNALE LIGUSTICO 289 trovata alla mercè di pochi 0 più fortunati o più valenti, che alternamente salivano al consolato. Però col principio del secolo XV la elezione dei consoli e dei consiglieri non avviene più in tale maniera (1). I consoli sono eletti dagli anziani del comune, e sono scelti uno nella classe dei mercanti, l’altro in un elenco di soci, a ciò idonei, presentato agli anziani dai consoli uscenti di carica. I consiglieri poi sono eletti direttamente, in numero di otto, da tutti coloro che formano l’arte della lana, ed appartengono quattro ai mercanti e quattro agli operai. Non è detto negli statuti del comune se per poter ottenere l’ufficio di console o di consigliere fosse necessario aver raggiunto un dato limite d’ età (2) ; è detto invece chiaramente che non si potevano ricusare gli uffici avuti (3), i quali, nel silenzio della legge, dobbiamo supporre fossero gratuiti. Eletti, i consoli giuravano nelle mani degli anziani della città di esercitare lealmente il loro ufficio, secondo le leggi del comune e dell’arte, e ad onore della corporazione. Funzione principale dei consoli era infatti questa, di tutelare in ogni modo l’onore ed il prestigio dell’ arte : tutela della quale non potevano disinteressarsi neppure le autorità cittadine perchè l’arte della lana teneva, se non il primo, certo uno tra i primi posti tra le corporazioni del comune, e la fortuna della città era strettamente, per molti rispetti, congiunta con la fortuna dei mercanti. I consoli avevano ancora funzioni esecutive in quanto attendevano a far rispettare ed eseguire le disposizioni dello statuto; visitavano, di giorno e di notte, le case e le botteghe dei mercanti per vegliare (1) V. doc. η. IV in app. (2) V. in Lattes, op. cit., pag. 37 e note relative, le condizioni di eleggibilità richieste da alcuni statuti di arti. (3) V. doc. η. II e η. IV in app. 290 GIORNALE LIGUSTICO attentamente a che non si contravvenisse alle leggi, e provvedevano a che non si usassero misure false 0 si defraudasse comechessia il compratore. E poiché nel sec. XIV non v era divisione nel potere, ma questo continuava a mantenersi nella sua unità primitiva, i consoli avevano anche attribuzioni giudiziarie, e giudicavano senza appello, da soli o col sussidio dei consiglieri, del giudice o del vicario di Savona, le cause commerciali che si dibattevano tra i mercanti, ed eseguivano le proprie sentenze (1). Perciò avevano facoltà di multare coloro che si opponessero in qualsiasi modo alla esecuzione di esse. I consiglieri, dei quali già si è parlato, avevano potei e consultivo, ed esecutivo ad un tempo. Essi infatti, per concorde volontà degli statuti del 137^ e ^ r4°4> dovevano provvedere, di accordo coi consoli, a tutto ciò che era necessario all’arte e che direttamente o indirettamente la riguardava (2). Due altre categorie di ufficiali erano incaricate di vegliare al regolare ed onesto esercizio dell’arte; quelli che erano deputati ad esaminare e ripulire la lana preparata per la tessitura , e quelli nominati a controllare il panno preparato per la vendita. I primi, dovendo quasi sempre dedurre dal piso della lana dichiarato, il peso di quella parte che essi ne traevano, perchè non pulita o non atta all uso cui era destinata, eran detti tare^atori. Ogni anno (lo statuto del 1404 dice otto o dieci giorni prima del febbraio), i consoli ed i consiglieri dell arte eleggono (1) V. sopra i giudici nelle cause mercantili le osservazioni fatte da Lattes, op. cit., pag. 242 e seg. (2) A Genova (V. Bensa, op. cit, pag. 14-5) secondo alcuni statuti nel numero dei consiglieri entravano per diritto i consoli uscenti di carica ; secondo altri statuti i consoli nuovi avevano diritto di eleggere essi stessi un numero definito di consiglieri ». GIORNALE LIGUSTICO 29 I due cittadini esperti ed onesti; due altri sono eletti dagli elettori ai quali tocca la sorte di designare gli ufficiali del comune: tutti e quattro poi giurano nelle mani del podestà di esercitare bene Γ ufficio al quale sono stati nominati e danno inoltre una garanzia di cinquanta lire. E Γ ufficio loro è chiaramente descritto dagli statuti con queste parole : essi debbono trar fuori dalle bisaccie la lana che si vende; devono mondarla con le forbici, levandone la parte non pulita e non atta alla tessitura, che sarà pesata a parte perchè possa farsi la tara, cioè perchè possa dedursi il peso di essa dal peso della lana venduta. E per questo loro lavoro hanno così da chi vende come da chi compera, per ogni fascio di lana inglese, tre denari ciascuno; per maggiore 0 minor quantità e per certe qualità di lana, hanno altra mercede, secondo le norme dello statuto, che qui scende a particolari veramente notevoli. Se però sulla tara da farsi sono concordi il venditore ed il compratore, ai tarezatori non deve essere dato nessun compenso. I sensali sono esclusi dal-P ufficio di tarezatori (1). Ogni sei mesi invece, i consoli dell’arte appena sono entrati in ufficio debbono eleggere i revisori dei panni, pena la multa di venti soldi per ogni console in caso di ritardo 0 di dimenticanza. E tali revisori debbono osservare le pezze di panno tessute per vedere se siano state rispettate le norme fissate dalle leggi per la tessitura dei panni, norme che stabiliscono le dimensioni della pezza, la quantità o qualità della lana che in ciascuna di esse deve essere adoperata. Così avviene che nes- (1) Gli statuti di Savona (v. doc. η. II in App.) hanno appena questo fugace accenno ai sensali (censari): è certo però che i sensali dovevano anche qui esercitare un ufficio importante agevolando le contrattazioni ed assumendo fors’ anche attribuzioni più importanti. V. sui sensali negli statuti delle città italiane l’opera citata del Lattes a pg. 105 e seg. e, se ti piace, il mio studio su « l’arte di Calimala etc. » a pg. 37 per ciò che ha riguardo a tale arte. GIORNALE LIGUSTICO sun mercante riceve i panni che furono per lui tessuti, se prima essi non sono stati riveduti da detti ufficiali ; che senza tale visita non si può mandare fnori di Savona nessuna pezza. Il panno che esce dalla città deve anzi essere bollato con un bollo di piombo avente lo stemma di Savona, pena la multa di un fiorino per ogni pezza non bollata; e del bollo sono private le pezze non regolari. I deputati alla revisione dei panni ricevono dodici monete di Savona per ogni pezza esaminata, ed altri dodici denari per ogni pezza bollata: la quale mercede però deve essere per metà devoluta all’ospedale di San Giuliano (i). Per i mercanti, per gli operai, e per tutti coloro che formano la corporazione, gli statuti hanno regole di varia natura, delle quali la maggior parte è diretta ad impedire la frode nella fabbricazione e nella vendita dei panni, ed alcune a determinare la condizione dei Genovesi, che si considerano come forestieri, rispetto all’arte ed alle leggi di essa. È regola generale (2), più chiaramente che non nei precedenti espressa negli statuti del 1404, che chiunque attende (1) V. per Siena Statuti Senesi scritti in volgare nei sec. XIII e XIV e pubblicati secondo i testi del R. Archivio di Stato in Siena per cura di Filippo Polidori, Bologna, Romagnoli. Dei riveditori delle lane si parla nella Distinz. I, cap. XI e cap. LXXI. (2) Già la troviamo negli Statuta antiquissima, lib I, R. LVIIII « de Sacramento draperiorum qui vendunt pannos ». Item iuro quod infra mensem unum post meum introitum faciam iurare omnes draperios quod non vendent nec vendi permitent vel consencient in domibus eorum sive in quibus morantur aliquem pannum lombi,rdum vel januensem pro francisco panno. Et quod dicent emptori ante requisitionem ipsius si dictus pannus est fran-cischus vel lombardus. Et quod ipsi draperii dabunt seu dari facient cuilibet cui vendiderint pannum tres partes unius palmi pro qualibet canna panni ultra mensuram canne et ab una canna inferius ad eandem rationem. Et quod ipsi mensurabunt et mensusari facient per schenam omnes stantortes GIORNALE LIGUSTICO 293 all’esercizio dell’arte deve giurare nelle mani dei consoli di osservare fedelmente lo statuto, di obbedire ai consoli ed ai consiglieri; e tale giuramento costituisce il primo atto di chi entra a far parte della corporazione. Ma non basta. Tutti i venditori di lana debbono deporre ancora uno speciale giuramento nelle mani del podestà : questo cioè, che essi non venderanno nè lascieranno vendere nelle case o botteghe nessun panno lombardo, genovese, savonese o fiorentino, per panno francese, inglese, fiammingo, normanno, ovvero uno qualunque di questi panni per un altro (1). Essi debbono, prima ancora della richiesta del compratore, dichiarare lealmente la provenienza e la qualità del panno offerto (2). Ora questo giuramento fatto anziché ai consoli dell’arte, al podestà del comune, mentre da un lato ci dimostra P interesse col quale la città segue le sorti di una tra le principali delle sue arti, e, conscia della importanza di essa, ne vigila e frena il movimento, ci spiega ancora come anche nel tempo nel quale le arti più rigogliose dovunque fioriscono e svolgono liberi ordinamenti, ed in alcune città prendono nelle loro mani il governo della cosa pubblica, in Savona nell’organismo del comune Parte della lana, e le altre certamente con questa, rappresentino una parte de arazo stanfortes englexios parisinos tam versatos quam omnes alios pannos qui mensurantur per scbenam..... Et si aliquis contrafecerit auferam ab eo vel ab eis qui contrafecerint pro qualibet vice soldos quatraginta medietas quorum sit comunis et alia acusatoris. (1) Cosi negli Statuti dei mercanti di Roma redatti e scritti nei sec. XIII, XIV e XV, pubblicati da G. Gatti, in Studi e documenti di storia e diritto (Roma. 1880-85) v’hanno queste Rub.: «de vendentibus unum pannum pro alio », e « quod non vendatur unus pannus pro alio ». (2) Pagnini [Della decima etc. della moneta e della mercatura dei fiorentini fino al sec. XVI. Lisbona e Lucca MDCCLXV, toni. II, p. 102), osserva che i venditori di panni stranieri dovevano apporre a ciascun panno il prezzo preciso di costo, il che dicevasi laccare: di più sul panno doveva essere segnato il luogo di provenienza e il nome dell’ operaio che aveva fatto il panno. 294 GIORNALE LIGUSTICO secondaria e non siano del tutto sottratte alla ingerenza del potere centrale. E gli statuti, non esclusi gli antichissimi, obbligano ancora, con giuramento, il venditore di lana a dare in dono al compratore una data misura di panno (preyxa) proporzionata alla quaniità comperata; misura che è fissata in tre parti di palmo per ogni canna, negli statuti più antichi, ed è ridotta a due palmi, per ogni pezza intera, negli statuti del 1404. Per evitare possibili frodi e furti, stabiliscono poi gli statuti che nessun mercante o lavorante od operaio possa comperare per sè 0 per altra persona uno scampolo di lana filata o non filata senza espressa licenza dei consoli ; ed ancora che nessuno appartenente, o no, alla corporazione, possa comperare o vendere per sè o per altri in Savona o nel suo distretto una quantità di lana battuta che sia inferiore alle venticinque libbre, secondo lo statuto del 1404; al rubbo, secondo lo statuto del 1376; 0 superiore a dieci legaccie ovvero sei grandi sacchi, dovendo in caso di contravvenzione a quest’ ultima norma rivendere l’eccedenza comprata, al prezzo di acquisto. Ai lavatori di lana ed ai legatori di balle, è fatto espresso divieto di comperare o vendere lana, sotto pena di una multa di lire sessanta savonesi (1). Per la fabbricazione del panno gli statuti danno molte e particolareggiate norme. Anzitutto è stabilito che nessuna pezza di panno di Savona debba avere una lunghezza inferiore alle dodici canne ; esclusi tuttavia gli scampoli, che non hanno misura fissa, ma possono essere più o meno lunghi a volontà dei consoli, i quali volta per volta ne stabiliscono le dimensioni. Ogni pezza di panno deve contenere sessanta libbre di lana, pena una multa per chi ha dato ordine contrario a questa norma, e per il tessitore che 1’ ha eseguito. Però, essendo fissa (1) Statuto del 1404, c CXXXX « de iuramento lavatorum lanarum et ligatorum hallarum ». GIORNALE LIGUSTICO la lunghezza della pezza di panno, poteva accadere che di certe quantità di lana sessanta libbre fossero eccessive per la formazione di una sola pezza: perciò gli statuti facevano eccezione a beneficio della lana più fina, della quale poteva essere adoperata, per ogni pezza, una quantità minore. In questo caso però il panno tessuto doveva essere particolarmente riveduto dai deputati a tale revisione, i quali potevano condannare chi dei due, tessitore o proprietario del panno, agli occhi loro fosse apparso colpevole. E come vi erano limiti per la lunghezza e per il peso delle pezze di panno, così vi erano norme per la lana da adoperarsi ; la quale nella medesima pezza doveva essere tutta della stessa qualità; pena una multa pecuniaria e la distruzione della stoffa, da farsi pubblicamente, davanti al palazzo del comune, a danno del colpevole e ad esempio di tutti. Perciò chiunque avesse ricevuto, mescolate insieme, diverse qualità di lana, coll’ incarico di farne una pezza, era consigliato a denunziare tosto Γ inganno ai rettori dell’ arte. Anche a questa norma era fatta un’ eccezione : se un tessitore consuma tutta la lana onde dispone, di una data qualità, prima di aver compiuta la pezza, può continuare a tessere con altra lana la medesima pezza, a condizione però che nel punto dove le due lane si collegano egli faccia una segno visibile, « aliquam virgulam », che valga a mostrare chiaramente al compratore il carattere particolare di quel panno. Ogni panno doveva portare il segno del proprietario; e nessuna pezza, che fosse priva di tale marca, poteva essere pulita, o folata, come allora si diceva. Nella corporazione della lana entrano anche i tintori, a beneficio dei quali è detto che chi ha dato i panni a tingere ad un tintore, debba continuare a valersi dell’ opera di quello fino a che il prezzo della tintura non abbia raggiunto il valore di una pezza di panno; la quale pezza il lanaiuolo deve appunto dare al tintore. Che se il mercante si priva dell’ opera del tin- 296 GIORNALE LIGUSTICO tore anzi tempo, deve pagare in denaro, e non in merce, l’opera del tintore, ed a volontà di questo. Tale norma non vale però per chi non tinga la stoffa come piace al mercante ; il quale pertanto può, quando egli creda, valersi di un altro tintore. Anche le lane ed i panni mandati a tingere dovevano essere assoggettati alla revisione dei tarezatori; i quali, mentre attendevano a questo esame, erano accompagnati da un tintore non appartenente alla tintoria interessata. In Savona poi, tutti i panni, qualunque fosse la loro provenienza, potevano essere tinti in qualsiasi colore ; a differenza di quanto sappiamo avvenire in Firenze, dove la tintura dei panni era regolata da leggi più restrittive (1). La risoluzione delle questioni che potevano insorgere tra gli appartenenti all’ arte della lana, era dagli statuti deferita ai consoli dell’arte. La questione doveva essere subito, appena sorta, o nel giorno seguente, presentata ai consoli; i quali, udite le parti, con processo sommario, entro otto giorni, dovevano definirla secondo la verità e la coscienza loro (2). Se il valore della causa però superava i quaranta soldi di moneta di (1) V. il mio studio su «l’arte di Calimala etc.» passim, e specialmente alla R. XVI del lib. V « quod nullus pannus scarlatta vel auricelle integer tingatur alicui nisi teneatur Kallimale». L’arte di C. non poteva tingere altro che panni forestieri. (2) Secondo gli statuti del 1376 e del 1404 ai libri dei mercanti si poteva dar fede dal magistrato fino alla somma di soldi 20. Il Lattes, op. cit., a pag. 283 osserva che « negli statuti italiani non si trova alcun cenno della distinzione fatta dai giureconsulti, i quali, concordi nell’ attribuire forza probatoria ai libri dei banchieri, considerati come pubblici ufficiali, discutono intorno ai libri degli altri mercanti ». Del resto anche lo Statuto del Capitano del popolo di Firenze, del 1321 (lib. II, R. XLIII), ms. in quell’archivio, dice « de fide habenda in scripturis » e gli Statuti dei mercanti di Roma editi da G. Gatti hanno queste Rub. : « quod credatur libris merchatorum de omni quantitate inter merchatores » e « quod credatur libris mercatorum a' XX ducatis infra ». GIORNALE LIGUSTICO Savona (gli statuti del 1376 dicono solamente: « se la causa è grave») allora i consoli nel giudicare debbono ricorrere all’aiuto di altre persone. A norma degli statuti del 1376 debbono valersi del consiglio dei consiglieri ; e dove essi non siano concordi nel giudizio, ricorrere per consiglio al giudice e vicario di Savona, delegato per le cose civili : secondo gli statuti del 1404 invece debbono senz’altro invocare il concorso dei « magistri rationales » di Savona, e con la loro « partecipatione et consilio » pronunciare la sentenza. Contro la quale sentenza non si può interporre appello, nè sollevare qualsiasi eccezione; anzi i consoli possono multare chiunque intenda di andar contro alle loro sentenze, con multe che variano a piacere di essi, dai dieci ai cento soldi di moneta di Genova. La sentenza dei consoli è esecutoria per qualunque magistrato di Savona, ad istanza della parte per cui essa fu pronunziata. Così i mercanti non possono adire nessun altro magistrato che non sia quello dei consoli dell’ arte, pena una multa variabile da venti a quaranta soldi, ad arbitrio dei consoli stessi, che la imporranno « inspecta qualitate et condicione persone et querele vel lamentationis facte ». Mentre pende una causa davanti ai consoli, tra persone della corporazione, nessun magistrato di Savona, non escluso il podestà, può ad istanza di una patte faie sequestii o altri atti che impediscano l’esercizio dell’arte. Ogni domanda deve essere rimessa ai consoli, che sono i soli giudici competenti nelle cause di natura mercantile (1). Gli Statuti, come si vede, colpiscono sovente la colpa, la infrazione alle leggi, con una multa pecuniaria. Or bene tale multa va pei meta a benefìcio del molo del porto, per metà a favore dell arte : altra prova questa che gli interessi della (1) V. su la procedura nelle cause mercantili le osservazioni di A. Lattes, op. cit., p. 258 e seg. 298 GIORNALE LIGUSTICO corporazione non si separavano mai dagli interessi di tutta la città. Ma l’arte non gode solamente della tutela dei proprii ufficiali: essa ancora ha diritto alla difesa del podestà di Savona, cosicché le sia dato godere di tutti i diritti che le sono riconosciuti dagli statuti ; ed è libera, per espressa disposizione degli statuti comunali, da qualsiasi dazio, gabella, pedaggio o simili. Essa anzi, tra le altre arti cittadine occupa, come già ho detto, una posizione privilegiata, poiché, mentre nessun rivenditore di merce può tener bottega aperta nei giorni di domenica, della Beata Vergine e degli Apostoli, le botteghe dell’arte della lana possono star sempre aperte « in totum » (1). Tutte le norme fin qui commentate valgono per i mercanti e per i lanaiuoli di Savona. Per i forestieri gli statuti sanciscono il principio della reciprocità: « perchè si conservi la uguaglianza tra i mercanti di Genova e quelli di Savona, negli affari relativi all’arte della lana, dicono le leggi comunali, i Genovesi saranno trattati nella nostra città come i Savonesi sono trattati in Genova ». Però il Comune protegge in modo particolare il forestiero che viene a Savona per esercitare la mercatura, sia pure in onta alle leggi del paese d’origine; cosicché vieta al podestà e in generale ai magistrati suoi, di (1) Statuta antiquissima, lib. Ili, R. XXXXVIII « de revenditoribus qui (sic) non teneant apothecas apertas in diebus festivis ». Faciam preconizare publice per civitatem Saone infra dies quindecim post introitum mei regiminis quod aliquis revenditor seu revenditrix aliquarum mercium qui vel que stet et habitet in Saona non teneat apothecam apertam in diebus dominicis nec in diebus beate Virginis Marie, nec in diebus Apostolorum, set possint aperire et aperiri facere medietatem fenestre dicte apothece non computata porta, exceptis apothecis artis lane qui possint aperiri in totum omni tempore impune. Et intus dictam apothecam possint vendere omnia que voluerint comestibilia et non comestibilia, dum tamen non teneant aliquid extra domum super fenestram.....». V. per i favori concessi all’ arte della lana in Firenze P AGNINI, op. cit., II, pag. 88 e Cantini, op. cit., I, p. 299. GIORNALE LIGUSTICO 299 procedere d’ufficio contro qualsiasi membro della corporazione, per causa di sentenza o di bando pronunciato contro di lui dai magistrati Genovesi, perchè in onta agli ordinamenti di Genova egli sia venuto ad esercitare l’arte in Savona: pena al magistrato, che dimentichi tale divieto, una multa di lire duecento, la decadenza dall’ufficio e la condanna come spergiuro. Del resto al forestiero è data piena la difesa dello statuto del comune nella parte relativa all’arte: solo a lui è fatto divieto di filare lana in Savona, sotto pena della perdita della lana e di una multa di soldi cento, da pagarsi a beneficio del porto della città (1). Giovanni Filippi. DOCUMENTO I. 1376. DE SACRAMENTO DRAPERIORUM RUBRICA (2). Faciam in principio mei regiminis iurare omnes draperios de Saona vendentes pannos ad retalium quod non vendent nec vendi permittent vel consentient in domibus seu apothecis eorum vel alibi in civitate Saone vel posse aliquem pannum lombardum vel januensem pro francischo et sic de singulis aliis pannis non vendent unum pannum pro alio. Et quod bona fide dicent emptoribus pannorum si pannus qui vendetur vel emetur est vel esset francischus lombardus januensis vel alterius cuiuscunque centris non celando veritatem. Et quod ipsi draperii mensurabunt pannos vendendos per eos ad justam cannam parmorum novem marcatam et scandaliatam iusto marco et scandalio comunis Saone parmorum novem iustorum de (1) V. in Lattes, op. cil., pag. 91 e seg. alcune considerazioni sopra la condizione dello straniero nelle leggi mercantili. A Genova (v. Bensa, op. cit., pag. 12-3) i forestieri per entrare nell'arte pagavano, come tutti gli altri, una tassa di ingresso ; con essa però non acquistavano tutti i diritti dei cittadini, ai quali soltanto ad esempio, era riserbata, per misura politica, la carica di consoli. (2) Politica et civilia corounis Saonae. statuta. Lib. 1. R. LVI. 300 GIORNALE LIGUSTICO canna mensurando pannos per cimosam ut moris est bona fide et sine fraude dando unicuique emptori iustam mensuram. Et ultra dictos parmos novem dabunt unicuique emptori tres quartas partes unius parmi pannorum predictorum pro preiza pro qualibet cana et ab inde infra ad eandem rationem pro rata. Que tres quarte partes unius parmi pro preyza non computentur in aliquo parmo dicti panni. Et teneantur dicti draperii cuicunque emptori ementi pannos si pecia panni que vendetur fuerit integra et emptor emet illam totam dare pro capitibus ambobus dicte pecie panni parmos duos iustos de canna videlicet pro quolibet capite pannum unum acipiendo caput dicti panni a parte magis curta. Et quod dictum est de una pecia integra illud idem intelligatur quandocunque aliquis emerit principium vel finem dicti panni in quo sint capita unum vel plura absque eo quod ille parmus capitis computetur in aliquo panno. Et si quis contrafecerit condempnetur in libris duabus janue pro quolibet et qualibet vice quarum medietas sit comunis ei alia acusatoris. Et credatur acusatori si fuerit homo bone lame. DOCUMENTO II. 1576· DE ARTE LANE FIENDA IN CIVITATE SAONE RUBRICA (i). Item ad hoc ut in civitate Saone ars lane possit fieri et deo propitio perpetuo manuteneri et operari per quam artem ut publice et notorium manifestum est tam dicte civitatis Saone quam etiam reipublice magnum confertur comodum, statuerunt et ordinaverunt quod fiat capitulum speciale de infrascriptis ad dictam artem spectantibus prout inferius continebitur quod capitulum observetur precise per potestatem civitatis Saone qui nunc est et etiam per omnes alios qui pro tempore fuerint. Et quod capitulum sit abrogatorium et derogatorium omnibus aliis capitulis civitatis Saone obviantibus in aliquo presenti capitulo sive aliquibus contentis in dicto capitulo in tantum videlicet in quantum obviarent ut supra. Primo ad eo ut dicta ars lane possit et valeat diucius perseverare et de bono in melius augmentare, quod tam mercatores dicte artis quam etiam batitores carza-tores tintores tonditcres et universi et singuli laboratores dicte artis quo- (1) Politica et civilia comunis Saonae statuta. Lib. I. R. LXXXVII. GIORNALE LIGUSTICO 3OI cunque nomine nuncupentur, facere creare et eligere teneantur duos bonos viros de dicta arte qui rectores nominentur et appellentur. Et octo consiliarios ex dicto numero, forma et ordine infrascriptis, videlicet unum ex numero dictorum mercatorum illum videlicet quem magis legaliorem et ydoneum esse crediderint et sciverint. Et alium rectorem ex numero dictorum laboratorum supra nominatorum illum videlicet quem magis crediderint et sciverint esse meliorem et sufficientiorem. Et eodem modo quatuor ex dictis octo consciliariis de numero mercatorum et reliquos quatuor de dicto alio numero videlicet illos quos magis utiliores esse crediderint quorum auctoritate et consilio possint et debeant universa que ocurrerint expedienda et explicanda pro dicta arte salubriter provideri et perfici taliter quod ille qui electus fuerit ad aliquid dictorum officiorum non possit se modo aliquo a dicto officio ad quod electus fuerit excusare sed ad dictum officium suscipiendum precise per potestatem civitatis Saone qui nunc est et pro tempore fuerit compellatur defensione aliqua in contrarium non admissa. Et qui offitiales sic electi iurare debeant coram potestate Saone dictum eorum officium bene et Iegaliter facere bona fide et sine fraude ad bonum publicum dicte civitatis dicteque artis et hominum et personarum ipsius quorum officium duret per sex menses tantum. Et in fine dictorum sex mensium dicti duo rectores cum supra dictis eorum consiliariis eligere teneantur et debeant alios duos rectores et octo consiliarios servata forma et ordine supradictis. Et sic successive fieri et observari debeat in omnibus ut supra dictum est de sex mensibus in sex menses. Item quod quelibet persona undecunque sit et quocunque nomine censeatur quo pro tempore aliquo aceserit (sic) seu venerit ad standum sive habitandum in civitate Saone causa faciendi seu fieri faciendi dictam artem sive laborandi de dicta arte possit et valeat ipsam artem facere operari et exercere seu fieri laborari operari vel exerceri facere absque eo quod pro inde.....possit ad solvendum consulibus dicte artis pro intrando consulatum predictum ultra soldos sexaginta ianue monete Saone scilicet ab inde infra moderare possint arbitrio supradictorum rectorum et consiliariorum. Et quilibet ex predictis iurare teneatur corporaliter ad sancta dei cvangelia tactis scripturis observare formam presenti* statuti et stare parere et obedire mandatis rectorum et consiliariorum dicte artis factis et fiendis per ipsos rectores et consiliarios circa facta et negotia tangentia dictam artem et hoc antequam talis persona dictam artem in totum vel in partem facere op;rari vel exercere possit in dicta civitate Saone vel posse. Et si quo tempore oriri seu emergi con-tingeri questionem aliquam inter aliquos dicte artis occasione dicte artis seu rerum ad dictam artem qualitercunque spectantium, quod absit, quod Giorx. Ligustico. Anno XXI 302 GIORNALE LIGUSTICO tunc illi inter quos dicta questio oriretur teneantur et debeant rectoribus dicte artis dictam questionem notificare de presenti videlicet illa die vel saltem sequenti qua dicta questio inter eos orta fuerit ad hoc ut ipsa questio que mater discordie esse dignoscitur per ipsos rectores et consiliarios sedari possit et valeat. Qui vero rectores audita et intellecta causa questionis predicte et auditis dictis partibus et earum iuribus summarie in dies octo per se ipsos dictam questionem diffinire et determinare debeant inspecta sola veritate secundum veritatem et conscienciam ipsorum. Salvo quod si questio esset magni valoris et quantitatis tunc dicti rectores ad dicisionem ipsius ct diffinitionem ipsius asumere debeant consciliarios suos cum quorum conscilio et deliberatione dictam questionem finire et terminare debeant et teneantur. Quorum diffinitioni et sententie partes predicte stare parere obe-dire et acquiescere teneantur et debeant omni exceptione defensione et contradicione remotis. Et si forte questio esset talis que merito conscilium iuris postularet teneantur et debeant dicti rectores si per se ipsos diffinire non possent ex eo quod concordes non essent, habere recursum ad iudicem et vicarium comunis Saone ad civilia constitutum, cum cuius conscilio et deliberatione possint dictam questionem diffinire et terminare ut supra. A quorum sententia appellari non possint nec opponi de nullitate vel iniquitate nec etiam peti reduci ad arbitrium boni viri sed effectualiter per quemcumque magistratum Saone ad instantiam parcium vel alicuius earum exequatur et exequi debeat sive lata fuerit in scriptis sive non omne contradictione exceptione et deffensione remota. Et possint et valeant dicti rectores eorum auctoritate propria condempnare et multare quemlibet personam dicte artis venientem aut venire presumantem contra aliquem sententiam vel diffinitionem latam vel ferendam per dictos rectores in scriptis vel sine scriptis a soldis decem ianue usque in soldis centum ianue arbitrio dictorum rectorum in solidum aplicandis dicte arti. Et nichilominus sententia lata vel ferenda per eos valeat teneat et executioni mandetur ut supra. Et durante questione aliqua inter homines dicte artis occasionibus predictis vel altera earum non possit vel debeat per aliquem magistratum Saone ad instandam partium vel alterius earum fieri aliquod saximentum sequestratio vel interdictum de aliquibus rebus dicte artis seu ad dictam artem tangentibus quocunque modo vel aliquod impedimentum inferri propter quod ipse partes vel aliqua ex eis desinat laborare sed omnia remitant et remiti debeant ad rectores dicte artis qui in hac parte sint meri iudices competentes dictarum partium ac executores omnium premisorum. E,. si quis de dicta arte sui audatia vel superbia nisus fuerit vel atemptaverit coram aliquo alio magistratu quam coram suis rectoribus querelam vel GIORNALE LIGUSTICO 303 lamentationem aliquam facere de suo adversario dicte artis tunc et eo casu condempnetur pro inde a soldis viginti ianue usque in libris duabus ianue arbitrio dictorum rectorum inspecta qualitate et condicione persone et querele vel lamentationis facte aplicandis in solidum dicte arti. Item ad evic-tandum ne furta aliqua fieri vel commicti valeant seu possint in rebus vel de rebus aliquibus dicte artis statuerunt et ordinaverunt quod aliquis de dicta arte sive sit mercator sive laborator sive operarius dicte artis cuiuscunque conditionis seu nominis existât, non possit audeat vel présumât emere seu emi facere scaperonum alicuius lane filate vel non filate nisi prius denunciaverit et notum fecerit dictis rectoribus. Et si quis ex predictis contrafecerit condempnetur per rectores dicte artis a soldis quinque usque in libris quinque ianue arbitrio rectorum et consciliariorum dicte artis. Et nulla persona cuiuscunque conditionis existât sive sit de dicta arte sive non audeat vel présumât in civitate Saone vel posse emere vel emi facere aliquam quantitatem lane batute que [sit] minoris quantitatis in pondere rubi unius nec etiam super ipsa lana aliquid concedere vel prestare in se dictam lanam nomine pignoris retinendo, vel alio quocunque modo. Et si quis de dicta arte contrafecerit condempnetur et condempnari possit per rectores dicte artis a soldis quinque usque in soldos centum arbitrio dictorum rectorum et consciliariorum. Si vero contrafaciens non fuerit de dicta arte restituere teneatur dictam lanam illi cuius fuerit libere et expedite et ad id compellatur per magistratum Saone. Et ad hoc ut equalitas servetus inter mercatores ianuenses facientes seu fieri facientes dictam artem in civitate Ianue et mercatores dicte artis commorantes in civitate Saone in rebus et de rebus et super rebus spectantibus ad dictam artem, mercatores ianuenses dicte artis in civitate Saone taliter et eo modo et forma tractentur sicut mercatores Saonenses dicte artis tractantur et tractabuntur in civitate Ianue. Item statuerunt et ordinaverunt quod aliqua gabella dacita coleta exacio seu pedagium aliquod non possit nec etiam debeat per comune Saone vel alias quascunque personas imponi vel fieri in civitate Saone vel posse super aliquibus pannis vel lana laboratis in civitate Saone vel posse modo sive causa aliqua. Et ne fraus aliqua comitti possit in dicta arte per aliquam personam dicte artis sive sit mercator sive sit laborator quocunque nomine appelletur statuerunt et ordinaverunt quod aliqua persona dicte artis non possit valeat nec debeat aliqua causa vel ingenio facere vel fieri facere laborare vel lvborari facere textere seu texti facere batere seu bati facere tingere seu tingi facere pillum seu pillos trichi sive capre (?) nec etiam con-delam aliquam pelipariorum mlsclatos seu misclatam cura aliqua alia lana cuiuscunque generis seu conditionis existât. Et si quis contrafecerit in GIORNALE LIGUSTICO predictis vel aliquo predictorum condempnetur et condempnari debeat per rectores dicte artis a libris quinque usque in libris decem Ianue arbitrio rectorum et consiliorum dicte artis. Et ultra quod talis lana sive pannus factus ex ea comburatur de presenti in platea magna erbarum comunis Saone in odium et preiuditium illius qui proinde delinquerit tamquam rem falsatam ad hoc ut delinquenti et ceteris redat in exemplum defensione et exceptione aliqua non ammissa. Et si ad manus alicuius de dicta arte pervenerit aliqua quantitas dicte lane misclate et prohibite ut supra teneatur incontinenti illam talem lanam denuntiare et notificare rectoribus dicte artis infra dies duos proxime incoandos postquam ad manus ipsorum vel alicuius eorum dicta lana pervenerit. Et si quis contrafecerit condempnetur pro inde a soldis decem usque iii soldis viginti janue pro quolibet coutraiaciente et qualibet vice arbitrio dictorum rectorum. Item statuerunt et ordinaverunt quod aliquis mercator dicte artis non possit nec debeat factre nec fieri facere in civitate Saone vel posse aliquem pannum ad largum videlicet qui laboretur per duos homines et cum duabus spolis qui sit minoris numeri centanariorum duodecim de quo non fiat saya. Et si fieret saya videlicet pannus qui vocatur saya qui sit minoris numeri centanariorum quatuordecim salvo de pannis albaxiis (i). Et si quis contrafecerit condempnetur a soldis viginti usque in soldis quadraginta janue arbitrio dictorum rectorum pro quolibet panno incepto seu facto. Et nulla persona forensis que non sit civis Saone valeat vel possit ad civitatem Saone vel posse causa vendendi in Saona vel posse aportari vel aportari facere pannos qui dicuntur saya qui sint de minori numero centanariorum quatuordecim. De dictis vero pannis dicti numeri vel maioris quicunque deportare voluerit valeat defierre. Et non de minori numero. Et si quis contralecerit in predictis condempnetur pro inde in soldis viginti janue pro qualibet pena delata ut supra contra formam presentis statuti. Et nullus textor comprehensus in presenti statuto possit nec etiam debeat texere aliquem pannum ad largum eo modo quo dictum est supra qui sit minoris numeri centanariorum duodecim, et sa\ e minoris numeri centanariorum quatuordecim. Et si quis contrafecerit condempnetur pro inde a soldis decem usque in soldis viginti pro quolibet et qualibet vice. Exceptis albinxiis qui impune texti possint non obstantibus supradictis. Item ad publicam et evidentem utilitatem civitatis Saone statuerunt et ordinaverunt quod quilibet mercator dicte artis seu laborator quocunque nomine appelletur qui pro tempore aliquo veniet ad standum in civitate Saone causa exercendi et laborandi de dicta arte possit valeat (i) Più sotto è detto albinxiis, panno « albagio ». GIORNALE LIGUSTICO 3°) atque debeat gaudere beneficio presentis Statati. Et ad obviandum malici is illorum qui fraudem comitere vellent in dieta arte statuerunt et ordinaverunt quod rector mercatorum cum ea societate decenti illorum de dicta arte quem voluerit teneatur et debeat ire tam de die quam de nocte quando et prout sibi utilius videbitur ad inquirendum tam in apothecis et domibus quam aliis locis in quibus sciverint quod de dicta arte laboretur si per aliquem de dicta arte fieret contra statuta seu aliquod statutorum contentorum in presenti capitulo. Et si quis prohibetur ne dictus rector et alii qui secum essent occasione antedicta intrarent dictam apothecam seu locum aliquem eo casu quo supra dictum est, claudendo ostium vel aliter impediendo sive contraiaciendo in predictis condempnetur et condempnari possit per rectores dicte artis in solidos decem janue pro quolibet contrafaciente et qualibet vice. Item statuerunt et ordinaverunt quod si et quando aliquis mercator dicte artis faceret fieri aliquam tellam panni sive pannum aliquem et casus contingeret quod deficeret ei lana in texitura pro complemento dicti panni quod tunc et eo casu possit ponere et texere de alia lana usque ad complementum dicti panni dum tamen ille mercator faciat texi et fieri in medio dictarum duarum lanarum aliqu.im virgulam sive signum aliquod propter quod evidenter appareat et clare additio alterius lane addite. Et si quis contrafecerit condempnetur in libris tribus janue pro quolibet et qualibet vice aplicandis comuni Saone pro medietate et arti predicte pro alia medietate. Item statuerunt et ordinaverunt quod aliquis de dicta arte quocunque nomine censeatur non possit nec debeat emere seu emi facere lanam aliquam seu quantitatem alicuius lane cuiuscunque generis sit et quocunque nomine appelletur nisi prius vissa et tarezata fuerit per tarezatores comunis Saone, et non per aliquam aliam personam. Qui tarezatores eligantur et eligi debeant pro parte dicte artis per rectores et consiliarios dicte artis. Qui tarezatores electi per rectores et consiliarios dicte artis jurare teneantur et debeant in manibus potestatis Saone ac ydonee satisdare de libris quinquaginta janue pro quolibet eorum de faciendo officium bene legaliter bona fide et sine fraude. Et medietas omnium condempnacionum predictarum et infrascripta-rum aplicetur operi moduli portus Saone et alia medietas dicte artis. Et quod dictum est supra de tarezatoribus intelligatur quod per dictos rectores et consciliarios dicte artis eligantur et constituantur du-) boni et experti viri dicte artis. Et alii duo cives qui non sint de dicta arte probi et experti in premissis et infrascriptis, eligantur pro parte comunis tempore quo alii of-fitiales comunis Saone eligi debebunt quorum officium duret per annum unum tantum. Et ad hoc ut cauptius et diligentius possit officium dictorum tarezatorum fieri et explicari in tarezando lanam servetur et servari debeat 306 GIORNALE LIGUSTICO ordo et forma infrascripta per eosdem videlicet quod quando venditio fiet de lana si erit in quantitate que quantitas magna sit quod tunc debeant de quantitate ligatiarum sive bisaciarum si dicta lana que vendetur et tarezari debebit erit in bisaciis sive ligaciis, cerni per emptorem sive emptores duo ex dictis ligaciis sive bisaciis de dicto numero sive quantitatis pro parte emptoris et duo pro parte venditoris. Et lana tota que in dictis bisaciis sive ligaciis reperiri contingerit tunc per ipsos tarezatores diligenter extrahi et videri debeat. Et omnes stercus sive contratullas que in dicta lana reperirentur ..... abscindi debeant mediantibus forbicis sive tezoriis aptis ad dictum oppus dicte lane. Et similiter lanam sanguinolentam et sugulen-tam similiter. Et postea aperte hoc facto subsequenti dicta lana inasixione facta ut dictum est supra debeat per ipsos tarezatores scolari ad hoc ut ab ipsa dicte immunditie tam contratullarum quam stercorum sanguinis et sudoris possint ab ea separari et cedi. Et hoc complecto debeant ponderari dicti tarezatores dictas contratulas stercos et alias immunditias separatas ab alia lana nitida et secundum quod reperiretur tara in dictis ligatiis sic consitis et taratis debeat fieri tara alterius quantitatis ad eandem rationem pro rata perinde ac si de omnibus et singulis dictis bisaciis ligaciis vel sachis factum fuisset simile asazium sive cercha vel probatio. Et si forte lana predica erit in parva quantitate id quod supra dictum est de quatuor ligaciis sive bisaciis fieri debeat servata forma qua supra de una vel duabus bisaciis ligaciis vel sachis. Et quod dictum est supra de bisaciis intelligatur et fieri debeat in omnibus et per omnia ut supra dictum est de sachis , si lana esset in sachis et de ligaciis si lana esset in ligaciis. Et similiter intelligatur de faiciis bodronorum. Et predicta omnia observari et fieri debeant ad hoc ut deinceps perpetuo tolatur omnis materia discordie et altercationis que emergere possint tam inter emptores et venditores quam etiam ad omnem maliciam ac etiam impericiam tarezatorum predictorum tolendam et evitandam. Ita tamen quod aliquis censarius (i) exercens offitium cen-sarie non possit esse tarezator lanarum. Et habeant et percipiant habere et percipere possint et valeant dicti tarezatores lane pro eorum mercede et labore tam ab emptore quam a venditore pro qualibet ligatia lane denarios tres a quolibet venditore et emptore. Et de quolibet sacho lane de provintia de cantariis tribus usque in quatuor denarios a venditore et totidem ab emptore et non ultra. Et de quolibet sacho lane barbares de cantariis tribus usque in quatuor illud idem. Et de quolibet fascio bodronorum denarios quatuor a venditore et totidem ab emptore. Et si forte emptor et venditor (i) Sensale. GIORNALE LIGUSTICO concordes fuerint sine tarezatoribus quod tunc ipsi tarezatores proinde nichil habeant pro dicta talla ita et taliter quod dicta talla solummodo fiat ad requisitionem partium vel alterius earum. Et solus rector mercatorum dicte artis per se ipsum cum suis consiliariis possit et valleat omnes condempna-tiones et multas facere et exigere in hiis de hiis et super hiis que orirentur occasione contentorum in presenti statuto. Et valeant et teneant per inde ac si omnis alius rector et consciliarii présentes forent. Et omnia statuta ordinamenta capitula et decreta que fient et ordinabuntur inter et per rectores et consciliarios dicte artis occasione dicte artis et dependentium emergentium incidentium et conexorum ab eadem valeant et teneant et per ipsos rectores et consiliarios exegi et executioni mandari possint per inde ac si de eis et quolibet eorum in presenti statuto spetialis mentio et expressa haberetur, dummodo non sint vel fiant contra formam presentis statuti et aliorum statutorum dicte civitatis. Et nulla persona cuiuscunque conditionis existât audeat vel présumât lavare pillos bovinos in aliqua parte fossatorum comunis Saone sub pena soldorum viginti Ianue pro qualibet persona contrafaciente et quolibet vice et quilibet possit accusare et credatur acusationi eius iuramento si fuerit homo bone fame, et habeat medietatem condempnacionis. Et potestas civitatis Saone vinculo iuramenti teneatur et debeat defendere et manutenere artem hanc predictam et omnes lanerios tam mercatores quam alias personas dictam artem exercentes in civitate Saone et posse. Tali modo quod dicti mercatores lane-riorum exercentes dictam artem libere ad eorum liberam voluntatem exercere valeant iuxta et secundum formam presentis statuti et aliorum que fierent per comune Saone. Et non possit audeat vel présumât potestas Saone vel aliquis alius magistratus dicte civitatis procedere contra aliquam personam artis laneriorum occasione alicuius sententie banni vel alterius cuiuscunque forestationis late vel que de cetero fererentur per magistratum civitatis Ianue ex eo quod ipsa persona exercens dictam artem stet et habitet in civitate Saone et posse et dictam artem exerceat contra voluntatem et mandata illorum de Ianua. Et si potestas Saone vel alius magistratus dicte civitatis in aliquo de predictis contrafecerit sindi-cetur et sindicari debeat per comune Saone in libris ducentis Ianue pro quolibet et qualibet vice et ultra desinat esse potestas, et pronuntietur periurius in publico parlamento per potestatem sequentem infra mensem unum post introitum sui regiminis. Et cartulariis mercatorum dicte artis lane fides adhibeatur per magistratum Saone contra quascunque personas laborantes de dicta arte et exequentur ipsa cartularia usque in quantitatem soldorum viginti Ianue. Et rectores dicte artis possint punire et con- 3oS GIORNALE LIGUSTICO dempnare personas quascunque dicte artis contrafacientes usque in quantitatibus ordinatis vel ordinandis per eos et eorum consiliarios nulla in contrarium exceptione vel deffensione admissa. Et aliqua persona de dicta arte faciens vel fabricans pannum aliquem qui vocetur scarlatina non audeat vel présumât aliquem pannum vocatum scarlatina facere seu iieri facere in dicta civitate Saone vel posse nisi fuerit ad minus de centanariis quatuordecim. Et si quis contrafecerit condempnetur pro quolibet et qualibet vice in soldis viginti janue quorum medietas sit comunis et alia medietas dicte artis. Et si aliqua persona cuiuscunque conditionis existât emerit in civitate Saone vel posse aliquam quantitatem lane que sit ultra ligatias decem vel ultra sachos sex magnos teneatur vigore presentis statuti de illa quantitate excedenti numerum sexdecim si inde fuerit requisita de ipsa quantitate lane sic empta consentire hominibus dicte artis artem predictam exercentibus in civitate Saone et posse usque in tertiam partem pro illo pretio dumtaxat quod constiterint re vera secundum lucro aliquo. Et predicta locum habeant si tallis requisitio facta fuerit ante quam dicta lana fuerit ponderata et consignata dicto emptori et si ille qui postulaverit sibi consentiri solvere voluerit pretium ipsius lane in pecunia numerata vel de solvendo cum venditores lane fuerint in concordia. Et etiam si dictam lanam laborare voluerit in civitate Saone vel posse quod aliter de ipsa lana emptor consentire non teneatur non obstantibus supradictis. Et aliquis lanerius mercator vel ipsam artem exercens non audeat vel présumât modo aliquo vel ingenio folare vel folari facere nec etiam ad folam portare mitere portari seu miti facere pannum aliquem folandum qui non sit signatus signo proprio publico et consueto dicti folari facere volentis. Ex eo quod talis pannus semper cognoscatur cuius fuerit et si quis eorum contrafecerit condempnetur per rectores dicte artis pro quolibet et qualibet vice in solidis viginti janue aplicandis pro dimidia comuni Saone et pro alia dimidia ipse arti. Et nulla persona que stet vel habitet in civitate Saone vel suburbiis audeat vel présumât filari facere aliquam lanam cuiuscunque conditionis existât in civitate Saone vel pòsse sub pena amissionis dicte lane et ultra condempnetur ipso iure per magistratum Saonensem in soldis centum Ianue aplicandis in solidum operi moduli portus Saone. GIORNALE LIGUSTICO DOCUMENTO III. 1404. DE IURAMENTO DRAPERIORUM (1). Teneatur potestas Saone in principio sui regiminis videlicet priusquam banchum iuris ascendat seu curiam in civilibus regere incipiat deferre corporaliter iuramentum omnibus et singulis draperis seu pannos lane cuiuslibet spetiei vendentibus et qui vendent de cetero in civitate Saone ad reta^ium vel minutum, quod intelligatur minus una petia integra vel dimidia illarum que dimidie aducuntur de foris, vendiderit alicui quod ipsi vel eorum aliquis non vendent in eorum vel alicuius ipsorum apotecis domibus vel alibi in civitate vel districtu Saone aliquem pannun lombardum januensem Saonen-sem florentinum vel de patria octinana, vel aliquam partem seu particulam ipsius pro panno galico anglico vel de frandria barvancia vel normania seu de quocunque loco alio ultra montes vel etiam unum pannum vel de uno panno pro alio seu vendi patientur facient vel permittent. Et quod ipsi et vendentes pro eis quicunque bona fide et sine fraude dicent et denuntiabunt quibuslibet pannum vel pannos emere volenti vel volentibus ab eis vel eorum aliquo cuius spetiei est vel erit pannus quem vel eius partem seu particulam aliquam illa persona emere voluerit sive in quo loco seu in qua patria textus fuerit dictus pannus non celiando in aliquo veritatem. Et quod ipsi draperii et vendentes vel vendens pro eis pannos vendendos seu qui vendentur et mensurabuntur ementibus per cimoxiam seu liseram ut moris est mensurabunt ad canam palmorum novem iustam stanciatam et marcha-tam iusto marcho comunis Saone dando uniquique emptori iustam mensuram panni quem emerit bona fide et sine fraude et ultra quoslibet palmos novem sive unam cannam dabunt de ipso eodem panno gratis et sine aliquo precio computando tres quartas partes alterius palmi pro avantagio cimature quod preisa lingua materna nostrati vocatur et ab inde infra ad eandem rationem pro rata. Et si forte emptor aliquis emere