GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA DIRETTO DA ACHILLE NERI E UBALDO MAZZINI 1£ PUBBLICATO SOTTO GLI AUSPICI DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA VOLUME IX LA SPEZIA SOCIETÀ d’ incoraggiamento editrice M CM VI li GENOVA - ΤΙΓ. DELLA GIOVENTÙ J h COME VIAGGIAVANO GLI AMBASCIATORI GENOVESI NEL SECOLO XIV § i. I «Libri di co itti » corne fonte di storia: le «Am-baxiatorum expensae » dell'Archivio di Stato di Genova. Se da tempo le ricerche del Vernazza e del Cibrario, e le publieazioni del Saraceno , del Vaccarone, del Camus e sopratutto — mi sia lecita la dichiarazione — di chi scrive queste pagine, hanno rivelato agli studiosi la preziosa miniera di notizie che per la storia publica e privata dei secoli XIII-XVI si nascondeva nelle serie di « Conti » del-ΓArchivio Camerale di Torino , nulla di simile — che io sappia — è stato ancora tentato per le serie analoghe dell’insigne Archivio di Stato di Genova. E un terreno vergine che riserva al ricercatore accurato e paziente le più inaspettate e gradite sorprese: come un campo aurifero i-nesplorato, ha fin qui serbato da secoli il segreto dei suoi tesori ed attende l’ardito pioniere che in mezzo alle apparenti difficoltà, sotto l’aridezza superficiale, inizi un lavoro che sarà mirabilmente fecondo. Ammaestrato ed incoraggiato dal successo ottenuto nelle ricerche eseguite nei « Conti » dell’Archivio Camerale di Torino , ho voluto — forse primo — assaggiare anche il terreno intatto dei « Conti » dell’Archivio di Stato di Genova, ed ho rivolto anzitutto Γ attenzione alla serie intitolata « Ambaxiatorum expensae: 1367-1403 ». Fin da principio, io non mi riprometteva grandi rivelazioni nuove di storia politica: il segreto dei negoziati diplomatici non si cela, se non eventualmente , in libri di spese, e se dai « Conti » generali si apprendono assai spesso interessanti notizie di missioni sconosciute , ed il loro oggetto , ciò è sempre in forma sommaria : sono dati preziosi solo quando mancano altre fonti, quali istruzioni, lettere, deliberazioni dell’autorità che invia le ambasciate, e simili. Ed infatti, per la storia delle relazioni diplomatiche di Genova cogli altri Stati italiani e stranieri le Ambaxiatorum expensae danno poco più che il nome degli ambasciatori, il tempo impiegato nel viaggio e le tappe del medesimo: qualche altra notizia, se a volte pregevolissima, è però soltanto casuale. Ma il diario delle spese delle ambasciate genovesi della seconda metà del Trecento è prezioso per un altro rispetto. Non tutta la storia di una città, di un popolo, è nelle sue istituzioni publiche, nelle sue relazioni diplomatiche, nelle sue guerre di terra o di mare : tutto ciò, anzi, non ne costituisce che una piccola parte , la meno viva e la più caduca. La vita collettiva ed individuale presenta allo studioso della storia un’ infinità di altri aspetti, ugualmente e talvolta anche più interessanti, come lo sviluppo economico, agricolo, industriale, commerciale; i costumi ; la vita intima dei vari ceti sociali; tutte — insomma — le manifestazioni dell’essere umano nei rapporti coi suoi simili. Da questo punto di vista le Ambaxiatorum expensae dell’Ar-chivio di Stato di Genova sono una nuova fonte , ricca e notevole; a me pare che non debba essere privo di curiosità e d’interesse un capitolo di storia che dica « come viaggiavano gli ambasciatori genovesi nel secolo XIV » o, più precisamente, nella seconda metà di esso. Ho scelto come materiale precipuo di studio i due documenti più antichi della serie, cioè il conto delle spese di un’ambasciata a Milano nel 1367 e quello di un’altra a Pisa eci a Lucca, all’imperatore Carlo IV, per terra e per mare nel 1368. I due testi, da me fedelmente trascritti, sono riprodotti in fine di questo lavoro (Doc. I e Doc. II), conservata scrupolosamente la grafìa, ma — per maggior comodo del lettore — colle abbreviazioni sciolte e la punteggiatura , la u, la v e le maiuscole adoperate all’ uso moderno. Tutte le indicazioni di fatto che darò nel corso di questo scritto, quando non sia altrimenti avvertito, provengono dai due testi predetti , non senza però eh’ io mi sia assicurato che i fascicoli successivi di altre Anibaxia-torum expensae non contraddicono sostanzialmente alle risultanze dell’esame minuzioso dei due primi. § 2. Le ambasciate solenni del 1367 e del 1368.. Il Giustiniani (1), traducendo a un dipresso, secondo la sua abitudine, gli Annales genuenses di Giorgio Stella (2), scrive sotto Tanno 1367: « Ed in questo anno si fermò la pace tra i Visconti signori di Milano e lo Stato di Genova ». E continuando senz’altro, soggiunge: « L’anno 1368 il Duce Gabriello Adorno mandò ambasciatori a Carlo quarto re di Boemia e imperatore dei Romani, il quale era in Toscana, ed impetrò esser fatto vicario imperiale di Genova al modo che già aveva ottenuto il Duce Simone Bocca-negra ». Nello Stella è soltanto un’indicazione di più, che il Giustiniani ha trascurato, cioè la data del giorno in cui fu fermata la pace fra Genova ed i Visconti, il quale fu, a suo dire, il 3 luglio [1367]. Questa data è veramente esatta. Essa è la medesima che ci è fornita da un documento publicato nel Corps diplomatique del Du Mont, e l’ambasciata di cui ci resta il « Conto », e che durò dal 12 al 26 luglio 1367, andò infatti a portare ed a ricevere le ratifiche, come risulta da accenni del « Conto » medesimo. Tanto dell’ambasciata a Milano dal 12 al 26 luglio 1367, quanto dell’ altra a Pisa e Lucca dal 20 settembre al 26 (o, meglio, al 15) ottobre 1368 non sarebbe difficile ricercare e rinvenire maggiori notizie in varie serie dell’Archivio (1) Annali di Genova, II, 105, Genova, 1S35. (2) In Muratori, R. I. 5., XVII, 1100, di Stato di Genova; ma sarebbero indicazioni le quali, anziché giovare allo scopo presente, svierebbero da esso. Mi limiterò quindi a ricordare che la pace del 3 luglio 1367 mise fine ad una guerra combattuta con varia vicenda dal 13 marzo 1366 (1), e che non deve meravigliare la facilità con cui fu chiesto ed ottenuto da Gabriele Adorno il vicariato imperiale di Genova per poco si ricordi la larghezza di Carlo IV in materia di concessioni di tal sorta, purché accompagnate da offerta e da sborso di qualche buona somma di denaro (2). Sarà bene , invece , avvertire subito che gli ambasciatori a Milano in luglio 1367 furono frate Giannotto Adorno, Celesterio Di Negro e Federico di Pagana ; quelli a Pisa ed a Lucca in settembre-ottobre 1368, 10 stesso Di Negro, Pietro di Castiglione, Adamo Spinola e Raffa (cioè Raffaele) Griffioto. Dei primi fece le spese e ne tenne registro Antonio Di Credenza, notaio e cancelliere ; degli altri, Raffaele di Casanova, pure notaio e scriba, 11 quale ultimo, però, rimandato il 28 settembre da Pisa a Genova, non tornò a raggiungere Γ ambasciata se non il 13 ottobre a Spezia, quand’essa era già ravviata in patria. Sembra inoltre che a Milano, in luglio 1367, si recasse pure il doge Gabriele Adorno ; ma non è detto che viaggiasse cogli ambasciatori, e della spesa da lui fatta colà il Di Credenza segna soltanto la cifra complessiva in 70 lire e 14 soldi di moneta genovese di allora. §. 3. La messa i?i viaggio di un*aml·ascieria. Chi legga i due testi qui publicati ed altri consimili della citata categoria deirArchivio di Stato di Genova , rimane colpito da un primo fatto che richiama subito su di sè l’attenzione. Gli ambasciatori genovesi — e probabilmente altrettanto accadeva altrove — erano spesati in tutto e per tutto, persino nei più minuti bisogni personali. Celesterio Di Negro e frate Giannotto Adorno fanno portare in conto dal segretario dell’ambasciata persino la nota del barbiere; e per (1) G. Stella, loco cit., 1096. (2) Werunski, Geschichte Kaiser Karls IV und seìner zeil> Innsbruck, 1880-1892. gli ambasciatori a Pisa e Lucca troviamo comprati a Levanto clue vasi di vetro per uso intimo (potaficulci vitrea). Dato questo sistema, si capisce come, prima che un’am-bascieria genovese si movesse, erano necessarie molte spese preliminari. Il segretario, ricevuta la commissione, ritirava dai massari del Comune, o da chi per essi, una somma di denaro proporzionale alla lunghezza ed alla presunta durata del viaggio, e tosto faceva acquisto di un libretto (manualis) in cui segnare le partite di entrata e di uscita. Il « manuale » comprato da Antonio di Credenza costò quattro soldi; quello di Raffaele di Casanova, un po’ più piccolo, un soldo di meno. Naturalmente, le spese (avariae et expensae) occupano la maggior parte di ciascuno di questi libretti: le entrate — e così di regola — sono segnate in principio. Il Di Credenza , in fine , da anche un riassunto delle une e delle altre, che però non torna esattamente al pareggio delle due somme , ma presenta una piccola differenza anche dopo tenuto conto del denaro so-pravvanzato e da lui rimesso ai massari. Nulla di simile si riscontra nel « manuale » del Casanova ; il che vuol dire che sifatto riassunto probabilmente non era obbligatorio. Stabilita un’ambasciata, nominati gli ambasciatori ed il segretario, e versato a questo Γ anticipo conveniente , la prima spesa da fare, insieme con la compera del « manuale » o sùbito dopo di essa, consisteva in quella che potremmo chiamare la « messa in viaggio » del personale serviente. Ognuno degli ambasciatori conduceva con sè uno o più « donzelli » (domicelli) e « ragazzi » (ragadi): nell’ambasciata del 1368 gli uni e gli altri appaiono salariati all’atto della partenza, forse perchè alla « messa in viaggio » provvedesse ciascuno da sè; nell’ambasciata del 1367 > invece, la spesa di questa è fatta direttamente dal segretario Di Credenza. Il buon notaio e cancelliere ci ha lasciato notizia di aver comprato per dieci « ragazzi » del Doge assegnati al servizio deH’ambascieria altrettanti paia di calze (caligae) (1) da due « calzolai » di Genova, cioè Nicolò da (1) Sulle « caligae » cfr. Merkel, Come vestiv. gli nom. del Decani 28 segg., Roma, 1898 (Estr. dai Rendie. R. Acc. Lincei)* Pontedecimo e Pasqualino da Bardi, ed altrettanti « di-ploydi » o « giubboni » (diploydae seti iuponì) (0 da un « giubbiere » (iupcrius) dal nome caratteristico Buonmer-cato da Ferrara. Le « diploidi », però, mancavano naturalmente della sbarra nera degli Adorni, che vi fu aggiunta per l’occasione mediante acquisto di altro apposito panno. Così le calze non erano provvedute di scarpe o, meglio, calzari (subtellarcs) (2), che vennero comprati da un altro calzolaio, certo Rosso, in piazza del Palazzo. Ai donzelli, che rappresentavano un grado superiore nella gerarchia dei domestici, il Di Credenza non si limitò a procurare a-biti fatti , ma così per le vesti come per le calze furono acquistate le stoffe e poi confezionati gli abiti; ed è interessante per il costume l'indicazione che furono comperate per quelli 10 « canne » e 4 « palmi » di « vergato » a 3 lire e 6 soldi la « canna », 8 « canne » e 6 * palmi » di « biavato chiaro di verde » e, per le calze, 6 « canne » e 2 « palmi » di « cadile nero di Perpignano » (3). Di qui si scorge, meglio che da altre fonti, che la calzatura del piede fosse di stoffa e consistesse in una specie di « ghetta » con suola. Però si portavano anche vere scarpe di cuoio (botte), giacche il buon Ruffa di Casanova se ne procurò nel 1368 un paio di cuoio nero dal maestro Bonino, al prezzo di una lira e quattro soldi. I « ragazzi » potevano essere presi dalla « famiglia » dogale; ma i « donzelli » erano condotti dai singoli ambasciatori, di cui dovevano godere la fiducia personale : circostanza, questa, che c’introduce anche nella vita ordinaria (1) Il Merkel, Of>. ci/., 16 segg., ha nolato Γ identità, od almeno lo stretto rapporto fra il « giubbone » ed il farsetto; ma del « diplnyde * non parla. 11 Ducange, Gloss., ad verbum, spiega: « surtout doublé ►. Per la sua diffusione, mi sia lecito rinviare a quanto ne ho scritto altrove (Inventarii messinesi inediti del Quattrocento. n. 147, in Ardi. star. Sic. orient , Catania, 1906-1907). (2) Merkel, Op. cit., 24 segg. (3) Il Roussilion ed il Languedoc fornivano varie sorta di panni al commercio ed al costume internazionale nel Medio Evo. Così sul 4 cadile > di Perpignano, come sui « barracani > di Beziers, cfr. Pigeonneau, Histoire dn commerce en France, I, Parigi, 1SS5. » - ΤΙ - delle case e solleva ai nostri occhi un lembo del velo che copre i rapporti intimi dei servitori e padroni nel Medio Evo, almeno in Genova nella seconda metà del Trecento. La novella fra noi, come il fableau e l’epopea in Francia, servono qui ed altrove di sottopiano e di sfondo al quadro t cui talvolta danno maggior freschezza; ma non è senza importanza vederne rafforzati i dati, sia pure indirettamente, da documenti ufficiali. Altro personale che gli ambasciatori conducevano con sè era talvolta il cuoco, e talvolta il maniscalco : il primo caso si verifica in entrambe le ambasciate; il secondo solo in quella del 1368. Il cuoco del 1367 è un Giacomo di Brabante, che ricevette allora anch’ egli un salario anticipato, come il maniscalco, il cuoco, i donzelli ed i ragazzi del 1368: forse non è senza interesse notare la qualità di straniero e la patria di costui. L’altro cuoco — del 1368 — era di Asti; ma, per compenso, il maniscalco conduceva con sè un ragazzo piccardo di nome Giovanni. A questo proposito vuol anzi estendersi Γ osservazione che i « ragazzi » ed i « donzelli » che accompagnano gli ambascia-tori genovesi sono quasi tutti forestieri; nè solo di ogni parte d’Italia — di Tortona e di Asti , di Firenze e di Lodi, di Gubbio e di Napoli, — ma di Francia e di Germania; Federico di Pagana, nel 1367, condusse con sè a dirittura un Giovanni Magrabì, già schiavo, certamente di Barberia; il che conferma anche per il secolo XIV ciò che risulta cosi spiccatamente da altre fonti per il Nili : la mescolanza cosmopolita, specialmente delle classi inferiori, della popolazione di Genova (1). Nei viaggi per terra come in quello del 1367, ed in parte in quello del 1368, occorrevano pure somieri per portare i bagagli. All’ inizio del primo vediamo infatti comprato un cavallo per la salmeria, come un altro fu poi comprato a Milano ad uso di uno degli ambasciatori che »__ (1) Ciò ben si vede nei vari volumi del Ferretto tratti dai minutari notarili dell’Arch. di St. di Genova e publicati negli Atti Soc. Lig. st. patria e nella Bibl. Sor.. Stor, Sub. dovevano seguire Bernabò Visconti : la circostanza veramente caratteristica è la rivendita delle due bestie al ritorno dell ambasciata a Genova. E del ferramento così delle cavalcature come dei somieri è spesso menzione nei nostri documenti; anzi in entrambe le ambasciate vediamo essersi provveduto prima della partenza a che og*ni cavallo fosse in buon assetto, così di ferri, come di selle, briglie e basti, e bisognò a tal fine far qualche spesa per quasi tutti. Con saggia precauzione, nell’ ambascieria del 1367 — che doveva passare l’Apennino attraverso a paesi dove non era sempre sicuro di trovare il necessario alla vita, — si fece pure una provvista di candele, di torcie e di altra cera, e si pensò persino a portare il vitto più fine per la prima giornata di viaggio in dodici galline comprate e cotte in Genova prima della partenza, che poi, per esser stata questa differita di un giorno, vennero consumate in Genova stessa, « non potendosi conservare », dice ingenuamente l’onesto Di Credenza. Nel 136S non troviamo nulla di simile; il che si spiega colla regione costiera che si doveva percorrere, in cui erano molti grossi centri di abitazione , ed il mare, in ogni caso, forniva pesce in abbondanza. § 4. Percorso giornaliero; tappe. Apparecchiata appuntino ogni cosa, gli ambasciatori si avviavano con tutto il loro seguito di donzelli, ragazzi, palafrenieri , cuoco e marescalco: a cavallo, coi somieri condotti a mano dietro. Le tappe non erano molto lunghe: nondimeno si camminava discretamente. L ambascieria del 1367 toccò i cinque giorni nel viaggio di andata da Genova a Milano, e in soli tre giorni tornò da Pavia a Genova. Partita infatti il 13 luglio e non certo di buon mattino, perchè allo stesso giorno 13 appartiene tutta la « messa in viaggio », che qualche ora deve pure aver preso —, gli ambasciatori colla loro gente merendarono a Pontedecimo e dormirono a Fiacconc; il 14 erano a λ oltaggio; il 15 a Novi ed a Tortona; il 16 a Pontecurone ed a Voghera, giungendo ancora a pernottare a Pa\ ia; e la domane li troviamo già, dopo breve dimora in Binasco, a Milano. Allo stesso modo , ripartiti il 24 da Pavia, andarono — per Sannazzaro e Bassignana — — 13 — a passare la notte in Alessandria; donde, per Serravalle e Gavi, erano il 25 a Voltaggio, e il terzo giorno, per Pon-tedecimo, a Genova. Nel 1368, uscita di Genova il 22 settembre, fra nona e vespro, ossia fra le ore 15 e le 18 o-dierne, la comitiva si portò a cenare e a dormire in Portofino; il 23 pranzò a Levanto e cenò a Portovenere; il 24, gli ambasciatori si recarono in barca alla Spezia, a pranzo, e di là — raggiunti per terra dai cavalli e dal bagaglio — per terra anch’ essi a cena ed a riposo in Pietrasanta; donde il 25 erano già arrivati a Pisa, e la domane a Lucca. Il ritorno fu anche stavolta alquanto più spiccio: l’ambascieria si trovava ancora a Pisa il 12 ottobre; era il 13 in Sarzana, a pranzo, ed alla Spezia, a cena; il 14 a Levanto, nel meriggio, ed alla sera a Moneglia; il 15 a Chiavari ed a Recco, portandosi gli ambasciatori in barca da Chiavari a Rapallo. E da Recco, com’ è chiaro , si poteva arrivare a Genova nella notte , o il giorno dopo , al più tardi. Se si camminava abbastanza presto senza forzare la marcia, non mancavano però le fermate per via « per rinfrescarsi », talvolta anche senza scendere da cavallo: i conti dell’ambasciata del 1367, specialmente, riferiscono varie spese di vino a questo titolo. Nelle tappe, anzi, accadeva alcuna volta che i donzelli — e si parla anche di un ambasciatore — bevessero ancora il « bicchiere della staffa » dopo esser già risaliti a cavallo, prima di rimettersi in viaggio. Si era nei mesi più caldi dell’ anno, e il pane con cacio e le carni salate, con cui si merendava o cenava , crescono le voglia di bere a chicchessia. §5.11 vitto degli ambasciatori c dei loro uomini; la ta-vola c l'alloggio. Questo infatti è caratteristico — del resto pienamente conforme alla nota frugalità dei Genovesi, occasione persino di scherno a forestieri (1), — che il vitto non solamente degli uomini che accompagnavano gli ambasciatori, ma anche di questi, era quanto mai sobrio, po- (1) Alione, Opere, I, 146 segg., Milano, 1S65. Cfr. il mio lavoro La vita in Asti al tempo di G. G. Alione, 26 segg., Asti , 1899. — 14 — tremino quasi dir grossolano. AU'infuori di qualche « merenda » non usuale, facevano regolarmente « pranzo » sul mezzodì, « cena » alla sera ; mangiavano — oltreche pane, cacio e carni salate — riso, orzo, pasta, verdura, frutta, e principalmente uova, castrati, salciccia, galline ed oche, od anitre, con qualche pollo : questi forse per la tavola riservata degli ambasciatori , che spesso il cuoco od altri andava innanzi a preparare (tparare ccnam , parare scotìi///), nonostante la poca varietà dei cibi stessi da apprestare. Nel viaggio del 1368 le carni sono sostituite soventi da pesci, sopratutto di venerdì, mentre in quello del 1367 anche di venerdì troviamo spese di carne e di pollame. Olio , lardo , formaggio e molta spezieria appaiono usati, specialmente nel conto del 136S, come condimenti dei cibi; ed il vino è specificatamente distinto nel medesimo conto dell’ambasciata a Lucca in « bianco » e « rosso » (albo et ver ////Ilo). Tra la frutta figurano segnatamente le castagne, tra la verdura i porri ed i cavoli; tra la pasta, le tradizionali lasagne (1). Agli osti presso cui soffermavansi a mangiare gli ambasciatori genovesi colla loro comitiva vediamo pagarsi l’apparato della mensa (2), col relativo disturbo: più raramente si trova portata in conto la spesa di vivande già cucinate ; il che è ben naturale, data la presenza del «< cuoco » nel personale di viaggio. Per contro , il vasellame personale degli ambasciatori era portato seco da questi , colla biancheria e le vesti di ricambio e di solennità, in valigie (v al lixiaeJ coffa/zi) legate ai somieri con forti cinghie (ceti· giac, zonae) (3), ed era vasellame di argento. Non solo, dei resto, lungo il viaggio , ma anche a destinazione, gli ambasciatori genovesi — e così , di regola, (1) Sui cibi ordinari dei Genovesi in casa propria, V. Belgrano, De Ha vita privata dei Genovesi, 151 segg,, Genova, 1875. (2) Cioè mantili e tovaglie, sebbene non appaiono particolarmente nomiminati nei nostii conti. Su tali oggetti cfr. la bibliografìa da me data nei miei Invent, messin, ined , nn. 18 e >4. (3) Queste ro/m^-cinghie non sono da confondere colle row<7> di esser tale ; dove l’espressione ci dice chiaramente che nè gli ambasciatori nè il loro tesoriere Di Credenza prestavano molta fede all’asserzione : ma era pericoloso il fargli cattivo viso, mentre poteva anche essere davvero al servizio del potente signore lombardo, con cui si andava a ratificare la pace, ed in ogni caso era a temere che l’iroso e superbo Bernabò si offendesse di una mancanza di riguardo al solo suo nome, salvo magari a farla poi espiare severamente al piffero , se a-vendo avuto l’audacia di abusare di quel nome, avesse a-vuto anche la disgrazia di cadérgli nelle mani. A Pavia , un famigliare di Galeazzo Visconti , fratello di Bernabò, fece apparecchiare da cena agli ambasciatori, e n’ebbe dono di un paio di « calze » del valore di cinque lire. Ma la vera gazzarra del genere fu a Milano, dove un giullare (histrio) di Bernabò, di nome Cavalleria, s’ebbe un regalo identico , ma del valore soltanto di due lire e mezza; una lira ciascuno ricevettero due giullari e trombettieri del Comune; 4 lire e 15 soldi, insieme, tre altri di Matteo figlio di Bernabò ; da capo due lire e mezza il trombetto che « gridò » per la città la ratifica della pace: tutto ciò senza pregiudizio delle mancie (benandata) ai famigli ed al guattero (famulus coqui) dell’ osteria in cui avevano preso alloggio gli ambasciatori. A Pavia, poi, vennero in varie volte « a battere alla porta » (ad pulsandum ad ho- — 17 — spitium) diversi suonatori, fra cui la sera del 20 luglio un arpista (ystrio qui pulsabat^ur) imam dipani) ; e ad Alessandria i trombetti del podestà, « secondo consuetudine ». Così nel 1368, se a Pisa, nell’andata, nessuno si fece vivo, a Lucca non mancarono i tnbatores del Comune, donati di 12 soldi fra tutti, cioè più parcamente che nell’altra ambasciata ; ed anche, a Pisa stessa, nel ritorno, i trombatores degli Anziani resero la solita onoranza, avendone una lira e quattro soldi ; e parimenti i suonatori del patriarca di Aquileia, che accompagnava l’Imperatore, un mazziere ed i portieri di quest’ ultimo, nonché altri trombettieri venuti da Milano od al servizio di signori della Corte imperiale. Anche i notai che redigevano gli atti oggetto dell’ambasciata dovevano avere il loro regalo ; e 1’ ebbero infatti di 12 lire e mezza ciascuno Facello di Robiate e Boniolo Crivelli — quast’ultimo cancelliere di Galeazzo Visconti — per la copia della ratifica della pace del 3 luglio 1367 fra Genova ed i signori di Milano. Nè si deve dimenticare'che era buon riguardo e costume che gli ambasciatori facessero alcuna elemosina a qualche convento od alla chiesa in cui ascoltavano la messa di domenica nei luoghi dove si recavano in missione , come vediamo invero praticato anche nelle ambasciate genovesi a Milano e Pavia, a Lucca e Pisa, del 1367 e 1368. Gravavano infine sul bilancio dell’ambasciata certe spese straordinarie piccole e grosse rimessa a nuovo del vestito di qualche donzello o ragazzo; compra di cavalli per funzioni o per accompagnamento di principi od in surrogazione di altri morti o malati, che si dovevano ricondurre a tappe più corte e con molti riguardi; infermità di animali e di uomini, e relative cure e medicine; qualche occorrenza personale di ambasciatori e di ufficiali dell’amba-scieria , fra cui — per non tornare su altre già ricordate — è a rilevare nel conto del 1368 la lavatura di effetti di biancheria e particolarmente di mutande. § 7. Ritorno delle ainbasciene. Rientrata in Genova 1’ ambascieria , oltre la relazione dell’,operato diplomatico, che qui non interessa, aveva da compiere la liquidazione (rioni. Si, c Leti, della Liguria. 2 — ιδ — ed il rendiconto di cassa — fatica speciale del segretario o tesoriere. Poteva avverarsi il caso, come neH’ambasciata del 1367, che qualche ambasciatore — quali , ad esempio, Celesterio Di Negro e Federico di Pagana — avesse avuto dal tesoriere qualche prelevamento dalla cassa per bisogni e spese personali non rimborsabili dalla Republica: occorreva reintegrare le somme date loro a prestito , o segnarne regolarmente il debito verso lo Stato. Ugualmente si vendevano animali od oggetti comprati ad uso dell ambasciata e che non era opportuno conservare per un’ altra occasione: così abbiamo già veduto di cavalli nella stessa ambasciata del 1367. Infine, esaurita ogni pratica, il segretario rimetteva il suo conto , o « manuale » , che veniva conservato in archivio, donde la nostra moderna curiosità scientifica è andata ad esumarne un saggio colla presente publicazione. Torino, 9 aprile 1907. Ferdinando Gabotto. DOCUMENTO I. CONTO DELLE SPESE DI VIAGGIO DEGLI AMBASCIATORI GENOVESI A MILANO (i 2-2Ó luglio 1367) MCCCLVXii0, die xiia iullii. Manuale expensarum fatarum per me Antonium de Credencia notarium et cancellarium missum Mediolanum cum dominis fratre Ianoto Adurno, Celesterio de Nigro et Frederico de Pagana etc. (sic). [Ego recepi et habui a massario gener]ali Comunis libras ccxxv. [Item recepi et habui] de pecunia Comunis libras cxxv. [Item] in equo uno qui fuerat emptus in Ianua...... {guastò) pro portando saumeria et....... (guasto) postea venditi in Ianua pro libris vin, solidis vi. Item in equo uno qui fuerat emptus in Mediolano a Iacobo Blancho pro portando Ihecum secuturum dominum Barnabonem, et postea venditus in Ianua pro libris vii, sol. 1, den. vm. Et sic habui, in summa, libras ccclxv, sol. vii, d. vm. In Ianua. Primo, die xm iullii , pro calligis paribus xem, emptis pro decem ragaciis domini Ducis venturis nobiscum , quatuor vero a Nicolao de Pontedecimo, et sex a Pasqualino de J3ardi, calzolario : libras v, sol. xvi, — 19 — Item, ea die, pro duploydis sive iuponis decem, emptis pro dictis ragaciis a Bonmercato de Ferraria , iuperio in Ianua, ad racionem de solidis xxxnii pro novem ex eis, et uno pro sol. xxxvim: in summa, libras x, sol. v. Item, ea die, pro panno nigro, palmis m , empto pro fienda una barra singule dictarum diploydarum : sol. xii, d. vi. Item, ea die, pro subtellaribus pro predictis paribus x, emptis a Rubeo callegario in plathea Palacii: libras n. Item, ea die, pro cannis x, palmis mi, vergati, empti^] a (il nome in bianco) pro libris ur, sol. vi, pro canna, pro fiendis vestibus domi-cellorum, et pro cannis vm, palmis vi, biavi clari de viridi, empti[i·] a predicto pro vestibus predictis, pro libris mi, sol. ir, pro canna; et etiam pro cannis vi , palmis m, cadilis nigri de propignano (sic), empti|Y] pro caligis fiendis dictis domicel[/]is , pro libris iii, sol. xii pro canna: in summa, libras lxxxxi, sol. xvr, d. xr. Item, ea die, accipiente Iacobo de Braybante , cocho, venturo no-biscum , et sunt [prò] aliquali retribucione laboris eius : libras ii , sol. x. Item, ea die, pro cambio fiorenorum de grossis in auro , pro portando eos habilius, pro sol. xxxvi pro centeno: libras ii, sol. xii. Item, ea die, pro presenti manuale, in quo expens(z)e scribuntur: sol. mi. Item, ea die, in facturis vestium domicellorum xvmi more ystrio-num, videlicet ad racionem de sol. x pro singula: in summa, libras x, sol. x. Item, ea die, accipientibus ragaciis venturis nobiscum, pro bibendo in itinere, videlicet sol ii pro singulo : libram i, sol. ii. Item , ea die , pro uno pale (sic) turchensibus pro ferripetando e-quos : sol. xr. Item, ea die, pro galinis xn.cim emptis et cottis Ianue, pro deffe-rendo ad cenam in Vultabio, et que non fuerunt portate, quia non recessimus illa die, et non potuissent servari: libras iii, sol. xii. Item , ea die , pro tortiliciis sive brandoris mr , candellis grossis xii.cim et aliis cerrictis grossis et minutis, omnes libras lv, uncias xi, emptis a Petro Bellogia, pro portando : in summa libras vm, sol. vii, d. xiijj (sic). Item, ea die , accipiente Philipo sellario in scutaria , et sunt pro aptaturis diversarum sellarum, ii.0*'»»111 bastorum et plurium brillarum pro equis et mul[/]is Ambaxate: in summa libras iii, sol. xim. Item, ea die, accipiente Iohanne de Pollastra, manescalco, et sunt pro ferripedaturis quasi omnium equorum ambaxate: libras m, sol. xv. In Pontedecimo. Item, ea die, pro pane, caseo et vino habitis ibi ad merendam, pro refrescando , videlicet pintis xxvn vini, pro solido i pro singula, et panibus xxxvi et uno caseo cavalli : libr. i, sol. xvmi. In Flachono. Item, dicta (sic) die xm iulii, pro vino, pintis n : sol. i, den. vi. In Vultabio. Item, die iovis xim iulii, pro uno nuncio misso Novas et lerdo-nam cum litteris: sol xvi. Item, ea die, pro prebendis equorum lxi: libras xi, sol. x. Item, ea die, pro carnibus salsis libris x, pul[/]is tribus et ovis xvi, emptis extra hospicium : sol. xim. Item, pro vino, pintis lxiii (sic), videlicet xxvi pro sol. i, den. m, et xxxiii («V): libras ni, sol. i, den. vm. Item, ea die, pro pauueris seu anseribus quatuor: libram i, sol. mi. Item, ea die, pro carnibus castrati, videlicet castrato uno in quatuor quarteriis: libram i, sol. mi, den. vi. Item , ea die, pro canavacio pro fiendis duobus sacullis in quibus deferri debent vasa argentea, et pro zonis iin.or pro vallixiis : sol. vm. Item, ea die, pro vino et pane habito per Iohannem Bonum et co-chum nostrum, cum sociis eorum , qui precedebant nos , videlicet a Ianua usque Vultabium: sol. m. Item, ea die, pro pane ad cenam, in Vultabio, pro tota brigata: sol. xii. In Novis. • Item, die, xv iullii, pro prebendis xxxxvim equorum, et pro feno equis decem semotis ultra predictos , et pro vino potato per domi-cellos ante recessum et post ascensionem equorum : in summa, libras vm, sol. II. Item, ea die, pro denariis datis pro potu cuidam tubete vicarii de ultra Iugum, et cuidam alii, pro quod se asserebat piffer domini Ber-nabonis : sol xii. Item, ea die, pro carnibus castratis, libris cxxn, pro denariis vm pro libra: libras m, sol. i, den. mi. Item, ea die, pro anseribus sex: libras n, sol. m. Item, ea die, pro gallinis duabus et iin.or pullis: libram i, sol. v. Item, ea die, pro pane, [libris] ventim vn; pro vino, barrilis ii; et pro cerlis aliis expensis minutis factis ibidem per Iohannem Bonum : in summa, libras mi, sol. vi, den. xvi. Item , ea die , pro feno capto per Iohannem Bonum , domicellum domini Cellesterii, pro equis vii semotis ab aliis, ut asseruit : sol. iii, den. vi. In Terdona. Item , die (x)xv iullii, accipiente domino Celesterio, et sunt quos asseruit dedisse in Ianua ragaciis, in primis, videlicet lior, i pro singulo: libras iix, sol. xv. Ìtem, ea die, accipiente dicto, et sunt pro biava , feno , cengiis et aliis expensis per eum factis in Ianua circa eius equos ante recessum: libram i, sol. vm. Item, ea die, pro ferris novis xii et aliquibus aliis reinuatis in Ter-dona: libram i, sol. mi. Item, ea die, accipiente somerio, pro potu percipiendo in itinere : sol. mi. Item, ea die, pro barbitunsore qui rasit dominum Cellesterium et dominum fratrem Ianotum: sol. vir. Item, ea die , accipiente Iohanne de Guigono , domicello , qui faciebat parabat (sic; lege: parari) nobis scotum, et sunt pro expendendo, solvente domino Celesterio in Ianua flor, x, et me Anthonio de Credenda nunc alios flor, x, et de quibus bene redidit racionem , computatis solidis'xiii, quos dare restabat (sic), qui ei remissi fuerunt de commissione dominorum ambaxiatorum: libras xxv. In Pontecurono. Item, die xvi iullii, pro cibo et potu habito per aliquos familiares semotos ab ambaxatoribus fratri Iohanne (sic) de Vignono : libras ii, sol. vim. In Vicheria. Item, ea die, accipiente Petro de Mombaxilio, domicello Frederici de Pagana , et sunt quos asseruit expendisse in Ianua de mandalo dicti Frederici in faciendo aptare duas sellas, in cengiis duabus et in reddenis duabus: in summa, libram i, sol. xv. Item, [ea die], pro faciendo ferripedare mulam dicti Frederici: sol. vi. Item, [ea die], pro faciendo ferripedare alios equos quatuor dicti Frederici : libras v. Item, ea die, pro una ferreria, maculo et turchensibus emptis per dictum Petrum : sol. x. Item, ea die , accipiente dicto , et sunt quas asseruit dedisse de mandato predicto duobus ragaciis dicti Frederici pro emendis calligis eorum : libram i, sol. hit. Item, ea die, pro subtellaribus pro uno ex dictis ragaciis : sol. mi. Item, ea die , et sunt quas asseruit expendisse in cibo et potu in itinere cum aliquibus sociis, et in uno capistro empto in Ianua : sol. VIII. Item, ea die, et sunt pro vino quod potavit dictus Petrus cum aliquibus sociis in Gavio : sol. i. Item, ea die, et sunt quos Iacobus Stagica de Novis asseruit expendisse in Vultabio, post recessum meum, in uno scoto et feno pro duobus equis: sol. vm. Item, ea die, pro capistris duobus emptis de commissione mea in Terdona : sol. ir, den. vi. --2 2 - Item, ea die, pro vino habito per nostrum Mag.cum (sic) et alios socios in Pontecurono, post recessum meum: sol. ir, den. vi. Item, ea die, accipientibus duobus ragaciis Frederici de Pagana, et sunt pro emendis duobus diploydis seu iuponis : libras v. Item, ea die , accipiente quodam nomine Iohanne Magrabi , olim sciavo, qui venit prò ragacio cum prefato Frederico ultra alios duos, et sunt prò aliquali mercede laboris eius: libram i, sol. v. In Papia. Item, die xvi iullii, pro potu bis habito in itinere per aliquos nun-cios, qui precedebant : sol. mi. Item, ea die, prò uno palle (sic) calligarum dato cuidam familiari domini Galeaz , qui fecerat nobis parari cenam expensis dicti domini Galeaz : libras v. Item, ea die, accipiente Babilano de Nigro , nepote domini Celesterii, qui remansit in Papia eger, et sunt pro expensis per eum fiendis : libram i, sol. v. Item, ea die, accipiente uno ex ragaciis, qui remansit in Papia ad custodiam equorum quatuor qui non poterant equitari , et sunt pro expensis per eum fiendis: sol. vi. In Binasco. Item , die xvn iullii , pro pane , caseo , vino et simillibus, habitis ad portandum pro tota brigata: in summa, libram i, sol. vim. In Mediolano. Item, die xvn iulii, accipiente Petro de Durvento , de Ast, domicello, et sunt pro emendis aliquibus necessariis dominis Ambaxatoribus iuxta eorum commissionem: libras n, sol. x. Item, ea die, accipiente quodam ystrione domini Bernabovis nòmine Cavalerie , et sunt pro emendo uno palle caligarum : libras ii, sol. x. Item, ea die, accipientibus duobus ystrionibus et tubatoribus Comunis Mediolani, qui venerunt ad honorandum dominos ambaxiatores: libras ii. Item, ea die, acc:piente Iohanne Bono, et sunt quos asseruit expendisse in potu in itinere cum aliquibus sociis: et in assunzia pro equis: sol. mi. Item, ea die, accipiente Leono de Mombaxilio, domicello etc. (sic) et sunt quos asseruit expendisse in itinere in cibo et potu, et specialiter in Gavio pro ragaciis: sol. vim, den. vi. Item, die xvm, pro faciendo aptare sellas octo et aliquas brillas: libram i, sol. xvn. Item , ea die, pro una medicina pro duobus equis magagnatis ; sol. ii. Item, ea die, accipiente Guillelmo de Eugubio , domicello domini — 23 — Celesterii, et sunt qiios asseruit expendisse in itinere in ferripedaturis unius equi et in feno, semel tantum: sol. mi, den. vi. Item, ea die, accipiente Iacobo de Poxolo, domicello dicti domini Celesterii, et sunt quos asseruit expendisse in Novis in ferripedaturis unius equi : sol. mi. Item, ea die, accipiente Anthonio de Cassinis , et sunt quos asseruit dedisse domino fratri Ianoto , ad oblacionem misse , sol. 11, et pro aliquibus rebus minutis emptis de eius commissione: sol. vi. Item, ea die, accipientibus tribus ystrionibus seu tubatoribus domini Matthei , filii domini Bernabovis, qui venerunt ad hospitium, ut moris est: libras mi, sol. xv. Item , die veneris xvm iullii predicta, prò una fune pro liganda soniam de novo fiendam prò rebus de novo emptis: sol. 11. Item , ea die , prò uno palafredo leardo empto prò domino Celesterio de Nigro, et sunt quas restituere promixit : libras liii, sol. xv (1). Item, ea die, prò una sella cum guarnimentis pro dicto palafredo, et quas, ut supra, restituere debet: libras vm, sol. xv. Item, ea die, accipiente Iacobino Bianco de Novis , et sunt in so-lucione florenorum vim, quos habere debet pro precio unius equi ab eo empti, quem duxit Nicola de Viola ad dominum Bernabovem : libras 11, sol. x. Item, die xvm (sic) iuliii predicta, pro duploydis seu iuponis tribus, emptis pro tribus ragaciis domini Cellesterii, sic omnino fieri iu-bentis: libras mi, sol. v. Item , ea die , pro una sella munita empta pro uno equo domini potestatis concesso isti ambaxate: libras mi, sol. 1, den. m. Item, ea die, accipiente tubeta qui preconizavit pacem per Medio[/]-> * lanum, et qui venit postea ad hospicium : libras 11, sol. x. Item, ea die, accipiente Iohanne Magrabi, olim sciavo, qui accessit pro ragacio cum Frederico de Pagana, et sunt pro emenda pro eo una duployde, et hoc ultra alium florenum parvum habitum: libram i, sol. v. Item, die xx iullii , pro oblacione oblata ad missas per dominum fratrem Ianotum et socios eius : in summa, sol. v, den. vi. Item, ea die, pro zonis quatuor, positis coffanis saume: libram 1, sol. xi, den. m. Item, ea die, accipiente quodam Bochia , sive ministrario qui detulit negros hospicio: sol. vi, den. iii'. Item, ea die, pro tribus ferreriis emptis pro itinere, qui necesse in-» digebant: libram 1, sol. x. Item, ea die, pro ferris novis xxxim et septem repositis a die xvii 0 l)uius mensis citra: in summa, libras 11, sol. xvi, den. m. Item, ea die, pro duabus faldis unius selle, uno cussineto, duabus. (1) In margine: non. v zonis et aptaturis dicte selle pro uno ex equis domicellorum domini Frederici, solutos Petro de Monbaxilio, uf asseruit: sol. xvm, den. mi. Item, ea die , pro benandata data famulis hospicii , ut moris est : libram j, sol. v. Item, ea die , pro duabus clavabus (sic) duarum camerarum hospicii, que amisse fuerant per nostram familiam: sol. i, den. vi. Item, ea die, .pro benandata data cuidam famulo coqui, ut moris est: libram i, sol. mi, den. vi. Item, ea die, accipiente Manuele de Fontanegjio, qui venit pro iu-vando Antonio de Credenda in pluribus que habebat agere , et specialiter in scripturis, et sunt pro aliquali mercede laboris eius: libras v. Item , ea die , pro una sella munita empta pro uno equo ambaxate, qui eam misseram (sic) et devastatam habebat: libras v, sol. vm. Item, ea die, accipiente quodam, et sunt ad complementum precii unius mul[/]eti empti per dominum Fredericum de Pagana, et quos idem Fredericus restituere debet: libras xi, sol. v (i). In Binasco. Item, die xx iullii predicta, pro pane, vino , caseo et aliis ibidem comestis ad merendam per brigatam : libram i, sol, xim, den. vi. In Papia. Item, die xx iullii, accipientibus quatuor ex ragaciis qui veniebant cum somis, et ante et post nos, videlicet a Mediolano Papiam, et sunt pro potu eorum: sol. vm. Item, ea die , accipiente Rizardo , uno ex dictis ragaciis , qui ducebat ad dextrum equum morellum corsum reprehensum sive infirmum, et sunt pro potu in itinere: sol. m, den. vi. Item , die xxi iullii , accipientibus quibusdam tubatoribus qui venerunt hodie in mane ad pulsandum ad hospicium: libras vm, sol. xv. Item, ea die, pro uno tubetu qui postea modo predicto venit, semotus ab aliis: sol. ii, den. vi. Item, ea die, accipiente quodam ystrione qui pulsabatur unam al-pam, qui venit in sero ad hospicium : sol. xii, den. vi. Item, ea die, accipiente Rizardo, ragacio, qui ducebat ad dextrum equum morellum eorum infirmum , et sunt pro potu et cibo percipiendis a Papia Vecheriam : sol. vm, den. xim. Item, ea die, accipiente Rubeo, mul[/]aterio, et sunt quos asseruit expendisse in itinere cum sociis, quia venit semotus a nobis, et etiam in duobus capistris: in summa, sol. vm. Item , die xxn iullii , accipiente Petro de Neapoli , viancerio , remisso Mediolanum pro aliquibus necessariis per eum emendis: libras n, sol. XII. (i) In margine: non. — *5 — Item, ea die, accipiente Robino, domisello , et sunt prò uno palle subtellarium : sol. mi, den. vi. Item , ea die , prò una sella munita pro craveta rubea que indigebat illa: libr. il, sol. xiiii, den. vi. Item, ea die, prò una brilla, croperia et pectoralio pro palafredo morello de Pulciffera : libram i, sol. mi. Item, ea die, accipiente Babillano de Nigro, qui remanserat in Papia infirmus, et sunt pro expensis per eum factis in dicta egritudine, ultra alium flor, i: libram i, sol. v. Item, ea die, pro oblacione oblata ad missam in ecclesia beati Augustini : sol. m. Item, ea die, accipiente Facello de Robiate, notario, qui extrasit et nobis detulit instrumentum ratificacionis pacis facte sive ratificate per dominum Bernabovèm, et sunt pro eius laboris mercede: libras xn, sol. x. Item, die xxm, pro uno capistro pro palafredo leardo nuper empto: sol ii. Item, ea die, pro medicinis pro equis tribus non bene convalen-tibus: sol. vini, den. vi. Item, ea die, pro furnimento deaurato posito cuidam selle date per Fredagolum de Sollario pro palafredo leardo nuper empto : libram i, sol. xvii, den. vi. Item, ea die, pro una coperta et una cengia pro dicta sella: sol. XIII. Item, ea die, pro furnimento unius selle pro equo morello de Novis pro una brilla: libram i, sol. mi. Item, eadie , pro aptaturis unius brille pro uno equo ex illis do-micellorum domini Cellesterii : sol. m. Item, ea die, in sero, pro benandata data tribus domicellis domini Galeaz, qui paraverunt nobis continue scotum, et etiam hospitatori: in summa, libras xn. Item, ea die, accipiente Boniolo Crivello, notario et cancellario domini Galeaz, et sunt pro solucione duorum instrumentorum ratificacionis pacis et prorogacionis ipsius solucionis fiende: libras xn, sol. x. Item , die xxnn iullii, pro una sella munita pro uno equo bayo statim empto: libr. vi, sol. v. Item, ea die, pro potu et cibo habito in itinere per brigatam a Papia usque ad Sanctum Lazarium, et specialiter in plebe Carii : sol. xv. Item, ea die, pro censariis unius nionescalchi mediante quo emptus · fuit equus bayus : sol. xvii. In Sancto Lazario. Item, die xxim iullii, pro uno plandio pro personis lxxii et pro prebendis equorum lxi : in summa, libras vini, sol. Vii, den. vi. In Bassignana. Item, die xxim iullii, prò cibo et poto habito per brigatam ad merendam, et pio prebendis xxxim equorum ultra consuetudinem propter magnam iornatam: in summa, libras v, den. m. In Allexandria. Item, die xxv iullii, pro tubatoribus domini potestatis , qui venerunt ad hospicium iuxsta consuetudinem : libras ii, sol. x. Item, ea die, pro ferris novis x.cem et aliquibus renuatis : in summa sol. vim, den. vi. Item, ea die, pro benandata data hospitatori iuxta consuetudinem: libras ii, sol. x. Item, ea die, pro marvaxia, ponitur m libras, sol. vi, den. ili. In Serravalle. Item, die xxv iullii, pro uno plandio habito per certam partem comitive Ambaxate, et pro aliquibus prebendis equorum : in summa, libras v, sol. vim. Item, ea die, pro pane et vino per aliquos de brigata inter Serra-valem et Gavium: sol. vim, den. vi, Item , ea die , et sunt quos oportuit dimitti cuidam ex domicellis tunc constituto super faciendo scoto, quia opportuit me Antonium de Credencia inde recedere antequam habita fuerint omnia tunc habenda, et hoc propter egritudinem mei equi, et de quibus idem domicellus bene redidit racionem : libras v. In Gavio. Item , die xxv iullii predicta, pro expensis factis in Gavio per quemdam equum Nani de Volterra, qui ibi remansit infirmus, et e-tiam mercede laboris maniscalchi qui medebatur ei : in summa, libras mi, sol. xv. Item, ea die, pro expensis factis per equum morellum corsum reprehensum, qui ibi stetit duobus diebus: sol. mi. In Vultabio. Item, die xxv iullii, pro prebendis lxi equorum, pro sol. mi pro singula: libras n, sol. mi. Item, ea die, pro pane, vino, caseo et paraturis cene pro personis circa lxx : in summa, libras vm, sol. mi. Item, ea die, accipientibus ini.tor ex domicellis nostris , quos opportuit venire pedestres a Vultabio usque ad Pontemdecimum, et sunt pro potu recipiendo per eos in itinere : sol. vm. Item, ea die, pro subtellaribus pro Rubeo, somerio : sol. iiii. Item, ea die, pro subtellaribus pro Siardo, ragacio , nunc effecto somerio : sol. vi. — 27 — Item, ea die, pro potu habito per dictos et alios somerios in eo i-tinere ab Alexandria citra: sol. vm. Item, ea die, pro duabus redinis, uno barbezario et duobus cape-stris : sol. xxim. Item, ea die, accipiente Petro de Mombaxilio, et sunt quos asseruit expendisse in burgo extra Papiam in potu et canestrellis pro aliquibus de comitiva: sol. ii, den. vi. Item, ea die, pro prebendis habitis pro equis quinque Petri Gui-rardi de Novis, semotis ab aliis, ultra dictas prebendas lxi ; sol. xim. In Pontedecimo. Item; die xxvi iullii, pro potu habito per aliquos de brigata in Petra Lavezaria : sol. iiii. Item, ea die, pro pane pro uno plandio: sol. xvm, den. vi. Item, ea die, pro vino pro dicto plandio: libras ii, sol. xvm. Item, ea die, pro carnibus castrati, libris xxx : libram i, sol. v. Item, ea die, pro pullis tribus: sol. v, den. vi. Item, ea die, pro caseo et carnibus salsis, libris xxxi, pro den. vim pro libra: libram i, sol. ii. Item, ea die, pro paraturis coquine: sol. xvi, den. iiii. Item, ea die, pro ordeo et avena emptis in grosso pro equis , et non ad prebendas: libras n, sol. vim. Item, ea die, pro feno pro equis, in grosso; libram i, sol. v. Item , ea die, pro uno nuncio misso de Pontedecimo Ianuam : sol. IIII. Item, ea die, pro duobus ferris novis pro equis domini Celestrerii: sol. IIII. Item , ea die , pro potu dato someriis a Pontedecimo Ianuam : sol. iiii. In Ianua. Item, dicta die xxvi iullii, pro uno nuncio misso Voltabium cum iussione magistri Sancti Augustini: sol. xvi. Item, ea die , accipiente cocho nostro , et .sunt ad complementum florenorum trium ei datorum pro eius laboris mercede : libram i, sol. x. Item, ea die, accipiente Petro Guirardo de Novis , et sunt quos asseruit expendisse circha eius equos, et quos domini Ambaxatores ei dare commiserunt: sol. xvm. Item, ea die, accipiente Iohanne de Poliasca , marescalco , et sunt quos solverat in Papia de eius propria pecunia pro cen(s)ariis unius ex equis ibidem emptis: sol. xiiii. Item, ea die, accipiente..(«V) uxore Iacobi Blanchi de Novis, de voluntate dicti Iacobi, et sunt ad complementum de florenis vim pro precio unius equi ab eo empti in Mediolano, quem duxit Nicola Mussus domino Bernabovi : libras vm, sol. xv. Item, ea die, accipiente Iacobo Stanga, de Novis, et sunt pro precio unius equi ab eo empti in Ianua ante recessum, qui defFerebat Saon-nam: libras vii, sol. x. In expensis istius Manualis : libras dxxxx, sol. m, den. i. In expensis pertinentibus ad dominum Ducem factis in Mediollano: libras lxx, sol. xim. In Bartolomeo de Camulio: libras lxii, sol. x. In pecunia numerata, quam retuli, libras lxxxxii, sol. —, den. vii. Et sic computare debeo in racione massariorum: in summa, libras ccxxv, sol. mi, den. vi. mdccclxvii0, die (in bianco). Anthonius de Credencia, canzelarius Comunis, debet nobis, et sunt quos habuit et recepit a massariis Comunis pro avariis fiendis domino Ianoto Adurno et Ambaxatoribus ituris cum eo ad dominos Mediolani: in summa, libras dcxxv. Item, et sunt quos dictus Anthonius habuit a domino Duce de pecunia Comunis: libras cxxv. Item, et sunt quos dictus Anthonius habuit de duobus equis revenditis de dicta Ambaxata, et qui empti fuerunt et positi in racione accipienda Ambaxate predicte; in summa, libras xv, sol. vu, den. vm. Recepimus in avariis et expensis factis per dictum Anthonium in itinere dictorum Ambaxatorum de Ianua Papie et Mediolano (sic), ut in isto libro retro continetur ordinate, in summa, et in reditu ipsorum Ianuam: libras cccclxvi, sol. xii, den. vm. Item in domino Celesterio de Nigro, et sunt quos dictus Anthonius sibi mutuavit de pecunia Comunis in Mediolano pro emendo unum equum, et quos dictus dominus Celesterius restituere debet Comuni : libras lxii. Item , in Fredericho de Pagana , et sunt quos dictus Anthonius mutuavit in Mediolano dicto Fredericho de pecunia Comunis, et quos restituere debet dictus Fredericus: libras xv, sol. v. Item in massariis Comunis, et sunt quos dicti massarii scripserunt in racione domini Duci(V), et ipse dominus Dux debet pro dicto An-thonio : libras ccxxv. Summa: libre dcclx, sol. vii, den. vm. DOCUMENTO II. CONTO DELLE SPESE DI VIAGGIO DEGLI AMBASCIATORI GENOVESI AL RE DEI ROMANI CARLO IV, IN LUCCA (20 settembre-26 ottobre 1368). mdccclxvili0, die xxa, septembres, Ianue. Manuale expensarum factarum per me Raffaelem de Casanova, notarium et scribam dominorum Ambassiatorum, qui presentialiter transmittuntur et vadunt ad sacratissimum principem dominum Romanorum imperatorem, in itinere, mansione et reversione dicte Ambassiate. MDCCCLXVin, die xxa septembris, Ianue. Recepi et habui ego RafTael supradictus a massariis generalibus Comunis pro faciendis expensis predictis in florenis auri centum, et residuum in grossis argenti, libras centum octuagintaseptem et solidos decem ianuynos : libras clxxxvii, sol. x. Item, die dominico xxmia septembris, recepi a Domino Raffo Gri-fioto, ipso modo traddente et mutuante in pecunia facta in grossis argenti : libras lxii, sol. x. Item, die iovis xii octobris, recepi a domino Raffo Griffioto , in duabus partitis, florenos centum: libras cxxv. Quas, seu de quibus, expendi et solvi ut infra: Primo, die xxa septembris suprascripta, Ianue, in presenti manuali: sol. iii. Item, ea die, in Castellino de Puth[^]o, domicello, pro eius salario: libras m, sol. xv. Item, ea die, in Guillelmo \doiuiccllo\ domini Celesterii , pro eius salario : libras m, sol. xv. Item, ea die, in Iacobo de Terdona, domicello: libras m, sol. xv. Item, ea die, in Guillelmo supradicto, pro salario ragaciorum duorum domini Celesterii : libras v. Item, ea die, in Oberto de Laude, domicello domini Petri de Ca-stelliono, pro eius salario: libras m, sol. xv. Item, ea die, in Petro de Vigevi, domicello : libras 111, sol. xv. Item, ea die, in Alberto Theutonico, domicello: libras m, sol. xv. Item, ea die, in Oberto de Laude supradicto, pro salario ragaciorum duorum dicti domini Petri: libras v. Item, ea die, in Iacobo de Petro, domicello domini Addam[z] Spi-nule, accipiente pro se, duobus domicellis et duobus ragaciis dicti domini Addam : libras xvi, sol. v. Item, ea die, in Iohanne de Avinione, domicello : libras m, sol. xv. Item, ea die, in Iohanne de Floreotia, domicello: libras ni, sol. xv. Item, ea die, in Iohanne predicto , pro famulo domini Raffi Gruf-fioti (sic): libras iii, sol. xv. Item, ea die, in Andrea Capellacio, ragacio : libras ii, sol. x. Item, ea die, in Anthonio de Ast, ragacio: libras ii, sol. x. Item, ea die, in Petro, manescalco , accipiente pro se et Iohanne de Picardia, ragacio: libras vi, sol. v. Item, ea die, in Guillelmo de Ast, cocho: libras m, sol. xv. Item, die xxia septembris, in Iohanne de Aviniono, domicello supradicto, et sunt pro faciendis expensis equorum xxm supradicte am-bassiate, qui ducuntur de Ianua per terram : libras (in bianco). Item , die xxn septembris , in domicello domini Celesterii , cum commissione eiusdem, pro faciendo ferrari suum equum: sol. vi. Item, die veneris xxiia septembris, qua die, hora inter nonam et vesperas, recessimus de Ianua, et venimus hospitatum in Portofino, expendi in manescalco domini..