voluerit ab eisdem vel eorum aliquo ad mensuram totam peciam alicuius panni teneatur quicunque draperius a quo talis pannus emptus fuerit deducere et difalcare de precio venditionis talis panni duos palmos iustos de canna scilicet unum de (1) Statuta politica et civilia, C. LXXI. 3 io GIORNALE LIGUSTICO utroque capite petie integre mensurando a parte breviori dicti panni gratis et sine aliquo precio exigendo et similiter gratis difalcetur et deducatur ex precio venditionis cuiuscumque partis seu particule panni empti in qua sit aliquid ex dictis capitibus petie unus palmus mensurandus a parte breviori ut supra pro cuius palmi precio aliquis emptor nihil solvere teneatur vendenti. Si quis autem contrafecerit in predictis vel eorum aliquo condanetur per magistratum Saone in soldis quadraginta quotiescumque contrafactum fuerit quorum medietas sit comunis et alia acusatori cui acusatori super inde credi debeat si homo fuerit bone fame. Et nullus ex vendentibus de dictis pannis ad retagium ut supra a panno quem vendet seu vendere voluerit aufferre cerras a capitibus dicti panni donec primus cavus et ultimus vendita fuerint. Sub pena periurii et librarum decem monete Saone applicanda pro dimidia accusatori et pro reliqua comuni. Declarantes quod ministrales comunis Saone ex eorum officio possint perquirere et investigare si aliquis ipsorum vendentium ut supra in his contrafecerit et ipsos inVentos contra-facere seu contrafecisse punire et condannare secundum formam presentis capituli et in penis superius expressatis. DOCUMENTO IV. 1404. DE LANIFICIO SEU ARTE LANE (1). Considerantes lanificium esse illud per quod et cuius exercitio civitas Saone a diu pestibus epidemie pro ho dolor diminuta facilius replebitur habitatoribus et citius ex ea eiusdem civibus et incolis perveniet incrementum, statuerunt quod ad finem ut lanificium seu ars lane que in civitate presenti dietim proficere incipit et augetur domino largiente ibi manuteneri valeat longis temporibus et de bono in melius augmentari et sub debitis forma et ordine regulari homines operantes et operari fatientes artem huiusmodi tam mercatores quam magistri ac etiam batitores carzatores tonditores textores tin-tores et quicunque alii in posterum ad opus artis predicte singulis sex mensibus in futurum teneantur et debeant habere duos consules bonos viros, qui consules elligi debeant per dominos antianos civitatis Saone, qui domini antiani ipsos teneantur et debeant elligere singulis sex mensibus unum (1) Statuta civilia et politica C.. LXXV. GIORNALE LIGUSTICO 3 1 1 videlicet qui sit mercator pannorum dicte artis et alium de dicta arte de magis ydoneis et sufficientibus ex illis qui ipsis dominis antianis traditi fuerint inscriptis per consules veteres seu precessores novorum consulum elligendorum. Qui consules veteres seu precessores novorum consulum teneantur et debeant portare et tradere in scriptis dictis dominis antianis nomina et prenomina illorum hominum dicte artis tam de mercatoribus quam de aliis dicte artis qui sint sufRtientes ad dictum consulatum exercendum. Ex quibus seu de quibus hominibus sic ut supra inscriptis traditis ipsis dominis antianis per dictos consules veteres ipsi domini antiani debeant et teneantur novos consules dicte artis elligere supradictos. Et illi qui per dictos dominos antianos ex illis qui ipsis dominis antianis traditi fuerint in scriptis ut supra ellecti fuerint sint et appellentur consules dicte artis. Et inter se operantes et operari facientes artem huiusmodi ut supra elligere teneantur octo consiliarios quatuor silicei de numero mercatorum et quatuor de laboratorilAis dicte artis quos suffitientiores ad hoc cognoverint, quorum duorum consulum seu rectorum et octo consiliariorum auctoritate et deliberatione provideantur et exequantur universa que dicte arti tractanda consulenda et explicanda fuerint et que tangent quomodolibet ipsam artem. Et quicunque ad huiusmodi rectoratum ellectus fuerit modo predicto illud recusare non valeat ymo cogatur acceptare et iurare corporaliter ad sancta dei evangelia in manibus dictorum dominorum antianorum sive alterius ex cancelariis comunis Saone videlicet ipsi consules dicta eorum officia bene et legaliter exercere remotis odio amore timore pretio et precibus ad bonum et utilitatem rei publice civitatis Saone et eorum artis predicte et personarum eiusdem. Et quorum offitium duret sex mensibus et non ultra et sic perpetuo et vicissim successive de sex in sex mensibus fieri debeat et observari. Et quotiescunque oriri contingent questionem aliquam vel differentiam inter aliquos homines vel personas artis predicte occasione aliquorum pertinentium artem ipsam teneantur partes inter quas questio vel differentia proinde orta fuerit notificare rectoribus supradictis eadem die qua questio vel differentia orta fuerit inter ipsas vel saltem die proxime sequenti, qui rectores seu consules confestim auditis rationibus partium teneantur summarie et de plano infra dies octo proxime tunc sequentes per se ipsos sedare et determinare in eorum animos et consciencias et sola facti veritate inspecta questiones et differentias supradictas dummodo dicte differende sive questiones non fuerint sive sint maioris quantitatis sive maioris summe soldorum quadraginta inclusive monete Saone. Et si quantitas (i) propter quam esset (i) ms. ha « quantitates ». GIORNALE LIGUSTICO dicta questio foret magna vel grandis ponderis tunc ad huiusmodi decisionem et terminationem assumere teneatur dominos magistros rationales civitatis Saone cum quorum consilio et parcecipatione terminare teneantur huiusmodi questiones quorum terminationi et diffinitioni utraque partium parere stare et acquiescere teneantur omni deffensione et contraditione remotis. A quorum sententia vel sententiis appellari non possit vel de nulli-tate seu iniquitate opponi vel aliter querelari sed omnino exequi debeat cum effectu per quemcunque magistratum civitatis Saone ad instanciam partis in cuius favorem lacta fuerit et secundum quod lacta fuerit in scriptis vel sine scriptis omni deffensione sublata. Et si aliqua dictarum partium opponere vel venire presumpserit contra huiusmodi terminationes vel definitiones lactas oretenus vel in scriptis per rectores predictos possint ipsi rectores et consules contrafacientem et contra-facientes huiusmodi condannare et multare in soldis decem usque in centum eorum arbitrio applicandis in solidum benefitio artis predicte. ’Ractis nichi-lominus manentibus declarationibus seu diffinitionibus lactis per ipsos. Et pendente questione aliqua inter quoslibet homines dicte artis pro rebus tantummodo spectantibus ad artem predictam, non possit potestas vel aliquis magistratus civitatis Saone ad instantiam alicuius ipsarum partium facere vel fieri facere saximentum interdictum vel sequestrum aliquod de aliquibus ad artem ipsam spectantibus quovismodo vel aliud impedimentum quodcunque quominus ipse partes vel earum altera supersedeat vel desinat laborare vel impediatur operari suum ministerium in arte predicta sed omnia contingentia remitantur ad consules predictos qui soli et solum sint et esse debeant meri judices competentes inter personas dicte artis contendentes pro aliquo et executores omnium predictorum. Et si quis operans vel operari fatiens in arte predicta presumpserit coram quocumque alio magistratu Saone preterquam coram eorum consulibus supradictis querellam vel lamentationem aliquam facere vel ponere adversus aliquem de arte predicta condannetur per supradictos consules a soldis viginti in quadraginta eorum arbitrio inspecta conditione persone et qualitate querelle vel lamentationis applicandis in solidum dicte arti. Et quecunque persona undecunque sit veniens ad civitatem Saone causa fatiendi seu fieri fatiendi artem predictam vel laborandi in ipsa illud possit facere exercere fieri et operari facere ac laborare impune et pro sui libito voluntatis nec possit aliquis pro inde gravari ad solvendum arti predicte pro introito vel consulatu plusquam soldos sexaginta monete Saone et ab inde infra secundum quod moderaverint eorum arbitrio consules et consiliarii supradicti. Et unusquisque volens laborare seu laborari facere in arte predicta iurare teneatur corporaliter tangendo scripturas in GIORNALE LIGUSTICO 313 manibus consulum artis predicte observare formam statuti presentis ac stare parere et obedire mandatis eis factis et fiendis per dictos consules et consiliarios circa tangentia ipsam artem hoc priusquam se de dicte artis exercitio quomodolibet intromitat. Ad evitandum fraudes et furta que interdum comitti solent et fieri per laboratores aliquos de rebus et in rebus artis predicte prohibendo statuerunt et vetaverunt quod aliquis de dicta arte sive mercator sive laborator sive alius operarius dicte artis cuiuscunque nominis seu conditionis existât non possit audeat vel présumât emere seu aliter aquirere per se vel alium seu alios scaparronum seu particulam alicuius bone filate vel non filate sine espressa licentia consulum artis predicte. Et si quis contrafecerit condanetur per ipsos consules a soldis quinque usque in centum eorum arbitrio et illorum de consilio dicte artis, non possit etiam vel présumât quecunque persona exercens artem predictam emere vel aliter acquirere per se vel alium seu alios in civitate vel districtu Saone’quantitatem aliquam lane batute que ponderet minus vigin-tiquinque libris nec super tali parva quantitate aliquid mutuare vel retinere nomine pignoris quovismodo. Et si quis ex hominibus dicte artis contrarium presumpserit actentare vel facere condannetur et condannar! valeat per consules predictos a soldis quinque usque in centum eorum arbitrio ut supra. Si vero de dicta arte non fuerit teneatur lanam illam gratis et sine alicuius restitutione pretii vel pecunie mutuate restituire illi qui sibi vendiderit vel pignoraverit dictam lanam. Et ad id precise compellatur per magistratum Saone. Ad fraudes insuper evitandas que committuntur interdum tam per mercatores quam per operarios dicte artis prohibendo etiam statuerunt quod aliqua persona de rectoria seu consulatu artis predicte non possit audeat vel présumât aliqua via ingenio sive modo facere laborare fieri vel laborari texere vel texi batere vel bati tingere vel tingi facere quovismodo pillum seu pillos irci vel capre nec etiam tondellam aliquam pellipariorum mixtum mixtos vel mixta cum aliqua alia lana cuiuscunque speciei vel conditionis existât. Et si quis contrafecerit in aliquo de contentis in § presenti condannetur et condannari debeat per consules predictos a libris quinque usque in decem eorum arbitrio et consiliariorum suorum et ultra hoc talis lana sive pannus ex ea textus vel factus cremari debeat in platea secus putheum qui est ante palatium comunis Saone in dampnum et obprobrium committentis ut supra tamquam lanam vel pannum falsificatum omni deflensione sublata ad hoc ut sibi et ceteris talia committendi transiat in exemplum. Si autem aliqua quantitas lane mixte cum aliquo de predictis pervenerit ad manus alicuius de arte predicta teneatur illam notificare et hostendere infra dies tres proxime sequentes consulibus dicte artis. Et si quis contra- GIORNALE LIGUSTICO fecerit tacendo vel occupando condannetur a soldis decem usque in viginti quotiescunque contrafactum fuerit arbitrio dictorum consulum. Et ad preci-dendam materiam malignandi statuerunt quod rector sive consul mercatorum cum societate hominum dicte artis quanta voluerit possit et debeat ac etiam teneatur ire tam de die quam de nocte quotiescunque et quando sibi videbitur et placuerit ad querendum et investigandum tam in domibus quam in apotecis et aliis locis quibuslibet in quibus sciverit aliquid operari de arte lane predicta et videndum si aliquis faceret vel committeret contra formam statuti presentis vel aliquorum contentorum in ipso prohibitione alicuius non obstante. Et si quis forsan prohibere presumet ne dictus rector et alii qui secum erunt dicta occasione ingrediatur domum apothecam vel locum alium de predictis claudendo hostium vel aliter impediendo sive contrafaciendo predictis condanetur per eosdem consules in soldis decem quotiescunque fuerit contrafactum. Si aliquis mercator artis predicte fatiet vel fieri fatiet pannum aliquem sive tellam alicuius panni et in texture illius forsitan lana uniforis (sic) ei deficeret ad perfitiendum pannum huiusmodi possit et sibi liceat supplere et texere de alia lana etiam dissimili usque ad complementum longitudinis dicti panni, dum tamen inter primam lanam et secundam super additam faciat texi aliquam virgulam sive signum aliquod propterquam vel quod discerni possit et clare videri difformitas seu differentia lanarum ipsarum ex quibus textus fuerit taliter pannus. Et si quis contrarium fecerit condanetur per predictos consules quotiuscunque contrafecerit in soldis sexaginta applicandis pro dimidia comuni Saone et pro reliqua arti predicte. Non possit mercator aliquis vel alius operarius dicte artis facere vel fieri facere in civitate vel districtu Saone aliquem pannum ad larghum videlicet in quo laborent duo homines et cum duabus spolys qui sit minoris numeri centanariorum duodecim. Intelligendo de pannis et non de says. Si autem faceret vel fieri faceret pannum vel pannos qui saye vulgariter appellantur non possit esse minoris numeri quam centanariorum quatuordecim exceptis pannis albaxiis. Panni autem qui vocantur scharlatine non possint fieri in civitate Saone vel districtu minoris numeri quam centanariorum quatuordecim sicut et saye. Et si quis minoris numeri quam predicti pannum scharlatinam vel sayam faceret aut fieri fecerit condannetur pro unoquoque panno scharlatina vel saya huiusmodi facto vel incepto a soldis viginti usque in quadraginta arbitrio consulum predictorum. Et similiter nulla persona forensis et que non sit civis Saone possit vel présumât portare vel portari facere ad civitatem vel districtum Saone causa ibi vendendi vel vendi fatiendi aliquem vel aliquos pannum vel pannos qui saye vulgariter appellantur qui sint de minori numero centenariorum GIORNALE LIGUSTICO 3 1 5 quatuordecim sub pena soldorum viginti pro unaquaque petia minoris numeri apportata contra prohibitionem presentem. Eiusdem vero numeri vel maioris impune defferre valeat vel vendere pro libito voluntatis. Unusquisque mercator et etiam laborator seu qualitercumque operarius dicte artis qui in civitate vel districtu Saone operabitur vel operari fatiet in civitate Saone vel districtu quantumcunque fuerit extraneus vel forensis gaudere possit et debeat benefitio statuti presentis et omnium et singulorum contentorum in eo. Et comune Saone vel aliquis offitialis eiusdem deputatus vel deputandus in posterum non possit seu valeat quovismodo imponere exigere vel colligere dirrecte vel indirrecte aliquam gabellam dacitam collectam pedagium vel exactionem aliquam super aliqua quantitate lane vel pannis aliquibus laboratis textis vel factis seu flendis in civitate vel districtu Saone. Et ad hoc ut equalitas servetur inter mercatores Ianuenses fatientes seu fieri fa-tientes dictam artem in civitate vel suburbiis Ianue et mercatores dicte artis commorantes in civitate Saone in de pro vel super rebus spectantibus ad artem lane predictam statuerunt quod mercatores januenses huiusmodi tractentur et tractari debeant in civitate Saone taliter et eo modo et forma qualiter et quibus mercatores Saone dicte artis vel habitantes in Saona tractantur et tractabuntur in civitate Ianue supradicta. Et quecunque persona civis vel extranea que in civitate Saone vel posse emerit quantitatem lane vel lanarum que excedat decem ligatias vel sex magnos sachos teneatur vigore presentis statuti de illa quantitate excedenti numerum predictum empta per ipsum si pro inde requisita fuerit hominibus dicte artis ipsam exercentibus et pro laborando eas in civitate vel districtu Saone usque in tertiam partem illius quantitatis .... tire et vendere pro eodem pretio quo dictas lanas emerit si requirens vel.....pretium ipsius dicte persone que illas emerit solvere voluerit cum effectu in pecunia numerata vel de solvendo concors fuerit aliter cum illo cuius fuerint dicte lane. Item statuerunt quod aliquis ad opus artis predicte emens vel qui emerit quantitatem aliquam lanarum cuiuscunque spetiei existât non possit vel présumât ante vel postquam ponderate fuerint levare seu levari facere de domo volta ma-gazeno vel apotheca illius qui lanas ipsas sibi vendiderit nisi prius vise et tarezate fuerint per tarezatores comunis Saone ad hoc deputatos vel deputandos et non per alium vel alios quem vel quoscunque. Qui tarezatores elligi debeant annuatim per octo vel decem dies ante kalendas februarii per ellectores quibus sors obvenerit elligendi ceteros offitiales Comunis Saone duo videlicet cives dicte civitatis probi et experti ad hoc qui tantum vel aliquis eorum non sit de arte predicta nec sit etiam censarius vel prosoneta. Et alii duo elligantur per consules et consiliarios eiusdem artis qui sint de 3i6 GIORNALE LIGUSTICO arte predicta quorum officium durare debeat uno anno dumtaxat. Qui tarezatores postquam ellecti fuerint ut prefertur iurare teneantur in manibus potestatis Saone et unusquisque ipsorum ydonee satisdare de libris quinquaginta de dicto eorum offitiobona fide et sine fraude bene et legaliter exercendo. Et ad tollendam altercandi materiam et discordiarum que faciliter inter emptores et venditores lanarum oriri possent, ad vitandam etiam malitiam dolum et imperitiam tarezatorum huiusmodi debeat modus et forma de quibus dicetur inferius in tarezando lanas emptas ut venditas observari precisse quod quando et quotiescunque facta fuerit aliqua venditio lanarum in grandi quantitate si lane huiusmodi vendite erunt in bisatiis vel ligatiis vel etiam in sachis elligi et seperari debeant duo sachi ligatie vel bisatie ex tota ipsa quantitate pro parte emptoris et duo alii pro parte venditoris earum ab aliis ligaciis bisaciis sive sachis. Et ipsi quatuor sachi seu dicte quatuor bisatie vel ligatie disolvi et vacuari debeant per tarezatores predictos et dilligenter videri et examinari. Et cum forpicibus aptis ad hoc de veleribus lanarum predictarum rescindi et aufferri debeant omnia stercora et omnes scapule que in dictis lanis reperientur et similiter lana sanguinolenta ,et succida seu sugollenta et ab alia nitida segregari, que lane restande nitide per eosdem tarezatores excuti debeant seu scorlari ut immonditie huiusmodi si que in ipsis remanscerint cadere possint et separari ab eis. Quo facto gratule et stercora succidum et sanguinolentum tonsum et ablatum ab eis ut premittitur ponderari debeant separatim ab aliis. Et secundum quod reperitur earum pondus tantum quod tara ipsarum quatuor bizatiarum ligatiarum videlicet sachorum minui et deduci pro tara debeat de tanto eorum pondere quo primitus ponderabant. Et ad eadem (sic) rationem pro rata diffalcari debeat pro singulis mi°r sachis ligatiis vel bisatiis totius restantis numeri sachorum ligatiarum vel bisatiarum lanarum predictarum venditarum ligatiis et habeatur inde ac si modo quo supra dictum est tota ipsa lanarum quantitas ut premittitur ellecta incissa et excusa seu tarezata fuisset. Et si quantitas lanarum huiusmodi vendita esset non magne quantitatis eodem modo fieri et tarezari debeat de uno vel duabus ligatiis vel bisacns sive sachis si in sachis erunt lane predicte. Et idem fieri debeat de sa\ s venditis boldronorum, fieri debeat ad instantiam emptoris %cl \enditoris eorum vel alterius ipsorum, si vero emptor et venditor eorum super tara insimul essent concordes tunc impune illas extrahere et exportari facere valeat de loco in quo venditor ipsas habeat absque alia tara iatienda pro inde. Nec eo casu teneatur tarezatoribus supradictis quicquam soKere pro tara lanarum venditarum vel bodronorum super quibus ad inviccm forent concordes. Et habeant et habere et percipere possint et valeant ipsi tare GIORNALE LIGUSTICO 3*7 zatores lanarum pro ipsorum mercede laboris tam ab emptore quam a venditore ipsarum de unoquoqne sacho lanarum 'anglie tarezato per ipsos effectualiter vel ut supra denarios tres pro unoquoque cantanario et de uno quoque sacho lanarum catalonie vel barbarie ponderis a tribus in quatuor cantarla denarios tres pro cantario ut supra ab emptore et totidem a venditore. Et de unoquoque sacho lanarum provincie ponderis trium in quatuQr cantarla ab utroque emptoris et venditoris predictis denarios tres pro cantario ut supra. Et de unaquaque ligacia vel bisatia denarios tres tantummodo ab utroque. Et de unoquoque fascio boldronorum denarios quatuor a venditore et totidem ab emptore. Et panni quicunque adducti undecunque ad civitatem Saone possint in ea tingi quocunque colore dominus eorum voluerit libere et impune, possint etiam fatientes aut fieri fatientes pannum in civitate Saone vel posse tam cives quam extranei mittere per eorum famulos vel famulas lanam preparatam seu stamen ad nendum seu filandum vel filari fatiendum quocunque voluerint tam in civitate et districtu Saone quam extra et ad illa etiam a fillatoribus vel fillatricibus recipiendum non obstante contraria consuetudine vel ordine dicte artis in contrarium observata quibus per presens capitulum specialiter derrogetur. Et nulla persona stans vel habitans in civitate vel suburbiis Ianue audeat vel présumât filari facere aliquam lanam cuiuscunque conditionis existât in civitate vel districtu Saone sub pena soldorum centum applicandorum in solidum operi portus civitatis Saone et amissionis totius dicte lane. Non possit vel présumât aliqua persona cuiuscunque conditionis existât lavare vel lavari facere pillos boyinos in aliqua parte fossatorum comunis Saone sub pena soldorum viginti ab unoquoque contrafaciente vice qualibet auferenda. Cuius pene medietas sit accusatoris et quilibet admittatur ad accusandum super hoc et suo iuramento credatur si fuerit homo alias bone fame. Et fides adhibeatur et adhiberi debeat per magistratum Saone et etiam per consules predictos cartulariis mercatorum artis lane predicte contra quoscunque laborantes de arte predicta et contra eos exequantur contenta in eisdem cartulariis usque in quantitatem soldorum viginti dumtaxat. Et omnia et singula statuta ordinamenta et decreta que fient et ordinabuntur de cetero per consules et consiliarios et inter homines dicte artis occasione ipsius artis et dependentium emergentium incidentium et connexorum ab ea valeant et teneant et per ipsos consules et consiliarios exequi possint per inde ac si de ipsis et eorum quolibet in presenti statuto specialis et expressa mentio haberetur dummodo non sint .vel fiant contra formam presentis statuti vel aliquorum contentorum in ipso vel etiam aliorum statutorum civitatis Saone. Et consules dicte artis ac etiam solus consul mer-Giorn. Ligustico. Anno XXL ' 2l 3i8 cator eiusdem artis per se ipsum cum suis mi" consiliariis possint punire condannare et multare quâscunque personas contrafatientes usque in quantitates ordinatas vel ordinandas per ipsos et dictos consiliarios et condan-nationes et multas exigere in de et super hiis que occurrent occasione contentorum in presenti statuto et eorum ordinibus et quicquid pro inde fecerint valeant et teneant per inde ac si ambo rectores seu consules et omnes octo - consiliarii ad hoc fatiendum présentes fuissent nulla in contrarium exceptione vel deffensione admissa. Et potestas Saone teneatur et debeat vinculo iuramenti mantenere et defendere artem lane predictam et omnes et singulos lanerios tam mercatores quam operarios artem huiusmodi exercentes in civitate vel posse Saone taliter quod dicti mercatores et operarii artem ipsam libere et secundum voluntatem ipsorum et impune valeant exercere iuxta dispositionem presenti capituli et aliorum que fient vel ordinabuntur in posterum per comune Saone. Et non possit audeat vel présumât potestas vel aliquis alius magistratus civitatis Saone procedere ex offitio vel aliter contra aliquam personam exercentem artem laneriorum predictam occaxione cuiuscunque sententie vel alicuius banni seu iorestationis lacte vel ferende de cetero per magistratum civitatis Ianue ex eo quod contra voluntatem mandata statuta vel ordinamenta illorum de Ianue venerit ad habitandum standum vel artem predictam lane exercendum seu fieri fatiendum in civitate vel districtu Saone. Et si potestas vel alius magistratus dicte civitatis Saone contrafecerit in aliquo de contentis in presenti Γ sin-dicetur et sindicari debeat per judicatores in libris ducentis quotiescunque contrafecerit et ultra desinat esse potestas et pronuntietur periurius in pubblico parlamento per potestatem eius proximum successorem infra mensem unum post introitum regiminis successoris predicti. Et ut panni qui fiunt et componuntur in dicta civitate Saone fiant in debita longitudine, et ut in ipsis fraus minime committi possit statuerunt et ordinaverunt quod nulla persona de dicta arte possit vel présumât ordire aut ordiri facere aliquem pannum in dicta civitate seu posse Saone sub forma seu titulo pannorum Saone qui sit in minori mensura seu minoris mensure in longitudine cannarum duodecim pro singula canna. Et hoc sub pena soldorum viginti monete Saone pro qualibet petia aufferendorum irremissibiliter a quacunque persona contrafaciente, et aplicandorum pro dimidia, dicte arti et pro alia dimidia operi moduli seu portus dicte civitatis. Possit tamen et licitum sit cuicunque persone dicte artis non obstantibus supradictis ordire et seu ordiri facere unum scaparonuni seu plures de qua mensura seu longitudine voluerit habita prius licentia super hoc a consulibus dicte artis. Et si dictos scaparronos unum seu plures ordient aut ordiri fatient alique persone dicte GIORNALE LIGUSTICO 319 artis nisi prius habita et obtenta licentia a dictis consulibus ut supra incurrant ipso facto et iure penam soldorum viginti pro quolibet scaparrono ordito sine dicta licentia aplicandorum ut supra et ab eis aufferendorum irremissibiliter per dictos consules dicte artis. Et quelibet persona dicte artis teneatur et debeat in qualibet petia panni quam fatiet seu fieri fatiet sub nomine titulo aut forma pannorum Saone ponere teneatur seu texere ac poni seu texi facere libras sexaginta lane seu tantam quantitatem lane que ponderet libras sexaginta. Et hoc sub pena soldorum quinque pro qualibet libra lane que minus quam permittitur posita seu texta fuerit a quacunque petia panni pannorum predictorum, que petia exigatur irremissibiliter per consules dicte artis vinculo iuramenti, et applicetur ut supra. Et eandem penam incurrant textores seu textor dictorum pannorum si eius aut ipsorum culpa dolo seu defectu restaret seu esset quominus dicte libre sexaginta lane in quacunque petia panni predicti per eos seu aliquem eorum texta ponerentur seu texerentur. Salvo tamen et excepto quod si lana de qua fieri deberet aut fieret seu factus esset dictus pannus esset in tantum subtilis vel levis quod in ipso panno videlicet unaquaque petia ipsius dicte libre sexaginca lane intrare aut poni seu texi non potuisset quod tunc et eo casu dictus pannus ponatur et poni debeat in manibus deputatorum seu deputandorum ad revidendum pannos dicte artis. Et per ipsos sic deputatos seu deputandos ut supra revideri debeat ipse pannus. Et si cognoverint et dixerint dictum pannum esse bine textum et fortiter tunc neuter predictorum puniatur. Si vero dixerint et cognoverint dictum pannum esse male textum defectu dicte quantitatis lane in eo def-ficientis seu alio deffectu, tunc condannetur et condannari debeat dictus textor seu dominus dicti panni qui illum fieri fecerit cuius culpa deffectus erit in dicto panno in dictam penam ut supra. Et ultra tarezetur ipse pannus sic deffectuosus ut supra iuxta discretionem dictorum deputatorum. Et non possint vel présumant aliqui textores dicte artis vel aliquis ipsorum clam vel palam reddere sive restituere alicui mercatori seu aliquibus mercatoribus eorum aliquos pannos seu pannum nisi prius dicti panni seu pannus revisi fuerint dilligenter per dictos offitiales dicte artis deputatos ad revidendum pannos. Et si aliquis seu aliqui predictorum contrafecerint in redendo aliquos pannos seu pannum dictis eorum mercatoribus non re-vissos seu revisum ut supra incurrant et incurrisse intelligentur ipso facto in penam soldorum viginti aufferendorum a quolibet ipsorum contrafaciente per consules dicte artis et aplicandorum ut supra. Et talis pannus seu tales panni non revissi et redditi ut supra revideantur et revideri debeant per dictos deputatos et si cognoverit ipsos pannos fore male textos aut in eis 320 GIORNALE LIGUSTICO detìectus esse tarezari debeant per ipsos deputatos in quantitate de qua eis videbitur iuxta eorum discretionem prout merentur tales panni seu pannus que pena aplicetur pro dimidia domino dictorum pannorum seu dicti panni et prò alia dimidia dicte arti. Non possit etiam vel présumât aliqua persona dicte artis sive sit mercator textor tintor vel parator seu quavis alia persona dicte artis cuiuscunque conditionis existât vendere vel aliquo modo alienare nec extra civitatem Saone mittere causa vendendi sive aliter alienandi aliquem pannum seu aliquos pannos factos in Saona nisi prius talis pannus seu tales panni revisus fuerit ac revisi fuerint per dictos deputatos ad revidendum pannos. Et si huiusmodi pannus sive panni repertus fuerit seu reperti fuerint cum aliquo seu aliquibus defectibus tarezentur dicti panni seu pannus ac condannetur ille cuius culpa talis deffectus commissus fuerit stu commissi iuxta discretionem predictorum deputatorum ad revidendum pannos dicte artis. Que condannatio sit et reservetur emptori seu emptoribus ipsius panni seu ipsorum pannorum qui ipsam condannationem remittere non valeant ullo modo sub vinculo juramenti et sub pena soldorum viginti. Non possit etiam vel présumât aliquis dicte artis tirare vel tirari facere super tiratorem aliquem pannum seu aliquos pannos gamel-linos nec etiam scarlatinam seu scarlatinos factas sive factos aut factum sive factam in Saona in maiori longitudine seu in maiori mensura longitudinis pro qualibet petia cannarum quatuordecim et palmorum sex a fusto sub pena soldorum viginti pro quolibet palmo quo dicti panni seu petie pannorum essent plus tirati quam ut supra permittitur, que pena sit pro dimidia dicte artis et pro alia dimidia operis portus dicte civitatis Saone exceptatis ni-chilominus pannis qui portantur de la folla. Et non possit etiam vel présumât aliqua persona dicte artis nec etiam quevis alia persona cuiuscunque conditionis existât transmittere vel portare aut portari facere extra civitatem et posse Saone aliquem pannum seu aliquos pannos factum sive factos in Saona vel posse nisi prius dictus pannus vel dicti panni revisi fuerint per dictos deputatos ad revidendum pannos predictos et per eos bullatos sive bullati una seu cum una bulla plumbea (i) cum marcho comunis Saone in ea fixo. Et hoc sub pena floreni unius pro qualibet petia panni non revissa et bullata ut supra a quacunque persona contrafaciente totiens quotiens contrafecerit auferenda et aplicanda ut supra. Salvo et excepto si dicti huiusmodi panni essent in aliquo deffectuosi seu aliquem defectum haberent qui defectus separari non posset quod tunc ipsis peius revisis ut supra non ponatur dicta bulla ne derrogentur aliis pannis sive deffectu et tamen por· (i) Ms. ha « pomblea » GIORNALE LIGUSTICO 321 tari seu transmitti possint impune extra dictam civitatem et posse Saone pannis galianis et pannis longis exceptatis. Et habeant et habere debeant ipsi predicti revidentes seu deputati ad revidendum pannos ut supra pro eorum labore et mercede pro qualibet petia panni per eos revissa denarios duodecim monete Saone et pro qualibet petia panni quam bullaverint alios denarios duodecim qui sint pro dimidia hospitalis Sancti luliani, et pro alia dimidia ipsorum offitialium deputatorum ut supra equaliter. Ita tamen quod unaquaque petia panni non possit gravari nisi semel videlicet semel pro bullare et semel pro revidere. Et huiusmodi offitiales deputati seu deputandi ad revidendum pannos predictos ut supra elligi debeant per dictos consules dictes artis. Et ipsi consules dicte artis postquam ellecti fuerint illico dictos revisores pannorum elligere et seu constituere teneantur et debeant sub pena soldorum viginti pro utroque ipsorum consulum aplicandorum ut supra. Et ad obviandum in validis tinturis quibus panni facti in Saona per tintores eorum plerumque tinguntur prohibendo statuerunt quod nullus tintor seu tingens pannos in dicta civitate Saone cuiuscunque conditionis existât possit audeat vel présumât tingere seu tingi facere aliquem pannum seu aliquos pannos factos in Saona seu posse gamellinos seu scarlatinas in collore seu de collore nigro de scorcia videlicet postquam ipse pannus seu ipsi panni fuerint texti. Et hoc sub pena florenorum duorum pro qualibet petia panni tinti contra formam prohibitionis presentis aufferendorum a quacunque persona contra-faciente totiens quotiens fuerit contrafactum et aplicandum ut supra. Et teneatur et debeat quicunque fatiens tingere aliquos pannos in dicta civitate seu posse Saone sive lanas dictos pannos et lanas et quemlibet ipsorum tarezari facere ante quam ipsos pannos seu lanas vel aliquem ipsorum exportet de tingeria seu tingeriis in qua seu quibus dicti panni seu lane tinti erunt sive tinte. Et hoc sub dicta pena aplicanda ut supra. Et cum tare-zatoribus dictorum pannorum sit et esse debeat semper unus tintor qui non sit de illa tingeria in qua dictus pannus sive panni fuerint tinti ad tare-zandum ipsum pannum sive pannos. Et hoc pro dicta tintura seu tinturis tantum salvo et excepto si dominus dicti panni seu ipsorum pannorum sic tintorum ut supra antequam ipsos plegari seu flecti fatiat elligerit ipso instanti ipsos pannos seu pannum tarezari facere extra dictam tingeriam quod tunc et eo casu illos tarezari facere possit ubique ellegerit impune non obstantibus supradictis. Et quecumque petia panni cuiuscunque coloris existât...... alicuius cavi cuius fuerit quovis modo deperdita tota et postea cuxita vel sarcita tarezetur et tarezari debeat per dictos tarezatores dicte artis in flo-renis duobus in auro. Et ut dicta ars augumentari possit statuerunt quod quecumque persona volens deinceps fieri facere dictam artem illam fieri 322 GIORNALE LIGUSTICO facere possit impune absque eo quod teneatur ad solvendum introitum dicte artis sive etiam dictam artem nec consulatum ipsius dummodo ipsam artem fieri fatiat per homines dicte artis seu aliquem vel aliquos eorum qui solverint dictam artem et non aliter per alios. Ht presens capitulum et omnia et singula contenta in eo observentur et precisse observari debeat per quencumque magistratum civitatis Saone quod quidem capitulum sit et esse debeat arrogatorium et derrogatorium omnibus et singulis aliis capitulis dicte civitatis obviantibus quomodolibet presenti capitulo vel aliquibus contentis in eo in ea parte videlicet in qua ut premittitur obviarentur. M.CCCC.XXXVIII. indicione prima die vigessimo sexto februarii. Additio in precedenti capitulo sub rubrica de arte lane. Statuerunt et statuendo ordinaverunt quod aliqua persona dicte artis seu que sub dicta arte comprehendatur non possit aliqua via seu modo palam seu occulte laborare nec laborari facere aliquam lanam grosam nec aliquam lanam peratam cuiuscunque conditionis existât, nisi prius talis lana fuerit visa seu revisa per consules et tarezatores dicte artis sub pena de perdicione pannorum ex huiusmodi lana non revisa factorum aplicanda pro dimidia dicte arti et pro alia dimidia comuni Saone. Qua tamen lana revisa ut supra si dicti consules et tarezatores cognoverint huiusmodi lanam esse sufficientem ad constructionem pannorum et ea possint tunc panni fieri dummodo ipsi panni fiant et construantur in centanariis tresdecim pro quolibet et in longitudine cannarum decem ad rationem palmorum duodecim pro canna. M . CCCC . quadragessimo quarto. Additio in eodem capitulo de arte lane. In fine ipsius capituli addiderunt verba infrascripta videlicet statuendo ordinaverunt quod aliquis lanerius exercens artem lane non possit laborare seu laborari facere aliquas lanas minoris conditionis et bonitatis quam sint lane provinciales bone et subtilli que nascuntur et nate sint et conducuntur a loco toloni et sancti magimim ultra. Nec etiam aliquas lanas ex talibus dicte minoris condicionis et vetatis ut supra aliquas ex dictis laneriis in domo vel apotheca sua (i) ponere possit sub pena ducatorum decem aplicanda pro dimidia operi moduli civitatis Saone tociens quociens contrafecerit. Et si quis ex dictis laneriis velet laborare ex dictis lanis velatis possit ex illis laborare impune dum tamen non laboret nec laborare possit ûe aliquibus lanis subtilibus et si de illis haberet in domo vel apotheca sua vel alio loco suo nomine nec etiam de ()i Ms. ha v suas ». GIORNALE LIGUSTICO 323 illis tenere vel habere aut parere in domo vel apotheca sua aut alio loco nomine suo sub dicta pena aplicanda ut supra. Et ultra si miscularetur aliqua ex dictis lanis vetatis cum aliqua alia lana subtilis et proinde ex ipsis misculatis lanis fieret pannus aliquis quod talis pannus comburatur et comburi debeat per consules et consiliarios dicte artis et super hiis magistratus Saone teneantur prestare iuvamen adiutorium et brachium ad predicta exe-quendum. Item statuendo ordinaverunt quod si aliquis lanerius inceperit dare pannos ad tingendum alicui tintori non possit ipse talis lanerius ab eo tinctore recedere et alteri tinctori dare pannos ad tingendum sed teneatur ipse lanerius prosequi dare pannos ad tingendum primo tinctori usque quo compleverit pretium et valorem unius panni pro tincturis que pannum ipse lanerius tradere teneatur primo tinctori more solito. Et si lanerius inceperit dare pannos ad tingendum uni tinctori et postea iverit alteri tinctori ad tingendum non complecto valore unius panni pro suis tinturis more solito, tunc ipse talis lanerius teneatur et debeat dicto primo tintori solvere de numerato pro suis tincturis factis et hoc ad voluntatem tinctoris. Salvo et reservato si ipse tinctor non possit ipsis laneris servire de tincturis tunc ipse lanerius possit et sibi licitum sit dare pannos ad tingendum cuilibet tinctori non obstantibus supradictis. VARIETÀ A PROPOSITO DI RAPPRESENTAZIONI POPOLARI IN LIGURIA Lettera aperta al Prof. Gerolamo Bertolotto. Egregio professore, AI gentilissimo cenno bibliografico del Guarnerio intorno al mio Gelindo Ella appose una notarella (Giornale ligustico, N. S., I, 216), nella quale ricordava che Γ amico suo rimpianto e discepolo nostro amatissimo, dott. Adolfo Maragliano, deve aver presentato « come tesi di laurea un lavoro » sopra le rappresentazioni sacre in Liguria » , e aggiungeva : « crediamo » che il manoscritto sia rimasto presso la R. Università di Torino». 324 GIORNALE LIGUSTICO Messo in curiosità da questa notizia, io mi recai subito alla nostra Segreteria e feci ricercare la tesi del prof. Maragliano, con l’animo deliberato di estrarne quelle notizie sull’ importante soggetto che avessero maggiormente potuto interessare agli studiosi. Così, facendo cosa utile, avrei tributato il debito onore alle fatiche d’un giovane valoroso, tanto immaturatamente rapito dalla morte. Ho sott'occhio la tesi del dott. Maragliano, presentata alla Facoltà nostra nell’ottobre del 1891; ma il soggetto che v’è trattato è diverso da quello che le sue parole lasciavano supporre. La monografìa s’intitola: Ricerca sopra le laudi liguri del secolo XI V; contributo alla storia della lirica religiosa popolare nei secoli XIII e XIV. È cosa seria, ben pensata e bene scritta, quantunque non in tutto matura alla stampa. Specialmente la parte seconda, in cui si studiano i rapporti delle laudi Liguri con quelle del Piemonte e della Toscana, ha osservazioni felicissime, e vi sono utilizzati anche dei testi a penna. Della drammatica popolare si parla solo in una nota di p. 48, che riferisco : « Ho cognizione che reliquie di antiche rappresentazioni sacre » esistono ancora in molti paesi della Liguria: raccogliere ed illustrare questi » avanzi di ruderi antichi non è cosa senza importanza, e forse potrò farlo » in seguito. Cito intanto qui un brano di una lettera, inviatami da un mio » amico carissimo, il Prof. Dott. Gerolamo Bertolotto, che mi dà alcune no-» tizie interessanti a proposito di residui di rappresentazioni in un paesello » vicino a Savona : « Reliquie di sacre rappresentazioni possono facilmente » rintracciarsi in questo paesello di Lavagnola (frazione rurale di Savona) » d’ onde ti scrivo. Posso assicurarti che fino a pochi anni or sono esiste-» rano, nel chiostro di questa parrocchia, degli scenarii, che servivano » appunto a quelle rappresentazioni. Esse venivano chiamate similitudini, » jfcrchè rappresentavano appunto in similitudine il sacro dramma del Gol-» g|>ta : tale denominazione è ancor viva sulle labbra della popolazione. Io » sesso, se vuoi, sono in certo qual modo una reliquia vivente del dramma » fiero in Liguria: infatti il mio avo materno era popolarmente conosciuto « po 1 soprannome di Segno (- Signore - Cristo), appunto perchè un suo » ^scendente aveva sostenuto la parte di protagonista in una di quelle rap-» pfesentazioni. Non dispero che in uno dei tanti archivi delle numerose » confraternite religiose di qui s’ abbiano, un dì ο Γ altro, a ritrovare i » copioni di quei drammi, nei quali sull’elemento sacro primitivo andò man » mano infiltrandosi l’elemento profano (1): così almeno ho appreso dalla (1) Accanto al Segnò (= Cristo) vive tuttora nella stessa borgata Γ ìinpiató (= imperatore) discendente di chi rappresentava nella similitudine il personaggio dell’ imperatore romano. GIORNALE LIGUSTICO 325 ” v*va voce pochi superstiti della generazione che va tramontando. Il » recente lavoro del D’ Ancona sulle Origini del teatro italiano e la conse-» guente recensione del Renier (Θαχχ. letteraria, n.° 37-38) delineano il » disegno di uno studio che, se ti piace, potremmo fare insieme: eseguire » tutte le indagini possibili per preparare un contributo alla storia del » dramma sacro in Liguria ». Accolgo ben volentieri la proposta del mio » dotto amico. I residui di antiche sacre rappresentazioni che per avventura » possono trovarsi nei diversi paesi della Liguria è d’uopo raccoglierli » presto, perchè, come fece osservare il Renier, essi presto scompariranno » affatto, mal sapendo resistere al soffio della moderna civiltà ». E basta. Ora io non so se il Maragliano abbia continuato le indagini ed abbia rinvenuto qualche dato nuovo. Ma comunque sia, caro professore, chi incoraggiò alla ricerca il Maragliano medesimo e gli propose di lavorare in comune su questo tema è Lei per l’appunto. Ed Ella, quindi, mi perdoni s’io faccio pubblica la sua promessa privata e se La esorto ad attenerla. Sta il fatto che nel teatro popolare ligure, oltre le pochissime notizie che potè mettere insieme il D’ Ancona (Origini -, II,. 222-24) e quelle contenute nella lettera di Lei al Maragliano, non si sa nulla. Avendo io, bene 0 male, ricercate ed illustrate le rappresentazioni popolari del Piemonte, vorrei almeno avere 1’ autorità dell’ esempio per indurla a far cosa che non ammette troppi indugi e ch’Ella ha mezzi, opportunità e capacità di compiere con buon metodo e con frutto. Le stringe la mano il suo Torino, / Luglio 1S96. Affezionatissimo Rodolfo Renier. Ecco quanto per ora posso rispondere all’amico professore dell’Ateneo Torinese, che cosi valorosamente dirige da 14 anni il Giornale Storico della Letteratura Italiana. Sta il fatto che io e il Maragliano avevamo già cominciato le ricerche assegnando a me per 1’ esplorazione la riviera occidentale, a lui l’orientale ; ma il povero amico dopo poco, appena ventotenne fu rapito da una fiera polmonite. Io mi ristetti allora da ulteriori indagini vuoi perchè impegnato in altri lavori vuoi perchè afflitto da lutti domestici. Ringrazio il Renier di avermi pubblicamente ricordato una promessa che per essere stata fatta in privato non ho minor obbligo di mantenere. Il lavoro a cui mi si invita è d’indole collettiva, ma mi gode l’animo di poter assi- 326 GIORNALE LIGUSTICO curare il Renier che molti socii della ricostituita Società Ligure di Storia Patria mi hanno promesso il loro valido appoggio per raccogliere i materiali. La buona memoria che conservo dell’amico defunto mi obbliga intanto ad esser grato al Renier del lusinghiero ed autorevole giudizio ch’egli ha espresso sopra un lavoro del Maragliano, tanto immaturamente tolto agli studi. IL MAESTRO DEL PITTORE LUDOVICO BREA Nel grande risveglio di studi storici, cui assistiamo, è confortante il vedere con quanto impegno si pigliano a ritessere e a completare le biografie di illustri artisti e con quanto amore se ne rintracciano le opere. Si deve senza dubbio alle diligenti indagini del compianto Alizieri, se del nizzardo pittore Ludovico Brea, che il Lanzi ed il Baldinucci vogliono padre della scuola pittorica genovese, si è potuto conoscere non solo la più grande parte delle tavole da lui condotte, ma se si son potuti leggere ancora alcuni dei contratti istessi, ond’ egli si legava con diversi corpi morali delle città di Genova, Savona, Taggia, Ventimiglia e Monaco per l’esecuzione di pregevolissimi lavori, che oggidì vengono a giusta ragione ammirati. Ma chi era mai il maestro di cosi rinomato artista? S’era scritto, ed il Toselli autore d’ un Dizionario di biografie nicesi ne volle accreditare la voce, che il Brea avesse appreso l’arte del dipingere a Roma ed a Napoli. Ma primo a muoverne dubbio si fu Enrico Scoeffer, il quale pubblicando un’ erudita e critica memoria sopra il pittore Giovanni Mirallieti (sic) da Nizza, vissuto fra il 1426 ed il 1488, e vedendo che dei suoi rari pregi, come pure di difetti si mostra imitatore il Brea, ne lo ha creduto maestro, tanto più che ne trovava associati i nomi in una tavola rappresentante la Vergine salutata dall’Angelo, esistenti nella chiesa dei Domenicani in Taggia : IO. . . . RAI. . ETI ET LVDOVICVS BREA. PI. . . RES NICENSES FECERVNT AN. . DOM. . . . CLXXIII DIE XXI. LI. Lo SchoefFer leggeva Mirallieti; mentre è assodato da altre iscrizioni, che il vero cognome è Miraiheti. Però l’acuto sguardo del critico forastiero aveva colpito giusto. Nella stupenda tavola di Nostra Donna della Misericordia in Nizza, divisa in un- GIORNALE LIGUSTICO 327 dici scompartimenti coi fondi in oro, aveva egli ravvisato le stesse felicità di concetto, correttezza di disegno, bellezza di teste, vivacità di colorito e naturalezza di panneggiamenti, non disgiunte però da rigidità di contorni, che sono comuni al Brea ; ma il dubbio da lui emesso assunse il grado della più grande probabilità, alla scoperta di altre pitture, di cui dà notizia Francesco Brun negli Annales de la Société des lettres sciences et arts des Alpes-Maritimes, Tom. XII, in calce alla quale si legge : IO . MIRAIHETI NICENSIS DVM VIVERET INVEN . LVDOVICVS BREA PINX . 1488 Da questo nuovo cimelio si è condotti a credere, che se il Miraiheti voleva associato il proprio nome (come attesta l’Annunciata di Taggia) a quello del concittadino Brea, che non toccava ancora il quinto lustro, si era senza dubbio collo scopo di dare un attestato di stima e d’ affetto ad un caro discepolo. Ed il Brea alla sua volta, non tosto passato a miglior vita il maestro, acconciandosi volenteroso a colorire una tavola, da lui lasciata disegnata, intese di attestare in modo luminoso, il rispetto e la venerazione, onde si sentiva legato verso colui, che tanto felicemente l’a-veva indirizzato all’ arte. Chi non trova con me, nella su riferita iscrizione, qualche riscontro con quella che il Palma conducendo a termine un quadro lasciato incompiuto dal Tiziano, scriveva in fondo della tela : Quoi Titianus inchoatum reliquit Palma reverenter absolvit Ì Nel dare notizia fra noi delle scoperte che si fanno in terre, che politicamente più non ci appartengono, ma che si riferiscono a nomi che sono glorie nostre, credo opportuno aggiungere un cenno, che varrà a gettare qualche luce sulla famiglia Brea, della quale, se sorsero tre pittori Ludovico, Antonio e Francesco, si è allo scuro circa l’origine, la condizione e la discendenza. Il solo su citato Brun è riuscito a scovare, che tale famiglia possedeva una casa in Nizza, che risponde ora al N.° 14 della rue Barilerie; or bene altra memoria che ha con questa attinenza, trovo nelle mie schede, quella cioè del testamento, rogato il 2 agosto 1415 dal notaro Pietro Gau-fridi e detttato da Lorenzo Brea maestro barilaro, che mentre elegge a luogo di sepoltura la chiesa di S. Giacomo e lega alcuni beni alla moglie Margherita, lascia erede suo, Iohannem Bream barilarumJilium dilectum. 328 GIORNALE LIGUSTICO Con altro istrumento poi del 3 successivo febbraio la detta vedova fa cessione al figlio Giovanni d’ un orto, sito nella regione Santo Stefano. Se si potesse prestar fede a quanto scrive il Toselli, il quale attribuisce a Ludovico Brea un figlio di nome Giovanni Francesco pittore egli pure, sebbene di non pari merito, quegli stesso senza dubbio che il Brun crede figlio di Antonio fratello di Ludovico e che chiama Francesco soltanto, si potrebbe tentare di tessere una regolare discendenza. Poiché sapendosi essere fra noi costume d’imporre ai nipoti il nome del nonno, si sarebbero in questo caso trovati gli ascendenti del rinomato pittore nizzardo, i quali avrebbero esercitato (e ne è riprova 1’ ubicazione della loro casa) la lucrosa arte di costrurre barili per Γ esportazione dell’ olio, arte che li aveva posti in condizioni di godere di una certa agiatezza possedendo casa e beni e potendo aspirare a trovar sepoltura in una chiesa, cosa allora non concessa a chi viveva in povero stato. BREA LORENZO barilaro con Margherita . . . 1415 r- ' · Giovanni barilaro __!_ 1 I LUDOVICO ANTONIO pittore pittore GIOVANNI Francesco? pittore Girolamo Rossi. COMUNICAZIONI ED APPUNTI Un busto a Santo Varni. — Il giorno 12 Luglio si inaugurò solennemente all’Accademia di Belle Arti un busto allo scultore Santo Varni, modellato dalla signora Mary Ighina in Barbano, degna nipote ed allieva dell’illustre estinto, la quale ne fece dono all’Accademia insieme a un museo, composto di molte rarità artistiche ed archeologiche, di cui un gran numero provengono dagli scavi di Luni e di Libarna. La cerimonia era indetta per le 13 e già una mezz’oretta prima la sala riboccava di invitati, fra i quali spiccavano molte signore: prima fra tutte Γ autrice e donatrice del busto, poi la sig.a Maria Calcagno, professoressa del-l’Accademia (lacuale eseguì la splendida pergamena die venne poi presentata GIORNALE LIGUSTICO alla signora Ighina), la marchesa Staglieno, la signora e signorina Casabona, la signora Glech-Rosellini e varie altre. Il Corpo accademico era al completo; erano presenti i professori Luxoro, Villa, Scanzi, Orengo, Navone, Fasce, Crotta, Figari, Paernio, Zandomeneghi, Calderara, Costa, Casabona, Ratto, Viazzi, Sansebastiano, ecc. Fra le autorità notammo: S. E. Γ arcivescovo di Genova march. Tommaso Reggio, il prefetto comm. David Silvagni, il sindaco cav. avv Pozzo, l’assessore cav. avv. Ansaldo, il comm. G. B Poggi per la Corte d’Appello, il cav. Piroli per la Procura Generale del Re, l’ing. Gamba, il signor Curio, il prof. Puppo, l’antiquario Villa, il comm. Centurini, i signori cav. don Beretta, prof. cav. Bertolotto, G. B. Canevari per la Società Ligure di Storia Patria, 1’ avv. Imperiali per la Promotrice di Belle Arti, il pittore Orgero, in rappresentanza del Municipio di Sampierdarena, ecc. Apre la seduta con acconcie parole il presidente dell’Accademia Ligustica, march. Domenico Pallavicino, che ringrazia la donatrice alla quale presenta la pergamena dianzi accennata e cede poi la parola all’ accademico di merito, signor comm. Vittorio Poggi che è stato incaricato di pronunziare il discorso inaugurale. Esso è ora stampato negli Atti deU’Accademia Ligustica; tuttavia vogliamo darne un sunto ai nostri lettori. Dopo di aver ricordato che era doveroso sorgesse un ricordo marmoreo a Santo Varni nelle sale dell’Accademia a titolo di postumo onore, rende vive e cordiali azioni di grazie alla benemerita gentildonna a cui si deve il pregiato lavoro. Se la perdita, dice l’oratore, di coloro che amammo e riverimmo è dolore insanabile, vederne l’immagine è conforto grande e desiderato, poiché in questo ci pare di riveder la persona e, valicati i confini della tomba, spaziare in un campo ove il tempo e la morte più non hanno potere, ove gli spiriti parlano un linguaggio non avvertito all’ orecchio, ma sentito dal cuore. Ecco brevemente la gloriosa carriera di Santo Varni. Nacque di umili natali: all’età di 13 anni nel 1821 riuscì ad essere ammesso come allievo neH’Accademia, dove ebbe a maestri Bartolomeo Carrea e Giuseppe Gaggini. Cominciarono allora i suoi primi successi, che gli erano stimolo a proseguire con maggior lena verso più eccelsa meta. Correva allora il periodo del neo-classicismo : la statuaria era condannata ad un formalismo convenzionale e si anelava a un movimento di reazione : corifeo di questo indirizzo era Lorenzo Bartolini in Firenze. In Toscana si recò il Varni per ispirarsi direttamente ai monumenti del Rinascimento. Ma ciò non bastava all’ irrequieto suo spirito; era avido di 330 GIORNALE LIGUSTICO studiare l’evoluzioue dell’ arte non solo nella successione dei tempi ma anche nella estensione dello spazio ; onde lunghi, costosi e disagevoli viaggi, da cui gli derivò quel geniale ecclettismo che costituisce la nota più caratteristica del suo stile. Nel 1837 fu chiamato dal Re Carlo Alberto a professare nell’Accademia Albertina di Torino; più tardi entrò nell’Accademia Ligustica. Allargò le basi dell’ insegnamento e ne rialzò il prestigio, dando agli studii un vigoroso impulso e un nuovo e più efficace indirizzo, onde andò aumentando il numero dei discepoli: neH’Accademia esercitò il suo apostolato fino al 1885 die fu 1’ ultimo di sua vita. Splendida l’opera sua di scultore : e il comm. Poggi ricorda la statua della Pietà nel monumento a Colombo, i monumenti agli Ospedali, le decorazioni dell’Annunziata, il colosso della Fede nel Camposanto e tutti quei monumenti di cui popolò l’area della Necropoli; il gruppo dell’amore che doma la forza, la figlia di Jefte, Laura al bagno, i busti di Beatrice, di Laura’, di Eleonora, la Saffo, il monumento del generale Chiodo alla Spezia, il busto di M. Cesarotti in Padova, le tombe dei Garibaldi a Sam-pierdarena, dei Curro a Trieste, i ritratti di Re Vittorio Emanuele, delle Principesse Clotilde e Maria Pia, quello colossale della Regina Maria Adelaide in Torino e un’ infinità d’ altre opere. Nè soltanto in Italia ma nel mondo intero volò la sua fama d’artista; lo attestano i numerosi monumenti commessigli in tutte le parti del mondo. Nè solo fu sommo artista, ma archeologo tra i più valenti; raccolse con religione cimelii d’ogni età e di ogni scuola, non badando nè a fatica nè a spesa, raccogliendo marmi, bronzi, fittili figurati o scritti, monete, medaglie, vasi, cammei ed intagli, mobili, ceramiche, cornici, manoscritti, autografi. E questo fece non da dilettante e dottrinario, ma militò nelle file del-1’ archeologia pratica. Non vi è monumento architettonico in Liguria che egli non abbia studiato, e prese parte a tutte le esplorazioni di antichità, illustrando dottamente i monumenti patrii. L’illustre oratore termina con queste parole : « Che dirò della sua vita privata ? La fortuna che era stata matrigna al fanciullo, profuse i suoi favori all’artista, ma questi visse modestamente sempre ed i favori della fortuna impiegò non a scopo di lusso ma a vantaggio dell’arte e degli studi. » Ebbe onorificenze e lodi: eppure mai non sconfessò l’umiltà de’ suoi natali: dalla quale traeva anzi argomento di compiacenza, come quella che era stata sempre per lui sprone alla sua operosità. n Visse meritamente caro a quanti lo avvicinarono: « conoscerla e non GIORNALE LIGUSTICO 33 1 dimenticarla è la stessa cosa » scrivevagli quella augusta persona che la repubblica letteraria riverisce «otto il nome di Carmen Sylva. » Tale fu l’uomo, l’artista, l’archeologo di cui ho cercato di abbozzare la fisionomia morale, come la imagine che oggi inauguriamo: opera di geniale scalpello ne riproduce al vivo le fattezze. Le parole sottoposte al monumento dicono il vero nella loro eloquente semplicità, ma più dell’ effigie marmorea, più d’ogni elogio scritto varrà la sua opera, così ricca e radiosa a perpetuare nella città che si gloria d’avergli dato i natali la tradizione del suo ingegno e delle sue benemerenze ». Le parole del comm. Poggi sono coperte di applausi : tutte le autorità si congratulano con lui. Quindi il Presidente march. Domenico Pallavicino dichiara aperta la esposizione triennale dei lavori degli alunni e invita le autorità e i convenuti a visitare le sale. G. B. C. Ecco l’epigrafe scolpita nella colonna che serve di basamento al busto: essa è stata dettata da quell’egregio cultore di memorie patrie che è il marchese Macello Staglieno. Effigie II di Santo Varni || lavoro della nipote || Maria Ighina Barbano Il la quale ne faceva dono || insieme con l’archivio di lui || a questa Accademia j| ove il valente scultore || fu accolto come allievo || e per quasi mezzo secolo || sedette professore || MDCCCXCIV. Il prof. Tammar Luxoro dettò invece l’epigrafe che forma la dedica della pergamena all’ autrice del busto, dedica spiccante al centro dei magnifici fregi. A Maria Ighina in Barbano || del prof. Santo Varni nepote || che il ritratto in marmo dell’ illvstre statvario || da essa esegvito || l’archivio di Ivi ricco di preziosi docvmenti || vna collezione di antichi cimeli || alcvne statve in gesso || ed altri oggetti d’arte || all’Accademia Ligvstica || offriva in dono. L’Assemblea degli Accademici Promotori— in seduta del 23 marzo 1895 — alla generosa donatrice — qvesto attestato di benemerenza — decretava. * * ¥■ Lettere di Don Giovanni d’Austria a D. Giovanni Andrea Doria I. — Coi tipi Forzani e C. Tipografi del Senato, il Principe Senatore D. Alfonso Doria Pamphili, ha pubblicato una bella collezione di lettere indirizzate da Don Giovanni d’Austria , a Giovanni Andrea D’ Oria I antenato del-l’Editore. Le lettere sono in numero di sessantadue, la serie s’inizia nel 1568 e termina col 1578. Esse sono riprodotte secondo il testo genuino (in lingua spagnuola) dagli autografi, senza emendazioni ortografiche. GIORNALE LIGUSTICO Con questa pubblicazione che dal lato tipografico è veramente splendida, il Principe D. Alfonso D'Oria ha giovato non poco alla storia della nostra marineria nel secolo XVI. * * V- Società Ligure di Storia Patria. — Agli elenchi, già da noi stampati nei precedenti fascicoli, vanno aggiunti i seguenti nuovi socii posteriormente nominati il 26 giugno e 17 luglio u. s. : March. Giacomo Balbi — Avv. Cesare Balduino — Dott. prof. Domenico Basso — Avv. Vincenzo Bellagamba — Avv. Edoardo Cabella — Avv. Ernesto Calligari — Sig. Italo Calpestro — Cav. Giuseppe Stef. Cavagnari — Cav. dott. Felice Costa — Avv. Ernesto Drago — Avv. Gabriele Gal-liani — Ing. Cesare Gamba — March, avv. Giuseppe Maglione — March, comm. Xicolò Mameli — Cav. avv. Gaetano Poggi — Cav. Alberto Preve — Prof. Giovanni Quinzio — Comm. A. Schneegans — Avv. Giuseppe Vassallo — March. Paolo Pallavicino — March Pompeo Sertorio — Comm. Francesco Costa — Cav. Beppe Croce — Dott. Pietro Borra. II giorno 6 giugno u. s. tenne nella sala della Società un’ applaudita conferenza sulle antiche relazioni di Genova e l’Abissinia il socio signor Arturo Ferretto, che ci ha promesso di pubblicarla sul nostro giornale. La Società, sempre zelante della conservazione delle patrie memorie, ha ottenuto dall’ onorevole Giunta Municipale che fossero acquistati dalla Civica Biblioteca Berio, e quindi conservati in Genova, non solo il « Ruggiero » autografo di Gabriello Chiabrera (di cui parlammo nel « Ligustico » pag. 209) ma altri 57 manoscritti, per la maggior parte interessanti la storia genovese, i quali, già appartenuti ad uno Spinola, erano ora in vendita presso il libraio antiquario D. G. Rossi di Roma e correvano quindi rischio di andare dispersi per altre città. Dell’ atto provvido va data lode alla Giunta. Sarà presto distribuito ai socii un volume in forma di Vade-mecum contenente l’elenco dei socii, lo statuto, il catalogo alfabetico e sistematico della Biblioteca sociale, del « Giornale Ligustico » (1874-1893) ecc. È in preparazione il Volume I della III Serie degli Atti che conterrà una raccolta di documenti preziosi. Sono in corso le pratiche per far riconoscere come Ente morale la Società. La relativa commissione è composta dei socii avv. E. Bensa, P. E. Bensa, E. Zunini, C. Carcassi e C. Astengo. Il socio prof. Camillo Manfroni, della nostra R, Universiià, ha diretto al presidente della Società una lettera aperta, esponendo le ragioni storiche per cui Portovenere non dovrebbe venire aggregata alla nuova diocesi di GIORNALE LIGUSTICO 333 Cliiavari. La questione merita di essere discussa sotto diversi aspetti, e perciò il « Ligustico » pubblicherà la nobile lettera del Manl'roni, dolente che lo spazio noi consenta in questo fascicolo, già troppo pieno. » » La progettata Gita archeologica a Noli, nella quale A. G. Barrili illustrerà sul luogo le antichità della vetusta repubblica, è stata rimandata a ottobre. Ad essa participerà anche il Club Alpino (Sezione Genova). BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO Caro (Georg) Genua und die Màchie am Miitelmeer (1257-1311). Ein Beitrag zur Geschichte des XIII Iahrhunderts...... Erster Band. Halle A. S. - Max Nie- meyer, 1895. La storia di Genova da qualche tempo è argomento preferito dai ricercatori tedeschi, che portano in questi studi quella diligenza nelle indagini, quella minuziosa e scrupolosa esattezza, quella tenacia di propositi, spoglia da ogni preconcetto, che talvolta mancano ai nostri studiosi. Non dico con ciò che sempre essi riescano felicemente a raggiungere la meta, che, lavorando in un campo già coltivato da altri, essi possano vantarsi d’aver portato nuova luce su questioni lungamente discusse: ma è fuor di dubbio che il loro contributo (Beitrag) è sempre coscienzioso e diligente, se non arguto; che la loro bibliografia è amplissima ed accurata; che le loro citazioni sono esattissime e che, per riguardo al metodo di indagine e di esposizione, essi superano spesso i nostri storici più diligenti. Non sono passati molti anni dacché Guglielmo Heyd, già noto per un breve lavoro sul governo di Genova nel secolo XI (1), dava alla luce quella meravigliosa storia del commercio di Levante nel Medio Evo (2) in cui tanta parte e fatta alla stona ligure, ed ecco il Langer narrarci la storia politica di Genova e di Pisa nel secolo XII (3); ecco il Heyck occuparsi della marina genovese durante le crociate (4), ecco il Blumenthal, il Lastig, una vera coorte di scrittori rivolgere la loro attenzione alla storia nostra per giun- (1) Untersuchungen iiber die Verfassung’s Geschichte Genua's in XI Iahr-hundert. (2) Geschichte des Levante Handel’s. (3) Politische Gesch. Genua’s und Pisa’s in XII Iahrundert. (4) Genua und Seine Marine in Zeitalter der Kreuzzüge. Giorn. Ligustico. Anno XX1. 334 GIORNALE LIGUSTICO gere a conclusioni che potranno essere discusse, ma che sono fondate su ricerche minute e diligenti. Ed ecco ora il signor Giorgio Caro, che, dopo essersi applicato in un precedente volume (i) allo studio della storia di Genova nella prima metà del XIII secolo, viene ad occuparsi in due volumi, di cui uno soltanto ha veduto la luce per ora, della storia di questa stessa città dall’ istituzione del Capitano del Popolo fino al 1311, in cui la città si diede ad Enrico VII di Lussemburgo. Egli osserva, e giustamente, che 1’ unico scrittore nostro che si occupò di questo periodo è il Canale colla sua Nuova Istoria di Genova, ricca di osservazioni e di ricerche, ma pur troppo nè troppo larga per raffronti e per osservazioni, nè troppo esatta nelle sue conclusioni, nè troppo diligente nella critica, mentre alcuni lavori parziali del Sauli, del Desimom, del Belgrano si occupano più di alcune particolarità che dell’ insieme Manca specialmente un lavoro che studi la condizione interna di Genova in relazione colle altre città commerciali, colle altre potenze marinare d Italia, che esamini qual parte ebbe il reggimento politico della città nelle lotte per la supremazia mediterranea, che delle brevi ed incomplete notizie degli Annali trovi la conferma o la correzione o il complemento nelle carte dell’ Archivio, ed a questo lavoro si è accinto il Caro, dopo lunga dimora nella città nostra, dopo lungo studio sulle carte del nostro Archivio e della nostra Biblioteca. Poiché poco opportunamente egli ha relegato in appendice al 2.° volume, ancora inedito, l’estratto dei documenti nuovi da lui trovati nelle biblioteche Civico-Beriana ed Universitaria (app. 4 e 5), nell’Archivio notarile, nell’ Archivio di San Giorgio e nell’Archivio di Stato (app. 1-3), e in quelli di Albenga e di Savona ; e poiché in questo primo volume egli si è accontentato di citarli soltanto, riesce asssi difficile il giudicare dell’ esattezza di tutte le nuove conclusioni, cui 1’ A. giunge. Riservandoci perciò di tornare sull’ argomento, quando avrà veduto la luce il secondo volume ed avremo dinnanzi le prove di ciò che 1Ά. afferma, dobbiamo accontentarci per ora di dare uno sguardo complessivo al vo lume primo e di indicare le novità più importanti. L’Autore prende le mosse dall’anno 1257, in cui per moto di popolo venne eletto un capitano in luogo dell’annuo podestà, che era nominato per opera dei nobili, e in cui incominciò un’epoca nuova per Genova, poiché il popolo usurpò a poco a poco molte delle attribuzioni, che prima erano riservate alla nobiltà, e coll’ abate del popolo, col Consiglio degli An (1) Die Verfassung Genuas zur Zeit'des Podestats. GIORNALE LIGUSTICO 335 liani e di Credenza grado a grado si sostituì nelle funzioni amministrative ai nobili. Egli osserva che per istudiare la storia di Genova non bisogna separare la politica interna da quella esterna, nè far astrazione dalla storia commerciale e coloniale, dalle lotte in Sardegna, in Siria, a Costantinopoli con Pisa e con Venezia, dalle relazioni con Roma , coll’ imperatore , col re di Napoli, poiché spesso gli avvenimenti cittadini ed i mutamenti nel Γ amministrazione furono diretta conseguenza di altri fatti, avvenuti al di fuori ; e perciò opportunamente alterna i capitoli che trattano della forma di governo, con altri in cui sono esposti criticamente i risultati, or prosperi, or tristi, delle trattative diplomatiche e delle guerre. Il primo libro, diviso in otto capitoli, comprende il governo di Guglielmo Boccanegra, primo capit.ino del popolo e tratta della sua improvvisa elevazione e delle cause che le diedero origine, dei mutamenti avvenuti nel-l’amministrazione di Genova, delle condizioni in cui venne a trovarsi il partito della nobiltà ed il podestà nuovamente eletto, e finalmente dell'eie zione di Raineri Rosso da Lucca a podestà, ma con attribuzioni diverse da quelle che i podestà precedenti avevano avuto (Cap. I). Segue una minuta esposizione della guerra fra Genova e Pisa nel 1527-1528, condotta in gran parte sugli Annali, sui documenti contenuti nel Liber jurium, nel Codex diplomaticus Sardinae·, nei volumi Chartarum, dei Monumenta hist. patr. con. frequentissimi raffronti agli Annali Pisani, all’ Italia Sacra del-PUghelli e ad alcuni documenti nuovi, che però non sappiamo quale valore abbiano, perchè 1’A. si accontenta di darcene un sunto, che spesso si riduce ad una frase, od un periodo brevissimo. Basta però gettare uno sguardo su questi primi capitoli e confrontarli col racconto del Canale, per comprender subito l’importanza del lavoro del Caro. Il racconto dell’ assedio di Santa Igia e del castello di Cagliari è di gran lunga più diffuso, più ricco di particolari e più esatto di quello del Canale, ed ha su questo il grandissimo vantaggio che ogni affermazione è documentata, ogni data, ogni cifra discussa con critica comparativa: mentre pur troppo al Canale bisognava credere sulla parola, pur sapendo che 1’ esattezza non era la sua principale virtù ; così pure Γ elezione del Boccanegra narrata dal Canale sulla fede del solo Bartolomeo Scriba e del Serra, è studiata dal Caro coll’ aiuto delle carte del Liber jurium e messa in relazione con rivo!gimenti di simil genere avvenuti in altri comuni d’Italia. Alla stessa guisa osserviamo nel capitolo terzo (Guerra con Venezia nel 1257) come l’A. ricorra di preferenza alle fonti Siriache e Veneziane, e raffronti la narrazione degli Annali Genovesi a quella di Maria Sanudo Torcello, dei continuatori di Guglielmo da Tiro, ai preziosi GIORNALF. LIGUSTICO documenti raccolti dal Tafel e dal Thomas (i), ed a moltissime altre fonti ; di guisa che la sua narrazione critica della lotta combattuta a Tolemaide tra Venezia e Pisa da un lato e Genova alleata con Filippo di Montfort, signore di Tiro, dall’altro, corregge molte e gravi inesattezze in cui era caduto il Canale, ed una maggiore ampiezza di vedute ed una maggiore imparzialità. La storia di Genova è opportunamente riallacciata alla politica papale, alla politica degli Hohenstaufen, alle lotte di Siria fra Guelfi e Ghibellini, alle condizioni dell’ impero latino di Costantinopoli. E cosi il rivolgimento interno contro il Boccanegra, capitano del popolo, trova la sua spiegazione, non solo nelle usurpazioni da lui commesse , ma nei rovesci delle armi genovesi al di fuori, nella sua politica estera, debole e malaccorta, nella sua politica finanziaria e coloniale (della quale si ha nel Capo VI una chiara e giudiziosa esposizione, intieramente nuova e fatta su fonti recentemente scoperte (2)), nella lega conchiusa con Manfredi, capo del partito ghibellino d’Italia, nell’ abbandono della lega guelfa e specialmente di Lucca. Se Guglielmo Boccanegra col trattato di Ninfeo vendicò 1’ offesa di Acri e tolse ai Veneziani il primato nel Mediterraneo orientale e procurò alla patria grandi vantaggi commerciali, la nobiltà guelfa, che pur seppe trarre partito dalla sua politica, non gli perdonò nè la trascuranza in cui essa era lasciata, nè le gravi imposte da cui era colpita, nè la politica ghibellina, nè le offese fatte alla Curia, nè la scomunica avuta da Alessandro IV a causa del trattato con Michele Paleologo. Può darsi che anche il timore che egli tendesse a diventare signore assoluto abbia avuto il suo peso nell’ affrettare la ribellione contro di lui; ma è indubitato che anche la politica estera ebbe parte preponderante nella sollevazione del 6 maggio 1262. Col ristabilimento dell’ antico governo del Podestà si chiude il libro primo del Caro ed incomincia il secondo, che abbraccia il periodo del governo aristocratico, dal 1262 al 1270, cioè alla Crociata seconda di Luigi IX (3). In questo libro l’Autore tratteggia la guerra combattuta in Oriente fra Genovesi e Pisani, la battaglia dei Sette Pozzi, le trattative corse col pontefice per impedire la scomunica, e si aerve per questa parte, non solo delle fonti genovesi, ma degli Analecta Vaticana del Posse, del Raynaldo, degli storici greci, e specialmente di Pachymeres, dei regesti di Urbano IV, di tante altre fonti, che per la storia di Genova erano state trascurate finora e che, (1) Urkuden z. Gesch. Venedig’s. '2) Die innere Regierungsthàtigkeit Buccanigra. (3) Die Zeit der wiederhergestellten aristokratischen Regierung. GIORNALE LIGUSTICO 3 57 usate opportunamente, servono a correggere gli errori e le esagerazioni degli Annali. — Collo stesso sistema, ricorrendo spesso al recente lavoro dello Sternfeld su Carlo d’Angiò, 1’Autore mostra Γ intimo legame che corre fra la straordinaria benevolenza e mitezza di Urbano IV verso Genova e la sua politica antisveva e favorevole a Carlo d’Angiò: poiché il pontefice aveva tutto 1 interesse a non inimicarsi i Genovesi Cgià mal disposti verso il conte di Provenza per 1’ acquisto da lui fatto di Ventimiglia e di tutta la contea nel 1258) in un momento in cui l’opera loro gli era più che necessaria per aiutare la spedizione dell’ Angioino contro il reame di Napoli. Il Caro opportunamente connette questi fatti colla spedizione dell’ Ammiraglio Simone Grillo verso la Siria, colla vittoria di Durazzo riportata da lui, coll’assedio di 1 irò, ma più specialmente ancora colle trattative di Guglielmo Guercio , podestà genovese a Costantinopoli, per consegnare la città in mano a Manfredi ed ai suoi. Queste trattative, delle quali pochissimo si sa, ma che certo erano estranee alla politica di Genova, ebbero tuttavia per la città una conseguenza gravissima, la cacciata dei coloni da Costantinopoli e la loro relegazione ad Erekli nel mar di Marmara, e la conclusione della lega fra il Paleologo e la repubblica di Venezia. E questi fatti, che finora erano apparsi isolati e quasi senza relazione fra loro, ci si mostrano per opera del Caro strettamente connessi colla politica generale degli Stati d’ occidente e specialmente colla lotta tra Chiesa ed Impero. Talvolta questi legami sono piuttosto intuiti che dimostrati, ma è fuor di dubbio che l’esame comparativo di tante fonti diverse contribuisce a sparger nuova luce sugli avvenimenti ed a mostrar sotto aspetti nuovi certi fatti che prima erano rimasti nell’ ombra e quasi trascurati. La ristrettezza del tempo mi vieta ora di esaminare minutamente tutto ciò che il Caro ha aggiunto alla storia del Canale, tutti gli errori che ha corretto, tutte le giudiziose osservazioni che ha fatto e di mettere in mostra ciò che v ha di esagerato o di poco esatto nel suo lavoro, - tanto più che, come ho già osservato, i raffronti sono difficilissimi, quando si tratta di documenti da lui scoperti e non ancora pubblicati. — Basti per ora 1’ osservare che tutto questo secondo libro, e specialmente la parte che tocca delle trattative di Carlo d’Angiò con Genova nel 1265, fallite per opera del partito ghibellino capitanato da Jacopo da Palude (i), è condotto con singolare cura, tiene conto dei risultati cui sono giunti recentemente il Merkel nel suo lavoro su Carlo d’ Angiò, degli studi del Minieri Riccio, di fi) Die Unruhen in Genua und Karl von Anjou. GIORNALE LIGUSTICO tutti i documenti che si sono pubblicati su questo argomento ed è una bella prova non solo dell’ erudizione, ma dell’ arguta critica dell’ Autore. Alla stessa maniera la narrazione della guerra con Venezia, che condusse alla battaglia di Trapani, della politica di Genova rispetto a Corradino di Svevia, della lega con Carlo d’Angiò (agosto 1864) per la mediazione di Luigi IX, delle trattative col santo re per la crociata che lo condusse a Cartagine, è fatta su fonti nuove ed importantissime, sui fascicoli dell’Archivio dell’Oriente Latino, sui documenti pubblicati dal Belgrano e dal D’Achery, e su molti altri trovati dal Caro stesso. Finalmente il terzo libro riprende il racconto dall’ istituzione del duplice Capitano del Popolo, e si occupa più specialmente delle cause che diedero origine alla guerra fra Genova e Carlo d’Angiò, insistendo sulla prevalenza ottenuta dai ghibellini sui guelfi nel rivolgimento della città e sulle conseguenze che esso ebbe per la politica coloniale e commerciale di Genova, e con ciò spiegando la condotta di Gregorio X, la lega di Genova con Pavia e con Asti (1273), la mediazione dei successivi pontefici Innocenzo V ed Adriano V. Una prova della somma diligenza dell’ A. nelle ricerche sue , s ha nel fatto che egli ha spogliato tutta la collezione del « Giornale Ligustico », i volumi degli « Atti della Società Ligure », tutte le opere, antiche e recenti che si sono pubblicate sulla storia di Liguria e che delle più piccole notizie ha saputo far tesoro. Le sue note, lunghe e numerose , sono vere miniere di erudizione, e se per 1’ uniformità dei caratteri tipografici, usati dalla Casa Niemeyer, e per 1’ abuso delle abbreviazioni, che costringe 1 lettori ad una grave fatica per ricordarne il significato, la lettura di esse riesce spesso pesante e fastidiosa, in compenso esse sono di grande utilità per gli studiosi, anche perchè, per ogni questione controversa, 1’ A. ha la lodevole abitudine di riportare i passi dei diversi scrittori. Aspettiamo con impazienza il secondo volume, che conterrà la storia dal 1272 al 1311 e l’appendice coi nuovi documenti scoperti dal Caro. Ritorneremo allora sull’ argomento, trattando con maggior ampiezza dei pregi di questo lavoro, che per la storia di Genova nel XIII secolo sarà più assai che un semplice contributo. Prof. Camillo Manfroni. Leynardi (Luigi) lì bello e l’arte idea d’una trattazione del bello. [Quantunque questo lavoretto, scritto con forbitezza di stile e con vedute nuove, non abbia alcuna relazione cogli studi che formano il programma del « Ligustico », tuttavia ne vogliamo far cenno perchè si riferisce ad un avvenimento d’interesse genovese. GIORNALE LIGUSTICO 339 Esso è infatti il discorso che 1’ amico nostro prof. Luigi Leynardi pronunziava addì 27 maggio di quest’anno per la sua aggregazione al Collegio di filosofia e lettere nella R. Università di Genova: discorso che riscosse il plauso dei numerosi intervenuti alla solenne cerimonia]. SPOGLIO DEI PERIODICI Rendiconto della R. Accademia dei Lincei S. 5.0 III. 4, 1894 Ghirar-dini G. Di un arcaico sepolcreto ligure scoperto nel territorio di Genova. [Mostra il contenuto di 2 tombe rinvenute presso Savignone e le classifica tra i sepolcreti liguri delle prime età del ferro]. Archivio Storico Italiano. S. 5.", 200, 1895 Rosi (Michele). — La congiura di Gerolamo Gentile. [Descrive la congiura del 1476 in cui G. Gentile, con intendimento di patriota, cercò invano di sottrarre Genova al dominio di Galeazzo Sforza. Seguono i documenti che mostrano infondati i sospetti dello Sforza che la Francia, il Pontefice e Ferdinando di Napoli avessero aiutato il Gentile, il quale si valse invece delle sole sue forze]. OPERE PERVENUTE AL « LIGUSTICO » Leynardi (Luigi) — Il bello e l’arte - idea di una trattazione del bello. Genova, Sordo-Muti 1896, op. in. 16 pp. 30. Ros»! (prof. Francesco). — Campodipietra. Ricerche storiche sulla vita di un comune del Molise nei documenti dei pubblici archivi. Napoli M. Gam-bella, 1896 1 voi. in 8 pp. 175. Paolettl (cav. Vincenzo). — Piacenza e Valnura non sono la patria di Giovanni e Domenico Colombo avo il primo e padre il secondo dell’Eroe Cristoforo Colombo - Polemiche sostenute nei giornali il Piccolo di Piacenza, l’Italia termale e la Fine di Secolo di Milano.... Milano, tip. d. Commercio 1895 opusc. in 8 pp. 26. Peragai10 (Prospero). —Disquisizioni Colombine - N.° 4. - La favola di Alonso Sanchez precursore e maestro di C. Colombo - Parte prima - con 340 GIORNALE LIGUSTICO appendice extra intorno a Giovanni Verrazzano erroneamente contuso col Corsaro Giovanni Flarin - Nuovo documento - Studi Storico-critici. Lisbona, tip. d. R. Accademia di Scienze 1886. 1 voi. in 8 pp. 102. Garavini (Antonio). — Difesa di Vincenzo Monti. Genova A. Donath editore (Savona tip. A. Ricci) 1889 1 voi. in 8 pp. 400. Nuovo Valico Appenninico. Savona - Sassello - Acqui — Relazione del Comitato Esecutivo eletto nel Comizio dei Cittadini di ogni ordine, tenutosi in Savona addì 17 Giugno 1894. Savona tip. A. Ricci, opusc. in 4 pp. 41, XVII alleg. e 2 carte. Luxoro (Tammar). — La premiazione nelle belle arti e Γ educazione artistica nella coltura generale [Estratto dalla « Rassegna Nazionale » 1896] op. in 8 pp. 56. Schiapacasse (Don. Nicolò). — Cravasco in Val di Polcevera. Cenni storici. San Pier d' Arena tip. Salesiana 1896. id. Gallaneto in Val di Polcevera, ibidem. Id. Pietra Lavezzara in Val di di Polcevera con un’ appendice sul Valico della Bocchetta. Cenni storici, ib. Atti della Accademia Ligustica di Belle Arti. Genova 1 Sordo-Muti 1896. (Continua). Il giorno 26 Luglio u. s. moriva in Sestri Levante il march, comm. Giacomo Balbi, fondatore in quella borgata dell’Asilo infantile Maria Teresa Balbi. Gli vennero fatti splendidi funerali, a cui parteciparono le Autorità, i rappresentanti della più pura Nobiltà ligustica e la popolazione, che nell’illustre estinto perde il suo più caritatevole benefattore. Rappresentava ai funerali la Società Ligure di Storia Patria, di cui il defunto era membro effettivo, il socio dott. Gio. Batta Bo, delegato telegraficamente dal Presidente, ora assente da Genova. Prof. Girolamo Bertolotto Direttore Responsabile. GIORNALE LIGUSTICO 341 DIARIO DELL’ASSEDIO DI GENOVA DEL 1800 (Anno 8.° repubblicano). Nessuno ignora quale fosse lo Stato d’Italia allorché Napoleone I, per stornare dalla sua persona i sospetti del Direttorio, agli ordini del quale troppo spesso aveva disobbedito , volle essere nominato comandante di quella pa^a impresa che fu la spedizione d’Egitto; credendosi con quella di potere colpire nel cuore la potenza del-V implacabile nemica di Francia. La rapidità fulminea colla quale erano state fatte le conquiste Napoleoniche in Italia violando diritti, tradizioni e giustizia, era già per sé stessa sicuro argomento per dedurne della loro poca stabilità; e non appena, infatti, la ferrea mano organizzatrice di quel nuovo ordine di cose venne a mancare, le conquiste si sfasciarono, i vecchi Sovrani rientrarono ne loro Stati dai quali, solo alla forza cedendo, erano stati espulsi, e la reazione infierì con tutti i suoi eccessi I Francesi guidati da Capitani inetti sono ovunque battuti. Rifugiali nell Alta Italia (1), Mechdonald sconfitto alla Trebbia, Jubert ucciso a Novi (2), sono costretti dalle truppe Austro-Russe (1) Botta, Storia d’Italia. Libro 17.° (2) Addasi in Cantù (C.), Corrispondenza diplomatica della Repubblica e del Regno d’Italia, pag. 228, 1’ annuncio che il Bossi dà al Visconti Ministro plenipotenziario presso la Repubblica Elvetica, di tale disatro. La lettera porta la data del 2 vendemmiale anno 8 (23 Settembre 1799). Giorn. Ligustico. Anno XXI. 342 GIORNALE LIGUSTICO a ricoverarsi in Genova che cinta dai Napoletani e dagli Inglesi per mare, dagli Austro-Russo-Piemontesi per terra, sostiene uno dei più duri assedi che la storia ricordi. Il Diario delPistoriografo Bossi (i) che va dal 26 Germinale al 15 Pratile, evoca col suo stile succinto gran parte della stona di quest' assedio e ce lo ripresenta con tutti i 'suoi orrori, colle eroiche resistente , colle privazioni senza nome, colle sperante affannose e le atroci disillusioni. Il Diario del Bossi non era destinato, per certo, alla pubblicità, e forse in questo sta specialmente il suo merito, di una spontaneità e d’una verità che diversamente si sarebbe invano cercata (2). Crediamo far cosa utile riprodurlo per intero : Libertà Eguaglianza REPUBBLICA CISALPINA. N. 68.° Genova li 26 al 30 Germinale Anno 8.° i.° al. 30 Fiorile i.° al 15 Pratile. Il Ministro Plenipotenziario della Repubblica Cisalpina presso la Repubblica Ligure al Direttorio Esecutivo della Repubblica Cisalpina. (1) Luigi Bossi nacque a Milano nel 1738 morì nel 1835. Come canonico della Basilica di S. Ambrogio di Milano pubblicò molte ed apprezzate opere canoniche. Entrato nella vita pubblica e sciolto da Pio VII dai Sacri Ordini non lasciò mai le scienze storiche, molto pubblicando, tra altro, per ricordare le più voluminose opere, una Storia d’Italia antica e moderna in 19 volumi in 8.°, ed una storia di Spagna in 8 volumi. (2) Merita speciale menzione la Istoria / del Blocco / di Genova / Nell’anno 1800 / dell’ èra francese VIII / scritta dal citt. Ang. Petracchi/ Genova 1800 / Stamperia Porcile e C., anno IV (sic) / — A pag. 6 è detto : « L’Autore ha cominciato, e continuato in gran parte quest’ Istoria a Nizza ; ov’ anche Γ avrebbe terminata, se gli strepitosi, e quasi incredibili avvenimenti d’Italia non l’avessero richiamato in Genova dopo pochi giorni». Fu presente all’evacuazione dei Francesi. — Cfr. anche il « Giornale delle operazioni militari dell’assedio e del blocco di Gen. », scritto da un uffic. gener. e trad. d. francese da C. Massucco, Genova 1880. N.d. R. GIORNALE LIGUSTICO 343 Cittadini Direttori! Dopo avere spedito il dispaccio N. 67 mi sono venute notizie favorevoli dal Ministro delle Relazioni Esteriori. Il Generale Soult scriveva al Governo Ligure, che aveva riportato dei vantaggi considerabili a Montenotte. Se noi riguadagniamo quel posto, il nimico non ha più ritirata. Sulla sera vi fu un forte combattimento fra due barche Cannoniere Inglesi e due Corsari Francesi. Non si intese altro dell’ armata. Vi osserverò con piacere , che quello, che nella giornata infelice delli 22 ha salvato tutto il Quartier. Generale facendo il piano in carta della sortita colla sciabla (sic) alla mano, dirigendone tutta 1’ esecuzione è stato un Italiano, il cittadino Belpulsy Napoletano Capitano aggiunto allo Stato Maggiore; quello stesso che, avrete visto tra i membri della Commissione da me nominata per la distribuzione delle L. 12 mila. Egli ha avuto il suo cavallo morto nell’ azione medesima, il Generale in capo gliene ha regalato uno sul momento, facendoglisi in quaLhe modo debitore della propria salvezza, commendandolo ampiamente, e non si dubita, che questo bravo Uffiziale avrà una promozione molto onorevole. 27 detto. — Continua lo stato d’ incertezza, e d’inquietudine. Arriva il generale Fressinet ferito, non però gravemente. Le navi Inglesi sono ancora nelle prime posizioni. Si sente, che 1ΓGeneral Oudinot è passato nella notte ad assistere nel comando del centro il General Suchet. Si sente, che il Generale in capo abbia dovuto nella giornata d’ ieri ritrocedere per qualehe miglio, ma che questa mattina abbia ripreso la linea di Cogoletto. Noi ci battiamo nella proporzione di 1 contro 5, e si può dire, che la battaglia continua da 11 giorni. Oggi si battono anche in Levante a vista delle mura. Arrivano da quella parte dei disertori, perchè noi manchiamo di pane, ed i Tedeschi pure ne hanno penuria. La sera cattive nuove. 344 GIORNALE LIGUSTICO Arriva il Generale in capo. La colonna sua, e quella di Soult hanno dovuto ripiegare fino a Voltri, ov’ è il Quartiere Generale di Soult ; quello di Massena è a Genova. La situazione nostra è la più trista possibile , tanto più, che la penuria dei viveri cresce ogni giorno. Si vedono per la Città dei soldati francesi senza razioni e senza paga che domandano la limosina. 28 detto. — Alla mattina presento a Massena diversi po-triotti Genovesi, e Francesi, che si offrono d’armarsi, e di uscir fuori colla Truppa di Linea. La proposizione è aggradita, ed io mi concerto col Comandante della Piazza d’ Ordine del Generale in capo per 1’ esecuzione. Si sente verso Savona un grandissimo cannonamento. Muore il General Marbot della malattia epidemica. Al Generale Gardanne ferito si taglia una gamba. Alla sera si vede un fuoco terribile di moschetteria sulla montagna di Sestri, che continua anche per qualche tempo della notte sostenuto dal cannonamento delle barche inglesi. 29 detto. — La divisione Soult, che restava a Voltri, che è stata inviluppata dai Tedeschi, e che si è liberata, è in piena ritirata sopra Genova. Massena parte alle 4 della mattina; ritorna alle 10 con Soult. I Tedeschi sono molto vicini alla Città. Noi non abbiamo al più che 5 mila uomini combattenti ed essi hanno ricevuto dei rinforzi considerabili. La Porta Pila è murata. Alla porta Romana si è fatto un ponte levatoio. Molto timore, ma la Città è tranquilla. 30 detto. — I Tedeschi giungono fino a Cornigliano, dove i Francesi restano di qua dal ponte. Si sente alla mattina il cannone verso Noli. I Tedeschi, ossia gli emigrati Genovesi, che sono seco loro, tra i quali è il famoso Generale Assereto, hanno già spedito un parlamentario ad intimarci la resa. A me fa più paura la mancanza delle sussistenze, che non il numero de’ nimici. Sono requisiti tutti i Molini a mano, si fa il pane coll’ acqua di crusca ; non si vende che 24 ore dopo, GIORNALE LIGUSTICO 345 che è fatto, e non se ne danno che due soldi a testa, il che vuol dire un boccone. Cominciano a sparire anche gli altri commestibili. Non abbiamo carni, che per otto giorni. Partono diversi bastimenti neutrali Danesi, e Svedesi. Io m’interesso per far partire con essi alcuni patriotti più timidi, ma mi credo in dovere di restare fino all’ ultimo. Ho anche ottenuto oggi di far pubblicare per editto, che i rifugiati Italiani, che si armano, sia per difesa della tranquillità interna, sia per seguire la truppa di linea , sono messi in sussistenza , e riguardati come parte della truppa Francese. Questo non è poco nel momento presente. La Commissione di Governo ha staccati tre dei suoi membri, che siedono presso il Generale in capo, ed a questi sono commesse tutte le facoltà per otto giorni. Segue fino alla sera il cannonamento verso Noli. i.° Fiorile. — Per mancanza delle sussistenze, si restituiscono i prigionieri. Gran movimento nelle truppe, che ci rimangono. Oggi comincio a mancare io stesso di pane, e di riso. Una libbra di carne si vende trenta soldi. Io presento al Governo un progetto per rendere più servibili, e meno dispendiosi i molini a mano, che sono insufficienti al bisogno, per mezzo di alcuni meccanismi ingegnosamente proposti dal Cittadino Beccaria nostro Commissario di Guerra, ed Artista della scuola del Genio. Il progetto è aggradito, il Comitato delle sussistenze s’intende col Cittadino Beccaria, ed io ricevo dal Governo molti ringraziamenti (i). Anche alcune osservazioni fatte da me alla Polizia sono state subito secondate. 2 detto. — Si aspettava un attacco questa mattina, ma non succede. Massena sorte verso la Polcevera. Arriva un battello da Alassio, che porta nuove da quella parte, ma non dispacci pel Generale in capo. Finale è in mano dei Francesi; si dice (I) Botta. Storia d’Italia, Libro 19, pag. 255. Questo Beccaria è fratello del celebre autore del libro « dei delitti e delle pene ». 346 GIORNALE LIGUSTICO anche che siano padroni del monte S. Giacomo. Si disti i-buisce molto vino alla truppa, questo porta molti eccessi, tra gli altri il sacco di alcune case di Lavandaie luori delle poite, che produce in Cittìi molto malcontento. Il General in capo si interessa con un proclama per dar soddisfazione ai Cittadini. Un certo Vescovi di Ferrara che era già stato prigione per sospetto, è sorpreso in un battello nell’atto di passare al nemico, ed è imprigionato di nuovo. Alla sera un Vascello Inglese di 80 cannoni si avvicina alle mura a '/2 tiro di cannone. Si lascia passare liberamente, e non si tirano che due colpi dalla Lanterna sopra la lancia del Vascello, quand è già troppo lontana. Il generale in capo ha ricevuto per un parlamentario una lettera graziosissima del General Alelas, nella quale si rimette a lui interamente il fissare i termini della capitolazione. La risposta di Massena è, che si sente ancora in misura per battersi (1). (1) La risposta originale di Massena si conserva al Museo Civico del Palazzo Bianco in Genova e noi la riproduciamo qui per intiero. Liberté Égalité Parti à.....heure minute..........ARMÉE D’ITALIE. Au quartier-Génèral de Gines le i~r Fiorèal Au S.° de la Republique Française une et indivisible. Massena Général en Chef, à Monsieur le Général de la Cavalerie, Baron De Mêlas. Monsieur le Général, J’ai reçu la lettre que vous m’avez fait l’honneur de m’écrire par laquelle vous m’offrez une Capitulation honorable ; je n’en suis pas encore là, Général ; il me reste assez de troupes pour vous prouver que je peus me défendre; le Général Suchet fut il battu, ce que j’ai bien de la peine à croire. Recevez, Monsieur le Général le témoignage de ma parfaite considération avec laquelle, j’ai l’honneur d’être. Général Votre très-humble serviteur Massena. GIORNALE LIGUSTICO 347 3 detto. — All’ alba del giorno i Tedeschi attaccano con grandissima forza il Ponte di Cornigliano; prendono i nostri cannoni, occupano San Pier d’Arena, e giungono fino al Ponte Levatoio sotto la Lanterna. Accorrono i Francesi, e dopo un ostinato combattimento respingono il nemico fino alle prime posizioni. I Tedeschi perdono in questo incontro 600 uomini, morti, feriti, o prigionieri, tra 1 quali 15 ufficiali ed un colonnello. Noi abbiamo perduto trenta, o quarant’uomini. Arriva una lancia Inglese parlamentaria, che riparte dopo un’ ora con una barca Francese, ed il Console d’America, dicesi per affari di commercio, specialmente di alcune cambiali. Seguono delle piccole scaramuccie in varie parti, specialmente in Levante. La flotta Inglese si tiene vicinissima al Porto. Il Generale in capo pubblica un proclama colla copia della sua risposta a Melas. 4 detto. — Siamo risvegliati sul far del giorno dai replicati colpi di grosso cannone: erano questi procedenti da due cannoniere Inglesi, che si erano avvicinate a terra per inquietare i nostri nella costruzione di alcune opere; contro di esse la Batteria della Lanterna lece molto fuoco, e le "forzò a ritirarsi. Dopo un ora in circa, nuove cannonate: arrivano due gozzi da Ponente, contro le quali si mossero le lancie dei Vascelli Inglesi; malgrado il fuoco della Lanterna uno, che portava l’aiutante del Generale Oudinot fu predato, 1’ altro arrivò in Porto, e portò i dispacci, dai quali seppimo, che il forte di Savona eia stato approvvigionato per un mese; che Suchet avea avuto dei vantaggi, e fatti molti prigionieri, che Oudinot era presso di lui, che arrivavano molti rinforzi dalla Francia, che l’armata di riserva si era mossa, e discendeva in Italia per la Valle d Aosta, che il Mont Cenis era ripreso. Quest’ ultima nuova, che mi avvisava della presa antecedentemente fatta dal nemico, mi fece dubitare, che voi aveste dovuto soffrire qualche inquietudine, mentre io, in mezzo a tutte le disgrazie, invidiavo la vostra residenza. Queste nuove subito pubblicate cagiona- 348 GIORNALE LIGUSTICO rono una gioia universale. Io nella mattina con vari ufficiali dello Stato Maggiore andai a visitare i forti all intorno della Città: vidi in tal incontro cinqne campi di Tedeschi e d’insorgenti sulle alture vicine, e sotto le mura ; si fece qualche fucilata e qualche colpo di cannone, ma senza effetto. Da alcuni giorni si tengono chiuse tutte le botteghe de mercanti ; oggi sorte un editto per farle riaprire, ma produce poco effetto. La sera viene una pioggia forte con vento, e sforza tutti gli Inglesi a prendere il largo. 5 detto. — Verso mezzanotte una spia viene a riferire, che i Tedeschi, profittando dell’oscurità della notte, e del tempo cattivo si dispongono ad attaccare, e forse a tentar di scalare il forte Richelieu. Si mandano fuori circa quattro mila uomini, sorte Massena medesimo, tutta la truppa è sull’armi, ma non segue alcun attacco. Si sono cercati i patriotti per rinforzare la guardia alle Porte; di 100 comparsi la paura ne ha lasciati fazionare solo 18. Io debbo dirvi a questo proposito, che sono mortifìcatissimo del poco ardore, e del nissun coraggio mostrato in questa "'occasione da persone, che dovrebbero essere più di tutte interessate a dar mano alla loro salvezza. Contenti di vane parole, e di gridi insensati, non hanno fatto alcuno sforzo per assistere la poca truppa di linea che abbiamo, malgrado gli inviti del General in capo, e le mie esortazioni. È vero, che la nomina dei loro ufficiali, nella quale ha peccato moltissimo Trivulzi (i), essendo fatta di persone senza credito, alcune anche infami, ha contribuito molto a disgustarli. Pare una fatalità, che le scelte si facciano alla peggio. Prima delle ostilità si era fatto in San Pier d’Arena sulle mie rappresentazioni un deposito dei militari Cisalpini, 1 istituzione non potea essere più opportuna ; ma si è messo alla testa quel (i) 11 Trivulzio era venuto appositamente da Nizza a Genova per comandarvi le Guardie Nazionali. Turotti. Storia d’Italia, Cap. I, pag. 98. GIORNALE LIGUSTICO 349 Galliari, che fu a Chambery, ubbriaco tutte le sere, il quale si elesse per aggiunto Γ ex-ballerino Ballon, ubbriaco mattina e sera, ed il deposito oltre essere malissimo diretto, diventò il ridicolo universale. Il Cittadino Demestre è stato aggiunto allo Stato Maggiore. Io stesso Γ ho presentato a Massena. Torno alle cose del giorno. Sorte un Editto, che vi compiego dal quale vedrete meglio la nostra situazione. Prima di questo erano stati fatti altri regolamenti di polizia, tra gli altri si erano portate via le chiavi di tutti i campanili, e proibito rigorosamente il suono di qualunque campana. Sento oggi, che il parlamentario Inglese ha portato una formale intimazione, ossia une sommation de se rendre. I Tedeschi continuano ad unire delle scale; diventa seria sempre più la minaccia della scalata. Pare, che il nimico voglia affrettarsi a tentar qualche colpo. Continua tutta la giornata un tempo orribile ; ciononostante si fanno dalla parte del Levante continue scaramuccie. 6 detto. — Nulla di nuovo nella notte, se non una estrema vigilanza nella Città. Entra in porto col favore del tempo cattivo, che allontana gli Inglesi, un bastimento di Sardegna con 800 mine, o sacchi di grano. Non v’ è più carne, che pei malati. Il pane costa circa 40 soldi ogni 12 oncie. Gli erbaggi, ed il pesce son pure divenuti rarissimi, e a carissimo prezzo per la ristrettezza del blocco. Oggi si è preteso di scoprire un complotto, in virtù del quale gli Inglesi dovessero sbarcare in un luogo delle mura, che era realmente fuori di qualunque tiro delle batterie. Si sono prese anche per questo delle misure. Si è dubitato di qualche attacco contro il forte Richelieu, ma le sole precauzioni prese hanno contenuto il nemico. 7 detto. — Gli Inglesi sono tornati vicini. Una fregata questa mattina si è accostata fino a tiro di cannone , gli si sono sparati contro 5 colpi, e si è allontanata. Una nave di linea è tornata alla medesima altura, e vi si è conservata tutto il giorno. Verso mezzodì Massena è sortito con della truppa 550 GIORNALE LIGUSTICO verso Cornegliano, ha fatto una ricognizione fino a due, o tre miglia lontano e si è ritirato. Non abbiamo avuto che un uomo morto, ed alcuni feriti. Da Levante i Tedeschi s eiano avanzati, ma avendo veduto uscir delle truppe dalla porta della Città, si sono ritirati. Quanto male si son portati i patriotti rifugiati altrettanto bene si son mostrati i Liguri : ve ne sono già 1600 armati, pronti a qualunque spedizione, e si spera che cresceranno del doppio. 