(sic) Ducis, quos ei dedi, cum commissione domini Raffi: libram i, sol. iiii. Item, ea die, in sero, in Portufino, ad cenam , in pane , vino, piscibus et frugibus : in summa, et in lectis, libram i, sol. vii. Item , die xxma septembris , in Levanto, ad plandium , in pane, vino, piscibus et frugibus : in summa, libram i, sol. vm. Item , ea die, in duobus potaficulis vitreis emptis in Levanto : sol. iiii. Item, ea die, in Portu Veneris, ad cenam, in pane, vino et ovibus: in summa, libram i. Item, die xxinfi] septembris, dominico, ad plandium, in Spedia, in prebendis equorum, carnibus, vino, carnibus (sic), pul[/]is et aliis necessariis : in summa, libras x, sol. iiii, den. iiii. Item, ea die, in Spedia, in Alberto Theotonico , domicello domini Petri, pro capistris, clavis, stripis et canapacio: in summa, sol. xii. Item , ea die , in barcarolio barche que nos partavit Spediam : libras xi, sol. VII. Item, ea die, in prebendis equorum iiii domini Petri : libram i, sol. IIII. Item, die xxim septembris, ut supra, in itinere, veniendo ad Petram Sanctam, in vino pro briga(n)tis ; sol. i. Item, ea die, in avariis et expensis factis per Iohannem de Aviniono in conducendo Spediam equos xxm et homines xx, ut apparet in uno suo scripto hic apposito: libras xxi, sol. vm, den. i. Item, ea die, pro expensis factis in Spedia in rebus comestibilibus, ut apparet in dicto scripto dicti Iohannis: libras n , sol. (/acero), den. vi. Item, ea die, in Petrasancta, ad cenam , in pane , vino , carnibus, pullis, frugibus et aliis, et in prebendis xxim (sic) equorum, ad racionem sol. m, den. vm, pro qualibet prebenda; in summa, libras vm. sol. y, — 31 — Item, ea die, in Petrasanta, in faciendo reparari unum bastum et unam sellam: sol. vm. Item, die lune xxva septembris, veniendo Pisas, per caminum, pane et vino: sol. vi. Item, ea die, in Pisis, in faciendo reparari sellas septem et bastos duos, et in una cingia equorum : libram i, sol. vi. Item, ea die, Pisis, in carnibus, pul[/]is, caseo et frugibus, ad plandium et cenam : in summa, libras iii, sol. v. Item, ea die, in pane ad dictum plandium et cenam (\). Item, ea die , in pane , vino albo et vermillo , in dictis : libras n, sol. VIII. Item, ea die, in prebendis equorum nostrorum, que sunt in summa xxxvi et media: libras vm, sol. vii. Item, ea die, Pisis, in uno cirurgico qui vidit et mederi fuit domino Raffo in una sua cavigia : libram i, sol. x. Item, die xxvia septembris, martis, veniendo Lucam, in Luca, expendi in pane, vino, carnibus, pul[/]is, frugibus, et in preparando ad plandium et cenam, et in prebendis equorum nostrorum, qui sunt in summa xxxim et media , ad racionem de sol. iiii, den. vi, pro qualibet: in summa, libras xvm. Item, die mercurii xxvna septembris, Luce, in tubatoribus: sol. xn. Item, ea die, in famulis sex qui portaverunt bonetas Pisas, pro bibendo et manducando in itinere: sol. imitem, ea die, domino Celesterio, in ecclesia sancti Martini: sol. iiii. Item, ea die, in pane, vino, carnibus, pullis, caseo, speciebus, frugibus et in preparando ad plandium et cenam, et in prebendis xxxnn et media nostrorum equorum, ad racionem supradictam: in summa, libras xv, sol. vi. Item, die iovis xxvm septembris, in uno macerio domini Imperatoris: libram i. [Item, e]a die, in paramentis hospitis pro diebus n et dimidio, et in prebendis vu et dimidia equorum, et in vino ad plandium, in Luca: in summa, libras iiii, sol. vi. Item, ea die, in pane, carnibus, speciebus, riso, oordiis, frugibus et aliis ad plandium: libras ii, sol. v. Item, ea die, Pisis, quando sumus reversi, in pane, vino, carnibus, pul[/Jis, caulis et frugibus, ad cenam : in summa, libras iiii, sol. xi. Item, ea die, in uno nuncio qui portavit unam nostram litteram ad barcam : sol. 1111. (2) Item, die xxvnn septembris, in pane, vino, piscibus, ovis, fructe aceto et aliis: libras iiii, sol. iiii. Item, ea die, in trumbatoribus ancianorum Pissis (sic) : libram 1, sol. iiii. (1) La somma 11011 è indicata. (2) Qui comincia un’altra mano. Item, ea die, in offerire ad eccressiam (sic), ad missam: sol. un. Item, die xxx septembris, in offerire ad missam, in mane: sol. u. Item, ea die, in quodam barberio pro dominis Cellesterio et Petro: sol. ii. Item, ea die, in ferrandis equis ac una sella et in medicando equos; (et) in summa, sol. xii. Item, ea die, in vino, pane, ovis , carnibus , fructe et allis(^V) : in summa, libras un, sol. xv, den. xi. Item, die prima otubris, in carne libr. lx cum fumo et crastono ; libram i, sol. xv, den. vin. Item, in polastris vi; sol. x. Item, ea die, in gonatoris (sic) domini Patriarche: libras in, sol. xv. Item, ea die, pane: libram i, sol. v. Item, in caullis et fructibus: sol. un, den. vi. Item, in amorandis (sic) prandiis: den. un. Item, in oferire ad eccresiam (sic): sol. n, den. vi. Item, in lardo: sol. n, den. in. Item, die n otubris, in Pixis, in pane: sol. ini. Item, ea die, in vino: libram i, sol. xn. Item, ea die, in carne: libram i, sol. xnn, den. vini. Item, ea die, in polastris v: sol. vi, den. vi. Item, ea die, in furno: sol. i. Item, ea die, in auxis: sol. vi, den. vi. Item, ea die, in lazagne: sol. in. Item, ea die, in fructis: sol. i, den. vini. Item, ea die, in papiro et una par (sic) de tozaris: sol. mi. Item, die ni otubris, in pane: libram i, sol. v. Item, ea die, in carne : libras xxxx, sol. vili. Item, ea die, in asonzia: den. in. Item, ea die, in arcario, brisia una: den. n. Item, ea die, in polastris v: sol. vii, den. Item, ea die, in carro i: sol. xv, den. in. Item, ea die, in una sella: den. vini. Item, ea die, in castagne (sic): sol. i, den. vi. Item, in furno et altare duo gradus: sol. i, den. vi. Item, in vino: libram i, sol. xnn. Item , ea die , in prebendis equorum ccxxx , quos habuimus die mercurii in sero, usque die[*«] martis in otubris, que consta[«]t libras Lxxxxnn, de Pixis usque vico: libras xxxm, sol. x. Item, die martis, ili otubris , in Pixis, in scoto de hominibus vi, quos missimus de Lucha in Pixas usque diem vii: sol. v, den. in. Item, ea die, in aparaturis de diebus v et dimidia, usque die[m] martis ni otubris, ad rationem de libris ii pro quolibet die: libras xm, sol. xv (sic). Item, ea die, in lignis pro supradictis diebus v et dimidia: libram i, sol. ii, den. vj. — 33 — Item, ea die, in sonatoribus tromparum de Mediolano : libram i, sol. v. Item, ea die, in sonatoribus domini Flache: libram i, sol. v. Item, ea die, in porteriis domini Imperatoris: libram i, sol. v. Die mercurii. Item, ea die, in carne: in summa, libras π, sol. vm. Item, pane, [ea] die: libram i, sol. v, den. vi. Item, in fructis et caulibus: sol. m. Item, in asonzia: sci. i, den. ni. Item, in furno et pulvis: sol. i, den. x. Item, in vino: libras n. Item, in ovis vini: sol. i. Item, ea die, in aparaturis de ost[ Quando coglie nel segno ? Le Odi, come s’ è visto, uscirono realmente alla luce nel 1782 a Massa ; e ne posseggo un e-semplare. Gli Scherzi, invece, non gli ho mai veduti , e ogni ricerca per trovarli riuscì infruttuosa. Un fatto però è da notarsi. L’idillio II simulacro, per testimonianza del nepote, « fu diretto in una delle prime edizioni all’avv. Silverio M. Beggi di Ortonovo », con una lettera che trascrive [II, 297-29S]. All’altro idillio La solitudine Labindo premise la lettera Ad una pastorella, essa pure riprodotta dal nepote [II, 29S-299]. Queste due lettere non si trovano in nessuna delle edizioni note degli Scherzi; dunque, o son in questa del 1782 , o i due idilli vennero per la prima volta stampati separatamente , e soltanto nelle loro primitive e sconosciute edizioni si leggono le due lettere. * Odi i di Labìndo I Dicar...... | Aeolium carmen ad /-talos I deduxisse modos. | Hor. Od. XXX. L. Ili | = | A Bordo del Formidabile | MDCCLXXXIII. | — | Con Permesso dell’Ammiraglio Rodney; in 4.0 di pp. 40. Ad alcuni esemplari dell’edizione del 1782 fu rifatto il frontespizio e mutata la data e la dedica. A quella all’ imperatrice Caterina li venne sostituita quella al Rodney, scritta da Fivizzano il 10 febbraio 17S3, che il nepote [I, 313-314] riporta. Scherzi' di Labìndo Lusimus Berna MDCCLXXXW. | Con Approvazione; in 8.° di pp. 142. Edizione fatta a Massa, a spese dell’ autore , co’ torchi di Stefano Frediani. A p. 3 si legge: AlVanglo * toscano * mecenate \ pio * dotto * magnanimo | principe * det ' S · R ' I | Giorgio · Nassau * Ctatù ering I lord · Coiiper | dedica ' in · ossequio | questo * volume * di · scherzi j Labindo. Segue a pp. 5-6 la Prefaziojie. V’ è scritto : « Ingegni gravi e severi , nemici impotenti d’Amore, non comprate que-st’Operetta. I versi che la compongono sono figli dell’ entusiasmo e deggiono alla sensibilità del mio cuore e alle lusinghe dell’ ozio la voluttuosa loro esistenza. Un volume che ha per titolo Scherzi merita per se medesimo la vostra censura. Condannatelo senza leggerlo: la critica maldicenza applaudirà al giudizio del cinismo, ed io ridendo vi confonderò col silenzio ». Le pp. 7-S sono occupate dalla Introduzione , che incomincia: « Mi rispetti il tempo edace ». Gli Scherzi contenuti nel volumetto son questi : « Al genio degli scherzi ». Genio dei scherzi, pp. 9-ro. — « Brindisi ». Sposo d} Oriziaì pp. n-13. — « A Paimiro Cidonio ». Erge la fronte, pp. 14-2 r. — « A Fille, chiedendo da bere ». Fille vezzosa donami, pp. 22-24. — « ?er malattia di Fille ». Premea d’Apolline , pp. 25-30. — « All’ aura ». Aura che a viey pp. 31-32. — « Amore spennacchiato ». Sulla scorza, pp. 33-3S. — « Alla cetra ». Eco de’ miei lamenti, pp. 39. — « Il solletico ». Fille, il solletico, pp. 40-47. — « Alla farfalla ». D’ ogni bel fiore, pp. 44-46. — « Invito a Fille ». Arcadi figli, pp. 47-48. — « A Fille. I funerali di Tisbe ». Di Febo il rapido , pp. 49-56. — « L’ amante contento ». Sorgea l’alba, pp. 57-60. — « Il Gabinetto ». Conca che al tepido, pp 61-63. — « La curiosità punita. Alle lucciole ». Dove corri, pp. 64-67. — « Il compendio d’Amore ». Senza face, pp. 68-69. — « Per la liberazione di Amore , cantico ». Sciogliete un cantico, pp. 70-73. — « Le quattro parti del piacere. A Lesbia ». Si compongono : « Invio ». Presso di Amica, pp. 74-77. « Le lusinghe ». Ornai ta notte, pp. 78-S3. « I sospiri ». Schiude la porta , pp. 84-9τ. « Le lacrime ». L’ore fuggite, pp. 92-9S. « I baci ». Nel rispettoso, pp. 99-105. « Conclusione. Al mirto di......». Mirto cresciuto, — 45 — pp. 106-107. — Vengono poi i Sonetti. « La riconoscenza », p. 10S. « La danza », p. 109. « La divisione », p. no. « La dichiarazione », p. in. « 11 rivale sconosciuto», p. 112. « Il giudizio d’Amore », p. 113. « A Nisa », p. 114. « La finta pace », p. 115. — Chiudono il libric-cino : « Il Lei, il Voi , il Tu , lettere a Lesbia », che abbracciano le pp. 117-140; poi vien ΓIndice, pp. 141-142. Le Novelle letterarie per l'anno MDCCLXXXIV, n.° 3 , Firenze, 16 gennaio 17S4, col. 46-4S , gli annunziarono così: « Scherzi 4i Labindo (coll’ epigrafe d’ Orazio) Lusimus (e colla falsa data di) Berna, 17S4 , in S.° di pp. 142. Quel Labindo (e perchè non si può egli dire il sig. conte Fantoni di Fivizzano?) il quale non à guari si annunziò al pubblico per imitatore sagace de' metri e del gusto de’ più eccellenti autori del buon secol d’Augusto nelle sue rime italiane, vien adesso con altro saggio delle medesime, dove pare che egli non siasi prefisso meno che di trasportare in quelle le grazie, la gentilezza e la naturalezza d’Anacreonte e di Saffo. Ne giudichi il lettore da quella piccola ode, che qui riportiamo; la prima che ci ha dato tra mano. Grazie a questo ornato Cavaliere, il quale si degna trattener le Muse sui gioghi Fivizzanesi, perchè non partano ancor dall’ Italia , come ci minacciano ». E qui riporta l’ode, che incomincia: Senza face e senz’arco Piangeva un giorno Amore, ecc. Odi I di I Labìndo | Dicar...... | ...... Aeolium carmen ad Italos I Deduxisse modos | Hor. Od. XXX. L. III. | Seconda cdizio.ne | Firenze)(MDCCLXXXIV. ] Appresso Vincenzo Landi ; in 8.° di pp. 32. L’editore G. P. A. F. (che potrebbe essere Giulio Perini, Accademico Fiorentino, noto abate, che aveva pubblicato nel 17S1, colla falsa data di Berna, il poemetto La Felicità d’Elvezio, tradotto in versi sciolti), l’offre « Al Sig. Labindo », con questa lettera, che ha la data: « Firenze, 5 luglio 1784 », e abbraccia le pp. 3-4. « Non vii desio di guadagno, non bassa ed interessata adulazione mi ha spinto a procurar la ristampa delle vostre Poesie. Io non fo il mercante di libri e non ho l’onor di conoscervi. Io le lessi qualche mese fa e le trovai eccellenti nel loro genere, armoniose , facili, piene ora di modi soavi e gentili, ora d’altissimi e maravigliosi concetti : domandai chi ne era l’Autore e mi fu detto il vostro nome, che io però non manifesto, rispettando la vostra módestia, che ve lo ha fatto tacere. Voi vi siete nutrito d’O-razio ed avete trasportato nella nostra lingua i suoi metri, i suoi pensieri ed i suoi gentili e scelti modi di dire, e lo avete fatto con mara-vigliosa felicità. La copiosa, armonica e soavissima lingua italiana si è piegata con estrema facilità ai nuovi modi Oraziani, cantati sulla vostra cetra elegante, e così l’avete arricchita di nuovi metri o non mai, o in- — 46 — felicemente tentati : figlia della lingua latina , conserva tra le vostre mani la bellezza e la nobiltà dell’antica sua genitrice o prenda i vezzi e le grazie d’una donzella leggiadra, o la maestà e la grandezza d’una matrona. Avete fatto ancora di più : le avete aggiunto dei vezzi che dalla madre non erano ancor passati nella figlia , e la figlia non si è resa men bella. Io desidero che dallo oscuro angolo della Toscana, ove vivete, sparghiate una scintilla del vostro fuoco, che svegli gli addormentati spiriti dei vostri confratelli, che riposano neghittosi all’ombra della lor gloria antica e tutto disprezzano e vilipendono e non fanno nulla. Le vostre eleganti Poesie meritavano d’essere più comuni ed io non ho fatt’altro, procurandone la ristampa, che compiacere gli amici che le ricercavano invano, ed assicurar voi della pubblica approvazione e della pubblica lode, che è Punico premio che voi possiate ottenere, ma il più nobile e il più lusinghiero che possa desiderarsi da un’ a-nima libera e generosa , qual mi è sembrata la vostra ». A p. 5 si legge la dedica a Caterina II; la p. 6 è bianca. Le poesie, che formano il volume, sono le seguenti: « Al fonte di.....». Garrulo fonte, pp. 7-8. — «Per la vittoria riportata il dì 12 aprile 17S2 nell’ Indie occidentali dalla flotta Inglese, comandata dall’Ammiraglio Rodney, sopra la flotta Francese del Conte di Grasse, fatto prigioniero nell’azione ». Rodney vincesti, pp. S-9. — « A Paimiro Cidonio ». Nunzio ornai, pp. 9-14. — «Al merito ». Cadde Minorca, pp. 15-17. — « All’Abate M[aurizio] Sfolferini] ». Morde Y Eridano, pp. 1S-19. — «Al Formidabile, vascello dell’ammiraglio Rodney ». Vanne fatale, pp. 19-20. — « Al Sig. Giacomo Costa ». Costa , che giovano , p. 21. — « Al Marchese Gfirolamo] P[allavicini] ». Torquato , quella , pp. 22-25. — « Ad alcuni critici ». Mevii tacete , pp. 25-26. — « Al Marchese di Fosdinovo Carlo Emanuele Malaspina. Invito a riposarsi dalla caccia ». Carlo genne d'eroi, pp. 25-28. — « Al Marchese C. B. deluso nelle sue speranze d’una corte ». Fugge rautun?ioy pp. 28-31. — « A Venere ». Diva dal cieco, pp. 31-32. Scherzo; nell'Almanacco delle Muse Italiane, 1785. Milano, per li fratelli Pirola, p. 8. E l’anacreontica, che incomincia: «Senza face e senz’arco ». Per la faustissima venuta ) in Toscana J di Ferdinando | di Borbone | Re delle Due Sicilie ecc. ecc. \ e \ di Carolina I dAustria | di lui Consorte | Odi di Labìndo | Hic dies vere milii festus | Hor. | Firenze MDCCLXXXV | Per Gaetano Cambiagi Stampatore Granducale | Con approvazione ; in 8.° di pp. XVI, 1’ ultima delle quali bianca. Nel centro del frontespizio c’è il ritratto dOrazio. Con una lettera, firmata : Giovanni Conte Fantoni (pp. 3-4), le Odi son dedicate « Alla — 47 — Sacra Reai Maestà | di i Ferdinando IV | Re delle Due Sicilie | Gerusalemme, ecc. ecc. ». Eccone l’elenco: « Al vascello il Giovacchino, comandato dal Cavaliere Forteguerri. Met. Or. dell’Od. XIII dell’ E-podo ». Nave che altera , pp. V-VI. — « A Fosforo. Met. Or. del-l’Od. XXVIII, Lib. I ». Figlia di Giove , p. VII. — « Al Marchese di Fosdinovo Carlo Emanuele Malaspina. Nuovo saffico ». Metà del-Vanimat pp. VIII-XII. — « Alla Sacra Reai Maestà di Carolina A-malia Regina delle Due Sicilie, ecc. ecc. Met. Or. Od. II , Lib. I ». Austriaca donna, pp. XIII-XV. Il 4 maggio del 17S5 scrivevano da Livorno alla Gazzetta universale di Firenze: « Di momento in momento aspettiamo alle nostre viste la squadra che qui deve condurre le LL. MM. il Re e la Regina di Napoli con la nobile comitiva ». Il 6 tornavano a scrivere : « Qui è giunto un gran numero di personaggi e primaria nobiltà da ogni parte, per essere spettatori dell’ arrivo delle LL. MM. Siciliane, quale sarà certamente uno spettacolo degno d’ammirazione, per la comparsa della numerosa flotta , per il rimbombo dell ’ artiglierie di queste nostre fortezze e per la sfarzosa gala di bandiere dei bastimenti, che sono in rada ». Ferdinando IV di Borbone, Re delle Due Sicilie, insieme con la moglie Maria Carolina Amalia d’Austria , sorella del Granduca Pietro Leopoldo, fin dal 30 d’ aprile s’ era imbarcato, nel porto di Granatello in Portici, sulla nave di linea il S. Giovacchino, comandata dal cav. Bartolommeo Forteguerri di Pistoia, un futuro amico e protettore di Labindo. Seguiti da una squadra di quindici legni, tra grandi e piccoli, le Maestà Siciliane, con prospero vento, approdarono a Livorno 1’ 8 di maggio. « Entrate dentro il moletto » (così la Gazzetta universale), « incominciò il saluto di queste fortezze di toi colpi di cannone, e quindi, in mezzo a una folla indicibile di popolo, passarono dentro la bocca delle darsena, di dove, per la via dei Fossi, arrivarono allo scalo detto del Finocchietti, luogo destinato per prender terra : ivi era adunata tutta 1’ uffizialità di questa guarnigione, nobiltà, ecc. per ricevere i RR. Sovrani egl’illustii viaggiatori. Sbarcati, si portarono a piedi al R. Palazzo, fra gl’ incessanti evviva ed applausi del popolo. Pochi momenti dopo si fecero vedere alla terrazza, ed allora l’immensa folla rinnovò le più festose e liete acclamazioni , alle quali il Re corrispose con segni di gradimento. Dopo aver preso qualche riposo , si portarono circa le ore 9 al teatro , che era illuminato a giorno; dove pure gli spettatori, che in gran follavi erano concorsi, per tre volte batterono le mani in segno di letizia ». Il giorno appresso il Granduca Pietro Leopoldo, che aveva sempre al fianco la moglie, Maria Luisa di Borbone, Infanta di Spagna, condusse gli ospiti a Pisa a vedere il Giuoco del ponte ; spettacolo famoso , al quale Labindo invitava con l’ode: Metà dell'anima del tuo cantore l’amico Carlo Emanuele Malaspina ad assistere. Eccone la descrizione della Gazzetta universale. « 1er mattina (10) vi fu appa'rtamento a Corte per la nobiltà sì nazionale che estera, e nel dopo pranzo venne - 48 - eseguita la funzione del cartello d’ invito , ossia la disfida tra le due parti di Tramontana e di Mezzogiorno. Riempitesi d’immenso popolo le vicinanze del ponte e preparata ad uso di ricca loggia la ringhiera del Palazzo Pretorio, vi comparvero i nostri Sovrani con i RR. Ospiti nell’istessa carrozza e la corte in diverse altre.. ... Erano già passate nei rispettivi campi le truppe deU’una e dell’altra parte; sotto la loggia dell’ Ufizio de’ Fossi si vedeva alzato un padiglione allusivo alle squadre di S. Antonio per residenza dei comandanti , deputati, ecc. Parimente sotto la loggia delle Sette Colonne era stato già disposto l’altro padiglione colle respettive divise e bandiere per il comandante ed ufi-ziali della parte di S. Maria, ed in questo intervallo si sentivano tamburi battenti e bande all’uso militare. Ricevuto l’ordine dal Sovrano, seguirono le reciproche disfide, eseguile con tutte le formalità, sì dal-1’ una, che dall’ altra parte, fra gli incessanti evviva e trasporti di una indicibile gioia. Quindi si dette principio alla marcia delle truppe, riccamente vestite, e sfilarono verso la piazza del Duomo, ove era stata imbandita una lauta merenda sotto dei padiglioni: e gli ufiziali furono trattati di squisiti rinfreschi, il tutto a spese della Corte, che onorò di sua presenza, in compagnia sempre dei prelodati illustri viaggiatori. Questa festa riuscì nuova, magnifica e brillante ». Il giorno appresso ebbe luogo lo spettacolo del Giuoco del Ponte. « Giunta la Corte nella loggia consueta, prese posto l’infanteria, venuta espressamente, con i suoi ufiziali nell’una e nell’altra parte del ponte, come altresì le reali guardie, e dai rispettivi suoi campi defilarono le truppe dei giocatori, e visitati e numerati stavano sulla rispettiva piazza. I giocatori, impazienti di dimostrare la loro bravura, e animati dai continui applausi, vennero dagli ufiziali messi in ordine, per cosi dire, di battaglia; alla quale fu dato il consueto segno col tiro d’un mortaletto. Era un singolare colpo d’occhio il vedere riunite nelle vicinanze del ponte tante migliaia di spettatori. Circa diciotto lance napolitane comparvero dalla parte di mare, superbamente guarnite e piene tutte d’ ufizialità della flotta e corredate di strumenti militari. Le finestre , i palchi e le ringhiere, che giungevano fino sopra i tetti , erano ricolmi di spettatori, i quali fra il brio e fra 1’ evviva formavano un colpo d’ occhio di cui non abbiamo memoria. Si è combattuto dall’una e dall’altra parte con tutto l’impegno, ed è restata vincitrice gloriosamente la sempre gloriosa di Mezzogiorno, ovvero di S. Antonio...... Terminato il celebre spettacolo e dato luogo ai geniali applausi della parte vincitrice , all’ora fissata fu aperta la magnifica sala preparata per la festa di ballo nell’atrio della Sapienza. Questa riuscì oltremodo magnifica e sorprendente, non solamente per la grandezza del luogo, adornato all’ultimo gusto ed illuminato a giorno , quanto ancora per la moltitudine del popolo e per la profusione d’ogni sorte di rinfreschi, biscotteria e ge lati...... I RR. Visitatori con gli augusti Sovrani vi si trattennero per molto tempo, rallegrando con la loro presenza le persone concorse, la maggior parte in sfarzosa gala.,..,. Nel martedì dai vincitori geniali — 49 — di S. Antonio fu celebrato il loro trionfo , ed andarono in tal guisa per le principali vie della città. Aprivano la marcia diversi furieri a cavallo, e la vanguardia delle varie truppe era comandata dai rispettivi ufiziali con tamburi battenti : compariva in appresso il carro trionfale, tirato da sei cavalli e preceduto dalle bande vincitrici e strumenti militari; in esso stava assiso il comandante con diversi ufiziali dello stato maggiore, adorno di diversi emblemi allusivi alla riportata vittoria. Formavano la retroguardia le altre truppe con gli ufiziali tutti a cavallo ; spettacolo che formava il più bel colpo d’occhio e che i RR. Personaggi furono a goderlo nella solita ringhiera del Palazzo I retoiio. Continuamente vennero gettati da ogni parte poetici compo-niment', ed il rimbombo dei mortaletti durò per tutta quella giornata. I erminato il giro, fu imbandito un lauto pranzo, a spese del comandante e ufizialità, copioso di cento coperte nel salone del Gran Priorato di Malta, adornato tutto di bandiere , cimieri e targoni coronati di lauro. Vennero invitati alla mensa, secondo lo stile, anco i signori comandante, maggiore e deputati della parte di S. Maria. Nel tempo medesimo risuonarono sempre musicali strumenti, con profusione di rinfreschi e confetture fino alla sera , nella quale i vincitori dettero una magnifica festa da ballo nel Teatro Prini , ornato parimente di bandiere, ghirlande e di altri gloriosi emblemi. Tutte le Reali Persone v’intervennero in bautta; la festa riuscì assai brillante e continuò fino alle sei del giorno seguente ». Il prof. Vittorio Cian, tenendo per guida le Notizie di fatti'pubblici della nostra città di Pisa e delle città circonvicine 1760-1791, del canonico Giuseppe Luchetti, che si conservano mss. nella Biblioteca del Seminario di Santa Caterina, dà una interessantissima descrizione di tutte queste feste e l’accompagna con una quantità di vedute. Cfr. Cian V. I ittorio Alfieri in Pisa ; nella Nuova Antol^gia^ serie IV, vol. CVII, pp. 54S-589. Per tutto il tempo che le Maestà Siciliane si trattennero in Toscana fu un alternarsi e succedersi continuo di spettacoli e di feste. Quella che esse dettero a Livorno « per il dì natalizio di Luisa Maria Borbone , Infanta di Spagna e Gran Duchessa di Toscana » venne cantata da Labindo con l’ode: Ride la gioia. Recatesi a Bologna, dove giunsero il i.° di giugno , di là passarono a Modena, a Parma, a Piacenza, a Torino e a Genova. Il 6 di luglio, per mare, fecero ritorno a Livorno; il 29 luglio s’imbarcarono per Napoli, dove arrivarono il 7 d’agosto. Era in compagnia loro, sulla nave il S. Gio-vacchino, il nostro Labindo, che si lusingava d’avere un impiego alla Corte de’ Borboni; e con l’intento appunto di conseguirlo stampò il libriccino presente. Durante il soggiorno de’ Reali di Napoli in Toscana , il Granduca « dovette trangugiare la maggior mortificazione che soffrir possa un regnante , vale a dire che ogni volta che ei si trovava a passeggiare in compagnia di Ferdinando IV, gli toccava ve- Giorn. SI. e Leti, della Liguria. 4 — 50 — dere la gioventù in folla gettarsi a’ piedi di quel monarca a chiedergli qualche miserabile impiego onde trovar di che vivere ». Lo racconta Γ ab. Francesco Becattini , fiorentino , una delle lingue più tremende della fine del secolo XVIII, nella sua Vita pubblica e privata di Pietro Leopoldo d'Austria, Granduca di Toscana, poi imperatore Leopoldo II; velenosissimo libello, stampato a Milano dal Galeazzi nel 1796, con la falsa data di Filadelfia all'insegna della Verità , e poi di nuovo ri- > pubblicato, coi medesimi torchi , Γ anno dopo , con la falsa data di Siena all’ insegna del Mangia. Maria Morelli Fernandez , nota tra le poetesse d’allora col nome di Corilla Olimpica, il 9 di settembre scriveva ad un amico: « Saprete che la Regina di Napoli mi ha chiesto alla mia Sovrana per qualche mese acciò le faccia compagnia negli ultimi mesi della gravidanza, sicché vado a novembre a Napoli ». λ i andò infatti ; e da Napoli scriveva il 29 febbraio del 17S6 all’ab. Biondo Biondi a Firenze : « Non ostante i molti rapporti che ho co’ primi signori del paese, e con tutte le amicizie contratte, pure non mi è bastato l’animo d’impiegare un nostro toscano per cui mi era impegnata anche innanzi di partir di Toscana , e nemmeno ho potuto impiegare quel chirurgo che mi accompagnò nel viaggio da Firenze a Napoli. La scarsezza degli impieghi e la moltitudine immensa de' forestieri che stanno a spasso, specialmente toscani, mi rende ogni tentativo i-nutile e intempestivo. Vi son qua il cav. Codronchi e il conte Fan-toni , i quali credo che se ne ritorneranno in Toscana , non avendo essi potuto per ancora nulla ottenere ». Cfr. Ademollo A. Conila Olimpica, Firenze, Ademollo, 1SS6, pp. 3S0 e 383. % A Fille I invito alla campagna di Portici | ode saffica | di Labìndo ; in 8.° di pp. 4 η. η., Γ ultima delle quali bianca, senza anno, luogo e stampatore. È l’ode XIII del libro II: Sereno riede il pampinoso autunno, ecc., composta e stampata in Napoli nel 17S5· ^ Giornale de' letterati di Milano, vol. IX, 15 maggio 17S6 , pp. 99105, scriveva: « Il celebre Labindo, che si è reso ormai noto nella Italia per Γ impegno di voler comparire V Orazio toscano, si condusse l’anno passato da Toscana in Napoli, dove egli credette d’introdurre una nuova maniera di verseggiare secondo lo stile ed il metro di Orazio, ed a tutti quei letterati per un novello Orazio si annunziò. Egli, stando nel mese di ottobre in un luogo di villeggiatura vicino a Napoli , detto la campagna di Portici, stampò un’ode saffica, invitando in campagna una culta dama napoletana, brillante e molto letterata. Di questa ode si parlò molto » ed i partigiani di Labindo sostenevano che poteva passare per un’ode di Orazio e che sicuramente non vi era persona in Napoli che comporne una simile saputo avesse...... Un giovane napoletano , geloso della fama dello inimitabile cantore di Venosa ed indispettito del di- l — 5i — spregio fatto alla sua patria ed a’ suoi concittadini, scrisse una critica sulla ode, e mostrò che, oltre esser Labindo assai discosto da Orazio, la ode era molto sciocca, secondo le leggi poetiche. Egli andò esami -nando tutto, e prima d’ogni altro giudiziosamente rifletté che il pensiero della ode era erroneo e vizioso; infatti l’argomento è, che invita Fille che da Napoli si conducesse a Portici, per vedere le contadine sporche e melensi recare in testa le bigonce piene d’uve stivale; un rozzo contadino premer le uve coi piedi Dio sa quanto netti; un asino dietro di una botte, il quale rumina contro sua natura; un vecchio ubbriaco, che dorme, russa, ride e vomita mosto. Quando che molti belli argomenti potevano ritrarsi dalla natura del medesimo luogo , che è deliziosissimo, su del quale molte favole sono state inventate da’ poeti, e Labindo poteva molto giudiziosamente condirne la sua ode. Inoltre le persone che dice a Fille che troverebbe venendo a Portici , le descrive in modo da distoglierla da condursi ivi , cioè uno degli ospiti ammalato , e che sta pieno di paura e malo umore , per la cura che sta facendo, prescrittagli dal medico; il canonico a cui piace l’ozio e lo stare in letto. Dipoi le dice che venendo la notte , 1’ avrebbe condotta sopra il giogo del Vesuvio, che stava allora cacciando gran lava di fuoco ; allora quando tutti gli abitanti di Portici fuggono di là in Napoli, per timore di non essere bruciati dall’ eruzione del Vulcano. Oltra il vizio de’ sentimenti, il critico, con somma grazia, notò ancora molti altri errori di lingua e di grammatica, come il ruminare dell'asino, bigoncio per bigoncia, la lava che si erge , quando essa scorre per lo chino, svenare un ecatombe ed altre cose molte, dette con eleganza e dottrina. In seguito di questa critica si pubblicò un’ apologia di Labindo. Avrebbesi potuto difendere bene Labindo in alcuni luoghi, dove veramente il critico aveva molto sottilizzato ; ma egli altro non fece, salvo che impiastricciare molte carte, che accrescevano gli errori di Labindo; e ci accoppiò le più alte ingiurie contro del critico, tacciandolo fin anche nella riputazione. Questa villana apologia diede motivo a quel virtuoso giovane che dasse fuori una sua difesa , che va sotto il titolo di Risposta alla replica in difesa della canzone di Labindo a Fille. La sua mira è stata principalmente contro l’apologista di Labindo, ed ha mostrato palpabilmente gli errori suoi , senza contraccambiarlo però nelle villanie. Molti sono gli spropositi che gli va notando, che troppo lungo sarebbe il qui riferire ; ma ci piace solamente di accennare quelli della pag. 107, dove il critico essendo stato tacciato dall’apologista per ignorante della gramatica e lingua toscana, gli numera egli al contrario molti errori di lingua e di gramatica nella sua scrittura , e nella pag. S9 li porta tutte le voci da lui usate che 11011 sono della Crusca, come memoriucciaì saccent nolo, portellino, dipìngere, grecismi, ippocondriaci, vulcaniche, medicamento, cratire, ragliata. In tutta l’opera, dove sta ristampata la critica sull’ ode e Γ a-pologia ancora, si mostra che la maggior parte de’ concetti dell' apologista sono interamente rubati dalla risposta di Banchi, ed alla pag. SS — 52 — e 105 si segnano anche i luoghi del Banchi , ed il critico dice: siccome nel Banchi sono grazie e lepidezze di un vero letterato che scrive, così diventano in voi sbavazzatile d’una donna che fila. Questa risposta è molto degna, ed è scritta con un giudizio ed erudizione infinita, accompagnata da molte lepidezze e grazie toscane, e con un’eleganza poi di lingua e di stile impareggiabile », De’ tre opuscoli ricordali in questa recensione , il primo è intitolato : Risposta \ ad un amico, I nella quale si segnano j alcune cosette | della \ canzoncina \ di Labìndo a Fitte; in S.° picc. di pp. 23 , senza luogo , anno e note tipografiche. Se ne trova un esemplare nella Biblioteca Municipale di Napoli, già Cuomo ; ed è segnato: Miscellanea , 2.a serie, Anonimi, 29, n.° 8. Il secondo ha per titolo: Replica | alla risposta ad un a-mico I nella quale si segnano alcune cosette | della canzoncina \ di Labindo a Fille I L'invidia, figliuol mio, se stessa macera. j SAN.[nazaro] 1 M.DCC.LXXXV. ; in S.° di pp. 40, senza luogo e nome di stampatore. A tergo del frontespizio si legge : Quid dictum in se inclementius Existimat esse, sic existimet, sciat Responsum, non dictum esse, quia laesit prius. (Terent., Prol. Eutm.). A pp. 3-4 è ristampata : A Fitte, Invito alla campagna. Ode saffica di Labindo. Le pp. 5-40 contengono la Replica. A pp. 39-40 si trova la seguente lettera : Gentiliss. Sig. Amico e Padrone stimatiss. Vi rimetto la copia favoritami della Risposta ad un amico, nella quale si segnalajio alcune cosette della Canzojicina di Labindo a Fille. Invano mi consigliate di prender la penna. Aborrisco le dispute letterarie', e non rispondo alle critiche. Se la critica è ragionevole, mi correggo e professo la mia stima a quell’ Uomo di merito che ha avuto il coraggio di dispiacermi per istruirmi ; se irragionevole, la disprezzo e compatisco l’Autore. Le grossolane ed insolenti espressioni, di cui questa è ripiena, non son capaci di avvilirmi sino al risentimento. Gl’ insulti sono di chi li fa , non di chi li riceve. Mi sorprende soltanto , che in una capitale delle più culte e meglio regolate d’ Italia vi sia chi abbia l’impudenza d’ insolentire contro un forestiere, quando si protesta di non conoscerlo. Mi sottoscrivo con tutta la stima Div. Obbl. Serv. ed Amico Labìndo. Dalla p. 38 si ricava che questo anonimo censore del Fantoni fosse L. D., ossia Luigi Deodati. Si trova un esemplare del rarissimo li-briccino nella Biblioteca della Società Napoletana di Storia patria ed è segnato: Stanza 2.a, VII , B. 9. Debbo queste notizie alla cortesia dell’amico dott. Fausto Nicolini. Il terzo degli opuscoli, ricordato dal Giornale de* letterati di Milano , ha per titolo : Risposta | alla Replica in difesa | della canzoncina | Labindo a Fille; in S.° di pp. 120, senza anno, luogo e nome di — 53 — stampatore. Ne possiede un esemplare nella sua ricca collezione di cose patrie l’amico Raimondo Lari di Sarzana. Darò un piccolo saggio della Risposta. La Replica aveva così parlato di Labindo: « Sappia» (il critico) « che questo Autore, il quale non ha egli la sorte di conoscereè un cavaliere conosciuto per sommo poeta in Italia e fuori d’Italia; e...... conosciuto per sommo e nobile imitatore d’ Orazio , a segno che i migliori giornali d’ Italia e d’oltramonti lo hanno chiamato l’Orazio italiano, VOrazio toscano; e se il nostro Zoilo leggesse qualche volta e non perdesse il tempo a scriver tanto sciaguratamente, lo saprebbe al pari di noi. E saprebbe di più, che questo dotto cavaliere si pregia di essere imitatore d’Orazio, di trasportarne a noi le bellezze ed ancora l’armonia ed il metro : ma non si vanta di seguirlo in ogni passo religiosamente , nè che Orazio , risorgendo prima del tempo, fosse astretto a cantare colla lira di Ini·. Si vanta bensì di seguir le orme di un tanto maestro e di apprender dai Greci e dai Latini la maniera di scrivere e di discorrere; e per questa ragione sa egli essere nobile imitatore e non misero ed insipido copista, e sa conoscer con critica quali sono le bellezze da imitarsi e quali le censure e le riflessioni degne di riso ». Il critico , ossia il Deodati , così lo rimbeccava nella Risposta: « Voi mi esortate, a fin di conoscerlo, che 10 legga i giornali ; ma io vi confesso ingenuamente che questo non è uno studio che fa per me, non incontrando alcun piacere di fare il ciarlatano, e spezialmente nelle buone , oneste e dotte brigate. Tutto 11 di più poi di quetto paragrafo conferma il mio detto, ch’egli, Labindo cioè, si gloria di essere esatto imitatore d’Orazio ed in conseguenza voi stesso venite a confessarmi che egli tal vanto si dia. Allo ’ncontro io nego ch’egli sappia imitare Orazio e quinci nasce la nostra contesa ». Poesie varie, | e prose | di | Labìndo | Est Deus in no-bis, agitante calescimus illo. | OviD. | — | MDCCLXXXVj in 8.° di pp. 167, oltre i bianca in fine, senza luogo, nè stamperia. A pp. 3 4 si legge: Altezza, Uno stile ambizioso di lodi sacro ai Mecenati del secolo non adornerà certamente questa mia breve dedicatoria. Per tesservi un elogio io mi contento di nominarvi. Nè vi defrauderò di quegli encomj che meritate: il mondo parlerà mentre io taccio. Voi già ne conoscete il linguaggio: nacque dai sentimenti che inspirarono i vostri benefizi. Quanto sia questo eloquente riconoscetelo dalla seguente iscrizione: A GIORGIO LORD NASSAU CLAWERING PRINCIPE DI COWPER LA GRATITUDINE DI LABÌNDO. — 54 — Le Odi [pp. 5-71] sono spartite in due libri. Il libro I [pp. 7-39] contiene le seguenti : « A Giorgio Nassau Clawering Principe di Cowper ode. Met. Or. dell’Od. IX. Lib. I ». Nassau , dei forti, pp. 7-9. — « Al merito. Met. Or. dell’Od. II. Lib. I ». Cadde Minorca, pp. 10-13. — « Al Marchese di Fosdinovo Carlo Emanuelle Malaspina. In vito a riposarsi dalla caccia. Met. Or. dell’Od. VII. Lib. IV ». Carlo, germe, pp. 14-15. — « Al cav. Francesco Sproni. Contro i primi navigatori aerei. Met. Or. dell’Od. XVIII. Epod. ». Sproni, da i candidi, pp. 16-1S. — « Al Marchese C. B. deluso nelle sue speranze da una corte. Met. Or. come sopra, Od. II ». Fugge Γautunno, pp. 19-22. — « Al Formidabile. vascello dell’Ammiraglio Rodney. Met. Or. del-l’Od. I dell’ Epod. ». Vanne fatale, pp. 23-24. — « A Venere. Met. Or. dell'Od. XIX. Lib. I ». Diva dal cieco, pp. 25-26. — « Al Signor Dott. Alessandro Bicchierai. Met. Or. come sopra, Od. II ». Toscano Ippocrate, p. 27. — « Ad un’ amica. Amor non ha legge. Met. Or. come l’antecedente ». Versi non chiedermi; p. 28. — « Al Sig. Giacomo Costa. Met. Or. dell’Od. XXL Lib. I ». Costa, a che giovano, p. 29. — « Al Conte Odoardo Fantoni. Per il ritorno d’America a Londra dell’Ammiraglio Rodney dopo la vittoria del dì 12 aprile 1782. Met. Or. come sopra, Od. II ». Sorgi Tamigi, pp. 30-3r. — « Al Duca di Crillon. Dopo essere stata soccorsa Gibilterra dalPAmmi-raglio Howe a fronte dell’armata Gallispana. Met. Or, dell’Od. XXVIII. Lib. I ». Crillon, folle, p. 32. — « Al Sig. Avvocato Giovanni M. Lampredi. Met. Or. come sopra, Od. II, Chi l’ alma , p. 33. — « Il giuramento tradito. Met. Or. come sopra, Od. XII ». Quant'è vitrea, p. 34. — «A Diana. Met. Or. come sopra , Od. II ». Verghi dall’arco, p. 35. — « L’ amante disperato. Met. Or. come sopra, Od. VII ». È una proterva, pp. 36-37. — « Ad Apollo. Per malattia di Nerina. Met. Or. come sopra, Od. II ». Lascia di Delfo , pp. 38 39. — Il libro II [pp. 41-71] comprende le odi seguenti: « Al Silenzio. Met. Or. dell’Od. XIV Epod. ». Dal cupo orror , p. 41. — « Per la vittoria riportata il di 12 aprile i7S2 nell’Indie occidentali dalla flotta Inglese, comandata dall’Ammiraglio Rodney, sopra la flotta Francese del Conte di Grasse, fatto prigioniero nell’ azione. Met. Or. come sopra, Od. II. Lib. I ». Rodney vincesti, p. 42. — « All’Aurora. Met. Or. dell’Od. XIII. Epod. ». Nuda t’ijivola , p. 43. — « Dialogo. Labindo e Licoride. Met. Or. dell’Od. VI. Lib. I ». Lab. Crudel Licori, pp. 44-45. — « Al Marchese di Fosdinovo Carlo Emanuelle Malaspina. Met. saffico sdrucciolo ». Alle auree corde, p. 46. — « Al Conte Luigi Fantoni. In morte del Marchese Gio. Agostino Grimaldi della Pietra. Met. Or. come sopra, Od. III. Lib. II. », Musa lacero, p. 47. — « Al Sig. Giuseppe Bencivenni già Pelli Direttore della Reai Galleria di Firenze. Met. Or. come sopra, Od. II. Lib. I. Lode di Metastasio ». Folle s’inalza, pp. 48-50. — « Alle Muse. Met. Or. composto del-l’Od. V e dell’Od. IX. Lib. I ». Dal crin biondissimo, pp. 51-53. — « Al Sig. Giorgio Viani. Met. Or. come sopra, Od. II. Lib. I». Ozio agli Dei, pp. 54-55. — « Al Barone del S. R. I. Luigi Isengard. Per il giorno natalizio del Marchese Carlo di Fosdinovo. Met. Or. del-l’Od. I. Lib. I ». Prole germanica, pp. 56-57. — « Per la partenza del cav. Bernardino Sproni per Cadice. Met. Or. dell’ Od. 111. Lib. I ». Nave che ai lidi, p. 58. — « Ad alcuni critici. Met. Or. come sopra, Od. II, Lib. I ». Mevii tacete, pp. 59-60. — « All’Ab. Maurizio Solferini. Met. Or. dell’Od. VI. Lib. I ». Morde VEridano , pp. 61-62. — « Al servo. Per la pace del 17S3. Met. Or. come sopra , Od. II. Lib. I ». Pende la notte , p. 63. — « Per il ritorno da Vienna nel 1784 di S. A. R. Pietro Leopoldo Arciduca d’Austria e Granduca di Toscana, etc. etc. Met. Or. come sopra, Od. II ». Figlio immortale, pp. 64-65. — « Al fonte di..... Met. Or. come sopra, Od. II. Lib. II ». Garrulo fonte, p. 66. — « Per la pubblica apertura della nuova Accademia delle arti eretta in Firenze nel 1784. Al Marchese Manfre-dini. Met. Or. Od. XVIII. Lib. XI ». Al suon della minaccia, pp. 67-70. — « Al Sig. Abate Gioacchino Pizzi Custode generale d’Arcadia. Met. Or. come sopra, Od. II. Lib. I. ». Pizzi devoto, p. 71. — Segue la Notte [pp. 73-78] che ha per soggetto : La vita, il tempo, Veternità. Vengon poi gli Idilli [pp. 79-151], dedicati al cav. Francesco Sproni con questa lettera: « In mezzo alle dispute dei partigiani dell’antica poesia pastorale e della moderna io dò i miei Idillj alla luce. I freddi copiatori delle frasi, non della delicatezza di Teocrito e di Virgilio, gli biasimeranno forse per ricercati, e gli amatori dello spirito del secolo e del frizzo Francese gli accuseranno di semplicità. Io mi contento di aver imitata la natura e non trascurata quell’ arte che tanto più si rende difficile quanto meno apparisce. Era tempo che i poeti d’Italia, divenuta, non so per qual fatale decadenza, serva delle oltramontane Nazioni, cessassero di tradurre gl’Idilli di Gesner e ardissero d’inventare su l’antiche traccie di Bione e di Mosco. Se le mie forze non a-vranno corrisposto ai desiderj, servirò almeno di sprone a qualche ingegno felice, trattenuto finora dai pregiudizj e dalla consuetudine. Sarò abbastanza contento d’aver risvegliata la mia Nazione dal letargo in cui dorme e di averla richiamata a quei tempi immortali d’invenzione e di lode, che malgrado gii sforzi degli altri Popoli la rendono la più gloriosa ». Il primo degli Idilli è II dove [pp. S3-88], che mandò allo Sproni, scrivendogli : « Sembrami che l’accluso idillio non sia indegno di essere ammesso fra quei momenti che consacrate alle Muse. È sacro a Fille ed è figlio di un giorno , ed il desiderio d’ inviarvelo gli ha data più frettoloso la vita. Pascete un’anima, qual’è la vostra, della deliziosa solitudine di quel boschetto , che vi descrivo , ed obliate in quel silvestre recinto le cure inutili , tiranne di una nascita illustre. Dividete la mia sensibilità, ed imparate da me a non perdere l’occasione di credervi felice, che, quanto si può, meritate di esserlo ». Il Simulacro [pp. 89-92] è dedicato al barone Luigi d’Isengard. Gli dice: « Meriterei la taccia d’ ingrato, se dimenticassi un amico ed uno de’ più zelanti miei partigiani. La semplicità pastorale mi è sembrata con- — 56 — veniente alla schiettezza del vostro cuore, ed un idillio è quello che vi consacro ». La Solitudine [pp. 93-97] ha in fronte questo biglietto a Giorgio Viani : « Amor è la più soave e la più crudele delle passioni. Tirsi, abbandonato dopo due lustri di corrispondenza da un’ambiziosa Ninfa incostante, cede al destino, che gli apre la tomba, e serve di e-sempio agli abitatori d’Arcadia. Apprendete dalla sorte di un infelice a non lasciarvi sedurre dalle lusinghe di un volto, e se la vostra sensibilità abbisogna di pascolo, cercatelo in seno dell’ amicizia ». Il Lampo [pp. 98-102] lo intitola ali’avv. Ascanio Baldasseroni, e nella dedica gli disegna il ritratto di Madama B. La morte di Misi [pp. 103-108] è accompagnata da una lettera al Sig. P. L. Il Temporale [pp. 109-111] lo manda all’ab. Giuseppe Maria Spina, sarzanese, il futuro cardinale. « Voi bramate un idillio la di cui pittoresca descrizione inviti l’amabile Hoftman a sfoggiar nel disegno ; ed io v’indirizzo quello del Temporale », come « pubblica testimonianza » di stima e di amicizia invariabile. Nella dedica dell’ idillio II Testamento [pp. 112-116] al conte C. M., « a cui lasciò una pingue eredità un tenero padre », è notevole questo tratto : « Le tue ricchezze non sono che un pegno dell’ altrui felicità, a cui volle il cielo contribuire scegliendoti per degno mezzo delle sue beneficenze , perchè ti conobbe forse un cuore capace di non defraudarle. Te infelice, se invece d’esser ministro della sua pietà , lo sarai della sua vendetta. Coveranno nel tu’ oro i rimorsi e turberanno la pace di quei sonni tranquilli di cui il genitore ti lasciò erede morendo. Ma, te fortunato, se tergendo le lacrime de’ bisognosi e correggendo con quello i capricci della fortuna, vedrai crescere i tuoi tesori fra i voti dell* Umanità e la giusta ricompensa del Cielo. Fra i singhiozzi e le benedizioni della povertà, fra le grida degli orfani, delle vedove e dei pupilli, che ti chiameranno col nome di padre , ti coronerà la Virtù, e ne’ suoi fasti ti eternerà la Natura, contenta di avere tal figlio. Non oserà l’invidia lacerarti, temendo , se parla, di tesserti non volendo un elogio, o d’essere sbeffata dalla voce e delusa dai benefizi. Morrai , poiché il Cielo senza ricompensa non lascia la virtù, che protegge; e pianto, passerai a godere quel premio, che meritò il tuo cuore vivendo. Involto ancora nel freddo silenzio della tomba, verrà la Gratitudine a versare lacrime miste di tenerezza e di dolore sul freddo sasso, e da quel tacito recinto di morte spireranno virtù le tue ceneri e serviranno d’esempio, o di rimorso ai mortali. Non abusarti dunque dei doni del Cielo , non corrispondere ingrato ai beneficj paterni. Se le ricchezze saranno per te fomento di vizio, ti fuggo e ti compiango; se dolce impulso a beneficare i tuoi simili, anch’io mi glorio di esserlo e di provarti con 1’ opre vivendo che tu devi avere allora il mondo ammiratore ed amico affezionatissimo Labindo ». L’idillio L'Occasione [pp. 117-126] Pinvia al marchese Contery di Cavaglià, accompagnato da alcune « osservazioni galanti », che mette conto trascrivere: « Il Barone di G., noto per la sua o-pera Su i vantaggi politici della volubilità delle donne, passa ogni — 57 — anno qualche mese nel vicino borgo di M. ove nelle ferie autunnali vi concorrono non pochi villeggianti dalla città. Amici fra di noi da gran tempo , ci visitiamo allora scambievolmente. Saranno forse otto giorni eh’ egli venne a trovarmi , e malgrado la mia ripugnanza e le addotte scuse di occupazioni , volle seco condurmi. Per distrarmi , a suo dire, dalle mie poetiche fissazioni, fui da lui presentato 1’ istessa sera nella migliore conversazione. La Contessa di......, che non eccedeva, a mio parere, i trent’anni, circondata intorno da parecchie persone, che mi salutarono con somma freddezza, m’accolse con tutta la civiltà e m’obbligò cortesemente a sederle appresso. Profittai della sua esibizione, malgrado l’inquietudine eh’ io leggeva in volto di tutti, ed ebbi agio di considerarla. Una statura vantaggiosa, una vita ben fatta, una carnagione assai bianca, -un profilo delicato, due languid’occhi celesti, una capigliatura nè bruna nè bionda, negligentata con arte, una abbigliatura seducente, me la facevano comparire assai bella, ma i di lei delineamenti, considerati con più attenzione , indicavano di aver sofferto qualche disordine. Dopo le solite interrogazioni, che il buon costume prescrive , mi domandò come poteva adattarmi a condurre una vita così ritirata. Tutto dipende dalla consuetudine : io ritrovo un divertimento nello studio ed i miei libri mi servono di compagnia. Certamente, se fossi nella situazione del Sig. Barone , mi occuperei differentemente. Questo complimento , detto con un’ aria d’ ingenuità, mi meritò un’occhiata di compiacenza , che fece cangiar colore a più d’uno. Quello, a cui più forse rincrebbe, propose una partita di giuoco. Dopo qualche contrasto sulla scelta del medesimo, Madama decise da oracolo e fu preparato il tavolino per il trentuno. Mi domandò se voleva divertirmi , al che avendo risposto eh’ io dipendeva in tutto da lei, volle che mi accostassi con la sedia alla sua. Potete immaginarvi qual fosse la principale mia occupazione. Tre dame e dieci uomini formavano il numero de’ giocatori. Osservai ogni loro gesto , ogni moto ed ogni parola, e conclusi che la padrona di casa era una di quelle che non amano alcuno , ma fingendo una precaria sensibilità, vogliono essere amate da tutti. Io fui stimato una facil conquista , e ben presto dimenticato, ora per uno, ora per 1’ altro. Un serio contegno, naturale a chi è dedito all’applicazione, prodotto anche in parte dalla noia che mi recavano quattr’ ore di giuoco, mi fu interpretato per un principio di gelosia. Mi vidi ripetere le attenzioni, e nell’ atto di partire mi sentii stringer la mano. Non sì tosto mi trovai solo col mio compagno, gli comunicai le mie riflessioni. Non vi siete ingannato, mi disse ridendo il Barone, Madama...... è il ritratto della vanità ed il modello delle capricciose. Affetta una fanciullesca semplicità ne’ suoi discorsi, ma le sue maniere son ben differenti. Divenuta erede di un padre avaro , che le avea data una pessima educazione, restata vedova, dopo due anni di matrimonio, di un vecchio marito, preso contro suo genio, si è data senza riserva in braccio a’ divertimenti, e conversando senza distinzione, si è procacciata degli adula- tori, ma non degli amici...... Ella si è domiciliata nella vicina città e passa l’autunno or in un luogo, ora in un altro: quest’anno è qui venuta, dove possiede per dodici mila lire di entrata. Molti adoratori della sua conversazione la seguono, ed alcuni se ne procaccia ancora. Di questi è quel giovine, che le sedeva accanto, attillato nel suo vestire, misurato nel muoversi, che per essere stato un mese a Parigi ha adottato per tutta la vita un affettato gallicismo. Egli è figlio di un finanziere, che si è rovinato per avere il titolo ^li marchese. Se giuoca , benché capace di qualunque bassezza, la fa da grande ; se parla, decide come uno degli autori dell’ Enciclopedia ; si crede profondo quanto un Montesquieu e frizzante quanto un Voltaire. Dio vi preservi dal trovarvi seco, da solo a solo ; vi affogherà di poco buone ragioni, per capacitarvi del suo preteso merito, e voi, sbadigliando, lo lascerete , riconoscendolo un niente. Quello eh’ era dopo di lui è un gentiluomo, che frecciati molti in diverse città, perseguitato dalle premure de* suoi creditori , si è ritirato in questo villaggio e vive della mensa dei villeggianti. A sentirlo discorrere, è di una nobiltà più antica della famiglia di Saxen-Weimar e più ricco dello Statolder d’ O-landa. Non avendo tanto talento da saper divertire la compagnia , fa il mestiere del relatore e del novellista. Gli altri sei, che giuocavano, sono venuti dalla città, egualmente che quella vecchia, con cui mi osservaste parlare famigliarmente , che voi stenterete a credere che sia una fanciulla. Questa è l’amica della contessa e la sua segretaria. Non ve ne faccio il carattere, perchè comune a tutte quelle che si adattano per necessità a servire il cicisbeismo. Quella grossa signora, vestita di color pulce , che discorreva con lei, è la Presidenta di B., conosciuta per le galanti avventure della sua gioventù ; e 1’ altra, ch’era accanto a quel magro Abate , che non ha mai parlato in tutta la sera , è sua figlia, maliziosa non men della madre, promessa in isposa a quello stupido signore, che vi richiese nuove di vostro zio il colonnello. Quel panciuto, che per lo più teneva il banco , è il Conte di F. , che pretende esser uomo di spirito, e l’altro il Marchese di B., celebre spensierato. Quei due giovinotti , che non aprivano bocca , per timore di dire qualche sproposito, sono i due fratelli Cavalieri di R....... sortiti di collegio che saranno tre mesi. Madama pare che distingua il secondo di questi , perchè non eccede i vent’ anni ». Queste « osservazioni galanti », scritte da Labindo mentre abitava in Piemonte , formano un bozzetto della vita piemontese d’allora. L’altro idillio: II lume di luna e l'orighie deU’ellera [pp. 127-133] porge occasione al Poeta di confessare al canonico Pio Fantoni, al quale lo offre : « Dotato di una fibra, che la più leggera sensazione riscuote , ritrovo dei piaceri ove dalla più parte forse degli uomini non si saprebbero figurare. La neve, che cangiando faccia alla terra, la fa comparire canuta, mi trasporta fra il pallor della luce in una nuova regione, ove mi circondano degli esseri invisibili e mi sollevano come se divenuto fossi padrone dell’universo. Il lume di luna mi risveglia una dolce langui- — 59 — dezza e mi sviluppa mille idee, che fomenta il silenzio e lusinga la notte». I Fuochi fatui [pp. 134-138] hanno in fronte la lettera al Marchese di Fosdinovo, che nell’ edizione curata dal nepote si legge a p. 300 del tomo II. Il Bacio [pp. 139-144] , indirizzato al Marchese D. F., offre occasione a Labindo di far un altro bozzetto sulla vita galante ed elegante. « Presto vi rivedrò alla campagna » (ne dò un saggio) : « se colà fosse l’Abate, coronatelo di rose per me, e fatelo Re del convito. Ditegli che non dimentichi il suo liuto, e che canti spesso quelle canzonette francesi, che tanto piacciono a chi gli ha fatto dimenticare il collare ». L’ ultimo idillio ha per titolo : La noia della vita [pp. 145-151] ed è consacrato a Gio. Maria Lampredi. « Moderiamo, amico » (così gli dice) « i desiderj indiscreti : non saremo felici, perchè non creati per esserlo, ma capaci di gustare almeno qualche onesto piacer passeggiero, e di temprare con quello la noia di una vita, che siamo destinati a rispettare. Chi sa che la nostra miseria particolare non sia la causa del bene comune; che quello, che ci sembra 1111 male, non lo sia realmente? La Natura è incomprensibile ne’ suoi misteri all’occhio circoscritto dei mortali; ed appena giungiamo a scoprire il lembo del velo trasparente che la ricuopre. Adoriamo i decreti del Creatore, senza mormorarne ; rispettiamo la nostra debolezza, e sodisfacendo la ragione, non lasciamo tiranneggiarci dai pregiudizi ». Seguono gli Sciolti [pp. 153-167]. Son questi : « Al Marchese di Fosdinovo Carlo Emanuele Malaspina. L’Amicizia ». Signor dell' onda} pp. 155-161. — « Al Marchese Gio. Giorgio Stanga fra gli arcadi I-saro Ianagreo. Il disinganno ». Canuto padre , pp. 162-165. — « A Fille Lucumonia. La pace ». Son tuo, pp. 166-167. Al Marchese di Fosdinovo \ Carlo Emanuelle | Mala-spina i sciolti | di Labìndo ; in 8.