8 detto. — Massena è andato di buon mattino alla visita dei Forti. Si vede un convoglio considerabile, che si crede Inglese , dalla parte di Levante. Si teme che sia o truppa di rinforzo o artiglieria. Si crede anche d’avere scopeito un Brulotto, che certo è disposto per incendiare il nostro porto. Tutti i corsari, ed una cannoniera Ligure stanno guardandone gelosamente l’imboccatura. Si è tentata realmente la scalata o . per parce dei Tedeschi al Forte del Diamante, ma sono stati respinti con perdita. È morto di paura e di inquietudine il padre del General Lechi. Un imprudente, o forse uno scellerato, che in mezzo alla loggia di Banchi abbassò una carabina contro d’ un altro, cagionò un allarme, che si sparse rapidamente per tutta la Città fin fuori delle porte senza che se ne sapesse il motivo. Tutte le botteghe si chiusero in un momento, tutti per le strade fuggirono, urtandosi tra loro, tutte le porte furono chiuse, finalmente alcune pattuglie ristabilirono la tranquillità, e fu anche arrestato chi aveva cagionato il tumulto. 9 Fiorile. — Nulla di rimarchevole nella giornata. La sera si ha Γ avviso, che alla notte si sarebbe attaccato dal nemico su vari punti. 10 Fiorile.— Cittadini Direttori: io non posso sufficiente-mente spiegarvi l’orrore di questa giornata, nè il valore, che hanno mostrato i soldati Francesi, e molti Patriotti tanto Liguri che rifugiati. Alle tre e mezza della mattina siamo stati GIORNALE LIGUSTICO 3 51 attaccati da tatte le parti da un corpo di 15 in 20 mila uomini Tedeschi, e Piemontesi; il fuoco più terribile ha durato 15 ore, e più. Io sono uscito di casa tra le 4 e le 5 : il Forte della Tenaglia, quello dello Sperone, quello dei Casoni, quello del Zerbino, quello del Diamante, quello di Richelieu, quello di Santa Tecla, quello del Vento, di Quezzi ed altti fortini minori, tutti erano investiti , e tutti vomitavano il fuoco a guisa di Vulcani. Mentre succedeva questo sulla corona dei monti, gl’inglesi s’approssimavano colle navi alle mura onde conveniva far fuoco anche dalle batterie del Porto : io non vi posso descrivere la grandiosità di questo'spettacolo di morte, e Massena medesimo ha detto de n avoir jamais vìi une journée plus chaude. A tre ore e mezza è sortito dalla parte della Lanterna, l’attacco da quella parte era falso, ma i Tedeschi vi lasciarono non pertanto 500 uomini. L’attacco più forte fu verso il forte Richelieu; mentre tutti i forti erano impegnatissimi a difendersi dagli assalti replicati, che si davano ad essi con tutto 1 ardore, il forte Richelieu fu cinto per quattro volte, e non si liberò, che per una vigorosa sortita della piccolissima guarnigione. Ogni pugno d’ uomini, che così si potevano chiamare le nostre colonne, ha fatto prodigi di valore, che sembrano incredibili. A sei ore fu battuta la Generale in tutta la Città. Due ore dopo non v’ era più un fucile in alcuna armeria 0 deposito; tutti piesero le armi, e si formarono in numerose pattuglie tanto per guardia della Città, come delle mura; molti Liguri, ed alcuni patriotti rifugiati si misero nelle file dei Francesi medesimi, e sortirono coraggiosamente a combattere ; tutti gli altri rifugiati restarono al servizio interno. Io girai di continuo le mura per incoraggiarli a non lasciare i loro posti, come era successo nella notte dalli 4 alli 5 ; e veramente debbo dire, che si condussero benissimo in questa giornata, e meritarono la maggior lode. I nimici furono respinti da tutti i punti delle mura, malgrado 1’ ostinazione dei Tedeschi, e più 352 GIORNALE LIGUSTICO ancora dei Piemontesi, che resistevano colla maggior fermezza anche sotto il cannone a mitraglia; ma verso il mezzogiorno essi arrivarono non pertanto ad impadronirsi di un torte diroccato, detto dei Ratti, che offre una vantaggiosissima situazione, e poco dopo occuparono la montagna dei due Fratelli, altro posto di somma importanza. Nuovo travaglio per i nostri poveri soldati ; Massena, e Soult gli spinsero alla baionetta a riacquistare 1 posti; e nei medesimi successero i combattimenti più sanguinosi, e più ostinati. Il forte de’ Ratti fu preso in meno d’ un’ ora; ma ai due Fratelli il fuoco dei tedeschi continuò fino alle 7 della sera, ed allora solo i nostri si resero padroni di tutte due le alture, presero due grossi cannoni con molte munizioni, ed i Tedeschi furono messi in piena rotta, bersagliati nella loro fuga dal cannone di tutti i forti , sotto i quali passavano, e cacciati fino al di là delle loro posizioni antiche. Alla sera entrò il Generale in capo a cavallo dalla Porta di Levante, in mezzo a tutto lo Stato Maggiore, ed alle sue guide, e fu ricevuto tra gli applausi generali dei cittadini come in trionfo. Lo seguiva una bandiera del Re di Sardegna, presa al Reggimento d’Asti, stato interamente distrutto, ed una lunga schiera di prigionieri, di circa 1500 tra i quali molti ufficiali, tutto lo Stato Maggiore del suddetto Reggimento, e circa 70 Piemontesi. Duecento cinquanta prigionieri Tedeschi erano arrivati nella mattina; Soulet ne introduceva esso pure gran numero dalla parte di Ponente ; insomma tra morti (dei quali è certo il maggior numero, essendone tutto coperto il piede delle mura, e le alture vicine) feriti, e prigionieri, si calcolano circa 8 mila uomini perduti dai nimico in questa giornata; e noi per una grandissima fortuna non ne abbiamo perduto un migliaio. Massena era cosi contento di questo successo , che in ogni atto faceva trasparire la sua gioia, e diceva a tutti di non ricordarsi egli stesso di una giornata, in cui gli Austriaci GIORNALE LIGUSTICO 353 fossero stati tanto maltrattati. Mentre le palle di cannone, e le bombe volavano da ogni parte, una di queste cadde fortunatamente tra una fregata Inglese, e la lancia che si trascinava appresso: questo colpo, che a due braccia di distanza avrebbe deciso assolutamente della nave, persuase gli inglesi ad allontanarsi, e non tornarono vicini, che sulla sera. I Generali Massena, Soult, Miollis ed Arnaud si sono distinti sopra tutti gli altri per la loro attività, e per la loro presenza continua ai maggiori pericoli. Il Cittadino Balubio Aiutante di Campo di Massena si è benissimo condotto nella ripresa del Forte dei Ratti : Γ occupazione dei due Fratelli si deve sopratutto all Aiutante Generale Fantuzzi, che ha condotto la colonna all assalto con una intrepidità singolare. Vi scrivo questi dettagli, perchè abbiate il piacere d’intendere, che questi, come anche tutti gli altri Cisalpini, che.hanno preso parte all’azione, si sono distinti. Tutti hanno avuti gli abiti traforati dalle palle ma nissuno dei nostri è stato ferito, a riserva di un Capitano Cremonese, di cui non so il nome. I Genovesi pure si sono merita:i moltissima lode, perchè non solo la Città è sempre stata tranquilla durante tutta l’azione, ma quelle classi, e quelle persone medesime, che si credevano malintenzionate, e non affette alla causa, si sono pronunziate fortemente contro i Tedeschi, riguardati in questo momento, come nimici comuni. Viva la Repubblica ; ma eh’ io non veda più una simile giornata! (i) li Fiorile. — Nulla di importante. Si è pubblicato da Mas-sena il rapporto dell azione d’ieri. Si rileva dalle deposizioni dei pi igionieri, e dei disertori, che i Tedeschi aveano promesso ai soldati, che han dato 1’ assalto a Genova, 5 fiorini a testa da prendersi sulle contribuzioni, che si sarebbero imposte, ed il saccheggio per due giorni. Il forte del Diamante nella (1) Botta, op. cit., Tomo 19, pag. 252. 3 54 GIORNALE LIGUSTICO giornata d’ieri ha ricevuto quattro volte Γ intimazione di rendersi dal Principe d’ Hohenzollern. 12 detto. — Cambia la scena. Massena, (non posso veramente dirvi per qual ragione, e con qual fine,) attacca alle 3 e '/2 della mattina con un pugno d’uomini i Tedeschi in Polcevera nei loro trinceramenti fortissimi. Io sono stato spettatore dell’ azione, e questa è stata per noi disgraziata ; al principio abbiamo avuto qualche vantaggio; ma rinforzati i Tedeschi da un Reggimento fresco ci hanno respinti, con perdita. Il fuoco loro era terribile, e sostenuto, e noi non avevamo che opporre loro a riserva del cannone delle nostre mura, che era per lo più fuori di portata. Abbiamo avuti molti morti, e molti feriti. Il bravo aiutante generale Fantuzzi è rimasto morto sul campo, così due aiutanti del Generale Gazan. Il generale medesimo è stato ferito; sono pure stati feriti i due ufficiali Cisalpini Gasparinetti e Foscolo aiutanti di Fantuzzi. Verso le nove ore la truppa si battè in ritirata, e rientra, in Città. Rientra pure il generale in capo. Si può dire riguardo alle posizioni, che non abbiamo vinto, nè perduto; ma attesa la nostra debolezza, questo è sempre un gran danno. Dopo l’azione il Ministro di Spagna con un Parlamentario, e quattro guide del Generale in capo è passato al campo nemico, dicesi per affari dei suoi Corrieri, che sono stati arrestati a Novi. Si fanno con sollecitudine de’ trincieramenti ai posti più importanti , che guardano le mura. 13 Fiorile. — Nella notte è arrivato un’Aiutante Generale proveniente da Nizza, poi da Savona (sic). Egli conferma tutte le nuove portate nel giorno 4; annunzia, che F armata di riserva è già in marcia, e che presto arriverà in Piemonte. Massena pubblica queste nuove, avvisando i Liguri, che la loro liberazione è prossima. Un Corsaro Russo si avvicina la sera fino alla bocca del Porto : gli si tirano vari colpi di cannone, ma non è tocco da alcuno, e si ritira con tutto comodo. GIORNALE LIGUSTICO 5 55 14 detto. — Una lettera d’Alessandria giunta nella notte porta, che i Francesi sono a Susa. Si aspettava oggi un nuovo assalto degli Austriaci, ma nulla accade. Giunge un loro parlamentario non si sa per quale oggetto. Il Ministro di Spagna è stato rimandato dal Generale Melas, che non ha voluto riceverlo. Il pane è a 4 soldi l’oncia; farina e legumi non se ne vede più , si sono mangiati alcuni cavalli uccisi nel fatto delli 12 agli Austriaci. Alcune navi Inglesi hanno fatto rotta per Levante, il blocco è però ancora strettissimo. 15 detto. — Sul far del giorno segue una scaramuccia in Levante di poca conseguenza. I Tedeschi si ritirano sul monte delle Fascie. Si sente, che il General Melas sia passato in Piemonte, lasciando Otto, ed Hohenzollern al comando dell’armata, che ci circonda. Gli Inglesi sono tornati a comparire con 16 vascelli, ed hanno brutalmente distrutte le reti dei nostri pescatori , onde è cessata anche la scarsa risorsa del pesce. Si comincia a mangiare i cani, ed i gatti. Io sono alla disperazione , perchè non ho più un soldo ; non trovo più credito per le circostanze, e quei medesimi, che me ne hanno fatto sulla ultima cambiale, che ho tirato sopra Milano, di cui non si è più saputo nuova, temendo di avvenimenti disgraziati, mi domandano il danaro avanzato appoggiandosi alle circostanze del momento. Io non so più quel che mi faccia, tanto più , che la mancanza di mezzi potrebbe espormi al rischio di restar prigione degli Austriaci, se la Città fosse presa. Converrebbe fare un quadro di questa situazione alla arci-patriottica Commissione di Parigi che mi ha disputato e che mi ha negato finora ogni soccorso (1). Rientro nel mio proposito di non parlarvi d economia ; linguaggio che voi non avete abbastanza valutato a tempo debito. (1) λ edasi in proposito la lettera che, da Genova, il 12 Agosto 1799 il Bossi scriveva al Direttorio della Repubblica Cisalpina (Cantù, opera citata, Tomo I, p. 225J. ?S6 GIORNALE LIGUSTICO 16 Fiorile. — Si è organizzata una sezione ausiliaria composta di Polacchi (i) prigionieri per la maggior parte, di qualche disertore Tedesco, e Italiano, di qualche Ligure, di qualche Piemontese, e di pochissimi Cisalpini. L comandata dal Cttadino Rosignoli Capo-Brigata. I patriotti rifugiati fanno ora la guardia internamente J ma non vogliono a qualunque costo arruolarsi in corpi per sortire. Si sente quasi tutta la gioì nata il cannone dei Forti. Alla sera gli Inglesi vanno tutti verso Levante. 17 detto. — Gli Inglesi ricompaiono; essi debbono aver eseguiti nella notte dei trasporti di truppe da Levante a Ponente. La fame cresce, i commestibili diventano più rari. Non v* è più nè legna, nè carbone; questi generi si vendono 6 soldi ogni 12 oncie. Si vedono delle persone cadute pei istrada per debolezza, e languore. L’epidemia venuta qui da Nizza fa pure qualche strage. Ieri un nostro Capitano del Genio Cisalpino, chiamato Brognoligo, attaccato da questa malattia, si è gettato nel delirio da un balcone del 4.0 piano ed è morto poco dopo. La truppa soffre le più grandi privazioni, e tutti le soffrono egualmente. Arriva un battello da Savona con alcuni barili di polvere : quel iorte e ancora approvvi gionato per qualche giorno. 18 detto. — Alle 3 e ‘/2 della mattina sei barche cannoniere e due lancie tutte Napoletane hanno fatto un fortissimo attacco presso alla Lanterna; in un’ ora e mezza hanno spaiato più di 1000 colpi di cannone e varie bombe. Una batteria nostra, che era alla spiaggia, la Lanterna, e due corsari fi ancesi hanno risposto molto bene ai Napoletani; una cannoniera loio (i) È nota la generosità dei Polacchi che si trovavano in Genova comandati da Dombrowski ; benché ridotti a mal partito perchè non pagati aprirono una sottoscrizione e raccolsero parecchie centinaia di lire che consegnarono al Bossi stesso affinchè le ripartisse fra i rifugiati politici. (Turotti, Storia d'Italia, Vol. I, Cap. 1pag. 97-98). GIORNALE LIGUSTICO 357 è stata moltissimo danneggiata e verso le sei si sono tutte ritirate. Noi non abbiamo avuto, che due feriti nella batteria. Questa mattina oltre tutte le navi d’ieri abbiamo anche 15 navi di trasporto Napoletane. Il nostro stato per la scarsezza, anzi per la mancanza totale delle sussistenze, diventa sempre più critico. Io tra la scarsezza e la cattiva qualità del nutrimento, essendo il pane fatto di amido, e grano germogliato , tra la mancanza assoluta del danaro, clic mi dà angustie mortali , tra la veglia continua, sentendosi il cannone tutta la notte, tra Γ inquietudine della situazione, sono diventato come una mummia e temo di soffrire nella salute. Oggi è stato improvvisamente dimesso il Comandante di Piazza De Giovanni, ed e sostituito il Capo-Brigata Pougin. Sono pure rimossi due membri della Commissione di Governo li Cittadini Celesia e Straforello, e sostituiti li Cittadini Boccardo ed Emanuele Gnecco. 19 detto. — Questa notte la liberalità dei Napoletani ci ha giatihcato di circa 200 bombe e moltissime cannonate, che sono andate a cadeie sopra diverse case di Bisagno, e di Al-baro. Si è risposto dalle nostre batterie e dai Corsari ed il fracasso è stato spaventoso. Alla mattina Massena fa pubblicare un 1 apporto, dal quale risulta, che Melas si è allontanato con 11 mila uomini, e che Berthier ha battuto gli Austriaci tra Susa e Torino. Dal forte dello Sperone si sente il cannone verso il Piemonte. Oggi sono morte alcune persone dalla fame; dove si distribuisce il pane si rompono delle braccia e delle gambe. Sulla sera si vide molto fuoco verso Savona, si crede una sortita fatta dalla guarnigione. 20 detto. — 1er sera le barche cannoniere si son messe in ordine di battaglia ; nella notte però non è successo alcuna cosa. Si sono messe alcune contribuzioni, che hanno molto scontentato il popolo. Le navi sono ancora alla vista in grandissimo numero. Giorn. Ligustico, .inno XXI GIORNALE LIGUSTICO 2 [ Fiorile. — Si attacca all’alba del giorno dai Francesi dalla pane del Levante. I Tedeschi sono respinti. Si battè in Città la generale ; tutti i posti interni sono occupati dalla Guardia Nazionale, e da Patriotti per lasciar libera la tiuppa di linea. Massena alla testa di poca truppa attacca un monte al di là della Sturla, ov’ erano trincierati fortemente 1 Tedeschi. L’attacco non riesce, ed è costretto a rinculare con qualche perdita. I Tedeschi lo incalzano da tutte le parti, e lo fanno rientrare nella prima linea; ma intanto il generale Soult, girando attorno'alla montagna colla sua divisione li prende alle spalle, la battaglia dura quasi tutto il giorno; Massena pure riprende 1 offensiva sulla sera, e finisce col riportare una compita vittoria, incalcolabile per le sue conseguenze. Prima di mezzanotte arrivano circa tremila prigionieri, tra i quali 80 ufficiali, e tutto 10 Stato Maggiore del Reggimento Kray , tutte le tende , le armi, ed i bagagli, insomma tutto il campo dei Tedeschi. Si calcolano rimasti sul campo tra morti e feriti circa 1000 uomini, in una parola non c’ è più dalla parte del Levante alcun coi po di truppa Tedesca, nè Piemontese. Il più singolare si è, che noi non abbiamo avuto, che pochissimi morti, e un centinaio in circa di feriti il che è un vantaggio grandissimo nella scarsezza d’uomini, in cui siamo al presente. Pare veramente un prodigio come questa vittoria si sia ottenuta con un pugno d’uomini, gran parte dei quali ha ricusato anche di battersi per timore, il che succede già per la seconda volta. Io ero fuori alla coda dell’armata, e vedevo da tutte le parti gente che si nascondeva e che fuggiva : al ponte del Bisagno c erano le Guardie appostate per non lasciarli rientrare in Città, e quando io sono rientrato, come ero nel mio unifoime, mi si buttavano ai piedi credendomi uno dei loro Generali, peichè 11 facessi passare sotto pretesto di debolezza o di malattia. Quelli che si sono battuti, han fatto prodigi di valore, e si è distinto singolarmente in questa azione il Generale Soult. Alla GIORNALE LIGUSTICO 359 sera si è ordinata illuminazione e le bande militari hanno girato tutta la notte per rallegrare la Città. Si sperano domani nuovi vantaggi e si spera di tirare qualche provvisione dai paesi della Riviera resi liberi, giacché qui non si trova più pane per qualunque prezzo. 22 detto. — Alle 2 della mattina i Tedeschi tentano di dar 1 assalto al Forte della Tanaglia. Sorte la guarnigione e dopo un vivo combattimento i Tedeschi sono respinti con perdita di circa 300 uomini, 60 prigionieri, ed un cannone. Entrano ancora alcuni prigionieri dalla parte del Levante. Il _ mare si la grosso assai per un fortissimo Greco-Levante, e le navi Inglesi, e Napoletane sono costrette a prendere il largo il che ci dà speranza dell arrivo di qualche carico di viveri. Queste Navi nella giornata di ieri hanno sparato più di 300 colpi di cannone sulla riva, ov’ erano i nostri soldati, ma nissuna palla è arrivata a fare alcun danno. A mezzodì si fa una salva generale della nostra artiglieria per la vittoria d’ieri. Alla sera torna il mare in calma, e le navi si accostano tanto a terra, che dalla Lanterna si tirano diversi colpi di cannone sopra due Fregate Inglesi. 23 detto. — Giornata infelice. Alla mattina si pongono sulli sei Ospedali che abbiamo in Città altrettante bandiere nere, perchè siano rispettati dal nimico negli attacchi. Si sparge che gli Inglesi si dispongano a bombardare il centro della Città medesima. A 8 ore in circa sorte tutta la truppa Francese dalla parte del Bisagno, e si porta ad attaccare i Tedeschi tra il Bisagno, e la Polcevera (1). A mezzodì si batte in Città la Generale, e si fa armare tutto il popolo sotto pena di 15 giorni d’arresto. Quest’ ordine produce pochissimo effetto. Dopo mezzodì segue Γ attacco al campo dei Tedeschi di Cretto ; i (i) Massena aveva in animo, con tale attacco, di acquistare il monte Creto, sito eminente e passo comune da Levante a Ponente. 360 GIORNALE LIGUSTICO ridutti sono superati, ma mentre i nostri si rendono padroni del campo, il Generale Soult, che comandava la spedizione, vien ferito in un ginocchio , cade di cavallo , e tutta la sua truppa , non essendovi più chi la comandi, si dà ad una ritirata precipitosa: i Tedeschi ripigliano il campo, e fanno prigioniero il General Soult, suo fratello ed alcuni Granatieri. Anche il generale Gauthier rimane gravemente ferito in una spalla. Si perde tutto il frutto della giornata che sarebbe stato grandissimo; si conducono ciononostante più di 300 prigionieri. Ma la perdita di Soult è della maggior conseguenza ; il Generale in capo ne è molto amareggiato. Il soldato in generale rifiuta di battersi, e non ubbidisce più ai suoi capi perchè non è nutrito, appena avea un resto di confidenza in Soult (1). Ieri ne sono morti due per le strade dalla fame (2). Oggi in una strada detta a Pré vi è stato un forte tumulto per la fame, mosso in gran parte dalle donne, la sola forza armata ha potuto dissiparlo. Io non ho più pane da due giorni e non mi resta per tutto avere che uua piccola porzione di carne salata di porco. Oh Cittadini Direttori, se sapeste che cosa è fame! e quale spettacolo d’orrore è una Città affamata! Voi mi perdonereste facilmente i tratti di mal umore di cui troverete sparso questo dispaccio, se pure vi arriverà senza che ve lo porti io stesso, del che temo moltissimo. 24 Fiorile. — Gran cannonamento la notte contro le navi Inglesi, che s’ erano acostate e che sono rimaste tutto il giorno assai vicine alle mura. Grandissimo malcontento nella Città; si parla pubblicamente di capitolazione. La miseria è al colmo. (1) Della disfatta Francese va anche incolpato un grande temporale che scoppiato durante il combattimento, obbligò i combattenti a sospendere la pugna, dando cosi tempo ad Hohenzollern di arrivare con genti fresche. (2) Una forte pittura degli orrori di questo assedio la fa anche il Botta nella Storia d’Italia, libro 19.°, pag. 254 e seguenti. GIORNALE LIGUSTICO 361 La febbre di Nizza fa strage , massime negli Spedali. Alcuni rifugiati de nostri sono morti ed altri stanno assai male. 25 detto. Arrivano dalla Francia un gozzo cun un ufficiale il quale porta una lettera di Bonaparte a Massena contenenti i dettagli del vantaggio avuto dall’Armata del Reno presso Stokach, e 1’ avviso della sua partenza. La lettera è datata delli 15. Con questa occasione arriva del denaro, e si fanno sperare de commestibili. Ma sappiamo ancora che Suchet è stato battuto, che la linea è stata forzata, che Nizza è stata presa, 1’ armata nostra cacciata di là dal Varo, e che il Quartier Generale è ad Antibo. Massena fa stampare la lettera di Bonaparte ed un Proclama, in cui promette de’ commestibili. Intanto gl Inglesi predano ogni più piccolo legno sotto i nostri occhi, ed il paese è in convulsione per la fame. Dopo mezzo giorno segue un forte cannonamento dalla batteria della Lanterna contro un Vascello Inglese, che si era avanzato fin sotto al tiro per predare due bilancielle peschereccie di Amareggio state rilasciate, perchè giudicate cattiva presa di un Corsaro Fiancese. Alla sera si stampano altre notizie, tra 1’ altre, che Bonaparte è in Piemonte con 40,000 uomini, che Suchet rinforzato marcia verso Genova, che Melas ed un altro generale marciano contro Bonaparte e che arriva del grano. 26 Fiorile. I Napoletani han tornato questa notte a bombardare le case dalla parte del Levante. Le batterie hanno risposto, ma 1 oscurità della notte ha favorito gli aggressori. Sulla sera si sente del cannonamento verso Savona. I nemici si fanno vedere oggi con 68 legni tra grandi e piccoli. Mi capita alle mani qualche foglio del Monitore venuto a Massena, dove vedo con indignazione stampato, che la Città di Genova ha viveri per tutto pratile. Non ve n’ è abbastanza per finire questo mese. Un pugno di fave si vende 20 soldi, una cipolla sei. Aubernon ha pagato ieri 18 franchi due piccioni. Pane non se ne vede più : ai poveri si distribuisce una minestra, 3Ó2 GIORNALE LIGUSTICO dove si mette qualche residuo di legumi, del grano guasto, e delle erbe , fino ai torsi di cavolo ; ma anche di questa non c’ è che per domani, e se questa cessa, nissuno può più rispondere della tranquillità del paese. Oggi è seguito qualche attacco anche al forte del Diamante. 27 detto. Oh che notte orribile è stata questa! Abbiamo avuto più di 500 bombe e palle d’obizzo tutte in Città, lanciate dai Napoletani. Immaginatevi che romore, e che spavento nella popolazione. Non hanno fatto gran male, perchè erano mal dirette, ma han forate varie case e ferite alcune persone, tra l’altre due ufficiali Tedeschi prigionieri, ed una donna. Ho avuto varie palle vicine anche alla mia casa, e molte Γ hanno oltrepassata. A 3 J/s si è battuta la Generale, vi è stato qualche piccolo attacco per terra ma è subito cessato. Massena è stato insultato e minacciato da qualcheduno del popolo, mentre andava alla rivista ; oggi si sono messi alla di lui porta i|ue can' noni carichi a mitraglia colla miccia accesa. Il mare si la grosso assai, questo ci dispenserà la notte seguente dal bombardamento. Giunge nuova che Suchet sia rimpiazzato da Rochembrau , e che quella parte d’ armata sia ritornata per Nizza fino a Porto Maurizio. 28 detto. — Il Libeccio si sostiene fortissimo. Si comincia a respirare. Si sente da qualche spia che i Tedeschi fanno delle disposizioni per evacuare la Riviera. Ma noi siamo all’estremo: ieri sono morte varie persone di fame. Si è fatta macinare tutta la crusca e si è fatto del pane alla truppa aggiungendovi del miele, e del seme di lino. Il pane è passabile ma non dà molta sostanza. Si è trovata in Porto Franco una partita da Sagou d’America che è una preparazione fatta colla raschiatura del Cboux-Palmisle, di cui si servivano qui i doratori per colla, e si è mangiata subito con avidità. Io pure che la conoscevo ne ho mangiato con piacere. Si è eretto un Comitato di Beneficenza per sollevare i più miserabili. Sulla sera si è sentito un cannonamento verso il Piemonte. GIORNALE LIGUSTICO 363 29 Fiorile. Nella notte non è seguito che qualche colpo di cannone dei forti, e qualche piccolo attacco dei nemici alle nostre trincere dalla parte della Polcevera. Moltissimi battelli passano da Ponente .in Levante. Dopo mezzodì segue appena fuori del Porto, a vista di tutti, ed anche di me, un vivo combattimento tra un Corsaro Francese e tre scialuppe cannoniere Napoletane. Il Corsaro si porta molto bene, ed obbliga le scialuppe a prendere il largo. Non abbiamo Ing-lesi a vista. Quest’ oggi si vende del pane di pessima qualità , ed anche scarsissimo a soldi 10 1’ oncia. La carne di cavallo costa 2 soldi 1’ oncia. Le scorze delle fave si vendono pure a caro prezzo. Nell’ ora del pranzo un pubblico Professore di Geografia e Storia in Modena è venuto da me, dicendomi, che sapeva benissimo che io non avevo danaro , nè comodi, ma da tre giorni non mangiava (e la sua figura lo attestava) e che mi domandava solamente 4 soldi perchè un mendico gli avea esibito di cedergli per questo prezzo la sua minestra della distribuzione di cui vi ho parlato sotto il giorno 26 e che si è prorogata fino ad oggi. Domani il Comitato nuovo di beneficenza ha ordine di accollare un numero di poveri a ciascuna famiglia facoltosa, e questo per giorni 10, l’imbarazzo sarà a trovare in questo momento i facoltosi, e per questi il trovare i generi di consumazione. Fino a ieri v’ è stato del formaggio, carissimo, ma oggi è sparito tutto, come anche qualunque salume. Le botteghe son tutte chiuse. Non c’ è mai stato un assedio, al quale una Città fosse meno preparata (1). Figuratevi che manchiamo fino di polvere. Le spie non sono pagate, e mancano o servono malissimo. Altronde i Tedeschi (1) Documenti interessanti sulle condizioni politiche ed economiche della Repubblica Ligure , sono — fra i molti altri — due lettere del cittadino Porro al cittadino Adelasio ministro della Repubblica Cisalpina nell’ Elvezia, datate da Genova il 27 piovoso anno VI e 29 piovoso detto anno (15 e 17 febbraio *'798). Cantù , opera citata, tomo I, pag. 222). 364 GIORNALE LIGUSTICO sono vigilantissimi e ne hanno fucilate varie. Sulla sera si vedono disposizioni di attacco per terra e per mare. TI Diamante è cinto di truppa nemica. 30 detto. — Nellla notte non si sente che qualche colpo di cannone. Arriva una Speronara con un aiutante Generale e due Ufficiali ; si riceve per questo mezzo una lettera di Bonaparte da Ginevra, ed altra delli 25 dal Ducato d’Aosta, nella quale annunzia d’esser disceso in Italia con tutta Tarmata composta di 45 mille uomini; dice di resistere ancora 607 giorni, che verrà senza dubbio a liberarci. Si sa per questo mezzo, che Suchet non è rimpiazzato nel comando da alcuno; egli è ancora ad Antibo, i Tedeschi sono ancora a Nizza e Melas in persona comanda l’armata, che è a fronte di Suchet. Il mare è pieno di vele nemiche; vi sono perfino dei Corsari Barbareschi. La Speronara è stata inseguita fin sotto ai nostri cannoni (1). A 10 ore in circa compare una nuova flotta alla vista, non si sa se amica o nemica, la flotta Inglese si forma in ordine di battaglia; a mezzogiorno si scopre che sono cinque Vascelli Inglesi con altri legni di rinforzo alla squadra che ci assedia. Alla sera tutte queste navi al numero di 35 o 38 si dispongono in una schiera, e presentano un aspetto imponente; sorte la nostra ridicola forza navale composta di una cattiva galera, di una cannoniera, e di tre corsari Francesi, il più grosso dei quali ha due cannoni ; la galera ciononostante, e la cannoniera ardiscono di attaccare un grosso vascello a tre ponti, staccato dalla linea; il combattimento si impegna da ambe le parti ed alcuni de’ nostri colpi offendono il vascello ; fanno (1) Ricordo a questo proposito il valore del milanese Franceschi aiutante di campo del Generale Soult, che vedendosi inseguito dagl’ Inglesi si legò i dispacci di Napoleone sulla testa, e, colla spada in bocca, sotto il fulminare delle artiglierie nemiche, raggiunge il Porto e consegna a Massena gli scritti di Bonaparte che portava 1’ annunzio della sua discesa in Italia. Turotti, opera citala, cap. I, pag. 98. giornale ligustico 365 fuoco tutte le batterie della Città, mentre tutto il popolo è spettatore dalle mura;, intanto i Tedeschi fanno fuoco contro il quartiere di San Benigno, e si risponde loro da tutti i forti; il romore è grandissimo, si consuma molta polvere da una parte e dall’ altra ed altro non succede. Il vascello attaccato si allontana. Si crede che la divisione di legni arrivata questa mattina sia quella di Sidney Smith, che riviene dall’Egitto, e che monta la Tigre di 80 cannoni. i.° Pratile. — Notte più orribile di tutte le altre. Alle 12 della sera comincia un bombardamento dalla parte del mare eseguito dagli Inglesi. Si lancia in Città una quantità grandissima di palle d’obizzo, e di bombe, che fanno guasto da tutte le parti, e questo giuoco dura tre ore continue. Sorte la nostra flottiglia microscopica , ma alle 2 ore la galera è circondata da 3 lancioni nemici; i forzati si rivoltano, la truppa Ligure, composta in gran parte di tedeschi, fa fuoco sopra di essi , e finisce per mettersi dal loro partito; la galera si rende agl Inglesi per tradimento, e il comandante si salva a nuoto nell’ oscurità per venire a portare la notizia. Lo strepito di 50 o 60 cannoni mortai ad un tempo, i gridi dell’equipaggio ammutinato , le voci dei comandanti che domandavano aiuto, le strida dei feriti , la confusione, e 1’ oscurità della notte, il sussurro, e lo spavento della Città, tutto questo potrebbe servire a colorire un quadro dell’ Interno. Io tra le mie disgrazie ho aTuto anche quella di trovarmi accidentalmente vicino di casa al Quartier Generale, e come gli Inglesi hanno fatto studio particolarmente di tirare sopra questo, e sopra il Palazzo Nazionale, che non è lontano, cosi ho avuto una quantità di bombe, che mi son cadute vicine, molte che son passate di sopra con un fracasso spaventoso ed una è scoppiata precisamente dietro la mia casa ed ha ferito un aiutante di campo. La notte ventura vorrei ritirarmi altrove, ma nissun luogo della Città è al co-perto, giacché le bombe sono andate a cadere fino dall’ altra 366 GIORNALE LIGUSTICO parte delle mura. Si è battuta nella notte la Generale. La mattina si è veduta la flotta da Ponente ancora in linea di battaglia. Fra le 8 e le 9 si è incominciato a sentire un can-nonamento assai lontano. Si crede reso il forte di Savona. Insomma tutto va alla peggio ed un uomo sprovvisto di tutti i mezzi, come io sono, e circondato solo di travagli e di miserie, deve trovarsi orribilmente male. Oggi ho dovuto pagare cinque lire per un pugno di fave, unico nutrimento per la giornata. Il popolo fermenta sordamente.. Io amerei molto meglio di non esistere, che di trovarmi in simili orrori. Arrivano due Parlamentari Inglesi, l’uno colla proposizione di restituire la ciurma della galera, che è accettata , 1 altro colla intimazione della resa entro 8 ore. La sera tra le 10 e le 11 segue un attruppamento sedizioso, per la maggior parte di donne: si batte la generale , girano numerose pattuglie e la tranquillità si ristabilisce. 2 Pratile. — Nella notte non si tira che qualche cannonata dai forti ; per mare non si tenta nulla. Sono requisite nella notte tutte le vacche ; non si ha più dunque nè latte, nè but-tirro a qualunque prezzo. È requisita tutta la cioccolatta, tutto il cacao, quel poco Sugon che restava in vendita, la tepiochia, che era presso gli speziali, che è una gomma, insom ma tutto quello che può entrare impunemente nell’ esofago. Siamo agli estremi. Un pugno di crusca è stato venduto oggi quattordici soldi per mangiarsi. Io l’ho veduto, non pesava tre onde. Vi scrivo questi dettagli per darvi un’ idea della nostra situazione, e di un assedio, che sarà sempre memorabile. La mattina non si sente che qualche cannonata dalla Lanterna, ma al dopo pranzo il nemico si getta a terra con due mezze galere Napoletane, due Bombarde, ed otto lancie cannoniere, attacca contemporaneamente i nostri posti avanzati di Corneliano, e fa fuoco da tutte le sue batterie. L’azione diviene generale sulle sette ore, tempo in cui si sarebbe dovuto finire per la sopra- GIORNALE LIGUSTICO 367 venienza della notte. Io ero a portata di veder tutto ; il fuoco è stato terribile e niente micidiale, giacché non abbiamo avuto che cinque feriti e qualche casa di Sampierdarena incendiata. Volavano da tutto le parte palle di grosso calibro, palle d’obizzo, e bombe, alcune delle quali sono scoppiate dentro le mura senza danno. La sola batteria dei Tedeschi alla Coronata ha sparato più di 200 colpi tutti a vuoto. Dalle nostre batterie dei forti si è risposto molto bene , massime dalla Lanterna , ov’ erano i nostri Allievi della Scuola del Genio ed Artiglieria di Modena ; il cannone della Lanterna ha molto danneggiato le barche nemiche, ed ha forzato una mezza galera ad uscire di combattimento. I nostri posti avanzati hanno pure sostenuto benissimo il fuoco della moschetteria, e non hanno perduto un pollice di terreno. Il fuoco non è cessato che dopo le nove ore a notte già molto oscura. Si aspettava il ritorno delle cannoniere nella notte, ma non sono venute. I forzati della galera sono stati restituiti nella giornata. 3 Pratile. — Si sente arrivata molta truppa Tedesca a Voltri, e vi si dice giunto anche il generale Melas. Il giorno si fanno molti trasporti dai Tedeschi assistiti dagli Inglesi da Ponente in Levante. Questi annunziano una evacuazione. LaPolcevera si è veduta un momento piena di Tedeschi, si temeva un attacco, ma nulla è seguito ; si crede , che si siano messi in marcia verso la Bocchetta. In Città v’ è qualche fermento, e special-mente succedono degli attruppamenti di donne per motivo della fame. L’epidemia venuta da Nizza infierisce sempre più; muore ogni giorno qualche centinaio di persone ; ier sera sono stato richiesto di far sigillare gli effetti e le carte del cittadino Sacerdoti già Console nostro in Livorno, che è moribondo. La sera il mare piuttosto grosso ci risparmia il bombardamento delle lande. 4 detto. — Passano ancora dei trasporti da Ponente in Levante. Si sente che i Francesi si avvicinano dalla parte del 368 GIORNALE LIGUSTICO Piemonte, ma non si ha niente di preciso, nè di ufficiale. Le navi Inglesi si tengono ad una certa distanza. Sulla sera le cannoniere, e le bombarde si accostano alle mura per battere la città. A mezzanotte si batte la generale per questa minaccia, ma nel momento si sente il cannone dal Forte de’ Ratti che è attaccato furiosamente per terra. I Tedeschi sono respinti, ma la fucilata conrinua fino a 7 ore. Si fanno loro 24 prigionieri. 5 detto. — Arrivano alcuni parlamentari Inglesi. Si sente nella giornata il cannone verso Gavi. Grandissimo movimento nei Tedeschi, e grandissime ciarle nella Città. Chi vuole che Tarmata liberatrice sia vicina, chi vuole ehe sia stata battuta, chi vuole che i Tedeschi evacuino, e chi vuole che vengano in maggior forza ad attaccarci. Melas pubblica un proclama per far armare quelli della Polcevera, ed assicura in quello d’ aver battuto i Francesi in Piemonte. Quel popolo però non sembra inclinato ad armarsi. La sera si vede una moltitudine di legni nemici e di lancie cannoniere, ma non ci attaccano. Oggi si è venduta una mina (un sacco cioè), di grano 3000 lire, e 200 lire un rubbo di farina non setacciata. Si mangiano i cavalli e i cani. Un gatto costa 8 e fino 10 lire. 6 detto. — Il generale Miollis attacca i Tedeschi in Levante. Arriva un Aiutante di campo stato spedito da Massena a Bonaparte. Questo porta i vantaggi ottenuti dall’ armata del Reno presso Biberacla, la discesa in Italia di Bonaparte, ed il verisimile suo avvicinamenro a Genova entro 8 o 10 giorni. Questo determina a soffrire qualunque cosa, ma a resistere. Oggi si prova a far del pane alla truppa con della crusca e del cacao. Domani se ne farà col cosi detto pannello di mandorle. Si prova anche a mettere in forno le spiche ancora verdi della segale, e del frumento per cavarne, se è possibile, della farina. È ben sicuro, che non rimarrà addietro alcuna materia che sia commestibile. Alla bocca del porto si è messo un pontone con grossi cannoni. Mancano però i GIORNALE LIGUSTICO cannonieri : io ho contribuito a farne unire delle compagnie di volontari, ο come potrebbe dirsi, dilettanti, che fanno il servizio sufficientemente. 7 detto. — Nulla di nuovo nella notte. Si sparano due colpi per dare qualche avviso, se è possibile dell’esistenza nostra all’ armata, che è in Piemonte. Per la esplosione , forse accidentale, di alcune libbre di polvere, che era in una casa, succede qualche tumulto nel popolo senza conseguenza. Gli Inglesi guardano le loro posizioni. 8 Pratile. — Alle 4 e '/2 della mattina Massena in persona attacca con due mila uomini i posti Tedeschi del Levante. La fucilata continua tutta la mattina. Si fanno dai nostri 15 ° 16 prigionieri, e si prende qualche piccola porzione di viveri. Intanto Miollis si avanza lungo le rive del mare per fare egli pure qualche presa di commestibili. La cosa però non è andata bene, ed abbiamo avuto gravemente feriti il Generale d’Arnaud e 1 aiutante generale Hector. Al dopo pranzo una bombarda ha cannonato i nostri poveri pescatori, che pescavano sotto le mura; le batterie hanno tirato sulla bombarda, nè altro è riuscito. Oggi vi è stata una forte diserzione : la nuova Sezione è passata più della metà al nemico. Anche in Città la fame produce vari disordini. È stata venduta qualche piccola porzione di farina a 20 soldi 1’ oncia. Si è preteso di fare del pane impastandovi lo sterco secco di cavallo, la Saniti si è opposta a questa composizione come pure a quella di certe frittole, che si facevano d’ amido, e di calce. Si vedono molti soldati, che cadono per debolezza, e languore in mezzo alle strade. Debbo farvi noto un eccesso, ed una violazione atroce del diritto delle genti per parte dei Tedeschi, che oggi solamente ho saputa con certezza. Vi scrissi tempo fa, che il Ministro di Spagna era andato al campo nemico per parlare col generale Melas. Essendo Melas partito per la spedizione di Nizza fu costretto a seguitarlo tutta la Riviera. Spedi gli affari 370 GIORNALE LIGUSTICO della sua Corte, quindi al suo ritorno, quando trovossi ai posti avanzati verso Genova, fu arrestato improvvisamente da un generale Austriaco con un forte distaccamento, e non potè ottenere coi suoi reclami alcuna giustizia, pretendendosi dagli Austriaci, eh’ egli potesse portare a Genova il piano delle loro operazioni, cosa neppur supponibile in un uomo di quei principi, e di quel carattere. Dicesi che sia stato tradotto a Parma. 9 Pratile. — Nulla di nuovo nella giornata, se non qualche cannonata dalla parte del mare, qualche scaramuccia in Levante, ed un attacco al Monte dei due Fratelli, che viene rispinto. Le fave, e gli erbaggi montano a soldi 5 l’oncia, e quel eh è peggio non se ne trova. Segue qualche tumulto in Citta. 10 detto. — Grandissimo bombardamento tutta la notte dalla parte del mare. Io sono costretto a fuggire dalla mia casa, e ricoverarmi presso il comandante di piazza, perche intorno a me cadono palle e bombe da tutte le parti. È anche ucciso a 50 passi di distanza un Tamburro Maggiore francese che dormiva nella strada. Le nostre batterie rispondono bene, e mettono una palandra in fuoco, tirando a palle rosse. Si sentono urli e gridi nel mare e si crede il bastimento colato a fondo. Il giorno si sparge per [la] Città che Bonaparte sia a Campo-Freddo sopra Savona; Massena sorte con tutta la truppa, si batte la. generale ma non si trova nessun cangiamento nel campo Tedesco, ed oguuno si ritira mestamente. La notte arriva un gurcio di Corsica con 3 5 rnine di grano, e qualche poco di biscotto. 11 detto. — La notte seguita il bombardamento , che fa ancora qualche danno in Città. Una palla entra nella casa del Generale in capo; io mi trovo male a causa delle veglie continuate. Molte donne gravide si sconciano, ed alcune muoiono per lo spavento, tra gli altri il figlio di un ricco negoziante.. Il carico del battello venuto dalla Corsica e preso per la tiuppa, ed il padrone non può avere il suo danaro. Gli si fanno fate GIORNALE LIGUSTICO 371 moltissimi passi, e solo alla sera riesce ad avere un a conto. Vedete , che difetto d’ amministrazione , e come i marinari possono animarsi ed esporre la loro vita per portarci qualche soccorso. In mezzo alle disgrazie continuano ancora tutti gli abusi, ed i latrocini, che seguivano vari mesi addietro. Sulla sera si presentano come per attaccarci 35 vele nemiche, ma fortunatamente il mare si fa grosso , e le porta al largo. 12 detto. — Arriva un piccolo corsaro di Capraja buttato dalla tempesta, ma non porta nulla. Gli Inglesi ricompaiono, ma lontani. Grandissima tristezza nella Città. Non si trovano più neppure erbaggi. Si mangiano perfino le erbe, e le radici dei prati. Moltissimi sono i malati. I Tedeschi e gl’inglesi ci replicano a vicenda le intimazioni di renderci. Per mettervi al fatto delle cose nostre , vi farò un piccolo quadro del loro andamento ; quadro che può essere utile il risovvenirsi qualche giorno. Noi siamo, come già vi ho detto, senza viveri eppure se ne trovano in qualche casa, 0 se ne arriva qualche piccola partita, il tutto è malversato dai commissari e magazzinieri, i quali rubano nonostante a man salva e vendono fino a 3500 lire un sacco di farina, che sosterebbe qualche malato degli spedali, solleverebbe qualche militare, o se non altro servirebbe ad uso dello Stato Maggiore , che non è meglio nutrito di me. Fra questi ladroni sono due o tre Cisalpini. Noi siamo bersagliati giorno e notte per mare dagli Inglesi, e dai Napoletani colle bombe, e coi cannoni, i legni si accostano a portata di fucile, e noi siamo scarsi di polvere , abbiamo i carri de’ cannoni tutti marci e con 14 o 15 batterie da guardare non abbiamo in tutto trenta cannonieri. Le palle non sono di calibro. Il comandante Ligure dell’ artiglieria è già stato denunziato più volte per controrivoluzionario. La marina è comandata da Sibille, uomo perfettamente inetto. Il paese fermenta ; il malcontento cresce ogni giorno in proporzione della fame ; succedono qua e là 372 GIORNALE LIGUSTICO dei tumulti; e la Polizia è inerte, e la Polizia è nulla. Il famoso poeta Labindo (i) si è impossessato di questa parte, e ha eretto un Comitato di vigilanza, che non fa altro che spropositi. Tutto le spie che sortono da noi, son prese a fucilate dai Tedeschi; tutti gli spioni Tedeschi entrano, e sortono a piacere dalla Città. Nissun riguardo ai nostri posti avanzati. Noi non sappiamo nè quanti siano i nemici, che ci circondano, nè quali movimenti facciano, nè fin dove si stendano, nè se Bonaparte sia o non sia in Italia, nè se vi sia o no un’ armata per liberarci. Per saperlo ci vorrebbe del danaro, e nissuno ne ha. Massena non è stato mai così mal servito. La linea delle mura gira più di 7 miglia e non abbiamo uomini per guardarla. Oggi si è lasciata libera la vendita a chiunque introducesse del grano : conveniva farlo due mesi prima, ed allora ne sarebbe venuto. Si cerca di mandar fuori furtivamente qualche piccolo legno per cercar grano : quand’ anche riuscisse di trovarlo come potrà giungere in tempo ? Insomma si è fatto tutto coi piedi, e così mi pare che si faccia per noi la guerra già da un anno e più. Massena avrà sempre la riputazione di un Eroe nelle battaglie. 13 detto. — Nulla di nuovo, se non la miseria cresciuta all’ estremo. La carne di cavallo si paga 40 soldi ogni 12 onde , e non se ne trova quasi più. Un’ oncia di pane bianco o di farina, quando si porta dal campo tedesco o quando si espone in vendita in altro modo si paga tre lire. Un Commissario oggi mi ha regalato due piccoli pani neri che io meno dili-cato di molti altri non ho però potuto mangiare. Indovinate (1) Nome arcadico del poeta Giovanni Fantoni nato a Fivizzano nel 1755 morto a Fivizzano nel 1807. Fu uno dei più feroci avversari del regime Francese che bene omprendeva come sotto la lustra della libertà portasse all Italia niente altro che un mutamento di servitù. Arrestato per tali idee, fu inviato a Grenoble, dove conobbe Joubert, che gli diede un grado nell esercito. Ebbe del resto vita avventurosa, passando dai chiostri alle armi ed alla solitudine: come poeta fu uno fra i migliori lirici d’Italia. GIORNALE LIGUSTICO 373 di che era fatto ? di semi di scopa. Un uomo è morto ieri di fame presso la mia porta. Questa mattina è morto un patriotto Toscano per la stessa cagione sotto la loggia dei Banchi. Un piccolo legno, che qui veniva nella notte, forse con grano, è stato predato dagli Inglesi, che sono oggi tornati molto vicini. Oggi ho rilasciato passaporti a vari disperati, che si azzardano a partire per la Corsica. Il Capo dello Stnto Maggiore l’aiutante generale Andrieu è sortito nella giornata, ed è andato al campo Tedesco per portare la capitolazione. Io la conosco, e la vedo troppo vantaggiosa per essere accettata. Intanto si prende tempo. 14 Pratile. — Il Capo dello Stato Maggiore risorte per Γ affare della capitolazione. Dovevo avvertirvi sotto la giornata d’ieri che io non ho mancato di fare i dovuti passi presso il Generale in capo per interessarlo a favore dei rifugiati, e che ne ho avuto delle risposte consolantissime. Ad istanza dei rifugiati medesimi ne ho scritto anche al Ministro delle Relazioni Estere, e questa mattina ne ho avuto il riscontro più soddisfacente, che vi farò conoscere in seguito. Il detto Ministro è oggi sortito col Capo dello Stato maggiore per abboccarsi coi Tedeschi. Si domanda per parte nostra di lasciar Genova neutrale. Le Sessioni si tengono a Rivarolo e vi assiste il Generale Otto e l’Ammiraglio Keich. Melas ha fatto sapere che è nelle vicinanze. Nella giornata sono morti molti di fame, e si osserva che per questa cagione muoiono più giovani, che vecchi. I prigionieri Tedeschi imbarcati sui vascelli della compagnia delle Indie trasformati in prigioni, sono giunti a mangiarsi le loro scarpe. Oggi sono seguiti vari tumulti in Città. 15 detto. I Conferenti non tornano che dopo la mezzanotte. Alla mattina parte il Generale in capo per rendersi a Rivarolo. A due dopo mezzogiorno rientra in Città, e la capitolazione (1) (1) Veramente il titolo di capitolazione non è esatto. Massena volle che si chiamasse convenzione, e lo si dovette compiacere, e tutti gli altri patti della resa furono piuttosto patti da vincitori che da vinti. Giorn. Ligustico. Anno XXI. 2$ 374 GIORNALE LIGUSTICO vien segnata. Io ve ne porterò la copia giacché chiudo il mio dispaccio per dar ordine alle cose mie, e dispormi tuttoché ammalato alla partenza. Salute e rispetto : Firmato: Bossi. P. S. Vi prego a perdonare in riflesso alle circostanze le inesattezze di scrittura e di dizione che potrete facilmente trovare in questo Dispaccio, fatto a diverse riprese, e sempre framezzo alle maggiori agitazioni. Esso non servirà che per istruirvi oo o particolarmente, e riservatamente delle circostanze memorabili di questo blocco ed assedio (i). A tergo: Au Directoir Esecutif de la Republique Cisalpine à Chamìjery - Départ du Mont-Blanc. * * * Per la causa Francese., le privazioni dell’assedio ed il sangue versato non furono certo inutili, Massena tenendo occupate sotto le mura di Genova forte nerbo di truppe degli alleati permette a Bonaparte (disceso in Italia con quel 7neraviglioso passaggio del-l’Alpi che trova un riscontro solo in quello tentalo da Annibaie) di dare la famosa battaglia di Marengo (14 giugno). Fu vittoria dell’ ultima ora, dovuta specialmente all’ eroismo del generale Desai x , ma che importa questo? all’indomani, la Penisola tutta era nuovamente nelle mani del futuro Imperatore dei Francesi (2). Milano, 18 Luglio 1896. Giuseppe Leone Massara. (1 j Archivio di Stato, Milano. Ministero degli Affari Esteri. Corrispondenza. Genova. Cari. 240. (2) Ripristinata la Repubblica Ligure, Bonaparte dava incarico al Ministro delle Relazioni Esteriori di significare al nuovo Governo la sua compiacenza, non senza avvertirlo però : « que cette réponse soit conçue de manière à nous laisser la liberté d’incorporer, dans quelques mois, la République Ligurienne à la France (27 frimaire an. 8.°). E ciò in omaggio alle belle promesse di indipendenza e di libertà ! ( Correspondance de Napoléon I*r publiée par ordre de l’empereur Napoléon III. Tome 6.°, pag. 33, lett. 4425). GIORNALE LIGUSTICO 375 DI ALCUNE VICENDE DOMESTICHE DELLO STORIOGRAFO DI SAVOIA LUCA ASSARI NO Nel « Giornale Ligustico » del 1892 io pubblicava una noti-zietta sulla vedova del noto cavaliere Luca Assarino, Ottavia Battezzati, che col documento in appoggio, ci faceva conoscere che la Battezzati era stata sua consorte. Ma il nuovo documento venuto a mia conoscenza dopo la pubblicazione di quello scrittarello, oltre a varie altre notizie, ci assicura che questa Ottavia era stata la seconda consorte dell’Assarino, e che è la stessa a cui alludevano i documenti citati nelle prime notizie sull’Assarino da me scritte sino dal 1873 (1), tuttoché ivi incorresse l’errore di stampa di Marini a vece di Assarino, errore che senz’ altro diè occasione ad una mistificazione sul principio dell’or citato articolo del Ligustico. Il documento che qui viene pubblicato per la prima volta riguarda una donazione che l’Assarino, il quale si dichiara figlio del quondam Antonio, gentiluomo genovese, fece alla Battezzati, la quale risulta chiaramente sua seconda moglie. Coll’atto di cui si tratta, l’Assarino revocava una precedente donazione de’ suoi beni mobili fatta all’ Ottavia, e modificava anche quanto aveva compiuto pochi mesi prima. E qui vuoisi (1) Sulle avventure di Luca Assarino e Gerolamo Brusoni — Atti della R. Accademia delle scienze — Torino 1873. 3 76 GIORNALE LIGUSTICO notare, che invaso straordinariamente da scrupoli, il nostro cavaliere aveva fatto ricorso persino al nunzio pontificio residente a Torino, perchè lo assolvesse da ogni periurio in quale potesse essere incorso. Ed il bravo nunzio, monsignor Angelo kanuzzi (i), assecondava tosto con una patente amplissima, che ha la data del 24 maggio di quello stesso anno, il pio desiderio di colui, che così poco scrupoloso nello scrivere la storia, tutt ad un tratto aveva cangiato natura. E vero che in questo atto dimostrava anche sentimenti di pietà sott’ altro verso, esprimendo chiaramente alla consorte donataria il fermo suo volere che tutte le opere di orafo esistenti presso di lui dovessero essere inviate alla Santa Casa di Loreto in quel d’Ancona. Ivi accennasi anche ad un figliolo di primo matrimonio del nostro cavaliere, e del quale diremo qualche cosa, dopo la pubblicazione del documento. Donatione del signor cavagliere Luca Assarino a favore della signora Ottavia sua consorte. In nome del Signor nostro Giesù Christo così sia corrente 1 anno doppo sua nattività mille seicento sessanta nove la settima inditione et alli dodeci d’agosto fatto in Torino et ultimo piano della casa del sig. procuratore [manca] Arbaudi parocchia di di S. Eusebio e sala d’habitatione dell’infrascritto sig. cavagliere alla presenza delli sigg. Mauritio Gagna di Bartolomeo Frachia ambi cirogici di questa città et Gaspare Giuseppe Mella della medesima testimonii astanti e richiesti et alla minuta del presente pubblico instromento sottoscritti. Conciossiache Γill.mo sig. cavagliere Luca Asarino del fu m. Antonio gentilhuomo (1) Angelo Maria, dei conti della Porretta (Bologna), già vice-presidente d Urbino, inquisitore a Malta, poi cardinale ecc. GIORNALE LIGUSTICO 377 genovese al presente habitante in questa città per instromento abbia fatto donatione irrevocabile all’ ill.ma signora Ottavia sua moderna consorte figlia delli signori Gio. Battista e Anna Maria giugali Batezati di tutti gli utensili mobili robbe et ef-effetti, lengerie, dorerie, argenterie gioie, danari et suppellettili di qualsivoglia sorte che esso ha e possiede in questa città e terre del dominio di S. A. R. con carigo alla medema signora sua consorte di rimmetter al tempo della di lei morte le gioie alla santa Casa di Loretto nella Città di Loretto nella Marca d’Ancona, e nei suoi stati, e comeche esso habbi sotto li quindici mederao aprile per altro instromento publico rogato a cui sopra revocato e dechiarato nulla detta donatione, e fattane etiandio altra pur a favore di detta signora sua consorte , alla quale poi dopo la di lei morte habbi substituito in parte un figlio di primo matrimonio di esso signor donante, nè essendo anche in quella stati ben descritti e concepiti li suoi sentimenti, desideroso di revocare ambe dette donationi, quelle dichiaratisi nulle in quelle parti discrepanti e contrariatiti suoi sentimenti et ove fosse di bisogno farne altra ha avuto raccorso dall’ ill.m0 e rev.m0 monsignor il nuntio e raportatane l’assolutione dallo giuramento in detti due istromenti prestata e del periurio in quale puotesse essere incorso come per patente delli ventiquattro maggio hor passato debitamente spedita sigillata e sottoscritta Boschetti in piè del presente instromento inserta e tenorizzata. E volendo hora far altra donatione pur a favor di detta sua signora consorte, nella quale si spieghi qual sia sempre stata e sia sua precisa volontà; ecco adunque che avanti me nodaro sotto-scritto et alla presenza delli suddetti signori testimonii personalmente constituito il suddetto sig. cavagliere Luca Asarino il quale per lui suoi signori heredi e successori di sua spontanea volontà e perchè così gli ha piaciuto e piace revocando con il consenso della signora Ottavia sua consorte quivi pre- 378 GIORNALE LIGUSTICO sente e consenziente li designati instromenti di donatione e quelli con suo giuramento prestato toccate corporalmente le scritture nelle mani di me medemo sottoscritto, cassando et annullando in modo e maniera che non possino mai più far alcuna fede in giudicio e perciò ha fatto e per tenor del presente publico instromento per lui suoi predetti fa alla predetta signora Ottavia sua moderna moglie quivi come sopra presente per se e suoi heredi e successori stipulante et accettante pura e mera donatione tra vivi irrevocabile et da non revocarsi mai per qualsivoglia causà di tutti li beni, robbe mobili suppelletili, utensili effetti, lengerie, dorerie, argenterie, gioie vettovaglie danari di qualsivoglia stampa e altre robe di qualsivoglia sorta niuna eccettuata quali al tempo della morte di lui signor donante si ritroveranno in sua heredità però in questa città e terre del dominio di S. A. R. e non altrove con carigo alla medesima signora sua consorte che debba hordinare a suoi heredi che subito seguita la di lei morte debbano trasmettere e far sicuramente tenere alla Santa Casa di Loreto eretta nella città di Loretto tutte quelle gioie che si ritroveranno in essa, et gli saranno pervenute dall’ heredità di lui signor donante il quale vuole et intende che la medema signora sua consorte dove si trovi in caso di bisogno puossa prender et allienare dette gioie in tutto e parte secondo che sua necessita richiederà e quelle che per causa di bisogno non venderà e al tempo della di lei morte si ritroveranno in essa vuole che siano come sopra transmesse alla suddetta santa casa di Loretto. Di più parimente dona in titolo di donatione come sopra alla medesima signora sua consorte tutte le robe mobili et effetti contenuti in una lista da lui signor donante scritta et in piede del presente instromento inserta, quali esso dichiara averle avute da S. A. R. in titolo ch’egli se ne serva durante il tempo della sua carica ove però la detta R. A. si contenti di donargliele a consideratione della fedel servitù GIORNALE LIGUSTICO 379 resale durante molti anni e come piccola ditnostratione della sua innata bontà, e come di ciò pure humilmente la supplica in questo scritto ad haver per detta signora donatrice dette cose, lengerie robbe mobili, suppelletili danari, gioie et effetti, quelle goldere, tenere fruire e prendere e farne doppo la morte di detta signora donante tutto ciò e quanto ad ella e suoi predetti parerà e piacerà salva sempre la risalva predetta quanto alle gioie, promettendo esso signor donante non ha-verne sinqui fatto, meno volerne fare alcun altro contratto nè distratto alla presente donatione pregiudiciale et etiandio della debita e legitima evitione e manutentione in ampia e valida forma di ragione constituendo detta signora donatrice sua consorte padrona signora procuratrice come di cosa propria mettendola a tal effetto nè suoi luogo grado conditioni e ragioni sue proprie et questo ha fatto e fa detto signor donante per il buon amore eh’ ha sempre portato e porta alla detta signora sua consorte et per concorrere in essa tutte quelle qualità l’animo nostro moventi a farle detta donatione et per molti altri servigli fattigli della prova de’ quali sinora l’esimisce affatto caricandola poi di far celebrare in sutìraggio dell’anima di lui signor donante cento messe da morto ad altare privilegiato che meglio ad essa parerà e piacerà e ciò subito seguita la morte di lui signor donante e del danaro più liquido che si troverà in sua heredità come di cosi fare la medesima signora donataria promette con suo giuramento per essere state toccate corporalmente le scritture nelle mani di me nodaro sottoscritto. Inoltre detto signor donante dichiara che tutte le robbe lingerie mobili argenterie dorerie suppelletili, gioie e beni che si ritrovano in questa città o presso di se e che possiede in questo stato di S. A. R. se gli è guadagnato con sua industria e non ha portato in detto stato meno si ritrova havere apresso di se cosa alcuna de’ beni et effetti della sua signora Dona Geronima sua prima 380 GIORNALE LIGUSTICO moglie, le quali cose tutte detto signor donante ha detto e dice con Γ infrascritto suo giuramento essere state et essere vere e quelle ha promesso e promette attendere e inviolabilmente osservare e non contravenirgli nè contrafargli di ragione nè di fatto ancorché di ragione potesse sott’ obbligo di tutti i suoi beni presenti e futuri con la clausola del constituto possessorio d’ essi in ampia e valida forma di ragione e con suo giuramento prestato toccate corporalmente le scritture in mani di me nodaro sóttoscritto mediante il quale ha renon-tiato e renontia alla legge si unquam: cod. de revocandis donationibus al dolo malo, forza paura, inganno alla legge dicente non valere la generale renuncia salvo vi precedi la speciale etc. et ad ogni altra legge, statuto privilegio, beneficio ordine et decreto che li potesse competere per contradire e contravenire a quanto sopra e con altre cause e cautele necessarie et opportune. Del che tutto sono state richiesto io nodaro sottoscritto farne e riceverne un publico istromento a dettame di savio, bisognando al quale detto signor donante e donataria e testimonii si sono sottoscritti come segue : Io Luca Asarino, Ottavia Batezzati accettante, Mauritio Gagna testimonio, Gio. Bartolomeo Perachia testimonio Gaspare Giuseppe Mella testimonio e per Γ insinuazione. Segue il tenore della sopra designata lettera. Ill.mo et Rev.m0 Monsignore Esponesi per parte del sig. cavagliere Luca Asarino gen-tilhuomo genoese habitante nella presente città che sotto li sette del seguente aprile fece instromento di donatione tra vivi di qualche effetti a favore della signora Ottavia sua moglie con carigo alla medesima dopo la di lei morte di rimetterne qualche parte alla santa Casa di Loretto con promessa di non rivocare tal donatione per qualsivoglia causa con giuramento, e perchè nou furono intesi i sentimenti di detto donante, il GIORNALE LIGUSTICO 38i medesimo per altro instromento delli quindici medesimo aprile rivocò detta prima donatione, quella dichiarò anche con giuramento nulla e ne fece aitra a favore di detta sua moglie, e doppo la di lei morte substitui in parte un suo figlio di primo matrimonio, nè essendo in questo anche stati ben concepiti i sentimenti di esso esponente desiderando ora anche esse donationi dichiarare nulle secondo il suo vero sentimento e revocarle in quelle parti che restano a detti suoi sentimenti contrarianti e discrepanti, et in quanto sia di bisogno farne altra che esplichi appieno qual sia stata e sia la sua pura volontà ha pensato ricorrere per maggior sicurezza da V. S. ill.ma e rev.ma supplicandola humilmente restar servita assolvere il supplicante dal vincolo delli giuramenti e dal periurio in che quando nel revocare e dechiarare quello che co’ suoi sentimenti era stato in detti instromenti di donatione scritto potesse essere incorso ad effetto che possi come sopra ampiamente dechiarare qual sia sua precisa volontà e fare nuova donatione a favore di detta sua moglie come a lui piaccia e secondo la sua pura, mera et genuina intentione il che e meglio . . Angelus Ranutius Dei et apostolicae Sedis, gratia archiepi-scopus Damiatensis SS. Û. N. D. Clementis divina providentia pape IX prelatus domesticus et assistens, eiusque et dictae sanctae Sedis apud Serenissimum dominum dominum Carolum Emanuelem Sabaudiae ducem et Pedemontium principem nuncius etc. Universis manifestum sit quod Nos visa supplicatione subannèxa et illius tenore considerato instante ad haec requirente domino equite Luca Asarino supplicante ad haec instante et requirente eumdem a iuramentis de et pro quibus supplicatur necnon a periurii reatis quamvis incurrerit ad effectum agendi et de iuribus suis experiendis tantum et non aliter nec alio modo absolvendum et habilitandum fore et esse ' duximus ac harum serie absolvimus et habilitamus ipsumque 3$2 GIORNALE LIGUSTICO ad dictorum iuramentorum observantiam quoad effectum pre-missum minime teneri pronunciamus et declaramus per présentes nostras. Datae Taurini die 24 mensis maii millesimo sexcentesimo sexagesimo nono per memoratum illustrissimum et reverendissimum dominum nuncium apostolicum sigillate et subscripte Boschetti. Segue il tenore della infradesignata lista di mobili. Lista degli utensili di casa che S. A. R. mi fece dare da uno dè suoi tapizzeri affinchè io me ne servissi tutto il tempo che durerebbe la mia carica di suo historico come sono, primieramente un letto usato di damasco chrémesito con la sua coperta di veluto del medesimo colore, tre lenzuoli di lana o siano catalogne come qui le chiamano, cioè una bianca, una rossa et una verde, due materassi per me et una pagliassa per gli staffieri con luoro cuscini, tutta robba usata che in sette anni che ora compiscono Γ ho più volte rifatta a mie spese ; sei pesse di tappesseria di Fiandra antica e molto usata e qualcheduna ne’ cantoni straccia e rotta : quattro cadreghe da braccia di corio molto usate, et una di veluto senza bracia parimente molto usata, una tavola di noce per mangiare e due tavolini per lo studio che sono i più vecchi e loggori che io habbia in casa, quattro panche vecchie per il letto degli staffieri, un para di ferri da camino per reggere le legna al fuoco d’ottone sottili e molto usitati ; può essere che vi sia se mal non mi raccordo che vi sia un para di mole per frugare nel fuoco. Tutti li quali utensili che alla fine ad un principe grande non sono niente spero che mi saranno da S. A. R. condonati in qualche ricompensa della longa e fedel servitù che fin hora le ho fatta, e che le farò piacendo a Dio fino alla morte. Io Luca Asarino mano propria. GIORNALE LIGUSTICO 383 Il soprascritto istromento di donatione Γ ho ricevuto e publicato nel modo che di sopra si legge io Honorato Pellisserio publico ducal nodaro e procuratore fiscale generale in Torino residente e quello levato dal mio originale protocollo ad effetto di consignarlo all’ Insinuasione col quale collationato concorda e in fede mi sono manualmente sottoscritto. Pelisserio notaio (1). Senza dubbio che la descrizione delle povere suppellettili che dovevano far parte del retaggio dell’Assarino non ci darebbe troppa prova della generosità del duca Carlo Emanuele II, ov’ essa non si fosse appalesata colle larghe donazioni già nel corso della sua vita, e con altre alla vedova dopo la morte del suo consorte. Invero, oltre al dono fattole il diciassette dicembre del 1672 « della tappezzeria e mobili già usitati da noi e fatti d’ ordine nostro consegnare al fu cavaliere Luca Assarini nostro istoriografo . .. » le assegnava in appresso altri sussidii; cito quello del 28 gennaio 1680 di lire cento. Del resto è certo che la vedova dell’Assarino aveva capitali ancora essa; e ritrovo pure che nel 1674 il segretario del duca, Cristoforo Maria Santi, facevaie un pagamento di mille lire che eranle state donate dal padre di quel segretario, di nome Cristoforo (2). Nel documento di cui sovra viene appena appena menzionato un figlio di primo letto dell’Assarino e nemmeno indicato col proprio nome. Di questo figlio già ebbi ad intrattenermi nella prima memoria su questo argomento : ma nuovi documenti ci consentono di aggiungervi ancora qualche cosa. Nella citata memoria rivelandosi quel figlio, che per il passato non era conosciuto, lo si descriveva un mal arnese di frate, di nome Giambattista Silvio. Costui era giunto a Roma già (1) Archivio notarile di Torino all’anno 1669, Lib. II, p. 93. (2) Ibid. GIORNALE LIGUSTICO prima dell’ anno 1660, ma il due febbraio di quell’anno sembra che già accennasse a deporre la cocolla. Infatti il commendatore Onorato Gini così scrivevane al ministro a Torino «... dalle risposte che ho fatte al cavaliere Assarini potrà egli avere conosciuto quanto è possibile nel negozio del padre Gio Battista suo figlio, e che i favori non possono arrivare a tutto quel segno che desidera mentre si tratta di una concessione mai praticata ed alla quale osta di diritto la costituzione del sacro consiglio. Se però egli vorrà prendere la via accennatagli, resterà nè più nè meno consolato, e supponendo io che tenga per altro ragioni bastanti nè meriti della causa mentre questa con la comunicazione delle scritture e delle prove si potrà suficientemente fare per il suo procuratore..» (1). Ma quanto ha d’ enigmatico la locuzione adoperata dal Gini scompare nell’altra sua lettera del 20 marzo 1667, ove chiaramente egli scriveva al duca Carlo Emanuele «... La licenza che desidera il padre Gio Batt. Assarini per ritornare al secolo non puotesi se V. R. A. me lo concede ottenere per via di grazia e di Breve come detto padre suppone, perchè se si aprisse questa strada restariano a mio credere vuoti i conventi, ma deve conseguirsi per giustizia provata la nullità della professione, sopra di che scrissi già altra volta et assai diffusamente al cavaliere suo padre quanto occorreva come ora al signor marchese di S. Tommaso acciò sia contento di riferirglielo ...» (2). Le difficoltà per ottenere Γ annullazione della professione religiosa del figlio dell’Assarino erano non lievi, ed il Gini che le aveva sperimentate vi si sobbarcava di mala voglia; tanto più che abbastanza conosceva che a lui, non indifferente (1) Archivio di Stato di Torino — Roma — Lettere Ministri, Mazzo 83. (2) Archivio citato, Mazzo 85. GIORNALE LIGUSTICO 385 al guadagno, per conto suo, avrebbe toccato poco. Infatti in altra lettera del 29 dello stesso mese di marzo si lagnava «... delle strettezze del signor cavaliere, o per impossibilità o per volontà non corrispondente nè alle une nè alle altre per il concernente il procuratore, avvocato e notaro... » Anzi anche 1’ avvocato (che doveva essere un tal lacobelli) si disgustava dell’ avviamento di quella causa e se ne lavava le mani. Poi il Gini si lagnava pure d’una memoria trasmessagli da parte, che aveva l’apparenza quasi «... di un libello infamatorio contro un uomo d’onore come il signor avvocato lacobelli ...» Pochi mesi dopo, cioè il 26 luglio il Gini sempre più svogliato sfogava la sua malevolenza contro il frate scrivendo « ... Il nostro padre Assarino usa meco si poca civiltà che dopo essere stato una sola volta quando giunse per vedermi, il che non potè essere allora per la gravezza del mio male, non si è mai degnato in tre mesi mandandomi continuamente le sue lettere, e portandole anche esso medesimo senza farne nessun motto, onde vedendo io si poco rispetto al mio carattere, sto per fargli dire che non tengo un scrittore pagato per lui, di mandargli le sue lettere sino a casa come ho fatto sempre, e che in avvenire se le venga a pigliare, giacché perde meco la cortesia ...» Con tutto questo, e ad onta delle difficoltà in parte vere, in parte esagerate dell’ agente Savoino a Roma, l’Assarino riusciva perfettamente ne’ suoi disegni, ed il mattino dell’undici ottobre già si presentava sfratato al Gini, il quale il venticinque dello stesso mese scriveva al marchese di S. Tommaso che «... il sig. Silvio già padre Assarini era partito alla volta del Piemonte alcuni giorni prima et pregandolo a non scriverle perchè voleva come disse, giungere all’improvviso avanti al cavaliere suo padre ...» 386 GIORNALE LIGUSTICO Pare senza dubbio che la presenza di costui a Tonno non potesse riuscire molto gradita al cavaliere Assarino : nè la seconda sua consorte Ottavia Battezzati di cui sovra, matrigna del Silvio era colei che sapesse interporsi tra Γ uno e 1’ altro e procurasse di cementare l’affetto reciproco. Quindi anche ben amareggiati, sotto quest’aspetto dovettero volgere gli ultimi anni del povero storiografo dei nostri duchi, che come dissi altrove, morì in Torino agli otto ottobre del 1672. E le divergenze colla matrigna tosto spuntarono poco dopo, come ci manifesta quest’ultima lettera del già frate Giambattista Silvio Assarino, scritta forse al marchese di S. Tommaso, il quale aveva lasciato Torino e stavasene allora a Genova, patria dei suoi maggiori. 111. sig. mio oss.mo Ricevei solamente sabato passato dieci del corrente la compitissima lettera di V. S. ill.ma dei nove, e vidi da essa con quanto affetto ella ha procurato di adoperarsi acciochè la signora Ottavia vedova del fu mio signor padre accettasse le nostre cortesi offerte circa il venirsene a vivere in questa mia casa, dove avrebbe avuto tutti quei trattamenti di maggior convenienza che fossero stati possibili al presente mio stato, ed avrei desiderato che anche portasse seco il meglio a se stessa di ciò che forse succederà quando essa non si compiaccia accordare i due punti che più abbasso dirò a V. S. ill.ma la quale non deve altrimenti credere che la casa del mio fu signor padre fosse così sguernita di roba come detta signora Ottavia procura ora di farla apparire, tanto più che non meno V. S. ili.ma che la signora contessa Donna Eleonora sua sorella e mia signora sono state più e più volte in detta casa, e non credo l’abbian trovata così mal in arnese come la suddetta signora vedova le va ora dipingendo, oltre GIORNALE LIGUSTICO 387 che io abbia saputo di costà come dopo mia partenza da co-testa corte il fu signor mio padre non solo non diminuì punto i suoi mobili, ma pur esso gli acrebbe, come ne farebbero fede in ogni occorrenza testimonii degni di fede, e siccome non posso darmi a credere che S. A. R. si sia ripigliato quelle cose che con tanta generosità aveva dato al signor mio padre al suo arrivo costà perchè sono appieno capace della regia liberalità; così tengo anche per falsissima la lettera che la detta signora vedova Assarino asserì essermi stata scritta pochi giorni prima della morte del fu mio signor padre, ed in ogni caso quando io volessi disputare come farò senza fallo, se essa non accorderà i due punti che dirò poi, la suddetta lettera quand’anche fosse vera e reale oltre il non aver forza nè di testamento nè di codicillo, mi dichiara legittimo erede come pure lo sono del fu signor mio padre si che con essa resterebbe ad un tratto convinta la signora vedova e coll’ inventario che ho appresso di me di tutta quella roba che ho lasciato in casa bisognerebbe che essa mi desse intiera soddisfazione d’ogni cosa e sperarei che costà dove i tribunali amministrano si incorrotta la giustizia non mi dovesse essere fatto un minimo torto. L’ ultimo testamento fattosi pur dal fu signor mio padre dell’ ultima peste mentre temeva come tutti gli altri di poter morire, ma lasciamo tutto ciò e V. S. Ill.ma mi faccia grazia giacché mi ha favorito di tanto d’intendere chi fosse quel religioso a cui mio padre consegnò l’altro anello di diamante di mio padre e me l’avvisi ed intanto sappia V. S. ili. che io sono anco troppo ragionevole, e che tuttoché io conosca che codesta signora vedova meriterebbe che io la trattassi, se non peggio, almeno del pari di quello che ha operato, che io sia stato trattato sei anni continui da mio padre, dal quale anche in tempo di mia gran necessità non potei mai apuntare un minimo aiuto. Ad ogni modo solamente per aderire al consiglio di V. S. ill.ma alla 388 GIORNALE LIGUSTICO quale professo tante obbligationi do consiglio in verbo sacerdotis che quando la signora vedova suddetta deposto in mano di A . S. ill.ma quell’anello di diamante che ella dice essere il suo sposalizio e originale della suddetta lettera che dice scrittami da mio padre prima di sua morte, e mi mandi anco certa nota del nome e cognome di quel religioso che ebbe com’ essa dice 1’ altro anello io mi contenterò eh’ essa goda in pace tutto il resto. V. S. ill.ma dunque che si vede con essa procuri di ricevere l’anello ed avverta che è un diamante grosso a faccette ed ha sei diamanti tre per parte simili con legature smaltate. L’altro anello che dice essere stato datto al religioso da mio padre era di più diamanti, ma più piccoli, e fu dato a me dalla signora principessa Luisa che l’ebbe dalla serenissima di Baviera per darlo a mio padre per regalo della sua dedicatoria fiutagli nella istoria, e se pure potrà ricuperarlo , perchè come V. S. ili. vede queste sono cose che meritano di essere in mano del vero e legittimo erede; peraltro ella vede che io non sono punto interessato, che non so rendere male per male. Bensì è vero che quando V. S. ill.ma mi avvisi che detta signora vedova non voglia accomodarsi a darmi l’anello, e la detta lettera, essa può credere che senza fallo sarò costà prima che sia il i6 del prossimo gennaio, e farò le mie parti come meglio sarà il dovere, e se l’informerà bene troverà che già ho stanza pronta perchè dovevo partire di qua appunto domenica a cotesta volta ; ma la lettera di V. S. ili."* mi ha trattenuto e d’altra parte mi struggo nel perdere queste belle giornate. Perdoni intanto V. S. ill.ma l’incomodo che io le apporto, e quando possa spuntare che detta signora vedova depositi in mano di V. S. ilima l’anello, V. S. i l.™ lo rinchiuda in un piccolo scatolino ben sigillato e ben involto, e lo consegni al corriere che viene perciò di costà, incaricandolo di consegnarlo in persona qui alla chiesa delle Vigne, che io le GIORNALE LIGUSTICO 389 pagherò il suo porto; cosi avviserà V. S. ill.ma la ricevuta. Veda di darmi qualche occasione di scriverle, e senza più mi rassegno Genova li 14 dicembre 1672 Di V. S. Ill.ma dev. serv. obb.te D. Gio Batta Silvio Assarini (i). Lasciando di ricordare, o far troppo caso dell’avversione, probabilmente reciproca, fra una matrigna ed un figliastro, come ci appalesa questa lettera, e dell’ inevitabile battibecco sortone , possiamo conchiudere eh’ essa ci attesta , come ad onta di tutti i regali principeschi che l’Assarino ricevette da vari de’ nostri principi, fra cui dalla nota Adelaide elettrice di Baviera, che pregi e difetti aveva coposiamente redati dalla sua madre, Cristina di Francia, egli morì, si può dire, fra le angustie; e con questo figlio si spegne ogni memoria della sua famiglia. G. Claretta. VARIETÀ PORTO VENERE E LA NUOVA DIOCESI DI CHIAVARI Una questione che appassiona molto gli animi degli abitanti di Portovenere è V aggregazione di quella antica colonia genovese alla neo-diocesi di Chiavari. Il « Ligustico » non intende per ora di entrare in merito a questa questione ; tuttavia pubblica di buon grado la seguente lettera aperta, che l’egregio prof, cav. C. Manfroni, della nostra R. Università, ha diretta al Presidente della « Società Ligure di Storia Patria ». (i) Archivio di Stato — Lettere di particolari. Giorn. Ligustico. Anno XXI. 390 GIORNALE LIGUSTICO 111.”° Signor Presidente, Voglia permettere ad un membro della Società Ligure di Storia Patria, la quale è vigile custode dei gloriosi ricordi e delle nobili tradizioni del passato , di richiamare 1’ attenzione sua e quella degli altri colleghi sopra 1’ antica e valorosa colonia di Genova, su Portovenere, che vede oggi spezzato 1’ ultimo vincolo che ancor la legava alla madre patria. Non ho bisogno di ricordare a Lei, signor Presidente, come nel 1113 fosse fondata dalla Compagna di cui erano i consoli, fra gli altri, Guido di Rustico e Guido Spinola, la piccola Colonia sull’ estrema rupe che chiude a settentrione il golfo di Spezia, poiché Ella nel suo pregevolissimo studio su Caffaro ed i suoi tempi ha illustrato e commentato il passo dell annalista, in cui è ricordato quell’ avvenimento ; nè è necessario che io accenni come Portovenere mirabilmente rispondesse allo scopo per cui era stato fondata e come nelle diuturne guerre coi Pisani servisse di estremo baluardo alla Repubblica e più volte respingesse gli assalti dei nemici. Il Pontefice Gelasio II consacrò la chiesa di S. Pietro, le cui rovine sorgono ancora sulla punta più sporgente del promontorio, e la sottopose alla giurisdizione dei vescovo di Luni; ma Alessandro III con sua bolla del 9 aprile 1161 sottraeva il Castrum Portus Veneris cum suburbio alla dipendenza della diocesi di Luni e stabiliva che in perpetuo esso dall Arcivescovo di Genova dipendesse. Questa bolla, emanata a richiesta del celebre Arcivescovo Siro, rendeva ancor più stretti i vincoli, che univano la nascente colonia alla madre patria e vani riuscirono i tentativi dei vescovi di Luni-Sarzana per distaccare Portovenere dall’Archidiocesi. Si conserva infatti nell’Archivio Segreto di cotesta città la lettera con cui nel 1166 il Pontefice acerbamente rampognava il vescovo Pietro di Luni perchè, amico del Barbarossa e dei Pisani, aveva tentato di sottrarre Portovenere alla giurisdizione ecclesiastica di Genova. ed il nostro venerando presidente onorario, comm. Cornelio Desimoni, nelle sue Lettere Pontificie della Liguria (N. 174) ha dimostrata 1 autenticità del documento. Dal 1166 in poi la parrocchia di Portovenere restò sempre sotto la giurisdizione della curia genovese e i coloni ottennero in compenso della loro fedeltà alla Repubblica numerosi privilegi, fra i quali, per tacer d altri, quello del 1201 in cui veniva loro concessa 1’ esenzione d’ ogni gabella per tutte le merci che estraessero da Genova, quello del 1289 in cui veniva concessa la libera navigazione alle isole di Corsica e di Sardegna, ed altri ancora. GIORNALE LIGUSTICO 391 Più tardi, quando Carlo VII di Francia, protettore di Genova, tradi gli interessi della Repubblica e vendè Portovenere con altri luoghi del golfo ai Fiorentini (1411), i coloni tentarono ogni mezzo per sottrarsi alla signoria straniera e, come dice un atto del dicembre 1444, « non dubitaverunt se omnibus periculis exponere pro reducendo dictum locum Portus Veneris sub dominio et potestate incliti communis Ianuae. » Anche la chiesa di Portovenere fu argomento delle sollecite cure della Repubblica e quando Federico d’Aragona colla sua armata assalì Portovenere e danneggiò colle artiglierie le due chiese di S. Pietro e di S. Lorenzo, Agostino Adorno, luogotenente di Carlo VIII, concedeva agli abitanti di imporre una tassa di ancoraggio su tutti i legni che approdassero nel piccolo porto, purché il provento della imposta servisse a riparare i danni sofferti. Superbi e fieri della loro origine genovese, delle loro glorie e delle loro nobili tradizioni, gli abitanti di Portovenere restarono strettamente congiunti a Genova per tutti i secoli dell’ evo moderno ; ed anche oggi, quando tanti altri vincoli colla madre patria erano stati spezzati, essi consideravano come loro gloria d’appartenere, unici fra tutti gli abitanti del golfo, alla diocesi genovese, perchè questo legame, fondato su privilegi antichissimi, era ricordo d’ un nobile passato e testimonianza d’ una fedeltà non mai smentita per sette secoli. Qpand’ ecco, coll’ istituzione della nuova sede vescovile di Chiavari, stabilita con bolla pontifìcia del dicembre 1892 e resa esecutoria nell’aprile dell’ anno corrente, i legami storici furono spezzati, i privilegi abrogati e Portovenere inclusa nella diocesi nuova e fatta dipendente da Chiavari, cui non la legano relazioni nè storiche, nè politiche, nè amministrative. Vani riuscirono i reclami della cittadinanza e delle autorità ecclesiastiche: ma gli abitanti, da veri Genovesi, quali si vantano di essere, non si sono così facilmente rassegnati e continuano ad agitarsi, sperando che si faccia loro ragione e che la promessa e la concessione di Alessandro III non venga abrogata senza plausibile ragione. A me è parso conveniente dar notizia del fatto alla S." V.· ed alla Società ligure di Storia Patria, perchè nella sua prudenza il Consiglio Direttivo vegga se sia opportuno, nell’ interesse della storia ligure e delle antiche tradizioni, di concedere il suo morale incoraggiamento alla causa degli antichi coloni della Repubblica, giustamente orgogliosi della loro origine e delle loro prerogative. Portovenere, 20 luglio 1896. Dott. Camillo Manfroni. 392 GIORNALE LIGUSTICO SULLE RAPPRESENTAZIONI POPOLARI IN LIGURIA Aderendo all’ invito da noi fatto sul « Ligustico » (pag. 326) molti abbonati e studiosi hanno mandato alcuni appunti, non sen^a importanza, relativi alla « Similitudine » ed altre rappresentazioni popolari. Noi andremo pubblicandoli via via. I. Illustrissimo Signore, Dopo d’ avere letto nel Ligustico di quest’ anno a pag. 323 e segg. ciò che riguarda le rappresentazioni sacre in Liguria, mi son deciso a farle sapere che in Val di Polcevera non è ancora del tutto andata in disuso la pratica di quest’ antica costumanza. Infatti nella Qparesima dell’anno scorso 1895, nell’Oratorio d’Isoverde più volte nei giorni di Domenica ebbe luogo la rappresentazione, e come si diceva, similitudine della Passione di S. N., e benché ben numeroso fosse stato il concorso delle popolazioni vicine, non accadde alcun disordine, e tutto ciò per le ottime precauzioni prese in tempo dall’ ottimo Parroco d’Isoverde. Nello stesso Oratorio circa dieci anni avanti avea avuto luogo la medesima rappresentazione. E da informazioni prese seppi che anche in questi ultimi tempi questa sacra rappresentazione si effettuò a Gallaneto e più volte a Campomarone, Pontedecimo, S. Quirico, Bolzaneto, Rivarolo e forse anche in altre località. È ancora da osservare che in alcuni di questi luoghi, oltre alla Passione, qualche volta rappresentossi anche il Natale. Queste notizie forse erano già note alla S. V. 111.”*, ma con tutto ciò spero di non averle recato noia a ricordarle. Gradisca intanto i miei più rispettosi ossequi, mentre mi professo. Pontedecimo. Cravasco, 15 Sett. 1896. Suo Dev.m° Servo Sac. Nicolò Schiappacasse Membro della Soc. Lig. di St. Patria. GIORNALE LIGUSTICO 393 II. L'amico Arturo Ferretto ci comunica questi altri documenti da lui trascritti in Archivio (i). Serenissimi Signori, Bartolomeo Gandolfo q. Giacomo Antonio di questo luogo persona vile e di sua professione sensale da oglio mi ha richiesto il permesso di fare in questa pubblica piazza con formatura di longo palco nei giorni delli Giovedì e Venerdì Santi di notte e tempo prossimi la Rappresentanza della Passione di Nostro Signore Gesù Cristo con varie altre persone ordinarie recitanti, a cui ho stimato non accordare tale permesso in primo luogo per non porre in ridicolo comediante un sì venerando ministero come ho inteso esser seguito in adietro con tiratura di sassate e limonate a scompiglio e fuga di tutti li numerosi astanti et a principale idea del detto Gandolfo d’impinguarsi con batere la birba questuando per il Paese oglio, denari, et altro che può riuscirli come à fatto più volte per il passato, altre volte facendo egli la parte di Giuda et altresì per l’incidenti scandalosi et offensivi a Dio che di certo sarebbero per succedere nel venire e nel partire noturna-mente da questo luogo la gran numerosa quantità di persone di questi paesi circonvicini e non ostante il non datosi tal permesso si è fatto animo detto Gandolfo di principiare a piantar legnami in detta piazza a sostegno della formatura di detto palco da farsi. Laonde per riparare a quelli incidenti scandalosi et inconvenienti stimo mio positivo dovere il fare umilmente presente quanto sopra va tentando fare detto Gandolfo ad effetto si degnino farmi capire su tal pratica le di loro sempre veneratissime determinazioni per poter quelle far prontamente far eseguire a tenore dei loro supremi oracoli a quali sempre disposto con indicibile stima profondamente m’inchino Di V. V. S. S. Serv.m\ Lerice, 17 marzo 1773. Umilissimo Servitore Francesco M. Galliano Podestà. (1) (Iurisdictionalium- 1279) * 394 GIORNALE LIGUSTICO 1773, 22 Marzo. Letta al Ser.m° Senato. Proposto che sia di sentimento di rimettere all’Ecc.m* Gionta di Giurisdizione sudetta lettera, perchè dia in nome di loro Ser."' tutti gli ordini e providenze che stimerà in riparo degli inconvenienti enonciati nella medesima. Latis calculis approbata. a detto Sentito quanto è stato rappresentato per parte dell’ Ecc.m* Gionta di Giurisdizione nella sostanza che la migliore providenza da darsi relativamente al contenuto in detta lettera sarebbe quella che lor Ser.™' ordinassero e deliberassero la proibizione della rappresentanza o sia volgarmente detta la Similitudine attesi gl’ inconvenienti e scandali occorsi ne’ tempi passati e di incaricava il sudetto M. Podestà dare gli ordini di conformità con far amovere il palco o legnami che fossero già stati posti a lavoro. Proposta di deliberare in tutto e per tutto secondo il contenuto in detta relazione. Latis calculis in Ser.m0 Senatu approbata. (Continua'). * * * Un quadro di Bernardo Castello. — Il prof. Domenico Buscaglia, pittore e Accademico di merito della nostra Accademia Ligustica di Belle Arti, rilevando 1’ errore in cui incorse il compianto ab. Filippo Brunengo nella sua Dissertazione Storica su Savona, parte 2.* pag. 175, che attribuisce al savonese G. B. Robatto il bellissimo quadro raffigurante s. Bernardo nella chiesa della borgata omonima, dimostra essere invece lo stesso del pittore genovese Bernardo Castello, restaurato poscia dal Ratti, come dalle seguenti due iscrizioni eh’ egli v’ ha potuto scoprire, cioè : Beate Virgini, Anne Matri et S. Bernardo, Bernardus Castellus dedicavit et fecit MDCXV Joannes Augustinus Ratti restauravit Anno ιη6$. COMUNICAZIONI ED APPUNTI Società Storica Savonese. — Alla seduta di sabato 29 agosto, presieduta dall’ on. Paolo Boselli, erano presenti il comm. Vittorio Poggi, vice-presidente, il cav. Agostino Bruno, segretario generale, il prof. Garassini, vice GIORNALE LIGUSTICO 39 S segretario, il prof. Domenico Buscaglia pittore accademico, il prof. Richeri, F. Rosso, la signorina A. Fiumi, il cav. Federico Bruno, il cav. avv. Cappa, il cav. A. Acquarone, il dott. Andrea Buscaglia, il cav. prof. Girolamo Bertolotto, il cav. prof. Foldi, il cap. G. B. Minuto. Scusarono la propria assenza il comm. A. G. Barrili, il dott. Solari, il cav. Pasquali. Data dal Segretario generale informazione sullo stato economico della Società, il Presidente accenna all’ interessamento preso per la sistemazione finale della spesa incontrata per la stampa degli atti e memorie della stessa ; e l’Assemblea esprimendo i propri ringraziamenti, gli conferisce pieno voto di fiducia. Informata 1’ Assemblea delle pratiche fatte presso il Governo dal Segretario generale nella sua qualità di R. Ispettore dei monumenti di antichità di Savona perchè siano assegnati alla Società i residui dei locali che componevano la Siracusa (i) del nostro Chiabrera, e sul voto favorevole dato in proposito dall’ Ufficio regionale per i monumenti del Piemonte e della Liguria, l’Assemblea ne esprime la sua soddisfazione, e, trattandosi di un ricordo caro ai savonesi, confida che il Governo, mercè gli uffici già iniziati dall’ on. Presidente, rimetterà fra poco alla Società i locali richiesti, nei quali si avrebbe in animo di stabilire una collezione delle opere e dei manoscritti, nonché di tutto quanto può interessare la memoria del gentile poeta (2). A proposito del Chiabrera, il professor G. Bertolotto, è lieto d informare l’Assemblea che per iniziativa della « Società Ligure di Storia Patria » il Municipio di Genova, ha recuperato per la sua Biblioteca Civica 1 autografo del « Ruggiero » scritto di tutto pugno dal poeta savonese. La notizia è accolta con viva soddisfazione. Sempre in omaggio al Chiabrera, 1’ on. Boselli incarica una Commissione composta di cinque membri, perchè provvedano al recupero di un antico busto marmoreo del Chiabrera (esistente presso una famiglia patrizia) per collocarlo (ove ne sia reputato meritevole dal lato artistico), nella predetta Siracusa. L’Assemblea intanto, riconoscendo conveniente di costituire il Consiglio Amministrativo di otto membri, procede alla elezione dello stesso, ed in (1) Per la Siracusa del Chiabrera, vedi Γ importante articolo di V. Poggi Gabriello Chiabrera Epigrafista inserito nella Strenna Savonese del 189$. (2) Sull’opportunità di formare in Savona una « Sala Chiabreresca » vedasi l’articolo di G. Bertolotto, inserito nel « Cittadino» di Savona (13-14 ottobre 1894). 396 GIORNALE LIGUSTICO seguito alla votazione avvenuta, tenuto anche conto delle altre nomine fatte nell’altra seduta, il presidente proclama così costituite le cariche sociali: Presidente: Paolo Boselli — V. Presidente: comm. V. Poggi — Segretario Generale: cav. A. Bruno — V. Segretario: prof. dott. G. B. Garassini — Cassiere: Lamberti Policarpo — Consiglieri: cav. avv. Cappa, cav. F. Bruno, cav. canonico Astengo, prof. dott. Richeri, dott. G. Solari, cap. A. Pertusio, avv. E. Pessano, cap. G. B. Minuto. In ultimo, l’Assemblea esprime un cordiale officio verso il benemerito can. cav. G. B. Astengo, facendo voto per il sollecito suo ristabilimento in salute, a vantaggio degli studi storici di cui è esimio cultore. Nella seduta del Consiglio del 12 settembre il segretario Bruno lesse un’ importante suo studio sulla onomastica delle vie e delle piazze di Savona. Nella tornata del 19 ottobre, il Presidente onorevole Boselli partecipa la generosa offerta fatta alla Società dal socio onorario cav. F. Fallabrini, preannunziata nell’ ultima assemblea generale, per le spese di stampa degli atti e memorie; ed il Consiglio manda ad attestargli la sua riconoscenza mediante speciale diploma, affidando l’esecuzione dello stesso al prof Busca-glia, in seguito alla sua gentile esibizione per atto d’omaggio verso la Società. Viene contemporaneamente deliberata la stampa e preparazione dei diplomi da distribuirsi ai soci. Il prof. Buscaglia, dopo di aver parlato del quadro di Bernardo Castello (di cui vedi il « Ligustico » di quest’anno pag. 394) rileva un appunto fatto dal can. cav. Astengo benemerito pubblicatore del Verzellino a pag. 284 del 1.° volume, circa la demolizione avvenuta, non sono molti anni, del pulpito della chiesa di S. Giovanni Battista; osserva come, contrariamente all’affermazione dello scrittore, non sia già il pulpito demolito quello su cui predicò Vincenzo Ferrerò, ciò che si può desumere dalla storia, da prove di fatto e dallo stile stesso del lavoro, ch’era in tutta muratura, e che perciò non poteva essere stato ivi trasportato da altro luogo: mentre il Ferrerò predicò nell’antica chiesa di san Domenico non già quella volgarmente cosi denominata al giorno d’ oggi. Ciò anche per sdebitare Γ amministrazione della chiesa di S. Gio. Battista da ciò che potrebbe apparire un atto di poco riguardo verso le memorie locali. Il comm. Poggi accenna alla somma convenienza per la Società di sussidiare la nostra storia colla pubblicazione delle iscrizioni locali che sono il documento più veritiero ed inoppugnabile della storia medesima. Riferisce com’ egli abbia già potuto raccogliere un corpus iscriptionum savonesi ; e si mette a disposizione della Società per le determinazioni che crederà di pren- GIORNALE LIGUSTICO 397 dere. Ed il Consiglio, ringraziando 1’ egregio socio ed entrando pienamente nelle sue viste, lo prega di riferire tassativamente in altra seduta sulla spesa che occorrerebbe e su quanto crederà di proporre al riguardo. 11 cav. A. Bruno fa conoscere com’egli, in seguito ad alcune ricerche praticate nell’ antico archivio dei notari abbia potuto riconoscere due nuovi notari non compresi nello studio da lui pubblicato anni or sono. L’uno è Gaspare De Noceto che rogò nella prima metà del secolo XV e di lui v’ ha un atto del η ottobre 1424 nel quale apparisce un Lorenzo Colombo mer-ciajo in platea, certamente quella del Brandale: l’Harrisse non ebbe forse contezza di quel Colombo, mentre un altro Lorenzo, forse lo stesso individuo, risulta da un atto dell’ 11 febbraio 1365 del notaio Rusche. Il secondo notaro è Bartolomeo Basso il quale in un atto del 12 dicembre 1468 dice d’ aver rogato super pùntati soiarei Columbi. X... * ♦ * Un Genovese nel Montenegro — Quel prode ufficiale garibaldino che fu il marchese Giacomo dei Duchi Vivaldi Pasqua, allo accentuarsi, nel 1875, della rivolta dell’ Erzegovina e Bosnia contro il turco, ed alla prossima intrapresa delle ostilità per parte dello Stato Montenegrino, decidevasi generosamente di offrire la sua opera di soldato alla causa slava. Partendo, egli prometteva al sig. cav. Ferdinando Rezasco di mandargli lettere, e la promessa fu mantenuta. Tornategli ora sott’occhio quelle lettere del bravo ufficiale, che nel 1876 il principe Nicola credette meritevole di decorare egli stesso sul campo di battaglia, il Rezasco, pubblicando in occasione delle nozze Savoia-Petrovich un Numero Unico, edito dallo Stabilimento Tipografico del cav. L. Attilio Campodonico, ne riproduce tre solamente. Molte delle cose che allora il marchese Vivaldi Pasqua scriveva, tornano, a vent’ anni d’intervallo, ancora oggi d’attualità, specie per dati caratteristici sul paese e sul suo degno Principe. Aggiungiamo che nel ricevimento ottenuto recentemente dal nostro Sindaco, avv. cav. F. Pozzo a Roma per le solennità nuziali, la principessa Elena, dopo aver accennato ai principali monumenti di Genova da Lei visitata in incognito nel 1892, volle ricordare con gentili espressioni il compianto march. Giacomo Vivaldi Pasqua, che si valorosamente combattè per la causa del Montenegro. * * Φ Società Ligure di Storia Patria. — Nella votazione del 19 ottobre 1896 i sigg. March. Avv. Antonio Carrega di Angelo — Conte Cadetto Raggio di Edilio — Conte Francesco Melzi d’ Eril — Avv. Leale G. B. — Monsignor 398 GIORNALE LIGUSTICO Fietro Riva, arcriprete di Camogli — Riccardo Tomasinelli Mario Oliva — Dott. David Durand, medico primario — Prof. Ottavio Varaldo, Porto Maurizio — Ubaldo Mazzini, Spezia, sono stati eletti socii effettivi. * % * È in corso di stampa il volume XXVIII (i.“ della Serie III) degli Atti. * * * Il socio prof. Michele Rosi del nostro R. Istituto Tecnico ha vinto, per ispecial concorso, il posto di professore titolare di storia al R. Liceo Tasso in Roma. — Il socio e cons. P. A. Vigna è stato nominato Rettore dei Collegio di Barolo. — Congratulazioni. * * * La gita archeologica a Noli, stante la stagione poco propizia, è rimandata alla p. v. primavera. BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO Odino (M. R. Giovanni). Vigna (prof. cav. P. Amedeo). Brichetto (M. R Paolo). Bozzini (avv. Torquato). Cervetto (avv. L. A. C.). Ferretto (Arturo), Cenni illustrativi della Parrocchia di San. Fruttuoso di Ttrralba. (Genova ecc.). L’opuscolo contiene anzitutto una lettera del Prevosto a S. E. Rev."’