° di pp. 8, senza anno e note tipografiche. Cominciano : Metà dell.'alma mia, Lunense amico. Che siano stampati nel 1787, si ricava da una delle note, che dice: « Nel Teatro di Caserta fu rappresentata la tragedia VEster ». Nell’ edizione del nepote [II, 103-107], da una infuori , tutte le note sono omesse , tra le altre quella dove parla di « due vezzose » attrici del Teatro di Fosdinovo, « la sig.a Ermellina Casani e Chiara Malatesta, due giovani dilettanti di 15 in 16 anni, che si distinguono fra 1’altre per l’abilità e l’avvenenza ». v Alla Fortuna | Labìndo. | Ode alcaica; in 8.° di pp. 4, senza anno, luogo e stampatore. È l’ode Vili del libro I : Figlia del Fato Fortuna> instabile, ecc., composta nel 17SS. — 6o — Discorso di un Filopatro \ Alla R. A. | di Ferdinando III \ il ben amato Principe Reale d’Ungheria e Boemia | Arciduca d’Austria e Granduca X | di Toscaìia ; in 4.0 senza note tipografiche, luogo e anno. Il 20 febbraio del 1790 morì Γ imperatore Giuseppe II ; il fratello Pietro Leopoldo gli succedette col nome di Leopoldo II, rinunziando il trono della Toscana al suo secondogenito Ferdinando III, il 20 luglio di quello stesso anno. Questo discorso fu scritto e stampato ne’ primordi del regno del nuovo Granduca ; in onore del quale Labindo compose alcune epigrafi latine e italiane, stampate poi dal nepote [III, 269-271]. Il Discorso tornò a vedere la luce nel 1899 per cura di Giosuè Carducci. Cfr. Rivista d'Italia, anno II , vol. I , fase. I, pp. ÏO-I2. Del Sig. Conte | Giovanni Fantoni | Fra gli Arcadi Labìndo | Ode | All*amico N. N.; in Omaggio poetico | alla nobile donzella | ΐIllustrissima Signora | Anna Maria De Viani I che veste Γabito religioso | nell’inclito monastero di S. Cecilia \ della città | della Spezia | [Trofeo di strumenti musicali, inciso all’ acquafòrte da L.(uigi) Iseng.(ard)] | MDCCXCI. ; in 4.0 di pp. XVI , senza luogo , nè stampatore. Quest’ode si cerca inutilmente nelle varie edizioni delle poesie di Labindo; fu rifiutata da lui , nè più venne ristampata. Essendo comparsa in un libriccino della più grande rarità, qui la trascrivo: Ligure Verginella, Il crin reciso, in rozze lane avvolta, Entro romita cella Vuoi tutti i giorni tuoi viver sepolta? Della natura ascolta Le meste voci , e a meglio oprar t’invoglia. Ma dove corri? Ahi stolta! Arresta il piè su la sacrata soglia; Il Mondo grida. Assorta In Dio, non P ode la Donzella; e intanto L’irremeabil porta Varca fra i plausi, lo stupore, e il pianto. Cosi l’orgoglio infranto Del Duce Assiro, venerata e invitta Nel profetico canto, Al solitario ostel corse Giuditta. Alfesibeo, che muto Siedi di Luni su le spiagge algose, E mediti tributo D’elette rime al profan volgo ascose, Vesti Γ arpa di rose, E accompagnato da vergineo coro, Con le dita animose Risveglia un inno fra le corde d’oro. L’Umanità \ elegia; in 4.0 di pp. 4, due delle quali bianche, senza luogo, nome di stampatore e anno. Comincia: Dono del cielo, tacita quiete, ecc., ed è preceduta da una lettera di Labindo al « Sig. Abate Cesarotti », che incomincia : « Padrone ed amico veneratiss. Persuaso », ecc. Omaggio poetico | in morte | di | D. Antonio di Gennaro | Duca di Bclforte e Cantalupo Principe di S. Martino | Marchese di S. Massimo, ecc. | tra gli Arcadi | Lieo/onte Trezenio | — Intaminatis fulget honoribus | — | ; in 4.0 di pp. CLXXXIV, senza luogo , anno e stampatore , col ritratto del Duca, disegnato da Raffaello Gioia. Edito a Napoli nel 179T , per cura del canonico D. Giovanni De Silva de’ marchesi della Bandilella, fra gli arcadi Rasimo Dipeo, che vi premise VElogio del Duca di Beiforte [pp. V-XXXIV]. Il Fantoni v’inserì i seguenti componimenti: « Al cavaliere Bartolommeo Forteguerri. Di Labindo, Mei. Or. Comp. I. Coriamb. 2 Esani. Eroic. ode ». Forteguerri, non cedere, pp. CXVI-CXVII. — « Del medesimo. Alla tomba, notte ». Urna, sacra al mio cuor, pp. CXVIII-CXXI. — « All’eruditissimo uomo Gennaro Di Vico, amico suavissimo di Labindo, elegia ». Desine, Vice meum , lacrimis , pp. CLXII-CLXIII. — « Di Labindo [.Iscrizione] scolpita in marmo in una cappella gentilizia di sua famiglia nel tempio dei PP. Osservanti in Carrara », p. CLXXXIII. — Il nepote [III, 63-64] riporta l'elegia, ma 11011 l’iscrizione. Trovandosi in un libro molto raro, la trascrivo: Antonio * de * Ianvano \ patricio * ncapolitano \ Belfortii * Dvci \ viro * vati * philosopho | a-mico · incomparabili | Labindus | moerentis * sodalitii * pignvs \ inani tvmolo \ m ' h ' p ' i ' — Giovanni De Silva , che del Duca fu non solo « l’amico », ma « il compagno », lo fece conoscere al cugino Labindo , che subito entrò in familiarità grande con lui. Antonio Di Gennaro, Duca di Beiforte e Cantalupo, Principe di San Martino, Marchese di S. Massimo, ecc. nacque a Napoli il 27 settembre 1717 da Francesco Andrea e da Marianna Brancaccio de’ Duchi di Rufìiano; venne educato a Roma nel Convitto dementino ; e a Roma conobbe il Lorenzini, che gli aprì le porte dell’Arcadia, dove prese il nome di Licofonte Trezenio. Facile verseggiatore, ebbe una passione vera per la poesia , e istituì una specie di accademia poetica nella sua splendida villa di Mcrgellina , lieto ritrovo di amici, che ospitava con signorile gentilezza e dove più volte andò pure Labindo. Il De la Lande ricorda il Duca di Beiforte « comme un des meilleurs poetes de Γ I-talie ». Aggiunge pure: « M. Vespasiani fit imprimerà Paris en 176S un Omaggio poetico fait pour le mariage du Roi de Naples, par M. de Belforte avec une traduction française , et l’on en fit un grand éloge dans les journaux. M. Vespasiani disoit que dans le genre d’Anacréon et de Pindare l’auteur avoit hérité de la lyre de Chiabrera; qu’on voyoit dans ses ouvrages l’esprit de Politien, la majesté et l’harmonie du Tasse, la noble facilité de Métastasé, et qu’il n’y avoit point d’e-pithalame au-dessus de la sienne ». Dopo la sua morte , avvenuta il 2r gennaio del 179τ, ne furono raccolti i componimenti poetici, e per verità non vi si trova nessuno de’ pregi segnalati dalla fantasia del Vespasiani. Cfr. Poesie ì/Antonio Di Gennaro, Duca di Belfortey tra gli Arcadi Licofonte Trezenio, Napoli, presso Vincenzo Orsino, 1796; voli. 4 in 4.0 in carta azzurra. In uno Scherzo al p. Pangelli, ritirato in esercizi, che si legge a p. 7S del vol. IV, vi è un accenno a Labindo : Perchè poscia il vostro spirito Non s’impegoli e rinsacchi, Sol ne formili la delizia Mane e sera dotti scacchi : Non potranno starvi a froute Più Labindo, o Licofonte. Il Fantoni e il Duca erano dunque due forti giuocatori di scacchi. Oltre VElogio già ricordato del De Silva, è da consultarsi VElogio storico che ne scrisse l’ab. G. B. Paziani. Sta in fronte alle Poesie suddette, vol. I, pp. 1II-LXXXIII. Cfr. pure: Napoli Signorelli P. Del·e vicende della cultura nelle Due Sicilie (2.a edizione); VII , 210-217· — Fusco A. Xella Colonia Sebezia (Vico di Gennaro , Ciccia), Benevento, tip. delle Forche Caudine, 190Γ, pp. 42-67. Carlo Vespasiani , che il De la Lande rammenta , (uno egli pure degli amici napoletani di Labindo) nacque in Marzano e visse dal 20 luglio 1730 al 16 novembre 178S. Per un omicidio, commesso dal fratello, dovette esulare. Girò per l’Italia, stette qualche mese a Madrid, finì col rifugiarsi a Parigi, e fu preso a proteggere dall’ab. Ferdinando Galiani. A Parigi tradusse in italiano il Tempio di Guido del Montesquieu e curò la stampa delle due poesie famose del Duca di Bel forte : 1’ Omaggio poetico a Maria Giuseppina d'Austria, destinata sposa a Ferdinando IV, la quale mori il giorno del matrimonio , e il Cinto di Venere , scritto per le nozze di Luigi XVI con Maria Antonietta. Stampò pure a Parigi, con note copiose, ΓOrlandino di Limerno Pitocco [Teofilo Fo- — 63 — lengo]. Tornato in patria, insegnò italiano e francese, prima nel Collegio della Nunziatella, poi nel Convitto de’ cadetti di marina a Portici. Su Gennaro Vico, altro degli amici napoletani di Labindo, cfr. Croce B. Bibliografia Vuhiana , Napoli , Tessitore , 1904 , in 4.0, e Gentile, Il figlio di G. B. Vico, Napoli, Pierro, 1905, in S.° A quei monarchi | dell Europa \ che ne abbisognano. | Un amico della pubblica felicità ; in fol. di pp. 4 , delle quali le ultime 2 bianche, senza anno, nè luogo, nè stamperia. Comincia: « L’Europa sospira la Libertà »; finisce: « Possano questi sentimenti scolpirsi profondamente nel vostro cuore e farvi corrispondere ai voti dell’ Umanità ed alle lusinghiere speranze — Del più Sincero — dei Vostri Consiglieri — L. ». Del nobile signor conte | Giovanni Fantoni | di Fivizza no I epitalamio ; in Versi epitalamici | ai nobilissimi sposi \ Lorenzo Sangiantoffctti \ c \ Lucrezia Nani | P.P. V. V. | Padova I Nella Stamperia del vSeminario | M.DCC.XC1I; in foi, di pp. 258 n. n. L’epitalamio del Fantoni, che incomincia: « Cultor del Colle d’ E-licona, biondo », si legge a pp. S1-S9 n. n. Poesie varie | di | Labìndo | Nuova Edizione corretta, ed accresciuta. | Est Deus in nobis, agitante calescimus illo. \ Ovil). I Livorno 1792. | Presso Carlo Giorgi )(Con Approv.; in-8.° piccolo, di pp. 195, oltre 1 infine bianca e 6 in principio, delle quali soltanto la iij è numerata. Appunto nella p. iij si legge questo avviso di Carlo Giorgi ai lettori: « Il pubblico desiderio delle Poesie di Labindo troppo rare, perchè da tutti richieste, m’ incoraggisce a farne una nuova più copiosa edizione in tempi, in cui l’Italia addita in Ferdinando Terzo un Principe colto, protettore delle Scienze e delle Arti. Accettate questa mia fatica come 1111 pegno dell’affetto che ho per la Gloria del Nome Toscano e per Voi; e vivete felici ». La p. seguente è bianca; nella 5, senza numerare, sta scritto: Odi, col motto: « Libera per vacuum posui vestigia.....Hor. lib. I. ep. XIX ». L’ altra p. è bianca. Le Odi [pp. i-S7]son divise in due libri. Il primo contiene: « A Giorgio Nassau Clawering Principe di Cowper, ode alcaica »; pp. 1-2. — « Al merito, ode saffica » ; pp. 3-5. — « Al Marchese di Fosdinovo Carlo Emanuelle Malaspina. Invito a riposarsi dalla Caccia » ; pp. 6-7. — « Al cav. Francesco Sproni. Contro i primi navigatori aerei »; pp. 8-10. — « Al Marchese C. B, deluso nelle sue speranze da una Corte » ; — 64 — pp. ii-14. — « Al Formidabile, vascello dell’Ammiraglio Rodney »; pp. 15-16. — « A Venere »; pp. 17-1S. — « Al Sig. Dot. Alessandro Bicchierai , nuovo saffico » ; p. 19. — « Al Sig. Giacomo Costa »; p. 20. — « Al Conte Odoardo Fantoni. Per il ritorno d’America a Londra dell'Ammiraglio Rodney dopo la Vittoria del di 12. Aprile 17S2 »; pp. 21-22. — « Al Duca di Crillon dopo essere stata soccorsa Gibilterra dall’Ammiraglio Howe a fronte dell’Armata Gallispana »; p. 23. « A Fosforo » ; pp. 24-26. — « Al Marchese di Fosdinovo Carlo Emanuelle Malaspina ode. Nuovo saffico »; pp. 27-2S. — « Alla S. R. M. di M. Carolina Amalia d’Austria Regina delle Due Sicilie, ode saffica »; pp. 29-30. — « Per il Natalizio di Maria Luisa di Borbone Infanta di Spagna e Gran Duchessa di Toscana. In occasione di una festa data dalle LL. MM. Siciliane a Livorno. Ode saffica »; pp. 31-32. — « Al Sig. Avv. Giovanni M. Lampredi, ode saffica »; p. 33. — « Il giuramento tradito » ; p. 34. — « A Diana, ode saffica » ; p. 35. — « L’amante disperato » ; pp. 36-37. — « Ad Apollo. Per malattia di Nerina, ode saffica »; pp. 3S-39. Con quest’ode ha Fine il Libro Primo. La p. 40 è bianca. Il Libro Secondo comprende: « Al silenzio »; pp. 4r_42· — « Per la Vittoria riportata il dì 12 Aprile 1792. nell’ Indie Occidentali dalla Flotta Inglese, comandata dall’ Ammiraglio Rodney, sopra la Motta Francese del Conte di Grasse, fatto prigioniero nell’A-zione »; p. 43. — « Alla cultissima Conversazione della Sig. Anna Maria Berte »; pp. 44-47. — « All’Aurora »; p. 48. — « Dialogo. Labindo e Licoride »; pp. 49 50. — « Al Marchese di Fosdinovo Carlo Emanuelle Malaspina »; p. 51. — « Ad Amore »; pp. 52-54. — « Al cav. Bartolommeo Forteguerri. In morte del Duca di Beiforte, ode »; PP* 55 56. — « Al Conte Luigi Fantoni. In morte del Marchese Gio. Agostino Grimaldi della Pietra »; p. 57. — « Al Sig. Giuseppe Ben-civenni già Pelli , Direttore della Reai Galleria di Firenze, ode saffica »; pp. 5S-60. — « Alle Muse »; pp. 61-63. — « Al Sig. Giorgio Viani, ode saffica »; pp. 64 65. — « Al Barone del S. R. I. Luigi d Isengard. Per il giorno Natalizio del Marchese Carlo di Fosdinovo»; pp. 66 67. — « Per la partenza del Cav. Bernardino Sproni per Cadice »; p. 6S. — « A Fille. Invito alla Campagna di Portici. Ode saffica »; pp. 69-71. — « Ad alcuni critici , ode saffica »; pp 72-73. — « All’Abate Maurizio Solferini »; pp. 74-75. — « Sullo stato dell’Europa nel 17S7. Ode saffica » ; pp. 76-77. — « Al servo. Per la pace del 1783. Ode saffica »; p. 78. — « Perii ritorno da Vienna nel 17S4. di S. A. R. Pietro Leopoldo Arciduca d’ Austria e Granduca di Toscana, etc, etc. etc. »; pp. 79-80. — « Al fonte di.....»; p. 8r. — « Per la pubblica apertura della nuova Accademia delle Arti , eretta in Firenze nel 1784. Al Sig. Marchese Federigo Manfredini »; pp. 82-85. — « Al Sig. Abate Gioacchino Pezzi Custode Generale d’ Arcadia. Ode saffica »; pp. S6-87. In calce porta scritto: Fine delV Odi. La p. 88 è bianca. Nella seguente si legge : Odi e sotto: At ne vie folus ideo brevioribus ornes , Quod timui mutare modos et carminis - 65 - artem. Ep. XIX. Lib, I. La p. 90 è bianca. Nelle pp. 91-92 si trova l’introduzione: Mi rispetti il tempo edace, ec. Seguono: « Al genio degli scherzi »; pp. 93-94. — « A Paimiro Cidonio »; pp. 95-101. — « Per malattia dell’autore. Al canonico Pio Fantoni »; pp. 102-105. _ « Alla cetra »; p. 106. — « La curiosità punita. Alla lucciola »; pp. 107-109. — « Al mirto di.....»; p. no. Vengon poi a p. in le Notti, col motto: Sic fatur lacrimans----Virg. Lib. VII. La p. 112 è bianca. Le Notti son due: « La Vita, il Tempo, l’Etemità »; pp. 113-116. — « Labindo alla tomba di Antonio di Gennaro Duca di Beiforte. Notte »; pp. 117-120. — « La condizione dell’uomo, sestina »; p. 121. La p. 122 è bianca. Seguono gli Idilli (p. 122) col motto.....Me quoque dicuut Vatem pastores ; sed non ego credulus illis. Virg. Eclog. IX. La p. 124 è bianca. Gli idilli son questi: « Il dove »; pp. 125-129. — « Il simulacro » ; pp. 130-132. — « La solitudine » ; pp. 133-136. — « Il lampo »; pp. i37"J39· — « La morte di Misi »; pp. 140-143. — « Il temporale »; pp. 144-145. — « Il testamento »; pp. 146-147. — € L’occasione »; pp. 148-149. — « Il lume di Luna, o l’origine del-l’ellera »; pp. 150-155. — « Damone, egloga » ; pp. 156-161. — « A-more ape, idilio »; pp. 162-163. — « I fuochi fatui »; pp. 164-167. — « La noia della vita »; pp. 168-172. E sotto : Fine degli Idilii. A p. 173 è scrìtto Sciolti, e sotto: . ... Gli anni......intendo L’un contro I’ altro bisbigliar passando, Perchè canta costui? Ossian, nei Canti di Selma, v. 134. La p. 174 è bianca. Seguono: « Al Marchese di Fosdinovo Carlo Emanuelle Malaspina. L’amicizia »; pp. 175-18Γ. — « Al Marchese Gio. Giorgio Stanga fra gli Arcadi Isaro Ianagreo. Il disinganno »; pp. 182-185. — «A Fille lucumonia. La pace »; pp. 186-187. — « Al Sig. Abate Cavaliere D. Scipione Piattoli »; pp. 188-190. — « Al Marchese di Fosdinovo Carlo Emanuele Malaspina »; pp. 191-195. Per testimonianza di Giovanni Rosini questa edizione fu « diretta dall'Autore, che somministrò varie cose inedite ». La Biblioteca dell’anno M.DCC.XC.III [Torino , nella Stamperia Reale, vol. II, pp. 101-118] trovò « saggio divisamento » il ristampare queste Poesie, giacché « la prima edizione era divenuta rarissima ». Svela che sotto il nome di Labindo « si nasconde il conte Fan-toni, toscano, il quale passò alcuni anni al servizio militare di S. M. il Re di Sardegna nel reggimento Chablais fanteria straniera »; e dice che « può riguardarsi come il più felice imitatore del Venosino poeta che abbia prodotto il Parnaso italiano: di fatti non solo l’immaginare, la condotta, il gusto veramente lirico ha fatti suoi , ma alla poesia nostra adattò con leggiadria e grazia, perl’addietro sconosciuta, i metri stessi d’Orazio. Anzi i pensieri del latino appaiono talvolta così trasfusi nella mente di Labindo, che senza avvedersene sembra piuttosto tradurne alcuno , che imitar solamente il maestro ». Benché ritenga « le altre cose sue degne pur anco di esimia lode », soltanto « nella lirica oraziana » giudica che Labindo sia salito « ad alto grado di ec- Giorn. St. e Leti, delia Liguria. 5 — 66 — cellenza ». Intorno all’edizione scrive : « Il titolo della edizione del 1785 è Poesie varie e prose di Labindo..... Due sono i libri di odi, il primo de’ quali ne contiene diciassette, il secondo diciotto.... La nuova, sebbene di merito tipografico assai inferiore alla prima, è nullameno più commendevole per le fattevi aggiunte. Premesse poche linee dello stampatore e l’antiporta col titolo Odi, succedono queste, cioè le oraziane, divise pure in due libri. Sono venti nel libro primo, delle quali quattro nuove, essendosi soppressa quella che stava al n.° 9 della prima edizione, cominciante: Versi non chiedermi, ligure amica; nel secondo ve ne sono pur cinque inedite dapprima, fra cui quella tanto famigerata e ricopiata da tutti, sullo stato dell’Europa nel i7^7: Cadde let-gennes; del germano impero. Vi tien dietro un altro frontispizio, intitolato parimente Odi, di che ciascuno vede agevolmente Γ irragionevolezza, poiché il genere e il metro di queste seconde è assolutamente diverso da quello delle prime..... Di queste seconde odi, tutte nuove ve n’ha sette. Sotto il frontespizio Notti, oltre le sestine: La vita , il tempo, l'eternità, ve ne sono altre intitolate : Labindo alla tomba di Antonio di Gennaro Duca di Belforte. Notte; ed una sestina intitolata: La condizione dell’uomo..... Succedono gli Idilli, a ciascuno de quali mancano le lettere in prosa premessevi nella prima edizione ; manca pure in questa l’idillio intitolato II bacio, e due nuovi ve ne sono invece pubblicati, cioè Damone e Amore ape ; finalmente hanno luogo gli sciolti, ove, oltre i tre componimenti già descritti nella prima edizione: L’amicizia, Il disinganno, A Fille lucumonia. La pace, altri due se ne trovano, indirizzati Γ uno al sig. abate cavaliere don Scipione Piattoli e 1’ altro al marchese di Fosdinovo Carlo EmanueIle Malaspina ». Conclude: « Prosegua Labindo la ben augurata carriera, per cui è nato, e in questo stile e in questi metri volti pur anche i pensieri delle sue Notti e degli Idillii suoi, che vi faranno più brillante e più naturale comparsa ». Finalmente fa « breve cenno d’un nostro piemontese, il quale, portando dalla natura l’estro , la fantasia e 1’ inclinazione a quel genere medesimo di poesia che abbiamo osservato esser la più felice occupazion di Labindo , non avea bisogno , che di alcuna accidentai circostanza, che servisse d’impulso, a sviluppare a sè stesso mal conosciuto. Furono, a dir vero , le odi di Labindo quelle che diedero esempio e movimento al sig. Camillo Maulandi ». Riporta di lui, l’Invito alla campagna, ode a Fille, « già stata pubblicata nel vol. Ili Ozi letterari, Torino 1791, per lo Fea »; e la riporta « affinchè possano i dotti, confrontando i due compagni cantori, vedere quanta parte di lustro ciascuno d’essi sia per arrecare al Parnaso italiano in questa pressoché nuova carriera ». Dopo la presente edizione, e fino all’anno 1800 (salvo la materiale ristampa del Marsoner, 1797) non abbiamo che componimenti singoli; ma l’autore stava preparando un’altra edizione delle sue poesie. Ne possiede il testo il prof. Federico Patetta della R. Università di Modena, che gentilmente me lo favorì perchè 11e facessi soggetto di — 67 — studio. Labindo tiene per originale, in parte, Γ edizione livornese ; in parte , quella di Berna; e v’ introduce a penna diversi mutamenti e aggiunte , e segna quasi sempre sotto ciascuna poesia l’anno in cui fu composta. Metto tra parentesi quadre le parole soppresse , stampo in corsivo le variazioni e aggiunte ne’ titoli, e tra parentesi tonde le date. « Odi oraziayie. | Libera per vacuum [posui] posuit vestigia..... Hor. Lib. I. Ep. XIX ». I. « [Libro primo]. A Giorgio Nassau Clawering [Principe di] Cowper », (1784); pp. 1-2 dell’edizione livornese. II. « Al merito », (1782); pp. 3-5. III. « [Al Marchese di Fosdinovo] A Carlo Emanuele Malaspina. Invito a riposarsi dalla Caccia », (1782) ; pp. 6-7. Varianti mss. « Carlo, [Germe d’Eroi,] terror [di] delle lunensi belve ». « Sacra è [al tuo Nome;] agli a-mici ». « Beviamo: [I Regi] un trono non invidio ». IV. « [Al cav.] A Francesco Sproni. Contro i primi Navigatori Aerei », (1784); pp. 8-10. V. « Al Marchese C. B. Deluso nelle sue speranze da una Corte », (senza data); pp. 11-14. Segnate le strofe: « Sarai felice » e « Sta su la soglia », per correggerle. Tolte le pp. 15-16 contenenti l’ode: « Al Formidabile ». VI. « A Venere », (1782); pp. 17-18. VII. « [Al Sig. dot.] Ad Alessandro Bicchierai », (1784); p. 19. Variante: « Diede [di Clawering] degli uomini l’aurea salute ». Vili. « [Al Sig. Giacomo Costa] A Leopoldo Vacca Berlinghieri», (1780); p. 20. Varianti: « [Costa a] Vaccà che giovano ». « Cocito scendere, | [Nè può donata Cloto | La Forbice sospendere]. E le precarie e brevi \ Ricchezze al Fato rendere ». « [Pugne di Bembo] d’amore, e l’armi ». IX. « [Al conte] Ad Odoardo Fantoni. Per il ritorno d’America » , ec. (senza data); pp. 21-22. Soppresse le pp 23-32, contenenti le odi « Al Duca di Crillon », « A Fosforo », « Al Marchese di Fosdinovo Carlo Emanuele Malaspina », « Alla S. R. M. di M. Carolina Amalia d’Austria Regina delle Due Sicilie », « Per il Natalizio di Maria Luisa di Borbone Infanta di Spagna e Granduchessa di Toscana >, sostituendovi: X. « A Nice. La gelosia », (1787); autografa. XI. « [Al Sig. avv.] A Giovanni [M.] M.a Lampredi », (1784); p. 33. XII. « Il giuramento tradito », (1784); p. 34. XIII. « A Diana », (1782); p. 35. XIV. « L’Amante disperato », (1781); pp. 36-37. XV. « Ad Apollo », (1782); pp. 38-39. XVI. « A mio padre, ode », (1792), autografa. XVII. « Lo Sdegno, ode saffica », (1786), autografa. XVIII. « Dialogo. Labindo, e Licoride », (1782); pp. 49-50. XIX. « [Al Marchese di Fosdinovo] A Carlo Emanuelle Malaspina », (1780); p. 51. XX. « Ad Amore », (1791); pp. 52-54· XXI. < [Al cav.] A Bartolommeo Forteguerri. In morte [del Duca] di Ant.o Gennaro di Bel forte », (1791); pp. 55-56. XXII. [Al conte] A Luigi Fantoni. In morte [del Marchese] di Gio. A-gostino Grimaldi della Pietra », (1782); p. 57. — 68 — XXIII. « [Al Sig.] A Giuseppe Bencivenni già Pelli » , (senza data); pp. 5S-60. XXIV. « A Fille », (1785); pp. 69-71. XXV. « Ad alcuni critici », (1781); pp. 72-73. XXVI. « [All’Abate Maurizio Solferini] A Panezio », (1781) I PP· 74'75* Variante: « Di rughe spoglia, [Maurizio] Panezio amabile ». XXVII. « Sullo Stato dell’Europa del 1787 ». (senza data); pp. 76-77. XXVIII. « Al Servo », (senza data); p. 78. XXIX. « Al contadino di.....», (i779)î ms· d’altra mano. XXX. « All’abate Melchiorre Cesarotti », (i79°)i ms· d’altra mano. XXXI. « Al Silenzio », (senza data); pp. 41-42. XXXII. « Per la Vittoria riportata il di 12 Aprile 1782 » , ec. (senza data); p. 43. Variante: « [Funesto] Ahi, tristo augurio di Boston a i figli ». XXXIII. « Alla cultissima Conversazione della Sig. Anna Maria Berte », (senza data); pp. 44-47. Segnati, per correggersi, i versi; « Per lui d’Europa or le vendute genti | Allo sdegno de i Re stolte s’adirano ». Varianti: « E Catellacci, che [sovente] talvolta fura »; « Che sa di lode [mal donata] immeritata avaro >. XXXIV. « All’Aurora », (senza data); p. 48. XXXV. « Al fonte di.....», (i779)ì P· 8l· XXXVI. « Per la pubblica apertura della nuova Accademia delle Arti, eretta in Firenze nel 1784 » , (senza data) ; pp. 82-85. Soppressa la dedica « Al Sig. Marchese Federigo Manfredini ». Varianti: « [Leopoldo il saggio| L’Etrusco Genio, amabile | [Eroe] Genio di pace»; «Alme [del Sol] che al fuoco [nel] vivido | [Raggio temprate all’] T'empio di fantasia /'util fatica »; « Si vegga 1 il Gallo] Europa chiedere | »; « E sia [costretto] costretta a cedere »; « [Dove] Ove ti lasci spingere ». XXXVII. « Ad Antonio Cerati », (1786); autografa. XXXVIII. « Il Sogno. All’abate Clemente Bondi », (1789); autografa. XXXIX. « [Al Sig. abate] A Gioacchino Pizzi », (senza data); pp. 86-87. Varianti: « L’ostia votiva [della Pace a Dio] e al pat7‘io ostel ritorni | L’ozio [beatoj futuro canterò de i sacri | [Giorni di Pio] Liberi giorni ». « Fine dell ’odi » oraziane. Seguono, con nuovo occhietto', le altre « Odi ». I. Introduzione »; prima non aveva titolo, (senza data); pp. 91-92· II. « Al Genio degli scherzi », (1778); pp. 93-94· III. « A Paimiro Cidonio », (1778); pp. 95-101. Varianti: » [Ed apprende] Cui apprese il Pensilvano »; « Ed il Sardo Regnator | [Che , altro Tito, onor non prezza] Nè turbarla a suo profitto \ [Che col sangue sia comprato] Può il pastor incoronato »; « Franchi ed Itali devoti | Per [Clotilde] la Patria al Nume i voti »; « Bagnerà [l’amica Tomba] Liguria amica | [Di Li- . guria il grato pianto] Il mio cenere di pianto | E [Paimiro col suo canto] di Doria all’urna accaiito | Il mio nome [eternerà] inciderà ». IV. « Per la malattia delPAutore. Al [canonico] matematico Pio Fantoni», (1779); PP· 102-105. V. « Alla cetra », (senza data); p. 106. VI. « La curiosità punita », (1778); pp. 107-109. Qui, lasciata l’edizione livornese del Giorgi, piglia come testo gli Scherzi stampati a Massa dal Frediani nel 1784 con la falsa data di Berna. VII. « Il compenso d’amore » (1780); pp. 68-69. Vili. « Il gabinetto », (1777); pp. 61-63. Varianti: [Leggiadre] Biformi — 69 — Veneri spargon di rose »; « In veste candida, [sparse le trecce] sciolta la treccia ». IX. « Ritratto », (1780); ms. d’altra mano. Oi nuovo ripiglia l’edizione livornese: X. « Al Sig. [Giorgio Viani] Giuseppe Micali », (senza data); pp. 64-65. Varianti: « Ozio, [Viani] Micali, chiede il [Medo] Franco e il Trace »; « Esser beato. | [Ne i di robusti l’Alessandro Sveco | Cadde, Vittorio illanguidì vecchiezza; | Me obblla la Morte; mentre fors’è teco | Tutta fierezza]. Giovin la morte rapì Achille, il chiaro | Titon vecchiezza illanguidì , fia meco I Prodigo forse il ciel di giorni e avaro | Forse fia teco » ; « [A te sorride per la spiaggia erbosa | Flora, e le messi più di un campo aduna, | E presto in dote recherà una sposa]. Ride a te il volgo mentre Γarche gravi \ Guata di merci che I’ I?idustri a aduna \ E or recan forse peregrine navi I Nuova fortuna ». XI. « Al Barone [del S. R. I.] Luigi d’Isengard », (senza data); pp. 66-67. XII. « Per la partenza del cav. Beniamino Sproni », (senza data); p. 68. Lascia a questo punto l’edizione del Giorgi e ripiglia l’altra. XIII. « L’amante contento », (1780); pp. 57-60. Segnati, per correggere, i versi: « Venni meno J Fra i tenaci | Spessi baci ». - XIV. « Amore spennacchiato », (1781), pp. 33-38. Varianti: [Ritornava] Già scendeva il sol nell’onde | E il mio [bene] ben [al patrio ostello] col gregge amico | Che [lo stanco] belava \ [Gregge bianco] Già varcava | [Ha raccolto in un drappello;] Dei ginepri il colle aprico » ; « Ove il sacro allor verdeggia | [Fille] Giunger vide »; «. Mi ribacia e mi carezza | [Fra gl’ignoti I Dolci moti | D’] E mi guata | Agitata | Da impaziente tenerezza »; I « La [sua] mia gota il sen [mi] le tocca »; « Sento ancor [quella] quello che intesi | [Dolce fiamma il primo giorno, | Ch’ io giurai | Per que’ rai | D’esser sempre a te d’intorno.] È già un bistro, immenso ardore \ Che coi dardi \ De’ tuoi sguardi \ Tutto in me discese amore »; « un dolce riso | [Aleggiava] | Inostrava »; « M’abbracciò la pastorella | [Che più tema non affanna] | Ma più bella di q?iel giorno » ; « Fatto un laccio | [Fè ritorno alla Capanna] | All’ovil fece rito?'no ». XV. « Di Lucrezia Nani e Lorenzo Sangiantoffetti epitalamio », (i795)>* ms. d’altra mano. XVI. « Amor prigioniero », (1787); autografa. Riprende l’edizione di Berna: XVII. « Per la liberazione d’Amore, cantico », (1787); p. 70. XVIII. « La dichiarazione », (1778); p. in. XIX. « Il rivale conosciuto », (1781); p. 112. XX. « La danza », (1777); p. 109. XXI. « La divisione », (1779); p. no. XXII. « A Nisa », (1785); p. 114. XXIII. « Il giudizio d’Amore », (1783); P· iI4· XXIV. « Conclusione. Al merito di.....», (1782); pp. 106-107. (La fine al prossimo fase.). •a — 70 — UN ROMANZIERE LIGURE DEL SEC. XVII (CARLO LENGUEGLIA) APPUNTI PER LA STORIA DEL ROMANZO EROICO-GALANTE Dice l’autore dell 'Eroina hi trepida, il ligure Fr. Fulvio Frugoni, alla sua penna: « E che pretendi? sforzarle mete dei Barclay, dei Biondi, dei Lengueglia?... » (1). Oggi della fama del Lengueglia e de’ suoi records di romanziere più nessuno sa e parla. L’Albertazzi, lo storico del romanzo in Italia , non gli dedica che una semplice nota bibliografica (2). Poche notizie abbiamo di Carlo de’ Conti di Lengueglia (Laigueglia è un paesello sito nelle vicinanze di Alas-sio) dai biografi liguri. E io debbo le più di quelle che or mi accingo a dare alla cortesia di un discendente del Lengueglia stesso, l’avv. conte Edoardo, residente ad Alassio. La data della sua nascita è sconosciuta. Come dati di fatto, che potrebbero suggerire un’ induzione , posso solo dire che la sua prima opera è del 1634 e che egli era an- ^ cora vivo nel 1680 (3)· H padre suo, di antica e nobilis- (1) L'Eroina Intrepida ovvero la Duchessa di Valenli?iese (Venezia, Combi, 1673). . (2) V. Romaìizieri e romanzi del '$00 e del ’óoo (Bologna , Zanichelli, 1891, p. 191). Nel suo volume recente, Il Romanzo (Milano, Vallardi, 1904, p. 93), ne dice ancor meno. (3) Dal Ruolo dei Cavalieri Gerosolimita?ii di Fr. Bartolomeo Dal Pozzo (Torino, coi tipi di Gio. Francesco Mairepe, all insegna di S. Teresa, 1758) ricavo la seguente iscrizione forse da lui stesso dettata: d. o. M. FR. CAROLUS EX COMITIBUS LINGUILIAE HIEROSOLYMITANI ORDINIS ADMIRATUS MOX S. IOANNIS AD MARE NEAPOLIS BAILIANUS POST. FR. ALERAMEM MESSANAE PRIOREM LOMBARDIAE TERTIUM MAGNAE CRUCIS DECUS IN FAMILIAM ^ INFERENS CUM MEMORIA MAIORUM SUPREMA PER . . . VIVUS MORITURUS. SEPULCRUM DECREVIT ANNO DNI MDCLXXX — yi — sima stirpe, si chiamò Ettore e fu Signore di Casanova, Vellego, Masemo, ecc.: madre gli fu la marchesa Margherita d’Aste di Albenga. Il Giustiniani (i) scrive che fu Patrizio di Albenga e Commendatore Gerosolimitano: altri lo chiama cavaliere: Γ Albertazzi erroneamente, confondendolo con un fratello suo, P. Agostino, teologo, oratore e storico, lo dice padre somasco (2). Come rilevo dall’ iscrizione data in nota e da altre testimonianze, egli fu realmente Cavaliere e Commendatore dell’ Ordine Gerosolimitano, Ammiraglio e Bailo nel Regno di Napoli. Fu anche al servizio della Repubblica di Genova e fu quegli che sedò l’insurrezione degli abitanti di Tolone. In altra occasione riacquistò una galera predata alla stessa Repubblica. «Nell’anno 1641, sotto il Generale Langravio d’Assia, hora Cardinale et allhora al comando della squadra di Malta » scrive 1’ Aprosio (3) « si truovò sotto la Goletta alla presa e conquista delli sette Vascelli del famoso Corsaro Cciracoggia, con una scure in mano a troncare le gomene; ed havendo anco poi operato in servigio della Serenissima Repubblica di Genova ed anco nell’ assedio di Candia, si come si può scorgere dalle benemerenze e da’ Decreti, quali per alcun modo non vo’ lassare di qui soggiungere (4), etc. ». Della parte da lui presa alla resa (1) Gli scritlori liguri (Roma, Tinassi, 1667, pp. 158-9). (2) Cfr. anche: Raff. Soprani, Li scrittori della Liguria (Genova, Ca-lenzani , 1667, p. 68): Oldoini , Athenaeum Ligusticum, Perusiae, 1680): Ang. Aprosio , La Biblioteca Aprosiana (Bologna , 1675 p. 574 e sgg.) : G. B. Spotorno , nella Storia Letteraria della Liguria (Genova, 1S38) non ne fa parola. Il Rossi nella sua Storia di Albenga ne parla in diversi luoghi e riproduce a p. 312 un’ iscrizione da lui dettata nel 1671 in morte del fratello Agostino, scrittore anch’esso assai fecondo, ma inferiore per meriti di lingua e di stile, siccome pare al Rossi, al nostro Carlo. (3) La Biblioteca Aprosiana, ed. cit., p. 576. Coll’Aprosio il Nostro fu in istretta relazione di amicizia. E ne fanno testimonianza quattro lettere da lui indirizzate da Loano, negli anni 1671-1673 , al padre Angelico , che conservansi inedite nella Biblioteca Universitaria di Genova (E. II , 4 bis e E. VI. 9)· (4) L’ Aprosio riporta qui tre documenti che comprovano la notizia biografica da lui data. Il primo, firmato Horatius e dato in Genova il 25 ottobre 1652, è 1111 attestato di benemerenza rilasciato da parte dei Guber- — η 2 — di Candia, nei primi mesi del 1668, al seguito del Bali Vincenzo Rospigliosi e in compagnia di un suo intimo amico, il P. Tommaso Ottomano, parla anche lo storico di quella campagna, il Guglielmotti (1), che lo dice «cavaliere di paraggio ed eccellente marino » e « nobilissimo tra i più colti e prodi marini di Malta». A La Valletta era certamente nel dicembre del 1678 (2). Di lui, in un’ampollosa iscrizione, scrisse Mattia di Vertema che fu « oratore, storico e poeta sommo » (3). Sono le opere , che il Lengueglia ci ha lasciate e di cui prima il Soprani (4), il Giustiniani (5) e il Rossi (ò), poi l’Albertazzi, ci diedero elenchi assai incompleti, un volume di Elegie e Canzoni (Roma, per li Mascardi, 1636, in 12.0 e Venezia, Storti, 1661), l’attribuzione del quale è contestata (7), e alcuni romanzi di quel genere eroico-galante , che derivò ddlYAmadigi di Gaula, daWAstrea e dai romanzi erotici greci e che tanto fece nel seicento « farne- natores Reipublieae Genuensium. Il secondo è un decreto di Francesco Mo* ìvsini, Capitan Generale per la Sereniss. Rep. di Venezia, datato da Candia, li 26 marzo 1660, e steso dal cancelliere Alessandro Locatelli. Il terzo è un decreto di Catterin Cornaro , Proved. Generale per la Sereniss. Rep. di Venezia, datato pure da Candia, li 30 marzo 1669, e steso dal cancelliere di S. E. Ottavio dal Bello. (1) Cfr. La squadra ausiliaria della Marina Romana a Candia ed alla Morea di Alberto Guglielmotti (Roma, Voghera, 1883, pagg. 312 e 315). (2) Il vivente conte Edoardo della Lengueglia mi informa che nell’ archivio di famiglia conservasi un atto, rogato dal notaio Pietro Fiore in data 19 dicembre 1678 a La Valletta nell’isola di Malta, col quale il conte Carlo, 0 dicembre ; Manuale 156/, 1577» 3° dicembre. (4) Ivi. Pratiche pub. 1601-15, N. 22, e Decreti ecc. 1601. (5) Ivi Decreti ecc., 1619-21. e ivi, Atti. 1659. X. 139. e Decreti, ecc., 1638-39. (6) Ivi, Atti, 1648, II, N. 42, 27 maggio, e Decreti ecc., 1647-48, 29 maggio. - ΙΟΟ — sostituzione del Carrosio, supplivano per poche volte i reverendi Prospero Figino , Pier Andrea Costa , Guglielmo Riccio e Giacomo Salmastro, che concorsero poi all’atten-denza della carica (i). Lo Strata coprì tal posto fino al 1651, anno in che moriva, e il 22 marzo si eleggeva Gio. Stefano Scotto , sopra sette concorrenti. Deceduto pur esso sull’ esordire del 1674 , addi 10 marzo si apriva il concorso al medesimo ufficio , presentandosi sei concorrenti ; i quali, come di consueto, venivano sottoposti ad un esperimento ; giudici erano questa volta Padre Egidio del monastero di S. Francesco di Castelletto e Padre Lodovico monaco di S. Caterina. Riusciva primo Gio. Lorenzo Cipollina Balbi, che veniva prescelto a tal carica con decreto del 4 giugno successivo, ed al quale, addì 18 settembre 1705, si dà per coadiutore il rev. G. B. Bertollo , che di-vien poi titolare per quasi trent’anni ; giacché risulta morto nel 1733, corner si legge nel decreto del 8 gennaio, che nominava a suo successore prete Antonio Maria Tasso (2). Segue al Tasso prete Giuseppe Leone che trovo in carica già nel gennaio del 1737, e che pare vi durasse parecchio, giacché ho notizia del suo successore soltanto in nota del 29 dicembre 1770, relativa al pagamento fatto a tale effetto di lire 88,16,6 al rev. Antonio Maria Celle per salario di mesi sei maturati. E il Celle vi si trova ancora nel 1792, anno in che si chiude la serie degli organisti succeduti al Briolano, fino alla caduta della Repubblica genovese, e con essa del Magistrato dei Padri del Comune (3). Non sarà ora fuor di proposito il ricordare le riparazioni ed i miglioramenti fatti all’ organo di S. Lorenzo, e citarne gli autori. In atto del 1391, comparisce fra Cristo-foro da Castelnuovo che a tale effetto riscuote la somma a cui ammontavano i lavori eseguiti (4). Pel 1456 si ha nota di altra spesa per riparazioni. Nel 1470, e sulla richiesta (1) Ivi, Atti, 1649, I, N. 86 e Pratiche pub. 1670-77, N. 277. (2) Ivi, Decreti ecc., 1651-53, e Man. 1676-78, e Pratiche pub. 1670-77, N. 278, e Atti non spediti, 1706-707, N. 161 e Decreti ecc., 1671-74, e 1724-40. (3) Ivi, Man. 1736-37, 3 gennaio 1736, e Man. 1770-71, e Cart. 1792-801, f. 142. (4) Arch. di Stato. Cart. Salvatorum portus et moduli 1391, f. 152-155, e Arch. civ., Cart. 1456, f. 143. - ΙΟΙ — del Capitolo e canonici della chiesa stessa, ut refici faciat organum, il governo delibera di concorrere nelle spese per la somma di lire cento (i). Nel 1490 lo ricostruisce maestro Giovanni Torriano da Venezia ; e il lavoro dura più anni, giacché si era cominciato , poi smesso e finalmente compiuto nel 1499, siccome risulta da note di quell’anno, e peculiarmente da altra del 23 dicembre 1502, che reca il pagamento fatto al detto Torriano di lire venti a saldo della mercede dovutagli (2). Un cinque lustri dopo è Roberto de Fois, maestro di organi, che, affidatogli il lavoro di restauro del detto organo, a longo tempore collapsum et devastatum, lo rimette in ottime e perfette condizioni. Il perchè i Padri predetti, rimasti soddisfattissimi, addi 3 giugno 1524, rilasciavano al De Fois un ampio attestato di maestro restauratore non solo, ma eziandio di valentissimo costruttore (3). Nel settembre del 1538, trovo il già menzionato Lodisio da Castiglione a lavorare per multos dies nel riattamento di detto organo , aiutato in ciò da due operai ; e novelli restauri vi fa nel 1546 (4). Nel 1564 è un Tommaso Bressiano che ha incarico di effettuarne le riparazioni ; lavoro compiuto certamente prima del dicembre , giacché addì 4 di quel mese gli si pagano lire 70,10, per totale sua mercede. Il qual Tommaso è di sicuro quel Tommaso Vitano da Brescia (così detto in altre note) cui per convenzione del 13 marzo 1570 si affidano nuovi lavori di restauro , che questa volta sono assai più notevoli dei menzionati. Imperocché solamente il 2 marzo 1572 gli si salda il conto di un’annata intera da esso spesa prò adaptatione et manutentione organi, e ciò in conformità dei patti stipulati nel citato giorno e mese del 1570 (5). Novelli restauri si ordinavano nel luglio del 1583» ma non (1) Arch. civ., Chiesa di S. Lorenzo ecc. , N. 168 , 29 maggio , e Cart. 1456, f. 143, 15 ottobre, e Arch. di Stato. Reg. DivN. 144, 23 luglio 1490. (2) Arch civ., Atti 1490-99, N. 41 e 53, e Cart. 1498-99, f. 132. (3) Arch. civ., Atti, 1518-25, N. 200. (4) Arch. civ., Cart, 1538. f. 76, 5 settembre e 7 ottobre; Manuale, 1546, 8 luglio. Nel 1554 prestò garanzia a favore di Gio. Giacomo Calvi piacentino e Faccheto da Brescia maestri d’organi, i quali lavoravano nell’organo della cattedrale. Arch. di Stato, Manuali Senato, N. 782, 16 novembre. (5) Arch. civ., Man. 1564, e Pratiche pub. 1439-159S, N. 88, e Cart. 1570, f. 50, e Manuale 1572. - 102 — risulta chi gli operasse, se pure non ne venne ritardata la esecuzione a due anni dopo , poiché a 13 mag'gio si ordina di pagare certa somma a Paolo piacentino qui adaptavit organum (1). Il 2 aprile 1587, si pagano lire cinquanta a Paolo Molinino, che è forse lo stesso piacentino, per uguale lavoro (2). Cinque anni dopo, 1592, è un Gaspare Cenner che lavora a riattarlo , ricevendone lire cento in ricompensa , e due anni appresso ne è affidato nuovamente il restauro al Molinino (3). Nel 1597 un Andrea Mayno o Maynerius di Lione, domiciliato in Savona, si obbliga di mantener Γ organo bensonante sotto certi patti e cclla sola mercede annua di venti lire; incarico nel quale dura fino al 1602, sul cadere del qual anno è un Giuseppe Vittani pavese che vi opera nuovi racconciamenti ; altri e di minor importanza ve ne fa Carlo Rosso nel 1605 (4). Tacendo di piccoli lavori fattivi nel 1608, 1611 e 1614, ricorderò quelli più importanti eseguiti nel 1621 da Er-modio Maccione, che n’ ebbe in pagamento la somma di lire duecento quarantanove e soldi dodici. E dico lavori più importanti , considerando che Γ organo compreso nella lotteria fatta nel 1600 da prete Briolano , e che era « di quattro registri, bello e buono con tutti li suoi fornimenti » erasi dai periti stimato in lire duecento quaranta (5). Il giorno 20 novembre 1623 i Padri del Comune deputano il magnifico Giacomo De Franchi a far eseguire le necessarie riparazioni all’organo ; ma non è detto nè quali fossero, nè chi le operasse (6). Ventiquattro anni dopo, 18 febbraio 1647, i medesimi Padri incaricavano Giovanni Heider di nazione svizzero, ed abitante in Genova, di nuovi restauri previa intesa circa la mercede che si avrebbe dovuto pagargli. Il perchè non si ponesse mano al restauro, (1) Ivi, Decreti ecc., 1583-84, primo luglio, e Decreti ecc., 1585-86. (2) Ivi, Man. 158η, (3) Ivi, Cart. 1592, f. 28, 30 apiile. (4) Ivi, Man. 1597, e Decreti ecc., 1596-97, 18 ottobre 1497, e Man. 1601-■602 e Decreti ecc., 1602-1603, 4 novembre 1602, e Ib. 1605, 7 gennaio. (5) Ivi, Man. 1608, 25 gennaio, e Decreti, 1608-609, 21 luglio 1608, e Caet. 1611-12, f. 41, 3 gennaio 1611 , e Man. 1613-14, 13 dicembre 1614, e Man. 1621-23, 10 aprile 1521. (6) Ivi, Decreti ecc., 1623-24. — 103 — e si sostasse più che un anno, chiamando poi addì 23 luglio 164S il padre Guglielmo gesuita, fiammingo, ad esaminarne le condizioni , per ordinarne poi, più che un restauro, un quasi rifacimento, non rivelano le carte del Magistrato. Certo è che addì 9 settembre successivo Francesco Maria Imperiale veniva deputato a trattare coll’Heider circa le riparazioni e riforme, stringendone il contratto nel dì seguente (1). ... Prometteva 1’ Heider di rifare a nuovo 1 sei mantici, con vacchette (pelli) di Russia , ben conciate e con unto di Onzeria, e di unirli al proprio vecchio condotto del vento. Più di fabbricare ed aggiungere due registri di canne di piombo , e cioè , un registro di canne cinquanta di flauti in duodecima col principale del detto organo , e 1’ altro registro di flauti di decimasettima , oppure decima-quinta , come avrebbe corrisposto meglio col principale e con i flauti esistenti. Di fare inoltre la segreta a detti due registri, con registri e manici di buon legno di noce o di corno e di farvi il tremolo e poche piccole canne mancanti. Il tutto bene finito e ben accordato col medesimo organo , ed a piena soddisfazione del precitato padre Guglielmo e del rev. G. B. Strata, organista del Magistrato. Il lavoro doveva essere compiuto entro il mese del succès-sivo ottobre, e contro la somma di lire quattrocento , moneta corrente d’ allora. L’ Heider eseguiva infatti il lavoro affidatogli entro il tempo prescritto , e addi 20 novembre ne riceveva il saldo (2). Di nuovi restauri necessita nel 1691; addi 4 luglio prete Bartolomeo della Torre si obbliga di apportaceli e di perfezionarlo in tal maniera che conservi 1’ accordo in modo durevole ; più di racconciare le canne , 1 mantici ed ogni altro meccanismo concorrente alla perfezione del suono. Ciò per lo spazio di cinque anni e per la somma di scu 1 ventotto di argento (3). Nel 1704 troviamo lo stesso della Torre ad opera di altri restauri, se pure non sono quelli di che è parola qui sopra ; e nuovamente vi lavora nel (1) Ivi, Ib., 1646-49, e Contratti 1635-48, N. 708. Questo Heider il 21 maggio 1640 stipula un contratto (in notaro Alessandro Pelissone , fil. 10) per la costruzione di un organo a privati. (2) Ivi. Contratti, 1635-48, e Decreti ecc., 1646-49. (3) Ivi, Pratiche pub. 1686-96, N. 156. — 104 — 1720, ricevendo per quest’ultimi soli, lire duecentocinquanta di retribuzione (1). Cinque anni dopo, 27 giugno 1725 , e sulle ripetute instanze dell’ organista prete G. B. Bertollo, si ordinavano nuovi lavori al ridetto organo, fattivi pure de Bartolomeo Torre. Il quale per convenzione del giorno precitato , si obbligava di costruire e fornire sei mantici alla moderna, doppiamente foderati, con le piegature ossia stecche di legno di noce. Più una tastiera nuova in legno di bosso ed ebano , ed un registro di voce umana come hanno altri organi per suonare alla elevazione ed alla benedizione. In soddisfacimento del predetto lavoro, che doveva essere compiuto entro tutto il successivo mese di ottobre, gli si assegnavano lire trecento, a patto dovesse però consegnare i sei mantici vecchi che il Magistrato si proponeva vendere a fabbri ferrai per ricavarne qualche u-tile (2). Nel 1729, addì 14 novembre si accreditano ad Angelo Fabri lire trecento in acconto, e addì 28 altre 219,2 a saldo lavori, non specificati nella nota, da esso fatti al medesimo organo (3). Nel 1736 ritroviamo che abbisogna di riparazioni ai mantici, di nuovi canali per il vento, e di rifacimento del peduccio della prima canna di mostra e di racconcio alle canne tutte. S’offrono ad eseguire ciò gli organari Giuseppe Corsi e Lorenzo Roccatagliata, restandone accollato il lavoro a quest’ultimo per contratto del giorno 10 decembre contro la somma di lire seicento (4). Ventidue anni dopo, 30 gennaio 1758, è un Filippo Pittaluga che lo restaura e perfeziona, costruendo ossia aggiungendovi sedici canne nuove di stagno delle principali e racconciando il crivello, la secreta, la registratura, la tastiera, i pedali, i mantici ed il canale del vento , e riducendo la tastiera del secondo principale , ed altre cose. In corresponsione dei quali lavori riceveva la somma di lire mille (5). Due lustri dopo, 1768, è il prenominato Giuseppe Corsi che vi opera altri (1) Ivi, Decreti, 1696-706, 10 giugno 1704, e Mail. 1705-708, e Λ fan. 1717-20. 2 marzo 1720. (2) Ivi, Man. 1721-25. (3) Ivi, Pratiche pub., 1721-24, N. 130. (4) Ivi, Decreti, 1724-40. (5) Ivi, Contratti, 1745-67, N. 235. — 105 — restauri in seguito alle ripetute instanze dell’organista Celle, giacché l’organo era in condizioni tali che quasi non lo si poteva suonare. A trecento lire ammontarono le spese, che si pagavano al Corsi su mandato consegnatogli il 9 luglio detto anno. E sempre lo stesso maestro d’ organi vi eseguisce lavori nel 1781 , restaurando la secreta, col cambiare la tavola esteriore dei registri, col rappezzare ven-tidue canne, e farne centosette nuove. Dalla nota de’ quali lavori abbiamo che le canne di esso organo erano in numero totale di novecentoventidue (1). Eccoci finalmente all’ ultimo restauro, giacche con esso si chiudono quelli fattivi sotto gli ordini dei Padri del Comune, il Magistrato dei quali, cessò, come è noto, col cadere della Repubblica (1797). Anche questo restauro venne operato dal Corsi, in concorrenza con altri due maestri organar!, Nicolò Picasso e Luigi Ciorlo, e anche questa volta in seguito a lagnanze del Celle , dalle quali apprendiamo che già da molto tempo, essendo detto organo inservibile, si valeva dell’altro posto di fronte. I lavori, eseguiti nel 1792, consistevano nella costruzione di una segreta, dei mantici, della tastiera e pedaliera della registratura e nel rifacimento di molte canne oltremodo guaste. In compenso de’ quali lavori, il Corsi, previo collaudo fattone dal ridetto Celle e dal maestro Stefano Vi-ganego , addì 17 febbraio 1794 riceveva la somma di lire 2300, prezzo convenuto tra le due parti (2). Francesco Podestà. UNA NUOVA TOMBA LIGURE. Il borgo dell’Ameglia, situato sul versante orientale del Caprione a breve distanza dalla foce della Magra, sorge nel mezzo di una antica necropoli, che lo cinge come in semicerchio. Molti sepolcri furono scoperti in diversi tempi, la maggior parte dei quali furono manomessi, e la suppellettile dispersa; alcuni per altro vennero salvati, e studiati da (1) Ivi, Pratiche pub., 1761-69, N. 149, e Man. f 1768-69, e Ib}} 1779-82, N. 93. (2) Ivi, Cart. 1792-801, f. 142. — ιο6 — Paolo Podestà, che li descrisse nelle Notizie degli scavi, ed altrove (i). Quelle tombe vennero assegnate ai primi tempi della dominazione romana nell’agro lunense ; e, sebbene in una di esse il Podestà abbia creduto di riscontrare una prevalenza di elemento etrusco (2), in generale tutte mostrano spiccatissimo il carattere dei riti e delle costumanze della gente ligure, non diverse dai sepolcri che sono stati scoperti in altre località dello stesso territorio lunense, come a Viara (3), a Vernazza (4), a Soviore (5), a Barbarasco (6), a Ceparana (7), a Massa di Lunigiana (8), e specialmente nella importante necropoli di Genicciola (9). Il 10 di aprile del 1907, negli stessi dintorni, e precisamente nella località denominata Dissaldo, o Bertoncino e anche Boccabello, in terreno di proprietà dei sigg. Silve-stri-Giorgi e Cimati, fu messa per caso alla luce un’altra di quelle tombe. Saputa la notizia del rinvenimento, interessai l’egr. Cav. Viale, ispettore dei monumenti e scavi per il Circondario del Levante, a provvedere perchè quella suppellettile funebre non andasse dispersa, e per mezzo della Sottoprefettura ottenni che ogni cosa fosse depositata presso il Museo Civico della Spezia, (1) Cfr. Podestà, Tomba in terreno del prof. Paci, in Notizie degli scavi di antichità comunicate all’Accademia dei Lincei, 1886, pp, 114-117, e in Giorìiale Ligustico di archeol. storia e letterat, A. XIII, 1886, pa-gine 395-399. — Id., Di un monile d,oro> antico scoperto in una tomba d’Aineglia, in Giorn. Lig. cit. A. XIV, 1887, pp. 293-299, e a parte, Genova, Sordomuti, 1887. — Id., Di un sepolcro antichissimo scoperto 7iel territorio' del comune [delPAmeglia], in Notizie cit., 1890, pp. 368-570, e, rifatto e ampliato, in Giorn. Lig. cit. XVIII, 1891, pp. 139-146, col titolo: Sepolcro ligure scoperto in Ameglia, ottobre 1890. (2) Giorn. Lig. cit. XVI LI, pag. 144. (3) Relaz. Podestà, in Notizie ecc., 1883, PP- 220-221, Giorn. Lig. 1883, PP· 397-399· (4) Id. Notiz., 1883, pp. 219-220, Giorn. Lig. 1883, PP· 397"399- (5) Id. Notiz., 1882, pp. 405-406, Giorn. Lig. 1883, pp. 123-126. (6; Id. Notiz., 1884, pp. 95-96, Giorn. Lig. 1884, pp. 397, sg. (7) Id. Notiz., 1881, pp. 339-340, e 1882, pp. 406-407. (8) Tombe liguri di Massa lunense, relazione del Cav. Avv. Arsenio Crespellani. In: Atti e Memorie della R. Deputazione di Storia Patria per le Provincie Modenesi, Serie IV, voi. VII, pp. 239-248, con tre tavv. E a parte: Modena, Vincenzi, 1895 in 8, pp. 14. (9) Sepolcreto ligure di Cenisola, di P. Podestà, in Notizie cit. 1879, pp. 295-309, con 2 tavv. E a parte, Roma, Salviucci 1881. — 107 — E ora mi farò a descriverla brevemente. La tomba è, come tutte le altre, a cassetta, ma della maniera più rozza; si compone di sei lastre di schisto lamellare talcoso del Corvo, per nulla riquadrate e senz’al-cuna traccia di lavorazione, meno le due dei lati più stretti della cassa, che alla meglio furon ridotte alle volute dimensioni. Io non ho veduto la tomba in posto, nè ho potuto accertare se all’atto dell’invenzione sia stata trovata sconvolta per movimento del terreno in cui era sepolta ; ma me lo fa sospettare lo stato dei fittili, ridotti in minuti frantumi, meno uno dei minori, trovato più che a metà ripieno di argilla, trasportatavi in sospensione dall’acqua. Dentro il sepolcro si rinvenne: Ceneri ed ossa umane combuste, di cui rimangono determinabili alcune parti degli arti inferiori e della calotta cranica, e alcune vertebre. Due frammenti d’ossa di pollo, pure combusti, che non posso accertare — non avendo veduto, ripeto, la tomba sul luogo dello scavo — se fossero frammisti con le ossa umane, o invece raccolte con altre ceneri in uno de’ vasi accessori (i). Un ossuario di forma regolare, ventricoso, senza anse e senza piede, con labbro diritto di mm. 20 di altezza. Impasto grossolano, non omogeneo, di argilla scura, impura, (1) Mi sono rivolto per la precisa determinazioue di questi resti al chiarissimo prof. Kttore Regàlia, che mi ha cortesemente favorito le seguenti indicazioni, per le quali gli rinnovo i ringraziamenti: « Il pezzo maggiore è i 2[3 distali, con l’estremità articolare in maggior parte mancante per rottura, di un Femore destro di Gallus domesticus Linn., di appena media statura. È certo un Gallinaceo e non è alcuna delle specie selvatiche nostrali: combina, in due fattezze caratteristiche, colle Galline e col Gallus varius Schaw (= G. furcatus Temm.), di Giava, che io posseggo e che (mi diceva il Prof. Giglioli) è ora creduto, in luogo del Gallus bankiva, lo stipite vero delle Galline. Il frammento minore non può essere altra parte dello scheletro che la porzione prossimo-esterna di un Tibio-tarso destro, in cui, di particolare, sono conservati parzialmente il processo ectonemiale e la cresta per la Fibula. Questa si vede bene che fu asportata da rottura, ma il punto più alto della rottura coincide esattamente colla situazione dell’estremità prossimale della cresta di un Gallo di statura eguale. Malgrado i guasti che già aveva, e quelli delle rotture, si può dire che non contrasta, per dimensioni e situazioni delle parti, l’ipotesi che esso appartenga allo stesso Gallus, cui appartiene il Femore ». — ιοδ — pochissimo cotto, lavorato al tornio, verniciato di bruno. Dimensioni: altezza mm. 170, diametro massimo esterno mm. 220, diametro interno della bocca mm. 130, spessore delle pareti da 6 a 8 mm. Fu trovato rotto in molti e minuti pezzi, ma ricomposto, con lacune. Una ciotola, che dovette coprire l'ossuario non capovolta perchè trovata con forti incrostazioni d’argilla nell’interno. D’impasto grossolano non omogeneo di argilla bruna, pochissimo cotta , lavorata a mano , senza labbro , con orlo irregolare e fenditure di cottura, con piede, e senza vernice. Dimensioni: altezza mm. 100, diametro interno all’orlo mm. 185, spessore dell’impasto circa mm. 5. Trovata rotta in più pezzi, ma ricomposta con qualche lacuna. Un vasetto accessorio, di forma elegante, a dolio, senza le anse e senza piede, con labbro aperto ad imbuto e leggermente ricurvato verso l’interno, d’impasto fine ed omogeneo, di argilla bruna, lavorato al tornio, non verniciato. Dimensioni : altezza mm. 95 , diametro massimo esterno mm. 100, diametro alla stretta del labbro mm. 75, spessore delle pareti mm. 3. Fu trovato intero, con solo una sboc-concellatura sull’orlo. Un altro piccolo vaso, di forma analoga al precedente, ma di dimensioni più piccole, e più tozzo, avendo il labbro più sviluppato e più aperto. D’impasto finissimo ed omogeneo di argilla rossa, spessa mm. 2, non verniciato. Dimensioni: altezza mm. 73, diametro esterno massimo mm. 80, diametro alla stretta del labbro mm. 60. Trovato rotto in minutissimi frantumi, e solo in parte ricomposto; tanto però da poterne rilevare con esattezza le date dimensioni. Una oenochoc di forma elegante , ad una sola ansa a nastro ornata di due solchi, e a labbro tondo volto in fuori senza beccuccio. Munita di piede, lavorata al tornio, d’impasto fine ed omogeneo, di argilla giallo-rossastra, verniciata di un bel rosso cupo. Altezza totale mm. 150, altezza del collo mm. 65, diametro esterno al massimo rigonfiamento mm. 100, diametro interno alla bocca mm. 16, spessore dell’ impasto dai 2 ai 3 mm. Trovata rotta in vari pezzi, ma ricomposta interamente. Una cuspide di lancia in ferro, a forma di foglia allungata, con lieve costola mediana, munita del cartoccio o bossolo per l’inserzione dell’asta. Lunghezza totale mm. 350 — 109 — compresi ioo di cartoccio. E’ alquanto incurvata, e fu trovata rotta in due parti, ma venne ricomposta. In posto, poggiava evidentemente sopra la piccola oenochoè, sopra la quale ha lasciato traccie di ossido. Per quello che mi risulta, non fu trovata altra suppellettile dentro la tomba : la quale, e per questo, e per la rozzezza del materiale con cui fu composta la cassa, ci si presenta come la più povera di quante si ricordano scoperte nella necropoli amegliese. Da ciò non si può inferirne per altro una maggiore antichità, non riscontrandosi differenze di riti, nè suppellettile diversa di qualità e di maniera dalle precedentemente venute in luce. La presenza delle ossa combuste di gallina insieme con gli avanzi del cadavere potrebbe far sospettare che ci troviamo di fronte ad una pratica rituale non mai riscontrata in queste tombe liguri; ma, come ho già fatto osservare, sebbene quelle due ossa siano state trovate commiste alle umane, pure non posso accertare che non si trovassero invece, in posto, in uno dei vasetti accessori, a rappresentare gli avanzi del pasto funebre, o un offerta per il defunto. Il Podestà, nel descrivere la « Tomba Paci » della stessa necropoli amegliese , aveva pure notato che neirinterno di uno degli ossuari eravi « un elegante vasel-lino chiuso con entro ossicine non umane » (i). Ubaldo Mazzini. BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO. Francesco Luigi Mannucci, L'Anonimo Genovese e la sua raccolta di Rune (sec. XIII-XIV), con appendice di rime latine inedite e tre facsimili. — Genova, A cura del Municipio, (Tip. Pagano), 1904; in 8°, pp. VII-272. Le Rime dell’ Anonimo Genovese, contenute nel Codice Molfino, prezioso ornamento dell’Archivio Municipale di Genova, non sono soltanto una miniera linguistica di primo ordine, rispetto al dialetto genovese dei sec. XIII-XIV, come hanno dimostrato il Flechia e il Parodi nell 'Arch. Gioii, /tal. Vili, X e XIV, ma sono altresì un monumento letterario di non comune valore, rispecchiando esse il carat- (1) Cfr. Giornale Ligustico cit. A. XVIII, pag. 143 sg. f — I IO — tere di un popolo e di una città in un* epoca , di cui sono giunti a noi scarsi documenti di natura etnica. Ottimo consiglio dunque fu quello di F. L. M., di procurare un' illustrazione letteraria delFimportante raccolta ; e il lavoro fu pubblicato or è qualche tempo, in un elegante volume a cura del Municipio di Genova, e per non essere stato affidato a un editore che va per la maggiore, non si è forse divulgato come si merita. L’illustrazione è qui completa sotto ogni rapporto, esclusa, s’in tende, la lingua; ed è condotta con buona dottrina, diligente amore e acuta indagine ; insomma degna in tutto della scuola del De Lollis, donde esce il M. Senza che noi seguiamo passo per passo l’autore in tutto il cammino, che ha percorso, basterà a dare un’idea del lavoro, l’enumerazione dei capitoli, in cui esso si divide, che sono : I. L’ Autore ; II. Cultura del sec. XIII in Genova e influsso della letteratura volgare sulla poesia dell’Anonimo ; III. L’ elemento religioso della raccolta ; IV. Poesie di genere didattico-civile, drammatico e giocoso ; V. Le poesie politiche; VI. Forme del dire e forme metriche; VII. Conclusione ed appendice: componimenti latini; della rima, dell'ortografia, ecc. La prima questione che il M. affronta , è quella della identifica-zione dell’Autore, ma non riesce ad alcun risultato positivo nè rispetto al nome, nè rispetto al tempo della nascita e della morte. Il M. ritiene a ragione che ogni tentativo sarà infruttuoso, se la sorte non ci favorirà inopinatamente neH’avvenire con qualche particolare scoperta, poiché della sua persona fu all’oscuro anche il raccoglitore delle rime nel manoscritto a noi pervenuto, quantunque egli distasse dall’autore un tratto di tempo ben minore di quello che non ne siamo lontani noi. Ma se della persona dell’autore nulla si può affermare, il M. dimostra egregiamente come il suo carattere possa ricostruirsi per intero con Γ esame delle sue rime. « Profondamente religioso, scrupolosamente onesto, minuzioso all’ eccesso nell’adempimento e nel suggerimento di quella che a lui pareva vera rettitudine, l’Anonimo Genovese impiegò gran parte delle sue ore libere ad un continuo apostolato, correggendo ed illuminando, con la persuasione di fare del bene e di farlo il meglio possibile ». Nobile e meritato elogio, poiché, se la sua vita intima fu davvero (e perchè dubitarne ? quale si può argomentare dagli scritti, egli abbondò innegabilmente di pregi, e i difetti furono se mai 1’ esagerazione di questi. Sicché si può conchiudere col M. che l’Anonimo Genovese, carattere integro e tutto d’ un pezzo, rappresenta degnamente un popolo, che fornì allora alla storia civile e militare d’Italia le più belle pagine, e per di più ne completa le caratteristiche, mostrando che gli spetta anche il vanto, dapprima contestatogli, di una elaborazione poetica del tutto spontanea. L’Anonimo Genovese, come esce dalle pagine del M. è tale uomo - Ili — e poeta, che merita uno dei primissimi posti fra i nostri rimatori del sec. XIII. Infatti, se non ha, ad es. nè la fecondità del milanese Bon-vesin da Riva, nè 1’ impeto lirico di Jacopo de’ Benedetti, possiede però più di quello e pari a questi la sincerità deH’ispirazione e la rappresentazione immediata di essa. Inoltre, egli non si restringe a trattare solo di dottrine morali e religiose o a dare libero sfogo al sentimento ascetico, ma nelle sue rime tocca tutte le corde, che vibrano nell’ anima del popolo. Cosicché, anche per questo è davvero il cantore del popolo genovese e del suo tempo, e a lui devono rivolgersi, più che non si sia fatto finora, tutti coloro che desiderano conoscere le costumanze e la vita di Genova sullo scorcio del dugento. E fin qui siamo perfettamente d’accordo col M. Ma quanto a ritenere l’Anonimo Genovese un poeta popolare, facciamo delle riserve, o almeno bisogna che ci intendiamo bene prima sul valore delle parole. Poiché, se per poesia popolare s’intende, come a noi pare si debba, quella che senza nessuna intenzione d’arte, senza quasi coscienza di sè stessa, prorompe spontanea dall’anima del popolo, senza che l’autore mai vi apparisca o vi si faccia sentire con la sua persona, allora ΓAnonimo Genovese poeta popolare non è nè può dirsi. Che se per poesia popolare vuoisi intendere quella, che pur essendo e dimostrandosi opera individuale di un autore, riflette genuinamente il modo di sentire e pensare di un popolo in una data età , allora l’Anonimo Genovese è poeta popolare e, come dicemmo, di non comune valore. Ma ad evitare il pericolo di confusioni, non sarebbe meglio dirlo addirittura poeta popolareggiante, espressione, lo ammetto, poco felice, ma in mancanza di meglio, almeno chiara e precisa ? P. E. Guarnerio. ANNUNZI ANALITICI. Nozze Ferrari-Toniolo. Perugia, Unione Cooperativa, 1906, in S.°, pp. 146. — Questa miscellanea comprende sette scritture attinenti alla storia , alla letteratura , all’ arte ed al costume. Apre la serie Amos Parducci dimostrando che il Rugetto da Lucca citato dal Redi fra i poeti provenzali, non è mai esistito. Egli crede che quel nome sia caduto dalla penna dell’aretino per equivoco, mal interpretando, o mal decifrando un qualche suo appunto, senza riscontrare la fonte donde trasse la notizia , chè in questo caso si sarebbe accorto dell’errore. Produce Benedetto Soldati quattro traduzioni in strambotti di un epigramma erotico del Pontano, eseguite da tre verseggiatori, e mandate da Lorenzo Strozzi al fratello Filippo. Un d’essi, a quanto si rileva, ne ha fatto due che il S. giudica giustamente superiori d’ assai alle altre. Ma chi sarà mai questo poeta? La congettura ch’ei pone innanzi è quella che codeste traduzioni appartengano al Machiavelli , a cui fra gli altri si sarebbe rivolto lo Strozzi. L’ a- - 112 - micizia di questi collo storico fiorentino , e una certa uniformità d stile e di metro con altri componimenti poetici di lui, danno, secondo il S. argomento di probabilità alla sua ipotesi. Studio ampio, ottimamente condotto sopra una serie importante di documenti, è quello di Giulio Coggiola intorno al busto dell’imperatore Francesco II scolpito dal Canova, che doveva adornare la biblioteca marciana di Venezia ; mentre gli avvenimenti politici, prima ancora che fosse inaugurata fecero esulare quest’opera d’ arte a Vienna , dove al presente si trova. Sono piene di curiosità e di interesse le vicende di quel busto che avrebbe dovuto rappresentare l’imperatore nel costume moderno; ma ciò ripugnava alle classiche idealità artistiche del Canova , il quale fece prevalere il suo avviso, e perciò la figura presenta il costume romano, e posa sopra un basamento che raffigura un’ ara antica pur dovuta al disegno dell’ insigne scultore , sulla faccia anteriore della quale si legge l'iscrizione latina dettata dall’ab. Iacopo Morelli, sebbene con qualche variante dalla prima proposta , e leggermente modificata in riguardo del luogo dove fu collocata nel Museo di Corte. Segue un’erudita monografia di Giuseppe Manacorda sulla leggenda del Prete Gianni; quel principe cristiano di cui si potrebbe dire come dell’araba Fenice: che ci sia ciascun lo dice , dove sia nessun lo sa ; perchè prima si favoleggiò avesse il fastoso suo regno nell’ India, poi trasmigrò nell’Etiopia, e parve identificarsi persino col regno abissino. L’A. con molta dottrina, e larga conoscenza della materia, rifà, al lume della critica , la storia di questa leggenda ; vaglia le narrazioni ed i testi che ad essa si riferiscono, e dimostra come questo favoloso personaggio sia un parto della fantasia, e perciò destituito d’o-gni verità storica. A corredo pubblica una descrizione dell’ Abissinia tratta da una relazione del viaggio di Filippo Pigafetta in Egitto , in Arabia, nel Mar Rosso, al Monte Sinai, dove si ricorda il Pretegianni come quegli che aveva sotto di sè in figura di Vassalli, i re cristiani di quella regione. Alla realtà storica torniamo con le missioni di Fulvio Testi a Mantova e a Vienna nel 1629 e 1632, delle quali discorre Raimondo Salaris giovandosi di documenti d’archivio, delle lettere edite e delle poesie del poeta modenese. A Mantova andò due volte nel '29 e ’30 per la stessa cagione; liberare gli stati del duca di Modena dalla minacciata invasione de' tedeschi e perciò dalla rovina e dalla peste; l’ottenne ma a suon di quattrini che non furono pochi. Due incarichi gli furono affidati per Vienna nel '32, procurare l’investitura di Correggio a Francesco I ed al fratello Cesare una buona carica militare; non riuscì nel primo intento, ma fu più fortunato nell’altro. La esposizione storica di queste missioni porge il destro al S. di riferire alcune altre notizie biografiche sul Testi degne di nota. — Mettendo in luce alcune pagine d’un registro del 1343, serbato nell’archivio di Firenze, dove si notano le vesti bollate per contravvenzione alle leggi sanitarie, Paolo D’Ancona, così benemerito ed esperto conoscitore della storia dell’arte e del costume, rileva come il rigore contro il lusso del — 113 — vestire si fosse acuito dopo la cacciata del duca d’Atene, il quale non solo aveva tolto ogni freno alla licenza degli adornamenti muliebri, ma egli stesso s’era fatto'introduttore di nuove fogge straniere onde si sbizzarriva la moda a que* dì. Vero è che le disposizioni statutarie e la loro applicazione severa, non valevano molto a correggere le belle recalcitranti, le quali pur di sfoggiare in costose e peregrine stoffe, variamente decorate, si lasciavano volentieri tentare (buone discendenti della prima madre) dal serpente della vanità, e abboccavano il frutto proibito, poco curanti delle non piacevoli conseguenze. La denominazione delle vesti e de’ drappi ond’erano conteste, e le altre curiose notizie che il registro di cui il D’A. ci dà succosa contezza, ben manifestano quale utile ne può ricavare lo studioso della vita economica fiorentina nel secolo XIV_ — Tocca per ultimo il Pintor delle prime recitazioni di commedie latine in Firenze, nel decennio che precede il 1488, anno rimasto famoso per la rappresentazione dei chmi alla quale ebbe parte il Poliziano. Recitazioni di commedie classiche promosse e apprestate dagli insegnanti umanisti che levarono fama di sè, e sui quali il P. si ferma attingendo notizie da manoscritti e da documenti, ricordando in ispecie Giorgio Antonio Vespucci, Pier Domizi del Comendatore, e Luca di Antonio Bernardi da S. Ge-mignano, di cui pubblica una breve orazione latina , che è il ringraziamento che dovea esser fatto da un giovanetto scolaro al pubblico dopo la rappresentazione d’una commedia di Plauto. Cesare Levi. Saggio di bibliografia degli studi critici su Carlo Gozzi nel centenario della morte. S. n. tip. (Est. dalla Rivista delle Biòl. ed Archivi), in-8°, pp. 5· — Saggio bibliografico su Pietro Cossa venticinque anni dopo la sua morte. Prato , Passerini, 1906 ; in 160, pp. j6. — Saggio sulla bibliografia italiana di Molière. Prato, Passerini, 1906; in 16.0, pp. 40. — Contributo alla bibliografia della critica goldoniana. Pistoia, tip. Sinibuldiana r 1907; in 8.° pp. 30.. — Lavori di questo genere sono di indiscutibile utilità , anche se semplici saggi, e con intento limitato e parziale; giovano agli studi e porgono materiale più o men copioso a lavori di maggior lena ed estensione ; non diciamo completi perchè in fatto di bibliografia questo non si può pretendere. Ci piace in argomento mettere innanzi un’ osservazione non in tutto destituita di fondamento. In tesi generale troviamo per lo meno superfluo registrare le storie letterarie, i dizionari, le enciclopedie e simili, là dove è discorso del tale o tal altro autore; si sache in opere sì fatte, specie se si tratta di nome famoso , si deve necessariamente parlare di lui; certe biografie poi non sono che ripetizioni, sunti, o rifacimenti (non sempre ben condotti) di speciali scritture critiche e biografiche ; perciò , salvo casi specialissimi , ci sembrerebbe utile togliere via questo materiale ingombrante. Detto ciò, e per quel principio toccato innanzi, daremo debita lode all’ A. dei saggi sopra indicati, i quali riguardano tutti il teatro 7 vogliam dire scrittori tea- Giorn. St. e Lett. della Liguria. 8 — 114 — trali; materia in che il L. manifesta di conoscere molto addentro, ed alla quale ha singolarmente rivolto la sua attività di studioso e di critico. Che tutto sia esatto in questi lavori non si potrebbe dire ragionevolmente, e ΓΑ. stesso noi crede ; per esempio nella bibliografia molieresca là dove cita il Tartuffo nella traduzione del Sografi (p. 24), era utile aggiungere la nota del traduttore con la quale avverte che questa commedia « esce per la prima volta in Italia tradotta con religiosa fedeltà dal suo originale, nulla si è cambiato, omesso, o modificato »; così poco dopo registra la traduzione edita a Livorno nella Galleria teatrale, e asserisce che è « senza nome del traduttore » mentre reca in fronte: « traduzione di Virginio Sondili ». Nella medesima Galleria è la commedia in tre atti: Molière in famiglia, e qui (p. 32) ancora il L. annota: « senza nome di autore », e riferisce 1’ opinione del Lacroix che crede questa commedia imitazione di quella di Gen-soul e Naudet; ora il titolo in quella raccolta è come segue: « Molière in famiglia commedia in tre atti dei signori Gesnoul e Naudet ridotta ad uso del teatro italiano dal professore Gaetano Barbieri ». Sarebbe poi stato bene avvertire che sotto il nome di Nicola di Castelli si nasconde il p. Biagio Angustelli minore osservante lucchese (cfr. Melzi e Passano). Carlo Bonardi. Enrico Uei?ie nella letteratura italiana avanti la « rivelazioŸie » di Tulio Massaraui. Livorno, Giusti, 1907; in 160, pp. 150. — È un utile contributo alla storia della letteratura comparata, e insieme la dimostrazione chiara e manifesta che 1’ Heine era noto agli studiosi italiani assai prima che il Massarani discorresse largamente di lui e invogliasse a meglio conoscerlo nella sua vita e nelle sue opere. Dopo aver parlato della dimora del poeta a Parigi , dove divenne frequentatore, amico, amante forse della principessa Cristina Beigioioso, e dove conobbe Terenzio Mamiani, il B. viene ad esporre i contatti fra le poesie di lui e gli scritti del Guerrazzi, del Revere , del Niévo; tocca delle traduzioni dello Zanella , e delle reminiscenze heiniane nelle poesie originali ; si ferma a considerare i giudizi del De Sanctis, e chiude recando innanzi i nomi de’ primi traduttori, che sono Teobaldo Ciconi, Giuseppe Del Re , e Francesco Scrimin. Infedele il primo fino al punto di far perdere ogni sapore e fisonomia all'originale; notevole invece il secondo per più rispetti nel volgarizzamento dell’ Intermezzo , che meritò 1’ attenzione e le lodi del Carducci, sebbene non manchi di difetti nel rendere il pensiero heiniano con zeppe e amplificazioni deplorevoli, e perciò in modo sovente inesatto. Questa che annunziamo è la prima parte dello studio del B. che si rivela ben preparato a trattare con accuratezza Γ argomento; siamo quindi desiderosi di vederne il seguito annunziato dall’A. come di imminente pubblicazione. Là dove accenna alle notizie biografiche del Revere (pag. 41 in n.) rileva il periodo del 1850 injcui questi venne a Genova e poi fu confinato a Susa dal governo piemontese ; ora sopra questo particolare recano luce nove lettere di lui a Ema- ìiuele Celesia, pubblicate testé per nozze da Guido Bustico (Salò, Devoti, 1907). Giovanni Carbonelli. Il « De sanitatis custodia » di maestro Giacomo Albini di Moncatieri con altri documenti sulla storia della medicina negli stati sabaudi nei secoli XIV e XV. Pinerolo , tip. Sociale, 1906; in 8°, pp. 188, con 8 tav. — Il testo che pubblica il C. si trova in un codice (ora alquanto danneggiato dall’incendio) della biblioteca Nazionale di Torino ed è indirizzato al principe Giacomo d’Acaja da un Iacobus subditus fidelis. La prima indagine dello studioso era quella di ricercare chi fosse costui, ed a ciò si è posto 1’ editore con quella diligenza e quell’acume che gli hanno consentito di determinare come l’autore del trattato fosse il medico Giacomo Albini da Monca-lieri addetto alla corte de’ principi d’Acaja. Egli, sulla fede di documenti con assidua cura ricercati, e con ottimo accorgimento interpretati, porge sicure notizie di quel medico per il corso non interrotto di ben ventiquattro anni, rilevando con plausibili congetture alcuni particolari della sua vita, e della sue vicende. Nè si può mettere in dubbio che a questo Giacomo Albini appartenga il trattato medico qui pubblicato, poiché certi riferimenti intrinseci, posti acutamente in relazione con le notizie documentarie , rilevano chiaramente la verità dell’attribuzione. Con lo stesso rigore di metodo il C. stabilisce il tempo in cui venne scritta questa operetta, e cioè fra il 1341 e il 1342, e l’intento suo fu quello di mettere sotto gli occhi del principe le norme migliori per conservare la salute di lui, della moglie, de’ figli, de’ consanguinei. Onde assai si distende l’autore ne’ primi capitoli a proposito della igiene della gravidanza, del parto, della puerpera, del neonato; notevoli le prescrizioni sull’ allevamento, e sulla educazione de’ fanciulli fino ai 15 anni. Le quali cose il C. pone opportunamente in rilievo, mentre esamina il contenuto del trattato ne’ rapporti della scienza, e del costume, con molta dottrina e competenza. Il codice in pergamena è assai probabilmente quello stesso offerto da Giacomo al principe d’Acaja; è miniato con fregi e capitali; in alcune di queste sono piccole figure ; notevole la prima perchè certo il pittore ha voluto rappresentare l’autore. Le pagine dove esse cadono sono felicemente riprodotte in cromolitografia; altre tre grandi capitali puramente ornate si veggono nelle tavole successive. Cresce importanza alla pubblicazione l’appendice documentaria, dove riesce assai curioso l’inventario di una spezieria al cadere del trecento, corredato dalla ri-produzione del singolare affresco del castello d’Issogne (Val d’Aosta) che rappresenta una farmacia del sec. XV. Di non poca utilità è il glossario alla intelligenza di vocaboli oscuri o corrotti, e dove il C. aggiunge nuove notizie e necessari schiarimenti. Ch. Dejob, Bar etti, Goldoni et Métastase. Noces Châtelain-Gaillard, 17 juillet 1907. Toulouse , Lagarde et Sebilie , 1907, 16.°, pp. 21. — Uno dei giudizi del Baretti che ha sempre sollevato le più fiere proteste e di fronte al quale anche i critici più favorevoli ad Aristarco — 116 — sono sempre rimasti titubanti ed incerti , è indubbiamente quello che riguarda il Goldoni e il suo teatro, per cui il Baretti, si sa, non volle mai nascondere la sua invincibile avversione. Quali le plausibili ragioni delle fiere e ingiuste critiche d’Aristarco? Parecchi ne tentarono la ricerca; ma, giova riconoscerlo, assai debolmente e con scarsi risultati; nè il recente centenario goldoniano alcun serio contributo ci ha portato, offrendo solo una buona occasione a nuovi sfoghi di magnanimi sdegni contro il feroce giustiziere delle fame letterarie del Settecento. 11 Dejob, in questo opuscolo nuziale dedicato a Emile Châtelain dell'istituto di Francia, ritorna sull’ argomento, esponendo idee in parte nuove e indubbiamente acute. Il Dejob vuole che le ragioni di quegl’ingiusti giudizi dipendano da difetti del talento e del carattere ba-rettiano. Il Baretti, secondo il Dejob, è così premuto dal bisogno d'esprimere la sua opinione, che non si dà la pena di ragionarla, e d’altra parte non ha principi nè abbastanza fermi nè abbastanza profondi. Il Baretti nei suoi giudizi obbedisce insomma al primo moto impulsivo. Ma c’ è anche una ragione che onora il suo carattere. Egli è vissuto molto fuori d’ Italia, e ha letto e ammirato Corneille, Racine, Molière, Shakespeare , di fronte ai quali naturalmente il commediografo veneziano gli appare ricco di difetti e gli sembra un vanitoso , che abbia affrontato una concorrenza troppo grave per lui e abbia così avvilito l’arte italiana di fronte agli stranieri. Sicché il Baretti non vede nel teatro goldoniano le eccellenti qualità tecniche e le pitture forti e sicure, tutto preoccupato da quel sentimento d’ orgoglio nazionale che fu, si sa, lo stimolo di parecchie sue opere notevoli. Da qui in gran parte la ragione , secondo il Dejob , dell’ entusiasmo del Baretti pel Metastasio, che apparteneva pure alla tanto derisa e detestata Arcadia, e nel quale il critico non vedeva che pregi sovrani. Per merito del Metastasio l’Italia provava ancora la gioia di regnare sul mondo; era il Metastasio che aveva fatto dell’ italiano la lingua universale della musica ; nè alcuna lode poteva quindi essere , secondo il Baretti, eccessiva. Concludendo, pel Dejob « le jugemente de la Frusta sur Gol-doni est la plus criante de ses injustices, mais peut-être aussi la preuve la plus touchante de son amour pour l’Italie ». (L. P.). APPUNTI DI BIBLIOGRAFIA LIGURE. Accame Paolo. Riva e Taggia nei loro confini: memoria storicogiuridica in difesa del comune di Riva Ligure. Finalborgo, tip. A. Reb-baglietti, 1907, 8.°, pp. 170. Andreani Giovanni. Per l’inaugurazione del monumento a Giovanni Fantoni. Alcaica. Borgotaro, tip. Cavanna, 1907, in fol. voi. Arte (L’) nella chiesa di Bogliasco (in La Madonna della Guardia, 1907, n. 7). — 117 — Balbo F. Mazzini e Carducci (in La Romagna, A, IX, n. 5). Bassi Domenico. Il p. Antonio Piaggio e i primi tentativi per lo svolgimento dei papiri ercolanesi (in Archivio storico per le provincie napoletane, A. XXXII, pag. 637 e segg.). Brizzolara Giovanni. Del culto di N. S. della Salute nella Vicaria Abbaziale-Parrocchiale di S. Bartolomeo della Costa di Promontorio (in Settimana Religiosa, 1806, n. 40). Bruno A. 'Gli antichi cancellieri e segretari del 'Comune di Savona (in II Cittadino di Savona, 1907, nn. 38, 39). -· L’unione a Savona dei Comuni suburbani (ivi, n. 91). — Pietro Giuria (ivi, n. 96). — Le ceneri del Chiabrera (ivi, nn. 109, no). —Savona sotterranea, note archeologiche e storiche (ivi , nn. 135, 136, 137)· Bustico Guido. Saggio di una bibliografia di libretti musicali di Felice Romani. Torino, Bocca, 1907, 8.°. pp. 56 (Estr. Rivista Musicale Italiana, 1806, vol. XIV, fase. 2.0). Cambiaso Domenico. Un9Ave Maria del sec. XIII [in un’ iscrizione sepolcrale di S. Francesco di Castelletto] (in Settimana Religiosa, 1907, n. 49). Cervetto Luigi Augusto. Il quadro di Pellegro Piola e la corporazione degli orefici (in Rivista ligure di scienze -, lettere ed ai ti, XXIX, pag. 189 e segg.). — La illuminazione pubblica a Genova nel passato (ivi, pag. 241 e segg.). Chichizola Cesare Augusto. Le nozze d’oro del m. r. Bartolomeo Zappettini, priore di S. Rocco, ed il collegio dei parrochi, addì 16 agosto 1907. .Genova, tip. della Gioventù, 1907» in 8·°> pp* 11· Crino Sebastiano. Notizia sopra una Carta da Navigare di Visconte Maggiolo che si conserva nella biblioteca Federiciana di Fano (in Bolletti?io della Società Geografica Italiana , Ser. IV , voi. Vili, pag. 1114 e segg.). Del Lungo Isidoro. Il primo centenario di Labindo a Fivizzano (Giovanni Fantoni 1755-1807) (in Rassegna Nazionale, Firenze, 1907, 16 ottobre, pp. 614-616). Dechamps Enrique. La tumba defiintiva de Colón (in Iloias selectas, A. VI, n. 68 e segg. con figg.). D. G. Il V Cinquantesimo della pestilenza (1656-57) (in Settimana Religiosa, 1907, n. 40). Episodio dei moti del 1849 (in Settimana Religiosa, 1907, n. 47). Ferretto Arturo, La chiesa di S. Maria di Bogliasco attraversò la storia (in La Madowia della Guardia, 1907, n. 7). — L’ospedale di Bogliasco (ivi). — Marinai bogliaschesi (ivi). — La serie dei parrochi di Bogliasco (ivi). Foglie sparse, A. II, n. 11. Giovanni Fantoni. — [Iscrizione per l’apparizione della Madonna a Ponzano nel 1647]. — I prelati della nobile famiglia Brunetti di Massa (L. Mussi). — 118 — Foville (De) Jean. Gênes. Ouvrage orné de 130 gravures. Paris, Renouard, H. Laurens edit. (Evreux, imp. Herissay et fils), 1907, S.°, PP. 152. Frati Lodovico. L’inventario di Bartolomeo dalla Rovere vescovo di Ferrara. Ferrara, Zuffi, 1905, in 8.°, pp. 20. Gabotto Ferdinando. La gloria di Genova. Discorso letto per la solenne inaugurazione degli studi nella R. Università di Genova il giorno 4 novembre 1907. Genova, Olivieri, 1907, in 4.0, pp. 14· Gargano G. S. Labindo nel primo centenario della sua morte (in II Marzocco, 1907, n. 40). Gobbi Pietro. Intorno ai sermoni di Gabriello Chiabrera Iesi, tip. ed. Mori, 1907, in 8.°, pp. 77. Grassi Ida. La « Giovane Italia » e le congreghe delle Marche nel 1833 (in Rivista d'Italia, giugno, 1907, pp. 1016-1035). Gruber Ermanno. Giuseppe Mazzini. Massoneria e Rivoluzione, studio storico-critico. Traduzione dal tedesco di Eugenio Polidori, Roma, Desclée, Lefebvre e C., 1907, seconda ediz., 16.0, pp. 344. Hanquet J. Il porto di Genova nell’ antichità (in Revue des questions scientifiquesy 20 luglio 1907). Il Bibliofilo. Giovanni Ruffini primo assertore di Roma capitale (in Rivista di Roma, 1807, fase. XIX, 1 ottobre). « Il regazzo delle sassate ! » L’esistenza di Balilla e della sua azione eroica è definitivamente accertata (in Corriere di Genova, 1907, n. 1095, 11-12 agosto). Lanza Domenico. Giovanni Ruffini (in La Scuola, Milano , 4 ottobre 1907, n. 1). La Spezia a P. B. Shelley, 27 ottobre 1907. Spezia, 1907, in 4* di pp. 2i con 13 figg. e ritr. [Pubblicaz. commemorat, in occasione dello scoprimento della lapide a P. B. S. in Santerenzio (Lerici). Contiene versi e prose, fra gli altri, di: C. Roccatagliata, G. e O. Petric-cioli, A. Cippico, P. Orano, G. Mazzoni, R. Ascoli, E. Cozzani, P. Bione, C. Martinetti, P. Gori, G. Biagi, U. Formentini, M. Rapisardi, G. Brusacà, M. Pratesi , V. Aganoor , G. Papini, Newman Hovrard, F. Poggi]. Longhena Mario. Carta nautica del Becharius 1435* — Atlante di Visconte Maiolo, 1512. — Carta di Vesconte e Giovanni Maggiolo, 1525 (in Atlanti e carte nautiche dal sec. XIV al sec XV conservati nella biblioteca e nell'archivio di Parma y Parma, Zerbini % 1907 , pagina 16, 29, 32. Estratto dagli Atti d. r. Dep. di Stor. Pat. di Parma y N. S. voi. VII). Lucini G. P. Elogio di Varazze [versi]. Varazze, tip. G. Botta, 1907, 8.°, pp. 14. Molfino Francesco Zaverio. I cappuccini in Quarto al mare. Genova, tip. della Gioventù, 1907, 8.°, pp· 44» — Memorie Mariane genovesi (in La squilla Mariana, 1907, n. 10, 11 cont.). — Spigolature storiche: S. Lorenzo della Costa (ivi). — Il P. Raffaele Cataldi dei Cappuccini (in Settimana Religiosa, 1907, n. 8, 9, 10, n). — Il terzo centenario di un convento: Pieve di Teco (ivi, n. 41). — Memorie storiche genovesi: appendice alla SS. Annunziata di Portoria (ivi, n. 46). Monevi Clementino. La canzonetta. Roma, tip. Artigianelli, 1907. Per ciò che riguarda il Chiabrera. Monti Alessandro. Un nuovo antico dipinto dèlia Madonna di Loreto a Savona (in Settimana Religiosa, 1907, n. 48) Novella P. N. S. della Vittoria (in Settimana Religiosa, 1907, n. 33). Onoranze a Giovanni Fantoni (in A Noi! giornale democratico costituzionale , Pontremoli, A. IV, nn. 38, 39, 40). Ottolini Angelo. La varia fortuna di Giovanni Fantoni (in Rivista d'Italia, A. X, vol. II, p. 601 e segg.). Pedio E. Lettere inedite di G. Mazzini (in Rivista d* Italia, Roma, 1907, fase. IX, pp. 487-499)» Pellizzari Achille. Un viaggio strano [a proposito d’ un avviso per un concerto di N. Paganini del 1815] (in Miscellanea storico-letteraria a Francesco Mariotti nel cinquantesimo anno della sua carriera tipografica. Pisa, Mariotti, 1907, pag. 187 e segg.). Persoglio P. L. 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Paris, Fontemoing, (Laon, lmp. du Journal de l’Aisne), 1907, in 8.°, pp. XI-207. - 120 v- Premoli Grazio. Di un carteggio inedito fra due santi prelati [Alessandro Sauli e Carlo Bascapè] (in Rivista di Scienze storiche, A. IV, pag. 161 e seg. in continuazione). Primo (II) decreto che ordinò in Genova il suono della campana dei morti ad· un’ora di notte (in Settimana! Religiosay I9°7> n* 43)· Relazione finanziaria e morale sulla gestione dell’ anno 1906 [del] R. Istituto Nazionale pei Sordomuti in Genova. Genova , tip. Sordomuti, 1907, in 4.0, pp. 46. Rota Alfredo. Le demolizioni del passato : La chiesa di Colombo e di Balilla che scompare (in Emporium, volL XXVI, n. 155, nov. 1907, pagg. 396-402, con 5 figg.)· Salvemini G. Giuseppe Mazzini dall’ aprile 1S46 all aprile 1S4S (nel voi. Raccolta di scritti starici in onore del prof. Giacinto Romano, Pavia, Fusi, 1907). Serie dei Parrochi di S. Maria delle Vigne (in Settimana Religiosa, 1907, n. 43). Sforza Giovanni. 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Battista Strozzi (ivi, n. 175). — Gabriello Chiabrera nella vita pubblica (ivi, n. 183). — L’ « Angelica in Ebuda » di Gabriello Chiabrera (ivi, n. 204, 205). Vinciguerra Marco. Per l’inaugurazione del monumento a Giovanni Fantoni in Fivizzano. Pellegrinando. [Ode]. Borgotaro, tip. Cavanna, [1907], in fol. voi. ZiLiOTTO Baccio. Giuseppe Mazzini e la musica (in II Palvese, Trieste, A. I, n. 29). Giovanni Da Pozzo amministratore responsabile. - 12 1 - CARTEGGIO INEDITO DEL PONTEFICE GREGORIO IX COI GENOVESI (1227-1235) Già il Potthast coi Regesta Pontificum e I’Auvray coll’opera Les Registres de Grégoire IX trattarono, il primo a mo’ di regesti ed il secondo parzialmente ed integralmente , del carteggio di Gregorio IX. Le lettere, che ora pubblico, sono del tutto inedite e rispecchiano le relazioni che il successore di Onorio III ebbe con Genova nostra, Del carteggio fan parte due Bolle grandi, in virtù delle quali vengono confermati i privilegi ed i beni dei monasteri di S. Tommaso di Genova e di S. Venerio del Tiro. Umili e romite chiesuole , che non aveano prima d’ oggi alcun cenno nei documenti, fan capolino nel nostro epistolario, ove è pur lumeggiata la figura di quel Guglielmo Cicala, che fu padre del nostro trovatore Lanfranco. Avrei pubblicato semplicemente le lettere, ma m’avvidi che gli atti , concernenti la loro esecuzione , offrivano tal formulario da poter recare buon contributo per la procedura legale di quei tempi. La lettura di questo carteggio farà sempre più apprezzare il preziosissimo deposito dei Notavi del nostro Archivio di Stato, dove si conservano documenti, i quali sussidiano la storia con inaspettate rivelazioni. Arturo Ferretto. i. 1227, 12 Maggio. — II pontefice Gregorio IX scrive all’Abbate di San Stefano di porgere ascolto ai lamenti fatti dalla Badessa di S. Andrea della Porta contro Giacomo Bulgaro, Ugolino da Parma, chirurgo, e parecchi altri. Fonti. — Mi zio, .S. Andrea della Porta, ms. alla Bibl. Civico-Berio in Genova: Poch, Miscellanea, ms. alla Bibl. Civica-Berio, Vol. Ili f. 95. Osservazioni. — Il Poch l'attribuisce erroneamente al pontefice Gregorio X. Gregorius episcopus seruus seruorum dei dilecto filio Abbati Monasterii sancti Stephani ianue salutem et apostolicam benedictionem. Alias nobis dilecte in Xpisto filie Abatissa et Conuentus monasterii Giorn. St. e Lett. della Liguria. 9 sancti Andree de porta ianuensis ordinis sancti Benedicti conquestione monstrauit quod Iacobus de Burgaro Iacobus Pugnotus Ugolinus dictus Parmensis cirurgicus Bisacia et Bartholomeus de Cornario laici Ianuensis ciuitatis et diocesis super terris possessionibus et rebus aliis iniuriantur eisdem. Ideoque discretioni tue per apostolica scripta mandamus quatenus partibus conuocatis audias causam et appellatione remota debito fine decidas faciens quod decreueris per censuram ecclesiasticam firmiter obseruari. Testes autem qui fuerint nominati si se gratia odio vel timore subtraxerint censura simili appellatione cessante compellas veritali testimonium perhibere. Datum Laeterani IIII Idibus maii pontificatus nostri anno primo. II. 1227, 7 Luglio. — Il pontefice Gregorio IX ordina al Prevosto di San Prospero ed agli Arcipreti di Fabbrica e di Campagnola, nella dio-cesi di Reggio, di costringere VArciprete ed i chierici di Duliaria, nella diocesi di Piacenza, a conferire un benefizio a maestro Piaceri-lino y chierico della chiesa di S. Maria della Gariverta in Piacenza, cappellano di Giacomo [da Pecoraro] vescovo di Palle strina , e già raccomandato dal Pontefice Onorio III. — Atti indi seguiti coll intervento di maestro Giovanni da Cogorno , arcidiacono della Cattedrale di Genova. Fonti. —Atti del Noi. Gio. Enrico de Porta, Reg. I, f. 104-105V., Arch. di Stato in Genova. In presencia testium infrascriptorum. Obertus de Rouegoço qui dicebat se esse nuntium domini Alberti Reginensis Archipresbiteri fuit confessus quod representauerat et obtulerat ea die in mane Magistro Iohanni Archidiacono Ianue. ex parte dicti Alberti, litteras infrascriptas. sigillo cereo dicti Alberti sigillatas, in quo erat forma sculpta ciusdam Agni cum vexillo et cruce, cuius circumscriptio erat. ►£. S[igillum] Alberti Archipresbiteri Regii. forma unius quarum litterarum talis est, Venerabili in Xpisto patri et domino. I[ohanni] Archidiacono Ianuensi. Al[bertus] Archipresbiter Reginus subdelegatus. duminorum. N. sancti prosperi Reginensis. et Archipresbiteri de fabrica Reginensis diocesis Salutacionem in domino ihesu Xpisto. Inreprehensibile est in quolibet iurisdictioni se ingerere, aliene, multo reprehensibilius in Archidiacono cuius labia euangelica consecrantur, qui vix iurisdictionem sibi comis-sam valet ratione offitii adimplere. Sane cum dilectus in Xpisto Magister placentinus de bubiano ad dilectos in Xpisto Archipresbiterum et capitulum plebis duliarie super ipsius receptione in dicta ecclesia. A bone memorie, hfonorio]. monitorias, preceptorias. et eandem A summo patre G[regorio], papa, litteras executorias impetrasset nobis executoribus deputatis. Gerardus quidam ad vos litteras obtinuit inter alia, tenorem huiusmodi continentes, quod Archipresbiter et capitulum nominati non obstante eo quod dictus dominus. P. super receptione — 123 — sua ad eosdem litteras impetrami cum ad mandatum eiusdem domini pape in ecclesia piacentina in canonicum sit receptus, recipere noluerunt in eorum ecclesia in canonicum et in fratrem. Uos eos ad id compelleretis per censuram ecclesiasticam monitione premissa et quamuis tunc temporis super priori beneficio vacanti littere. dicti. G. in quibus mandabatur dicto capitulo quod si eorum ecclesia de mandato summi pontificis non esset in alterius receptione grauata. non obstarent domino. P. ea potissima ratione quia dominus G. non fuit inchoator ne-gOtii eiusdem. P. immo verius executor. propter quod iuxta decretalem eiusdem. G. in receptionem dicti. P. non intelligebatur per ipsum, papam. Gregorium in aliquo predicta ecclesia pregrauari. Uos tamen eodem magistro. P. minime requisito inter dictum. G. et Obertum de paçano super benefitio quod fuit presbiteri Opiçonis et super alio in eadem plebe postmodum vacaturo inepte et non contra concilium tu-ronense quod inhibet sanctionem prebendarum quam lateranense quod inhibet vacaturas sub quadam forma satis inhonesta arbitrium promulgastis. sicut patefecit nobis eiusdem arbitrii transmissum A vobis domino. Iafcobo] bagaroto. et ut cum reuerentia vestra loquamur regentes vos consilio alieno potius quam proprio, et addentes errorem errori, daui vel renuntiaui. illud totum reuoco et reuocari uolo et mando. Testes Abbas sancti Stephani. et Bartholomeus canonicus Ianue. et magister Atto notarius, et Rollandus clericus domini Archidiaconi. M CC XXXV. Inditione VII. die X Ianuarii. post completorium. A-ctum Ianue in camera dicti Archidiaconi. Venerabili in Xpisto patri et domino. AI. dei gracia Archipresbi-tero Reginensi dignissimo. Magister. I. sola dei permissione dominus Archidiaconus Ianuensis. Salutacionem. et sinceram in domino caritatem. Super prudentia vestra admirantur plurimum sapientes, quod vos qui iactatis iura scire, multamque iustitiam profitemini, cum tanta iniuria processistis quod in facto vestro vobis ipsis contrarii apparetis. Dixistis enim in quibusdam litteris vestris mihi vestro nomine presen-tatis. quod executiones mihi a domino papa facte super benefitio plebis duliarie piacentine diocesis. G. clerico conferendo iurisdictio expi-ravit. Mihi tamen mandastis in eisdem litteris quod id quod feceram pro dicto. G. de beneficio modo in ipsa plebe vacanti quod olim magister Gandulfus in eadem optinebat plebe penitus revocarem. Alioquin excomunicationis sentenciam contra me fulminastis. Quare si..... non timeretis iurisdict .... permanere non mihi precepissetis cum tanto fulmine quod......irritare processum. Idcirco dicte littere falsam etiam gramaticam continentes locis amplioribus. A vestra non videntur sana conscientia emanasse. Porro cum dixeritis quod ego non meo usus conscilio sed alieno adieci errorem errori ignorantia mea de peccato meo Apud humanitatem vestram facilem veniam debuit promereri. Qum iuxta verbum evangelii. Servus sciens voluntatem domini sui et non faciens, vapulabit multis. Servus vero nesciens et non faciens vapulabit paucis. Sustinere igitur debuistis modicum quid insi- — 124 — pientie mee subportantes me in spiritu levitatis, quia libenter suffertis inscipientes cum sitis ipsi sapientes ut sermo vester esset sale conditus. Ad hec cum vobis constet de predicta exentatione mihi facta A domino papa prout in dictis nostris litteris continetur nec delegatione facta preposito sancti prosperi Reginensis. et Archipresbiteris de campinola et de fabrica, et de subdelegatone facta vobis a predictis preposito et Archipresbitero. de fabrica eorum coniudice iam defuncto mihi constet per aliquod auctenticum scriptum, non credo vos esse subde-legatum iudicem a predictis. unde multum iuris periti mirantur. Quod vos adeo peritus in iure cum tanta iniuria contra me processistis preterea. Apud Olouram. piacentine diocesis. mihi locum Assignastis, tamquam in me imperium habeatis, ut ibi conveniamus ad quem nostrum pertineat iurisdictio cognituri. Quare contra nostram iniuriam. iuxtam possem excomunicationis sententiam promulgare. Nolo tamen precipitare iustitie gladium ad vindictam, sed potius de benignitate mea veniam tribuo delinquenti. Super benefitio autem quod olim fuit magistri Gandulfi canonici plebis duliarie et quod dicitur pertinere magistro Placentino canonico maioris ecclesie piacentine, de cetero procedere non propono, et si supra eodem contra iustitiam processi, vel aliquid fieri mandatum cum sitis functi offictio vestro, et super vacaturo a tempore compromissi non habeatis aliquam iurisdictionem. vos intromittatis de benefitio quod presbiter Gandulfus olim optinuit in ecclesia memorata, quod ad magistrum placentinum videtur sine dubio aliquo pertinere in preiudicium anime vestre.cum ipsum miserimus in possessionem beneficii memorati, contraditores denuntiando excomunicationis sentencie subiacere. et licet contra vos possemus procedere iusticia mediante, cum molestia vestra potius facti quam iuris existât, volentes nos defferre in quantum possumus ita tamen quod iustitia non ledatur. vobis ac quo fungimur mandamus precipiando quatinus de benefitio quod fuit olim magistri Gandulfi quod ad dictum magistrum. P. pertinet aliquo modo vos de cetero non intromitatis. et si in aliquo de facto processistis contra ipsum prudenter revocare curetis, taliter quod de revocatione nobis fiat fides per publicum instrumentum. Alioquin licet inviti exnunc vos excomunicamus. et excomunicatos publice nuntiamus. Veruntamen si creditis vos super predictis aliquam iurisdictionem habere, parati sumus in loco comuni convenire, quem statuimus vobis apud ulubram piacentine diocesis. et dubitationem secundum constitutionem domini Innocentii diffinire, ad maiorem tamen cautelam interscripta iurisdictionis nostre vobis sub nostro sigillo duximus destinare, nec miremini de tertio iudice qui mortuus est. forma vero alterius litere talis est. quod est rescriptum domini pape. Gre-gorius episcopus servus servorum dei. dilectis filiis., preposito sancti prosperi Reginensis. et C. de Campiola. et de fabrica Archipresbiteris Reginensis diocesis. Salutem, et Apostolicam benedictionem. Qui preces Apostolicas nolunt exaudire spontanea sue debent duritie imputare, cum ad eas exaudiendas compelluntur inviti. Sane dilectus filius ma- — 125 — gister placentinus clericus ecclesie sancte marie in gariverti de placentia. capellanus venerabilis fratris nostri. G. episcopi prenestini sua nobis petitione monstrauit quod cum bone memorie, h. papa prede-cessor noster, dilectis filiis.. Archipresbitero et clericis duliarie piacentine diocesis. suas dederit literas in mandatis ut eundem magistrum reciperent in canonicum et in fratrem eiusdem in prebendali benefitio. cum se offerret oportunitas prouisuri. et idem mandatum surdis auribus transeuntes id efficere non curarunt. Nolentes igitur relinquere imperfectum. quod idem predecessor noster de predicti prouisione magistri, presertim cum ita de moribus et scientia comendetur ut potius ecclesie sue de ipso quam ipsi videatur in eadem ecclesia prouisuri. Eisdem nostris damus litteris in preceptis ut iuxta iamdicti predecessoris nostri mandatum in fratrem et canonicum suum recipiant eundem, ei-que prebendam si qua in ecclesia vacat, alioquin cum primum obtulerit