* 1’ Arcivescovo che ne accetta la dedica. L’ opuscolo si suddivide in sette titoli speciali. S’ accenna dapprima alla storia del culto a N. S. del Bello Amore ed alla prima ricorrenza centenaria di tale culto. Si descrivono quindi gli edifizii religiosi, quali i vara conventi, gli oratorii , le varie chiese , e specialmente la Parrocchiale. Una poesia improvvisata lo scorso anno dal compianto sac. Luigi Valente chiude la prima parte: altra del prof. G. B. Caprile, chiude la seconda. In essa si ricordano i defunti di tutto il secolo, che, se non hanno sepoltura accanto alla chiesa, giusta l’uso antico, pure son ricordati dai memori nipoti. L’ opuscolo con chiara sintesi passa quindi in rassegna gli istituti educativi ed istruttivi, quelli di beneficenza, delle Opere pie e le varie Associa zioni esistenti nella Parrocchia. Degne di nota sono pure le altre due parti, 1’ una relativa alla questione sociale, l’altra relativa all ex Comune. GIORNALE LIGUSTICO 399 Nella prima, prendendo occasione dalla ricorrenza centenaria, si fa invito ai padroni ed agli operai, ai ricchi ed ai poveri ad affratellarsi, mentre il Convento di Nostra Signora del Monte suggerisce al ch. Sac. Brichetto il ricordo di due cenobiti chiari per religiose virtù e noti fondatori di Monti di Pietà. L’ altra parte si intitola : « Brevi note dell’ ex Comune di S. Fruttuoso, » dove si passa rapidamente in rassegna la vita dell’ ex Comune dal principio sino a quando fu annesso a Genova. Si accenna quindi alla annessione del suburbio a Genova, ed al progresso della popolazione di S. Fruttuoso. Per sommi capi viene dall’ avv. Torquato Bozzini descritta 1’ attività dell’ ex Comune e ciò che fece la città di Genova nella parrocchia di S. Fruttuoso dopo 1’ annessione Si fa cenno delle varie industrie, esistenti in Parrocchia e si esprime il voto che si eseguisca la nuova via S. Fruttuoso. Si raccomanda cautela nei progetti che attualmente si studiano per la sistemaziane del Porto e caldamente si patrocina la linea Genova-Piacenza con buon raccordo col porto. Anzi le varie ed importanti idee che si espongono fanno sorgere il desiderio che il suburbio possa ricavare maggiore - utilità dal porto, per cui si richiama 1’ attenzione vigile degli amministratori Genovesi. Egisto Roggero. — I racconti della quiete. Milano. Casa editrice Galli di Chiesa, Omodei, Guindani, 1896. È un libro che si legge d’un fiato, tanto è fluida la dizione, carezzevoli le immagini, dilettosa e sobria la sostanza degli otto racconti, che l’autore con tutta spigliatezza viene esponendo. Per altro il nome di Egisto Roggero non è nuovo nella repubblica delle lettere, chè già di lui abbiamo segnalato ai nostri lettori le vecchie storie musicali e il settecento galante, lavori pregevolissimi. Ma in questi suoi racconti della quiete, egli si è rivelato novelliere finissimo e di ottimo gusto ; egli ha mostrato di possedere 1’ arte assai difficile di destare nel lettore il massimo interesse, mediante un certo che di indefinito che fa pensare, e talora commuove fino alle lagrime. Ci auguriamo che il giovane autore, nel quale si manifestano tutte le doti d’ un buon romanziere , intenda a lavoro di maggior lena ; perchè siamo certi eh’ egli potrebbe ottenere eccellente successo nel nobile arringo. a P. 400 GIORNALE LIGUSTICO OPERE PERVENUTE AL « LIGUSTICO » Fontana (Paolo). — Di una Tavoletta di Luca Signorelli della Pinacoteca di Brera. Roma, tip. Un. Coop. editrice 1896, op. in fo. pp. 10. Mazzini (Ubaldo). — Portvs Lvnae. Spezia 1896, op. in 12 pp. 31. Id. Delle antiche mura della Spezia, con due tavole. Lipsia 1896, op; in 8 pp. 15. Martini (Carlo). — Una gita alle cave di ardesia in Cogorno. Genova, Ciminago 1896, op. in 8 pp. 10. Rocca (G. A.), — Francesco G. B. Caorsi. Ricordo biografico. Savona, tip. Ligure 1896, op. in 8 pp. 10. Paoletti (V.). — Portovenere. Note storiche e descrittive. Milano, Prina e C. ed. op. in 8 pp. 47. Id. Lerici, monografia del cav. Vincenzo Paoletti. Milano, Prina e C. ed. op. in 8 pp. 56. Roggero (Egisto) — I racconti della quiete. Milano, Chiesa-Osomale· Guindani 1896, 1 voi. in 16 pp. 136. Sacheri (Alessandro). — Ça ira italico XXIV ottobre MDCCCXCVI. Genova, Pagano 1896, op. cc nn. xii. Boscassi (Angelo). — Studio storico amministrativo sulle pavimentazioni delle strade in Genova. Genova, Pagano 1894, op. di pp. 17. Ruggero (Giuseppe). — Annotazioni numismatiche italiane. II. Milano, tip. Cogliati 1896, op. in 8 pp. 14. Id. Annotazioni numismatiche genovesi. XXX. Due nuove monete. Milano, Cogliati 1896, op. in 8 pp. 8. De Mauri, L’ Amatore di oggetti d’ arte e di curiosità. Milano, H. Hoepli, voi. di pp. 600. Lazzarini (Vittorio). — Due documenti della guerra di Chioggia (estratto), op. 8, pp. ii. Jarry (Eugène). — Les origines de la domination française a Gênes (1392-1402). Paris, Picard, 1896 1 voi. in 8 pp. VII-631. [Le recensioni al prossimo fascicolo]. Prof. Girolamo Bertolotto Direttore Responsabile. GIORNALE LIGUSTICO 4OI CONTRIBUTI AL CATALOGO GENERALE DEI MONUMENTI E DEGLI OGCETTI D’ARTE E D’ANTICHITÀ DELLA LIGURIA II. A Bergeggi. Visitato dagli escursionisti e conosciuto da quanti hanno avuto occasione di percorrere la Riviera di Ponente è Γ isolotto di Bergeggi (in dialetto Ber^e^i), la cui massa conica, vestita di arbusti vegetanti a stento fra i crepacci della sua ossatura e cosparsa di ruderi, emerge a poca distanza da terra fra Spotorno e Vado. Per contro , ben pochi conoscono più che di nome l’omonimo paesello annidato in alto fra gli ulivi e i vigneti sul ripido pendio del monte S. Elena, quasi di fronte all’ isola. Gli è che il paese non si vede dalla strada della Cornice, serpeggiante a pochi metri dal livello del mare lunghesso le falde del monte , sull’ erta del quale è d’ uopo arrampicarsi per trovarlo ; mentre l’isola è li dinanzi agli occhi, e continua ad attirare i vostri sguardi finché non abbiate percorso tutto 1’ ampio arco di circolo di cui occupa il centro. E poi quest’ isoletta ha una storia, e le macerie in essa disseminate si raccomandano per più rispetti all’ attenzione dell’ archeologo. Il culmine centrale dell’ isola è coronato dai ruderi biancheggianti d’un fortilizio romano, unica costruzione di questo Giorn. Ligustico. Anno XXI. 27 402 GIORNALI". LIGUSTICO genere di cui rimanga traccia in Liguria. Gli avanzi di questo fortilizio consistono in un mastio o torrione massiccio di forma cilindrica, la cui base è difesa da una cortina quadrata, rivestita anch’ essa di parallelepipedi in pietra sagomata, e non senza un sentiero o gradinata esterna a spirale per salire sulla piattaforma sovrastante al torrione. Già alcuni anni addietro, i resti dell’interessante fortilizio trovavansi ridotti a tale, per le ingiurie del tempo e Γ incuria degli uomini, che da un momento all’altro, per poco che continuasse a sgretolarsi la base, poteva venir meno la compagine del monumento e il tutto sfasciarsi e franare sulle sottostanti macerie medioevali. Preoccupandomi d’una siffatta condizione di cose, nel tempo in cui ero R. Commissario per le Antichità e Belle Arti della Liguria (1890-91), diedi opera a scongiurare come meglio si poteva l’imminente sfacelo del prezioso monumento, provvedendo a rincalzarne la base e ad impedire un ulteriore disgregazione degli elementi. A tale effetto venne allora compilato dal comm. D’Andrade e sottoposto al Ministro della Istruzione Pubblica un progetto di lavori di consolidazione, ai quali però fu data esecuzione, e non so poi se in tutto 0 in parte, soltanto 1’ anno scorso. Altre antichità romane, fra cui i marmi figurati e scritti di cui fanno menzione il Verzellino e il Torteroli (i), furono scoperte nell’ isola : le lapidi nn. 7778-79 del Corpus inscriptionum Latinarum, V, provengono ambedue da questa fonte. Ad un’ epoca molto antica appartiene pure il pozzo a sinistra dell’ angusto sentiero che mena alla sommità : un pozzo profondo, scavato nella roccia viva con paziente lavoro. (1) Verzellino (Vincenzo) Delle memorie particolari e specialmente degli uomini illustri della città di Savona, I, p. 136, Torteroli (Tomm.). Scritti letterari, Savona, L. Sambolino, MDCCCLIX, p. 38. GIORNALE LIGUSTICO 403 Esausta da lungo tempo è la sorgente che ne alimentava la vena e, affacciandovi oggi alla sua bocca, lo vedrete ostruito di pietrame per circa un terzo della sua altezza : ma anche così com’ è , non è senza interesse pei cultori del folk-lore ligure. Secondo una tradizione popolare, già raccolta verso il 700 da Tiziano, vescovo di Treviso, al quale fanno eco nel secolo XIV Pietro de’ Natali, vescovo Equiliense e frà Filippo Alessandrino (1), questo pozzo si connette alla leggenda di S. Eugenio. Diffusa era nel medio evo la credenza che i pozzo s’ internasse sotto il livello del mare, sebbene il suo orifìcio si apra ad un’ altezza di ben diciotto metri da questo, e credevasi che Γ acqua dolce che gli abitanti dell’ isola attingevano nelle sue viscere fosse il prodotto di una misteriosa elaborazione. Dal fin qui detto si può arguire con molta probabilità che l’isola di Bergeggi, abitata fin dal primo periodo dell’epoca romana, facesse poi parte, come opera avanzata, del Castello dei Vadi Sabazi, di cui è parola negli Atti della traslazione delle salme dei Santi Vindemiale e Fiorenzo, scritti sullo scorcio del secolo VII dal prefato Tiziano vescovo di Treviso e pubblicati dai pp. Bollandisti ; dove è detto che sui primordi del sesto secolo ì due vescovi africani Eugenio e Vindemiale dalla Corsica approdarono ad castrum Fadense. S. Eugenio finì i suoi giorni ed ebbe sepoltura in questa isola, dove ben presto gli fu dedicata una chiesuola a cui convenivano per divozione le popolazioni della diocesi vadese intitolatasi più tardi savonese. Nel secolo X essendosi assai diffuso il culto del Santo ed accresciuta la venerazione dei popoli di questa parte della (1) Verzellino, op. cit. I, p. 141. Veggasi anche Giudici (can. Giacomo Maria), Notizie isteriche di S. Eugenio etc. Ancona. MDCCXLIV, p. 34-39. 404 GIORNALE LIGUSTICO Riviera, e più particolarmente dei marinai, al sepolcro di lui, il vescovo Bernardo fece costrurre nell’ isola con materiali detratti dal sovrastante fortilizio romano, un monastero, che affidò nel 992 ai monaci Lirinensi quivi chiamati da quello di S. Onorato dell’isola d’Hyeres nella Provenza, dotandolo di congrue rendite in Bergeggi e altrove. Il cenobio venne in gran fama come centro di peculiare devozione e non tardò a raggiungere un alto grado di prosperità e di splendore. Fu meta per più secoli di devoti pellegrinaggi, anche principeschi, affluendovi in gran copia oblazioni, doni e proventi d’ogni sorta, di che andò di molto estendendosi il raggio delle sue dipendenze. Un avvenimento fra i più memorabili nei fasti dell’isola è certamente il soggiorno ivi fatto da papa Alessandro III nel 1162, quando, per sfuggire alla persecuzione di Federico Barbarossa, navigando egli verso la Francia sulle galee di Guglielmo re di Sicilia, fu costretto dalla tempesta a cercar rifugio nella rada di Vado, donde passò il 7 di aprile nella vicina isoleita di Bergeggi, ospite dell’Abazia di S. Eugenio, trattenendovisi tre giorni e celebrandovi la solennità della Pasqua. Ma tutto ha una fine a questo mondo, e anche i bei giorni dell’Abazia volsero a sera. Nel 1239 papa Gregorio IX, a ricompensare il Comune di Noli che avea concorso con 72 navi e altri legni minori alla difesa della Sede Apostolica, lo eresse alla dignità di città vescovile : ond’ ebbe origine il noto epigramma Urbs meruit dici mutato nomine vici scoccato all’ indirizzo della nuova città da un umorista contemporaneo, assai probabilmente savonese. Poco dopo, papa Innocenzo IV (Sinibaldo Fieschi), per provvedere alla rendita della nuova diocesi, ordinava la soppressione dell’ antica Abazia di S. Eugenio dell’ Isola , asse- GIORNALE LIGUSTICO 405 gnando alla mensa nolese le possessioni ed entrate del monastero stesso. Colla dignità abaziale anche il corpo di S. Eugenio passò dalla chiesa dell’ isola di Bergeggi in quella di S. Paragono , allora cattedrale di Noli : e i pochi monaci rimasti nell’ isola non tardarono a stancarsi del regime imposto loro dalla nuova condizione di cose, e un bel giorno se la svignarono alla cheticella , rientrando nell’ alvo materno, cioè facendo ritorno in Provenza d’ onde erano venuti i loro predecessori. D’allora in poi l’isola rimase abbandonata e tornò allo stato selvaggio : rumarono la chiesa , il monastero e le altre costruzioni in muratura. Se almeno vi si fosse rifugiato un Robinson Crusoe nell’ interesse dei folk-loristi futuri ! Gaspare Murtola, genovese, il fiero antagonista del Marini, fa dell’isola la scena d’una sua Azione poetica, e vi colloca, come macchietta a cui serva di fondo il paesaggio, la figura del noto poeta , suo amico, Pier Girolamo Gentil Ricci, gentiluomo savonese, eh’ egli imagina ridottosi a vita solitaria nell’isola per non assistere allo spettacolo del malgoverno che i Genovesi facevano dell’infelice sua patria. Finge il Murtola che Arione apparisca al patrizio savonese e cerchi di consolarlo con degli argomenti che davano maledettamente ai nervi di quell’ appassionato patriota savonese che fu ai nostri tempi D. Tomaso Torteroli, ogniqualvolta accadesse a uno di noi giovinetti di toccare questo tasto in sua presenza. Il Murtola, gridava accalorandosi prete Tomaso, vuol provare, insomma, al suo amico per bocca di Arione, che cosa ? « che Genova ha fatto bene a togliere a Savona la libertà, ad eguagliarne al suolo la parte più eletta e a colmarne il porto di sassi e di arena ». Egli si serve a tale effetto « degli argomenti di cui si valgono coloro i quali, fiacchi uomini essendo e d’animo abbietto e servile, si fanno, ciò nulla ostante, a confortare quei fieri e sdegnosi spiriti che preferiscono ogni ragion di GIORNALE LIGUSTICO dolori e d’ affanni al piegar la fronte davanti ai nemici del viver libero ed agli oppressori. Ah ! il Murtola non ha fatto con ciò cosa degna di lode ! nè con tutti i suoi voli poetici si è punto levato al di sopra degli ingegni volgari » (i). Lasciando stare questi abitanti ideali, P isolotto disabitato era in realtà talvolta visitato da qualche lieta brigata di gitanti che andavano a farvi lo spuntino e a consumarvi una eccellente frittura di pesci pescati nelle sue acque, inaffiata da uno spiritoso nostralino. Più di rado, era il dilettante di botanica che si arrampicava sugli scogli dell’ isola, per cercarvi un campione della speciosissima Ferula nodiflora. Soppresso il vescovato di Noli, l’isoletta ripassò al patrimonio della mensa vescovile di Savona, il cui economo la dava, a nostra memoria, in affitto per uno scudo — dico uno scudo — all’ anno, unico prodotto utilizzabile essendo quello del fieno nella parte meno dirupata. Fu una vera bazza pel vescovo quando il conte Brassier de Saint Simon, Ministro dell’ Impero Germanico in Italia , ne acquistò la proprietà per 800 lire. Questo gentiluomo si proponeva di ridurre a coltivazione l’isola e abbellirla con qualche costruzione : intanto vi andava cogli amici a caccia dei conigli di cui era allora popolatissima. Ma egli morì prima di dare assetto al suo nuovo possedimento , e l’isola fu venduta dagli eredi di lui al sig. Leonardo Gastaldi, un originale che aveva una passione speciale per le isole, essendo padrone anche di quella della Gallinara nelle acque di Albenga. Altra grande attrattiva di Bergeggi sono le due grotte lungo il littorale. Alla prima di esse si accede in barchetta dal mare , chi non voglia porre a repentaglio il collo scendendo per un sentiero dirupato. (1) Torteroli, op cit., p. 30. GIORNALE LIGUSTICO 407 Tutti coloro che hanno visitato questa spaziosa caverna (lunga m. 30; larga ni. 25; alta m. 15), illuminata da una grande apertura in alto e decorata, pareti e volta, di fantastiche concrezioni calcaree del più magico effetto, sono concordi nel proclamarla ammirabile. Non mai deplorato abbastanza sarà perciò il vandalismo del magnifico Francesco Maria Della Rovere, Doge che fu della Serenissima, il quale un secolo e mezzo fa, fece man bassa delle più belle stalattiti e stalammiti della grotta per adornarne la superba villa — oggi Gavotti — da lui fatta edificare in Albisola Superiore. Anche la grotta di Bergeggi ha la sua brava pagina nella storia della lirica italiana. Ho io bisogno di ricordare la graziosa ode di stile metastasiano che quel facile verseggiatore che fu il p. Clemente Bondi (1742-1821), sotto il titolo: La grotta di Vado, dedicava a S. E. la marchesa Angela Serra Durazzo ? (1). In genere , io sono e mi professo un appassionato del Settecento : in particolare, questa poesia ha qualche cosa che mi interessa, non tanto per sè stessa, quanto perchè, come certe ville genovesi decorate e mobigliate alla rococò, come alcune pagine di Browning, dei de Goncourt e della Vernon Lee, come una commedia di Goldoni o un quadretto di Pietro Longhi, mi dà la visione e il sentimento di quel periodo così caratteristico che è la seconda metà del secolo XVIII. Sì, io lo rivedo, l’abate Bondi, azzimato e incipriato, il nicchio sotto al braccio, il jabot spruzzato di tabacco di Spagna, recitare i suoi versi alla marchesa, di fresco sposa, ammirabile per bellezza e per grazia non meno che per le dimensioni del suo pouf, sento i bene e i bravo d’ una pleiade di cavalieri colla coda e Γ abito a spada, sfarfalleggianti a cadenza di minuetto intorno ad un circolo di dame dal viso imbellettato (1) Poesie varie di Clemente Bondi, Torino MDCCXCV, p. 181-88. 4o8 GIORNALE LIGUSTICO e costellato di nei, tutte seta, trine , cipria , piume, nastri, profumi..... Questa grotta che continua a chiamarsi di Bergeggi, nonostante che, vent’ anni or sono, sia piaciuto ad un alpinista scrittore — cosi come si battezza una nuova specie animale o vegetale, un isola non segnata sulle carte o una baia non peranche da altri esplorata — cambiarle di punto in bianco il nome, chiamandola Grotta Corsi ; in omaggio all’ illustre savonese, il conte senatore Luigi Corsi (i); questa grotta, dico, ha di che interessare non solo il geologo, il fìsico, 1’ amatore delle maraviglie naturali, ma in particolare anche il paleontologo. Reliquie organiche, frammenti di utensili fìttili non torniti e di altri manufatti in pietra , in osso e in bronzo non permettono di dubitare che la caverna sia stata abitata nei secoli preistorici da animali e dall’ uomo. Qui, come in tante altre caverne della Riviera, ebbero stanza, nido e tomba « gli orridi progenitori ». Girate intorno lo sguardo, e vi torneranno spontanei sulle labbra i versi del Gnoli : . . . . Gli avi qui banchettavano: E qualche avanzo A testimonio dei lor conviti Sotto a la vitrea scorza serbarono Le stalagmiti. .......informi e luride Masse di bruti (i) Salino (F), 1solette, Monti e Caverne della Liguria, nel Bollettino del Club Alpino Italiano, anno 1878, n. 32. Del resto, i titoli di benemerenza che il senatore L. Corsi ha verso i suoi concittadini gli danno diritto a ben altre dimostrazioni di gratitudine da parte di questi che non sia quella escogitata dal Salino. GIORNALE LIGUSTICO 409 Stan fra le silici, sola memoria De la lor vita, la prima pagina Di nostra istoria ! Qui banchettavano : nudi o ravvolti D’irsute pelli, le mani luride Di sangue e i volti Ferini, l’ispido crin giù pel collo , De 1’ ossa tronche succhiavan avidamente il midollo. Lasciamo pur stare la questione se fra le ossa dei grandi carnivori , così succiate per aspirarne il midollo, ve ne fossero anche di umane , e se quei nostri padri antichissimi a cui la fame dovette essere sovente cattiva consigliera, mala snuda fames, .........il dente Pur ne la dolce carne ponessero D’ altro vivente. Anche dopo le invasioni dei Terramaricoli e le immigrazioni degli sciami celtici, forse anche posteriormente alla conquista romana , durarono qua e là in Liguria le reliquie di que’ primi antenati. Dei quali rimane , dirò quasi, un’ eco paurosa nella citata leggenda dei santi Eugenio e Vindemiale, dove si parla di indigeni che abitavano entro una spelonca presso il castrum Vadense — evidentemente nella grotta di Bergeggi — e quivi « una esecrabile bestia con vanissimi » sentimenti adoravano e con sacrilego e scelleratissimo rito » le offrivano ogni giorno vittime e sacrifizi». Questa bestia sembra avere una stretta parentela colla Tarasca dei concittadini di Tarlarvi. I due Santi africani, postevi sopra le mani, la legano colla stola pel collo e trattala fuori della caverna, la spingono in mare e ve la sommergono. Quanti ai cavernicoli di cui è cenno nella leggenda, sono essi un ricordo degli antichissimi Liguri, conservato dalla 410 GIORNALE LIGUSTICO tradizione fino ai primi secoli dell’ èra cristiana, o accennano a reliquie di quelle razze primitive, rimaste refrattarie alla azione della civiltà romana e ancora esistenti sporadicamente nelle grotte della Liguria ai tempi a cui si riferisce la leggenda ? Dovrei ora dir qualche cosa anche della seconda grotta, scoperta da non molto tempo, cioè all’epoca dell’apertura della galleria da Bergeggi a Spotorno : ma per quanto io mi astenessi da ogni descrizione, come ho fatto riguardo alla prima, dovrei pur sempre oltrepassare i limiti che mi sono imposti dall’ argomento. Mi limiterò pertanto a dire che essa non è meno maravi-gliosa , vuoi nel suo insieme vuoi nei particolari, non meno ricca di sale, di antri, di labirinti, di concrezioni calcaree, e, lasciatemi aggiungere, non meno devastata e saccheggiata dell’ altra : prova, questa, che in opera di vandalismo i moderni non la cedono punto agli antichi. Invitato testé dal Ministero dell’ Istruzione Pubblica a riferirgli intorno a due ignote pitture esistenti nell’ Oratorio di Bergeggi, ho fatto di questi giorni un’ escursione sul luogo , in compagnia dell’ egregio amico, il pittore prof. L. De Maestri, ed è appunto il risultato di questa escursione che forma l’argomento dei presenti appunti. Il paese di Bergeggi è adagiato, come già dissi, sul pendio del monte S. Elena, fra gli ulivi e i vigneti disposti in gradinata a solatio. Si incomincia con un gruppo di case a 59 metri di altezza, e si va serpeggiando su su fino al piazzale della chiesa parrocchiale e dell’Oratorio, a 131 m. Non oltrepasseremo questo limite : onde non mi lascierò tentare dal forte di S. Elena, che incorona il vertice del monte; un imponente arnese di guerra, eretto di recente dal Genio Militare, in sostituzione della preesistente rocca, per la difesa della rada di Vado, a cui è congiunto per mezzo di una comoda strada militare: e nè tampoco mi sedurranno GIORNALE LIGUSTICO 4’ 1 i ruderi d’ un’ antica fortezza , denominata 1’ Invincibile — vi prego di non ridere. La borgata ha un aspetto di pulizia non comune nei paesi rurali : il che da una parte torna a lode dei suoi abitanti, ma dall’ altra è anche dovuto alla sua posizione in declivio assai ripido, che obbliga le acque piovane a precipitarsi al basso strascinando con sè ogni detrito. Ancora un intramezzo , e sarà 1’ ultimo. Nel procedere via via per 1’ erta , danno nell’ occhio certe striscie bianche , dipinte a latte di calce, le quali, a intervalli di una diecina di metri, rigano perpendicolarmente le pareti nerastre dei muri, a secco o scabri, fiancheggianti da una parte o dall’ altra la via che porta al paese. Sapete che cosa sieno queste righe bianche, verticali, che hanno l’aria di tanti piantoni in servizio di sorveglianza lungo 1’ arteria della borgata ? Sono semplicemente i fanali del Comnne. L’Amministrazione Comunale, non avendo i mezzi di illuminare il paese a petrolio, ha trovato un espediente abbastanza ingegnoso per impedire che di notte, quando non splende la luna, altri abbia a ruzzolare lungo qualche sfaldatura del monte o a dare delle capate nei muri ad ogni risvolto della via a %ig-zag. Quanto più la notte sarà buia , tanto più il bianco niveo della calce spiccherà sulla parete bigia. Ed ecco evitati anche gli inconvenienti a cui potrebbero dar luogo in alcune circostanze il petrolio, la luce elettrica, l’acetilene. La borgata di Bergeggi, se non ha una storia come l’omonimo isolotto, non manca tuttavia di memorie che attestino la sua antichità. Una lapide romana esumata nella villa Cam-pofregoso, trascritta da G. Parthey e pubblicata dal Mommsen (C. I. L., V, 7777), conferma nel modo più autentico la induzione relativa all’ esistenza, anche sul declivio del monte, 412 GIORNALE LIGUSTICO di una antica stazione sincrona a quella dell’ isola, che è quanto dire riferibile ai tempi di Roma imperiale. Traversando il paese, non ho però osservato costruzioni antiche, ad eccezione dello scheletro di una chiesuola medioevale ridotta oggi ad abitazione di povera gente. Le due chiese della borgata, la parrocchiale, cioè, e l’Oratorio , sorgono, 1’ una di fianco a 1’ altra, su di uno stesso piazzale , d’ onde 1’ occhio gode d’ un panorama incantevole. La prima è dedicata a S. Martino ; il secondo a S. Caterina e a S. Antonio. Non ho avuto il tempo di indagare se siano state ricostrutte su edilizi preesistenti ; certo le linee archi-tettoniche di ambedue le chiese, quali si presentano oggidì, non richiamano una data anteriore al secolo XVII. Mi era stato detto che nella Parrocchiale si conservava un quadro di Ludovico Brea , segnalato per tale anche al Ministero : ma lo cercammo invano. Havvi bensì nella 2.a cappella a sinistra un’ ancona su tavola, divisa in sedici scompartimenti, oltre allo zoccolo parimenti figurato : però questo quadro nulla ha che vedere collo stile nè colla tecnica del Brea, e si appalesa di un’ epoca più recente. Il dipinto, rappresentante la vita della B. V., è assai ben conservato, ma il suo merito artistico è piuttosto limitato. Passammo nell’attiguo Oratorio, e fu qui che ebbi il piacere di ammirare e descrivere sul mio taccuino i due seguenti dipinti, che ritengo meritevoli di figurare nel catalogo degli oggetti d’ arte ragguardevoli della Liguria. i.° Quadro a tempera su tavola in forma di trittico, i cui scompartimenti sono determinati da colonne in rilievo sostenenti tre arcate a tutto sesto. Nello scompartimento di mezzo campeggia la Madonna sedente col Bambino in braccio. Lo scompartimento a sinistra di chi guarda è occupato dalle figure in piedi di Santa Caterina dalla ruota e di Sant’Antonio abate, patroni dell’Oratorio; GIORNALE LIGUSTICO 34I in quello a destra, sono rappresentati un Santo francescano col crocifisso in pugno, e Santa Maria Maddalena, caratterizzata dal vaso degli unguenti, ambedue parimenti in piedi. Il quadro si raccomanda, sopratutto, per correttezza di linee, pel carattere e sentimento delle singole figure. Per quanto si può giudicare cosi a occhio, le sue dimensioni sarebbero all’ incirca di metri due di lunghezza per uno e cinquanta centimetri di altezza. Il trittico è collocato al di sopra della porta d’ingresso dell’ Oratorio. Se tale ubicazione sia originaria , non consta : certo, non è di data recente; nessuno dei viventi Confratelli, nè altri fra i più longevi del paese, avendo mai sentito a dire che il quadro fosse collocato altrove. Il dipinto, pur troppo, è molto sciupato. A prescindere che, in generale, ha perduto le velature e i colori sono alquanto sbiaditi, la tavola è solcata da parecchie fenditure in senso verticale e tutta chiazzata di scrostature : inoltre, la parte inferiore si può dire perduta, per 1’ azione dei tarli e e dell’umidità. Quanto a restauri, riterrei che non abbia mai subiti. Le condizioni giuridiche del trittico in esame si possono riassumere nel fatto che esso appartiene all’Amministrazione dell’ Oratorio , a capo della quale stanno un Priore, diversi Massari e altri membri, tutti elettivi. Questo quadro non è citato da alcun storico 0 critico di arte, nè si conoscono documenti che possano servire di base per una plausibile attribuzione. Si può dire soltanto che i caratteri stilistici e tecnici del dipinto si accordano per assegnarne la data alla prima metà del secolo XVI, e riferirlo ad autore probabilmente lombardo. Il quadro non porta iscrizioni o sigle ; o se ve ne furono, andarono obliterate nel guasto della parte inferiore, a cui ho dianzi accennato. 4H GIORNALE LIGUSTICO Ignorarono la presenza di questo pregevole trittico il Soprani, il Ratti, il Bertolotti, lo Spotorno, il Torteroli, l’Alizeri e altri scrittori, alcuni dei quali peraltro diligentissimi, d’arte ligure. La causa di tale ignoranza vuol essere ricercata, anzitutto , nell’ ubicazione del paesello , montuoso e isolato ; poi nel fatto che 1’ Oratorio ove il trittico è racchiuso, non può essere visitato senza difficoltà dall’ escursionista che capiti colassù ; non trovandosi accessibile che nei giorni festivi, durante le poche ore in cui è officiato dalla Confraternita. Provatevi ad arrampicarvi fin là, di giorno feriale, quando il Massaro che tiene le chiavi dell’ Oratorio sarà a lavorare in campagna. Fate pur sapere a quel Cincinnato che desiderereste visitar 1’ Oratorio, se ciò non lo disturbasse troppo : egli non mancherà di rispondervi che ciò, infatti, lo disturberebbe assai, perchè dovrebbe lasciare i suoi campi e i suoi lavori, per andare a fare parecchi chilometri di cammino, senz’ altro risultato che quello di perdere il suo tempo con voi : che, quindi, se volete far la conoscenza sua e dellOratorio, non avete che a trovarvi lassù sul piazzale della chiesa, la prossima Domenica, beninteso, non più tardi delle otto del mattino. 2. Dipinto a tempera su tavola di forma triangolare, probabilmente cimasa o cuspide d’una pala oggi distrutta o scomparsa. Rappresenta il Crocefisso fra la Madonna, alla sua destra, la Maddalena e San Giovanni Evangelista a sinistra; quest’ultimo, come la Madonna, in piedi; la Maddalena in ginocchio. Un paesaggio serve di sfondo alla scena. Questa tavola , dell’ altezza di circa un metro, trovasi presentemente nella sagrestia dell’ Oratorio , dove , mancando lo spazio per appenderla alla parete, giace negletta in un angolo, poggiata a terra con altre masserizie. Tale ubicazione non può certamente essere originaria : nessuno però, di quanti ho interrogato, ricorda d’ aver veduto la tavola altrove. GIORNALE LIGUSTICO 4'5 Il suo stato di conservazione è deplorabilissimo. La tavola presenta parecchie fenditure con soluzione di continuità, e , quel che è più, numerose e larghe scrostature, alcune delle quali accusano una data recente ; oltreché, in qualche parte , è molto devastata dai tarli. Non ha però mai subiti restauri. Le sue condizioni giuridiche sono identiche a quelle del quadro precedente : e dicasi lo stesso per quanto riguarda le basi storiche, il dipinto non trovandosi citato in alcun documento conosciuto , nè da alcun scrittore d’ arte, e neppure menzionato nelle Guide o incidentalmente in altre monografie. Non potei riscontrarvi alcuna iscrizione, ma così pel carattere come per lo stile, non meno che pel colorito, la tavola potrebbe plausibilmente venire attribuita a Ludovico Brea, che operava in Liguria nel trentennio 1483-1513. In favore di tale attribuzione militerebbe anche la precitata tradizione di un quadro del Brea già esistente a Bergeggi ; quadro che, come già esposi dianzi in proposito, io ricercai invano nella Parrocchiale. Vittorio Poggi IL PITTORE SARZANESE DOMENICO FIASELLA detto il SARZANA E LA FAMIGLIA CYBO (Documenti inediti) « Il nostro sig. Domenico Fiasella, pittore singolarissimo, » se n’andò al cielo l’anno 1669, a’ 19 ottobre, in sabato, » giorno di S. Pietro di Alcantara, con gran rassegnamento » al volere divino, d’ età d’ anni 80. Essendo egli nato del » 1589, a’ 12 agosto, et andato al cielo, come dissi, trovo » che aveva detti 80 anni, due mesi e giorni 6 »; così seri- 4i6 GIORNALE LIGUSTICO veva, il 28 settembre del 1670, al P. Angelico Aprosio da \rentimiglia il pittore Giovambattista Casoni, testimonio de’ più autorevoli per essere scolaro e cognato del Fiasella. Fu appunto il Casoni che tirò a termine e mise alle stampe Le vile de’ pittori, scoìtori et architetti genovesi, lasciate incomplete da Raffaello Soprani ; tra le quali si legge anche quella del Nostro, che, dal nome della nativa città, più comunemente fu chiamato il Sarzana. Di pugno del Casoni è pure la Vita manoscritta che il Fiasella dettò di se stesso, e che, insieme col proprio ritratto, inviò in dono all’Aprosio, il 20 giugno del 1668 (1). Scrive di lui il Soprani : « Nè qui devo tacere che il si-» gnor Don Carlo, principe di Massa, fece tale stima delle » pitture di Domenico, che, oltre F haverne fatta copiosa » raccolta, l’invitò più d’ una volta ad habitare in sua Corte, » offerendoli honorevole stipendio : ma lo rimossero dall’ac-» cettare un tanto favore le continue occupationi della sua » professione, alle quali s’aggiùngeva di più che essendo egli » stimatissimo in far ritratti dal naturale, molti sempre ne » haveva per le mani, ne’ quali, oltre l’assomiglianza, s’ammira » la vivacità ». Nell’autobiografia poi il Sarzana così parla dei rapporti che ebbe co’ Cybo : « Diverse tavole et opere ha » fatte pel sig. Principe di Massa, Carlo, il vecchio, col quale » passò sempre un’ amicitia e servitù grande, continuata al » presente nel sig. Duca, suo figlio; facendo questi Signori » stima grande del suo valore e virtù, a segno di tentarlo » più volte che volesse trattenersi con essi, offerendoli stipendi (1) La stampai a pp. 208-211 della part. II del mio Saggio d’ una bibliografia storica dalla Lunigiana. (2) Soprani R. Le vite de’ pittori, scoltori et architetti genovesi e de’ forestieri che in Genova operarono. In Genova , per Giuseppe Bottaro e Gio. Battista Tiboldi compagni, MDCLXXIV ; p. 248. GIORNALE LIGUSTICO 417 » e recognitioni grandi ». Giuseppe Campori , che pur ne trattò, non fa che ripetere quanto dice il Soprani; soltanto aggiunge : « In un inventario di quadri del detto Principe » (son sue parole), « compilato il 1662 , notasi un quadro del » Fiasella, alto circa tre braccia, largo due e un terzo, rap-» presentante la Madonna col Bambino in braccio, S. Elisa-» betta, S. Giovambattista e un angelo che svolge una fascia. » Questo quadro si vede tuttora collocato in uno degli altari » della Cappella del Palazzo già ducale (1), ed è in ottimo » stato. Un altro quadro, a lui con molta ragione attribuito, » figurante il Presepio, vedesi nella chiesa della Misericordia, » ed è assai ben conservato » (2). Ho rinvenuto nel R. Archivio di Stato in Massa il carteggio del Fiasella co’ Cybo, non solo inedito, masconosciuto; e lo piglio per guida nell’ illustrare questo interessante episodio della vita del Sarzana. % La più antica lettera del Fiasella che mi sia capitata alle mani porta la data del 3 gennaio 1654. È diretta ad Alberico Cybo , Marchese di Carrara, il primogenito de’ quattordici figli (otto maschi e sei femmine) che il Principe Carlo I ebbe da Brigida di Giannettino Spinola, da lui sposata il 1605, che gli portò in dote centoventimila ducati. Nato a Genova il 23 luglio 1607, Alberico coll’accrescere e abbellire il palazzo avito, col dar mano nella chiesa di S. Francesco alla cappella sepolcrale della famiglia, mostrò alla stregua de’ fatti il suo amore alle arti; sfoggiò in cavalli; gli piacque il lusso, la magnificenza, la sontuosità ; ma tenne in pregio gli studi ; fu (1) La cappella non ha che un unico altare, ed in questo unico altare si ammira anche oggidì il bel quadro del Fiasella. (2) Campori G. Memorie biografiche degli scultori, architetti, pittori, ecc. nativi di Carrara e di altri luoghi della Provincia di Massa, con cenni relativi agli artisti italiani ed esteri che in essa dimorarono ed operarono, Modena, tip. di Carlo Vincenzi, 1873; p. 318. Giorn. Ligustico. A: no XXI 2o GIORNALE LIGUSTICO amico e protettore di scienziati, di letterati, d’ artisti. Gusti degni d’ un principe , e che ereditò dal padre , poeta e non volgare affatto, autore d’ un poema su S. Francesco Saverio , e che a Ferrara, dove venne al mondo il 18 novembre del 1581, di Alderano e Marfisa d’Este , fu il primo Principe delPAccademia degli Intrepidi, e a Genova sedè nell’Accademia degli Addormentati, dove il Grillo chiamò, ma indarno, Torquato Tasso a legger Γ Etica e la Poetica d’Aristotile, e dove il Chiabrera recitò i suoi discorsi morali. Alla morte di Carlo I, seguita il 24 febbraio del 1662, Alberico, che si fece chiamare secondo, cinse la principesca corona di Massa, poi mutata in ducale da Leopoldo I, imperatore, il 5 maggio del 1664. Ecco la lettera del Fiasella : 111."° et Ecc.”0 Sig.rs Patr. Coll.'”0 Vorei cosi harivare in qualche parte a compire nella sotisfacione di VV. EE. con 1’ agontta di dua disegnati Pontefici et un Cardinalle al num.° del qualle mie statto prescrito ; qualli suplico V. E. ricevere con il suo solito et cortese."0 affeto, come personagi rapresentanti della sua Anti."* famiglia, fatti da me con quella Divotione che può capire la mia pocha abbilita. Insieme lo prego eser servita farli pervenire alle mani del Sig.' Prencipe mio Sig.”, rimetendomi al suo bon gusto se si doverano variare. E qui per non più con hogni humilta m’inchino a V. E.za Genova, 3 Genaro 1654. D. V. E.« Divot."° et Humil.”° Ser.' Domenico Fiasella (i). Si tratta senza dubbio del ritratto di Pietro Tomacelli (un ramo de’ Cybo trapiantato a Napoli), che il 2 novembre del 1389 cinse la tiara e prese il nome di Bonifazio IX; del ritratto d’Innocenzo Vili, « di bel corpo, alto e bianco, di (i) È tutta di mano del Fiasella. GIORNALE LIGUSTICO 419 » acconcio ingegno et non del tutto lontano dalla cognition » delle lettere », come lo dipinse Francesco Sansovino (1); e del ritratto del cardinale Innocenzo Cybo, nato di France-schetto, bastardo di quel pontefice, e fratello a Lorenzo, il marito di Ricciarda, Γ ultima de’ Malaspina di Massa (2). Di un altro quadro, ordinatogli da’ Cybo, si tratta in quest’altra lettera: 111.”· et Ecc.mo Sig.r e Pron. Col."0 La grada fattami da V. E. in darmi tempo per fornir il quadro, è forse stata conosciuta da me con troppo commodità; però 1’intentione è stata buona ; se mi sarà riuscito l’effetto d’ haver condotto detto quadro al gusto di V. E. si come n’ ho havuto il desiderio. Volevo inviarglielo, ma è stata presa questa carrica dal Sig. Marcantonio Manitti, come che molte volte mi ha favorito vederlo, li è parso non voler perder 1’ occasione d’una barca che viene a cotesta volta ; e se io non Γ accompagno presentialmente per sentirne il parere di V. E. almeno lo seguito con la volontà per accertarmi che sia di sua sodisfattione. È stato però veduto in Genova, di dove ho preso confidenza poterlo mandare ; mi spiace però non saper di vantaggio per haver a servire al buon gusto di V. E. ; alla quale con ogni humiltà me l’inchino, si come faccio all’ Ecc.™· Sig.' Prencipe mio Sig.re mentre dal Cielo all’ Ecc.* loro auguro quelle felicità maggiori che si sanno desiderare. Genova, 28 lebraio 1654. Di V. E.» Humil.m° et Divot.”° Ser.* Domenico Fiasella (3). (1) Sopplimento delle Croniche universali del mondo di f. Iacopo Filippo da Bergamo, tradotto nuovamente da M. Francesco Sansovino. In Venctia, MDLXXV; c. 566. (2) ViALARDO F. M. Historia delle vite dei Sommi Pontefici 'Innocentia Ottavo, Bonifacio Nono et del Cardinale Innocen^io Cybo. In Venezia, 1613; in-4*. (3) A tergo si legge: « 11 s.· Doni.* Fiasella che ha fornito il quadro e che lo ha consegnato al Capitano Marco Antonio Manetti acciò lo mandi securamente ». 420 GIORNALE LIGUSTICO Non ad Alberico, Marchese di Carrara, ma al padre di lui, il Principe Carlo I, è indirizzata la seguente, colla quale, come si legge in una postilla a tergo, il pittore « mostra gran sen-» timento che il quadro non sia anco stato recapitato ». I 111 "° et. Ecc.m° Sig.” e Patrone col.m° Dopuo di havere con mie riveritto V. E. con rapresentarle come il quadro che mi comandò era fornito et insieme desiderato che pervenise alla presenza di V. E. quella persona che si pigliò la cura parimente lo desiderava, li vene alle mani il Martelli che ci asicurò tuti dua che l’have-rebe imbarcatto con ogni diligenza perchè gongese a V. E. però non so se il detto Martelli havera oservato diritamente la promesa havendo hogi inteso da persona fidatta che detto quadro incasato sia stato ad un vilagio che si dama Reco tanto più mello fa credere che hogi si è veduta al ponte quella barcha con roba che per quanto si è potutto intendere roba che move a Massa ; ne la casa vi era anzi quando io ho volsuto intendere che voi dire che non si è inbarcato il quadro. È stato risposto che 1’ ano mandano a V. E. nè io ho mai più potutto vedere il Martelli per il che ci a fatto sospetar il mio amico e me di averci burlati tutti dua io particolarmente che servendo V. E. non ho potutto acompagare detto quadro. Con mie letere la suplico restar servita che son rimasto mortificato, poi che dove io credevo trovar più facilità ho trovato più intopo e quella persona ne rimasta ancor lei la sua parte, non ho potutto di manco di dolermene quelli della barcha mi a detto che il quadro si ritrova hogidì nelle mano di V. E. quando fose cosi mi sarebe di molto consolatione. Mentre per non più riverentemente m’inchino a V. E. ehe prego da S. D. M. il colmo d’ ogni felicità. Genova, 28 marzo 1654. Di V. Ecc.za Divott.™” et Humil.”· servitore Domenico Fiasella. Il Principe Carlo ordinò frattanto al Sarzana sei « disegni », di ornamehto « per la sala »; e il pittore ne mandò subito quattro : con più agio poi fece la spedizione degli altri due, cosi ragionandone e consigliandosene col Marchese : GIORNALE LIGUSTICO 42I 111."0 et Ecc."” Sig.ro et Patron coll.”0 Suplico V. E. voler eser servita fare avere al Sig.r Principe, mio Sig.r% li dua disegni che mancano alli sei ultimamente comandatomi per compire a quel numero destinato per la sala. Sentirei volonteri insieme il gusto di V. E., che tanto stimo, sì per la varietà delle atitudine, come delli abitti, secondo il corso delli anni, per quanto si è potutto oservare ; che non mi è pasato dalla memoria l’instrucione che ne ricevei da V. E. in Carara ma si come la mia pocha abilita non mi premiete più suplica il bon incaminamento di V. E. con il pitore che ha da metere in opera, restando io con il desideri vivo di ricevere sempre qualche suo comandamento. Qui mi resto, facendo a V. E. profondissima riverenza. Genova, 17 ottobre 1624. Di V. Ecc.za Divott.m° et Humil.m° servitore Domenico Fiasella. Non è che di complimento quest’altra lettera, scritta in quel medesimo anno e indirizzata essa pure ad Alberico : 111.”· et Ecc.m° S.° e Patrone coll.”” Il riverire V. E. è sempre mio debito, però questi giorni santi non si possono lasciare trascorrere, che la molt’ allegrezza cagionata dalla solennità del Santo Natale non mi facci comparire humilmente da V. E. per mezzo di questo foglio ad augurarle queste feste Santissime ripiene di quelle maggiori contentezze che sa desiderare per molt’ anni compitissime. Supplico V. E. accettarla dalla mia divotione con la benignità del suo affetto, che tante volte ho esperimentato in me. E senza più riverentemente a V. E. m’inchino. Genova, 19 X.bre 1654. Di V. E. 111.”* et Ecc.”* mio S." Humil.”0 et Divot,mo servitore Domenico Fiasella (i). Al S.r“ Marchese di Carrara mio S.ri E di complemento è pure quella che segue. Non saprei dire con certezza se sia scritta, come la precedente, al Marchese di Carrara, o piuttosto al Principe Carlo. (1) Soltanto la firma è autografa. 422 GIORNALE LIGUSTICO 111."10 et Ecc.m° Sig." et Patron coll."”’ 10 devo benedire, come faccio, chi trovò 1’ inventione dell’augurio che i servitori sono obligati a portare a Patrone, si come faccio io a V. E. che per altro viverei così otioso che per non essere impiegato da comandamenti suoi, ma la nascita del Nostro Sig.r' in questo S.‘° Natale mi porge quel-l’occasione et allegrezza di venire per mezzo di questo foglio a riverire V. E. et a pregarle in queste S.'° feste ogni compita felicità. E qui riverentemente me le inchino. Genova, 24 Xbre 1656. Di V. Ecc.za Divott.”° Servitore Domenico Fiasella (1). Qui, nel carteggio del pittore co’ Cybo, vi è una lacuna. Ricomincia con una lettera, che gli scrisse il Marchese Alberico, il 20 novembre del 1660, e che copio dalla minuta originale : « V. S. mi ha obligato tanto con la sua cortesia, » con la prestezza de’ disegni, loro vaghezza e diversità, che » io non saprei ringraziarlo quanto merita. Lo faccio però » con tutto l’alfetto. E perchè la sua gentilezza meco praticata » fu sempre grande, e non minore la stretta nostra amicitia, » piglio da questi motivi confidenza seco di rappresentarle quali » sarebbero sopra li disegni mandati li miei pensieri ; che si » compiacerà vedere nell’ incluso foglio ; pregandola nondi-» meno regolarli V. S. conforme stimerà che sia bene, o non » farne caso alcuno liberarissimamente, se non li approvasse. » V. S. mi scusi, di gratia, della libertà che mi dà la molta » sua cortesia; e le auguro perfetta salute con ogni felicità ». 11 « foglio incluso » dice cosi : Per l’ancona di S. Antonio mi appiglio al disegno del numero 2, ma che il compagno facesse l’istesso atto di devota ammiratione verso quei pesci presenti alla Predica. Vorrei anco trasportata nel disegno 2.° la figura segnata B. eh’ è nel primo disegno, nella positura che sta nel disegno p.° con quel bambino (1) La sola firma è autografa. GIORNALE LIGUSTICO appresso eh’ accenna con una mano alla detta figura e con 1 altra alli pesci, essendomi gustate assai le soddette due figure con tal inventione. E perchè le medesime a fare l’istesso effetto ricercaranno forse di essere un poco girate, acciò possino mirare verso quei pesci, mi assicuro che V. S. trovarà ripiego per tutto, aggiustato anco alli riguardi che ricerca il punto della prospettiva. Il frate compagno eh’ è nel primo disegno, vorrei fosse posto nel 2.° nel sito dove sta quel Vecchio a sedere che ni appoggia al bastone. Il santo meno chinato con la vita, ma vivace. Se li paresse tenere più bassa la prospettiva di quella collina dietro al santo per fare maggiore lontananza me ne rimetto a lei. Nel rimanente desiderarci non si mutasse altro, solo in caso che V. S. gustasse farlo, mentre stimasse dare più spirito all’opera in ciascuna ancona a sua sodisfatione. Per 1’ ancona di S. Chiara vorrei il disegno i.° e che in esso fosse posta la figura segnata A nel medesimo sito che è nel primo in modo che non coprisse il gruppo delle Monache, nè quello de Saraceni. In aria, dov’ è quell’Angelo fulminante , crederei vi stesse bene il bambino Giesù, cha guardasse verso le Monache, le quali erano raccomandate da S.'* Chiara rivolta verso il Cielo, di dove si udì una voce come di un bambino che rispose alle preghiere di S.11 Chiara le seguenti parole Ego vos semper custodiam. Dico questo perchè cosi raccontano le Chroniche della Religione di S. Francesco parlando di S.'* Chiara nell’occasione de’Saraceni, come V. S. potrà vederle in Genova, per aggiustare il tutto coll’historia. Tutte due 1’ ancone devono essere di misura : Alte palmi di Genova n.° io l/2. Larghe palmi di Genova n.° 7. Di che lavoro si tratti lo spiega una annotazione a tergo del foglio : « Copia di lettera scritta al S.r Domenico Fiasella, » pittore, sopra li due disegni per Γ ancona di S. Antonio e » per li due sopra Γ ancona di S. Chiara per li altari nella » chiesa delle Monache di Massa ». Di questi due quadri tocca anche nella lettera che segue : 111."’0 et Ecc.”0 Sig." et Patrone col."0 Le sante feste del presente Natale di N. S. mi hanno obligato, per ragion della mia servitù e divotione, tralasciare alquanto i penelli, eh havevo posto nell’ opere di V. E., con dar di mano alla penna, per venire per mezo di questo foglio a riverirla, et insieme augurarle in queste sollenità quelli 424 giornale ligustico maggior contenti e consolationi, che V. E. si sa desiderare. Mi riferisco a quanto il S.' D. Gianettino, suo Sig.' fratello e mio Sig.re singolarissimo, haverà participato in che stato si ritrovano le due tavole, cioè di S. Chiara e S. Antonio. Serve solo il dire a V. E. eh’ io continuarò con quel desiderio e tutte mie forze di potere arrivare a dar in qualche parte, se non in tutto, satisfatione al buon gusto di V. E. Onde per non più le faccio humίliss.'", riverenza. Genova, 24 X.bre 1661. Di V.” Ecc.* Humil.m° et Divot.m° Servitore. Domenico Fiasella (i). La chiesa di S. Chiara, dove furono allogati que’ due quadri, un de’quali rappresenta quella santa, l’altro S. Antonio da Padova che predica ai pesci, esistono anche adesso nel presbiterio della chiesa stessa, appesi lateralmente all’altar maggiore. A fabbricare la chiesa di S. Chiara fu dato mano nel 1554, a spese di Taddea Malaspina, figlia di Antonio Alberico II, ultimo Marchese di Massa, e di Lucrezia d’Este, che fu moglie del Conte di Scandiano. Lo attesta il cronista massese Tommaso Anniboni con queste parole : « Nota come la S. Tadea » 2.a Malaspina fece fare l’anno 1554 un monastiero dentro » la Terra di Massa, in loco dito sotto S. Jacopo; al quale » si diede principio a dì 30 marzo 1555, c vo^se s* chiamasse » il monasterio del corpo di Xristo, ma dell’ Ordine di » S. Chiara » (2). Ne fa ricordo anche una pietra muratavi dal Principe Alberico I Cybo (3). Una sorella e due figlie (1) Soltanto la sottoscrizione è di pugno del Fiasella. (2) Cronache di Massa di Lunigiana edite e illustrate da Giovanni Sforza. Lucca, tipografia Rocchi, 1882; p. 85. (3) Ecco l’iscrizione : thadea malaspina / religione ac pietate/in signis AEDEM HANC/pro VIRGINIBVS SACRIS/AERE PROPRIO EXTRVXIT/dIEM OBIIT AN Q.V1NCENT. /Q.VINQVAGIES NONO SVPRA / MILLE. VIXIT AN./LIV/ALBE-RICVS CYBO PX SORORE/NEPOS MASSAE PRINCEPS/OBSERVATIAE ET MEMORIAE / ERGO P. C. GIORNALE LIGUSTICO 425 di Alberico II presero il velo in quel monastero ; la sorella ebbe nome Diana ed era nata nel 1621 ; le figlie si chiamarono Angela Costanza e Teresa Vittoria (1). Quest'’ ultima levò grido ai suoi giorni per la molta pietà (2). Ecco frattanto che il Principe Carlo I viene a morte; e il Fiasella, che provò vivo dolore per quella perdita, se ne conduole col figlio scrivendogli : Ill.m° et Ecc.”° Sig.” et Patron col.”0 Se i) tutto si deve alla ragione, con il riferirsi a Nostro Sig.", poco poteva per non dir nissuno rimedio promettersi all’ infermità del Principe mio Sig.e in età tanto avanzata ; si come le sue qualità fan di necessario stimare, che sia a riposarsi in Cielo, con lo sprezzo di queste cose terrene, che altro non sono che travagli. So che la perdita che V. E. ha fatto è grande ; nè ho concetto per esprimer i sentimenti et il dolore che ne sento ; ma, considerando la somma sua prudenza , me la passerò con il silentio. La supplico volermi conservare nel numero de’ suoi più divoti servitori, mentre in me non s’ estinguerà mai 1’ osservanza alla gloriosa memoria del Sig.' Principe, e viverò con pregar a V. E. ogni prosperità e quella longa vita che lei medesima sappi desiderarsi, mentre le faccio profondissima riverenza. Genova, 3 marzo 1662. Di V. Ecc za Devotis.mo et Humil."0 servitore Domenico Fiasella. Delle due tavole di S. Chiara e di S. Antonio, che stava lavorando, e che divisava di portare egli stesso a Massa, ne tocca in quest’ altra lettera : (1) Nella chiesa di S. Chiara, nel coro, dietro Γ aitar maggiore, vi è un marmo che dice : teresia victoria et angela con-/stantia sorores cybo ALBERICI/II. DVX SECVNDUS AMANTIS-/SIMVS FRATER EISDEM VNIVER-/SAEQ.VE FAMILIAE RELIGIONEM IN-/GREDIENTI HOC PONI MANDA-/VIT MONVMENTV.M anno/MDCXCIV die VIIII novembris. (2) Nel R. Archivio di Stato in Massa si conserva manoscritta la Vita di suor Teresa Vittoria Cybo, scritta dal P. Antonio da Terrinca. È in-fol. picc. di pp. 588. Fa ricordo di lei anche il Martyrologium Franciscanum a p. 149. 426 GIORNALE LIGUSTICO 111."0 et Ecc m° Sig." et Patron Sig. coll.mo Io vivevo con tanta passione di non poter venire, e che le cose pigliassero tanta dilatione, che finalmente m’ha fatto cadere dalla speranza di riverir e veder ancor una volta il Sig.r Prencipe, mio Sig."; hora però lo spero , mentre non è estinto quel nome che vive in V. Ecc." ; verso la quale non s’ estinguerà tampoco la mia divotione. Son appresso a condur le sue tavole con tutt’ il mio possibile, e ridurle alla sua sodisfatione ; quali non sarò per mandare, ma bensì, se Iddio così sarà servito, accompagnare, per di presenza servire V. Ecc.*, con riceverne i suoi comandamenti e darle quella perfettione che le porterà il suo ottimo gusto e parere , e corregger in quello che haveranno mancato i miei pennelli. Prego S. D. Maestà che a me conceda di poter servir a V. Ecc.za mille anni che tanti gliene prego dal Cielo per il contento che tutti haveranno dall’ Ecc.mo Sig.r Prencipe di Massa vivente mio Sig.” al quale con ogni humiltà me l’inchino. Genova, 11 marzo 16 62. Di V. Ecc.za Divott.”0 et Humil.m0 Ser.m° Domenico Fiasella. Per commissione di Alberico II prese a dipingere anche « il quadro di S. Gio. Battista », e prese pure a fargli il ritratto, come si ricava da quello che gli scrisse il 28 ottobre dell5 anno stesso. Ecco la lettera : lll.mo et Ecc.”° Sig.r Patron col.m° Stimai di potere rimandare a V. E. il quadro di S. Gio. Battista, finito, da Sarzana, ma mi convene partire per Genova, ove meco 1 ho portato, e mi assicuro che il tempo che haverò più commodo ne goderà il quadro, et a suo tempo rimandarô a V. E., si come anderò concludendo il suo ritrato, che non ha mancato essere stato visto con gusto, se non tanto della pittura, quanto che della comparenza, che rappresenta personaggio degno della sua persona. Non 1’ ho anco fatto vedere alla Ecc.’1’* S.r‘ Principessa d’Avelli, mia Sig.”, per farglilo veder compito nell’habito. Gli ne ho già parlato e desidera vederlo; e con tal occasione li feci-P ambasciata che V. E. m’ordinò, e dimostrò aggradirla non pocho. Onde per non più, riverentemente a V. E. m inchino. Genova; li 28 ottobre 1662. Di V. E. Divott.m° et Humil.m° servitore Domenico Fiasella. GIORNALE LIGUSTICO 427 Nel biglietto, che segue, non è senza importanza il poscritto, in cui parla d’ un altro quadro ordinatogli dal Principe e che doveva raffigurare il battesimo di Gesù Cristo nel Giordano. Ill.mo et Ecc.“° Sig." Patron Sig.r° coll.”0 Non mi poson parere queste solenissime feste del Santissimo Natale , se non quanto mi porgono occasione di riverire V. E. si come facio, con augurargli colme d’ogni felicità et contento, e si come suplico V. E. a ricevere questo minimo affeto con quella sua inata cortesia, come in hogni mia attione ho sempre provato dalla buona gractia di V. E. Alla quale, per non più, con hogni humiltà me le inchino. Genova, 23 Xbre 1662. Di V. Ecc.za Humil.mo et Divott.m° servitore Domenico Fiasella. Mi vado procurando, mi riescha oservare quanto desidera, eser più vicino, per ricevere li comandamenti di V. E. se N. S sarà servito, pasati questi crudelli tempi di fredi, quali non son a proposito per dipinger nudi, come nel batesimo di N. S. nel Gordano : però. alla bona stagion non perderò tempo. Reveremente m’inchino a V. E. Ecc.mo Sig.r Principe. Il carteggio del Fiasella co’ Cybo si chiude con questa lettera : Ser.m° Sig.” La mia divota servitù verso V. A. S. è tanto da me stimata che non permette eh’ io passi sotto silentio 1’ essercitio delle moltissime mie obligationi per Γ interminabili gratie ricevute dalla nobilissima Casa di V. A. S. massime in contingenza delle prossime feste del Santo Natale, le quali auguro a V. A. S. colme d’ogni maggior felicità; che così sua D. M. si compiaccia concedergliele al pari del mio desiderio per dover sempre dirmi Di V. A. Ser.m* Genova, 24 Xbre 1666. Devot.”0 et obi.”0 servitore Domenico Fiasella (i). Ser.mo S.r Duca di Massa. (1) Soltanto la firma è autografa, il resto d’altra mano. 428 GIORNALE LIGUSTICO Afferma il Campori che « un altro quadro, a lui con molta » ragione attribuito, figurante il presepio, vedesi a Massa nella » chiesa della Misericordia, ed è assai ben conservato ». Il quadro è d’ altra mano : essendosi guasto, il Fiasella vi rifece la Vergine e il Bambino. Massa di Lunigiana, 26 agosto 1896. Giovanni Sforza. PORTVS LVNÆ (I) I. — « Non sono mancati nè mancano tuttavia alcuni « ingegni più sottili del convenevole, i quali, dilungandosi « dalla comune opinione de’ scrittori nobilissimi, si danno a « credere che l’antico porto di Luni non sia veramente questo « di che parliamo (il golfo della Spezia), ma che più vicino « fosse, e contermino alle mura della Città; la quale opinione « quanto sia deforme dal vero non mi affaticherò in dimo-« strarlo, nè merita il pregio che vi si applichi il pensiero, « poi che per sè stessa si manifesta ». Questo scriveva Ippolito Landinelli sarzanese circa la prima metà del secolo XVII ne’ suoi Trattati della storia di Lnni-giana (2); e ciò che scriveva l’erudito canonico or son quasi (1) Volentieri, riportiamo sul « Ligustico » questo notevole scritto del signor U. M., già comparso in un opuscoletto di cui furono tirate soltanto 12 copie: si può quindi considerare sconosciuto alla maggioranza dei cultori della storia ligure. N. d. D. (2) Cap. Il - Questo pregevole lavoro è tuttora inedito; il sig. Achille Neri di Sarzana voleva, molti anni fa, curarne una edizione, che poi non fu fatta. Ne possiedono copie manoscritte il Comune di Sarzana, la Biblioteca Civico-Beriana di'Genova, il R. Archivio di Stato di Massa, e l’autore di queste pagine. GIORNALE LIGUSTICO 429 tre secoli si potrebbe dire oggi pure, chè non mancano tuttavia ingegni più sottili del convenevole, i quali vogliono sostenere che il tanto celebrato dagli antichi porto di Luni non sia il golfo della Spezia. Ora, quantunque questa opinione sia tanto deforme dal vero, e non valga la pena, come giustamente osserva il Landinelli, di affaticarsi in dimostrare il contrario; pure la continua insistenza nell’ errore di moki tra i moderni scrittori che trattarono questo argomento (1), fra i quali non ultimo Agostino Falconi, l’unico che finora delle cose della Spezia si sia occupato con amore, mi ha deciso a trattare un po’ largamente la questione. Donde è nata 1’ opinione che l’attuale golfo della Spezia non sia quello che gli antichi chiamavano porto di Luni? Io credo non da altro che dalla troppa distanza del Golfo stesso dall’antica città, da cui era separato, non solo per il fiume Magra, ma anche per la catena del monte Caprione che termina in mare col capo del Corvo, da Tolomeo chiamato Σελήνης άκρον, Luna promontorium (2). Perchè adunque questo Golfo dovrebbe essere il Portus Luna, se per tanti ostacoli è separato dal luogo della città, e se l’antica Luni era posta presso il mare, vicino alla foce della Magra, dove avrebbe potuto avere un porto immediato? E, nel fatto, il Falconi, senza nemmeno accennare alla di- ti) Vedi, fra gli altri: Antonio Rossi, Lettera sul Golfo della Spezia al barone de Zach, datata da S. Remo il 3 febbraio 1821, in Zach, Corre-spondence astronomique, géographique, hydrographique et statistique, Gênes, Ponthenier, 1821, vol. IV, pag. 480 - Pellegrino Paolucci, La Garfagnana illustrata, Modena 1720 - A. Falconi, Guida del Golfo di Spezia, Torino 1877 - S. M. Cerini, Guida di Spezia, Spezia 1883 - S. Strata, Nuova Guida di Spezia e della sua regione, Spezia 1887 - Le cento città d’Italia, supplem. illustrato del Secolo, 25 luglio 1889 - A questi s’aggiungano molti altri autori che vanno 1’ un 1’ altro copiando la errata affermazione. (2) Ptol. Ili, i, § 4. 430 GIORNALE LIGUSTICO battuta questione, afferma senz’altro che il porto di Luni « era « quello che già esisteva ad oriente del capo Corvo, nelPampio « bacino ivi formato, verso ponente, dal lungo monte Car-« pione, dai colli di Trebiano, d’Arcola e di Vezzano; e verso « levante dalle alture di Nicolla, di Casano, di Castelnuovo, « non che dalle coste di Sarzanello, di Sarzana, di Ponzano, « di S. Stefano e di Albiano » (i). Chi ha pratica dei luoghi rimarrà certo meravigliato di tanta enormità; e chi sa, all’incirca, dove giacciono anche oggidì le rovine di Luni, si domanderà, dopo aver letto quelle righe del Falconi: Ma Luni dov’ era piantata? in mezzo al mare? Nè certo altrove poteva essere posta se, com’assicura il Falconi, tutta la pianura circondata da quelle alture, era il golfo di Luni. « Ora invece delle onde marine — soggiunge il Falconi — « estendesi dov’era il porto di Luni l’ubertosa pianura sarza-« nese, stata formata dalle torbe della Magra e del Vara ». Certamente l’attuale pianura di Sarzana, dai colli sino al mare, è di formazione del fiume; ma quando l’immenso bacino del Val di Magra inferiore era inondato dalle acque marine, Luni non era sorta ancora (2). Certo, da che la Magra scorre fra quelle gole, ha seguitato a portare quel materiale che ha prodotto tal cambiamento; ma ciò quanti secoli prima della Luni celebrata dagli storici e cantata dai poeti ? Ma pare che Luni non avesse nemmeno un porto sul mare, il quale, a detta di qualche scrittore (3), ne avrebbe lambito le mura. Le rovine di Luni distano dall’attuale spiaggia della (1) Op. cit. Cap. I, pagg. 9-10. (2; Vedi G. Capellini, Descrizione geologica del golfo della Spezia e Val di Magra inferiore, Cap. XIII, pag. 80. Bologna 1864. (}) Landinelli, op. cit. Cap. II. GIORNALE LIGUSTICO 43' Marinella un miglio e mezzo; e può credersi che quando Luni era in fiore non ne distasse meno. Nel fatto, il Promis, per provare che tutta quanta l’attuale pianura è di formazione antichissima, adduce convincenti ragioni (i): « Si esamini quali siano state ne’ tempi antichis-« simi le vicende di questo aumento della spiaggia, e vedrassi « che essa deve essere cresciuta con prodigiosa celerità dal « piede de’ colli di Trebiano e di Sarzanello sino a che fosse « colla sua massa arrivata ad una linea che potrebbe tirarsi « dall’Avenza alla punta del Corvo, poiché sino a tal momento « essendo costante la rotazione delle torbide verso ponente, « era il loro allargamento in mare affatto impedito dal monte « Caprione, o promontorio lunense, che allora non poteva « essere che una scogliera disposta in modo a formare, coi « monti Apuani, del moderno Val di Magra inferiore, un « secondo golfo per ampiezza, forma e giacitura, similissimo « a quello della Spezia.... Ma allorché le breccie e le terre « trascinate dal fiume giunsero all’ altezza della punta del « Corvo, allora il movimento marino che tende a ponente, « non più smorzato da quel promontorio che già non più in « mare sorgeva, ma in terra ferma, e congiunto al vento di « maestro un terzo sopra ponente (2), radendo con continua « ed estrema forza lungo Γ anzidetta linea impedi quel regoli lare e celere allargamento di terreno, lasciando bensì che (1) Dell'antica citta di Luni e del suo stato presenti, Memorie raccolte da Carlo Promis. (Memorie della R» Accademia delle Scienze di Torino, Classe di scienze morali, storiche, ecc. - serie II, tom I, pag. 165). (2) o La violenza di questo vento, dagli antichi detto Circius (Vitruvio, « I, 6) lungo queste coste è notata da Svetonio (in Claudio, 17), dove a narra della navigazione di Claudio presso la Liguria, e da Plinio (II, 46) « che lo dice Ostiam plerumque recta ligustico mari perferens, ed al libro β XVII, 2. Per questa causa fu diretta a tramontana l’imboccatura del e porto di Claudio alla foce del Tevere, affinchè non fosse dalla sua 43^ GIORNALE LIGUSTICO » la spiaggia della Marinella si cangiasse in una secca conti-« nuata, ma facendo pur anche che la superficie acquistata « sul mare fosse d’ allora in poi assolutamente minima, e che « la sua progressiva estensione fosse di tal lentezza a poter « quasi sfuggire all’occhio dell’osservatore ». A questo s’ aggiunga l’asserzione di Strabone, che dice delle città tirrene solo Populonia essere edificata in riva al mare, e ne trova la ragione nella importuosità della spiaggia, quia tractus regionis importuosus est. E non basta: abbiamo documenti a dimostrare come la pianura dinanzi a Luni fosse nell’antichità tale quale si mostra ai giorni nostri; documenti che non risalgono invero a più di sette secoli, ma che debbono persuaderci facilmente che se lo stato della pianura di Marinella ha poco o nulla variato dal secolo XII ai nostri giorni, altrettanto deve aver fatto dal tempo del massimo splendore di Luni fino all’ epoca di cui parliamo, che è un periodo presso che uguale. Nel 1185, ai 29 di luglio, l’imperatore Federico Barbarossa riconfermava a Pietro vescovo di Luni i privilegi e le investiture già a lui concesse con altro diploma di due anni innanzi. In questa riconferma sono esattamente specificati i luoghi, e la topografia di Luni è riprodotta con assai esattezza. Ivi è detto : Plateam quœ « azione molestato come quello di Monaco, del quale nota Lucano (Phars. I, « v. 407): «..... solus sua littora turbat « Circius et tuta prohibet statione Monœci. « La pianura nella quale giace Luni, formata come si è detto, dalle allu-« vioni, portava nel XII secolo il nome ben significante di barena lunenses, « conservatoci da Nicolò abate Taragonese nel suo viaggio in Italia, edito « nella Summa geographia del vescovo Munter di Selandia. Pontremolus.... « inde urbs Luna, apud quant arena lunenses. Decem milliarum itinere « transeunda sunt ha arena amena, burgis undique circumdata ». Promis, id. ibid. GIORNALE LIGUSTICO 433 est inter murum civitatis et mare (i); ciò che a chiare note dimostra quanto non sia vero che il mare lambisse le falde delle antiche mura di Lani. Quindi il portus lunensis, nominato nel precedente previlegio del 30 giugno 1183, non può essere che il golfo della Spezia. Oltre a ciò, coloro de’ miei lettori che sono stati alla foce della Magra ricorderanno certamente di aver veduto in mezzo al letto del fiume, vicinissimo al mare, un rudero che i contadini chiamano Vangelo e che, a tutta prima, fa nascere l’idea essere l’avanzo d’un vecchio ponte. Quel rudero non è altro che il nucleo di un antico sepolcro simile a tanti che si trovano anche oggidì lungo le vie consolari, e segnava probabilmente l’andamento di una strada (2). La sua posizione, così vicino al mare, dice chiaramente che da quindici secoli almeno la pianura lunense esiste nella sua integrità presente. Dopo ciò nessun dubbio può restare, a mio credere, sulla esistenza del famoso portus Luna··, o d’un altro porto qualunque, sulla marina di Luni. Dico sulla marina, perchè io sono d’avviso che la città d’Aronte avesse un piccolo porto di fiume, il quale certamente non era il ricordato Luna portus: un piccolo porto, che serviva per il commercio della regione, e specialmente del marmo lunense, che nel tempo dell’impero veniva trasportato in grande quantità a Roma (3). Nè l’esistenza di questo porto è una mera congettura; ma si basa sopra fatti che a me sembrano indiscutibili, quantunque il Promis neghi recisamente un porto (1) F. Ughelli, Italia sacra, sive de Episcopis Italiæ, Venetiis 1717, vol. I, col. 849 - Landinelli, op. cit., Cap XXVI. (2) Promis, op. cit., pag. 30 della seconda edizione, Massa, Frediani 1857. (3) Oltre che per il marmo, Luni è ricordata nell’antichità per i suoi vini, reputati i migliori dell’ Etruria (Plinio, XIV, s. 8, § 67), e per i suoi formaggi dei quali alcuni pesavano mille libbre (Plinio, XI, s. 42, 97 -Marziale, XIII, 30). Giorn. Ligustico. Anno XXI. 29 434 GIORNALE LIGUSTICO all’ antica Luni, concedendole appena un esiguo ricettacolo pel refugio delle barche peschereccie. In faccia al paese dell’Amelia, a non molta distanza dalle rovine di Luni e a un miglio e mezzo dal mare, esiste un padule chiamato la Seccagna ; è voce che questo padule altro non sia che il cratere dell’ antico porto, il quale non sarebbe stato altro che una insenatura della Magra, che del resto è anche oggidì navigabile fino a qualche miglio più in su. Di un piccolo porto contermine alla città è fatta menzione, quantunque vaga, in alcuni scrittori, quali 1’ Holstenio, Bonaventura de’ Rossi, il Landinelli ed altri: da alcuni è chiamato porto della Seccagna, da altri porlo dell’Amelia. Ma abbiamo dei documenti del tempo in cui il porto della Seccagna era sempre in attività, i quali pare sieno sfuggiti all’ attento esame del Promis. Negli statuti della città di Sarzana (lib. I, rubrica XXV) si legge: Capiianeus vel Judex, qui fuerit in Sarzana teneatur feri facere et refici viam qua itur versus pratum fundamenti... et ab ipso inferius usque ad portum Sechagna et ad pontem saltarium. Ed anche (id. rub. LV) : Item auctoritatem et bailiam habeant officii eligendi quin sai reducere de portu Sechagna (i). Nel già citato diploma di Federico I del 1183 il porto dell’Amelia è chiaramente indicato (2). È evidente adunque che questo porto non serviva unicamente di rifugio alle barche da pesca, ma per i commerci del paese, parte essenziale dei quali, come già dicemmo, erano i marmora lunentia. Il Promis, negando uno scalo a Luni, ammette conseguentemente, e lo accenna (3), che questi marmi venissero caricati nel golfo della Spezia. Ma se si pensa al cammino maggiore che dove- (1) Presso Falconi, op. cit., Capo I, pag. 11. (2) Comitatum lunensem.... et ripam Lunensis portus et portus Ameliæ.... -Ughelli, op. cit., vol. I, col. 848. (3; Op. cit., Capo I. GIORNALE LIGUSTICO 435 vano fare per la via di terra, al valico dei monti che separano Val di Magra dal bacino del Golfo, alla mancanza di strade di comunicazione, perchè la Via Æmilia Scauri passava fuori del Golfo, al transito del fiume con pesi cosi enormi senza ponte alcuno, una tale opinione si trova addirittura insostenibile, e come tale deve rigettarsi. Quest’ultima ragione, parmi, anche senza tener conto di tutte le altre prove, basterebbe da sola a farci affermare che Luni aveva effettivamente un porto commerciale, che non era, ripeto, il portus Luna, celebrato dagli antichi. Il Falconi, nella sua citata Guida del golfo di Spezia, dice che l’odierno golfo della Spezia era in antico chiamato Portus Veneris, e questa è certo per lui una ragione per non crederlo il portus Luna. È vero che ebbe da alcuni (i) questa denominazione, ed anche l’altra di portus Erycis·, ma ambedue si spiegano facilmente. Luni abbandonata e quasi distrutta, il Golfo prendeva talvolta il nome delle terre più considerevoli delle sue sponde, come poi assunse quello della Spezia. Si osserverà che in Tolomeo si trova portus Erycis; ma Pietro Bertio nella sua pregevole edizione annotò che Veneris portus, Erycis portus, Erycis sinus intima in Gracis mmss. desiderantur, e che furono interpolati dal traduttore latino. II. — Se adunque la città di Luni non aveva un porto immediato, il portus Luna era senza dubbio l’attuale golfo della Spezia. E, davvero, se non avessimo altre prove, basterebbero ad accertarcene le descrizioni che di esso ci hanno lasciato e geografi e poeti antichi. Ennio poeta, che visitò il Golfo durante uno dei suoi viaggi, probabilmente partendo per la guerra sarda nel 537 a. U. c., ne rimase meravigliato, e altamente lo celebrò nell’ esordio dei suoi Annali. E Persio, (1) In Aimone presso il Cluverio, portus Veneris. 436 GIORNALE LIGUSTICO il giovane e grave satirico che molti vogliono nativo di queste spiaggie, ce lo descrive cosi, citando uno dei versi di Ennio: ........Mihi nunc Ligus ora Intepet, hibernatque meum, mare, qua lattis ingens Dant scopuli, et multa littus se valle receptat. Lunai portum est operæ cognoscere, cives ! Cor iubet hoc Ennii (i)........ Silio Italico nel libro Vili del suo poema parla del porto di Luni con queste parole : ..........Luna . . . Insignis portu, quo non spatiosor alter Innumeras cepisse rates et claudere pontum (2). Plinio chiama Luni oppidum portu nolile (3) e Strabone fa del Golfo una descrizione tale che nell’animo del lettore non può lasciare alcun dubbio sulla vera posizione topografica del porto di Luni. Mi piace riportare qui il brano originale : Ή μεν οδν πόλις ού μεγάλη, δ δε λιμήν μέγιστος τε και κάλλιστος, έν αυτω περιέχων πλείους λιμένας, άγχιβαθείς πάντας, οίον αν γένοιτο δρμητήριον θ-αλαττοκρατησάντων ανθρώπων τοσαύτης μεν θ-αλάττης, τοσοΰτον δε χρόνον, περικλείεται δ’ δ λιμήν δρεσιν υψελοΐς, άφ’ ών τα πελάγη κατοπτεύεται και ή Σαρδώ καί της ήιόνος έκατέροθεν πολυ μέρος (4). Cioè : La città (Luni) non è grande, ma il porto è grandissimo e insieme bellissimo, come quello che abbraccia in sè molti porti tutti profondi appresso il lido, quale del tutto si conviene ad un popolo che per tanto tempo tenne il dominio del mare. Cingono il porto alti monti dai quali vedesi il mare, la Sardegna e gran parte dell’uno e dell’altro lito. (1) Sat. VI, v. 6-10. (2) Punicorum, Vili, v. 482-484. (3) Hist. nat. I, 8. (4) Parisiis, Didot, 1853, lib. V, cap. II, pag. 18$. GIORNALE LIGUSTICO 437 Chi conosce le sponde del nostro bel golfo; chi è salito sul monte della Castellana e di là, in un bel mattino sereno, ha contemplato lo stupendo panorama, ammirerà certo nel passo citato la grande esattezza topografica dell’antico geografo. Ma perchè, si chiederà, fu chiamato nell’antichità porto di Luni, se la città ne era separata da un fiume e da una catena di monti ? Prima di tutto osserverò che, essendo Luni la citta più vicina al Golfo, sulle cui rive non sorgeva alcuna terra di qualche conto, doveva necessariamente dargli il suo nome. Se a questo si aggiunge che il Golfo con tutti i paesi che lo circondano furono da tempo immemorabile sotto la giurisdizione di Luni, la denominazione di Luna portus all attuale golfo della Spezia apparirà del tutto naturale. Queste ragioni pare non si affacciassero alla mente di alcuni scrittori, i quali, persuasi da una parte che il golfo della Spezia fosse il porto di Luni, non potevano dall’altra conciliare l’idea della denominazione con quella della distanza del golfo dalla città. E come alcuni misero il porto dinanzi a Luni, così questi ultimi, al contrario, posero Luni in fondo del golfo della Spezia. Il marchese Gerolamo Serra al libro III della sua Storia dell'antica Liguria e di Genova (i) al passo dove parla della distruzione delle città della Liguria fatta dal re Rotari, annota : « La vecchia città (Luni), quella che nominano gli antichi « scrittori, era probabilmente posta in fondo dello stesso golfo « per poco ov’oggi è la Spezia: la città nuova, quella le cui « rovine sussistono anche al presente, era al di là dalla iMagra; « e sulla seconda positura non può cader dubbio. A provare « la prima fa mestieri premettere, per chi non è del paese, « come una catena di monti, i quali terminano al Capocorvo, (i) Capolago, 1835, tomo I, pagina 436 e segg. 438 GIORNALE LIGUSTICO « divide il bacino che contiene le acque del golfo da quello « più orientale dove il fiume della Magra va a scaricarsi in « mare. Or possiamo noi credere che niuna delle castella « sovrastanti al golfo avesse preso il suo nome, e assunto lo « avesse una terra separata da quello per due rive di fiume e « due falde di monte ? Dunque Ennio e Persio avrebbero invi-« tati i Romani a stare in gran disagio, quando indirizzarono « loro il noto verso: Lunaiportum opera est cognoscere, cives ». E seguita il Serra a procedere per una via di congetture, senza alcuna parvenza di verisimiglianza, opinando che dopo la distruzione di Luni per opera di Rotari, i Lunensi abbiano trasportato i loro penati sulla sponda sinistra del Magra e quivi abbiano fondato una Luna nova. Sicché, ammettendo tale opinione, converrebbe credere che questa nuova Luni, le cui vestigia si vedono tuttora, sarebbe stata fondata dopo il 641 dell’e. v., anno in cui Rotari devastò le riviere liguri. Ora, chi non sa che negli scavi che si fanno da parecchi secoli in quel di Luni si sono trovati monumenti epigrafici, monete, medaglie e un numero infinito di altri oggetti, che son la più chiara testimonianza della esistenza in quel luogo di Luni al tempo della dominazione romana? A questi fatti accenna pure il Serra; ma dubita assai del-1’ autenticità di quelle testimonianze, basandosi su due epigrafi generalmente riconosciute apogrife, ambedue esistenti in Sarzana, e dimostrate tali, fra gli altri, dall’abate Oderico (1), e dal Promis (2). Ma le due epigrafi accennate non sono certamente le sole messe in luce dagli scavi operati nel luogo di Luni ; ne esiste un numero assai considerevole, della cui autenticità non è lecito dubitare, e che il Promis riporta nel Corpo epigrafico Lunense, annesso all’opera più volte ricordata. (1) Gaspare Luigi Oderico, Lettere ligustiche. Bassano 1792. (2) Op. cit. GIORNALE LIGUSTICO 439 Accennerò ancora alle recenti importantissime scoperte fatte dal marchese Gropallo, il quale nel 1890, facendo eseguire alcuni scavi in un suo podere nel piano di Luni, sotto gli avanzi di una chiesa cristiana scopri fra l’altro molte basi di colonne e di statue inscritte, le quali facevano parte di un edifìcio dell’epoca romana, che il signor Paolo Podestà, il quale della scoperta dettò una dotta e diligente relazione, crede fosse 1’ edifìcio pubblico più importante dell antica Luni (1). Si dirà — osserva sempre il precitato marchese Serra che nelle vicinanze della Spezia non è stata fatta nessuna scoperta di simil genere che valga a darci una prova della esistenza di Luni su quella spiaggia; ma questo non basta per dimostrare che io m’appongo al vero ; e, del resto, quello che non è fin qui accaduto potrebbe in seguito avvenire. E, davvero, se il solo fatto di trovare avanzi antichi su questi lidi bastasse a rendere realtà l’ipotesi dello storico genovese, si potrebbe ormai affermare che Luni sorgeva sul luogo della Spezia, perchè quello che non era avvenuto, o almeno lo era in minima parte, fino al tempo in cui il Serra dava in luce la sua Storia, accadde poi. Nel fatto, quando si eseguivano nella pianura ad occidente della Spezia i grandi scavi per la darsena dell’arsenale, vennero scoperti molti avanzi di certa origine romana. Nessuna persona intelligente della materia, o che avesse amore a questa maniera di studi presiedeva ai lavori di scavo; soltanto il Falconi insisteva frequentemente presso le locali autorità perchè non andassero dispersi gli avanzi dissepolti, secondo lui, dell antica Tigulia. Per ciò, molti oggetti andarono dispersi. Il Falconi nella nota 92.* alla quarta edizione della sua Cannone sul golfo delta Spezia (2) accenna come, fra l’altro, si fossero rinvenuti bagni (1) Nuove scoperte nell’antica Luni presso Sarzana. (Dalle notizie sugli scavi del dicembre 1890) Roma 1890. (2) Prato, 1870, pag. 39. 440 GIORNALE LIGUSTICO di marmo, stanzette da bagno, tubi di piombo ecc. Molti di questi oggetti, che allora si conservavano negli uffici del Genio militare, sono andati sfortunatamente perduti; ma una certa quantità ne rimane, raccolta nel locale Museo civico. Ricorderò fra le altre cose due grandi sarcofaghi scavati in pietra, un pezzo di pavimento a mosaico recentemente andato perduto, parecchi altri pezzi di pavimento in mattoni ed altre opere laterizie; alcuni lavori in marmo, fra cui una piccola testa e due capitelli di lesene, assai finamente condotti, un grosso tubo di piombo, molti utensili e ornamenti in ferro, in bronzo e in vetro; un numero considerevole di anfore grandi in terra cotta ben conservate (i), e finalmente un centinaio di monete Romane dei tempi della repubblica e dell’impero fino, salvo il vero, a Costantino. Dico salvo il vero, perchè le monete, eome del resto ogni altro oggetto rinvenuto, aspettano ancora il loro paziente illustratore, e io non parlo che per averle alquanto superficialmente esaminate. Aggiungerò a questo punto che sulla collinetta di Vivera è esistita fino all’anno 1869 un’ara marmorea romana con questa iscrizione (2) : TELLIUS . CENSORINUS VILICUS . COMPITUM . ET ARAM . MUNUS . LARIBUS D . SUO L . M Ora, queste prove sono tali da avvalorare l’opinione di (1) La più bella e meglio conservata delle anfore trovate negli scavi dell’ arsenale è posseduta dall’ autore. (2) Agostino Falconi, Iscrizioni del golfo di Spezia. Pisa 1874, pag. 11, n. 6. Atti della Società Ligure di Storia Patria, vol. Ili, pag. 45. GIORNALE LIGUSTICO 441 Gerolamo Serra e degli altri (i) che da lui forse hanno copiato ? Queste scoperte confermano il Falconi nella sua certo errata ipotesi che Tigulia sorgesse sulle rive del Golfo (2). Qui non è il luogo di addentrarci nella questione; ed io mi limiterò ad osservare che per me queste scoperte significano che sulla spiaggia del golfo di Luni erano sparse delle comode ville, che i ricchi cittadini lunensi ed i coloni romani venivano ad abitare nella stagione dei bagni, ciò che avvalorerebbe la vecchia tradizione che il luogo della Spezia fosse detto in tempi remotissimi Bagno antico (3). A me pare anzi, che dopo queste scoperte perda assoluta-mente di valore l’opinione del Serra e degli altri citati, perchè fa cadere uno degli argomenti principali a sostegno della loro ipotesi; che cioè, non ammettendo un’antica Luni sulla spiaggia del Golfo, Ennio e Persio avrebbero invitato i molli Quiriti a star quivi in gran disagio. Nella pianura della Spezia, alle falde delle amene colline ombreggiate dall’ ulivo sacro, i grassi borghesi di Luni avevano le loro abitazioni d’estate, ed Ennio e Persio invogliando i Romani a visitare queste sponde incantevoli, ben sapevano che non sarebbe mancato loro un buon letto ed una buona mensa. III. — Il signor Francesco Corazzini in un suo studio (4) che avrebbe dovuto intitolare Della situazione della città, meglio (1) Vedi: Magazzino pittorico n. 51, Genova, 20 dicembre 1834, ed anche: Cenni storici del comune d’Arcola del Dott. Pietro Fiamberti. Chiavari, 1835. (2) Canzone sul golfo di Spezia, nota citata. (3) Vedi Emanuele Repetti, Dizionario geografico-fisico-storico della Toscana, Firenze 1843. Art. Spezia. ' (4) F. Corazzini. Della situazione del porto etrusco di Luna. (Rivista marittima. Novembre 1883, pagg. 256-267). 44 2 GIORNALE LIGUSTICO che del porto di Luna, è perfettamente del parere del Serra nel porre Luni sulle rive del Golfo, ma circa le rovine che si trovano alla foce della Magra emette un’opinione tutt’affatto nuova, basandosi sopra l’interpretazione a modo suo di un passo di Strabone. Dice il geografo greco: μεταξύ δε Λούνης καί Πόσης δ Μάκρης έστί χωρίον, φ πέρατι, τής Τυρρηνίας καί τής Λιγυστικης κέχρηνται των συγγραφέων πολλοί (ι). Cioè: tra Luni e Pisa v’è il luogo della Magra, che molti scrittori posero per confine fra 1’ Etruria e la Liguria. Il Corazzini interpreta χωρίον nel significato di città, e, seguendo l’autorità dell’ antico geografo, che metterebbe la Magra a mezzogiorno di Luni, afferma che questa era posta nel Golfo e che presso la foce del fiume esisteva un’altra città, δ Μάκρης χωρίον, oppidum Macra, la città della Magra, le cui rovine sarebbero quelle che da tanti secoli vengono attribuite a Luni. È vero che da quel passo di Strabone parrebbe che la città fosse posta sulla riva destra della Magra: ma chi ci assicura che il passo dell’ antico geografo non sia corrotto ed alterato, o che Strabone stesso non abbia preso abbaglio? Ma è curiosa che il Corazzini basi tutta la sua ardita ipotesi sopra una voce tanto controversa. Il Cluverio, il Corayo, il Groskurdio, il Kramer son d’accordo nel ritenerla errata, e nel sostituirla con altre più probabili. Ma v’è di più: quel χωρίον, che il Corazzini vorrebbe fosse una città, non è per molti che un errore originato dalla interpolazione del glossatore. Nel fatto, l’editore di Parigi spiega cosi (2): χωρίον, nullo modo ferendum esse manifestum est. Immo Strabo scripsit έστιν ω πέρατι. Supra vocem πέρατι glossator posuit δρίω, vocem usitatiorem. Inde nata lectio έστίν δρίω φ πέρατι, deinde έστί χωρίον φ πέρατι. Cioè: Strabone scrisse « vi è la Magra quale (6) Op. cit., lib. V, 2. (i) Op. cit., pag. 969. GIORNALE LIGUSTICO 443 confine..... ». Sopra la voce πέρατι (confine) il glossatore pose δρίψ (confine) voce più in uso. Di qui è nata la lezione έστίν όρίω ω πέρατι, quindi έστί χωρίον ω πέρατι. Questo per dimostrare sopra quali basi fondi il Corazzini la sua teoria, e per escludere l’esistenza di un’altra città. Ma il passo di Strabone è errato ad ogni modo, ed è l’evidenza dei fatti che ce lo dimostra: a meno che, ai tempi dell’antico geografo, la Magra non avesse, presso la sua foce, un corso differente dall’attuale e non si gettasse nel mare a mezzogiorno della città. Non che io lo creda, ma lo dico cosi per provare al Corazzini che col suo metodo si potrebbero accampare molte altre teorie non meno verisimili della sua e conducenti a contrarie conclusioni. Non credo a questa, come non credo alla sua ipotesi, perchè mi par molto più probabile che un geografo possa prendere una cantonata, di quello che un fiume possa cambiare il suo corso, o una città andar dispersa senza lasciare memoria di sè. Ma se è dubbia od errata la situazione di Luni secondo Strabone in quel passo, non lo è affatto nell’ altro, che di poco lo precede nello stesso capo 2° del libro V, dove è detto : Πρός οέ τοϊς δρεσι τοΐς ύπερχειμένοις τής Λούνης έστί πόλις Λοϋκα, di là dei monti posti sopra Luni è la città di Lucca. Ora, Lucca non è posta certamente al di là dei monti del golfo della Spezia, ma dopo la catena delle Apuane che furono dette appunto monti di Luni. Il Corazzini non si sgomenta del passo di Plinio, che dice Γ Etruria avere per confine la Magra, ed essere Luni prima città della Toscana (2); e trova parole per ispiegare l’apparente contraddizione; non si sgomenta neppure di non trovare cenno alcuno della sua città della Magra presso gli scrittori e (2) Hist. Nat. Ili, 50. 444 GIORNALE LIGUSTICO sulle tavole antiche, e trova pure modo di spiegare questo silenzio. Le contraddizioni esistono, non v’ ha dubbio, fra gli antichi autori che rammentano Luni: chi la pone di qua, chi di là della Magra; chi la fa etrusca e chi ligure. Non occupiamoci nè degli uni nè degli altri; limitiamoci ai fatti che possiamo osservare e alle memorie che possiamo toccare colle nostre mani. Sul fatto delle rovine che si trovano alla foce della Magra, il Corazzini accenna appena, e pare voglia sfuggire quest’ argomento, che è pur quello che taglia la testa al toro. Le iscrizioni trovate negli scavi e quelle che spesso vengono alla luce sono lì a dimostrarci chiaramente, evidentissimamente che Luni era lì, e che lì c’era Luni e nessun’altra città o paese. Quale altro luogo del Golfo o dei dintorni ha dato così ampia messe di monumenti, come la pianura detta di Luni? E perchè la pretesa piccola città della Magra avrebbe lasciato tante vestigia di sè, mentre la superba Luni, la Luni etrusca e romana, la Luni famosa per bianchi marmi e splendidi palazzi dovrebbe essere scomparsa, novella Atlantide in mezzo all’ Oceano, senza lasciare un rudero, testimonio della sua esistenza ? E ponga mente ad un’ altra cosa il signor Corazzini. Luni non fu distrutta durante 1’ epoca romana, ma continuò in vita per lunghi secoli ancora e bevve la sua rovina a lenti sorsi. Ora è certo che la Luni medievale era là sulla sinistra della Magra, sorta sopra la città romana; e ce lo dicono le epigrafi dissotterrate, gli scrittori che vi furono e ne trattarono in ogni tempo, i ruderi che ancora si mostrano al sole, la costante tradizione e la denominazione del luogo, che vive ancora. Ne vuole una prova? Ricorderà il già citato diploma di Federico Enobarbo con cui si concedono al vescovo Pietro larghissimi privilegi in data del 29 luglio 1185. In quell’atto sono, come già abbiamo notato, esattamente indicati i luoghi del feudo, GIORNALE LIGUSTICO 445 ed è detto di Luni: civitatem Lunensem cum fossatis, et suburbiis et suburbanis suis, cum ripa, theloneo....., et plateam qua est inter murum civitatis et mare, adificium quod circulum vocatur, aut arena..... (i). Il circulum ο arena non è Γ anfiteatro romano detto Colosseo, che anche oggi è la principale delle rovine di Luni ? Ma io mi trattengo a dimostrare cosa ovvia di per sè stessa,, e non ne vale certo. la pena. Il signor Corazzini non accusi il Promis di partire da idea preconcetta (2) nello stabilire la positura dell’antica Luni; il Promis ha scritto il suo diligentissimo lavoro dopo lungo esame dei luoghi e dopo pazienti studi sopra i monumenti epigrafici raccolti sul posto. Non può dire egli altrettanto, chè, terminando il suo scritto, si ripromette di risolvere la questione sul luogo, mostrando in tal modo di averla assai poco approfondita. La sua ipotesi, del resto, sulla ubicazione di Luni nel golfo-delia Spezia, e precisamente nel luogo press a poco dove sorge l’odierna Lerici, è tanto nuova quanto seria e fondata. Il Cluverio crede per l’appunto che Lerici sia sorta sulle rovine di Luni (3), ed una tale opinione si trova pure nella Geografia del Blaëw, edizione d’Amsterdam, dove si dice che « Porto « Erice, o Lerici, è un castello di nuova costruzione, dove « sono le rovine di un’antica città, detta Luna » (4). (1) Ughelli, Italia sacra, tomo I, col. 849. (2) Op. cit.,'pag. 258. (3) Italia antiqua, lib. II, cap. 1°. Vedi pure la sua Introductio in universa geographia, Amsterdam, 1729, p. 307: Luna trans Macram fluv. sed Etruscorum tamen opidum, portu nobile, nunc 1’Erici. — E in nota: Opidum hoc (Luna) postea portus Ericis appellatus est. Ibid. (4j Vedi: Chabrol De-Volvjc, Statistique des provinces de Savone, d’Oneille, d'Aqui, et de partie de la province de Mondovi formant l’ancienne département de Montenotte. Paris 1824, vol. II, pag. 479. 44 é GIORNALE LIGUSTICO Io spero che a quest’ ora il signor Corazzini avrà fatto la sua visita al Golfo e alla pianura della Marinella, e che si sarà persuaso che sarebbe stato meglio 1’ avesse fatta prima di mettersi a scrivere della positura di Luni. Ubaldo Mazzini. MATERIALI PER LA SCRITTURA NEL SECOLO XIII. Gli studiosi che frequentano il nostro Archivio di Stato si occupano generalmente dei documenti politici, trascurando l’Archivio notarile qual suppongono abbia scarsa importanza storica. Eppure gli atti dei nostri notari genovesi che comincian verso la metà del secolo XII sono una miniera ricchissima di notizie sulla vita intima, le relazioni di famiglia, le abitudini civili e militari, la pratica delle arti, perfino sul dialetto dei nostri padri. Tacendo che, specialmente dal millecento a tutto il quattrocento, fra contratti d’affitti di terre e botteghe e socide di pecore e di vitelli non è raro trovar atti d’alto interesse storico. Per ora nella congerie dei documenti che potemmo esaminare scegliamo alcuni che riguardano l’arte dei cartarii e i materiali impiegati a Genova per la scrittura nel secolo XIII. Il più antico di tali documenti è un contratto per la fabbricazione delle classiche tabuìele incerate sulle quali incidevasi collo stilo e ci fa noto che come in altri paesi quell’ uso degli antichi si conservò da noi fin nel secolo XIII. Il 2.° ed il 4.0 dei documenti che seguono ci porgono particolari sull’ arte dei cartarii che preparavano e vendevano le carte membranacee dette anche pergamenta. Nel primo di questi due atti molti cartarii genovesi, fra i quali un Doria, GIORNALE LIGUSTICO 447 si obbligano a passare a tre toscani tutta quella lana d’ infima qualità che potrebbero ritrarre dalla raschiatura delle pelli per ridurle a cartapecora. I contratti di lana di bodroni (voce poco dissimile da quella citata dal Ducange e che indicava le pelli lanose) sono frequenti e spesso troviamo menzione di battitores e tonditores bodronorum, ma più singolare è Γ accenno a questo pelo o lana chiamata guadagnino da cui la parsimonia genovese e toscana studiava modo per ritrarre ancora un profitto. L’ultimo, 4.0, dei nostri atti, dei principi del trecento, ci porge i prezzi delle pelli pecorine affaytate e preparate per esser ridotte a carte e classificate secondo il loro formato. Quanto al documento 3.° non sapremmo decidere se ivi si tratti di carta membranacea oppur di vegetale. Ci farebbe propender per la prima ipotesi 1’ accenno all’ imbiancamento colla calcina e anche la stessa parola carta poiché comunemente allora la carta vegetale è designata colla parola papiro conservata nel dialetto e in altre lingue. Ma d’ altra parte ci rende dubbiosi il fatto che il prezzo è stabilito uniforme per ligamina, senza precisar nè il numero di fogli che dovean comporre ogni ligamen, risma o balla che fosse e tanto meno senza stabilire il formato dei fogli. Nell’atto successivo, il 4.0, si scorge che le pelli pecorine destinate alla fabbricazione delle carte eran classificate a seconda del loro formato, modus, con valore molto diverso e contrattate a dozjin&· Ora mal si comprende come in un contratto commerciale il compratore potesse vincolarsi ad acquistarle a ligamina ad un unico prezzo, senza neanco stabilire almeno il formato dei fogli, ammettendo pur possibile che il numero di questi in ogni ligamen fosse consuetudinario nell’ arte cartaria. Ciò invece si spiega nel supposto che trattisi qua di carta vegetale ove anche ora la quantità dei fogli per ogni quinterno e risma è stabilita dagli usi di fabbricazione ed il formato, che in quell’ epoca tro- 448 GIORNALE LIGUSTICO viamo poco variato, probabilmente era costante per i singoli fabbricanti. Pertanto, pur pubblicando questo documento, lasciamo ad altri più competente di schiarire il dubbio. U. A. I. Arch. di Stato. Not. Guido de S. Ambrosio, 125 ì in 1254 et aliorum notariarum. Fol. 204 : In nomine Dni amen. Poncius Emengandus de Monte Pesulano et Constantinus Angelerius ad invicem inter se fecerunt et contraxerunt con-sorcium et societatem dante Domino usque ad annos decem proximos venturos duraturam de eorum labore et ministerio faciendi tabulletas blancas et de cera pro scribendo renonciantes inter se vicissim exceptioni non facti consorcii et societatis non contracte et omni iuri. Qui poncius in praesenti consorcio posuit libras tres mergonentium extimatorum in libris quattuor Ianue de quo labore promittunt inter se vicissim laborare usque ad dictum tempus et bona fide dare operam efficacem ad augendum lucrum dicte societatis. Et promiserunt inter se vicissim omni anno facere rationem de lucro quod deus in ea dederit et ea facta quilibet eorum habere debet dimidiam lucri. Finito enim spatio dicti temporis predictus poncius habere debet de dicta societate libras quatuor Ianuinorum pro illis quas posuit in dicto consorcio et hoc ante parte lucri quod tunc erit in eadem societate et consorcio quam vel quod promiserunt firmum et firmam habere et eam tenere usque ad dictum tempus et contra eam non venire nec contrafacere in aliquo de predictis. Et promiserunt non recedere a servitio dicte societatis. Alioquim libras vigintiquinque Ianuinorum nomine pene inter se vicissim promiserunt. Ratis manentibus predictis pro qua pena et ad sic observandum omnia bona sua inde ad invicem pignori obligaverunt. Renunciantes fori privilegio et confitentes se esse maiores anni XVII. Iurantes ut supra per omnia observare. Et fecerunt hoc de consilio testium infradictorum quos suos vicinos propinquos et consiliatores eligunt et appellant. Actum Ianue in caneto in angulo domus Dni Nicolai de Flisco. Testes Obertinus Thome corrigiarius et Antonius Bertoni de Domoculta anno M CC LXXVI. ind. XIII die xvmi augusti circa vesperas. Et plura instrumenta eiusdem tenoris inde fieri voluerunt. GIORNALE LIGUSTICO 449 II. Arch. di Stato. Notaro De Porta Nicolò Vivaldi — 1259-1291. Filza unica — Registro 2.0 Diversorum Notariorum 1271-91 carte 75 v.° In nomine Domini Amen. — Ego Iohannes cartarius quondam Segno-rini cartarii nomine suo proprio, et nomine Recoveri cartarii. filii eius petrini. Guillielmoni cartarii. Ienuini nepotis dicti lohannis. Guillielmi de campomorono. petri de bonino. Oberti Aurie. et Ianuari de bissannis omnes cartarii ex una parte. Et Bonizus q”. bombelli de pissis. nomine suo proprio, et nomine socii sui. tingi de pistoia. et Dinus filius Benvenuti de Vulterra suo proprio nomine ex altera, taliter inter se convenerunt, et pepigerunt ut infra, videlicet quod predictus Iohannes cartarius promisit et convenit nomine suo. et aliorum supradictorum. predictis Bonizo et Dino vendere, dare et consignare, totum illud pillum quod abradetur et percipietur sive pillabitur de cartis sive de pellibus boldronorum per ipsum Iohannem et per quemlibet ex supradictis. hinc ad annum unum proximum quod pillum appellatur Guadagninum et esse debet lavatum et siccum ut moris est per terram et quod dictum pillum ipse Iohannes nec aliquis alius ex supradictis quorum nomine promisit non dabunt nec vendent nec dabit seu vendet per totum dictum tempus alicui alteri persone nisi solummodo predictis Bonizo et Dino nec vendi nec dari facient per aliquam aliam personam pro ipsis seu aliquo ipsorum (nisi) ipsis Bonizo et Dino dictum pillum recipientibus de mense in mensem et dantibus et solventibus ipsi Iohanni Cantario nomine suo recipienti et predictorum de illo pillo quod habuerint quolibet mense soldos decem et septem Ianuicorum pro precio cuiuslibet cantarji. Iurans dictus Iohannes predicta omnia et singula attendere complere, et observare, et attendi compleri et observari facere per quemlibet ex supradictis alioqui» libris quinque Ian. nomine pene, dictus Iohannes dare et solvere promisit predictis Bonizo et Dino si per ipsum vel aliquem alium ex predictis fuerit contrafactum. Semper firmis manentibus omnibus et singulis supradictis et pro inde universa sua bona predictis Bc-nizo et dino pignore obligavit. Insuper promisit et convenit predictis ita facere et curare quod omnes et singuli supradicti attendent et observabunt omnia et singula supradicta et in aliquo non contravenient et hoc sub pena predicta et bonorum suorum obligacione. Renuncians juri de principali et omni alji juri. Insuper preianinus lanerius de rivoturbido de predictis omnibus et singulis pro predicto Iohanne cartario et aljis versus dictos Gior*. Ligustico. Anno XXI. 450 GIORNALE LIGUSTICO Bonizum et dinum intercessit et se et sua principaliter obligavit, promittens eisdem ita facere et curare quod predicti Johannes et alii observabunt et attendent omnia et singula supradicta. Alioquin ipse attendet et observabit per se et de suo. sub pena predicta et bonorum suorum obligacione. Renuncians iuri de principali et omni alii juri. Versa vice predicti Bonizus et Dinus promiserunt et convenerunt predicto Iohanni cartario nomine suo proprio recipienti et predictorum recipere totum illud pillum lavatum et siccum quod eisdem dabitur et consignabitnr per ipsum Iohannem et per quemcumque alium ex predictis hinc ad annum unum proximum. Ad racionem de soldis decem et septem pro quolibet cantario. et dabunt et solvent quolibet mense dicto Iohanni seu illis ex predictis quod ipsum pillum eis venderint et consignaverint, illam pecunie quantitatem quam ascenderit et ita facere et curare quod predictus tingus attendet et observabit omnia et singula supradicta. Alioquin soldos centum Ian. nomine pene predicto Iohanni dare et solvere promiserunt firmis manentibus su-pradictis. et pro inde universsa bona ipsorum ipsi Iohanne pignore obligaverunt. Abrenuncians privilegio fori et omni alii juri. Actum Ianue in domo Martini de porta scribe. Anno dominice nativitatis MCCLXXV indinone II die XXI Aprilis inter nonam et vesperas. Testes Iohannes speciarius de porta et Lanfrancus murator de porta. III. Arch. di St. Filza l.