se facultas liberaliter conferant et assignent. Quocirca discretioni, vestre per apostolica scripta mandamus quatinus, si dicti Archipre-sbiter et clerici nostrum quod non credimus neglexerint adimplere pre-ceptum. vos eos ad id per censuram ecclesiasticam, appellatione remota cogatis. Quod si non omnes etc. Datum Anagni. nonis iulii. pontificatus nostri Anno primo. Testes Arduinus da valletari. Enricus capellanus Monasterii sancti Stephani. et lohannes monacus sancti Stephani. MCCXXXV. inditione. VII. die. X. Ianuarii. inter nonam et vesperas. Actum Ianue. in camera dicti Archidiaconi. et de hiis dictus Archidiaconus cartam fieri iussit. III. 1228 , 28 Febbraio. — Il pontefice Gregorio IX scrive per la seconda volta al prevosto di S. Donato ed a maestro Ugo, ca?io?iico di S. Lorenzo», di far sì che il rettore ed i chierici di S. Martino di Pegli accolgano il chierico Oggerino. Fonti. — Atti del Noi. Maestro Salmone, Reg. I, f. 344V., Archivio di Stato in Genova. Nos lohannes prepositus ecclesie sancti donati et magister Vgo ma-giscola Ianue domini pape executores In conferendo beneficium cano-nicatus ogerino de gallelis in ecclesia sancti martini de pelio vt apparet ex forma rescripti domini pape Inferius Annotati visis rescripto executionis nobis destinatorum rescripto oblato presbitero Guillelmo rectori ecclesie predicte sancti martini et clericis eiusdem ecclesie visis etiam exceptionibus oblatis A presbitero Guillelmo predicto nobis contra rescriptum et personam ipsius ogerini et confessoribus et testibus et Allegacionibus Ab vtraque parte factis et prodoctis visis quoque instrumento Absolutionis ipsius ogerini Ab excomunicatione qua tenebatur Astrictus propter uiolentas manus quas iniecerat in presbi-terum Nicolam et instrumento quo continetur quod dominus Guifredus tempore sue legationis dirpensauit cum dicto ogerino super eo quod - I 2 6 - dictus ogerinus ignorancia ductus excomunicatus ordines susceperat quosdam minores receptis etiam literis et visis fratris benedicti peni-tenciarii domini pape et diligenter predictis omnibus lectis et discussis habito quoque conscilio prepositi de vineis et Guillelmi de lavania canonici Ianue iuris peritorum de consenssu vtriusque partis nobis Assistendum Auctoritate delegationis domini pape seu executionis Cano-nicatum in ecclesia sancti martini de pelio. Adiudicamus ogerino supradicto precipientes tibi dicto presbitero Guillelmo rectori dicte ecclesie presenti sub pena excomunicationis ex nunc in te late quatenus ipsum ogerinum recipias statini coram nobis in fratrem et clericum dicte ecclesie sancti martini de pelio et tuum rebelles quoque et contumaces super receptione et canonicatu ogerini predicti excomunicamus similiter et precipimus domino rainaldo clerico dicte ecclesie sancti martini de pelio vt ipsum ogerinum recipiat hodie per totam diem in fratrem et canonicum et clericum in dicta ecclesia de pelio verum quia beneficium Ad presens non vacat in dicta ecclesia sentenciando diffinimus ul prebendale beneficium seu prebendam canonicam dictus ogerinus habeat cum primo facultas se obtulerit in predicta ecclesia de pelio predicta omnia ideo sentenciamus et ordinamus vt predictum est qum dominus papa nos fecit executores per suas literas et rescriptum Ad predictum canonicatum conferendum dicto ogerino et qum ipse presbiter Guillelmus multas exceptiones oposuit contra rescriptum domini pape et personam ogerini in probacionem tam ipsarum prorsus defecit cum ogerinus tempore rescripti Absolutus iam erat per fratrem benedictum penitenciarium domini pape et ydonea persona nunc est ad ordines et beneficium recipiendum Tenor rescripti domini pape talis est Gregorius episcopus seruus seruorum dei dilectis filiis., preposito sancti donati et magistro vgoni canonico sancti laurentii Ianue salutem et apostolicam benedictionem dilectus filius ogerius pauper clericus in nostra proposuit presencia constitutus quod cum olim pro eo rectori et clericis ecclesie sancti martini de pelio Ianuensis diocesis nostris dederimus literis in mandatis vt ipsum per nostram reuerentiam reciperent in clericum et in fratrem ipsi id efficere hactenus non curarunt Ad hoc Autem si tamquam deuocionis filii obedire noluerint experiri nolentes per iterata sibi scripta dedimus firmiter in preceptis vt si prius pro Alio eis non scripsimus eumdem clericum in eorum ecclesia residere paratum iuxta prioris mandati continendam in fratrem et clericum recipere non postponant quocirca discretioni uestra per apostolica scripta mandamus quatenus si dicti rector et clerici preceptum nostrum neglexerint Adimplere nisi racionabile quid obsistat vos eos ad id per censuram ecclesiasticam Appelacione remota cogatis Datum la-terani II Kalendas marcii pontificatus nostri Anno primo. Testes petrus prepositus et presbiter Aço canonicus de vineis et Guillelmus de lAvAnia canonicus Ianue et petrus canonicus plebis de reco et Vgo de monteleone die XV novembris Ante terciam Actum Ianue in canonica sancti laurentii In camera dicti magistri Vgonis M CC XXXI Indictione quarta. [i229, fra Γ ii e il 20 Gennaio]. — II pontefice Gregorio IX scrive all’Arciprete di Vezzano nella diocesi di Tortona di esaminare una sentenza, emanata dall'Arcivescovo di Genova contro un canonico della chiesa di S. Ambrogio, accusato di adulterio. Fonti. _ Atti del Notaro Simone de Palazolo, in Notari Ignoti. Osservazioni. _ L’atto è corroso e manca del principio e della data. L’ atto antecedente è dell’li gennaio e il seguente del 20 gennaio 1229. Gregorius [episcopus seruus seruorum dei] dilecto filio.. Archipre-sbitero de Veçano terdonensis diocesis salutem et apostohcam benedictionem. Sua nobis Homodeus canonicus ecclesie sancti Ambrosn Ianue peticione monstrauit quod cum V[go] et \V[illelmus] presbiteri ianuenses emuli sui de adulterio et aliis criminibus apud Venerabilem fratrem nostrum ianuensem Archiepiscopum infamassent eumdem idem Archiepiscopus predictos emulos ipsius in testes recipiens contra eum ac deposiciones eorum contra iusticiam renuens publicare iuris ordine pretermisso contra eumdem diffinitiuam sentenciam promulgauit iniquam. A qua ipse vocem ad nos appellacionis emisit. Quocirca discretioni tue per apostolica scripta mandamus quatenus legitime in appellacionis causa procedas sentenciam ipsam confirmare uel infirmare appellacione remota procuraris sicut de iure fuerit faciendum...... Datum etc. Quocirca paternitati uestre rogantes et auctoritate apostolica qua fungimur in hac parte mandamus quatinus si super his vel contra ipsum aliquid de iure proponere uultis vsque ad festum beati nucentii proxime venturi per nos vel per sufficientem responsalem et ydoneum ante nostram presenciam veniatis, secundum vobis terminum statuimus ut usque ad festum Beate Agathe proxime veniatis ut superius. testes Iohannes de casteleto. Iacobus canonicus ecclesie plebis de Sigestro. et Enricus canonicus sancte Marie de Vineis. Actum Ianue in palacio Archiepiscopi post nonam. V. 1229, 18 Luglio. — Il pontefice Gregorio IX scrive a Guglielmo di Rivarolo, cano?iico della Cattedrale di Genova, di porgere ascolto ai lamenti del rettore di S. Marti?io di Bargone. Fonti. — Atti del Noi. Nicoloso de Beccaria, Reg. I, f. 41, Archivio di Stato in Genova. MCC XXXII Die XIIII Iunii. Ego presbiter Guillelmus de Riua-rolio canonicus Ianue domini pape index delegatus sicut Apparet ex forma rescripti inferius Adnotati Auctoritate apostolica qua fungor in hac parte Comitto et subdelego uices meas domino Litulfo archipre-sbitero plebis de complano in audiencia causarum seu questionum que uertuntur uel uerti sperantur inter presbiterum Rainerium ministrum ecclesie sancti martini de bargono ex una parte et Cagelium et Te- — 128 — dixium de maiçana in rescripto nominatos et quosdam Alios lanuensis diocesis suo loco et tempore nominandos ex Alia, hoc ideo facio eo. quod dictis causis et questionibus et examinacioni earum interesse non possum cum A multis meis et dicte canonice sim propeditus ne gociis et vt parcium parcam laboribus et expensis. Eo modo quod Ar-chipresbiter sicut et ego possem possit partes citare causas et questiones predictas examinare et contumaces et rebelles censura ecclesiastica compellere et omnia demum facere que merita cause et causarum postulabunt retenta in me sententia diffinitiva. Tenor rescripti talis est Gregorius episcopus seruus seruorum dei dilecto filio presbitero Willelmo de Riuarolio canonico Ianuensi Salutem et apostolicam benedictionem. dilectus filius R[ainerius] presbiter rector ecclesie sancti martini de bargono. nobis conquerendo monstrauit. quod C[agelius] T[edixius] de maiçana et quidam alii laici lanuensis diocesis Super possessionibus terris et rebus aliis iniuriantur eidem Quocirca discretioni tue per Apostolica scripta mandamus quatinus partibus conuo-catis Audias causam et Appellacione remota debito fine decidas faciens quod decreueris per censuram ecclesiasticam firmiter obseruari. Testes Autem qui fuerint nominati si se gratia odio uel timore subtraxerint per censuram eamdem Appellatione cessante compellas veritati testimonium perhibere. Datum perusii XV Kalendas Augusti pontificatus nostri anno tercio. Actum Ianue in camera dicti presbiteri Willelmi post uesperas. Testes interfuerunt presbiter Obertus capel-lanus sancti Syri et Albertus de frascario clericus. VI. 1229, 7 Agosto. — II p07itefice Gregorio IX scrive a Confalonerto, arciprete di Vigo, nella diocesi di Limi, ed a Bartolomeo da Cicagna, ca7umico della Cattedrale di Ge7iova, di co7ifermare la se?ilenzaì ema-7iata co7itro il rettore della chiesa di S. Gin. Battista di Sestri dal delegato di Guiffredo, cardi7ial prete del titolo di S. Marco. Fonti. — Atti del Noi. Ianuino de Predono, Reg. I, Parte I, f. 85, Arch. di Stato in Genova. lohanninus clericus dedit et representauit Oberto ministro ecclesie sancti lohannis de sexto lanuensis diocesis. litteras infrascriptas tenor quarum talis est. Confalonerius Archipresbiter de Vigo, et Bartholo-meus de plecania lanuensis canonicus Oberto ministro ecclesie sancti lohannis de sexto lanuensis diocesis salutem in domino. Noueritis nos recepisse litteras domini pape in hac forma. Gregorius episcopus seruus seruorum dei dilectis filiis Archipresbitero de Vigo lunensis diocesis. et Bartholomeo de pecagna canonico Ianuensi salutem et apostolicam benedictionem. Supplicauit nobis lohanninus Octauiani de Sexto clericus. ut diffinitiuam sententiam quam Abbas sancti Stephani lanuensis pro eo contra Obertum rectorem ecclesie sancti lohannis de sexto ia- - 129 - nuensis diocesis. super beneficio eiusdem ecclesie Auctoritate dilecti filii nostri. Gfuifredi] sancti marci presbiteri cardinalis Apostolice sedis legati cognitis cause meritis promulgauit. Apostolico dignaremur munimine roborare. Ideoque discretioni uestre per apostolica scripta mandamus. quatinus sententiam ipsam sicut est iuxta faciatis per censuram ecclesiasticam Appellatione remota firmiter obseruari. Datum Pe-rusii. VII Idibus Augusti pontificatus nostri anno tercio:. et erant ipse littere bullate bolle ponbli domini pape, cui bolle Adscriptum erat ab una parte Gregorius pp. VIIII. ab alia parte erat ynmago petri et pauli et littere dicebant. S. pa. S. pe. Quo circa uobis presencium Auctoritate mandamus quatinus die quinta post harum receptionem per uos uel per suficientem respon-salem Apud Vigum coram nobis compareatis dicto Iohannino de sua iusticia responsurus, in quo si non fueritis uobis. alias. V. dies ab illa terminum assignamus, et si ne tunc in illo termino fueritis, ad huc quintum diem ab illo termino peremptorium uobis ordinamus, scientes quod si ne tunc veneritis in causa dicta procederemus sicut de iure procedendum uestra absentia non obstante. Actum in sexto sub porticu ecclesie dicte. M. CC XX VIIIJ Indictione prima, die VII Septembris circa primam, testes palodinus de sesto Simon ferrarius et Ala-manus de sesto. VII. 1229, 15 Settembre. — II pontefice Gregorio IX scrive all’Abbate di S. Stefano di provvedere un benefizio in Cattedrale al nobile Giacomo Cicala. Fonti. — Atti del Not. Ianuino de Predono, Reg. I, Parte II, f. 95, Archivio di Stato in Genova. Nos Donnus R[aimundus] Abbas monasterii Sancti Stephani lanuensis confitemur habuisse et recepisse a Iacobo clerico filio Guil-lelmi cigade litteras bullatas domini pape in hac forma Gregorius episcopus seruus seruorum dei., dilecto filio. Abbati Sancti Stephani lanuensis Salutem et Apostolicam benedictionem Non inferre grauamen Venerabili fratri nostro Archiepiscopo et dilectis filiis preposito et capitulo Ianuensi. sed eorum ecclesie credimus prouidere cum pro illis recipiendis in ipsa preces dirigimus et mandata qui de nobilibus duitatis ipsorum ducunt originem et per se Ac suos ipsis et eidem ecclesie possunt existere multipliciter fructuosi cum tales deberent nec rogati nec iussi recipere per se ipsos Cum igitur ex receptione dilecti filii Iacobi nati nobilis viri. Guillelmi Cicade ciuis lanuensis ecclesie Ianuensi credatur non modica utilitas peruenire cum dilectus Guillelmus et sui de potentioribus eiusdem duitatis existant et per hoc debeant Ad deuotionem ipsius ecclesie Artius obligari eisdem Archiepiscopo preposito et capitulo nostris dedimus litteris in mandatis et eumdem I. nullum sicut dicitur ecclesiasticum beneficium obtinentem in eorum — 130 — ecclesia residere paratum si aliquid racionabile non obsistat, pro nostra et Apostolice sedis reuerencia quam cito facultatem habuerint sine pre-iudicio alicuius recipiant in canonicum et in fratrem sibi liberaliter de beneficio prolùdendo, ita quod gratiam quam ei fecerint in hac parte nos eis reddat fauorabiles et benignos et nobilem memoratum et suos in suis et eiusdem ecclesie opportunitatibus constituat debitores. Quocirca discretioni tue per apostolica scripta mandamus quatinus dictos Archiepiscopum. prepositum et capitulum Ad id diligentius moneas et inducas. Datum perusii. XVI Kalendas octobris pontificatus nostri Anno tercio. Quocirca nos dictus Abbas monemus et indicimus R. prepositum Ianuensem et Rainaldum canonicum Ianuensem secundum formam et modum predictarum litterarum Cui vero monitioni respondit et dixit dictus R. prepositus pro se et nomine et vice capituli supra-dicti quod locus non vacat et tenetur dictum capitulum et canonici ipsius certis statutis inter se iuramento firmatis non recipere Aliquem in canonicum nec in fratrem nec eciam ei dare spem prebende future vacantis nisi quando locus vacauerit unde non potest dictum Iacobum recipere in canonicum nec in fratrem nec eciam ei spem dare quare non potest preces domini pape Admittere. Testes Enricus cicade et Symon filius quondam vivaldi calegarii Actum Ianue in canonica sancti laurencii Millesimo Ducentesimo trigesimo tercio. Indictione quinta Die tercia Ianuarii inter primam et terciam. VIII. 1230, 3 Febbraio. — II pontefice Gregorio IX prende sotto la sua protezione il monastero di S. Tommaso di Genova, e ne conferma i beili, tra i quali la chiesa di S. Tommaso di Rapallo , di S, Giacomo di Pontedecimo, di S. Giuliano di G avi, i possessi di Voltri, le chiese di Prasco e Pareto nella diocesi di Acqui ed altre nella diocesi di Aleria in Corsica. Fonti. — Copia del sec. XV in Noi. Giovanni Loggia, Sala 74, Arch. di Stato in Genova. Gregorius episcopus seruus seruorum dei dilectis in Xpisto filiabus abbatisse monasterii sancti Thome eiusque sororibus tam presentibus quam futuris regularem vitam professis in perpetuum. Religiosam vitam eligentibus apostolicum conuenit adesse présidium ne forte cuiuslibet temeritatis incursus aut eas a proposito reuocet aut robur quod absit sacre religionis infringat. Eapropter dilecte in domino filie vestris iustis postulationibus clementer annuimus et monasterium sancti Thome ianue in quo diuino eslis famulatui mancipate ad exemplar felicis recordationis Alexandri pape predecessoris nostri sub beati Petri et nostra protectione suscipimus et presentis scripti priuilegio communimus statuentes ut quascumque possessiones quecumque bona idem monasterium in presentiarum iuste et canonice possidet aut in futurum concessione pontificum largitione regum vel principum oblatione fide- — 131 — lium aut aliis iustis modis deo propitio poterit adipisci firma vobis et hiis que post vos successerint et illibata permaneant in quibus hec propriis duximus exprimenda vocabulis. In episcopatu Alerie ecclesiam sancti Benedicti de capite et sancti Anastasii in Plano, ecclesiam sancti Thome de Rapallo cum possessionibus suis ecclesiam sancti Iuliani de Gaui cum possessionibus suis ecclesiam sancti Naçarii de Preasco cum possessionibus et earum decimis ecclesiam sancti Iacobi de Pontedecimo et possessiones quas habet in plebatu de Vulturo ianuensis diocesis et sancti Martini et sancti Egidii ecclesia de pereto aquensis diocesis. sepulturas quasque ipsorum locorum liberas esse concedimus ut eorum deuotioni et extreme voluntati qui se illic sepeliri deliberauerint nisi forte excomunicati vel interdicti sint nullus obsistat salua tamen iusticia ecclesiarum a quibus mortuorum corpora assumentur. Si quis vero parrochianorum vestrorum alibi sepulturam elligere sibi voluerit, nullus eos nisi salua iusticia ecclesie vestre audeat sepelire. Decernimus ergo ut nullus omnino hominum liceat prefatum monasterium temere perturbare aut eius possessiones auferre vel ablatas retinere minuere seu quibuslibet vexationibus fatigare sed omnia integre conserventur earum pro quarum gubernatione ac sustentatione concessa sunt usibus omnimodis profutura salua Sedis Apostolice auctoritate et diocesani episcopi canonica iustitia. Si qua igitur in futurum ecclesiastica secularisue persona hanc nostre paginam constitutionis sciens contra eam temere venire temptauerit secundo tercioue commonitu nisi presumptionem suam congrua satisfatione correxerit potestatis ho-norisque sui careat dignitate reamque se diuino iudicio existere de perpetrata iniquitate cognoscat et a sacratissimo corpore ac sanguine Dei et domini Redemptoris nostri Ihesu Xpisti aliena fiat atque in extremo examine districte subiaceat ultioni. Cunctis autem eidem loco sua iura seruantibus sit pax domini nostri Ihesu Xpisti quatenus et hic fructum bone actionis percipiat et apud districtum indicem premia eterne pacis inueniant. Amen. Amen, Amen. Gregorius catholice ecclesie episcopus s. — Ego Iohannes Sabi-nensis episcopus ss. — Ego Iacobus tusculanus episcopus ss. — Ego Octauianus tituli S.S. Sergii et Bachi diaconi cardinalis ss. — Ego Raynerius tituli S. Marie in Cosmidin diaconus cardinalis ss. — Ego Petrus tituli S. Georgii ad velum aureum diaconus cardinalis ss. — Ego Raynaldus tituli S. Eustachii diaconus cardinalis ss. — Ego Iohannes tituli S. Praxedis presbiter cardinalis ss. — Ego Bartholomeus tituli S. Pudentiane tit. S. Pastoris presbiter cardinalis ss. — Ego Gui-fredus tituli S. Marci presbiter cardinalis ss. — Ego Sinibaldus tituli S. Laurentii in Lucina presbiter cardinalis ss. — Ego Stephanus tituli S. Marie trans Tiberim tit S. Calixti presbiter cardinalis ss. Datum Perusii per manum Magistri Martini sancte Romane ecclesie Vicecancellarii III Idibus februarii Indictione II incarnationis dominice Anno millesimo CC XXVIIII pontificatus vero domini Gregorii pape VIIII anno tercio. — 132 — IX. 1230, i Aprile. — II pontefice Gregorio IX scrive ad Enrico, arcidia-cono di Tortona, di scomunicare i detrattori dei beni dell1 Abbate di S. Fruttuoso di Capodimonte, specialmente il rettore della chiesa di S. Margherita di Rapallo. Fonti. Atti del Not. Pietro Ruffo , Registro di atti volanti, Archivio di Stato in Genova. ►p In presencia testium infrascriptorum. Marchoaldus monacus monasterii sancti fructuosi de capite montis nomine ipsius monasterii dedit et presentauit Arfmanno] presbitero ecclesie sancti Syri de pi-sinis litteras infrascriptas. henricus diuina miseracione terdonensis Ar-chidiaconus. Sedis Apostolice delegatus, dilecto in Xpisto fratri presbitero Ar[manno] sancti Siri de pissinis. lanuensis diocesis. salutem in domino salutari, domini pape litteras nuper recepimus in hac forma. Gregorius episcopus Seruus seruorum dei dilecto filio.. Archidiacono terdonensi. salutem et apostolicam benedictionem, querelam Abbatis et conuentus sancti fructuosi de capite montis, recepimus continentem quod B[enuenutus] presbiter sancte Margarite de pissino Nicolaus de uolta et quidam Alii ciuitatis et diocesis lanuensis super legatis terris possessionibus et rebus, iniuriantur eidem. Ideoque discretioni tue per apostolica scripta mandamus, quatinus partibus conuocatis audias causam. et appellatione remota debito fine decidas, laciens quod statueris per censuram ecclesiasticam firmiter obseruari. testes autem etc. datum laterani Kalendis Aprilis pontificatus nostri Anno quarto. Quocirca discretioni uestre qua fungimur auctoritate mandamus quatinus in proximis Kalendis octubris Ante nos veniatis terdonam. predicto Abbati de iustitia responsurus. Ad quem terminum si forte non ue-nietis Ad medium octubrem proximum uobis secundum terminum super hoc assignamus. Ad quem si uos contingent non uenire. ter-cium et peremptorium mercurio Proximo omnium sanctorum nobis duximus ordinandum. Scientes quod uobis absentibus ex tunc in negocio mediante iusticia Nihilominus procedemus, testes enricus de Oneto. Pascalis de portudalfino. Oglerinus de Treueilo et presbiter felixius Actum in burgo rapalli Ante domum heredum rubaldi helie die XI Septembris ante nonam [MCCXXX]. X. 1231, 23 Gennaio. — Il potitefice Gregorio IX scrive alVArciprete di Ber ceto, nella diocesi di Parma, di porre un freno alle usure cotn-messe da Guidotto, giudice di Genova, ^ Fonti. — Atti del Not. Maestro Salmone, Reg. I, f. 384. C. non suis meritis Archipresbiter de berceto discreto viro domino Guidoto ludici lanuensis ciuitatis salutem in domino. Noscat discretio — 133 — uestra me suscepisse literas A domino papa Gregorio sub hac forma Gregorius episcopus seruus seruorum dei dilecto filio.. Archipresbitero de berceto parmensis diocesis salutem et Apostolicam benedictionem. R. T. et A. laici nobis conquerendo monstarunt quod Guidotus Iudex et quidam Alii ciuitatis et diocesis lanuensis multa extorserunt et A-dhuc extorquere nituntur comuniter Ab eisdem per usurariam praui-tatem Quocirca discretioni tue per apostolica scripta mandamus quatenus si est ita dictos vsurarios vt sua sorte contenti sic extorta restituant conquerentibus et Ab usurarum exactione desistant per penam in lateranensi concilio contra vsurarios Apellatione remota compellas prouisurus Attente ne Auctoritate nostra in negocio procedas eodem nisi conquerentes restituerint vel adhuc restituant si prius Aliquando extorserint vsuras cum frustra legis Auxilium inuocet qui contrauenit in legem. Testes Autem qui fuerint nominati si se gratia odio uel timore* subtraxerint per censuram ecclesiasticam Appelacione cessante compellas veritati testimonium perhibere. Datum Laterani X Kalendas februarii pontificatus nostri Anno quarto Quarum Auctoritate nobis ex parte iam dicta precipiendo mando quatinus post harum receptionem seu representacionem Ad decem dies bercetum coram me per nos uel per sufficientem responsalem venire debeatis predictis Rubadagie de leuanto Tauuano de lignario et tregue eiusdem loci rationem facturi et si ad hunc terminum non veneritis statuo uobis post hunc Alium VIII dierum et si Ad istum etiam venire neglexeritis statuo uobis post hoc Alium VI dierum peremptorie Alioquin contra uos procedam iusticia mediante In presentia testium infrascriptorum Rubaldalia de pa-xano dimisit in domo qua habitat Alda uxor Guidoti Iudicis literas sigillatas sigillo cereo et ipsas posuit in lecto uno presentibus quibusdam feminis Tenor quarum literarum superius est Annotatus que li-tere erant sigillate sigillo uno cereo Testes paganus de leuanto et phi-lipus rubeus de legnarlo et Ramundetus Actum Ianue in domo qua habitat dicta Alda die XII decembris In hora vesperi MCCXXXI Indictione quarta. XI. 1231, 27 gennaio. — Il pontefice Gregorio IX scrive clI Prevosto della Cattedrale di Genova di provvedere ai lamenti di Bernardo de Volta, chierico di S. Andrea di Riarolo, nella diocesi di Pavia. Fonti. — Atti del Not. Ianuino de Predono, Reg. I, Pai te II, f. 109V.. Bernardus de uolta clericus sancti Andree de Rialo papiensis diocesis in presentia infrascriptorum testium representauit. R. preposito Ianuensi ex parte domini pape litteras bullatas, tenor quarum talis est. Gregorius episcopus seruus seruorum dei dilecto filio. Raimundo. preposito Ianuensi salutem et apostolicam benedictionem. Bernardus [de Volta] clericus ecclesie sancti Andree de Riarolo papiensis nobis exposuit conquerendo quod quondam Fulco episcopus papiensis ipsum a — 134 — beneficio memorate ecclesie priuavit quod beneficium sentencialiter fuerat Adeptus a quo grauamine ad sedem Apostolicam Appellauit. Ideoque discretioni tue per apostolica scripta mandamus quatinus partibus conuocatis Audias causam et Appellacione remota debito fine decidas faciens quod decreueris per censuram ecclesiasticam firmiter obseruari. Testes autem qui fuerint nominati si se gracia odio uel timore subtraxerint censura simili Appellacione cessante compellas ueri-tati testimonium perhibere. Datum Laterani VI Kal. februarii, pontificatus nostri anno quarto. Testes Tedisius de flisco. Rubeus de uolta. Actum Ianue in Canonica sancti Laurentii. Millesimo ducentesimo XXXIII Indictione quinta. Die XXIII1. februarii, inter terciam et nonam. XII. I23T» r4 Marzo. — II pontefice Gregorio IX affida al vescovo di Savona ed al prevosto di S. Maria delle Vigne l’esame di tuia causa matrimoniale. Fonti. — Atti del Not. Nicoloso de Beccaria, Reg. I, f. 30. [MCCXXXII] Die XXV madii. Nos petrus prepositus sancte marie de Vineis Ianue domini pape delegatus seu executor. et magister Vgo magiscola lanuensis saonensis electi subdelegatus delegati domini pape una cum predicto preposito vt apparet ex forma rescripti domini pape et instrumenti subdelegationis inferius Adnotatorum Cum dominus [papa] suis litteris demandauit predictis episcopo et preposito vt de sententia matrimoniali lata prò Alda filia quondam Alcherii bancherii contra Opiçonem de uolta uirum suum, cognoscerent et quid canonicum foret appellacione postposita Nos viso rescripto predicto et sententia Archiepiscopi lanuensis lata pro matrimonio contra dictum Opiçonem scripta per Petrum de clauiva notarium currente M CC XXVIIII. Inditione prima die XXVIII Iunii viso quoque instrumento dotali ipsius Aide confecto per manum Willelmi cassinensis notarii, currente M CLXXXXVIII. Indictione prima die X Octubris. dictam senten tiam Archiepiscopi legitime latam contra dictum Opiçonem confirmamus. statuentes et precipientes dicto Opiçoni presenti vt dictam Al-dam vxorem suam quam longo tempore stando in grecia quamquam haberet dotem suam integram pauperrimam dereliquit usque ad dies octo sub pena excomunicacionis ex nunc late sibi recunciliet exhibeat et honeste teneat et maritali affectione pertractet et si eam uoluerit ducere in Greciam illa sequatur eum dum tamen ipse honeste ducat eam et tractet ducendo et caueat sibi ydonee quod non ledet eam malo modo. Tenor rescripti domini pape talis est. Gregorius episcopus seruus seruorum dei venerabili fratri., episcopo Saonensi et dilecto filio., preposito sancte marie de vineis lanuensis. Salutem et Apostolicam benedictionem. A. mulier lanuensis sua nobis insinuatione monstrauit quod cum inter ipsam et Opiçonem conciuem suum, coram — 135 — venerabili fratre nostro Ianuensi Archiepiscopo non ex delegacione Apostolica matrimonii questio uerteretur. idem cognitis cause meritis diffinitiuam per ipsum sententiam promulgauit.quam Apostolico petiit munimine roborari. Ideoque discretioni uestre per Apostolica scripta mandamus, quatinus de sententia ipsa legittime cognoscentes quod canonicum fuerit appellatione postposita statuatis facientes quod statueritis per censuram ecclesiasticam firmiter obseruari. Datum laterani II Idibus marcii pontificatus nostri anno quarto. Tenor instrumenti sub delegationis predicte talis est. Anno domini M. CC. XXXII. Inditione quinta die XXIII mensis madii. Dilecto in Xpisto fratri et Amico speciali domino V[goni]. magistro scolarum Ianue henricus saonensis e-lectus. in vero Salutari salutem, de discretione uestra confidens tamquam de amico speciali, vt parcatur laboribus et expensis causam matrimonii que vertitur inter A. mulierem Ianuensem. et Opiçonem con-ciuem suum coram nobis et venerabili fratri nostro preposito sancte Marie de Vineis ex delegatione apostolica iudicibus delegatis cum diucius ipsa causa sit examinata committimus ipsam discretioni uestre terminandam et finiendam ut possitis ita diffinire sicut possemus et Auctoritate qua poteramus et ad maiorem firmitatem habendam de hoc precipimus fieri publicum instrumentum. Actum Saone in claustro sancte Marie Testes magister berardus canonicus Saone Manfredus de turricella et mussus seruiens dicti electi. Ego Iacobus sacri palatii notarius his interfui et rogatus scripsi. Actum Ianue in camera dicti Ma-giscole inter terciam et nonam Testes interfuerunt Opiço tartaro iudex et Willelmus muscula iudex et presbiter lafrancus canonicus sancte Marie de Vineis. XIII. Prima dei 9 Maggio 1231. — Frate Claro , penitenziere e cappellano del po?itefice Gregorio IX scrive al Vescovo di Savona di assolvere dalla scormmica Antonio de Ronco, già giudice della Comunità di Noli. Fonti. — Atti del Noi. Ianuino de Piedono. Reg. I, Parte I, f. 114. Osservazioni. — L’ atto è guasto alla fine. Antonius de Ronco representauit litteras infrascriptas Enrico sao-nensi electo tenor quarum talis est. Venerabili in Xpisto patri dei gratia Saonensi episcopo frater Clarus domini pape penitenciarius et capellanus salutem in domino. Ex parte Antonii de ronco iudicis nobis est intimatum quod ipse comunitatis castri Nauli iudex fuit qui per bone memorie episcopum predecessorem vestrum pro dampnis ecclesie sue illatis vinculo erat excomunicacionis astrictus unde petebat humiliter absolucionis sibi beneficio provideri quapropter paternitatem vestram rogamus 111 domino et hortamur quatinus recepta sufficiente cautione a dicto iudice quod satisfaciat de hiis pro quibus excomunicatus liabitur et ecclesie stet mandatis eidem iuxta formam ecclesie absolucionis beneficium impendatis...... — 136 — Testes Magister Bernardus canonicus saonensis...... Actum in claustro saonensis ecclesie M CC XXXI Inditione tertia die VIIII mensis madii. XIV. 1231. 15 Luglio. — II pontefice Gregorio IX prende sotto la sua prò-tezio7ie il monastero di S. Venerio del Tiro, e ne confermila i privilegi ed i beili. Fonti. — Originale in Pergamena, Biblioteca Civica-Berio in Genova. Gregorius episcopus seruus seruorum dei dilecto filio Botarico Abbati cenobii sancte Marie et sancti Venerii de Tiro eiusque fratribus tam presentibus quam futuris regularem vitam professis in perpetuum. Rel-ligiosam vitam elligentibus apostolicum conuenit adesse présidium ne forte cuiuslibet temeritatis incursus aut eos a proposito reuocet aut robur quod absit sacre relligionis infringat. Ea propter dilecti in Domino filii vestris iustis postulationibus clementer annuimus et cenobium sancte Marie et sancti Venerii de Tiro in quo diuino emancipati estis obsequio ad exemplar felicis recordationis Anastasii pape predecessoris nostri sub beati Petri et nostra protectione suscipimus et presentis scripti priuilegio communimus statuentes ut quascumque possessiones quecumque bona idem cenobium in presentiarum iuste ac canonice possidet aut in futurum concessione pontificum largitione regum vel principum oblatione fidelium seu aliis iustis modis prestante domino poterit adipisci firma vobis vestrisque successoribus et illibata permaneant in quibus hec propriis duximus exprimenda vocabulis. Tres insulas Palmariam videlicet Tirum maiorem et Tirum minorem, cappellani sancti Bartholomei de domnicato. cappellani sancti Nicolai de Ar-chola.. ius quod habetis in ecclesia sancti Columbani. cappellani sancti Andree de Fabiano, cappellani sancti Antonini de Vineria. hospitale de Cerbario cum cappella et aliis pertinentiis suis, cappellani sancti Venerii de campellis. cappellani sancti Iacobi de Villacinnano concurrentibus hominibus et libertatibus eius necnon temporalibus iurisdictio-nibus quas habetis in villa predicta. Terras de Albaria de Auernano et de monte Bartario. Medietatem decimarum de portouenere et de campellis. Piscarias de Palmaria Tiro et Tirello. In Corsica curtem de Frasso cum seruis et ancillis terris siluis venationibus pratis aquis et omnibus ad eam pertinentibus, cappellani sancti Gauini cappellani sancti Marcelli cappellani sancti Thome et cappellani sancti Quirici cum pratis vineis terris nemoribus usanciis et pascuis in bosco et plano in aquis et molendinis in viis et semitis et omnibus aliis libertatibus et immunitatibus suis, sepolturam quoque ipsius loci liberam esse decernimus ut eorum deuotioni et extreme voluntati qui se illic sepelliri deliberauerint nisi forte excommunicati vel interdicti fuerint aut publice nullus obsistat salua tamen iusticia illarum ecclesiarum a quibus mortuorum corpora assumentur. Ac etiam cappellani sancti Nie [olai] — 137 — et cappellani sancti Ambrosii de Spano. Obeunte vero te nunc eiusdem [loci abbate vel tuorum quoli] bet successorum [nullus tibi qualicum-que] astutia seu violentia preponatur nisi quem fratres communi consensu vel fratrum pars consilii sanioris secundum Dei timorem et beati Benedicti regulam elegerint. Decernimus ergo ut nulli omnino hominum liceat antedictum monasterium perturbare nec nullas possessiones auferre vel ablatas retinere minuere aliquibus vexationibus sed integre conseruentur eorum quorum gubernatione ac substentatione concessa sunt usibus omnimodis profutura salua in omnibus apostolice sedis auctoritate ac diocesanorum episcoporum canonica iustitia et.... moderatione concilii generalis. Si qua igitur in futurum ecclesiastica secu-larisue persona huius nostre constitutionis paginam sciens contra eam temere venire temptauerit secundo tertioue commonitu nisi reatum suum congrua satisfactione correxerit potestatis honorisque sui careat dignitate reamque se diuino indicio existere de perpetrata iniquitate cognoscat et a sacratissimo corpore ac sanguine Dei et domini Redemptoris nostri Ihesu Xpisti aliena fiat atque in extremo examine districte subiaceat ultioni. Omnibus autem eidem loco sua iura seruan-tibus sit pax domini Ihesu Xpisti quatenus et hic fructum bone actionis percipiant et apud districtum Iudicem premia eterne pacis inueniant. Amen. Amen. Amen. Ego Gregorius Catholice ecclesie episcopus s. — Ego Iohannes Sa-binensis episcopus ss. — Ego Iacobus tusculanus episcopus ss.— Ego Iohannes tit. S. Praxedis presbiter cardinalis ss. — Ego Guilfredus tit. S. Marci presbiter cardinalis ss. — Ego Sigembaldus tit. S. Laurentii in Lucina presbiter cardinalis ss. — Ego Stephanus tit. S. Marie trans Tiberim til. S. Calixti presbiter cardinalis ss. — Ego Octauianus tit. SS. Sergi et Bachi diaconus cardinalis ss. — Ego Rainerius tit. S. Marie in Cosmedin diaconus cardinalis ss. — Ego Romanus tituli S. Angeli diaconus cardinalis ss. — Ego Egidius tit. S.S. Cosme et Damiani diaconus cardinalis ss. — Ego Raynaldus tit. S. Eustachii diaconus cardinalis ss. — Ego Otto tit. S. Nicolai in Carcere Tulliano diaconus cardinalis ss. Datum Reate per manum Magistri Martini sancte Romane ecclesie vicecancellarii Idibus Iulii indictione III incarnationis dominice Anno millesimo CCXXXI pontificatus domini Gregorii pape VIIII anno quinto. XV. 123 :, 13 Ottobre. — II pontefice Gregorio IX scrive al rettore e ad un chierico della chiesa di S. Colombano di Pontrevnoliper la collazione d’un benefizio nella chiesa di S. Giorgio in Genova a Boveto da Pontremoli. Fonti. — Atti del Notaro Maestro Salmone, Reg. I, f 375. Nos Magister hugo magiscola Ianue subdelegatus presbiterorum peregrini ministri ecclesie sancti Collumbani de pontremulo et hen- Giorti. St. e Lett. della Liguria. 10 — 138 — rici de pontremulo conludicum delegatorum domini pape super conferendo beneficio CAnonicatus ecclesie sancti georgii Ianue boueto de pontremulo fratri presbiteri hugonis prepositi ecclesie sancti georgii supradicti ut Apparet ex forma subdelegationis predictorum delegatorum inferius Annotate Auctoritate subdelegationis predicte qua fungimur Assignamus tibi dicto boueto stalium in choro ponendo eciam cordas campanas dicte ecclesie in manibus tuis et pallam altaris circa collum tuum ponimus nomine possessionis uel quasi canonicatus dicte ecclesiae sancti georgii et assignamus tibi locum in capitulo et in mensa. Tenor subdelegacionis talis est. In nomine domini Nos presbiter pelegrinus minister ecclesie sancti collumbani de pontremulo et presbiter henricus de pontremulo domini pape Iudicis delegati super beneficio conferendo et confirmando boueto fratri presbiteri vgonis ministri ecclesie sancti Georgii de Ianua volentes partium vtilitatibus prouidere ne laboribus et expensis veniendo Ad nos laborent uices nostras committimus in totum domino magistro \ goni magiscole Ianue ut negocium predictum expediat sicut nouerit expedihendum nichil in nobis reseruando promittentes nos ratum et firmum habituros quicquid inde fecerit Tenor rescripti domini pape talis est Gregorius episcopus seruus seruorum dei dilectis filiis pelegrino et henrico canonicis sancti Collumbani lunensis diocesis salutem et apostolicam benedictionem bo-uetus clericus nobis exposuit conquerendo quod cum a preposito et maiori et saniori parte capituli ecclesie sancti Georgii Ianue canonice in fratrem et canonicum sit electus Galuanus et quidam alii canonici eiusdem ecclesie Inslitucioni sue contra iusticiam se obponunt. Alias ei graues et iniuriosi plurimum existentes quocirca discretioni uestre per apostolica scripta mandamus quatinus parti[bu]s conuocatis Audiatis causam et apellatione remota fine debito terminetis facientes quod statueritis per censuram ecclesiasticam firmiter obseruari Testes autem qui fuerint nominati si se gratia odio uel timore subtraxerint censura simili cessante Apellatione cogatis veritati testimonium perhibere datum reate III Idibus octobris pontificatus nostri anno quinto Actum anno dominice incarnationis M.CC.XXXI Indictione quinta die sexto Kalendas decembris in pontremulo in ecclesia sancti columbani pre-sentibus Iohannino clerico eiusdem ecclesie Iohanne quondam stra-mole et Nicolao quondam turçani testibus Ad hoc rogatis ego tancre-dus de vetula sacri palladi notarius hinc me.... et rogatus scripsi Testes presbiter Iacobus minister ecclesiae sancti torpetis et Iohannes clericus ecclesie sancti siri de langasco et Guillelmus clericus ecclesie sancti ylarii de neruio. Actum Ianue in choro dicte ecclesie in camara canonice dicte ecclesie die tercia decembris inter vesperum et completorium M.CC.XXXI Indictione quarta. — 139 — XVI. 1232, 12 Febbraio. — Il pontefice Gregorio /X scrive ad Enrico , vescovo eletto di Savona, a Rubaldo, prevosto delta Cattedrale di Genova, ed a maestro Raimondo, canonico di S. Maria delle Vigne, aj-fidando al loro esame una lite, vertente tra ΓAbbazia di S. Andrea di Sestri ed alcuni laici. Fonti. — Atti del Notavo Nicoloso de Becçaira. Reg. I, f. 33 v.. Gregorius episcopus seruus seruorum dei dilectis, filiis.. [Henrico] electo Saonensi . . [Rubaldo] preposito maioris ecclesie et magistro Raimundo canonico sancte Marie de vineis Ianuensis Salutem et Apo-stolicam benedictionem. Significarunt nobis dilecti filii . . [Oddo] Abbas et conuentus monasterii sancti Andree de sexto cisterciensis ordinis quod cum ipse contra Iohannem dictum maciam S [i mon am] uxorem eius et Rubaldum restem laicos. Helenam sororem eius, mulierem et quosdam Alios Ianuensis diocesis Super possessionibus et rebus aliis Ad venerabilem fratrem nostrum terdonensem episcopum et eius coniudices Apostolicas litteras impetrassent et Symona filia quondam Willelmi piccamilii ciuis Ianue ad Archidiaconum Ianue et coniudices suos, super terris domibus et rebus Aliis licet sub posteriori data, nostras directe obtinuisset litteras contra ipsos. Ac dicti indices earum auctoritate citassent eosdem ipsi excipiendo coram eis dixerunt quod ad respondendum dicte Symone ipsos compellere non debebant, quia ipsi primo ad dictum episcopum et eius coniudices Apostolicas impetrauerant litteras contra eam. Cumque utriusque partis iudices in certo loco ut uideretur ad quos spectaret iurisdictio cum partibus ad certum terminum conuenissent dicta Symona lectis coram partibus litteris hinc inde obtentis, excipiendo obposuit coram jam dicto episcopo et coniudice(s) suo quod cum littera illa S. uidelicet per quam conueniebatur determinaretur per nomen tantum masculinum auctoritate litterarum A parte obtentarum aduersa non tenebatur eisdem Abbati et conuentui Aliquatenus respondere. Talis igitur exceptionis pretextus. Ad quos pertineret iurisdicio inter datos iudices du-bitacione suborta in Nicolaum ianuensem et Symonem aquensem canonicos fuit a partibus de consensu iudicum utrorumque ut discernerent Ad quos spectaret iurisdictio concorditer compromissum. Sed quia partis Aduerse iudices Arbitrio minime de jurisdictione prolato ipsos ad respondendum sepedicte Simone contra iustitiam compellebant ex parte ipsorum ad nostram fuit Audientiam Appellatum. Quare dicti Abbas et conuentus nobis humiliter suplicarunt. vt non obstantibus litteris hinc inde obtentis terminari per discretos aliquos huiusmodi negotium mandaremus. Volentes itaque sic dictorum Abbatis et conuentus utilitati consulere, ut non uideamur iuri aliquatenus derogare, discretioni uestre per apostolica scripta mandamus, quatinus facientes nobis litteras hinc inde obtentas et processus si qui per eas sunt habiti exhi- — 140 — beri. Audiatis que partes coram nobis dixerint proponenda, et Auditis hinc inde propositis causam ipsam, fine debito Appellatione postposita decidatis facientes quod statueritis per censuram ecclesiasticam firmiter obseruari. Testes autem qui fuerint nominati si se gratia odio uel timore subtraxerint per censuram eandem Appellatione cessante cogatis ueritati testimonium perhibere. Quod si non omnes hiis exe-quendis potueritis interesse, duo uestrum ea nichilominus exequantur. Datum Reate. II. Idibus februarii, pontificatus nostri anno quinto. XVII. 1232, 27 Agosto. — II pontefice Gregorio IX scrive a Pietro, prevosto di S. Maria delle Vigne, di porgere ascolto ai lamenti di un chierico delle chiese di S- Martino di Fabrica e di S. Colombano di Ottone, fiella diocesi di Tortona. Fontl. — Atti del Not. Giovanni de Ve gio, Reg. I. Parte II, f. 204, Archivio di Stato in Genova. Nos Petrus prepositus sancte Marie de uineis iudex domini pape delegatus sicut Apparet per rescriptum inferius denotatum quod presbiter Rubaldus impetrauit vt dicit auctoritate ipsius rescripti citauimus Ogerium de Octono. qui veniens coram nobis postulauit libellum sibi dari et fuit ei datus dictus libellus A Castellino procuratore ipsius presbiteri Rubaldi et eius nomine qui peciit coram nobis vt deberemus cassare electionem de ipso facta in ecclesia sancti Martini de Fabrica sicut apparet per formam ipsius libelli inferius adnotatam. Recepto ipso libello dedimus ei terminum ad deliberandum et respondendum, saluis omnibus exceptionibus suis ipso uero ueniente ad terminum ei statutum representauit se coram nobis presente dicto presbitero Ru-baldo et plures exceptiones exposuit coram nobis, prima fuit quod dictus Rubaldus non impetrauit dictum Rescriptum per se uel suum procuratorem, secunda fuit quod per expressionem falsitatis dixit se esse canonicum sancti Martini de fabrica quod falsum erat et imo debebat carere impetratis, tercia quod illud Rescriptum impetratum fuit super quadam pecunie summa et rebus aliis et imo non poterat petere per illud rescriptum suam electionem debere cassari cum tantum faciat mentionem de temporalibus et non spiritualibus. Prime exceptioni sic respondet dictus presbiter Rubaldus quod paratus erat probare per plubicum instrumentum dictum rescriptum impetrasse per legitimum procuratorem. Secunde respondet quod ipsa non habet locum ante litem contestatam cum ipsa sit perentoria. Tercie dicit quod iurisdictio quod nostra extenditur tam ad spiritualia quam eciam ad temporalia per illam clausolam que dicit super quadam pecunie summa et rebus aliis. Nos autem super his habita diligenti deliberatione pro nunciamus nos non habere iurisdictionem per dictum rescriptum ad cognoscendum de electione dicti Ogerii super aliis uero procedemus sicut de iure fuerit procedendum, et istud dicimus saluo iure presbi- — t4I — teri Rubaldi in aliis peticionibus quas facere noluerit auctoritate ipsius rescripti in quibus procedemus si necesse fuerit sicut postulat ordo iuris. forma dicti Rescripti talis est. G[regorius] episcopus seruus ser-uorum dei dilecto filio., preposito sancte Marie de Vineis salutem et apostolicam benedictionem R. presbiter canonicus ecclesie sancti Martini de fabrica nobis exposuit conquerendo quod. C. concanonicus eius et quidam alii Ianuensis. Terdonensis. et Bobiensis. diocesis. super quadam peccunie summa et rebus aliis iniuriantur eidem quocirca discretioni tue per apostolica scripta mandamus quatenus partibus con-uocatis audias causam et appellacione remota usuris cessantibus debito fine decidas faciens quod decreueritis per censuram ecclesiasticam firmiter obseruari. Testes autem qui fuerint nominati si se gratia odio uel timore subtraxerint per censuram eamdem appellatione cessante compellas veritati testimonium perhibere. Datum Anagnie. VI Kalen-das Septembris pontificatus nostri anno sexto. $ Tenor autem dicti libelli talis est Castellinus seruiens presbiteri Rubaldi clerici et fratris ecclesiarum sancti Martini de Fabrica et sancti Collumbani de ottono ipsius presbiteri cuius procurator est petit a uobis domine petre prepo-site sedis apostolice delegate quatenus electionem quam Ogerius de ottono dicit de se factam in clericum et fratrem dictarum ecclesiarum pronuncietis nullam et ea si qua fuit facta penitus irritetis eidem Oge-rio super ipsis ecclesiis perpetuum silentium impendentes hoc imo quod dictus presbiter Rubaldus est clericus dictarum ecclesiarum et ad eum pertinet interesse electionibus prelatorum et clericorum dictarum ecclesiarum et quia ad electionem dicti Ogerii si qua de ipso facta fuit uocatus non fuit dictus presbiter qui comode uocari poterat et debebat imo agit et petit iure canonico et omni iure. quem libellum dictus Ogerius recepit omnibus exceptionibus suis saluis. Testes interfuerunt dominus Martinus dominus Armannus et dominus Enricus canonici sancte Marie de uineis. Actum ianue in canonica sancte marie de vineis circa uespera die VIII Iunii MCCXXXVII. XVIII. 1232, 7 Dicembre. — II pontefice Gregorio IX esenta le monache di S. Andrea della Porta dal concorrere nelle collette, fatte per la chiesa di S. Maria di Castello. Fonti. — Atti in Pergamena segnati F. Vili. 6, Voi. /, p. 30. Bibl. della R. Uni versità di Genova. Gregorius episcopus seruus seruorum dei dilectis in Xpisto filiabus Abbatisse et sororibus sancti Andree de Porta salutem et apostolicam benedictionem. Iustis petentium desideriis dignum est nos facile prebere consensum et vota que a rationis tramite non discordant effectu prosequente complere. Ea propter dilecte in Xpisto filie vestris iustis postulationibus grato concurrentes assensu concessionem quam venerabilis frater noster ianuensis archiepiscopus vobis et que vobis sue- — 142 — cesserunt fecisse dinoscitur quod de cetero non amplius pro ecclesia sancte Marie de Castello in collectis faciendis ecclesia debeat vestra conferre sicut rationaliter facta est et in autentico continetur domini Urbani predecessoris nostri vestigiis inherentes auctoritate apostolica confirmamus et presentis scripti patrocinio communimus. Nulli ergo omnino etc. Si quis autem etc. Datum Anagnie VII Idibus decembris pontificatus nostri anno sexto. XIX. 1232, 8 Dicembre. — II poìitefice Gregorio IX scrive ali'Abbate di S% Stefano di far conferire dal capitolo della Cattedrale di Ge?iova uh canonicato a prete Ugo [da Pontremoli] rettore della chiesa di S. Giorgio in Genova. Fonti. — Atti del Not. 1attuino de Predono, Reg. 1. Parte II, f. 95, Arch. di St. in Genova. yfr Nos Dominus R.[aimundus] Abbas monasterii Sancti Stephani lanuensis confiteor habuisse et recepisse Ab hugone rectore ecclesie Sancti Georgii litteras bullatas domini pape in hac forma Gregorius episcopus seruus seruorum dei. Dilecto filio . . Abbati Sancti Stephani lanuensis Salutem et Apostolicam benedictionem Non hontis sed honor Accedit ecclesiis cum persone instituuntur in illis de quibus non minus ecclesiis quam ipsis ecclesiis prouidetur. Cum itaque sicut dilectus filius Vgo rector sancti Ge[orgii..... libenter honoramus.... honejstate morum ac scientiae meritis perhibetur, prepositum et capitulum Ianuensem rogandos duximus Attencius et monendos nostris eis dantes litteris in mandatis ut eumdem Vgonem dictam ecclesiam resignantem paratum in eorum ecclesia residere pro reuerencia beati petri et nostra cum primum se facultas obtulerit recipiant liberaliter in canonicum et in fratrem, eique prebendam nichilominus conferant nisi racionabile quid obsistac. preces nostras et mandatum taliter impleturi quod idem Assecutum se gaudeat quod intendit et nos deuocionem suam possimus in domino merito comendare. Ideoque discretioni tue per apostolica scripta mandamus quatenus dictos prepositum et capitulum Ad id Attencius moneas et inducas. Datum Anagnie. V.· idibus decembris pontificatus nostri Anno Sexto. Quocirca nos dictus Abbas monemus et inducimus dominum. R. prepositum Ianuensem et Rainaldum ca nonicum Ianuensem nomine suo et nomine et uice capituli lanuensis secundum modum et formam predictarum litterarum. Cui admonicioni respondit et dixit dictus R. prepositus pro se et nomine et ilice capituli lanuensis quod locus non uacat et tenentur capitulum et canonici eiusdem certis statutis inter se iuramento firmatis non recipere Aliquem in canonicum nec in fratrem nec eciam spem ei dare prebende future uacantis. nisi quando locus uacauerit nnde non potest dictum Vgonem recipere in Canonicum nec in fratrem nec eciam ei spem dare et ideo non potest preces domini pape admittere. Testes Iacobus cie- — 143 — ricus filius Willeltni cicade. Enricus cicada, et Symon filius quondam Viualdi calegarii de porta. Actum Ianue in canonica sancti Laurentii. M.CC.XXXIII. Indicione quinta. Die tercia Ianuarii inter primam et terciam. XX. Prima dei 1233, 17 Agosto. — Il pontefice Gregorio IXscrive all’Abbate dell’isola Gallinaria di porgere ascolto ai lamenti dell'Arcidia· coìto di Savona contro Guglielmo Cicala e contro altri delle diocesi di Genova e di Albenga. Fonti. — Atti del Not. Lanfranco, Reg. II, Parte 1, f. 124 v., Archivio di St. in Genova. Osservazioni. — L’ atto è monco e corroso. In presencia testium infrascriptorum Balduinus masconus represen-tauit et dedit literas infrascriptas vAssAllo portonerio tenor quArum talis est. Bernardus Abbas sancti mArtini insule galinArum et domini pape delegatus discreto et sApienti uiro vAssAllo portonerio ciui IA-nue. salutem et omne bonum noueritis quod recepimus literas Aposto-ticas in hAc forma Gregorius seruus seruorum dei dilecto filio.. Abbati insule galinArum Albinganensis diocesis sAlutem et Apostolicam benedicionem. mAgister. B. Archidiaconus saonensis. nobis exposuit conquerendo quod \V[illelmus] cicada et quidAm Alii Ianuensis et Albinganensis diocesis super quibusdAm possessionibus et rebus Aliis iniuriAntur eidem. Ideoque discrecioni tue per Apostolica scripta mAn-dAmus. quatinus, partibus conuocatis Audias causam et Appellacione remota fine debito decidas, faciens quod decreueris per censuram ecclesiasticam firmiter obseruari. testes autem.. N presentetis per uos uel per suficientem responsalem eidem de iusticia responsurus. Ad quem terminum si non ueneritis statuimus uobis secundum terminum quarta die post primum, et si Ad ipsum non ueneritis quod non credimus statuimus uobis tercium terminum et perentorium. V. die post secundum. Alioquin procedemus in causa iusticia mediante que litere sigillate erant sigillo cereo in quo erat immAgo Abbatis cum uno pastorali in mAnu. et retro cum erat immAgo unius galli circumscriptio cuius talis est S[igillum] Abbatis sancti mArtini de insula galinArum. quas literas. dedit dictus Balduinus predicto vAssallo iuxta Astricum Oglerii uAce et litere coram infrascriptis testibus in domo qua moratur Ansaldus tabernarius et coram vAssallo predicto fuerunt, testes interfuerunt Adam de sancto donato peregrinus catelus et nicolaus frater eius et Guillelmus lavAgnola. die XVII Augusti circa tintinabulum [MCCXXXIII] — H4 — XXI. 1233, 29 Novembre. — II pontefice Gregorio IX scrive all’Arciprete di Rovezecio, nella diocesi di Piacenza, di porgere ascolto ai lamenti fatti dall’Abbate della Cella contro ΓArciprete di Rapallo. Fonti. — Atti del Not. Giovanni de Vegio, Reg. I, Parte I, f. 53. (isservazioni. — L’ atto è monco e corroso. Millesimo. CC XXXVII Inditione nona. [In pre]sencia testium infrascriptorum Bernardus de vineis r epre-sentauit et dedit Oniboni de fontanabona litteras infrascriptas.... litteras recepisse in hac forma continentes. Gregorius episcopus seruus seruorum dei. Dilecto filio.. Archipresbitero de roueçecio piacentine diocesis Salutem et apostolicam benedictionem. Querelam Abbatis de cella recepimus continentem quod.. Archipresbiter de Rapallo. Monta-narius et quidam Alii clerici et laici ciuitatis et diocesis lanuensis super terris, possessionibus et rebus aliis iniuriantur eidem. Ideoque discretioni tue per apostolica scripta mandamus quatinus partibus conuo-catis Audias causam et Apellacione remota debito fine decidas faciens quod decreueris per censuram ecclesiasticam firmiter obseruari. Testes autem qui fuerint [nominati] si se gratia hodio uel timore subtraxerint per censuram eamdem cessante appellatione compellas veritati testimonium perhibere. Datum Laterani III. Kalendas decembris pontificatus nostri anno septimo. Quocirca auctoritate qua fungimur in hac parte uobis precipiendo mandamus quatenus decima die post harum representacionem coram nobis veniatis et si venire nolueritis alium secundum terminum decem dierum uobis Asignamus. et si ad primum nec ad secundum terminum venire contenseritis ex tunc alium tercium terminum decem dierum peremptorie uobis prefigimus ut coram nobis venire non postponatis, scientes quod si coram nobis venire uel sufficientem responsalem mittere non curaueritis. contra uos quantum de iure poterimus procedemus. Sigilate erant litere sigillo cereo cuius circumscriptio talis est. Sigillum Archipresbiteri de riugocio. testes interfuerunt huic pre^entacioni predicte thealdus taliator tebaldu de cla-uaro et Obertus de fontana bona. Die XXVIIIJ. Iulii. inter nonam et uesperas. Actum Ianue ante domum Monasterii sancti Andree de porta qua habitat dictus Guido. — 145 — XXII. 1234» 7 Ottobre. — II pontefice Gregorio IX incarica ΓAbbate di S. Stefano hi Genova, il Prevosto della chiesa maggiore di Tortona, e Piacentino, canonico della Pieve di Lavagna, di provvedere al ricorso fatto da Guglielmo Pavese, il quale denunciò che VAbbate e i monaci di S. Siro celebravano, nonostante Vinterdetto. Fonti. — Atti del Noi. Gio. Enrico de Porta, Reg. I, f, 149 v., Archivio di Stato in Genova. In presentia testium infrascriptorum lanfrancus clericus sancti Mi-chaelis de Solio optulit et dedit domino Abbati sancti Syri de Ianua. e parte domini Abbatis sancti Stephani de Ianua et piacentini canonici plebis lauanie infrascriptas eorum cuiuslibet sigillo cereo sigillatas. quarum tenor talis est. Dilectis in Xpisto fratribus Abbati et Con-uentui sancti Syri de Ianua. R. Abbas sancti Stephani Ianue et Placentinus canonicus plebis de lauania. Salutem, in domino. Noueritis nos domini pape recepisse litteras in hac forma. Gregorius episcopus seruus seruorum dei Dilectis filiis.. Abbati sancti Stephani Ianue.. pre-posito terdonensi. et piacentino canonico plebis lauanie. Ianuensis. diocesis. Salutem et apostolicain benedictionem. Willelmus dictus pa-piensis. ciuis Ianue. transmissa nobis petitione monstrauit quod Abbas et conuentus sancti Syri Ianue. pro eo per prepositum Ianuensem. et eius coniudices exigente iustitia Auctoritate nostra uinculo excomuni-cationis Astricti diuina temere celebrare présumant, in eius preiuditium Animarum suarum periculum et scandalum plurimorum. Ideoque discretioni uestre per apostolica scripta mandamus, quatinus conuocatis qui fuerint conuocandi audiatis causam, et quod canonicum fuerit Appellatione postposita decernatis, facientes quod decreueritis per censuram ecclesiasticam firmiter obseruari. Quod si non omnes hiis exe-quendis potueritis interesse, duo uestrum ea nichilominus exequantur. Datum Perusii. nonis, octobris pontificatus nostri Anno. VIII. Quocirca domini pape vobis qua fungimus Auctoritate mandamus, quatinus die quarta post harum oblationem, per uos uel sufficientem re-sponsalem Apud Monasterium sancti Stephani predicti coram nobis uos presentetis. dicto Willelmo secundum iustitiam responsuri, et si tunc non ueneritis coram nobis, uobis abinde die tertium peremptorium terminum Assignamus. Alioquin precedemus in dicto negocio. qualitercumque poterimus iustitia mediante. Testes Rainerius de turri, et Seueratus filius Corui de monleone. MCCXXXVIII. indictione VII. die XV. decembris, inter vesperas et completorium. Actum Ianue iuxta ecclesiam sancti Syri. « — 146 — XXIII. i234î 20 Novembre. — II Pontefice Gregorio IX scrive all*Arciprete di Rovegno, nella diocesi di Tortona, di porgere ascolto ai lamenti, mossi dalTAbbadessa e dalle monache di S. Andrea della Porta. Fonti. — Poch, Miscellanea, Voi. Ili, f. 83. Gregorius episcopus seruus seruorum dei dilecto filio. . Archipre-sbitero de Rouenio terdonensis diocesis salutem et apostolicam benedictionem. Dilecte nobis in Xpisto filie Abbatissa et Conuentus monasterii sancti Andree Ianue sua nobis conquestione monstrarunt quod Obertus Mascale frater eius Crispinus et. . vxor eius ac quidam alii de Ciuitate et diocesi Ianuensi super quadam pecunie summa decimis mortuariis possessionibus et rebus aliis iniuriantur eisdem. Ideoque discretioni tue per apostolica scripta mandamus quatenus partibus con-uocatis audias eas et appellatione remota debito fine decidas faciens quod decreueris per censuram ecclesiasticam firmiter obseruari. lestes autem qui fuerint nominati si se gratia odio vel timore subtraxerint per censuram eamdem appellatione cessante compellas veritati testimonium perhibere. Datum Perusii XII Kalendas decembris pontificatus nostri anno octauo. XXIV. 1234, 4 Dicembre. — Il pontefice Gì egorio IX scrive ad Adamo, arciprete di Moneglia, di porgere ascolto ai lamenti mossi da Giovanni di Negro contro Γ Abbate di S. Maria di Castiglione nella diocesi di Parma. Fonti. — Atti del Not. Gio. Enrico de Porta, Reg. I, f. 107 v.. In presentia testium infrascriptorum Iohannes de nigro dedit repre-sentauit domino Adam Archipresbitero plebis monelle litteras infra-scriptas plumbea bulla domini pape sigillatas, ex parte eiusdem domini pape, quarum tenor talis est. Gregorius episcopus seruus seruorum dei. Dilecto filio.. Archipresbitero de Monella lanuensis. diocesis. Salutem et apostolicam benedictionem. Iohannes de nigro ciuis lanuensis sua nobis peticione monstrauit quod cum. Abbas et conuentus de Castellane parmensis diocesis. contra eum super possessionibus et rebus aliis ad . . prepositum placentinum litteras apostolicas impetrasset quia dictus Iudex ultra duas dietas extra suam diocesim ad iuditium trahebat eumdem cum id ex litterarum ipsarum beneficio non haberet idem sentiens indebite se grauari nostram audientiam appellauit. Ideoque discretioni tue per apostolica scripta mandamus quatinus si est ita re-uocato in statum debitum quidquid post appellationem huiusmodi in-ueneris temere attemptatum in causa ipsa iuxta priorum litterarum continentiam appellatione remota preuia ratione procedas. Alioquin partes ad prioris iudicis remittas examen, appellantem in expensis le- — 147 — giptimis condempnando. Testes autem qui fuerint nominati si se gratia liodio uel timore subtraxerint per censuram ecclesiasticam appellatione cessante compellas ueritati testimonium perhibere. Datum, perusii. II. nonis Decembris. Pontificatus nostri anno octauo. Testes Sygembaldiis canonicus Ianue. Addamus clericus Monelle et Rollandinus de monelia. M.CC.XXXV. Inditione VII. die. XII. lanuarii. inter uesperas et completorium. Actum Ianue in claustro sancti laurentii. XXV. 1235, 10 Gennaio — II potitefice Gregorio IX scrive αΙΓArcivescovo di Genova di togliere la scomunica al rettore di S. A?ilo?itno di Cesino > avvertendo di aver pure i?icaricato per ciò il prevosto di Fabrica e ΓArciprete di Monteacuto nella diocesi di Tortona. Fonti. — Atti del Not. Gio. Enrico di Porta, Reg. I, f. 121 v.. In presentia testium infrascriptorum dominus Obertus de cruce. ex parte domini pape, representauit Domino. O. Archiepiscopo Ianuensi. litteras infrascriptas eiusdem domini pape, plumbea bulla munitas, quarum tenor talis est. Gregorius episcopus seruus seruorum dei. venerabili fratri . . Archiepiscopo Ianuensi. Salutem et apostolicam benedictionem. Ansaldus presbiter rector ecclesie de Cisino nobis exposuit conquerendo, quod tu in eum auctoritate propria sine causa ra-cionabili nulla competenti amonitione premissa excomunicationis sententiam promulgasti, contra statuta concilii generalis. Ideoque fraternitati tue per apostolica scripta mandamus quatinus si est. ita sententiam ipsam infra octo dies A receptione presentium sine qualibet difficultate relaxes. Alioquin dilectis filiis . . preposito de fabrica . . Archipresbitero de monte acuto terdonensis diocesis et. . priori sancti Victoris Ianuensis nostris dedimus litteris in mandatis ut ipsi ex tunc sufficienti ab eo super hiis quibus excomunicatus habetur cauptione recepta, iuxta formam ecclesie sententiam relaxent eamdem et iniuncto ei quid de iure fuerit iniungendum audiant si quid fuerit questionis, et appellatione remota debito fine decidant et faciant quod decreuerint auctoritate nostra firmiter obseruari. Datum perusci. III. Idibus lanuarii. pontificatus nostri anno octauo. et inde dictus Obertus hanc cartam fieri iussit. Testes Marchisius dalmatius et Lanfrancus filius domini Ingonis de volta. MCC.XXXV. Indictione. VII. die XV. februarii, inter nonani et vesperas. Actum Iauue in palatio Archiepiscopi. — 148 — CONTRIBUTO ALLA VITA DI GIOVANNI FANTONI (LABINDO) (Continuazione da pag. 69 e fine) Al Popolo sovrano di Reggio | il cittadino Giovanni Fantoni ; in-4.0 di pp. 4 , delle quali la prima e Γ ultima bianche, senza data, luogo e stamperia. La lettera porta in fronte, da un lato Libertà e dall’altro Eguaglianza, e ha questa data : « 26. Vendemmiatore Anno 5 della Repubblica Francese una ed indivisibile, Aurora della Libertà Italiana », ossia 17 ottobre 1796. Ode di Labìndo ad Alberto Fortis; in Termometro politico I della Lombardia | 2 frimaire V repub. (martedì 22 novembre ijç6 v. s.), n.° 41-42, pp. 139-140. Incomincia: Colui che facil crede | Vittima cade, ecc. E l’ode XXIV del lib. II. Estratto di un dotto ed eloquente discorso fatto da un patriota nelÌAccademia Democratica di Modena sulla maniera che devono tenere i Lombardi liberi per darsi una buona legislazione e per conservare la loro libertà; in II Giornale repubblicano di pubblica istruzione, di Modena, n.° XIV, 2 dicembre 1796, pp. 113-114, e n.° XX, 23 decembre 1796, pp. 161-162. Benché non se ne indichi l’autore, ritengo sia di Labindo. Ode I del cittadino | Giovanni Fantoni | Da lui composta prima della discesa dei Francesi | in Italia | E da lui recitata | nella Società di pubblica istruzione | di Venezia | Essendo ΐ ordine del giorno che | (ove non v e virtù non v’e libertà). | Anno primo della Libertà italiana. | — | A — I49 — spese della Società di Pubblica Istruzione | Presso Giustino Pasquali q. Mario ; in 8.° di pp. 8 , Γ ultima delle quali bianca. È Γ ode All’Italia , XXII del libro IV, che incomincia: Invan ti lagni del perduto onore. In una nota, in principio del rarissimo libric-cino, si legge : « Fu ordinata per acclamazione la stampa ». Se ne trova un esemplare nella Biblioteca della R. Accademia delle Scienze di Torino, già appartenuto al conte Federico Sclopis di Salerano. Poesie varie 1 di | Labindo | nuova edizione corretta | ed accresciuta | Est Deus in nobis, agitante calescimus illo I OviD. I Livorno | — j Presso Giacomo Marsoner j in Rimino | 1797 | Antonii |Gridoglia Forolivien.; in 8.° di pp. 192. Le pp. 3-6, benché conteggiate , non hanno numerazione. A p. 3 si legge una breve avvertenza di Giacomo Marsoner ai Lettori. E quella stessa premessa da Carlo Giorgi all’ edizione che fece a Livorno nel 1792, che il Marsoner riproduce fedelmente, senza niente aggiungervi. L,e Odi incominciano a p. 5. Il libro primo abbraccia le pp. 7-84; il libro seco?ido le pp. 85-105. Le pp. 107-116 contengono le Notti; le pp. 117-161 gli Idilli: le pp. 163-184 gli Sciolti; le pp. 185-192 le Odi inedite nelle antecedenti edizioni. Benché nel frontespizio porti scritto: Livorno, l’edizione è fatta a Rimini, dove Giacomo Marsoner di Bas-sano fin dal 1782 aveva messo su una bottega da libraio e una stamperia AWinseg7ia della Provvidenza, che ampliò di lì a poco. Cfr. Tonini L. Sulle officine tipografiche rimine si memorie e documenti; negli Atti e Memorie della R. Deputazione di storia patria per le Provincie di Romagna, ann. IV [ 1366], pp. 152-154. Inno I a Dio | di Giovanni Fantoni | parafrasi | di quello di Giuseppe M. Chenier | Musica di Gossec ; in 4.0 di pp. 4 n. n. Senza note tipografiche, data e luogo. È preceduto da una lettera del Fantoni, che porta in fronte i motti « Libertà » ed « Eguaglianza », scritta il « 3. dei Complementarj, anno primo della Libertà Italiana, e quinto della Repubblica Francese », che incomincia: « Uomini liberi dell’Universo, e voi specialmente nati in Francia e in Italia, intuonate un Inno all’Esser Supremo, che vi ha salvati il 18 fruttifero », ecc. Dal n.° 15 [23 settembre 1797] della Gazzetta nazioìiale getiovese si rileva che uscì da’ torchi del Frugoni in Genova, nel settembre del T797. Il Giornale repubblicano di pubblica istruzione, di Modena, n.° CI\f, 22 vendemmiatore anno VI (13 ot- — 150 — tobre 1797) così Γ annunzia : « È stato pubblicato colle stampe un Inno all’Essere Supremo del cittadino Giovanni Fantoni; parafrasi di quello di Giuseppe Maria Chenier. Esso è preceduto di un breve, ma fervido discorso agli uomini liberi della terra. E 1’ uno e Γ altro meritano di essere letti da chi ama la libertà e la virtù ». Massime elementari di pubblica educazione estratte da mi*opera inedita sulla felicità delle Nazioni del cittadino Gioanni Fantoni; nel giornale 11 Difensore della Libertà, di Genova, n.° 34 del 29 settembre 1797; e nel Giornale storico e letterario della Liguria, anno VI [J9°5]» PP* 428-434. Le Massime sono accompagnate dalle « Leggi coercitive necessarie perchè i padri e le madri dell’attuale corrotta generazione non possano con le loro abitudini paralizzare la pubblica educazione ». Al Linneo Francese Lebrun | Ode \ Il Fanatismo ; nel Termometro politico | della Lombardia | 14 brumaio VI repub. (.sabato 4 novevib. /7^7 v. s.), n.° 36, pp. 298-300. Incomincia: Ridea l'aurora, pallide | Gedtan, ecc. È l’ode XIX del lib. IV, che indirizzò A Vittorio Alfieri di Asti. Il Termometro la dà anonima, con questa nota: « Fu scritta nel 1792 dopo l’accaduta contro-rivoluzione di Bastia ». Inno a Dio | del cittadino Fantoni | Parafrasi di quello | di Giuseppe Maria Chenier; a pp. 8-11 di un opuscolo senza frontispizio, che contiene : Ca7izone del cittadino Galdi I per la vittoria de 13 Frimale (pp. 1-7). La Repubblica Cisalpina | del cittadino Giovanni Pindemonte (pp. 12-16): in fine: « Genova. Nella stamperia francese e italiana degli Amici della Libertà, Vico della Maddalena, n. 300 »; in 8.° È ristampa dell’antecedente, ma senza la lettera che serve di prefazione. Dialogo de’ vivi. Il Papa Braschi coir ex Vescovo di Pistoia Ricci; in 11 Giornale repubblicano di pubblica istruzione, di Modena, n.° XLV, semestre III, Italia, 3 Ger-mile anno VI repubblicano [23 marzo 1798]. Secondo dialogo dë vivi. Papa Braschi e ΐ ex- Vescovo Ricci; in ]l Giornale repubblicano suddetto , n. LUI, semestre IV, Italia, i.° Fiorile anno VI repubblicano [20 a-prile 1798]. Vennero pubblicati anonimi. Forman parte dell’opera: Il nuovo Luciano o il Luciano italiano , rimasta inedita e probabilmente non condotta a fine. A.I Direttorio della Repubblica Cisalpina ; in 11 Giornale repubblicano di pubblica istruzione, di Modena, n.° LVIII, semestre IV, Italia, 19 Fiorile anno VI repubblicano [8 maggio 1798]· Essendo stampata in una gazzetta della più grande rarità qui la trascrivo : « Hunccine, quem modo decoratum ovantemque victoria incedentem vidistis, eum.......inter cruciatus videre potestis? Pub. Horat. ap. Liv. D. I, L. I. La Coorte, che prima accorse a difendere la nascente libertà d'Italia, e che era composta di mille e più uomini della migliore e più florida gioventù, non conta in adesso che ducento soldati, avanzo infelice che il destino ha serbato illeso, e che ha risparmiato la morte. Tante vittime sacrificate dalla stupida indolenza, dalla feroce ingratitudine e dalla perfidia , gridano vendetta e reclamano i diritti dell’umanità e della giustizia oltraggiati ; l’uomo sensibile e re-pubblicano sparge lagrime di dolore sulle loro tombe e innalza gemendo i più caldi voti al cielo per la libertà della Patria e per la salvezza di quella santa causa, che alcuni magistrati infedeli hanno tentato e tentano disonorare. Vorrei che dalla Rivoluzione Italiana si potesse cancellare un’epoca nella quale i sostegni e i difensori della Repubblica furono oppressi dagli orrori della nudità, perchè l’imparziale giustizia dei posteri non ci avesse attribuire il suo disprezzo e la sua esecrazione; vorrei che quest’onta si nascondesse per sempre ai Tiranni, che nei nostri mali trionfano, che c’insultano in faccia ai popoli oppressi e che pagano ed alimentano i loro soldati e i loro satelliti. Direttorio Cisalpino rigenerato! a te ora spetta il riparare efficacemente ad una simile infamia. Osserva di continuo ed esamina con occhio severo la condotta de’ tuoi Ministri , de’ Commissari, degli amministratori di qualunque genere ; discaccia e punisci i dilapidatori delle sostanze pubbliche ; coloro che son negli impieghi e non ne a-dempiono i doveri ; coloro che potrebbero contare i loro acquisti ed i loro piaceri dal numero d’infelici che fanno; occupati infaticabilmente del benessere e della prosperità dei Cisalpini e di quelli specialmente che servono la Repubblica e che tutto sacrificarono per la rivoluzione, esponendosi a perdere quanto v’ha di più caro al mondo, la vita, la patria, gli amici, i parenti. Rammenta che sei responsabile al Sovrano — 152 — di tutto quello che soffrono i buoni o per tua colpa, o per colpa de’ tuoi dipendenti. L. ». Risposta I al quesito | deli Amministrazione generale | della Lombardia. | Quale dei Governi liberi convenga | alla felicità dell’Italia6* | Quid Leges sine moribus | Vanae proficiunt, I Hor. Epist. I Ginevra, Anno III. della Repubblica; in i6.° di pp. 55. È firmata Un Italiano nella lettera che ne forma la chiusa , indirizzata agli Amministratori Generali della Lombardia. Vi sta scritto: « Considerate le poche riflessioni che vi presento. Non vi sorprendano le nuove verità che contengono. Un’ opera sulla felicità delle Nazioni vi farà conoscere quanto prima che senza di queste non esiste nè libertà nè eguaglianza ». È l’opera che Labindo appunto andava scrivendo. Labìndo | a Bartolommeo | Boccardi. | Ode saffica, j [In fine:] In Parigi | Nella Stamperia di A. Cl. Forget, nella strada del Forno | Sant’Onorato, n.° 487; in 4.0 di pp. 4, l’ultima delle quali bianca. È l’ode XXI del libro IV : Che solo il ricco sia felice e alberghi, ecc., composta nel 1791. Le I Odi I di | Giovanni Fantoni | cognominato | Labindo I Italia I anno ultimo | del secolo XVIII. [ Presso Angelo Tessera; in 4.0 di pp. VIII-38, oltre 2 in fine 11. n. È fatta a Genova durante il memorabile assedio in mezzo al rumore delle armi, agli stenti, alla fame. Sulla copertina si legge nella prima e nell’ultima faccia: Odi | di Labindo | decuria prima. Singolare la dedica, che sta a p. Ili: A * coloro · | il · di * cui · cuore ' e · le * di ' cui ' mani · | non · si * contaminarono * | nell* * ultimo * decennio · I del * secolo * XVIII · | dedica · | alcune · odi · | Labindo. A p. IV trascrive il distico : Non arile vulgatas per artes — Verba loquor socianda chordis. Horat. Od. 9 , lib. IV. La prefazione : Labindo I agli amici della lirica poesia , abbraccia le pp. V-VII. Ecco quello che dice : « Per aderire alle premure di pochi amici , vi offro in nitida edizione di caratteri Bodoniani alcune Odi Oraziane, che nella perdita della massima parte de’ miei manoscritti la mia memoria ha salvato dalla distruzione di un anno tanto fatale all’Italia e troppo infame nei fasti dei popoli civilizzati. Costretto a ricercare in me stesso le varie correzioni che loro ho fatte in diversi tempi, onde rapirle, se — *53 — mi fosse stato possibile , alla mediocrità , ho prescelto di darle alla luce in quinterni separati, contenenti ciascheduno di essi dieci Odi di un genere differente. L’ultimo, oltre le dieci Odi, conterrà una breve lettera a Melchiorre Cesarotti, in cui Γ autore mostrerà sinceramente al Pubblico qual metodo ha tenuto in tentare questo genere di lirica, quali errori ha commessi, come ha procurato correggersene , quanto potrebbe questo ancora perfezionarsi, quali nuove strade restano da calcarsi ai lirici Italiani onde rendere questo genere di poesia perfetto, degno di servire alla pubblica istruzione e capace di formare il Popolo alla compassione ed alla generosità, non meno che al disprezzo della morte ed al sacro entusiasmo dell’amor della Patria. Non dubito che la critica, resa più atrabiliare da qualche anno dalle passioni messe in fermento dalle vicende politiche, troverà da pascersi nelle mie Odi; mi credo quindi in debito di prevenire tutti coloro che mi leggeranno, che ho per massima il non rispondere in iscritto alle calunnie e alle critiche. L’ unica risposta che , a mio credere , può loro darsi, è alla prima quella di una condotta irreprensibile; alla seconda, di correggersi, s’è giusta; di disprezzarla, s’è stolta. Qualunque Aristarco o Quintilio vorrà dunque degnarsi di rendermi migliore, troverà sempre in me un amico docile e senza egoismo; i Mevii poi ed i Zoili gracchino pure quanto loro fa duopo per isfogare la bile ; mentre io tacerò, essi udranno dai Saggi ripetersi quello che io scrissi sono quasi vent’anni : Il vostro biasmo la virtù non morde, Muore nascendo e freddo obblio l’assale ». La p. Vili è bianca. A p. i incomincia la Decuria prima ! dell'odi | di Labindo. Si compone delle seguenti : « A Bartolommeo Boccardi di Genova, ode ». Che solo il ?'iccot pp. 1-3. — «A Melchiorre Cesarotti di Padova, ode. L’Umanità». Dono del cielo, pp. 4*5· — Ad Antonio Boccardi di Genova, ode ». Il peregrino argento, pp. 6-9. - « A mio padre, ode. Per l’inondazione del Po e del Mincio accaduta l’anno 1792 ». Noy 71071 è ver, pp. 10-13. — <( Ad Andrea Massena di Sospetto, ode ». Beato quei che Ì7i venerata pace, pp. ΐ4_Ι7· * All’Essere supremo, inno. Parafrasi di un Inno Francese ». Fo7ite di veritade, pp. 1S-23. — « A Sebastiano Biagini di Lerice , ode. Il Vaticinio ». Lungi, profani, pp. 24-26. — « A Vittorio Alfieri di Asti, ode. Il Fanatismo ». Ridea l’aurora, pp. 27-30. — « Ad Alberto Fortis di Padova, ode ». Colui che facil crede, pp. 31-33· — « All’Italia, ode ». I7iva7i ti lag7ii, pp. 34-36. Segue Vindice della prima decuria dell’ odi [pp. 37-38], nel quale dà ragione anche de’ metri. Finisce con questa nota : « L’ anno notato sotto di ciascun’ ode indica il tempo in cui è stata composta; quando ve ne sono due, il secondo denota l’anno in cui vi si fecero notabili cambiamenti. Potrà in tal guisa il lettore sapere in qual anno scrisse l’Autore ciascun’ode, ma eziandio ravvisare lo stato differente della di lui anima e i di lui progressi nell’ arte Giorn. St. e Leti, della Liguria. 11 — 154 — lirica ». L’elegante volume si chiude con questa Protesta [p. 39 n. n.]: « Essendo noto al)’Autore che parecchie sue Odi esistono manoscritte presso varie persone, o poco fedelmente copiate, o quali sono uscite la prima volta dalla sua penna, e perciò non abbastanza assoggettate alla lima ; e che altre ne sono state con poca esattezza inserite nei Giornali Francesi e Italiani, previene il pubblico che riconosce soltanto la presente edizione per corretta e capace di servire di testo ». L’ultima p. è bianca. Ne fece una recensione il Nuovo giornale dei letterati, di Pisa, tom. V [1803], pp. 83-97. Ne fu creduto autore Domenico Batacchi, di cui porta infatti la firma; ma Felice Tribolati notava : « Sicuramente non è di Domenico Batacchi un articolo , o meglio un’ invettiva....... contro le liriche di Labindo , agrissima quanto ingiusta critica , che ci pare da attribuirsi al Coureil ». Cfr. Tribolati F. Un novellatore toscano del secolo XVIII; nei Saggi critici e biografici, Pisa, Spoerri, 1891, p. 306. Le odi di Giovanni Fantoni cognominato Labindo, Italia, anno ultimo del secolo XVIII, presso Pane e Bar-beris, in Torino. Di questa ristampa , che non mi è stato possibile trovare , se ne legge il seguente cenno, sotto la rubrica : Poesie repubblicane, nel foglio torinese: L'Amico della Patria, giornale del cittadino Ranza, n.o 12, 26 Fruttidoro anno 8.° « Ê questa la prima decuria delle Odi di Labindo, uno de’ migliori Poeti Repubblicani che onorino l’Italia. L’edizione è dedicata al cittadino Francesco Farò dal suo amico Basilio Davico, poeta ancor esso. L’Autore protesta in fine di riconoscere questa sola edizione per corretta e capace di servire di testo. Alcuno gli domanderà , perchè mai sotto 1’ Ode II Fanatismo non ha messe due date, come praticò sotto altre? cioè quella del 1792 in cui la compose per la contro-rivoluzio?ie religionaria seguita in Bastia di Corsica il 5 luglio , nella qual occasione la indirizzò al Lirico Francese Le-Brun^ il cui nome trovavasi dove c’ è ora quello d’Alfieri; e poi l’altra del cambiamento d’indirizzo, e del verso 58, che prima avea, dal rapito soglio, dove ora si legge dalPavito soglio. Il cambiamento d’indirizzo, il dare ad un altro genero la sua figlia non era egli forse un cambiamento notabile? » Poesie I di | Giovanni Fantoni | toscano | fra gli Arcadi I Labindo | Pisa | dalla Nuova Tipografia | 1800; in 8.° di pp. 200. Portano scritto nell’occhietto : Parnaso | degl’ | italiani viventi | volume XVI. I Labindo. Sono precedute da una lettera dedicatoria Al· I’ornatiss. donzella | la Signora | Teresa De’ Rossi \ per le me nozze | col secondogenito | del Duca di Sermo?ieta | G. R. | ossia Giovanni Rosini. Le dice: « ........ V’intitolo....... i versi d’un Poeta, che ha trasportati felicemente sulla cetra italiana i bei modi che facevano l’ornamento della vostra Roma ne’ felici tempi d’Augusto ». Sono così spartite: Odi [pp. 7-100]; Scherzi [pp. 101-195] ; hidice [pp. 197-200]. Poesie I di | Giovanni Fantoni | toscano | fra gli Arcadi I Labindo | Pisa | dalla Nuova Tipografìa | 1800; in 8.° piccolo di pp. 196. In fine si legge : « La presente edizione è fatta esattamente sopra quella di Livorno del Giorgi, diretta dall’Autore , che somministrò varie cose inedite ». Hanno la dedica alla Teresa De’ Rossi, e questa divisione: Odi [pp. 7-97]; Scherzi [pp. 99-192]; Indice [pp. 193-199]· Il Fanatismo | ode | del cittadino Fantoni | per la con-tro-rivoluzione religionana | seguita in Corsica il 5 luglio ijçi I al lirico francese Lebrun; in Anno patriottico | varietà istruttive | compilate dal cit. Ranza | Vendemmiaio | vol. I. I 1800 I Torino. Dalla Stamperia Fea ; pp. 102-105. Il Ranza scrive in fine : « N. B. Il poeta Fantoni si fece con questa sua figlia due generi : uno francese, e questo fu il primo, cioè il poeta lirico Lebrun; l’altro italiano, cioè il poeta tragico Alfieri, piemontese. Nelle seconde nozze cambiò il verso 58, cioè dal rapito soglio in dall’avito soglio. Ecco una vera ciarlataneria poetico-letteraria ! » Il Vaticiìiio I ode | di Giovanni Fantoni | a | Sebastiano Biagini I di Lerice ; in Anno patriottico | varietà i struttive I compilate dal cit. Ranza | Frimaio | vol. III. | 1800 I Torino. Dalla Stamperia Fea; pp. 14-16. Incomincia: Limgi, profaìii. In fine si legge: Lavoro del 1796. Poesie I di | Giovanni Fantoni | toscano | fra gli arcadi I Labindo | Parma | co’ tipi Bodoniani | MDCCCI ; in 8.° di pp. 242, oltre il frontespizio e l’indice, che abbraccia 4 PP· Poesie I di | Giovanni Fantoni | toscano | fra gli arcadi I Labindo | Pisa | dalla Nuova Tipografia | 1803; in 8.° picc. di pp. 188-34, C°1 ritratto del Fantoni. Nell’ antiporta v’è scritto: Parnaso \ degl' | italiani viventi | volume XVI. I Labindo. Sono, al solito, dedicate alla Teresa De’ Rossi, — *56 — e spartite in Odi [pp. 7 94J e Scherzi [pp. 95-184]. Segue- Γ Indice [pp. 185-188]; poi con nuova numerazione: Odi | di | Giovarmi Fan-toni I cognominato | Labindo; fedele riproduzione della Decuria prima dell’odi, che il Fantoni stampò a Genova co’ torchi del Tessera. L’editore, alle parole del Poeta agli amici della lirica poesia, dove dice; « vi offro in nitida edizione, di caratteri Bodoniani, alcune· Odi Oraziane », annota: « Questa piccola prefazione era premessa a un’edizione in 4.0 stampata dal Tessera di Genova, co’ caratteri fusi nelle matrici date allo stesso dai fratelli Amoretti di Parma; quindi i caratteri non erano Bodoniani: uìiicuique suum ». Epitalamio [In fine :] Lucca | per Domenico Marescan-doli I MDCCCIV j. con approvazione; in 8.° di pp. 16. Nella p. 1 si legge: Epitalamio; la p. 2 è bianca; nella 3 si trova scritto : In nozze di Girolamo Tommasi | e 1 Rosa Belluomini | di | Giuseppe Lena | e | Maria Angiola Belluomini | cittadini. Segue a pp. 5-9 la lettera dedicatoria. L’Epitalamio abbraccia le pp. 9-15. Due pagine bianche in principio e due in fine fanno da guardie all 'Epitalamio, parte tirato in carta comune bianca, parte in carta grossa filogranata, tinta lievemente in verde. Trascrivo la dedica: Al suo amico | Nicolao Giorgini | Giovanni Fantoni | cognominato Labindo. Tentai altra volta d’imitare il Cantore delle nozze di Manlio e di Giulia, e tralasciando la descrizione degli antichi riti dei maritaggi d’ Italia, allora padrona del 'mondo conosciuto, ne adattai i pensieri e le bellezze alle meno poetiche circostanze moderne. Le circostanze lasciarono quasi ignoto questo mio tenue lavoro, che variato e ricorretto dirigo a Voi, annuendo alle amichevoli vostre premure, perchè ne facciate dono a quei Sposi, che 1’ esempio di Francesco Belluomini, 1’ erezione di una nuova Repubblica, e 1’ occulta progressione dello spirito umano obbligano a crear dei figli degni di succedergli, capaci 'di stabilirla, ed avidi di promuoverlo a quel punto d’ utilità, a cui lo destinò la natura, e da cui l’ignoranza di molti e l’interesse di pochi lo respinsero nel sistema sociale delle generazioni trascorse. Sul territorio di una non vasta Repubblica , quand’essa è ben fondata negli Ordini, talché il privato non ne impone al pubblico interesse, nè il vizio impunito usurpa i diritti della virtù], gli uomini, che più facilmente s’incontrano, ipiù facilmente si osservano e si censurano., e possono profittare sommamente^della frequenzaxe della bontà degli ^esempi , che sono i precetti piùjutili della pubblica educazione. Sparta, £Atene, Tebe, e fino la stessa Roma, prima delle guerre Cartaginesi, ve ne offrono^l’ esperienza, e somministrano in tanti uomini grandi, che produssero, una certa speranza di potere, come esse, grandeggiare per eroi e per virtù, più che per popolazione e per ricchezze territoriali. La vostra finora condotta guarantisce, chi vi osserva con sodisfazione, di un migliore avvenire, fondato su Leggi dettate sempre dal bene generale, e non da quei particolari interessi , che creano le fazioni, e minando la prosperità degli Stati, tolgono ogni energia — 157 — ad un Popolo, per renderlo servo della cupidigia e dell’ ambizione dei potenti, che finiscono per lacerarsi a vicenda sullo scheletro di una Patria che hanno consunta. Possano i miei desideri essere coronati dall’esito, e curvo dagli anni riconoscere io nei figli di Lucca, e di coloro particolarmente a cui trasmetto il seguente epitalamio, le qualità civiche e militari di un Epaminonda, l’ardire di un Pelopida , la generosità di un Trasibulo e di un Leonida, e le virtù di un Cammillo. Gradite i miei versi e i miei voti, sempre tendenti all’onore d’Italia; e contandomi fra i vostri amici e di coloro che ne amano la vera grandezza, vivete felice. Quinto dopo gl’ Idi di Maggio. Anno MMDLVI della fondazione di Roma. È Y Epitalamio per le nozze di Lorenzo Sangiantoffetti e Lucrezia Nani, patrizi veneti, riadattato per il matrimonio delle due figlie di Francesco Belluomini di Viareggio, Gonfaloniere della Repubblica democratica di Lucca. Poesie I di | Giovanni Fantoni | cognominato | Labindo I Edizione accresciuta di un III Libro di Odi, | e di altre composizioni. | Tomo primo [Tomo secondo] | Milano MDCCCIX. I Presso Giovanni Silvestri | agli Scalini del Duomo num. 994; in ι6.υ di pp. 124, oltre 3 in principio n. n.; e di pp. 92, oltre 4 in principio n. n. Il tom. I contiene le Odi, spartite in tre libri (pp. i-iit) e VEpitalamio per le nozze di Girolamo Tommasi e Rosa Belluomini, di Giuseppe Lena e Maria Angiola Belluomini, cittadini lucchesi (pp. 112-119); il tomo II contiene: Scherzi (pp. 1-17); Notti (pp. ìS-25); /-dilli (pp. 26-67); Sciolti (pp. 69-89). — Davide Bertolotti nelle sue Notizie intorno alla vita ed alle opere del conte Giovanni Fantoni dice che « nel Giornale, pubblicato dal Rasori in Milano, leggonsi intorno alle sue Odi alcune ingegnose considerazioni , che credonsi opera di Ugo Foscolo ». Si tratta degli Annali di scienze e lettere, che erano compilati non solo da Giovanni Rasori, ma anche da Michele Leoni, e dove di quando in quando prestò la propria collaborazione il Foscolo. Fu appunto l’edizione delle Poesie del Fantoni, fatta dal Silvestri, che gli Annali presero in esame, e che giudicarono « al di sotto di quella di Livorno e di quella pure di Rimini, quantunque 1’una e l’altra assolutamente non belle ». Cfr. Annali di scienze e lettere, voi. Ili [Milano , dalla Tipografia militare e civile di Giovanni Bernasconi, 1810], pp. 134-140. — Il mio amico comm. Domenico Bianchini, che è il più dotto conoscitore di cose foscoliane , mi scriveva : « La recensione delle Poesie di Labindo non Γ ho mai creduta del Foscolo: non v’è accenno veruno ad essa nè nelle lettere di lui, nè negli scritti, nè in altro documento a me noto. E però non saprei dire donde il - 158 - Bertolotti si sia cavata quella notizia; la quale molto probabilmente indusse il Carrer a comprendere queirarticolo nella suà edizione delle opere foscoliane. L’Orlandini, al solito, lo riprodusse senza discussione e senza esame. Oramai quali e quanti sieno stati gli scritti dati da Ugo agli Annali mi sembra sufficientemente accertato, dacché egli li fece tutti rilegare in un volume, che era tra’ suoi libri, venuti poi in possesso della Gentile. Questo libro io vidi nel *70 a Firenze, ma oggi non è tra’ pochi legati dal Martelli alla Marucelliana, e Dio sa dove sarà andato a finire! In una lettera di Michele Leoni, edita da me nel terzo volume de’ Carteggi pubblicati da F. Orlando in Firenze, non se ne parla affatto, mentre vi si ricordano tutti gli altri che il Foscolo stampò negli Annali, e si correggono alcune supposizioni erronee fatte su altri. In nota , ingannato da una lettera dello Scalvini all’ Ugoni, attribuii la recensione che ivi è su' dialoghi delle cortigiane di Luciano ad Ugo , ma oggi da una lettera di Luigi Pellico a Stanislao Marchisio sappiamo di sicuro esser di Silvio. Forse quella recensione sarà del Leoni, come potrebbe essere o del Borsieri, o di Luigi Pellico ». Poesie | di | Giovanni Fantoni | cognomi?iato Labindo | Edizione accresciuta di un terzo Libro di Odi | e di altre coìnposizioni. | Tomo primo. [Tomo secondo] | Firenze )( 1817 | Presso Giuseppe di Giov. Pagani; in ió.° di pp. 124 e 92. Il tom. I contiene le Odi. Libro I [pp.5-36]; Libro II [pp. 37-81]; Libro III [pp. 82-121]; Indice [pp. 122-134]. Il tom. II: Scherzi [pp. 3-21]; Notti [pp. 22-30]; Idilli [pp. 31-72]; Sciolti [pp. 73-90]; Indice [pp. 91-92]. Poesie I di I Giovanni Fantoni | toscano | fra gli Arcadi I Labindo | Pisa | Presso Niccolò Capurro | MDCCCXIX; in 8.° picc. di pp. [4]-191. Contiene le « Poesie inedite di Giovanni Fantoni », come indica un secondo frontespizio. Il Nuovo giornale de’ letterati, tom. I [Pisa, presso Sebastiano Nistri, 1822], pp. 242-245, ne fece una recensione, nella quale, tra le altre cose, è detto: « Quando nel 1785 si pubblicarono solo IV Odi del conte Fantoni, tutto Parnaso , per dir così, gli fece plauso e niuno fu restio nel salutare il toscano poeta come colui che aveva fatto rivivere Orazio in modi italiani. Or ora son già scorsi due anni che son pubblicate queste nuove Odi , e verun giornale ne ha parlato. Le cause di questo silenzio non possono essere che le seguenti: o la nausea del secolo per la poesia, e specialmente per la lirica; o qualche avanzo di malumore municipale; o mancanza in esse di merito assoluto. In quanto alla prima, non può negarsi che — 159 — studi più severi non abbiano distolto gli animi degli italiani dall’ arte dei versi, la quale era forse troppo in onore presso i nostri avi; ma quando i versi son ottimi , noi vediamo tutto giorno applaudirli. In quanto alla seconda causa, non ci piace di parlarne, poiché vediamo che siccome Le follie tutte aver debbono un fine, si va a poco a poco dileguando la nebbia , che circondava i bei colli ove la fortuna ci fé’ nascere ed ove ........in sonanti note La plebe istessa atticizzando addita Come con lingua Γ aere si percote. Rimane la terza; e di questa sieno giudici i lettori ». E qui riporta l’ode al Calsabigi risanato da pericolosa malattia; ode nella quale, a suo giudizio , « la gravità de’ modi è uguale all’ eleganza ed al numero ». Riporta l’ode a Salomone Fiorentino, notevole per i « dolci suoni ». Riporta l’ode al Cesarotti, esclamando: la «leggano quegl’italiani che hanno l’anima ancora aperta alle ispirazioni della Musa, e giudichino del suo merito ». Per il recensore « la più parte delle odi amorose » del Fantoni risplendono di « grazia », di « venustà », di « gentilezza » e « soprattutto » di « rara facilità ». — Nella Biblioteca Universitaria di Pisa si trova un esemplare di questa edizione, con postille e varianti inedite, tratte di su gli autografi da G. Piazzini, amico dell’autore. Se ne valse il Carducci per la sua edizione del 1871. Poesie I di | Giovanni Fantoni | toscano \fra gli Arcadi I Labindo ] Pisa| Presso Niccolò Capurro |MDCCCXIX.; in-8.° picc. di pp. [2] 112. Poesie I di | Giovanni Fantoni | toscano \ fra gli arcadi I Labindo. Prato | presso Luigi Vannini | 1820; in-12.0 di pp. 180. Le Odi occupano le pp. 3-85; gli Scherzi le pp. 87-175; l’Indice le pp. 177-179. L’ultima p. è bianca. Poesie I di | Giovanni Fantoni | Cognominato | Labindo I Edizione accresciuta di un III libro di Odi, | e di altre composizioni. | Milano 1821 | Nella Tipografia di Pietro Agnelli in Santa Margarita; due \^oll. in-16.0 di pp. 126, 96. Poesie I di | Luigi Cerretti | Lodovico Savioli | 0-NOFRIO Minzoni | Giovanni FANTONI | e | Salomone — 16o — Fiorentino | Milano | per Nicolò Bettoni | M.DCCC.XVIT; in-12.® di pp. 252, oltre l'antiporta e il frontispizio. È uno de’ volumi della classe italiana della Biblioteca portatile Ialina, italiana e francese. Le Poesie di Giovanni Fantoni toscano fra gli arcadi Labindo stanno a pp. 142-218. Poesie I del conte | Giovanni Fantoni \ fra gli Arcadi | Labindo. [ Milano [ Per Giovanni Silvestri [ M.DCCC.XXIII.; in-8.° picc. di pp. X, [2], 378, col ritratto dell’autore, disegnato dal De Marchi e inciso da L. Rados. Forma il voi. 126 della Biblioteca scelta di opere italiane antiche e moderne. Nella presente ristampa son rifuse le due edizioni pisane di cose edite e di cose inedite. « Due sole copie » ne furono tirate « in carta turchina di Parma ». Son precedute dalle Notizie intorno alla vita ed alle opere del conte Giovanni Fantoni stese da Davide Bertolotti. Poesie I di | Giovanni Fantoni j fra gli arcadi | Labindo. I Tomo I. [Tomo II. Tomo III.] | — | Italia | 1823 ; in-8.° di pp. IV-354, oltre 1’ errata corrige; 316, oltre il frontespizio e Γ errata corrige ; 326, oltre il frontespizio e Verrata corrige. L’editore, che è il nepote Agostino Fantoni, dichiara : « Si sono stampati, solo perchè resi altra volta di pubblica ragione, alcuni componimenti che, se non tolgono, non accrescono fama al Poeta; ma fra gli inediti, rintracciati negli stessi autografi, quelli solamente che sembrarono meritevoli di passare alla posterità. Dai molti frammenti si prescelsero alcuni che il Pubblico vedrà non senza desiderio di ciò che manca, e fra le Prose le letterarie soltanto. — Il tomo I contiene le Odi, spartite in tre libri [pp. 1-254] ; le Osservazio?ii [di Agostino Fantoni] sui metri oraziani delle Odi di Labindo [pp. 255-295] ; e le sue annotazioni alle Odi [pp. 297-354]. — Il tomo II gli Idilj [pp. 1-50]; le Egloghe Virgilia?ie [pp. 51-57]; le Notti [pp. 69-84]; i Poemetti [pp. 85-136]; gli Scherzi [pp. 137-296]; e le annotazioni dell’editore [pp. 297-316]. — Il tomo III gli Epitalami [pp. 1-16] ; i So?ietti [pp. 17-28]; le Odi anacreontiche [pp. 29-46]; le Odi varie [pp. 47-59]; Il sacrifizio, idilio [pp. 60-62] ; 1’ elegia latina In obitu Lycophontis [pp. 63-64]; diversi « piani ed abbozzi di poetici componimenti immaginati dall’Autore » [pp. 65-74]; i « frammenti del poema georgico Le piante e la carestia, incominciato nel 1788 » [pp. 75-90]; le armo-tazioni dell’editore alle poesie [pp. 91-104] ; le Prose letterarie , cioè Piani e frammenti delle Lezioni di eloquenza , il Discorso, detto al-l’Accademia Eugeniana di belle arti di Carrara, per la dislribuzio?ie dei premj de! dì 10 novembre 1805, V Elogio funebre di Antonio An- — 161 — selmi di Carrara, il Discorso del dì 8 maggio 1S07 in risposta al discorso del sig. Prefetto (di Massa) Niccola Giorgini per Γ Accademia di Belle Arti di Carrara ; Il Voi, il Lei, il Tu , lettere a Lesbia ; e l’Elogio fujiebre dell· Imperatrice Maria Teresa [pp. 105-221]. Il tomo si chiude con le Memorie storiche sulla vita di Giovanni Fantoni co-g7iomi?iato Labindo, scritte dal nepote [pp. 223-316] ; e con 1 Indice geìierale di tutta l’opera [pp. 3l7'325]· H Carducci la giudica « 1 edizione più ricca e intiera delle poesie e prose » del Fantoni, e soggiunge: « Tanto era fresca allora la fama di Labindo e tanta la aspettazione delle cose men conosciute e inedite, a cui crescea prestigio il fervor repubblicano del poeta nei tempi della Cisalpina , che quella edizione fu riprodotta V anno stesso a Lugano in minor formato e l’anno di poi in Livorno, e i giornali letterari d'allora, compilati con più diligenza e dottrina che oggi non credasi, tutti ne diedero recensioni ancora notevoli ». Gli autori di queste recensioni dal Carducci son divisi in due gruppi: il gruppo che « raccoglieva e rispecchiava il concetto e il sentimento che ebbe del Fantoni quella generazione, specialmente toscana, che gli fu compagna nella vita, o gli venne subito appresso »; e il gruppo rappresentante « le opinioni del giorno, che classiche o romantiche eran contro a quella letteratura di transazione ancora arcadica, della quale su la fine del secolo XVIII il Fan-toni era stato un de’ più singolari artefici ». Nota poi acutamente che in questo secondo gruppo « un po’ di preoccupazione lombarda » 11011 mancava; e che neppure il primo non era libero « da assai preoccupazione toscana ». Cfr. Carducci G. A proposito di una recente edi-ziona delle Odi di Labi?ido; nella Nuova Antologia, ann. XXIII, serie III, vol. XIII, pp. 53-59· Interessa vivamente la storia della varia fortuna della fama di Labindo l’esaminare quello che fu scritto da’ critici alla comparsa delle sue opere complete. Il nome di lui era stato stoltamente tirato in ballo fin dal 1820 in quelle deplorevoli bizze che per cagione della controversia della lingua si erano accese tra le varie regioni d Italia e che formano e restano una pagina vergognosa della nostra storia letteraria. Giuseppe Acerbi, che dirigeva la Biblioteca italiana, di Milano, nata e fiorente sotto gli auspicii dell’ Austria, un bel giorno saltò su a dire: « Già da qualche tempo i migliori poeti, i migliori prosatori italiani non sono di Toscana. Il popolo di Toscana è quello che in Italia parla meglio, i letterati quelli che scrivono peggio ». Apriti cielo e terra ! Da Empoli, « martedì ultimo del carnevale del 1820 », ecco che esce fuori una lettera Al Sig. Direttote della Biblioteca italiana, firmata Un toscano, dove tra Γaltre cose , si dice: « Se n’eccettuiamo il Monti e il Pindemonte (i quali e per le loro opere e per la loro età appartengono al secolo XVIII ed ai quali avremmo da opporre il Fantoni, sì elegante, sì armonioso e morto sì giovane) credete voi d’ avere in Lombardia a dozzine e dozzine poeti tanto lontani in altezza di mente daU’Anguillesi , dal Bagnoli e dal - IÓ 2 - Niccolini e fra i giovani dal Benedetti? » L’ Acerbi gli rispose: « E così alla buona voi fate questi due illustri poeti [Monti e Pindemonte] appartenere al secolo passato , mentre vivono tuttora e mentre il secolo in cui siamo ha già percorsi quattro lustri? E tutta questa stiracchiatura per contrapporre a questi due viventi il vostro Fantoni , il quale, per giunta, non è toscano, ma di Massa Carrara ». Cfr. Biblioteca italiana, ann. V [1820], tom. XVIII, pp. 129-130. L’anonimo, che si firmava Un toscano, era l’ab. Giuseppe Salvagnoli Marchetti, che poi doveva acquistare non invidiabile celebrità per le tante scempiaggini scritte contro il Manzoni. De’ primi a parlare della nuova edizione delle opere di Labindo fu il Nuovo giornale de* letterati, di Pisa, tom. V [[823], pp. 229-23S. Notava: « contiene il primo volume 100 odi, divise in quattro libri, una sola delle quali è inedita », quella al marchese Gaetano Capponi di Firenze, che incomincia: Germe di quel magnanimo, ec. « Tutte le altre odi sono già note da varii anni, pubblicate da mss. che giravano per l’Italia ; tanto era stato nei cultori della poesia il desiderio di procurarsele ». Afferma « che se le Odi del conte Fantoni non vanno esenti da quei difetti che propri sono dell’umanità; se non tutte appaiono dello stesso merito, e se anche sovente 1’ imitazione di Fiacco si fa in quelle conoscere con troppa evidenza; esse contendono col solo Parini del primato della lirica oraziana in Italia. Ornato di pregi diversi da quelli del Fantoni, e non privo esso pure dei difetti, che dipendevano la più parte dal silo carattere impetuoso e iracondo; se avesse sortito dalla natura maggior facilità e vena più feconda , se ne’ suoi versi dir si potesse L’ arte che tutto fa, nulla si scopre, il Parini potrebbe contendere con Orazio medesimo, ma poiché nelle sue Odi s’ incontrano : I paventati d’ Ercole pilastri, Scoperse novelli astri, e vari altri modi presso chè simili, non credo che ne verrà dato carico di lesa venerazione se ripeterassi che il Fantoni contende con lui il primato per l’ode oraziana. È vero , che generalmente parlando, poco egli si discosta dai modi latini, che felicissimamente sparse nelle sue odi, e che coi modi troppo sovente si riconoscono le sentenze medesime di Orazio; ma è giusto il considerare che avendo egli preso a trattare per lo più soggetti morali, siccome i fondamenti della morale sono sempre gli stessi, egli non poteva che abbellirli, come ha fatto, delle frasi più belle incontrate nel Venosino..... Del resto, senza istituire un paragone tra il Parini e il Fantoni , se tutti ammireranno nel Parini maggior forza ed originalità, non contesteranno al Fantoni grazia e facilità maggiore, non che maggior padronanza dei modi oraziani ». Trova poi il ritratto che adorna l’opera « somigliante a sufficienza ». NelX1 Antologia, di Firenze, tom. XV, n.° XXXIV, agosto 1824, pp. 1-43, ne discorse Giuseppe Montani di Cremona. È un dialogo tra lui ed un immaginario ammiratore di Labindo: « un giovane — 163 — uomo che l'avea molto conosciuto e si gloriava d’ averne avuti conforti a coltivare le sacre Muse ». L’ammiratore così lo dipinge: « pic-ciola persona, ma robusta; agili membra; moti vivaci ; pronte parole; sguardo scintillante: eccovi Labindo, eccovi l’Orazio nostro ». Il Montani però « di oraziano » non trova « nel ritratto che la picciolezza del corpo ». 11 giovane invece sostiene che « 1’ anima d’ Orazio era pur tutta in Labindo »; cosa, del resto, riconosciuta dall'Alfieri, che lo chiamò « etrusco Orazio » , di « ricca vena instancabile », intessente « emuli carmi » al Venosino. « Il giudizio di tal conoscitore », esclama il giovane, « è inappellabile. Esso fu accolto unanimente da’ contemporanei e già sembra consecrato dalla posterità ». Qui s’accende la disputa; uno loda e difende, l’altro accusa: l’accusatore però si piglia la parte del leone e nell’ assalto è più vigoroso. Nella stessa Antologìa, tom. XVII, n.