° Not. Urso de Sigestro Federico e de Quinto Ugone (atti del Not. Gio. de Corsio) Carte xoo. In nomine domini Amen. Ego Petrus Cattaneus de Cumis, qui habito ad rivum turbidum promitto et convenio tibi Iacobo de Marchexana laborare et facere tibi cartas bene et legaliter ad melius quod scivero et potero, meis propriis expensis de omni laborerio quod ad ipsas faciendas oportuerit postquam extracte fuetint de calcina, preter quod illas cartas incidere non debeo a cordis nec cordas de illis extrahere quas cartas tibi facere et laborare debeo promitto bene et decenter, usque festum Pasche nostri domini proxime venture et non laborare nec facere cartas alteri persone nisi tibi usque dictum terminum sine tua voluntate (promittentis) mihi dare et solvere de quolibet ligamine cartarum bene factarum denarios decem et octo Ianuinorum. confiteor tibi me a te habuisse et recepisse occasione dicti laboris soldos decem Ianuinorum. Renuncians excepcioni non numerate pecunie et omni juri predicta omnia et singula tibi attendere et GIORNALE LIGUSTICO 4SI observare promitto et in nullo contravenire. Alioquim penam librarum decem Ianuinorum tibi stipulanti promitto, ratis manentibus supradictis. et pro inde ad sic observandum omnia bona mea habita et habenda tibi pignori obligo. Renuncians fori privilegio ut ubique conveniri possim et omni juri, versa vice ego dictus Iacobus convenio et promitto tibi dicto Petro dare tibi ad laborandum ad sufficientiam de dictis cartis usque dictum terminum et dare et solvere tibi pro tuo laoere denarios XVIII. de quolibet ligamine et (acere tibi solucionem de edomada in edomada de his que mihi consignabis et dabis, sub pena predicta a me tibi stipulata et promissa et sub obligacione bonorum meorum. Testes Recanolus Cattaneus et Obertus de Cogno....... Actum Ianue sub archivolto stanconorum qui fuit quondam fornariorum anno dominice nativitatis MCCLVI indicione Vili die XXX decembris post vesperas. IV. Archivio di Stato. Notari ignoti. Fil^a 31.· In nomine Dni amen. Alexandrinus de Petrabixara cartarius in Rivo turbido ex una parte / et Iacobus cartarius de S." Laurencio ex altera super infrascriptis pepigerunt et convenerunt promittentes sibi ad invicem attendere et observare ut infra. Videlicet quia dictus Alexandrinus vendidit et vendidisse confitetur dicto Iacobo omnes peles sive cartas quas habebit seu emet vel habere poterit tam a macelis Ianue quam aliunde hoc anno usque ad Kall. iulii prox. vent, sine eo quod alicui persone ipsas cartas vel aliquam ipsarum vendere vel alienare possit alicui persone sine licentia dicti Iacobi. Quas cartas sive pelles afaytatas et paratas bene et sufficienter et mercantiliter eidem Iacobo tradere et consignare promisit usque ad Kall. augusti prox, pro preciis inscriptis / videlicet duodenam pelium ovinarum sine modo pro S. III] Ian. duodenam cartarum modi minoris pro S. V. d. VI. Secundi modi pro S. VI. d. VI. duodenam miioris modi pro S. VII. d. VI. quarti modi et ab inde super pro soldis novem Ian. Infra solucionem cuius precii dictus Alexandrinus habuit et habuisse confitetur a dicto Iacobino libras viginti duas Ian. Renuncians exceptioni non habite et non recepte pecunie rei modo geste ut supra et omni iuri et dictus Iacobus acceptans dictam emptionem confitetur dicto Alexandrino se emisse a dicto Alexandrino cartas sive pelles predictas /. promittens eidem Alexandrino ipsas recipere et facta ipsi Iacobino tradicione dictarum cartarum suplere et solvere dictum precium eidem Alexandrino ad voluntatem suam / et est actum inter dictas partes in qualibet parte presentis contractus GIORNALE LIGUSTICO quod dicte pelles sive carte debeant esse mercantilles et sufficientes arbitrio duorum bonorum virorum artis cartariorum eligendorum per ipsas partes, predicta omnia et singula promisserunt sibi ad invicem partes predicte attendere complere et observare et in nullo modo contra facere vel venire / alioquim pena librarum decem Ian. pars contraveniens vel non observans parti observanti dare et solvere promisit totiens quotiens contra veniretur / ratis manentibus superdictis et proinde omnia bona sua habita et habenda sibi ad invicem pignori obligaverunt. Actum Ianue ante ecclesiam S.“ Lau-rencii testes luchetus de bargalio. et Antonius de bavalo Macellarius. Anno Dnice Nativ. milio CCC° XV° indic. XII* die xxn’ febrarii inter nonas et vesperas. VARIETÀ A PROPOSITO D’ UN MS. DELLA BIBLIOTECA BER1ANA DI GENOVA [Note petrarchesche]. Che oltre agli sbozzi autografi del vaticano latino 3196, i contemporanei e quelli del secolo immediatamente dopo al Petrarca abbian dovuto conoscerne altri del Cannoniere, penso non si durerà fatica a credere. L’ opera volgare del Poeta era quella che aveva incontrato le maggiori simpatie del pubblico, nonostante eh’e’ di ciò s’è accorto negli ultimi anni della sua vita gloriosa. Se , in fatti, gli amici indiscreti arrivarono a trafugargli di camera fin 1’ epistole latine da lui bell’ e composte per mandare agli avidi lontani suoi ammiratori (1), che non dovettero fare per avere, appena scritta, qualcuna di quellle poesie volgari, così squisitamente gentili ? Nè il Petrarca, alle lusinghe degli amici, vanitoso com’ era, era uomo da opporsi vivamente, non ostante poi brontoli e se ne lagni. (1) Petrarca, Ep. Senili, V, 16. GIORNALI". LIGUSTICO 453 Quando nel 1373 mandava a Pandolio de’ Malatesta le Rime eh’ egli allora aveva ordinate e corrette, si lasciava, fra l’altro, sfuggire: « Restami ancora molte altre di queste cose volgari in schede lacere e consunte per modo che non si leggono che a stento, e se di quando in quando ho qualche giorno di ozio, mi vado divertendo a raccozzarle. Ma ben di rado è eh’ io il possa. Per questo ordinai che alla fine di ambedue i volumi si lasciasse della carta in bianco : e se m’ avverrà di mettere insieme qualche altra cosa, la manderò chiusa in fogli separati al mio dolcissimo e magnifico signore Pandolfo de’ Malatesta » (1). Se ci furono del Petrarca parole da cui fu tentato distillare ogni sorta di congetture, elleno son certamente queste. Non credo però di pretender troppo io, se immagino ch’egli a’ 4 di marzo del 1374 possedeva i fogli autografi da cui aveva ordinato e fatto copiare 1’ esemplare per Pandolfo di Malatesta. Ma copia di questi fogli, non con le correzioni ultime del Petrarca, doveva già correre fra gli amici e ammiratori del Poeta, prima del 1374, e ce n’accerta lui stesso. Al Malatesta, in fitti, scrive: «Invitus, fatebor, hac aetate vulgari iuveniles ineptias cerno, quas omnibus, mihi quoque liceat ignoratas velim. Etsi enim stilo quolibet ingenium illius aetatis emineat, ipsa tamen res senilem dedecet gravitatem. Sed quid possum ? Omnia iam in effusa sunt, legunturque libentius quam quae serio validioribus animis scripsi. Quomodo igitur negarem tibi..., quae, me invito, vulgus habet et lacerat? » (2). Dunque, pare si possa, senza dubbi, affermare che, vivente il Petrarca, copie delle sue Rime, prima che queste avessero ricevuto l’ultima mano, correvan per le mani di tutti, mal suo grado. E n’ ebber sentore anche persone del secolo XVI. Nel 1530 il Beccadelli, le cui asserzioni si trovano ogni giorno (1) Petrarca, Epistole varie, Fracassetti, IX, p. 228. (2) Idem. Ep. Senili, XIII, 10. 45 4 GIORNALE LIGUSTICO più vere, dopo aver accennato a’ frammenti conservati come reliquie dopo il saccheggio dato a Padova da’ tedeschi nel 1509, e che fu trovato esser quelli già editi dall’ Ubaldini, dice, sebbene in forma dubitativa, che anche altri autografi han dovuto esistere, non ostante ch’ei non abbia avuto notizia (1). E il Vellutello, nel « Trattato de l’ordine de’ Sonetti et Canzoni del Petrarca mutato » premesso alla sua edizione del 1525, ha queste parole : « Ma perchè messer Pietro Bembo, col quale sopra di tal cosa ho alcuna volta parlato, non dall’ originale del Poeta (come Aldo vuole) ma d’alchuni antichi testi, et spetialmente i Son. et Canz. da uno il quale noi habbiamo veduto et anchora oggidì è in Padova appresso Messer Daniele da Santa Sophia, havere questa opera cavata et anchora per averne veduti alchuni altri similmente antichi, et non di meno in molte cose differenti... ecc... ». Queste parole del Vellutello hanno anche maggior peso, oggi, dopo che il Ferrari (2), pur rispetto all’ ordinamento del Cannoniere, esaminando la stampa del 1470, ha provato che questa ha la lezione e non l’ordine del vaticano latino del 3195. Il Vellutello dunque asserisce, in un tempo quando il Bembo avrebbe potuto sconfessarlo, che 1’edizione aldina 1501 deriva da alcuni antichi testi, ma più specialmente da quello, ch’era ancora a’ suoi tempi a Padova, posseduto da Daniele da Santa Sofia. E l’autografo bembiano non è desunto, come ha provato il Mestica, da un autografo ora smarrito, con di più (come appare da un manipolo di varianti marginali) accenni ad altri testi ? — Ma, oltre a ciò, il Vellutello asserisce d’aver veduto « alchuni altri (testi) similmente antichi et non di meno in molte cose differenti ». Non si ricava da queste parole ch’egli, date le molte varianti, accenni a una copia delle Rime petrarchesche, in una delle (1) Petrarca, Rime, ediz. 1799, p. 61. (2) Ferrari S., Propugnatore, N. S. 6, p. 433 segg. GIORNALE LIGUSTICO prime redazioni ? Il nostro contributo finale avvalora la concongettura. E, come se questo non fosse bastato, nel 1541 vien su Bernardo Daniello il quale, nella prefazione, asserisce che, a non stimar superflua l’opera sua, bastano « le diverse lettioni di molti luoghi tratte da gli scritti di man del Petrarca ». Ultima venne, nel 1642, la pubblicazione di Federico Ubaldini degli sbozzi autografi (vatic. latino 3196), con la quale, pur dopo il 1886 quando venne a riconoscersi il codice originale del Cannoniere, si chiusero gli studi che de’ primi tentativi del Petrarca nella elaborazione delle sue Rime, ci fan conoscere il procedimento faticoso. Oggi pare accertato che la stampa padovana del 1472 deriva dal vaticano latino 3195; la vindeli-niana del 1470 da un ms. che ha la lezione e non 1’ ordinamento del codice originale; l’aldina del 1501 dall’autografo bembiano 3197. Ma con ciò non si sono dileguati tutt’ i dubbi, anzi ne spuntano di nuovi. L’autografo Bembiano non deriva dal codice originale, ma da un altro antigrafo, probabilmente disperso. Inoltre il Bembo collazionò il 3197 col codice 3195, e le varianti trascrisse in margine. Ma oltre a queste, il Mestica ne ha incontrate di quelle che non si trovano nel 3195, nè si può credere sieno derivate dall’ antigrafo che il Bembo aveva dinanzi. L’ipotesi più ovvia, s’intende, è quella di credere a un’altra fonte, da cui ha potuto attingere quelle varianti. E, a mio credere, se un po’ più di fede volessimo prestare a quel che dice il Vellutello (e n’avrebbe il merito), potremmo credere che l’antigrafo da cui trasse il Bembo il vat. 3197 sia quello posseduto da Daniele di Santa Sofia, e le varianti marginali derivate da quegli altri « antichi testi » che il Vellut-tello afferma d’aver visto col Bembo. Ma che si sia di ciò, par chiaro come anche dopo gli studi vari del De Nolhac, del Pakscher, dell’Appel, e, tra’ nostri, del Salvo Cozzo, del Ferrari e, ultimo, del Mestica, la questione de’ mss. petrar- 456 GIORNALE LIGUSTICO cheschi e tutt altro che esaurita. E il mio contributo varrà, forse, ad agitarla di più. Nella Biblioteca Beriana di Genova si conserva un ms. (r> 3> I5) della seconda metà del quattrocento, che misura cm. 19,4 x 13,4; di carte numerate 235, di cui le ultime tre in bianco. È cartaceo tutto, solo il foglio 231 è in pergamena, su cui si legge un curioso sonetto caudato dell’ amanuense, eh è pure il padrone del ms. Le carte 24-49, vennero, in seguito, strappate e sostituite da un quaderno di carta più recente su cui, meno pochi versi per finire il sonetto del Burchiello: « Da parte di giovanili e di maffeo », non c’è scritto nulla. 11 ms. non è sconosciuto agli studiosi. L’ebbe, di già, a notare il Flamini nel suo dotto libro su la Lirica toscana fino a Lorenzo il Magnifico; ma non pare eh’ egli abbia tratto nulla da questo codice, meno la citazione di molte, e non tutte, le liriche del quattrocento ond’ è pieno. È conosciuto, dunque, ma fu trascurato; e non ultima ragione sarà forse il titolo che aveva nel vecchio catalogo (1) « Sonetti del Burchiello » che pur ha sul dorso della pergamena di cui è legato, e l’età sua recente. Ma, a questo proposito, vo’ notare che s’ è vero il criterio che 1 codici petrarcheschi della fine del quattrocento valgano assai meno di quelli di data meno recente, il beriano è in via d’acquistare tali pregi, per cui sarà forse messo quasi alla pari de’ suoi compagni più vecchi. Da circa un mese è stato comunicato che il prof. Pellegrini ha rinvenuto un apografo de’ Trionfi del Petrarca che deriverebbe da quell’ autografo visto dal Beccadelli in mano di Baldassare da Pescia chierico di Camera e che poi, mandato a Francesco re di Francia, non si sa qual sorte abbia avnto (2). Nessuno può dissimularsi (1) Nel nuovo catalogo in via di formazione, il prof. G. Bertolotto ha invece, e lodevolmente, fatto lo spoglio di tutti gli autori contenuti nel ms. (2) Carducci, Rime di Fr. Petrarca, Livorno, 1876, vili. GIORNALE LIGUSTICO 457 Γ importanza di questa nuova scoperta. Or bene il ms. beriano ha pure i Trionfi del Petrarca con quelle identiche varianti, costituite, a volte, d’interi versi, e con questo in più che, mentre nell’ apografo rinvenuto dal Pellegrini i Trionfi non sono completi, nel beriano non s’ha a lamentare simile inconveniente. Gli studiosi le vedranno assai presto pubblicate in Appendice all’ edizione diplomatica che di quell’ apografo sta preparando il chiaro professore del Liceo di Parma. lutto questo ci predispone, dunque, favorevolmente rispetto alle varianti eh’ esso dà di poche cose del Cannoniere. Disgraziatamente non son molte le rime : cinque canzoni, quattro sonetti e una sestina, e, notevole, le canzoni, i sonetti e la sestina senza il nome dell’autore. Che valore hanno le varianti che offre il beriano ? Già, solo a dire che ne contiene di non puramente grafiche, ignote al Mestica, recente e benemerito editore delle Rime del Petrarca, mi pare bastevole per solleticare la curiosità degli studiosi del poeta gentile. Ma, rispetto al loro valore, non per nulla ho fatto la chiacchierata che precede la descrizione del codice. A me pare che le lezioni nuove date dal beriano derivino da una copia delle rime petrarchesche, diffusa tra gli amici del Poeta, anteriore all’ ultima redazione quale ci è data dal vaticano latino 3195. Le rime, quali ci son offerte da questo codice, rappresentano, nell’ordine e nella lezione, 1’ ultima volontà del Poeta, ma chi ripensa al suo limae labor, di cui gli autografi del 3196 danno sì chiara prova, chi si richiama alla mente ch’e’, come Vergilio, a guisa d’orsa leccando finiva i suoi parti (1), facilmente si persuade che se prima del 1373, quando ancor tormentava i suoi versi, le Rime correvano, mal suo grado, nelle mani di tutti, esse (e di queste forse il poeta si doleva) dovevano avere una lezione differente da quella ch’egli ci ha lasciato nel codice originale. Or, s’ è così, quanto importi (1) Ubaldini, Le Rime di Fr. Petrarca, Verona, 1642 — Prefazione. 453 GIORNALE LIGUSTICO sapere qual’ era la lezione di parecchie poesie del Cannoniere, appena uscite di sua mano, non m’indugierò a provarlo. Vo’ solo ribadire che le varianti del Cannoniere, oltre quelle meramente grafiche, come le altre de’ Trionfi, son tutte di buon conio, che trasformano, a volte, il concetto d’uno o più versi, 1’ organamento e la sintassi del periodo, tale che non è possibile immaginare sieno dovute a’ capricci dell’amanuense, la cui abilità (si vedrà presto dal sonetto finale) è assai povera. E poi, ripeto, la convalida data alle varianti de’ Trionfi dal-Γ apografo rinvenuto dal Pellegrini, ci può garantire della buona fede dell’ amanuense. Il quale, padrone anche del codice, mostra tutta l’intenzione di metter su una Antologia poetica per uso e consumo suo e degli amici. Anche degli amici : ecco, in fatti, come si raccomanda loro quando avranno il suo codice in mano : « Tu che acatti questo mio libretto, ben che non sia di troppo gran valuta, quando arai la leggenda veduta, credo che ti parrà assai perfecto. Però ti priego quando l’arai letto tu me lo renda che è cosa dovuta et la tua mente fa che sia arguta ch’io non l’abbia arrichieder troppo spesso. Dalla lucerna e da’ fanciulli il guarda però che spesso ne fanno gran danno et la tua promessa fa che non sia bugiarda. Che di quello eh’è mio io ne riceva inganno a ! quanto male questi tali fanno chi 1’ onore suo perutile non riguarda. Hora il fa, che l’ora tarda Non sia arrendere quel ch’hai achattato Si che un’ altra volta te ne sia prestato a. Ho detto, che per essere questo sonetto della stessa mano ond’ è scritto il codice, mi fa ritenere che l’amanuense ne tosse il proprietario. Il quale se dà senza il nome dell’autore GIORNALE LIGUSTICO 459 le Rime del Petrarca, non si ha a credere lo faccia per capriccio. A’ Trionfi, di cui il suo antigrafo dava l’autore, egli scrupolosamente premette pur le didascalie in latino, che son date anche da’ mss. coliazionati dal Mestica. Convien, dunque, credere eh’ egli le trascriva da un testo privo del nome dell’ autore, senza che abbia avuto la coscienza di copiare delle Rime di messer Francesco. Il Mestica, ho detto più su, tra le varianti marginali del-1’ autografo bembiano, ha notato che « parecchie non rispondono al 3195, ond’è da credere che il Bembo le desumesse 0 dal codice sul quale esemplò il ms. o da altro che pur ebbe sotto gli occhi » (1). Or due, delle cinque varianti segnate dal Mestica, si trovano anche nel beriano. Eccole : 1) Beriano c. 204, t. = Mestica, Canz. IX, v. 1 « Gientil madonna i’ veggio ». Il Mestica notò che il Bembo soggiunse prima in margine la variante « madonna », poi la cancellò. 2) Beriano c. 192, t. = Mestica, Son. CII, v. 14 « E tremo a meza state et ardo el verno ». Anche qui il M. fa notare che il Bembo scrisse in margine e poi cancellò « et ardo », notevole variante invece di « ardendo », eh’è del vat. 3195. Le altre tre varianti non è possibile raffrontarle col beriano, mancando di que’ luoghi. Parrebbe si dovesse conchiudere che il Bembo ebbe dinanzi a sè, oltre al codice sul quale esemplò il suo ms., anche un testo della medesima famiglia di quello da cui trascrisse il beriano. Ma, allora, come vanno spiegate tutte l’altre varianti che questo codice offre, e perchè non si trovano nell’autografo bembiano? Sono parecchie quelle che noi addurremo, per poter credere che al Mestica sieno potute sfuggire. (1) Mestica, Il Canzoniere del Petrarca in « Giorn. Stor. Lett. It. », XXI, p. 316. 460 GIORNALE LIGUSTICO Si potrebbe accettare la conclusione, solo pensando che il Bembo abbia fissato in margine soltanto quelle varianti che gli parvero di qualche rilievo. Questo sarebbe il mezzo di conciliare le discrepanze, sebbene io tenga che la cosa sia diversa-mente. Forse m’ingannerò, ma il Vellutello credo sia quegli che ci dia maggior luce su le varie redazioni del Cannoniere petrarchesco, che parmi si debbano ridurre a tre. La prima sarebbe quella veduta da lui e dal Bembo, in un testo antico, « in molte cose differente », della quale il beriano darebbe, oggi, il primo contributo. La seconda sarebbe quella, pur accennata dal Vellutello, che, punto medio tra il beriano e il vaticano, ha alcune e non tutte le varianti che s’incontrano nel ms. studiato da me. Da questa seconda redazione il Bembo avrebbe ricavato le varianti del genere di « madonna » e di « et ardo » che poi, venuto a possedere il codice originale, cancellò. L’ ultima redazione sarebbe rappresentata dal codice vaticano latino 3195. Non mi dissimulo che ad ammettere, per via di congettura, non ostante sia fondata sopra due buone ragioni, la seconda redazione dureranno un po’ di fatica i critici. I quali daran sempre poco peso alla testimonianza del Vellutello e crederanno che l’antigrafo da cui tolse il Bembo le varianti del tipo come « madonna » ecc., sia della medesima famiglia di quello da cui copiò il bedano. Ma, in tal caso, resta sempre 1’ enorme difficoltà accennata, ciò è perchè mai messer Pietro Bembo tant’altre varianti date dal beriano, non bizzarre nè di scarso valore, non segnò in margine del codice 3197. Che il beriano rappresenti la prima, o una delle prime redazioni delle poesie eh’esso offre, se n’accorgerà il lettore dalla lista delle varianti che noi offriremo. Abbiamo coliazionato il ms. col testo delle Rime del Petrarca dato dal Mestica, notando tutte le varianti, anche quelle che hanno riscontro con qualch’ altro codice, come, non di rado, col chigiano (L. V, 176). GIORNALE LIGUSTICO 46 I Beriano c. 192, t = Mest., Son. CII, 201. v. i Se amor — addunche | 2 E — dio | 3 Se buona | 5 ’l pianto e lamento I 6 el lamentar | 7dilectoso | 9 E s’io el consento | io fragil | utruovo sança | 13 ch’io medesmo | 14 a meza state et ardo el verno | Beriano c. 192, r. = Mest., Son. CIV, 203. i truovo — non ho | 2 sono in ghiaccio | 3 giacio | 4 el mondo abraccio | 6 Nè per suo non mi vuole nè scioglie el laccio | 7 amore | 8 trahe | 9 Vegho sanza occhi e non ho | 10 chieggio | 11 Et ho | 13 equalmente | 14 voL Beriano c. 197, r. = Mest. Son. XLVII, 91. i Sie benedetto el giorno | 2 ella stagione eli’ ora e ’l tempo e ’l punto | 4 Da’ tuoi begli | 7 ov’io | 9 E benedico le voci tante ch’io | 10 el nome di madonna | 11 benedico le lagrime e ’l disio | 13 ove la fama l’aquisto | 14 sì che altri, che le’ sola, non c’à parte. Beriano c. 203, t. = Mest., Son. LXXV, 141. i I’— l’aspectare or mai | 2 Et da la lunga guerra et da martiri | 3 Et agio | 6 onde | 7 empi martiri (1) | 9 Allora era io | 11 agrada | 13 convien | 14 solo. Beriano c. 204, t. = Mest., Canz. IX, 109. i Gientil madonna | 2 muover | 3 mostra laura [ dentro laddove sol con amor | 6 tralucie [ 7 m’inducie | 8 mi scorgie | 14 ringiovinisce] | 15 qual era il tempo | 16 lassuso | 17 motore etterno | 19 se Γ altre opre [ 20 prigione I 21 attal vita | 24 riserbato — attanto | 26 allora io giacqui | 27 noioso I 29 enpiendo | 30 cose onde ànno — le chiave | 32 amore | 33 diede a chi più fur I 56 dassue radici | 37 angicliche | 38 della — s’acciende | 39 che dolcie mente — struggie | 40 fuggie ) 41 ongn’ altro | 42 dello mio chore ! 43 dolciezza | 44pensier | 45 rimansi | 46 dolciezza | 50 soave mente | 51 amor trastulla | 52 dalle — dalla | 53 — alla fortuna aversa | 56 ella man — si traversa | 58 se riversa | 59 isfochare | 60 tiene | 63 dengno | 65 confacie | 66 gientile | 69 sollecito [ 70 potrebbe | 71 giudicio | 72 ciento | 74 dolci I 75 di cortesi | 76 innanzi | 78 vercho. (1) La ripetizione della stessa parola, nel verso 2 e 7, in fine del verso, non indica, come già è stato notato per un simle luogo de’ Trionfi, che la redazione del beriano è primitiva? 462 GIORNALE LIGUSTICO Beriano 206, r. = Mest., Canz., 113. 2 addir mi sforza quella accesa voglia | 3 assospirar | 4 amor che acciò m’invogla | 5 già — chammino | 6 et col disio — contemple | 7 in chuisa — si stemple | 9 per quel ch’io sento ove occhio altrui non giugna | 10 e ’mpugna | 11 nè per mio dire — e triemo | 12 siccome talor suole | 13 truovo — fuoco I 15 fussi I 17 trovar parlando all’ardente desire | 18 brieve | 20 ar-ragionar quel ch’io | 21 il tempo | 22 convien | 25 ella ragione | 26 contastar noi puote | 28 perchuote | 29 della dolce | 31 Dico si quella etate | 32 sì acciesi | 36 ciercando | 37 poi che dio e natura e amor | 39 gioioso | 41 non convien ch’io trapassi ettema (2) mente | 42 allor senpre | 43 come affontana d’ ongni | 44 e quando, amore disiando, corro | 46 come afforza | 48 che sempre il nostro à polo | 49 nella tempesta | 50 eh’ io sostencho | 51 sengno | 53 amor | 54 vien I 55 ch’io sono | 57 poi ch’io gli vidi | 58 sanza loro ) 59 Chosi i’ ò di me posti in sulla | 61 Io non porria | 62 immaginar I 63 Che nel mio core | 64 dilecti | 67 sanza | 69 Muore dalloro innamorato | 70 Chosi Ί vedessio fiso | 71 dolce mente | 72 Solo dappresso I 73 giammai | 74 Nè pensassi | 77 in nessun modo | 80 circunda alla I 84 Che farien lacrimar | 85 inpresse | 88 se nasconde | 89 rimancho qual era essommi accorto | 90 amor | 91 chanzona | 92 colley | 93 e pen-sier miey. Beriano c. 208, r. = Mest , Sestina IV, 125. 1 suo vita I 2 per gli scogli | 3 Secur[o] da morte non con | 7 non può — lontano | 8 cornisi | 11 elle chagion | 13 tempo | 17 sanza levare occhi alla I 17 chiamarmi tanto indritto dagli scogli | 18 dallungi | 21 tempestate | 22 dalla ghonfiata J 25 sichuro | 28 ch’io mi veggio in frele | 29 chi’ | 34 Ε1Γ anchore gittare | 35 ch’io | 36 allasciar | 37 Singnor delle mie | 38 illengno | 39 al buon. Beriano c. 208, t. = Mest., Canz. XII, 165. 2 d’altrettante | 3 biltade | 4 acierbo — alla suo | 5 in pensieri | 10 ch’io dapresso | 11 amore | 12 affaticosa inpresa | 13 s’io — desiato | mie — molti I 17 giovinile | 18 siccome or comprendo | 19 cierta pruova | 20 l’on-bra I 23 nuova | 26 io dico | 3o senpre | 31 tolse alla paura | 33 strinse | (2) Mute, per muta, = vicenda : non conviene eh’ io passi attraverso una vicenda eterna, un cangiamento perpetuo, questo e quell’ altro rivo — Così parmi si debba intendere, se « etterna » non si vuol credere un abbaglio di lettura del copista per « e terra». GIORNALE LIGUSTICO 463 34 dolciezza | 35 rimorso | 40 puosi ’l mio [ 41 onde amme | 43 tenpre | 45 temere — senpre | 60 vie più | 62 Or mira leva | 66 maggior frutto | 73 da mia non ti disparto | 83 a vedervi corsi | 93 miseri a due che vale? Beriano c. 211 = Mest., Canz. XIII, 176. 2 pungiente essaldo | 4 effugge | 5 c’auria | 6 — amore là dove dorme | 8 Farian | 9 champagne | 15 mi spogla | 17 alla | 18 in fogla | 19 suo — virtude | 22 all’ onbra | 23 sghonbra | 24 avien — o lamentar | 25 L’uno | 29 d’amore usai | 32 solia | 33 dentro altruy | 35 dipinge e di ley | 40 come ’l — eh’appena | 43 disir | 40 La dolcie — chi mora | 41 suo | 48 E di tutto altro | 50 sospirj | 55 sengnata | 58 appartir — nascosi | 64 può | 67 truovo I 69 effior | 7 5 sin perde | 77 beato il quale Beriano 212, t. = Mest., Canz. XIV, 179. * 2 hove — menbra | 3 Puose amme | 4 Gientil | 5 rimenbra | 7 Erba fior | 9Choll’angielico | Se gle | 16 questi occhi | i8fra vo | 19 ingiunta | 22 Acquei | 24 Non poria avere più riposato porto Nè più tranquilla fossa Fuggir la carne travalglata e l’ossa (1). 27 Tempo I 28 E all’ usato [ 29 fiera | 30 Ella vela mi scorse | 32 Volgla | 33 Ciercandomi | 37 dolce mente [ 40 fendea (sic) | 42 fiorj — grenbo | 45 nenbo | 46 in su lenbo | 47 treccie | 48 Che oro — et | 50 sull’ onde | 52 parcha (sic) — rengna | 59 M’aveano sì diviso] | 61 diciea | 63 cielo | 66 vogla I 68 la giente. Dottor Donato Gravino. (1) Secondo questa lezione, « riposato porto » viene ad essere oggetto di « poria avere w e « tranquilla fossa » assume funzione soggettiva. È parmi, da intendere così : Se io — dice il Petrarca — portassi al dubbioso passo della morte la speranza che qualche cortese coprirà, fra voi, il corpo meschino, la morte mi sarà men cruda ; perchè, lo spirito, stanco degli affanni mondani, non potrebbe avere porto più riposato di quello di tornare al proprio albergo, nè, d’altra parte, fossa piü trnaquilla aceogliere la carne travagliata e 1’ ossa. 464 GIORNALE LIGUSTICO LA QUISTIONE DI PORTOVENERE Come seguito alla lettera pubblicata a pag. 390 ilei u Ligustico » di quest’anno, riportiamo qui due importanti documenti sulla controversia insorta per l’aggregazione di Portovenere alla neo-diocesi di Chiavari. — La Giunta municipale, in data del 2 dicembre 1896, visto un rapporto dell’archivista civico con cui si riferisce che la fabbriceria ed i maggiorenti del paese di Portovenere presentarono ricorso a questa civica Amministrazione, affinchè voglia coadiuvare tutta quella popolazione nelle pratiche iniziate per ottenere di ritornare sotto la immediata giurisdizione ecclesiastica di Genova, come fu sempre poco appresso alla fondazione della colonia genovese del 1113 che diede principio a quella comunità, fino alla sua recente aggregazione alla diocesi di Chiavari; trattandosi di quistione intimamente connessa colla storia, l’ufficio credette opportuno conoscere ciò che intorno ad essa pensava la Società ligure di Storia Patria, ed il presidente di quell’istituto, accondiscendendo gentilmente alla preghiera portagli in proposito, con lettera 22 novembre p. p., formulò la risposta nei termini seguenti: « È innegabile che Portovenere sia stata sempre la più fedele e la più devota colonia di Genova, dal giorno in cui essa fu fondata dalla Compagna presieduta da Guido di Rustico e da Guido Spinola (anno 1113) sino alla caduta della Repubblica. Gli Annali di Caffaro e dei suoi continuatori, le carte, i documenti e i diplomi dei nostri archivi conservano memoria dei grandi servigi resi dai coloni di Portovenere alla Madre Patria nelle guerre dei Pisani, Veneziani, Angioini, Aragonesi. Anche oggi sulla porta del paese è scolpita nel marmo l’iscrizione: Colonia Januensis. L’aggregazione di Portovenere alla Diocesi di Genova data da antichissimo tempo e precisamente dall’anno nói (9 aprile) in cui il Pontefice Alessandro III, il fiero oppositore del Barbarossa, staccò la piccola colonia dalla dipendenza del vescovo di Luni, ed in compenso dei servigli resi a Genova, stabiliva con sua bolla che il Castrum Portus Veneris cum suburbio dovesse dipendere in perpetuo dell’arcivescovo di Genova. GIORNALE LIGUSTICO 465 Inoltre in una bolla posteriore, fissata dal nostro Presidente onorario comm. Cornelio De Simoni, all’anno in 5, lo stesso Pontefice Alessandro rimprovera il vescovo di Luni per aver tentato di sottrarre Portovenere alla giurisdizione ecclesiastica di Genova e lo minaccia di severi castighi Pertanto, se vi furono a varie riprese delle contestazioni e dei contrasti, prevalse però sempre la tenacia di proposito dei nostri maggiori e la inconcussa fedeltà dei coloni, i quali vollero in ogni tempo restare avvinti alla Madre Patria coi vincoli politici, etnografici e religiosi. Ma, se storicamente risultano giustificate le odierne aspirazioni degli abitanti di Portovenere, anche sotto l’aspetto geografico non perdono punto della loro ragionevolezza. Difatti, aggregata a Chiavari, Portovenere ne resterebbe sempre materialmente staccata, perchè tra essa e la sede del nuovo vescovato si frappongono altre terre, come Casarza, Sestri Levante, ecc. che appartengono alla Diocesi di Sarzana; e d’altra parte non si potrebbe addurre contro Genova il fatto che Portovenere ne è più distante che da Chiavari dal momento che dalla Diocesi di Genova dipende pure l’isola di Capraia ben più lontana che Portovenere, e di siffatte anomalìe si potrebbero citare molti altri esempi. Per tutte queste considerazioni, il Consiglio Direttivo non saprebbe raccomandare abbastanza la domanda presentata alla S. V* Ill.ma dai cittadini Portoveneresi che desiderano conservare, come glorioso ricordo di un nobile passato, come testimonio di non mai smentita fedeltà, 1 unico legame che ancor li avvinceva a Genova nostra : fa voti che cotesta onorevole Amministrazione civica conceda il suo appoggio morale ad una causa tanto giusta e voglia patrocinarla con quei mezzi che nella sua saggezza ravviserà opportuni, ora specialmente che per opera di un Comitato popolare si è interposto appello, presso la Congregazione Concistoriale, contro 1 ultima bolla ». Che pertanto, avuto riguardo a questo autorevole parere e fatto il debito apprezzamento dei nobilissimi desiderii della fabbriceria e dei maggiorenti di detto paese che sono la espressione dell’ unanime sentimento di tutta quella popolazione serbatasi da secoli affezionata alla Metropoli, si crederebbe doversi prendere in proposito una favorevole deliberazione. La Giunta, all’unanimità esprime il voto che dall’autorità cui compete, siano appagati i voti della popolazione di Portovenere ritornandolo sotto la giurisdizione ecclesiastica di Genova come lo fu ininterrottamente per molti secoli fino a pochi anni addietro, cioè quando fu aggregato alla Diocesi di Chiavari, dando incarico al Sindaco di comunicare copia del presente deliberato a Mons. Arcivescovo ed alla fabbriceria di Portovenere. Giokn. Ligustico. Anno XXI. 466 GIORNALE LIGUSTICO COMUNICAZIONI ED APPUNTI Per Luigi Tommaso Belgrano. —Con gentile pensiero gli impiegati della Civica Biblioteca Berio hanno voluto commemorare modestamente ma affettuosamente il primo anniversario della morte del compianto loro bibliotecario, comni. L. T. Belgrano, avvenuta appunto il 26 dicembre 1895. E fecero eseguire il ritratto del defunto su tela affidata al pennello dell’egregio pittore-fotografo signor Rossi, che ricavò l’effigie, riuscita egregiamente, da una vecchia fotografia rappresentante il Belgrano nella pienezza della sua virilità rigogliosa di cui godeva quando ancora non lo aveva colto il primo insulto del tremendo malore che più tardi doveva trarlo immaturamente alla tomba. Con tale omaggio gli impiegati hanno così ancora una volta di più attestato l’affetto e la riconoscenza verso il loro capo, e ciò torna a loro onore. * * * Commissione conservatrice dei monumenti. — Con decreto del 17 scorso novembre vennero nominati per un triennio a membri della Commissione Conservatrice dei monumenti per la nostra Provincia, i signori: Campora prof. Giovanni — Comm. avv. Vittorio Poggi — Cav. Gio. Battista Villa. — All’ufficio per l’esportazione d’oggetti d’arte e di antichità nella Liguria, presso la nostra accademia ligustica di Belle Arti, vennero preposti : March. Domenico Pallavicino, presidente dell’Accademia — G. B. Villa membro della Commissione Conservatrice dei monumenti — Prof. Giovanni Campora, rappresentante la Società di Storia Patria. * * Nel palalo Ricci in Vedano presso Spezia, si rinvenne una quantità ai carte vecchie per metà distrutte dall’ umido e corrose dai tarli e dai topi. Trasferitele al nostro Archivio comunale, e fattane una accurata disamina, ne risultò che i beni dei quali il defunto senatore Giovanni Ricci lasciò crede universale il Municipio di Genova erano di pertinenza della famiglia Promontorio, ad essa ceduti dai Centurioni fin dal secolo XVI e passati quindi come patrimonio dotale nelle famiglie Boasi, Serra, Casoni, e di questo secolo nei Ricci. GIORNALE LIGUSTICO 467 I Promontorio erano’ nobili e fra essi si annoverano chiari diplomatici, quali un Tolomeo e un Nicolò vissuti nel secolo XVII. Di quest’ultimo, appunto, si raccolsero cento minute di lettere interessanti la storia. Colle stesse, nella sua qualità di ministro per la repubblica, scriveva al Governo di Genova, a cominciare dal 30 novembre 1646 fino al 7 gennaio 1650, ragguagliandolo di tutte le trattative, intrighi e convenzioni dei plenipotenziari che negoziarono la celebre pace di Westfalia. Si rinvennero oltre 150 lettere firmate di proprio pugno dai più incliti personaggi e regnanti d’Italia, Francia e Germania, indirizzate a un Nicolò Promontorio residente a Roma. Tutti questi documenti rilegati in due volumi vennero per ordine della Giunta municipale depositati nell’ archivio civico. * * * Documento Chiabreresco. — Sotto la data del 13 Dicembre 1560, esiste al nostro Archivio di Stato un documento relativo al Chiabrera e che crediamo fin qui sconosciuto agli studiosi del poeta Savonese. Il documento è una composicio fra gli amministratori dell’ ospedale di Pammatone, e gli eredi di un Bartolomeo de Zabreriis, fra’ quali figura Gabriele q. Gabriele. Sta fra gli atti del Notaio Gio. Giac. Cibo Peirano, F. 22, N. 395. * * * Una lettera greca di Federico II (1250) relativa a Genova e Savona. — Nella 2.“ delle quattro lettere greche di Federico II imperatore, edite dal Wolff nel 1855 , si legge che dodici galee imperiali, sotto gli ordini, come sembra, di un Πέτρος της Λέοντος (così ha il ms., e non Λείριος come stampò il Wolff), si impadronirono di sedici galee genovesi nelle acque di Savona, il i.° di Settembre 1250. Le lettere edite in greco dal Wolff e più recentemente dal Festa, vennero pubblicate in latino dall’ Huillard-Bréholles nella Historia diplomatica Federici II: il passo, di cui sopra, suona in greco così : κατά δε τήν πρώτην του παρόντος Σεπτεμβρίου δώδεκα ήμέτερα κάτεργα ά πρός την Σάονα άπεστείλαμεν είς φύκαξιν αυτής, έν οΐς Πέτρος τής Λέοντος τής Γαέτας δ ήμέτερος πιστός, δεκαέξ πλοία Γενουβισίων των άπιστων ήμών έπίασαν, καί τούς έν αυτοίς ή ήμέτερα κατέχει φυλακή. E tradotto in latino : « Circa autem primam praesentis Septembris diem, duodecim galeae nostrae, » quas ad Saonam, propter huius loci custodiam, miseramus, in quibus erat » Petrus Extallerius (?) Gaietae, fidelis noster, sexdecim Ianuensium infidelium no-» strorum navigia ceperunt, et omnes qui in eis aderant carcer noster includit. » 468 GIORNALE LIGUSTICO Al Wolff non riuscì di trovare altrove menzione alcuna di questo fatto, e ultimamente il dr. Festa a Firenze (i) avendo intrapresa la stessa ricerca non ebbe miglior risultato. Ad un esito negativo approdarono del pari le indagini del prof. Belgrano in Genova, il cui responso fu che gli annalisti e i documenti genovesi non toccano punto del fatto di cui nella lettera di Federico II. Rimarrebbero a compulsarsi i documenti savonesi, dove è induzione assai probabile che potrebbero trovarsi traccie del fatto stesso, meglio che dove furono finora cercate. Ufficiato in proposito il comm. Vittorio Poggi, dovette, lì per li, limitarsi a rispondere che, per quanto si rileva dal Verzellino (I, pag. 209) appunto nel 1250, una flotta imperiale di 25 galee stanziava nel porto di Savona, il che vien, d’ altra parte, ribadito da quanto riferisce il de’ Monti (pag. 71), aver, cioè, Savona in detto anno ricettato « nel suo porto le imperiali » armate, per tenere i Genovesi in gelosia e alla guardia del proprio Stato, » acciò non passassero ad infestare il regno della Sicilia ». non consta tuttavia che in documenti savonesi, fin qui noti, trovisi contezza della cattura delle 16 galee genovesi, di cui è cenno in un testo, peraltro attendibilissimo, quale è la lettera imperiale. La questione sta ancora in questi termini, e sarebbe desiderabile che qualche studioso intraprendesse negli archivi savonesi delle ricerche che gettassero un po’ più di luce su questo punto assai buio della storia ligure. (lì Cfr. Festa (Nicolò) Le let'eic grechi di Federico II, (in Archivio Storico Italiano (Serie \. Tomo XIII, p. 7) : « Un fatto non conosciuto altrimenti ebe dalla lettera di Federigo è li cattura di sedici galee genovesi fatta dagli Imperiali presso Savona. Il nome di quel Pietro di Gaeta che si trovava (come ammiraglio?) nella flotta di Federigo ha subito delle strane vicende. Al Wolff parve di leggere nel codice HèzpGÇ χί)ς Λβίρίος; quindi tradusse « Peter vom Garigliano » (sic), pur meravigliandosi di trovare questo fiume divenuto di genere femminile, c pensando ad un villaggio omonimo poco conosciuto. Su queste indicazioni il Huillard-Brèbolles congetturò elle nel codice fosse un nome proprio Tesclcrius « vel potius officii titulum « extaì-Icrius a a quest’ ultima congettura si attenne nella traduzione e fu seguito anche in ciò dal Semmola; e sebbene a me non sia riuscito trovare altre indicazioni su questo personaggio pure non dnbito che. restituendone il vero nome, avrò facilitato le ricerche intorno ad un avvenimento poco meno che sconosciuto ». Merita considerazione l’ipotesi del chiarissimo paleografo e nostro amatissimo maestro, G. Vitelli, secondo il quale potrebbe essere una falsa scrittura invece di Τ(.ς. Se ciò fosse, sarebbe anche più naturale Γ identificazione con un « Petrus Leonis ». GIORNALE LIGUSTICO 469 BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO -—O+6V-·--- Alessandro Sacheri — Ça Ira Italico - XXIV Ottobre MDCCCXCVI — Genova, Stabilimento Fratelli Pagano. Son dodici sonetti di buona iattura e senza la pretensione di fare il « pendant » al piccolo poema carducciano. Vi si risente però troppo lo studio dell’ autore delle Odi Barbare, specialmente nel primo sonetto che aduna un po’ dell1 antica storia della monarchia di Savoia in rime sonanti. Mazzini, le cinque giornate, le battaglie dell1 indipendenza, Carlo Alberto, la venuta dei Francesi, Vittorio Emanuele, Giuseppe Garibaldi, Rosolino Pilo ecc., passano rischiarati nei forti versi di questi sonetti che finiscono in un inno alla principessa Elena, quale augurio nelle reali nozze. Secondo me due sono condotti con più arte e sciolto verso: il nono e 1 undecimo, sebbene il primo (malgrado faccia ripensare al Ça Ira carducciano) ed il settimo nella prima quartina e Γ ultimo nelle terzine abbiano dei buoni squarci di poesia. Conchiudendo, non si può che leggere con piacere il bel lavoro nella sua severa ed elegante edizione e congratularsi con 1’ autore, non più novo come poeta, ma, come poeta civile, inaspettato ed encomiabile. A. V. De Mauri — L’Amatore di oggetti d’Arte e di curiosità. Un Voi. di pagine 600, adorno di ricche incisioni e marche. U. Hoepli, editore. Milano 'L. 6.50). Due sono i motivi che hanno indotto l’autore a metter mano a questo lavoro. L'uno di persuadere non a parole, ma con aiuto materiale, il maggior numero di persone ad essere amatori, onde salvino dall’oblio, dalle ingiurie del tempo, e più da quelle di mani inesperte, delle opere degne di essere raccolte e studiate tentando cosi di aprire uno spiraglio di luce, di poesia in mezzo alle tenebre della prosa della vita ; inquantoche le raccolto di arte furono e saranno in ogni tempo scuola di morale e di civiltà, monumenti di gloria alle nazioni. L’ altro motivo si è di porgere a chi è già raccoglitore ed a chi, non essendolo ancora vuol diventarlo, un’ operetta che, senza pretese di sorta, possa tornar utile a consultarsi come fedele amico in molte circostanze della vita, offrendo al lettore modo di non sprecar malamente il denaro e di evitarsi amare disillusioni. Gli intelligenti poi, e coloro che posseggono opere grandiose su ogni ramo d’ arte, avranno in questo libro un prontuario alla mano, che lì per 470 GIORNALE LIGUSTICO li fornirà loro un nome, un richiamo, una data, un consiglio, un prezzo corrente od una norma per approssimativamente dedurli, senza grave perdita di tempo in lunghe ricerche Quelli infine che, senza essere profondi cultori dell’ arte, nè raccoglitori per proprio conto, amano tuttavia visitare i musei e le gallerie* potranno da quest’ operetta imparare ad apprezzar meglio il valore morale e materiale, nonché il modo di essere di ogni singolo oggetto che lor cade sotto gli occhi, ed a stimare come si conviene 1 opera intelligente e lo studio di coloro che raccolsero ed ordinarono quei capolavori, i quali ora ci narrano la storia dell’ arte attraverso i secoli. L’elegante volume è diviso nelle seguenti parti : Pittura - Incisione - Scoltura in avorio - Piccola Scoltura - Mobili -Vetri Smalti - Ventagli - Tabacchiere - Orologi - Vasellame di stagno - Armi ed armature - Dizionario complementare di altri oggetti d’ arte e di curiosità. SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA Nella seduta del Consiglio del 16 dicembre 1896 furono eletti a nuovi soci i signori : Cav. Gioachino De Araujo, Console di Portogallo — Berlin-geri prof. Francesco — Tallone avv. Silvio — Oliva Giacinto Carlo fu Mario — Pier Alfonso cap. Conti. * * * Dono regale. — Alla Società è pervenuto dal ministro della Reai Casa un esemplare della splendida pubblicazione, fatta dall’Ongania di Venezia, che contiene documenti illustranti le Relazioni tra Venezia e il Montenegro. Questo volume, stampato con lusso di carta e di fac-simili, fu pubblicato in occasione delle nozze Savoia-Petrovich. I documenti vanno dal 1687 al 1735: a questi sono unite delle nitide tavole che rappresentano: I) Il Montenegro nel 1669 e nel 1688. II) La Campagna di Grahovo nel 1687, le fortificazioni di Cattaro e la strada del Montenegro nel 1688. Ili) 1687 dicembre 10. Il vescovo di Cettinje al Provveditore generale. IV) 1687 dicembre 16. Perasto, Voivoda Vucassiu e i Conti di Niksic al Provveditore generale in Dalmazia. V) 1688 maggio. Soliman Pascià al vescovo di Cettinje. VI) 1688 maggio 19. Il vescovo di Cettinje al Provveditore generale. VII) 1692 giugno 9. Il vescovo di GIORNALE LIGUSTICO 47I Cettinje al Provveditore generale. 1692 aprile. Soliman Pascià ai Conti e Preti del Montenegro. Vili a) Sigilli di persone le quali presero parte agli avvenimenti dal 1687 al 1735. IX) Il monastero di Cettinje nel 1692. IX a) Danilo Petrovitch 1797. Da una stampa esistente nella Biblioteca di Corte in Cettinje. X) 1694. Presa di Klobuch-Ciclutti. XI) 1705, agosto. Odda Pascià Mahomed Begovich di Albania a G. B. Bolizza. Di questa superba pubblicazione furono tirati soli 500 esemplari. * * * Il XXVIII volume degli Alti è pronto per la distribuzione che si farà in una prossima assemblea generale dei Soci. Il primo fascicolo, oltre l’albo dei soci onorarii, corrispondenti ed effettivi, contiene una prefazione del Segretario generale, il discorso inaugurale del Presidente, la commemorazione di L. T. Belgrano, e la raccolta delle lettere del comm. Cornelio Desimoni sulle Marche dell’ alta Italia, ripubblicate con note ed appendici. Contemporaneamente i soci riceveranno anche il fasc.° II del vol. XX , con cui il p. A. Vigna chiude le sue ricerche sulla Chiesa di S. M. di Castello. * * * Il Catalogo della Biblioteca sociale è pressoché compiuto. Si sono adottati gli schedarii meccanici, a schede mobili, sistema Staderini. Il bibliote-tecario ha però procurato che venissero fabbricati secondo un modello riformato, mediante il quale è tolto di mezzo l’inconveniente che si lamenta negli schedarii analoghi in uso presso la Biblioteca Centrale Vittorio Emanuele di Roma, i quali restano rigidi pacchi di schede, mentre gli schedarii della nostra Società si aprono e si chiudono come un libro comune. L’indice delle opere possedute dalla Biblioteca sociale sarà stampato in ordine alfabetico e vi sarà aggiunto un Real-Katalog, ossia Indice a ■soggetti. * * * Il Comm. Cornelio Desimoni ha depositato alla Biblioteca sociale un primo fondo della sua ricca libreria poliglotta, con la condizione che tanto i volumi quanto i fascicoli che la compongono siano esclusi dal prestito: e che, in caso di scioglimento della Società, debbano essere ceduti alla Biblioteca Civica Berio. Il Consiglio, accettando con gratitudine il deposito, ha deliberato di allogare i libri in scaffali indipendenti dal resto della Biblioteca, di intitolare dal nome del donatore la sala che li accoglie, di contrassegnare con bollo GIORNALE LIGUSTICO ïpeaale i libri componenti il FcriJo Dtsimonz e di raccogliere i fascicoli sciolti in apposite cartelle recanti la medesima scritta. Riforma dtBo Steiuto. — Già avvertimmo che il Consiglio ha nominato r.no aai Loglio scorso una Commissione incaricata di far tutte le pratiche opportune per il riconoscimento della Società come Ente morale. Per facilitarne il compito, il Consiglio Direttivo ha pur nominato ana Commissione per la riforma dello Statuto e i membri di pc<- sigg. aw. G. Balbi, mar^jì. Paolo Spinola e avv. p. G. Breschi hanno con lodevole sollecitudine stadiato e presentato ua progetto che. discasso prima in Consiglio., verrà presentato all’Assembles generale da tenersi neL'a prima settimana del p. v. febbraio. H o-uz..? ai Cigsro. — È noto che il codice aotentico degli ArpzaHi di Cij-sr^ si trova alla. Nazionale di Parigi, come rare si sa che an altro- ms. di re^en^e venne ritrovato presso . archìvio del Ministero desìi dìkri esteri — - rancia- De. primo nprodcsse il testa nella saa edizione die lasciò in-Gompiata) a compianto L. T. Belgrano. 3 anale si valse per altro anche del seoonao. allo scopo preopcso di notarne le varianti nel orima volarne die potè vedere la lace. Essendo osmai qnssi pronta la stampa dei 2.1 votame. amaata al Mardi. Cesare Imperiale, qaesti ha cttpn^n dalF · btei storico italiano » di Roani die S Ministero tacesse venire il primo ca Parigi re. depositario - » -seriamente alTArchìvio di Stato in Genova: co&.^^ne . eoidene del nostro pnm-a annalista pctrà dirsi veramente fetta co. codice soit" occhio·. Qaesa» è già al Mistero degli Esteri Eh Rosaa, else lo passerà poi a 'i"·— diP. !.. il caate. a sca volta, lo trasmetterà a Genova, coìle Eisme cintele, trattandosi ai nn cimelio assiemato per ana indente somma. ~ denteasse maggiori notine di ansste preiiow manoscritto. p®j trcovarle a pag. Em e segg. dd i - volume degli AmmcK * Οφη, t &à smm easàsaz&rz Genova, tip·. Sordo-mari. i&ao . GIORNALE LIGUSTICO 473 Π i.' del Gennaio 1897, per insolco cardiaco cessava di vivere nella nostra diti, Sebastiano Fabbri, nome ben noto e caro presso la popolazione di San Fluttuoso. Sebastiano Fabbri, oltre ad essere Π decano dei fabbricanti di corami, era anche il cittadino pieno di cuore a etri nessuno aveva mai ricorso invano per aiuto e consiglio. Dopo essere stato uno dei fondatori dell’ Asilo di quella frazione, ne fu per molto tempo anche presidente caritatevole e sollerte. FVonto sempre a contribuire coll' opera propria al buon indirizzo amministrativo del Comune e dei sodalizi di San Fruttuoso. ie cuali fri chiamato a far parte, ritentò tuttavia la candidatura a consigliere nel mumdpio di Genova, sebbene gli amidi, che ne conoscevano la rettitudine delle idee, l'avessero pim velie sollecitato ad accettarla. Si mantenne modesto nelle aspirazioni come era stato esemplare nella, vita. Xato nel rSié. Sebastiano Fabbri, dando prova di una vita assiduamente operosa e di una adamantina onesti di sentimenti, era riuscito, colla forza di una volontà pertinace e di un ingegno illuminato, a crearsi cuella agiatezza che, nelle nostre condizioni sociali, é la méta sospirata ci manti. lavorando, guarcana· alT avvenire. Fino dal 27 Aprile 187;, aveva dato il sebo nome di Sodo effettivo