° XLIX, gennaio 1825, pp. 64-101 si levò a-nimoso a vendicarne la fama 1’ avvocato Giovanni Castinelli di Pisa, figlio d’un vecchio patriotta ch’era stato amico di Labindo. « Anch io lo conobbi e l’amai », scrive il Castinelli. « Erano cessate le lezioni fatte da lui con tanto plauso nella Università di Pisa, ma non pertanto seguitava a frequentare quella città, ove concorre tanta gioventù studiosa, ed era l’amico e il maestro di quanti coltivavano con amore le lettere e le scienze. Fra questi io vidi e quel Francesco Benedetti, rapito poi da immatura tragica morte alle Muse, e quel nostro Petrini, pien di filosofia la lingua e il petto, che cadde egli pure innanzi tempo, pianto da tutti i buoni. Ed io fui sovente ammesso a quei soavi non meno che utili colloqui, allorché reduce dal Collegio di Soreze e balbettante appena il patrio idioma , tornava ad apprenderne gli schietti e delicati modi dal facondo labbro di Labindo ed imprimeva nella mia mente ancor tenera i versi bellissimi della Decuria ». Un altro toscano , che si firma P., e ignoro chi sia, prese pure a difenderlo dalle censure del Montani nel Nuovo giornale de’ letterati, di Pisa. Egli « reputa non al tutto perduta opera 1’ assumere un esame di quell’ articolo , e prima notare i giudizi che ne parvero o troppo rigorosi od ingiusti ; poi venire alle lodi che il censore comparte al poeta e sceverate dal biasimo, metterle insieme, per vedere se a rettamente giudicare si possa ben dire che quell’ articolo venga a togliere al nostro autore la ben che menoma parte della sua fama. Ciò mostrerà, se non altro, che manca tuttora un critico esame delle o-pere di Labindo, che assegni al poeta il posto che merita fra i lirici dell’Italia ». All’ impresa di mettere in sodo « qual è il posto che al Fantoni debbe assegnarsi nella schiera universale de’ lirici », e « qual è il posto che gli debb’essere conceduto fra i lirici italiani » si accinse Francesco Ambrosoli di Como nella Biblioteca italiana, tom. XXXVIII [1825], pp. 23-36 e 331-352. Con rabbia feroce si avventa contro il Fantoni. A suo giudizio, « ben lungi dall’essere un gran lirico, degno che i posteri lo dicano uguale ad Orazio, fu minore a non pochi italiani, sì nella poetica facoltà, e sì nei pregi dello stile e del verso ». — 164 — Non contento d’ averlo annientato come poeta , lo caccia nel fango come uomo e come patriotta. Scrive : « più volte amò di gareggiare e di vincere gli antichi in quelle parti nelle quali il pudore appena ci consente di leggerli; e fece maestra di seduzione e di lubrici amori la Musa. Avess’egli almeno recate in questi componimenti quelle poetiche inspirazioni, quelle bellezze di stile, per le quali sono famosi ed in pregio anche fra noi gli erotici antichi ! Ma i suoi versi son poveri d’ornamenti non meno che di vergogna ». In que’ versi, del resto giovanili e rifiutati dall’ autore , non c’ è tutta quella sozzura che ci vede la pudibonda fantasia deH’Ambrosoli, il quale ha annerito le tinte, travisando addirittura la verità. Tiriamo avanti. Torna a scrivere : « L’Italia..... non porrà in cima a’ suoi pochi lirici nazionali il Fan- toni, vissuto in liberissima età, ma sibbene alcuni altri che s’incontrarono nei secoli pieni di mollezza, di superstizioni, di pericoli. E i posteri e gli stranieri diranno per avventura che a quegli antichi mancarono i tempi, a questo moderno mancò l’ingegno; nè si tarderà forse gran tempo a revocare in dubbio se il Labindo amasse veracemente la patria e se le sue odi patriottiche siano veramente quelle che più di tutto traessero nascimento dal cuore ». Nel 1825 le odi patriottiche di Labindo, lettura prediletta de’ giovani, per l’Austria erano un pericolo e una minaccia , e l’Ambrosoli le fa bersaglio a’ suoi strali ; viene il 1863, e l’Ambrosoli, tirando fuori la penna irrugginita , nel suo Marmale della letteratura italiana, compilato per la gioventù della patria risorta , stampa : « L’ applauso ch’egli » [il Fantoni] « ottenne come poeta lirico fu universale e meritato! ». Paolo Costa che ne ragionò nel Giornale Arcadico fu meno severo. Riconosce che mentre il Fan-toni compose « molte odi a solo diletto », « moltissime » pur ne compose a « nobili fini; e di ciò Italia tutta deve essergli gratissima ». Paragona l’ode XI del libro III d’Orazio con l’ode XIV del libro I di Labindo e trova questa « per immenso intervallo al di sotto dell’ode latina ». « Molte altre odi » del Fivizzanese gli paiono « essere ben composte in quanto la forma ed avere pregi di stile, ma non senza gravi difetti ». A suo giudizio, « non merita di essere l’Orazio toscano, come lo dissero i prodighi suoi ammiratori ». Conclude: « Ma da che avviene che le poesie di costui sono lette per tutta Italia, e da molti tenute a memoria: mentre tante altre, composte de’ modi eletti nel Petrarca ed in Dante, ed ornate con tutto Poro del trecento, vengono obbliate appena uscite alla luce? Perchè le parolette, i versetti soavi, torniti, forbiti, delizie de’ pedanti, sono vano fiato che va per le orecchie e non giunge nel vivo dell’ animo ; e gli alti concetti, comecché rozzamente espressi , illuminano alcun poco la mente e sono perciò letti da molti. Ma dura poi lungamente la vita loro? Mai no: viene per essi assai presto quell’ora che Il vecchio scote Il lembo pieno e nella torbida onda Tutta lascia cader le impresse note. — i65 — Cfr. Giornale Arcadico; tom. XX VELI [otto.bre-decembre 1825], pp. 380-399- A Parigi la Revue encyclopédique, tom. ΧΧΙλ [ottobre 1824], pp. 72.6-728 , ne fece questa rassegna : « Fantoni est le premier des Italiens qui ait imité Horace avec bonheur. Il introduisit de nouvelles formes, des pensées et des images moins communes sur un Parnasse qu’inondait depuis si long-temps un déluge de chansons, de sonnets , de madrigaux et d’autres futilités pareilles. Il profita du lyrique latin, ainsi que Chiabrera l’avait fait auparavant de Pindare ; et^tousjes deux, bien qu’imitateurs, donnèrent une impulsion nouvelle^ la poésie italienne. Ils n’ont su toutefois, ni l’un, ni l’autre, éviterJ:oujoursJes abus d’une imitation trop outrée ; mais on ne peut leur refuser le mérite d’avoir détourné leurs contemporains d’un genre d imitation bien plus stérile et plus monotone. Nous ne prétendons pas pour cela justifier Fantoni, lorsqu’il se borne à traduire plutôt qu’à imiter son modèle, et surtout lorsqu’il imite ce qu’il aurait mieux fait de négliger; comme, par exemple, lorsqu’il s’efforce de naturaliser ces rythmes latins qu’on rencontre dans les odes d’Horace, et dont l’harmonie est tout-à-fait perdue pour nous. le sais bien que certains mètres semblent en conserver quelques restes; mais l’harmonie même que, nous trouvons dans les vers latins, tels que le saphiques, les hendecasyllabes et quelques autres, n’est pas celle que leur donnaient les anciens Romains, elle résulte pour nous de la manière dont les prononcent aujour d hui les Italiens. Quoi qu’il en soit, il n’est pas moins vrai que nous ayons été conduits ainsi à introduire sur le Parnasse moderne quelques nouveaux rythmes, plus ou moins agréables, qui ont enrichi notre versification. Mais ce serait une entreprise presque ridicule de vouloir imiter tous le mètres lyriques d’Horace, même ceux qui n’ont aucun charme pour des oreilles qui les entendent sans prévention. Heureusement, si Fantoni a fait quelquefois de tels efforts, il a souvent tiré parti de ce genre d’imitation. On a signalé quelques inexactitudes dans ses poésies; mais qui pourrait les éviter toutes , spécialement^ lorsqu’on est transporté par ce genre de vers, qu’exige la poésie lyrique ? Au reste, ce qui nous fait apprécier Fantoni , ce sont les qualités particulières qui l’ont distingué dans la foule de ses contemporains; c est la beauté de beaucoup de ses images, c’ est les coloris qu’il emploie pour les retracer; c’est surtout l’importance des vérités et l’excellence des vertus qu’il a célébrées. Je ne parle pas de quelques traits de cette doctrine épicurienne, qu’Horace avait quelque tems professée, et que Labindo s’est plu parfois à imiter , plutôt par bizarrerie que par système; car toute sa vie et ses maximes ont prouvé qu’il n’était rien moins qu’épicurien. Il nous dédommage largement de ces légères fautes par les fréquentes maximes que lui suggérait un esprit vraiment patriotique, et qui nous le font regarder et chérir comme le poète de son siècle et de sa nation. Il ne chanta jamais pour le bon plaisir des grands; ses vers ne furent ordinairement consacrés qu’aux véritables héros , aux amis du peuple , aux fondateurs des institutions — 166 — bienfaisantes. Il célébra les Franklin, les Washington , dont il suivait les principes et l’exemple. Les vicissitudes et les aberrations politiques qui se succédèrent, depuis cette époque mémorable, ne le firent jamais dévier dans sa carrière; ni les vices imposans de ses contemporains ne lui firent non plus oublier ses vertus : il vécut et mourut pauvre, au milieu des circonstances dont tout autre que lui aurait profité pour s’enrichir. Ainsi , lorsqu’il fut contraint de reprendre sa paisible retraite, il ne se proponait que de cultiver les muses, et d’employer ses talents et ses études à l’avantage de ses compatriotes. Il avait reconnu que c’était le défaut d’instruction qui avait fait triompher l’erreur de la vérité, et c’est par l’instruction plus généralement répandue qu’il espérait que les vertus triompheraient à leur tour des vices. \^oilâ l’esprit et le caractère dominant de Fantoni, et c’est le premier mérite qu’il faut apprécier dans ce poète, d’autant plus qu’il est assez rare chez les Italiens, et qu’il est bien digne d’être imité ». Nell’annunzio che ne fece la Gazzetta di Genova , n.° 50, 21 giugno 1823, si legge: « Il prezzo dell’intera opera, compreso il ritratto (1), ma non il porto, resta invariabilmente fissato in lire 20 fiorentine, pari ad italiane lire 16,80. Trovasi vendibile in Firenze presso il sig. Attilio Tofani. Le associazioni si ricevono in Firenze dal sig. Agostino Bartoli ». Opere | di | Giovanni Fantoni | fra gli Arcadi | Labindo. I Lugano | 1823-1824; tre volumi in ió.° di pp. 370, 280 e 324, col ritratto del Fantoni. L’editore dichiara nella « prefazione »: « È questa l’edizione seconda delle Opere complete del Fiacco Toscano...... Nell’edizione, che a noi ha servito di scorta » (quella del nepote), « le memorie istoriche del valente Poeta erano poste alla fine dell’ ultimo volume. Noi abbiamo creduto più regolare di cominciare da queste 1’ edizione che pubblichiamo; come venne altresì da noi preferito di mettere le note sotto la pagina a cui ciascuna di esse è relativa , anziché ammassarle tutte in fine di ciascun volume ». Poesie I scelte | di | Giovanni Fantoni | fra gli arcadi | Labmdo | ad uso delle scuole | Firenze 1827. | Presso Francesco Alessandri | del q. Michele | Libraio in Condotta; in 16.0 di pp. 270-VI. La « Prefazione | dell’ editore » occupa le pp. 3-14. Segue un « Breve cenno | sulla vita | di Giovanni Fantoni | fra i pastori arcadi | (1) Il ritratto, disegnato da Francesco Tenderini di Fivizzano, fu inciso dal celebre Raffaello Morghen. — 167 — Labindo », pp. 15-20; e le « Osservazioni | su’ metri delle Odi di Labindo », pp. 21-41. Il primo libro delle Odi abbraccia le pp. 43-89; il secondo le pp. 91-139; ed il terzo le pp. 141-206; i « Componimenti diversi » le pp. 207-264; 1’ « indice » le pp. 265-270. Il volume si chiude con « due odi di autori diversi e di diverso argomento, fatte ad imitazione di quel sommo Lirico » {Labindo), « nelle quali vedranno potersi calcare con onore le tracce già segnate dal Fantoni in questo genere di poesia ». Una ha per titolo : « A Ferdinando III Granduca di Toscana restituito all’amore de’ suoi sudditi », pp. II-IV; l’altra: «All’avvocato Giuseppe Faleni», pp. V-VI. Poesie scelte ) di | Fulvio Testi, Paolo Rolli | Santo Feroni, Clemente Bondi | Torquato Tasso, De’ Giorgi Bertola I Innocenzo Frugoni , Labindo | Gio. Battista Zappi | Giuseppe Paolucci | Gio. Mario Cre-scimbeni j Edizione stereotipa | Volume III | Cremona | Dalla Stamperia e Fonderia stereotipa | di Luigi De-Mi-cheli e Bernardo Bellini | 1828; in 16.0 di pp. 188. Forma il volume III della Biblioteca classica italiana ossia opere scelte de’ classici. Edizione stereotipa. Metodo premiato dall'I. R. I-stillilo Italiano di scienze, lettere ed arti in Milano. Le Poesie di La-bindo si leggono a pp. 103-136. Al lirico francese Lebrun | ode | Il Fanatismo ; in Antologia I Repubblicana, Bologna | Marzo 1831, pp. 33-85. E questa la ristampa, con titolo mutato e aggiunte , del Parnaso democratico ossia Raccolta di poesie repubblicane dei più celebri autori viveìiti, che vide la luce , al tempo della Repubblica Cisalpina, per cura di G. Bernasconi , con la data parimente di Bologna. Cfr. D’Ancona A. Studi di critica e storia letteraria, Bologna, Zanichelli, 1880, p. 95. Il Parnaso non mi è stato possibile trovarlo; come non mi è stato mai possibile di trovare la Raccolta di poesie repubblicane de’ più celebri autori viventi, pubblicata a Parigi da Ν. Storno Bolognini l’anno Vili [1800]. Poesie I scelte | del conte | Giovanni Fantoni | fra gli arcadi J Labmdo | di Fivizzano. | Torino | per Giacinto Marietti I stampatore-librajo | 1831; in 16.0 di pp. 186. Forma il voi. 12 degli Scrittori italiani d’ogni genere, scelti ad uso massime della gioventù. La scelta venne fatta « sotto la direzione del celebre Giuseppe Grassi », che animò il Marietti in questa sua impresa. — ι68 — [XXX odi di Giovanni Fantoni]; in Raccolta | di | poesie liriche | scritte \ nelf secolo XV1IL | Milano | dalla Società tipog. de’ Classici italiani | MDCCCXXXII, pp. 384-407. Prose I e | poesie scelte | di | Giuseppe Parini — Agostino Paradisi | Luigi Cerretti — Teodoro Villa | Giovanni Fantoni — Luigi Lamberti | Ugo Foscolo | Milano \ Per Nicolò Bettoni e comp. | M.DCCC.XXXIII ; in 8.° gr. di pp. XXXII-664. Forma il voi. XVIII della Biblioteca enciclopedica italiana. L’editore Achille Mauri , a pp. XX-XXII della prefazione, dà un giudizio sul Fantoni, uomo e poeta. Tiene per guida nel riprodurre le poesie e le prose l’edizione fatta a Firenze dal nepote nel 1823 ; non ristampando però que’ versi « che mal possono provvedere alla fama del loro autore ». Le Poesie scelte si leggono a pp. 327-412 ; le Prose scelte occupano le pp. 413-436. Sono : « Disegno e frammenti delle Lezioni di eloquenza, recitate dal Fantoni in Pisa l’anno MDCCCII », pp. 413-425; « Discorso del Segretario perpetuo dell’Accademia Euge-niana di Belle Arti di Carrara per la distribuzione dei premi del dì 10 novembre 1805 », pp. 425-427; « Elogio funebre di Antonio Anseimi di Carrara, recitato nei di lui funerali accademici in Carrara il dì 26 aprile 1806 dal Segretario perpetuo delPAccademia », pp. 427-428 ; « Discorso del dì S maggio 1807 in risposta al discorso del sig.. Prefetto Niccola Giorgini per l’Accademia di Belle Arti di Carrara », pp. 428-429; « Il Lei, il Voi, il Tu, lettere a Lesbia », pp. 429-432; « Elogio funebre delPImperatrice Maria Teresa d’Austria, Regina d’Ungheria, ecc. », pp. 432-436. [Tre lettere] ; in Lettere | di | vari illustri italiani | del secolo XVIII e XIX | a loro amici, | e de massimi scienziati e letterati | nazionali e stranieri | al celebre abate | Lazzaro Spallanzani | e molte sue risposte ai medesimi | ora per la prima volta pubblicate. | Reggio | coi tipi Torreggiai e compagno | 1841; tom. I, pp. 244-255. Sono indirizzate a Nicola Severi, a Pisa, e scritte da Massa Γ 11 ottobre 1806 e il 30 maggio e 7 giugno 1807. [Lettere]; in Poesie postume | di | Diodata Saluzzo | contessa Roero di Revello | aggiunte alcune lettere | d'illustri scrittori | a lei dirette | Torino | tipografia Chirio e Mina | MDCCCXLIII, pp. 523-525. — τ 6g — La prima è dell’8 ottobre 1806; la seconda, senza data, ma del maggio dell’anno stesso. [XII odi]; in Florilegio | dei | lirici più insigni | d'Italia | preceduto da un discorso | di | Paolo Emiliani-Giudici | Voi. unico I Parte II | Firenze | Poligrafia italiana | [Tipografia Galileiana] | 1847; PP· 749_772· Le pp. 749-751 contengono un breve cenno biografico del Fantoni. Così è giudicato: « Fu......pedissequo imitatore d’Orazio. Per lui l’arte nè s’innovò nè progredì. Ma le sue liriche sono più utili a leggersi che i vuoti canti degli arcadi e molte raccolte d’inni sacri, avvegnaché sieno quasi sempre inspirate da generosi pensieri ». L’Emiliani Giudici torna a parlar del Fantoni nella sua Storia della letteratura italiana:, Firenze, Le Monnier, 1863 ; II, 472-473. [Due Odi di Labindo]; in Parnaso italiano. | Poeti italiani dell'età media | ossia | scelta e saggi di Poesie | dai tempi del Boccaccio al cadere del secolo XVIII | per cura | di Terenzio Mamiani | aggiuntavi \ una sua prefazione | Parigi I Baudry, Libreria Europea j [Dalla stamperia di Crapelet], 1848, pp. 601-602. Sono le odi : Sullo Stato dell’Europa del 1792, e A Sebastiano Biasini da Lerice. Il Vaticinio. [XIII odi di Giovanni Fantoni]; in Parnaso | italiano | volume duodecimo | Lirici. | Nel privilegiato Stabilimento nazionale | di G. Antonelli ed. | MDCCCLI, colonne 2734-2746. Sono le odi Al merito , A Melchiorre Cesarotti, Ad Apollo , Ad Antonio Cerati, A Vincenzo Corazza, Per Γ ammiraglio Rodney, Ad alcuni critici, Al servo, A Fille sicilta?ia> Al matematico Pio Fantoni, A Giovacchino Pizzi, A Clemente Bondi, e A Salomone Fiorentino. Le precede una brevissima biografia di Labindo. Dell*ode di Giovanni Fantoni i?ititolata: Il Fanatismo, a Vittorio Alfieri, e scritta nel 1794. [annotata da Giosuè Carducci] ; in Carducci G. Antologia latina e saggio di studi sopra la lingua e letteratura latina; in Appendice alle Letture di Famiglia, vol. II [Firenze, tip. Galileiana, 1855], PP· 537-538· Giorn. St. e Leti, della Liguria. 12 [Lettera] ; in La Viola del Pensiero, ricordo di letteratura. Nuova serie. MDCCCLVIII. Livorno, presso Francesco Vigo, [1862], pp. 269-272. È scritta da Fivizzano il 19 giugno 1784 e non ha indirizzo , nè l’editore, F. D. Falcucci, sa dove dare la testa per venirne in chiaro. Che sia diretta al cav. Francesco Sproni di Livorno , si ricava però dalla lettera stessa. Odi [di Giovanni Fantoni]; in Manuale | della | letteratura italiana | compilato | da Francesco Ambrosoli. | Seconda edizione | ricorretta e accreschita dali autore | Firenze, G. Barbèra, editore | 1864, voi. 131, pp. 384-390. Sono quattro : Ai merito , A Giorgio Viani , Ad alcuni critici, e All'Italia del 1791. L’editore l’ha corredate di note. Lirici I del secolo XVIII | a cura | di G. Carducci | — | Savioli , A. Paradisi, | Cerretti , Rezzonico , Cas-soli , Mazza, | Fantoni , Lamberti , G. Paradisi. | Firenze, I G. Barbèra, editore. | 1871; in-48.0 di pp. CXL-560. Forma parte della Biblioteca Diamante. Del Fantoni stampa cinquanta Odi [pp. 381-487], che spartisce in due libri e correda di note [pp. 547-550]. La scelta « è stata fatta su queste edizioni: Odi, Firenze, Landi, 1784, 16.0 — Poesie varie e prose, 1785, 16.0 — Poesie varie, Livorno, Marsoner, 1797, 16.0 — Poesie inedite, Pisa, Capurro, 1819, 16.0 — Poesie, Italia, 1823, 3 t., in-8.° ». Parla di questo volumetto, che stava preparando, nella sua lettera al Barbèra del 22 gennaio 1871. Cfr. Barbèra G. Memorie di ufi editore , Firenze , 1883, P· 578. [XLV odi di Labindo]; in Lirici | del | secolo XVIII | con cenni biografici j Volume unico. | Edizione stereotipa. | Milano | Odoardo Sonzogno, editore [coi tipi dello Stabilimento di O. Sonzogno], 1877, PP· 280-320. Ne fu fatta una riproduzione nel 1883. [Lettere] ; in Sette lettere a Salomone Fiorentino e due sonetti estratti dalle carte di lui, Pisa, tip. T. Nistri e C., MDCCCLXXIX, pp. 12-15. Sono due lettere « All’amico Salomone Fiorentino », scritte, la prima da « Massa di Carrara, 9 ottobre 1806 », [pp. 12-13]; la seconda, da « Pisa 17 novembre 1806 », [pp. 14-15]. — I 7 I — Poesie scelte \ di | Giovanni Fantoni | per cura di | Benedetto Neri | Torino, 1883 | Tipografia e Libreria Salesiana; in 16.0 di pp. 200. Forma parte della Biblioteca della gioventù italiana. Il Neri vi ha premesso : Della vita e delle poesie di Giovanni Fantoni [pp. 5~3TL dove niente di nuovo aggiunge al già noto, ma riconosce la « ricca copia d’ingegno » e la « squisitezza di gusto » del Poeta, così bistrattato da « tanti critici moderni ». Dà le Odi, in tre libri, tenendo 1 ordine cronologico col quale furono composte (pp· 33-I75)· Col titolo di Poesie varie (pp. i77_I9^) vi unisce tre idillii, un egloga sacra, due notti e un’ode anacreontica. Mette « a piè di pagina delle noterelle », quasi sempre ben fatte· [Lettera]; in Cantù C. La Repubblica e il Regno d’Italia e la Toscana ; in Archivio storico italiano, serie IV, tom. XIII [1884], pp. 210-216; e in Cantù C. Corrispondenze di diplomatici della Repubblica e del Regno d Italia, compilazione archivistica, Milano, tip. e libreria editrice Giacomo Agnelli, 1884, pp. 5I5“51^· È scritta da Pisa il 16 decembre 1800 e indirizzata a Giulio Cesare Tassoni. Al Conte Vittorio Alfieri ode XXI del L. IV; in II Mi-sogallo I le satire e gli epigrammi | editi e inediti | di | Vittorio Alfieri | per cura | di | Rodolfo Renier | in Firenze I G. C. Sansoni, | editore, 1884; pp. XL-XLII. È riprodotta « dall’ autografo anonimo », che si conserva nella Lau-renziana di Firenze. [Lettere al barone Luigi d’Isengard della Spezia] ; in La traduzione dell'Eneide di Clemente Bondi giudicata da Giovanni Fantoni (da lettere inedite), nota di G. B. Intra.; in R. Istituto Lombardo di scienze e lettere. Rendiconti; serie II, vol. XIX [1886], pp. 133-134 t pp. i35eI38 e 139-140. Sono tre e furono scritte da Fivizzano il 12 giugno, il 18 luglio e il 27 settembre 1790. Lettere inedite di Giovanni Fantoni tra gli arcadi La- — 17 2 - biìido; nel Giornale storico della letteratura italiana, ann. IV, [1886], voi. VII, pp. 201-217. Edite e annotate da me. Quattro sono scritte da Massa il iS maggio, il 30 agosto, il 10 settembre e il iS ottobre 1S06 e indirizzate al marchese Cesare Lucchesini ; una è scritta da Pisa il 13 maggio 1807 e diretta alla poetessa Teresa Bandettini, la celebre Amarilli Etrusca; due sono scritte da Parma il 22 agosto e da Massa il 15 ottobre 1807 e indirizzate a Niccolao Giorgini Prefetto di Massa. In una delle note (lo ricordo con la compiacenza più viva) scrivevo: «Il carteggio del poeta fivizzanese , che gli eredi conservano con religione d’affetto , offre materiale nuovo, importante e curioso al biografo ; e lo dovrebbe consultare Giosuè Carducci, che della vita e delle poesie di Labindo fino al 1790 trattò da pari suo, nella Prefazione ai Lirici del sec. XVIII, con promessa di ritornare a parlare di esso dopo il 1790 , in cui la sua poesia rialzò il tono e una vita nuova cominciò per lui ». Accolse di gran cuore P invito , e il 2 settembre del 1SS7 si recò a Fivizzano, dove si trattenne alcuni giorni, ospite della contessa Clementina Fantoni; della quale, in una lettera a me, introduttore suo presso di lei , fa ricordo con memore gratitudine. Entusiasta d’ ogni bellezza, gli piacque la piccola e ridente città, e ne ammirò col suo occhio di poeta e d’ artista i pittoreschi dintorni, così prediletti dalla natura. Le I odi I Giovanni Fantoni | (Labindo) | Con prefazione e ?iote I di | Angelo Solerti j Torino | Casa Editrice Carlo Triverio | Via Po, N. 21. [Stabilimento tipografico Vincenzo Bona], 1887 ; in 8.° di pp. XCVIII-328, oltre 6 in principio n. n., col ritratto dell’A. cavato daH’incisione che, sul disegno di Francesco Tenderini di Fivizzano, fece Raffaello Morghen. Forma il vol. II e ultimo della Biblioteca di autori italiani. Lavoro fatto in fretta e senza preparazione, trovò severo il giudizio de' critici. Ne parlarono Ruggero Bonghi [La Cultura, rivista di scie?izey lettere ed arti, ann. VI, vol. Vili, pp. 134-137]; Giosuè: Carducci [Nuova Antologia, ann. XXIII, serie III, vol. XIII, pp. 53-59]; Guido Mazzoni [Rivista critica della letteratura italia?ia, ann. IV, n.° 3, pp. 66-67] ; e Rodolfo Renier [Giornale storico della letteratura i-taliana, vol. X, pp. 280-281]. Il Carducci scrive: « Al sig. A. Solerti parve che molte ragioni in questi ultimi anni consigliassero una ristampa delle Odi di Giovanni Fantoni; ristampa che nell’anno or fi-niente egli pubblicò. Con troppa fretta , credo ; ma io non mi sento l’animo di fare il pedante a dosso a nessuno ». E soggiunge: « Tengo fissa la massima che di libri di letteratura ce n’ è anche troppi in I- — 173 — talia, e che dei classici non giova moltiplicare le edizioni, quando non sì faccia opera definitiva ». 11 Mazzoni notava che il Carducci, « studioso del Fantoni nella sua gioventù, come attestano i Levia gravia », col dare « delle poesie di lui una scelta assennata, unendole a quelle de’ contemporanei , giovò insieme a chiarire certi punti della storia letteraria e alla fama stessa del poeta , cui noceva la farraggine de’ suoi versi. Ma una ristampa a sè delle Odi può oggi sembrare affatto superflua, essendo di facilissimo acquisto le edizioni precedenti, e dovendo ad ogni modo ricorrere lo studioso, anche dopo di essa, ai tre tomi, editi a Firenze, nel 1823, con la data d’Italia. La nuova edizione del sig. Solerti non è infatti che una strana compilazione, condotta su quei tre tomi; nè appar chiaro a che scopo. Il sig. Solerti, che potrà certo dar prove migliori del suo ardore per gli studi, avrebbe dovuto astenersi da una pubblicazione nella quale è di suo poco più che il nome. Perchè se il frontespizio promette una prefazione e note di lui, sì l’una che le altre appartengono invece per la massima parte agli editori del 1823, e per un’altra non piccola al Carducci. Lo stesso editore avverte: — Per le Memorie storiche stella vita di Labindo non si poteva far meglio che ristampare quelle scritte da Agostino Fan-toni, soltanto correggendo con qualche taglio e qualche aggiunta dove ho creduto opportuno. — Queste Memorie...... sono una biografia ricchissima ; e il sig. Solerti avrebbe potuto e dovuto valersene per un suo studio sul poeta. Ma da che volle ristamparle, perchè vi ha posto le mani raccomodandole nel testo? Dove aveva da emendare e da aggiungere, sarebbero bastate delle note a piè di pagina. Tanto più che di vere e proprie emendazioni non ne ho viste ; e le aggiunte non soltanto sono di lieve momento, ma tolte anch’esse o dalle note che gli editori del 1823 posero alle odi, o da Isecoli della letteratura del Corniani, o dalla prefazione del Carducci ai Lirici del secolo XVIII. Alle Memorie segue uno studio del sig. Solerti : La poesia barbara di Labindo. Ma neppur questo può dirsi cosa originale, perchè la compilazione è quasi continua dalle Memorie stesse, delle quali si ritrovano qui non di rado fin anco le parole, dalle note e dalla prefazione sopra citata del Carducci. Del sig. Solerti non sono che alcuni scarsi cenni sugli imitatori piemontesi di Labindo. L'Indice dei metri e dei sistemi è nella sostanza, ed anche negli esempi, quello che l’edizione del 1823 dà più ampio, nel tomo primo, sotto il titolo : Osservazioni sui metri oraziani delle odi di Labindo: il sig. Solerti non ha fatto che toglierne le illustrazioni spesso utili, e attribuire ai versi e alle strofe, quand’era il caso, più recenti nomi...... Nè si deve tralasciar di osservare che al Fantoni il sig. Solerti attribuisce meriti di priorità che non gli spettano ; per esempio quella dell’ endecasillabo alcaico...... Anche le note, toltane una o due, di cui non si vede la ragione (p. 320, ode X) furono cavate dalla edizione del 1823 , o dal volumetto del Carducci; salvo il lavoro di farle più semplici ». Il Renier dà lode all’editore di aver diviso le odi « in due serie: la prima, v — 174 — di quelle composte avanti il 1782 , parafrasi talvolta assai povera di Orazio; la seconda, di quelle posteriori e in cui il poeta tentò creare da sè, vibrante nello sdegno e nella pietà, leggiadro e passionato nella rappresentazione dell’amore ». È lode giusta; non così l’altra, d’aver ristabilito « la data di ciascuna ode ». Parecchie invece sono sbagliate. Perfino la magrissima Bibliografia delle opere di Labindo, che il Solerti ha posto in fronte al volume (pp. XCVII-XCVI1I) , non è scevra d’ errori, avendola compilata colla scorta mal fida de’ cataloghi commerciali de’ librai. Epistola I di | Giovanni Fantoni | (Labindo) | a | Napoleone Bonaparte | Presidente della Repubblica Italiana ], Pisa I Tipografia di T. Nistri e C. | 1890; in-16.0 di pp. 32. Edizione di soli 60 esemplari, fuori di commercio , fatta dal prof. Alessandro D’Ancona per le nozze del prof. Dario Toscano con Angelina Monselles. Precede una lettera dell’editore alla sposa, scritta da Pisa il 2 febbraio 1890 (pp. 5-6), poi la prefazione (pp. 7-9). Segue la lettera dedicatoria di Labindo a Napoleone Bonaparte (p. 11), con questa data: Dal 178g anno XIV. La poesia è preceduta da un occhietto che dice : A Napoleone Bonaparte \ PrimoConsole | della Repubblica Francese | Presidente | della Repubblica Italiana \ Epistola ] Nam tua res agitur, paries cum proximus ardet. | Hor. Ep. XVIII, L. I. I Italia 1803. \JEpistola incomincia a p. 15 e termina a p. 31. L’editore dichiara: « l’abbiamo trovata fra alcune carte di Vincenzo Salvagnoli, al quale nell’aprile del 1840 l’inviò in dono Agostino Fan-toni, congiunto del poeta, in una copia non certo autografa , ma del tempo dell’autore, e non priva di mende: delle quali talune abbiamo corrette, altre restano ancora ». [Nove Odi] ; in Orazio | I cinque libri delle odi | versioni di eccellenti volgarizzatori | antichi e moderni | scelte una per ciascun ode | dal dott. Giovanni Federzoni | prof, nel R. Ginnasio Guido Guinizelli di Bologna | In Firenze ) G. C. Sansoni, editore | 1893; pp. 288-289, 291-292, 298-299, 304, 310-311, 319, 323*324, 329'330 e 336. Son le odi: « A una giovine ligure »; « A Nice »; «A Gio. Maria Lampredi » ; « A Delio Toscano » ; « A Francesco Micali » ; « Dialogo di Labindo e Licoride *; « Al fonte di.....»; « A Giuseppe Bencivenni già Pelli » ; e « Ad una vecchia veneta ». L’ editore ha scelto le odi del Fantoni che ricordano « in alcuni particolari e nel pensiero fondamentale quelle di Orazio ». [Due odi]; in Manuale | della | letteratura italiana | eom- — 175 — pilato dai professori | Alessandro D’Ancona | e | Orazio Bacci. Terza edizione, Firenze, G. Barbèra, editore, 1897, vol. IV, pp. 614-617; e in Nuova edizione interamente rifatta, Firenze, G. Barbèra, editore, 1900; vol. IV, pp. 655-657· Sono le odi: Stato d'Europa e II Vaticinio. Al Servo, per la pace del MDCCLXXXIII; in Antologia della lirica moderna italiana, annotata e corredata di notizie metriche da Severino Ferrari, Bologna, Ditta Nicola Zanichelli, 1898, pp. 49-52. L’editore osserva: « Quest’ ode sembra , nella più parte, un felice rimaneggiamento dell’altra Lungi le cure; presso a parca mensa, che fu la prima composta da Fantoni, nel 1776 ». [Sonetto inedito in morte deirimperatore Giuseppe II]; in Rivista d’Italia, ann. II, fase. i.°, 15 gennaio 1899, p. 7. Edito da Giosuè Carducci, che lo trasse « dall’ Archivio di casa Fantoni e da raccolte mss. del secolo XVIII ». Il giudizio di Labindo sta in questi versi: « Cadde non pianto, e sol fé’ guerra audace, | Vincendo, ai frati e al successor di Piero ». [Lettere all’ ab. Alberto Fortis] ; in Carducci G. Un poeta giacobino in formazione; nella Rivista d’Italia, ann. II, fase. I, 15 gennaio 1899, PP* 13 e i4"x5· Furono scritte da Fivizzano il 29 luglio e 14 settembre 1791. Al merito; in Tommaso Casini. Libro di letteratura italiana per le Scuole normali maschili e femminili, conforme al programma ufficiale approvato con R. Decreto 19 ottobre i8py, vol. Ili, terza classe normale, Bologna, ditta Nicola Zanichelli, 1901, pp. 397-400. L’accompagna con note dichiarative, ed a pp. 598_599 dà un cenno del Fantoni, « il più insigne lirico » del secolo XVIII « dopo il Parini »; al quale, « salutato etnisco Orazio dall1 Alfieri, più che gl’inni patriotici e i canti repubblicani, scritti dal '96 in poi, diedero buona e durevole fama le Odi, nelle quali riprese felicemente le forme metriche della lirica classica (specialmente la saffica e l’alcaica) e con le quali si fece banditore delle nuove idee rivoluzionarie ». 176 — ANTON MARIA VISDOMINI POETA E UMANISTA LUNIGIANESE Antichissima è da ritenersi la famiglia dei Visdomini , siane qualsivoglia il capostipite, diversamente identificato dagli storici lunigianesi. Derivò essa il proprio casato dal-Γ ufficio del vicecomitato conferitole dalla Chieea lunense, e spadroneggiò a sua posta , più d’ un secolo certo , il ridente paesello di Trebiano, pur mantenendosi nominalmente soggetta alla giurisdizione dei suoi Vescovi ; finché, venduto, nel 1285, ^ castello alla repubblica di Genova, si smembrò , recandosi in parte , sui primi del trecento, a occupare, guidata da un tal Palmerio, la vicina terra d’Arcola, in parte propagandosi con altro nome nell’avita sede di Trebiano, donde scese più tardi a Sarzana (1). Il nostro Anton Maria appartenne al ramo trapiantatosi definitivamente in Arcola, e fu, se dobbiam credere a certe memorie manoscritte (2), primogenito di Angelo, ancor vivo nel 1482, ed ebbe due fratelli, Bernardino e Giovanni , e due sorelle, condotte giovanissime a onorevoli nozze. Della sua origine e dei parenti prossimi così egli stesso cantò, nell· età matura : Arcula sed magno memoratur ab Hercule dicta, debeo cui vitae prima alimenta meae. Haec mihi non humili tribuit de stirpe parentes, sed quibus in patria sunt loca prima sua ; (1) Sull'origine di questa famiglia ebbe recentemente a intrattenersi il prof. Francesco Poggi (.Levici e il suo castello, Sarzana, Costa, 1907, p. 197 e sgg.); della sua divisione io stesso tocco nel primo capitolo del lavoro La vita e le opere di Agostino Mascardi, che si stampa nel voi. XLII degli Atti della Soc. Lig. di Storia Patria. (2) Notizie genealogiche di famiglie lunigianesi, ms., busta R-Z della R. Bibl. Universitaria di Genova. — Qualche cenno su Anton Maria umanista e sulla sua famiglia, potrà pure trovarsi in G. B. Spotorno, Storia letteraria della Liguria, to. II, Genova, Ponthenier, 1824, p. 174 e sgg. — ιη — qui domini quondam Trebiano jura dedere illustres atavis quique fuere suis. Haec me prima suis manibus genitricis ab alvo excepit natoque ubera prima dedit. Hic mihi sunt gemini fratres totidemque sorores utraque laudato consociata viro. Hic mihi cognati innumeri et numerosa nepotum agmina et immensae conspiciuntur opis : conspiciuntur agri passim collesque feraces quod nostro noster nomine cultor arat. Vivit adhuc vivatque diu ditissimus auri patruus acceptam religione dati. Sunt aedes, possuntque iure palatia dici, et stant conspicuo rura beata solo (i). Però, al tempo della sua fanciullezza, tutto questo ben di Dio era di là da venire , chè i genitori tiravano innanzi alla meglio col reddito di pochi terreni e lo zio prete non possedeva ancora le vantate ricchezze. Fu quindi deciso eh’ ei si portasse a Bologna, per compier ivi quegli studj letterari ne’ quali avea già fatto buona prova, e per tentarvi, come tanti altri, la capricciosa fortuna. E Anton Maria varcò tenillas puer — avrà contato allora, se non erro nelle mie indagini (2), quattordici o quindici anni — le creste e i burrati dell’ Appennino ; procedendo, forse pedestre, cogli occhi rossi di lagrime e con le (1) Dal carme ad Aspasia, che pubblichiamo in appendice con la nostra versione poetica. (2) In una lettera preposta alla Miscella (ved. la nostra bibliografia) e indirizzata nel 1492 al reverend.mo Protonotario Anton Galeazzo Bentivoglio, arcidiacono dello Studio bolognese , Anton Maria si dichiara « iuvenis admodum pusillus et non adhuc eruditionis mediocritatem consecutus », chiedendo compatimento pei suoi versi, che « inculti (dice) sunt, imperiti — fateor — et juveniles: aetatem nam meam vides ». Le parole, rivolte al medesimo Anton Galeazzo, « decus et mei spes maxima studii » e anche Vex-plicit degli statuti « impressum Bononiae ad publicam utilitatem, opera, studio, diligentia et impensa non modica Antonii Mariae Vicedomini de Arcula Genuensi Municipio, dum sibi mansuetioribus studiis operam impenderet (1498) »; testimoniano ch’egli era ancora studente. In ogni modo non si potrebbe supporlo molto lontano dalla ventina; ed infatti alcune delle poesie pubblicate accennano a pene e aspirazioni quadrilustri. Posto dunque ch’egli contasse dai ventidue ai ventitré anni nel 1492, quando metteva fuori il volumetto, agevolmente fisseremo a quindici anni l’età in cui abbandonò i patrj lari, considerando altresì ch’egli, in un altro luogo della spalle curve sotto il fardello delle sue robe , lungo la via polverosa; e giunse infine, solo com’era partito, nella dotta città, che prese fortemente ad amare e chiamò più tardi la sua seconda patria: Inde tenillus adhuc supero puer Apenninum et peto Felsineae protinus urbis agros. Quippe secunda mihi patria est mea Felsina nec iam deterior prima nec mihi cara minus (i). E quanto sofferse per quella partenza! Doveva, sì giovanetto, lasciare i genitori, le sorelle, la casa natia, gli amici; cibarsi d’erba, dormir nelle grotte, dissetarsi ai fiumi. . . . Poetava già facilmente ; in latino , s’intende. E trattò subito dei suoi dolori in un carme , imprecando alla sorte maligna : Quid loqueris, lacrimas, quererisque dolesque gemisque? Quid plangis manibus pectora mesta tuis ? Fortunae certum est incepta relinquere numquain donec ibi patrio manseris ipsi solo. Ergo tuos fugias gressu properante penates! Externas celeri nunc pede quaere domos. Invida tam longo quid me fortuna dolore afficis et miserum cogis acerba pati? Ipse meos linquam fratres linquamve sorores et linquam socios corpora fida meos? Ipse ego destituam, qui me genuere, parentes? Ipse meos potero destituisse lares? Destituam patriam, qua nil mihi carius ipsi, pro qua sunt cunctis cuncta ferenda viris, pro qua sunt cunctis adeunda pericula cuncta, pro qua poena atrae non fugienda necis? Invida tam longo quid me fortuna dolore afficis et miserum cogis acerba pati? lettera ricordata, afferma di trovarsi a Bologna da sette anni, quanto su per giù prevedeva dovergli occorrere per compier gli studi , in uno degli epigrammi scritti in queiroccasione : Suave solum natale, vale: charique parentes, affine vos, et quisquis amicus adest. Huc nos post sextum in patriam remeabimus annum, anteque me haud dulcis ista videbit humus. (i) Carme ad Aspasia. — 179 — Quid cupis adversa puppis mea naviget aura? Ut iactata fatis iam requiescat age! Si tamen ire iubes, patria seccede relicta, collige sarcinulas, o miserande, tuas. Ibimus exoticas, quia vis tu saeva, per oras et statuam ignota mi regione domos. Herba cibus, spelunca domus, mihi terra cubile nuda, labor requies, potio flumen erit. Invida tam longo quid me fortuna dolore afficis et miserum cogis acerba pati? (i). A Bologna, s’ingolfò tutto , di buona o di cattiva voglia, nelle dottrine filosofiche : Haec mihi docta dedit post prima elementa bonorum, si qua animus magno parta labore tenet. Nam mea socratico madefecit pectora cornu et Crysippea fruge referta dedit (2); ma ben presto cominciò a trascurarle, per dedicarsi alla poesia, con la quale, diceva, possono gli eletti ingegni a-gevolmente immortalarsi. La grammatica, la dialettica, l’eloquenza, le studiassero pur gli altri, massime se pedanti; egli, quantunque povero , non desiderava che il favore di Febo e i sorrisi delle Muse e i dilettosi fonti bellerofontei e le chiomate selve di Pegaso. La vita, tra i quindici e i vent’anni, non è tutta poesia ? Non mihi sunt gemmae, sunt munera rara nec aurum quaeque dat auriferi ripa beata Tagi ; non mea Pactoli volvuntur in arva liquores; mi pario nullum marmore surgit opus. Haec ego non axis facio ; modo Phoebus et altae concedant faciles in mea vota deae (3). Le quali sue aspirazioni manifestava proprio al suo professore d’eloquenza, Carlo Cimmerio, bolognese, che, forse con una sua lettera, avea cercato di ricondurre a più savio consiglio lo spensierato discepolo : Garrula delectat multos Dialectica, multos Grammatica et multos musica laeta iuvat. (1) De fortuna conqueritur, in Miscella, s. u. d. p. (2) Carme ad Aspasia. (5) De se ipso, in Miscella, c. s — 18o — Te decet eloquium Ciceronis te et sua dicta : haec tua scripta igitur sal Ciceronis habent. Sed me delectant Musarum carmina, fontes bellerophontei pegasidumque nemus. Me iuvat et semper virides habuisse corymbos, me iuvat et laurum semper habere sacram (i). Non potrei dire che pensasse il Cimerio di questa ostinazione ; certo è che Anton Maria , pieno com’ era di vita , d’ingegno e anche di illusioni, sperava d’aprirsi strada agli onori con null’altro che coi versi, di conseguire o prima o poi la laurea poetica e di ritornarsene un giorno alle dolci pendici del natio paesello, carico di gloria e di quattrini : fatali sogni di gioventù, che, se pur doveano in parte avverarsi, lo condussero intanto a soffrir la miseria e ad inveire ognor più contro la cattiva stella del suo nascimento. Perchè, perchè — esclamava — tanto mi perseguita la fortuna ? A che servirà dunque lo splendore dell’ ingegno , quando fitta tenebra inesorabilmente lo avvolga? Numerosissimi suoi carmi chiudono di siffatte querele ; e alcune volte par di sentirvi dentro i crampi d’uno stomaco vuoto, la pena di chi stenda la mano per ricevere il soldo della carità. Nessuno potrebbe dirsi più povero di lui, nessuno più sventurato. E la sua trista condizione rivelava special-mente al suo compaesano Giovan Domenico Carzola, sarzanese, del collegio dei lettori di Bologna, certo per averne soccorso. A sentirlo, un vero strazio : Infelix quicumque, comes mihi chare Johannes, adverso natus sidere semper erit. Semper et infelix et iniquo pondere pressus cui potuit misero sors nocuisse semel. Me me iam miserum iam me, fortuna, relinques ? Quid iuvenem tanto tempore dura premis? Quid iuvenem laceras crudelis et invida tantum ? Ex me quae victo gloria dulcis erit? (2). (1) Ad Karolum Cimerium Bononiensem, ibidem. (2) Ad eundem [Johannem Dominicum Carzolam] de adversa fortuna sua, in Miscella. II Carzola compare tra i lettori dello Studio dal 1467 ; ved. Rotuli dei legisti to. I, Morana, Bologna, 1888, p. 75. — 181 — E da fra’ Tommaso da Venezia, teologo dell’ordine dei Predicatori, invocava preci, affinchè il cielo gli alleviasse la povertà insoffribile, e invocava protezione, affinchè dalle gemmate soglie dei suoi ricchi amici si stendesse una mano benefica. Oh non voleva ricchezze, no; ma solo quel tanto che bastasse per tenerlo in vita, per fargli cantare le glorie della sua prosapia e delle patrie contrade ! Non ego regna peto mitridatica ; non ego certe ut mea dives aquas spargat in arva Tagus; sed tantum ut virtus nobis non vera negari possit et haec maneat pervia facta mihi : ut doctrina mala non paupertate fugetur, aspera quae nimium pectora nostra premit ; ut paupertatem potius doctrina repellat, claudat et alterno carcere semper eam. Hoc est quod cupio, Christi venerande sacerdos, Ad quod si dederis (ut puto) solus iter, per te forte meos potero irradiare parentes et patriae fines concelebrare meae : per te forte novis non invidisse poetis cumque anima corpus excoluisse mea. Me tibi commendo, Christi fortissime miles, A quo dependet spes mea tota viro (i). Offerse ai signori della città i parti delja sua Musa « debilis et undique exagitata » ; s’adattò anche à comporre per altri, mottetti, epigrammi, indovinelli, traduzioni metriche. Qualcuno allargava la borsa, raramente; e allora il giovane poeta lo copriva di benedizioni, in prosa e in poesia, paragonandolo a Ottaviano, a Mecenate, a Clearco. Ma troppo spesso subiva ripulse, troppo spesso ripiombava nella miseria. E un momento o l’altro l’avrebbe fatta finita: sarebbe salito su di un’ altura e avrebbe di là spiccato un salto nel vuoto, a capofitto, maledicendo un’ultima volta la sorte. Oramai non viveva più che per un raggio di speranza. Cantava: Si mihi te talem semper, fortuna, manere crediderim, e summa mortuus arce cadam ; (i) Antonius Maria Visdominis Theologo peritissimo Thomae veneto fratri ordinis praedicatorum Salutem, in Miscella. — 182 - sed spero nobis placidam magis usque futuram. Decipiat ne me spes face, diva, precor (r). e ancora : Si fore te talem semper, fortuna, putarem in me, nunc morerer pectora fixus ibi. Gaudia sed credo post multos esse dolores ; post tenebras claram spero videre diem (2). Vibra qui, certo, condito di scolastico rettoricume, il diapason dell’umano dolore. Non vorremmo tuttavia che il lettore s’impietosisse troppo a questi poetici lai , immaginando Anton Maria chino le lunghe notti di verno , pur coi languori della fame nel petto, sopra i testi d’Ovidio e Virgilio, o meditante, nei caldi meriggi bolognesi, il suo futuro immortale poema, all’ ombra del classico battistero. Per quanto obbligati a brancolar nel buio, sotto la scarsa luce di qualche dato cronologico e sulla traccia malfida di pochi ragguagli tratti dall’opera sua stessa, vediamo profilatisi innanzi uno studente scapato, piuttosto che un mi-serello tutto studio, perseguitato dall’ inclemente sventura. Ch’ egli dovesse , quantunque sceso da magnanimi lombi, accontentarsi d’ abitare una povera stanzuccia da studente, è probabilissimo; ch’egli, per poco giudizio, avesse a restar talvolta senza un picciolo e con 1’ appetito insoddisfatto , può anche darsi. Ma, se il caso ci facesse scoprire qualche lettera paterna, scrittagli fra il 1480 e il ’ço, chissà quanti solenni rabbuffi vi troveremmo ! E se potessimo aver sottocchio per un momento i conti di casa sua, quante quante spese per il figliuolo lontano ! Intanto, Anton Maria faceva all’amore. S’ era precocemente invaghito di uno di quei bei fiori bolognesi che pare sconvolgessero il capo anche agli studenti di quattro secoli fa. Solea quindi recarsi, anziché allo studio, sotto il palazzo dell’adorata, aspettando ch’essa, dispostissima a riceverne gli omaggi, s’ affacciasse al balcone; ed erano allora sospiri e sospiri interminabili. Ma l’idillio un giorno fu (1) Ad eumdem [J. D. Carzolam] de adversa fortuna sua, ibidem. (2) De eodem ad eundem, ibidem. — 183 — scoperto e brutalmente troncato, che la fanciulla dovea sposare , per ragioni d’interesse , un cotale odiatissimo e, manco a dirsi ! orribilmente laido. E il balcone, da quel tempo, restò inesorabilmente solitario. Era troppo. Il deluso vagheggiatore diè sfogo all’ ira, evocando le più superbe vittime dell’antico gentilesimo : soffriva il castigo di Encelado senz’ avere imposto il Pelio all’Ossa, le pene di Tifeo senz’ aver tentato la madre d’Apollo, le torture di Sisifo senz’ essersi lordato di sangue le mani. Il proposito di morire gli balenò ancora.... fra i versi : Tristis adhuc nullis iacuit mea vita. Quid ergo, fortuna o, tantum vis nocuisse mihi ? Debebas saltem nostram servare puellam : non est hic tali coniuge dignus homo. Hic deformis enim, sed sponsa venustior omni virgine : tu coniunx improbus, illa proba est. Adde quod est illi gratus non ille maritus et miseram tali se putat esse viro. Adde quod illa salus, auctor, solatia vitae, spes erat et requies subsidiumque meae. Illa tuos animos in me lenibat et iras ; sic ego non omni tempore tristis eram. Illa mihi nimbos tempestatesque fugabat ; tuta erat in sanis sic mea puppis aquis. Nunc agit undisonum per inhospita saxa carinam et mare per syrtes, per loca plena necis. Errantem fortuna ratem trahe in ora Charybdis perdiderit Typhin quum lacerata suum. Hac sine non potero miseram nisi ducere vitam; hac sine numus erit mors mihi, vita dolor: hanc mihi quum rapias, rapias precor et mihi vitam, ut fortuna tenor desinat iste tuus (i). Non s’ammazzò. Chessi ! Facile, come i bohémiens di tutti i tempi , a consolarsi tra il cadere e lo spuntar del sole , scriveva indi a poco dei carmi a Guglielmina, ad Alma, a Veronica : donne, che, per quanto si può arguire dalle sue stesse parole, non dovevano eccedere in fatto di virtù. Egli le invitava a casa sua (piccola sì, ma molto appartata e sufficientissima per una coppia di colombini che avesser (i) Ad eundem [J. D. C.] adversus fortunam, ibidem. — 184 — freddo) e ne descriveva gli amplessi (si congiung*evano persin gli antipodi, nel mondo!) e le ammaestrava (nón era lecito a uno studente di lettere seguire Ovidio in tutto e per tutto?) su certe cosette che il tacere è bello per noi, siccome il parlarne pareva a lui. E , quando Γ amor delle donne gli veniva meno, non gli mancava la compagnia di amici ; e con questi se la passava discretamente , bevendo in fresco e verseggiando argomenti fallici. Come ognun vede, e meglio vedrà dal rapido esame che faremo subito dei pochi suoi scritti , non così triste dovea essere il suo stato eh’ egli con le sregolatezze di gioventù non sei rendesse peggiore. Un bel giorno però egli mise giudizio. Già , le pazzie di questo genere, progredendo l’età, nauseano o in qualche modo stancano , massime poi se ne van di mezzo , com’ è inevitabile, la salute e la tasca. Noi lo troviamo a un tratto allogato presso famiglie nobili, nella qualità di precettore, forse per intercessione di qualche ragguardevole compaesano, cui stava a cuore o era raccomandata la sua buona riuscita; e, nei suoi componimenti di corrispondenza, molti infatti ne son nominati. Pare che dapprima lo prendesse a proteggere un’ illustre dama bolognese , eh’ egli indica col solo nome di Diamante e dice amica dei Pepoli e dei Ben-tivoglio; ma costei era probabilmente la madre o una parente stretta del suo scolaro, Troilo Felicino ; certo è che la magnifica Diamante se lo tenea caro e lo voleva con sè in campagna. E forse Anton Maria comprendeva una buona volta che, scendendo a taciti compromessi con i soliti ideali, v’avea da guadagnare assai; non foss’altro la vista e l’intrinsechezza di certe vispe contadinelle della villa Barisella, alle quali dedicava, sotto i nomi catulliani di Roscia e di Clodia, i più saporiti frutti della sua Musa rimpannucciata. Eccolo dunque a insegnare i primi rudimenti della ret-torica, di quell’abborrita disciplina ch’avea già fatto oggetto di scherno. E una stella più propizia cominciava davvero a brillargli sul capo. La casa dei Felicini era frequentata dai più cospicui personaggi di Bologna, e persino dal principe Giovanni Bentivoglio, che fu l’ultimo signore di quella — ϊδ5 città. Sapendo che questi doveva presentarsi a un banchetto della famiglia , il nostro giovane poeta , colse Γ occasione per mettersi in vista e preparò un carme encomiastico. Diceva tra Γaltro: Salve, magna Jovis, caeli quoque cura Johannes; salve, universi gloria magna soli; salve, laeta dies, meliorque recede quotannis qua Filicina capit munera tanta domus. Per te quodque nemus, quaecumque arbusta relucent adspectuque tuo consonat omnis ager. Absque manet per te generosa Bononia marte, iliaque non aliae quod tenuere, tenet. Summe pater superum da vivere longa Johann i saecula nec caelum tam cito ferre tuum. Quum petet astriferum princeps hic noster olympum huic similem nobis quem dabis ipse virum? Iste regit patriam sine vi, sine caede potentem, ingenio certe vel sale cuncta suo. Privator scelerum et clarae virtutis amator quoque suum regnum sospite sospes erit. Iam date purpureos flores, ego munera spargam laeta; meas audit Jupiter ipse preces. Quique suo clamet resonanti carmine : Serram ; Serra diu vivat; Serra superstes eat (i). Giovanni Bentivoglio era amante delle lettere e mecenate degli scrittori ; inchinava poi molto volentieri Γ orecchio ai carmi e volgari e latini, che d’ ogni parte si levavano sino a lui glorificanti (2). Questo gli andò a genio. Proprio allora egli avea bisogno di un precettore per i suoi nipoti; e Anton Maria non desiderava ormai altro che passare al suo servizio. A farla breve , egli s’ era appena tagliata la barba, per offrirla, ventenne, da buon umanista , agli Dei, come solevano gl’imperatori romani, che già varcava la soglia del turrito palagio del Bentivoglio, con l’incarico d’istruire i figli di Niccolò Rangoni, suo genero per le nozze con Bianca, e magnifico capitano dell’armi. Di bene in meglio. Anche Niccolò Rangoni, nonché (1) De principe Benlivolo in convivio suscepto, ibidem. (2) Ved. Ludovico Frati. I Bentivoglio nella poesia contemporanea, in Giorn. slor, della lelt. Hai., vol. XLV, 1905, p. 14. Giorn. St. c Lett. della Liguria. 13 — ι86 — Γ illustre suocero e l’altro genero Gilberto Pio , pizzicava di lettere. E notissimo il torneo con cui tutti questi chiari signori vollero definire, nel 1490, l’armi in pugno, la dibattuta quistione filosofica , se nelle cose mortali più prevalesse la saggezza o la fortuna. E particolarmente del favore che i letterati godevano presso Niccolò, ebbe a cantare il portoghese Enrico Cajado , in uno dei tanti carmi dedicatogli, quand’era ancor studente a Bologna, forse col nostro Anton Maria : Non penitus vobis, fautores, carmina, desunt. Supplice Rangoni fundite corde preces ; nam fovet ingenia et vatum miratur acumen et multum vobis numinis esse putat (1). S’occupò subito dei figliuoli Guido , Annibaie e Ginevra ; gli altri, Francesco, Alessandro, Ercole, Anton Galeazzo, Gerolamo, Ludovico e Costantino, chè tanti ne avea Niccolò di più piccoli, erano affidati a sollecite fantesche. Importantissimo documento dell’educazione di questi fanciulli doveva essere il dialogo dello stesso Anton Maria, intitolato De Ocio et Sybillis e pubblicato a Bologna l’anno 1500. Peccato che ogni ricerca per trovarlo mi sia riuscita infruttuosa! Ho potuto però vedere i copiosi estratti che ne fece, per la Biblioteca modenese, Γ infaticabile Tiraboschi, quando a stento potè farsene prestare una copia; dai quali risulta che lo scrittore v’ introduceva a ragionar con Biagio,' cancelliere di Niccolò , Annibaie e Guido , e che quest’ ultimo, per amar troppo di starsene bellamente sdraiato al-l’ombre del paterno giardino, dovesse sentire delle lunghe tirate da parte del degno cancelliere, sulla brevità della vita e Γ opportunità degli studi nella giovinezza. Il componimento finisce enumerando e glorificando le svariate discipline nelle quali il padre voleva convenientemente istruiti i suoi figli (2). (1) Appresso il Tiraboschi, Biblioteca modenese, to. IV, Modena 1783, p. 253; ove potranno trovarsi molte altre notizie sulla famiglia. (2) Gli estratti conservansi nella Bibl. Univ. di Modena, con Γ indic. H, i, 11 (in Misceli, ilal). Ved. Tiraboschi, op. e to. citt., p. 256. — 187 — Di Annibaie, che fu più tardi sollevato da Leone X alla carica di capitano dell’armi pontificie, son riportati in fondo al libretto, alcuni epigrammi e due lettere, l’una al cancelliere Biagio, l’altra ad Anton Maria , entrambe vertenti suirargomento del dialogo , e con espressovi il desiderio di veder presto pubblicate alcune orazioni inedite del maestro. Un altro suo epigramma fu inserito, sui primi del secolo XVI, nella Collectanea di Serafino Aquilano. E le lodi, che gliene vennero poi dal \^ida, ridondano in gran parte a favore di chi lo aveva pazientemente addestrato e sorretto nei primi tentativi : At secus Annibali Rangonum e gente vetusta evenit; nam cum puer olim accensus amorerrr Musarum solum coleret sanctosque poetas, hanc unam ob causam belli se vertit ad artes, unde pedem mox non longum detentus in aevum retulit. Arma placent, Martisque ante omnia curae Quamvis Pieridum irriguos accedere fontes interdum juvat et sacris requiescere in antris (i). Per Ginevra, Anton Maria non lesina encomi. E una brava ragazza; sa ricamare, ballare, cantare; legge e studia continuamente; fra i poeti volgari predilige il Petrarca. E compone anche ; ad esempio , dei graziosi mottetti come questo dedicato alla madre : Junipera ad Blancham Rangonum matrem Pingere acu teneris laus est si magna puellis, texere et e plena ducere fila colo, si canere et motare pedes ex arte peritos et cytharam docta concrepuisse manu ; cur non et laeto versus recitare Decembri fas erit et numeros concinuisse novos ? Nos alio colimus muliebra tempore facta ; nunc a filiola carmina, mater, habe (2). Il Tiraboschi citandolo , non lo vuole farina del suo sacco. Si capisce, — egli conchiude — il maestro lo scrisse; la scolara lo recitò ; e i genitori se ne compiacquero. Ma (1) App. il Tiraboschi, op. e 1. citt. (2) Ibidem. — iSS — forse al Tiraboschi le donne che sanno di latino, non andavano. Poetessa o no , Ginevra riusci donna di eletti costumi; moglie nel 1503 di Giangaleazzo da Correggio, figlio del noto Niccolò, e poi, in seconde nozze, di Luigi Gonzaga. Anton Maria avea trovato, come suol dirsi , la sua vigna. Le splendide e capaci volte del palazzo dei Benti voglio, sotto cui passava pieno di miseria e d’invidia negli anni precedenti , ora risuonavano dei suoi componimenti elogistici per gl’ illustri padroni. Ed avea lauta retribuzione e tempo libero per sacrificare al suo genio, e ardire a tutta prova contro gli antichi detrattori. Nel 1492 pubblicò in un volumetto le sue poesie, dedicandole ad Anton Galeazzo Bentivoglio, protonotario e arcidiacono dello Studio bolognese ; per il che assurse finalmente al tanto agognato onore della laurea , di cui si trova ricordo in qualche manoscritto e negli stessi suoi versi ad Aspasia , là dov’ egli esalta Bologna: Haec mihi cum magno tribuit comertia Phoebo atque hedera cinxit mi viridante caput (1). Prima di quell’anno, volle rivedere la sua terra natia. Fu ricevuto con onore dai suoi compaesani. Ed egli ringraziò, commosso, partendo : Gratias vobis ago singulares omnibus, cives merito colendi , qui recepistis in honore dignum me minus isto. Unde dum Macrae liquor omnis atque Alpibus deerit fera quaeque et alto Caucaso frigus, calor atque nigris fervidus Indis, immemor vestrum fueroque tanti muneris quantum mihi vos dedistis usque honorandi mihi et usque amandi. Ergo valete (2). (1) Carme ad Aspasia. Certo per questa laurea l’Oldini lo dichiarò « poeta suo aevo illustris » {Athenaeum ligusticum, Perusiae, Ciani, 1680, p. 56) e il Soprani lo volle « celebre ». (Gli sci’ittori liguri, Genova, Calenzani, 1667, p. 44) Meno entusiasta a suo riguardo si mostrò il Tiraboschi, Storia della lett. il., vol. II, Milano, 1824, p. (2) Ad cives gratiarum actio, in Miscella. — 18g — Tornò in Bologna , a cantar dçi Bentivoglio e a raddrizzar gli esametri dei suoi scolari. Morto nel 1500 Niccolò Rangoni, seguì Bianca a Modena, e restò presso di lei per altri otto anni ; dopo di che pensò di ritirarsi in quella che ormai chiamava la sua seconda patria. Gli successero, nell’educazione di Ercole, Giglio Gregorio Giraldi, che gli dedicò un cenno nella nota rassegna dei poeti contemporanei, e un altro umanista, Demetrio Moscopulo. In verità, ad Anton Maria non restava più che riconciliarsi con Dio per certe giovenili marachelle e prender moglie in santa pace. L’una e l’altra cosa egli fece. Resosi terziario di S. Domenico, non poetò più che su Maria Vergine e sui santi; tradusse anche, per esercizio di pietà , la regola di S. Gerolamo (1). Il carme ad Aspasia, ond ab-biam tratto qualche notizia sui casi suoi, pare 1 ultimo rimastoci ; ed è , se colgo giusto , una vera e propria domanda di matrimonio, ov’ei presenta il suo stato civile, tra serio e burlesco. Vi si sente però Γ antico vaneggiatore. Eccomi qua, egli dice; son ricco ormai, celebre, protetto dai signori di Bologna ; perchè non potrebbe amarmi una dama bella e nobile ? E noi con questi pensieri lo lasceremo; ossequenti, pur senza volerlo, a quanto il Bìirger raccomanda nel popolare suo romanzo sui bohémiens, che cioè si lascino stare quando piglian moglie. Allora — egli afferma — non son più interessanti ! Del resto la sua fioritura poetica non credo oltrepassasse di molto il primo decennio del secolo XVI; ed egli proprio così v’ è riflesso , come l’ho ritratto , nè , per qualunque scoperta sulla sua vita, avrà forse a patir metamorfosi d’indole e di fisonomia. Diverso poi dai suoi colleghi d’ arte e di studio, non fu ; più fortunato, se mai, fra tutti, chi consideri i rapidi progressi del suo stato, ottenuti in pochi anni, grazie al suo nome illustre, nella sola Bologna (2). (1) Ved. per questa versione, la bibliografia. Da essa tolgo la notizia della sua inscrizione fra i domenicani laici. (2) Il Quadrio (Storia e ragione, II, ed. 1739, Bologna, p. 766) lo identificherebbe di passata con un Antonio da Valtellina, famigliare di Niccolò — i go — Della sua cultura umanistica menò possiam dire che non vorremmo. Il Landinelli, noto compilatore d’uno zibaldone storico biografico tuttora inedito, ricorda, per averlo visto, un commento da lui fatto alle tragedie di Seneca, e tanto esteso da occupar tre grossi volumi in foglio (i). Quest’opera andò perduta, esistendo nel solo originale ; e con essa forse il maggior vanto di Anton Maria. Ch’ ei vegliasse, nell’ ultimo decennio del quattrocento, non appena calmate le sue poetiche smanie , sui tragici greci e latini , non è da mettersi in dubbio: basti leggere la prefazione alla sua edizione degli statuti genovesi, fatta uscir nel 1498, ove la piccola tesi inclusavi, non essere indecoroso ad uom probo il maneggio della cosa pubblica, va quasi travolta in un avvolgimento di sentenziole tolte a loro e riportate diretta-mente dal testo, anche se greche. Lodevole fatica codesta colla quale egli intese offrire per la prima volta un prontuario a stampa di tutte quelle disposizioni municipali che prima correano soltanto manoscritte per le mani dei legisti. Vi attese da vero scienziato , collazionando faticosamente, con l’aiuto di Giambattista Sforzano da Reggio , colto e infaticabile amico suo , quattro codici, e tenendo per base quello appartenuto al genovese Paolo Basadonne , che gli pareva men guasto degli altri. Dedicò il volume, prepostigli alcuni epigrammi per Genova, ad Agostino Adorno, governatore della Repubblica, e al fratello suo Giovanni, capitano dell’armi, con la preghiera da Correggio, rassegnandolo anche fra i professori pubblici dell’ Università bolognese; ma quest’errore già é stato rilevato (ved. Giorn. Sto?', della lett. il., vol. XXII, p. 65). Riguardo alla sua origine, non v’è più, credo, da discutere. È vero che un Anton Maria da Sarzana vien dato (Rotuli, 1,71) nel 1467 come lettore Sex Li et Clementinarum de sero, ma si tratta di Anton Maria Parentucelli (C£r. Sforza, La patria , la famiglia e la giovinezza di Nicolò V, Lucca, 1884, pag. 309 e sg.). Aggiungo da ultimo, per non trascurar nulla sulla sua vita, che nel· 1526 dovea già esser morto, dacché lo zio Benedetto, quello detto, nel carme ad Aspasia, « ditissimus auri..., accepta religione dati », nomina fra gli eredi , nel testamento, solo « Johan-nem quondam Angeli Visdomini suum ex fratre nepotem » (Busta cit. della R. Bibl. Univers, di Genova). (1) Memorie di Sarzana, ms. della bibl. privata dell’Avv. Lari di Sarzana, cap. XXXVI, p. 121V. — i gì — di redintegrare nei legittimi diritti di nobiltà la vetusta sua famiglia arcolana, e con la promessa da parte sua di rendere immortali le gesta di quegl insigni personaggi in un futuro componimento: « Mihi autem, quod novissimum est », diceva, « tantum [Deus] vitae tribuat, quantum sufficiat ad vestras laudes decantandum , vosque et facta vestra immortalitati donandum , si modo ullam mea scripta consequentur immortalitatem ». Ma alla promessa non segui 1’ effetto. Merita piuttosto considerazione quella curiosa raccolta di versi giovanili, ch’egli intitolò Miscella: libro rarissimo a rintracciarsi fra gl’ incunaboli delle nostre biblioteche. Dedicandolo ad Anton Galeazzo , diceva , semplicemente : « more agricolarum antiquorum primitias meorum fructuum tibi sacrificare statuimus , quas , qualescumque sint precor laeto anima suscipias ; agellus enim meus est incultus et inaratus, cuius fructus sunt asperi, rubiginosi, precoces , non digni (fateor) tanto homine » ; ma certo alla sua vena poetica latina, come a quella volgare , tenea moltissimo , dacché la comprese poi, senza troppa modestia, fra 1 titoli più importanti per aspirare alla mano della bella Aspasia : Praeterea pro me tibi fama parabitur ingens altaque ducetur nomen in astra tuum nec nisi te famamque tuam moresque probandos laudibus eximiis nostra camena canet : sive voles de te maternos dicere versus sive voles veteri scripta latino sono (r). Non è, con sua buona pace, gran cosa; e piuttosto che la nostra ammirazione, suscita la nostra meraviglia. Apron la serie alcuni distici per il trionfale ritorno di Giovanni II Bentivoglio a Bologna , preceduti da un altra lettera dell’autore al figlio , e riferibili con probabilità al 13 di giu- (1) Secondo lui la poesia volgare era cosa da poco. Un giorno, capitatogli in mano un libretto ove trovavasi una storia d’amore in versi, si meravigliò di scoprir che questa « etsi vernaculo ritmo esset composita, diserta tamen et ellegans erat ». (Ad nobilem ac eruditum iuvenem dominum An~ dream Berlizonum veronennem Antonii Mariae visdomint Epistola , in Miscella). — 1Q2 — gno del 1418, giorno in cui quel principe potè ricalcare il suolo della sua città, dopo aver sofferto a Faenza, ove s’era portato non appena morto il genero Galeotto Manfredi , una lunga prigionia, per il sospetto ch’ei tentasse un colpo di mano in favor del Duca di Milano. Si tratta però di un frammento, quanto cioè restava al poeta , con pochi altri versi, d’un lungo carme composto ad esaltazione della famiglia e rubatogli da un birbaccione ch’era venuto a frugar nel suo scrittoio. Riconoscesse adunque Anton Galeazzo — aggiungeva nella lettera — la sua vera paternità, se gliene fosse venuto sott’occhio il manoscritto, e punisse il colpevole senza misericordia. Senonchè, a giudicare dai pochi versi pubblicati, un centinaio circa, sembra davvero che tanto avesse mal gusto il ladro nel trafugarli quanto il Nostro indulgenza a pregiarli fra le lagrime. V’è palese l'artificio dello scolaro; prima si ricordano i trionfi greci e romani , poi s’ enumerano le deità che precedono il carro del Bentivoglio , in fine piovono gli augurj di longevità per l’eroe. Anton Maria canterà — e questo è il passo migliore — fino a che mondo è mondo : Numen es in terris. Senior pete sidera, quaeso ! Nobiscum longo tempore stare velis. Nam, quando radios sol, clarum sidera caelum et nullum aestivus gramen habebit ager, terraque quum nullos populos, quum nulla tenebit •silva lupos, pisces quum mare, Nilus aquas, quumque die ardenti raucae cantare cicadae cessabunt et quum tempore veris aves, cessabit mea musa tuas describere laudes et splendor de te Bentivolaee loqui. E ne cantò ancora in altra occasione , quando il principe ritornò da Roma, ove s’ era recato per ragioni diplomatiche. Nè solo per lui vibrò la cetra del Nostro. Un mottetto è in lode di Annibaie Bentivoglio, fratello di Anton Galeazzo e gonfaloniere degli Anziani : uno dei più garbati. Dieci epitaffi in distici perpetuano le virtù di Elisabetta de Pepoli, sposa di Romeo Bentivoglio ; un compianto rammenta il conte Galeazzo Pepoli « Bentivolis sanguinis iunctus honos » e anziano egli pure del Consiglio bolognese; — 193 — un poemetto descrive 1’ esultanza dei nobili cittadini per Γ arrivo del cardinale Ascanio Maria Sforza, ch’era stretto congiunto di Ginevra Sforza, consorte del principe; la lettera dedicatoria e alcuni versi, in fondo al volumetto , sul rettorato dello Studio bolognese , esaltano la prudenza di Anton Galeazzo nelle ambascerie ; infine il Carme ad A-spasia, non compreso nel volumetto, reca una bella digressione per tutta la famiglia, in cui il poeta con magnanimo intendimento maledice alle lotte dei signori italiani e li sprona a levar la croce per la conquista del Santo Sepolcro. Componimenti, questi, tutti elogistici, naturalmente ; alcuni d’ intonazione epica. E li indico , senza fermarmici troppo, cui garbi o torni utile conoscerli, riparando sommariamente all’oblio in che furono lasciati, certo involontariamente , da chi, or non è molto , ricercò le lodi poetiche della famiglia Bentivoglio. I numerosi brani riportati più innanzi, per illustrare la figura del poeta, ci dispensano dall’occuparci delle elegie che trattano dei suoi casi, del resto quasi tutte ricalcate su quelle dell’età aurea latina; molte però ne compose, d’ argomento letterario o morale, anch’ esse all’ uso antico, per i suoi discepoli. Raccomanda vivamente a Troilo Filicino lo studio delle opere di Ovidio , e specialmente delle Metamorfosi. Se Virgilio va tra i più facondi poeti, Ovidio egli sostiene che sia tra i più eleganti; ed è il poeta vero dei Romani, il « vates divinus », il modello di coloro che vogliono conseguire 1’ alloro apollineo. Per Pirramo Pepulo finge, o, come credo d’intravedere , traduce da qualche trattatello del tempo , una lunga disputa, sul primato in fatto di virtù , sorta fra Alessandro , Achille e Scipione , giudice Minosse; il quale proclama, dopo aver paziente mente ascoltato le ragioni d’ ognuno , vincitore Scipione : dacché tutti egli pareggi nelle doti guerresche e tutti superi nelle domestiche e cittadine. Incuora Annibaie Ran-goni, primogenito di Niccolò, ad essere virtuoso: — Tu hai le ricchezze, sii virtuoso ; la virtù resta , le ricchezze passano. — E a Troilo ancora insegnava che la virtù ci avvicina agli dei e vieppiù fa rifulgere la nobiltà del sangue. — 194 — E davvero non potremmo immaginargelo che come un vecchio eremita d’illibati costumi, di mente grave , di cuor pudibondo, quando trovassimo mescolata la tradizione cristiana a un concetto filosofico di Cicerone, in questi versi non del tutto pedestri : Terrenas errent animalia bruta per herbas, sedibus his vivat fera quaelibet; sed nos naturam melioraque fata sequamur. Heu non est hominum sic serpere , non rerum artificis cunctarum est ista voluntas, ex limo terrae quum nos creat; praebet at erectos spectemus ut ardua vultus sidera magnipotens ubi stat deus, est ubi vera quies, bona cuncta, fidelia regna, lux ubi deliciae, pax, gaudia. Sit satis ergo humiles terras habitasse. Trahamus ad iucunda magis mentem bona; sordida linquamus loca, Troile, dulce venenum et mellita aloe iam fercula. Inclita summatur virtus et vera sophiae dogmata celsitonans clamat deus, unde datur vobis petere ut valeatis origo flammiferum humanae gentes polum (i). E la sua voce di tratto in tratto si fa pia e venerante. Eccovi un salmo, In nativitate Domini, un ringraziamento per la \rergine che lo ha guarito da un’ infermità, un inno per Maria Maddalena, una vita di S. Sebastiano lunga circa seicento versi e ispirata al Da Varagine. Ma fra una parafrasi biblica e una preghiera alla Madonna rugge il giambo, feroce; fra l’elegia dolorosa e Γ epistola didattica s’appunta l’epigramma salace. Certi suoi carmi per donnine allegre e certe narrazioni di casetti contemporanei farebbero arrossire, a leggerli, un don Giovanni da strapazzo. Proprio non mi sentirei di riportare, nemmeno in latino, il componimento (è già fin troppo il titolo!) « De rustico cui abscissa a meretrice fuerunt virilia »; e gli scherzi a Roscio. per insegnargli i furti d’ amore, e le proposte manifestate a un tal Lorenzo, che davvero non vi fa una bella (i) Ad Troilum Filicinum discipulum suum. — 195 — figura. Ouando poi scocca i suoi strali contro i detrattori, non ha riguardi di galateo , per nessuno. Uno dei titoli più puliti è questo: « In merdaleos poetas »; e Anton Maria nei versi sottopostigli, si lascia indietro, e d’assai, il famoso epigramma di Catullo sugli annali di Volusio. E ricorre allora a mille artificj formali; fa acrostici esterni o interni, allite razioni a mo’ dei provenzali, enigmi. Sadoch lo vitupera ? E lui giù quaranta distici per descrivere le virtù di Sadoch: è stolto, smemorato, beone, freddo, falso, satiro, pederasta; ha le gambe pelose, le unghie nere, gli occhi marci, l’alito fetido, il corpo macerato di sudore caprino. Tralascio molto, per rispetto di chi mi legge: Nobilis es, Sadoch; sed non cognosceris. Ergo scribo animi dotes et bona scribo tui, Tu rudis et demens nec te dementior ille stultitiam Brutus qui simulavit, erat. Immemor es, quoniam nescis mandata referre; iusserit hoc aliquis tu tamen istud ages. Frigidus et mendax et summa fraude notandus. Eripiunt sensus dulcia vina tuos. Nocte die sequeris pueros tenerasque puellas, invidus et semper desidiosus homo. Haec bona sunt animi. Quae sint in corpore dicam, Semper inest naso maxima crusta tuo. Labra madent pectusque simul, rubigine dentes sunt pleni; medio gibbus in ore sedet. Est caput archadicum; stillantia lumina semper; sunt tibi perdurae, crassaque crura, manus. Ursorum portas ungues aut more leonum quis latet in nigris sarcina magna fimi. Pes quoque coenosi non sordidus invidet ungui, florerent hoc nam semina sparsa loco. Et tibi quod peius semper gravis halitus aegris faucibus exuberat putreque corpus olet. Haec tua nam virtus cunctis laudanda et ubique. I; nunc dic laudes omnibus ipse tuas (i). Del resto il libro risponde perfettamente al titolo di Miscella, messovi « ut scilicet diversi generis, diversae (i) /V virtutibus Sadoch. — 196 — materiei diversaeque qualitatis scripta caperet » : disparatissimi infatti vi sono i metri, che vanno dal distico pesante e maestoso ali* endecasillabo snello e al ferecrateo guizzante; disparatissimi gli argomenti, che dal cielo e dalle corti angeliche scendono nei postriboli fra le bagascie, dai trionfi epicamente intonati ai resoconti dei più futili fatterelli della vita cotidiana: disparatissimi i modelli riconoscibili, e cioè Orazio, Catullo, Tibullo, Lucano, Stazio, Virgilio. Tutti gli epigrammi ove il poeta parla di sè, dichiarandosi contento delle gioie poetiche, mentre il cacciatore tenta l’ardue cime dei monti, il guerriero calca la polve di Marte, il mercadante solca le infide vie dei mari , fanno capo all’oraziano: Mecenas atavis. L’apparizione d’Antonia a Gian Domenico Carzola ricorda quella di Creusa e di Didone ad Enea. Il catulliano Lugete, l Teneres Cupidinesque si trasforma, sulla sua lira, in Flètè, pii iuvenes ten eraeque puellae. L’ovidiano Argenti bifores radiabant lumine valvae diventa Sidera adhuc totum radiabant lumine coelum. E l’enumerazione e la descrizione dei serpenti trovati in un pozzo da un malcapitato che v’ era sceso, son ricalcate su quelle del libro terzo delle Georgiche ; potrei continuare , eh’ io non mi fermerei presto. E tutti questi componimenti, descrittivi e lirici, elogistici e denigrativi, faceti e tristi, decenti e indecenti, sono a bella posta stampati senz’ ordine alcuno, nè formale nè logico nè cronologico. Una bizzarria insomma, un’originalità, come tante altre forse, di questo strano tipo ; che non si spiega se non pensando ch’egli abbia voluto beneficare i posteri del più piccolo suo verso, quasi dal cervello non gli sprizzassero che gemme, destinate a brillare eternamente intorno alla memoria del suo nome; un'originalità, condita e imbandita con tanto sale da far talvolta ripugnanza al palato; anzi più che con sale, se mi si permette di star nella metafora, dirò con pepe addirittura. Ne scapitava certo la lingua, che, per l’imperizia del giovane artefice e la leggerezza dei soggetti, accoglieva, senza molti scrupoli, neologismi e parole grossolane o volgari materialmente latinizzate. Negli epigrammi lo stile sciatto — 197 — o duro non stuona, a dir la verità; stuona bensì nei poemetti, negl’ inni, negli epipompattica , nelle elegie. E certi slanci giovanili, per affievolirsi in eterne ripetizioni d’ emistichi o di versi, dànno nello scolastico e nel manierato; e certi ondeggiamenti sentimentali e alcune dolci reminiscenze della patria lontana, sanno spesso, sul più bello, di villanesco. Basso latino quello del Visdomini, ha sentenziato il Tiraboschi; e non a torto. Nè la mitologia vi manca. Lo stesso carme per San Sebastiano n’ è zeppo, quantunque l’esordio preludii. con singoiar somiglianza, all’invocazione del Tasso : Militìs arma tui canimus caelestia dona victricesque manus et partam funere palmam. Aitisonans igitur deus aspirato favorem jam non a multis Elychona colentibus altum expecto. Tribuant aliis hae vatibus; at tu, vere poli rector terraeque marisque, benignum ingenium concede mihi; non ficta referre est animus, sed enim totum diffusa per orbem. In quanto poi al suo frequente turpiloquio, non proveremo meraviglia di sorta. Lo studio dei classici aveva in tal modo reso famigliare l’orecchio dei quattrocentisti con gli argomenti lubrici che all’ intento artistico poteasi liberamente subordinare quello gnomico; anzi, non si riusciva quasi più a imitare un’ elegia di Tibullo e una satira d’O-razio, senza intrudervi certi fiori tutt’ altro che olezzanti, ond’essi avean cosparso le pendici del Pindo. E’ fenomeno, questo, che tutti conoscono e tutti comprendono, riguardando alle tendenze al carattere de’ tempi. Poetavano allora il Panormita e il Pontano ; e basti ciò dire. L’ anima purissima di Ginevra non si sarà dunque offuscata alla lettura della proteiforme Miscella; nè pur l’austerità cattedratica del giovane maestro sarà stata compromessa da quella pubblicazione. E neppur strana ci apparirà la dedica ad Antonio Galeazzo , un reverendo arcidiacono, — persona, che, per 1’ ufficio pubblico e lo stato ecclesiastico, s’ha da ritenere delle più serie — quando, indi a non molto, tro-viam sulle scene la nota commedia del Bibiena. Del resto — i gS — il poeta, accomiatandosi dal libretto , non si mostra dubbioso della sua candidezza morale ; esso, a quel eh’ egli canta, sarebbe onestissimo; tutt’al più, in alcuni punti, sollazzevole : Quandocumque cupis volitare per ora virorum, vade, sed haec memori pectore dicta tene. Esto pius, supplex, facilis, iucundus, honestis moribus et positis esto superciliis. Invidia careas ; sis versu et mente pudicus; praeterea longis auribus, ore brevi. E taccio delle lodi poetiche , rivolte al libro stesso dal Savioli (i) e dal Cimerio (2) (tutti hanno da impararvi qualcosa — essi affermano — e specialmente i giovani), che, inserite come sono fra gli epigrammi di Anton Maria, sembran vergate per mero complimento, senza nozione alcuna degli argomenti cui si riferiscono. Il poema ad esaltazione della patria, vagheggiato fra le angustie economiche della vita studentesca, non fu mai composto; a meno che non s’abbia da ravvisarlo nel carme ad Aspasia, ove, effettivamente, il poeta canta le favolose origini di Arcola e dei paesi circonvicini. E’ questo, ripeto, 1’ unico tra i suoi componimenti che meriti qualche considerazione. Negli altri egli non ha redato nulla della bellezza antica; epperò alla poesia umanistica non ha contribuito che futilmente e scarsamente. Francesco Luigi Mannucci. APPENDICE I. BIBLIOGRAFIA. I. Miscella Anloniimariae visdomini. Un opuscolo in 40, di bel carattere gotico. Dopo il frontispizio, che reca solo il titolo e il nome dell’autore, sta la lettera dedicatoria ad Anton Galeazzo Bentivoglio: Ad reverendissimum Anlonium \ Ga- (1) Vincentii Saivioli de hoc bonum carmen, nella stessa Miscella. (2) Karoli Cimerii bonum carmen in miscellam, ibidem. — 199 — leacium Bentivolum vetustissimi Bononiensis studij Archi | diaconum dignissimum Antoni j Mariae Visdomini Epistola. Le prime quattro pagine hanno la numerazione al basso, in numeri arabi crucesignati ; le altre ne mancano affatto. In fondo trovansi le correzioni, il registro e le seguenti indicazioni tipografiche: « Bononiae impressum accuratissime per Platonem de Be?iedictis. Anno Domini. M.cccc.Ixxxxij. Regnante inclito principe Johanne Bentivolo secundo pacis et concot diae auctore ». Dà ragguagliata notizia di quest’edizione, magnificandola, il Codicum saeculo XV impressorum qui in regia Bibliotheca Borbonia adserva?ilur Catalogus, Neapolis, Ex regiaTypographia, MDCCCXXVIII. Le didascalie delle poesie, spesso non sono distanziate sufficientemente dai vari componimenti. Oltre alla lettera dedicatoria ad Anton Ga leazzo, altre se ne trovano qua e là intercalate: Ad eundem (A. Gal. Bent.); Antonius Maria Vicedominus domino Pyrrhamo Pepulo Bononiensi Salutem plurimam dicit — E domo Magnificae Diamantis . . . Idibus octobris. M.cccc.Ixxxx.; Ad nobilem ac eruditum iuvenem dominum Andream Berlizonum veronensem Antoni] Mariae visdomini Epistola. — E domo Magnif. Diamantis... quarto nonas novembris. Mcccclxxxxij.; Ad convivas pro troilo filicino discipulo suo. I componimenti si chiudono con questa preghiera dell’autore: « Explicit miscella Antonijmariae Visdomini: qui orat te o candide lector ut veniam sibi prestes si in ea quid minus politum vel erratum inveneris, recordare enim omnes nos non omnia posse: et bonum quandoque home-rum dormitare ». II. Statuta et decreta communis Genuae | quaequam ordinatissime dili-gentissi I me et castigatissime ad communem \ cunctorum Genuensium utilità I tem nec non voluptatem im | pressa sint liquido pate \ bit legentibus. In foglio. Precedono il testo degli Statuti sei fogli η. n., contenenti il titolo e due epigrammi latini: Antonii Mariae Visdomini car | vien ad librum; Eiusdem Antonii ad lectorem carmen (f. i recto); inoltre la lettera dedicatoria Illustribus et excelsis principibus domi | no Augustino ducali Genuensium gu | bernatori et domino Ioanni armo | rum capitaneo Adurnis fratri | bus Antonius Maria Visdomi | nus salutem et felicita | tem con l’indicazione: Bononiae ex nostro Gurgustiolo Quarto Nonas IVLII. M. CCCC.LXXXXVIII; e Verrata-corrige: « Cognosce Lector in hac epistola duo menda Librarii Incuria commissa: primum Circa eius principium pro Potentatum principatum-que impressit Potentatui principatuique. secundum est defectu unius Litterae in Graeco prouerbio. Vbi. t. Littera greca in' primo eius uerbo deest » (foglio i verso — 4 recto); infine l’epigramma Eiusdem Antonii Mariae Visdomini ad Genuam Saphycus Endecasyllabus (foglio 4 recto) e le Tabulae dei quattro libri degli Statuti (foglio 4 verso — 6 verso). II testo degli Statuti va dal foglio i r. n. al t. S7 v. n; in quest’ultimo leggonsi le parole: « Finis — Capitulorum Ordinameli- torum & Statutorum Ciuilium Coni unis Ianuae Liber quartus Sz ultimus Foeliciter explicit. Vale qui legeris ». — Dopo due pagine bianche seguono i capitoli criminali: « De accusationibus & denuntiationibus & qui accusare & denuntiare teneantur. Capitula seu ordinamenta crimina | lia Comunis Ianuae foeliciter | incipiunt » (f. i recto — 29 recto). In fondo: « Explicit Optimi & Maximi Dei Gratia Statutorum Capitulorum ordinamentorum & Decretorum Comunis Genuae tam Ciuilium quam Criminalium Sacro Sanctum Volumen omnibus saltem Genuensibus & sub Genuensium ditione et Iurisdictione Victantibus & Victurientibus Vtilissimum & oppido quam necessarium. Impressum Bononiae ad publicam omnium Vtilitatem opera studio diligentia & impensa non modica Antonii Mariae Visdomini de Arcula Genuensi Municipio dum ibidem mansuetioribus Studiis operam impenderet ab Caligula Bazalerio Cive Bononiensi diligentissimo & accuratissimo Impressore. In ibi rempublicam administrante Illustri Principe domino Ioanne Bentivolo Secondo Genuae autem Illustribus Dominis Augustino & Ioanne Adurnis Fratribus Concorditer & Unanimiter benemerito regnantibus Currente Anno natiuitatis Domini. M.CCCC.LXXXXVIII. Pridie Kalendas Quintiles ». Il volume si chiude con la Tabula (f. 29 v. e 30 r.), preceduta da un errata-corrige. III. Statuta & Decreta | Communis | Genuae, | quae quam ordinatis-simà, I diligentissime, | et castigatissimè | ad communem cunctorum | Genuensium utilitatem, | nec non voluptatem impressa sint, | liquidò patebit legentibus. | Venetiis, Apud Dominicum Nicolinum, MDLXVII. In 40, di pp. 1-160, più una bianca in fondo e ventidue n. n. in principio, contenenti la lettera dedicatoria e i tre epigrammi latini di Anton Maria. In fondo son ripetute l’impresa e le indicazioni tipografiche. IV. Regula composta per il Beato Hieronymo ! E data ad Eustachio | Dove se Insiegna el modo e lavia | che tenere debiano le Sore nel suo vivere. È ricordata nel catalogo citato delle opere del sec. XV, con le parole: « Editio rarissima et paucissimis Bibliographis cognita ». Il titolo è stampato sul primo foglio, in mezzo. Segue una lettera : Antonio Maria Visdomino a la chiarissima e dilleclissima Magdale?ia sua sore del tertio ordine de Sancto Domenico Salute nel Signore. In Bologna adì XXIII de Decembre MCCCCLXXXXIIII; la qual lettera termina al foglio quarto, recto; poi ib: Prologo in la Regula come vivere debiano le Sanctimoniale 1 La quale inscripse el Beato Hieronymo za vechio I ad Eustachio et ale altre vergine | e disiinxela in Capituli e infine, al foglio quinto, verso, il principio dell’opera: I?icomencia7io li capituli sopra la Regula ecc. — In calce: « Finisse la utile e santa Regula del beato Hyeronymo cum la Epistola continente la vita di Asella uergine uulgareggiala per Antonio Visdomino; Ediligentemente - 201 - Impressa in Bologna per lo accuratis sii no impressore Caligula de Bacalerà Citadino Bolognese regnante lo illustrio Signore Meser Ioanne Secondo de Bentivoglio auctore e Conservatore de la pace e Concordia: a di XXyiii de Martio. MCCCCLXXXXylII. In 40, s. n. di p. — Quest’opera è citata anche dal Paltoni (Biblioteca degli autori greci e latini volgarizzati, Venezia, 1766, to. II, p. 128), che ne vorrebbe ferrarese l’autore. V. Dialogus Antonii Mariae Visdomini de otio et Sibillis — Bononiae, per Caligulam Bazillerium, MDXII, in 40. Citato app. Panzer, Annales Typographici, VI, 1798, p. 327· VI. [Carme ad Aspasia]; ms. Trovasi nel codice intitolato: Poemata D. Augustini Brennutij Iu-risconsulti Clarissimi Civis Lunensis Sarzanetisis, di proprietà dell’avv. Carlo Bernucci (già descritto da A. Neri in Giorn. stor. e lett. della Liguria, V. 1904, p. 336) da a. 51 a 57 verso; e nella copia presso Pavv. Pietro Bologna (Neri, Giorn. cit. p. 367). Ringrazio qui Pavv. Carlo Bernucci che mi ha gentilmente favorito il suo codice per la trascrizione. II. Antonii Mariae de Visdominis poetae Arculani Bononiae laureati. i Forsitan ignoras, Aspasia, dicere nomen et libet et nostra haec mittere scripta manu, quando loqui tecum mihi non licet aut tibi mecum et desideria cuncta referre mei. 5 Forsitan ignoras qui sit qui quaerit amari et fore te solam tempus in omne suam, quod te dificilem potuit fecisse puellam hactenus et miserum me sub amore tuo. 10 Ergo ne pecces tu nescia vel male grata fias, haec, posita nunc gravitate, leges. Finibus in Ligurum locus est ubi nomine Varum Tyrrenum spolians in mare Macra fluit, pene rigans urbis quondam pulcherrima Lunae 15 moenia nunc humili pulverulenta solo. Has cum Sergesto venit Luneius in oras a cuius Luna est nomine dicta viro ; et quam Sergianam vitiato nomine dicunt, 20 Sergestus propria condidit ille manu. Nimirum Idaeis placuit locus esse duobus, Aeneam coelo suscipiente Deum ! Haec magis ambigitur Pallas colat arva Ceresne : 25 appellat terram hanc utraque Diva suam. Giorn. St. e Lett. della Liguria. 14 - 202 — Surgit in acclivo procul Arcula condita colle, Amphitryoniadae nobile fortis opus. Multa procelloso qui passus in aequore, placat Iratam nati Cyprida cede sui. 30 Oppida hic statuens spatio distantia parvo, persolvit Paphiae debita vota Deae. Huic Erycis nomen Venerisque imponitur illi portus et egregio gurgite nomen idem. Arcula sed magno memoratur ab Hercule dicta, 36 debeo cui vitae prima alimenta meae. Haec mihi non humili tribuit de stirpe parentes, sed quibus in patria sunt loca prima sua; qui domini quondam Trebiano iura dedere illustres atavis quique fuere suis. 40 Haec me prima suis manibus genitricis ab alvo excepit natoque ubera prima dedit. Hic mihi sunt gemini fratres totidemque sorores utraque laudato consociata viro. Hic mihi cognati innumeri et numerosa nepotum 45 agmina et immensae conspiciuntur opes ; conspiciuntur agri passim collesque feraces, quos nostro noster vomere cultor arat. Vivit adhuc vivatque diu ditissimus auri patruus accepta religione dati. 50 Sunt aedes possuntque iure Palatia dici, et stant conspicuo rura beata solo. Inde tenillus adhuc supero puer Apenninum et peto Felsineae protinus urbis agros. Haec mihi docta dedit post prima elementa bonorum, 55 si qua animus magno parta labore tenet ; nam mea socratico madefecit pectora cornu et crysippea fruge referta dedit, quae nunc tu crudelis habes, quae dura peruris quae fera dilanias, quae sine fine premis. 60 Qua sit iter docuit celo, quae sidera coeli ; sed mihi tu coelum sidera facta tu mihi es. Heu male tum coelum sum contemplatus et astra cum cecidi in laqueos dura superba tuos ! Haec mihi cum magno tribuit comertia Phebo 65 atque hedera cinxit mi viridante caput. Sola mihi nunc Phebus ades tu sola corymbi : te sine, nil versus Pieridesque valent. Quippe secunda mihi patria est mea Felsina nec iam deterior prima nec mihi grata minus, 70 possum ubi magnifico, curis sine, vivere censu et genio laetus sacrificare meo. - 20.3 — Nullus in urbe manet mihi non iucundus amicus, omnes discessu qui doluere meo. Adde quod immenso me diligit omnis amore, 75 gratia Dis ipsis, Bentivolea domus, quae gaza cunctas et nobilitate decora praestat et immensum nomen in orbe tenet, cui domini, cui sorte duces, cui gloria regum invidet et clarum pontificale iubar. 80 Non est quod timeam subito terrore tumultus inque ipsam armatas bella movere manus. Nam cui nec motus terrae nec fulmina quondam enocuere, cadet diruta marte fero ? Iuppiter eternam statuit. Frustraris, inepta S5 infula, conatus mota per arva tuos. Quod si forte placet populis indicere bellum et dare quod coelo saecula cuncta ferant, cerne canes rabidos sancto latrare sepulchro barbaricasque manus hoc habuisse diu. 90 Quin aquilis potius nobis victricibus illud et cruce coelesti restituisse paras ? Quid iuvat in proprium gladios distringere corpus Tu pete maiori maius honore decus. Heu furor est nimium, furor est hic bella minari, 95 gente fera tumulum diripiente Dei. Sed vagor heu nimium circo progressus ab ipso propositum ; memores iam repetamus opus. Ecce videre potes quis sit quem respuis et quem ut tuus est semper sic velit esse tuus. 100 Non ego difficilis non sum morosus et ille qui soleam instabili semper amare fide. Non sum rixandi, non proditionis amator, quique velim ulcisci criminis acta levis. Dispeream cum non redamatus amavero vel tum 105 cum tulero iratus in tua colla manus. Non ego desertor fuero, non transfuga miles; perpetuo fiam, si patiare, tuus. Sive voles hic me vitam duxisse perennem, hic mihi Dii testes vita perennis erit ; 110 sive voles alio mecum migrare, recessum arbitrio faciet nostra carina tuo. Quod si te data dona movent, ingentia sumes munera ; eris paribus cultior ipsa tuis. Iste tuus formae non iam respondet amictus ; 115 gnatior est auro gemma ligata suo. Incedes spetiem, Pepulo spectante, venustam et: Qua parte Poli — dixerit — ista venit ? ■-»— 204 - Praeterea per nie tibi fama parabitur ingens altaque ducetur nomen in astra tuum. 120 Nec nisi te famamque tuam moresque probandos laudibus eximiis nostra camoena canet. Sive voles de te maternos dicere versus, sive voles veteri scripta latina sono, in laudes mea musa tuas se fundet in omnes ; 125 Incedent numeri per tua facta mei. Est aliquid pro se doctum tenuisse poetam et se supremis eripuisse rogis. Cynthia sic vivit tecumque Corynna Lyconis quamque Catullus habet quasque Tibullus amat; 130 quam canit Euganeis formosam Stella Camaenis, quam celebras tusca, culte Petrarca, lyra. Si forte vestram mihi iam natura dedisset supter ut extanti tinnula ventre foret, mallem ego sortiri docti poemata vatis 135 quam reges avidos corporis esse mei. Si sapitis, tenerae iuvenes, ardete poetis et faciles semper vatibus este piis, qui possunt aeterna suis monumenta parare versibus et vobis non moritura dare. 140 Si sapis (et facto sapias), Aspasia, tu me ardentem parili semper amore fove ; quod si sponte facis nulloque coacta furore, exprimis oblatas nec fugis ipsa faces. Id placet et dignas referam pro munere grates : 145 sentiet ingratum nec mihi gratus amor. Sin minus et rigida perstas procedere fronte meque velis miris dilacerare malis, mira quidem inveniam lybicos motura leones et quae in Carpathio gurgite saxa latent. 150 Crede mihi, nondum calles, insana, quid ipse evaleam, quantum restet in arte mea! Si pretio aut precibus potero non flectere duram aut si profuerit nil mihi longus amor, retia mille locis a me protensa nec artes 155 immunes fugies multiplicesque dolos. Duco vel ducor? Quid horum [nunc] dicere possum, cum mihi iungatur pulcra puella viro ? Ducor sed cupidus ; propria cum sede relicta contulerim in patriam coniugis ipse lares; 160 ast duco ; uxorem mihi cum tecta locata inducam. Ducam, ducar an, ipsa refer. Ivi, permansi, redii; quae sit fortuna secuta quaeris; multa tuli, plura dedi; nihil est. f" — 205 — VERSIONE Di A rito n Maria Visdomini poeta Arcolano laureato a Bologna. i Forse tu il nome mio dir non sapresti, Aspasia ; eppur m’ aggrada oggi inviarti f questo dalla mia man carme vergato, quando ch’io teco parli e che tu meco 5 non si consente, nè eh’ io t’ apra tutti i desiderj miei. Forse tu ignori chi d’amor ti scongiura e ti vorrebbe in ogni tempo sua, te solamente ; e che ti rese mai bimba sì schiva 10 finora, e me sì sventurato sotto 1’ amor tuo. Ma, perchè tu più non debba per l’innanzi peccar nè mi ti faccia vieppiù malgrata, questi versi miei, deposto ogni riserbo, or dunque leggi. 15 Fra le liguri terre è un luogo dove entro al Tirreno mar scende la Magra privando il Varo del suo nome, e appena irrigando le mura un giorno eccelse di Luni, eh’ or pulverulente stanno 20 sprofondate nel suolo. A queste sponde 1 venne Luneio con Sergesto e diede a Luni il nome; e quella che con voce deturpata ora chiamano Sergiana, fondò Sergesto di sua propria mano. 25 Certo ai due Frigi piacque il sito, mentre era il cielo propizio al divo Enea ! Contendesi se Pallade frequenti più questi campi o Cerere ; ma sua questa terra le dee vogliono entrambe. 30 Lungi su acclive colle Arcola sorge, nobil opra del forte Anfitrioniade, che, per turbato mar molti travagli sofferendo, placò Cipria adirata della morte del figlio ; e qui fondando 35 due castelli vicini, alla dea sciolse di Pafo il voto onde vivea costretto. Erice e Portovenere nomarsi, sì come 1’ ammirabil golfo. È fama tuttavia che dal grand’Èrcole avesse 40 Arcola nome, cui della mia vita Y origin devo. M’assegnò costei - 2o6 - di non umile stirpe genitori eh’ ora in patria primeggiano e che furo dominatori un tempo di Trebiano 46 e per d’ atavi lungo ordine illustri. Essa m’ accolse pria dal matern’ alvo con sue mani e a me bimbo il seno offerse. Mi son qui due fratelli e tante ancora sorelle, entrambe a nobil sposo unite, 50 e innumeri parenti e di nipoti numerose caterve e assai ricchezze. Vedonsi qua e là campi e feraci colli che il villan nostro ara col nostro vomere. Vive e a lungo viva il caro 55 zio, ricchissimo d’ or che la prescelta religion gli diè. Sorgono case (inver palazzi potrian dirsi) e appresso stendonsi ville d’ ubertà festanti. Indi fanciullo ancor dell’ Appennino 60 valico i gioghi e a Felsina mi reco. Questa ai principi m’ avviò del bene, se pur qualcosa 1’ animo conserva a fatica stillata ; e tutto intrise di socratico acume il petto mio 65 e 1’ infarcì di frutti crisippei : il petto che tu tieni aspera, abbruci dura e fiera dilani e opprimi sempre ! Le vie celesti e le celesti stelle ella m’ apprese ; ma il mio ciel tu sei 70 oramai divenuta e la mia stella. Mal contemplai le stelle e il cielo, quando caddi, o superba e dura, nei tuoi lacci ! Del gran Febo m’ offerse ella i colloqui e il capo mio di verd’ edera cinse ; 75 tu sola or Febo sei, 1’ edera sei per me tu sola ; e, senza te, i miei versi e le Pierie Muse un nulla sono. Felsina m’è perciò patria seconda, nè peggior della prima o meno cara ; 80 ove, sciolto da cure, io viver posso di magnifico censo e al genio mio sacrificar contento; ove non trovo che benevoli amici, i quali tutti pel mio partir si dolsero veraci. 85 M? ama d’immenso amor (questo pur anco aggiungerai), grazie agli Dei, la casa dei Bentivoglio, che fra l’altre sempre - 207 - di nobiltà e ricchezze esce superba e col suo nome occupa il mondo; e a cui 90 potenti ovunque, sorteggiati duci, re per gloria famosi e la smagliante luce pontificai portano invidia. Non temerò con subito terrore che le nasca tumulto o fiere guerre 95 muovan contro di lei popoli armati. Vinta potria cader questa in battaglia, se terremoti e folgori giammai no ci mento le dièr ? Giove la volle incrollabile sempre ! E tenti invano, 100 infula inetta, pe’ commossi campi i colpi tuoi ! Che se intimar ti piace guerra ai popoli e compiere un’ impresa che in ogni etade s’ alzerà alle stelle, rabidi cani odi latrar sul santo T05 sepolcro ornai da lungo tempo preda di barbariche mani ! E che piuttosto non cerchi a noi con l’aquile vittrici e il favor della croce, ridonarlo? A che giova impugnar la spada contro ito il proprio petto? Onor più grande ambisci! Insania, orrenda insania è la minaccia d’aspre contese qui, mentre distrugge il tumulo di Dio barbara gente ! Ma troppo certo io mi ritrassi, lungi 115 dal proposito mio; torniamo al punto. Eccoti ormai chi tu respingi e tuo sempre, com’ei si sente, esser vorrebbe. Non son grave o protervo o tal che ognora con instabile fede io voglia amare ; 120 non desidero risse o tradimenti nè di futili offese amo vendette. Possa morir, se, amato, in non amassi, o adirato levassi in te la mano ! Nè io diserterò, se avrai costanza 125 di sofferirmi, come vii soldato. Se tu vuoi che per sempre io qui mi viva, qui — n’attesto gli dei ! — sempre avrò stanza; e, se altrove vorrai meco emigrare, vada ad arbitrio tuo la nostra nave. 130 Se i miei doni ti piacciono, più belli per 1’innanzi n’avrai; sarai più adorna delle tue pari. Alla bellezza tua --2θδ - Più non risponde ornai questa tua veste, chè più cara è la gemma incastonata 135 nell’ oro suo. Del Pepulo allo sguardo tutta leggiadra incederai., — Da quale parte del cielo, ei chiederà, costei ne venne ? — Ed anco, imperitura fama t’appresterà il mio carme e il nome tuo 140 esaltato n’andrà sino alle stelle. Non canterà la musa mia che lodi per la tua fama e i tuoi costumi eletti. Sia che tu voglia nel sermon materno sia che in latino metro i carmi miei, 145 ridirà la mia musa ogni tua lode, canteranno i miei versi ogni tuo pregio. Certo poco non è tenersi un dotto poeta al proprio vanto, e il rogo estremo fuggir ! Così Cinzia vive e teco 150 vive Corinna di Licone e quella eh’ ebbe Catullo e la gentil che tanto Tibullo amava e la donna che Stella esaltò bella sugli Euganei colli, e colei che tu al mondo celebrasti, 155 dotto Petrarca, con toscana lira. Che se natura mai dato m’avesse la vostra e tal che dal capace ventre armoniosa risonasse, certo preferirei sortir d’ abile vate 160 il canto che di regi esser desìo ! Se fior di senno, o giovinette, è in voi, v’ arda il cuor pe’ poeti e ognor vi piaccia ai verecondi vati esser benigne, che possono apprestar co’ versi loro 165 eterna ricordanza e offrirvi doni » non morituri. S’ hai tal senno (e il mostra coi fatti) tu me ardente ama d’ardente amore, Aspasia. Che se tu, non mossa ciò farai da pazzia, ma per te sola, 170 porgimi, e non fuggir, le belle labbra. Sarò felice e renderò pel dono debite grazie, nè un amor sì caro vorrà d’ingratitudine macchiarsi. Altrimenti, se insisti con proterva 175 fronte a venirmi ancor dinnanzi e vuoi di terribili mali esacerbarmi, io troverò maravigliosi accenti, - 209 - che i sassi ascosi nel carpazio gorgo muover potranno e i libici leoni. iSo Sciagurata, non sai, credimi, quanto io valga e quanto resti ancor dell’ arti ond’ ho i segreti ! Se con oro e preci te non potrò piegare o se mai vano mi sarà il lungo amore, in mille luoghi 185 io tenderò i miei lacci; nè potrai dai molteplici inganni uscire immune ! Teco verrò ? Verrai tu meco ? Come rispondere potrò, quando s’ unisca a me sì bella giovinetta? Teco 190 verrei bramoso, chè Γ avita sede già da tempo lasciai, recando i lari nella tua patria. Ma tu meco invece abbia a venir? Ti condurrò consorte in già pronta magion. S* io debba teco 195 o tu meco venire, or tu decidi. Andai, rimasi, ritornai. Qual sorte m’è toccata, or tu cerca. Io molto dissi e ancor più diedi : e tutto questo è nulla. NOTE. V. 17 — Varo: torrente che scende dal colle di Cento Croci e si getta nella Magra tra Vezzano e Caprigliola, a dieci chilometri circa dalla foce. Oggi Vara. V. 25 — Bonaventura De Rossi, nella sua Collectanea copiosissima di memorie e notizie istoriche con grati tempo e fatica dessonte... da moltissime scrittore ed istorie.,, per seriamente descrivere V istoria e successi tanto della città di Luni quanta di Sarzana..., ms. della Bibl. Comunale di Sarzana, p. 269 , cita il passo ove Anton Maria riferisce a Luneio e Sergesto la fondazione di Luni e Sergiana — deturpato, quest’ultimo nome, dovendo essere da Sergesto Sergestana , — e conchiude ccl dire che tale origine « ha più del poetico e del favoloso che d'altro ». V. 26 — Anche Sarzana risalirebbe dunque al tempo di Enea, secondo le aspirazioni di molte altre città nell’alto e nel basso medioevo. Tanto per non esser da meno di Roma ! Vv. 30-40 — Il passo non sfuggì all’Oldoini, che, descrivendo wé\YAthenaeum Ligusticum, seu Syllabus scriptorum ligurum nec non sarzanen-sium ac cyrnensium Reipublicae Genuensis subditorum (Perusiae, ex typ. Episcopali ap. HH. Laurentii Ciani et Fr. Desiderium MDCLXXX, p. 16) i confini della Liguria, dice: « Arcola pagus 111 Promontorio Lunensi ab Hercule dictus, ut refert Antonius Maria Visdomini in carminibus: Arcula sed magno memoratur ab Hercule dicta. Alii Arculam dicta volunt ab arcu quod prope insigne gerit ». Il De Rossi (op. cit., p. 116) trova opportunissimi i versi del Visdomini per convalidare la sua opinione che gli antichi abitatori del porto di Luni adorassero Venere: « E questo a mio giudizio è - 210 - derivato dall'antica venerazione che avevano i Gentili di questa nostra Provincia alla Dea Venere, che fu quivi sopra d’ogni altro nume tenuta in devozione grandissima, parendo che questa opinione non sia tanto inverosimile dal vedersi tuttavia che anco ai giorni nostri col nome di quella falsa dea si nominano alcuni luoghi del Porto lunese, come Porto Venere in capo al golfo.....; e similmente il porto di Erice detto dai moderni corrottamente Lerice da Ericina nel recesso più settentrionale del medesimo seno , cosi nominandolo Tolomeo per avventura da Venere Ericina, e per lo tempio di Erice di lei figliuolo ucciso da Ercole che in questo porto o sia golfo già stava situalo a somiglianza... di quello ch’ebbe lo stesso in Sicilia contiguo alla citta di Segesta, lo che chiaramente conferma Antonio Maria Visdo-mini nella sua epistola... diretta da esso ad Aspasia e neirethimologia del nome d’Arcola di lui Patria ». Per il valore di queste testimonianze e in generale per le varie opinioni, più o meno strampalate, che gli antichi scrittori ci tramandarono sull’origine delle città lunigianesi, non faccio che rimandare al lavoro dello Sforza, Gli studi archeologici nella Litnigiàna e i suoi scavi dal 1442 al iSoo, pubbl. in Atti e memorie della R. Dep. di Si. Pai. per le proi>. modenesi, vol. VU, S. IV, 1865. Traducendo, ho lasciato la parola Erice per indicare il nome d’ una delle due città votive (verso 37). In quanto al nome del golfo, ho lasciato dubbio il senso, coni'è nel testo, senza determinare se si chiamava golfo di Erice o golfo di Por-tovenere; e anche in modo che possa intendersi coi due nomi, cioè golfo di Erice dalla parte di Lerici e golfo di Portovenere dall’altra, come pare sia realmente stato. L’Anfitrioniade non è che Ercole, figliastro d'Anfitrione. V. 44 — Qui siamo sul sodo. Rimando ancora al luogo citato del recente lavoro del Poggi, Lerici e il suo castello. V. 60 — Bologna. V. 86 — Forse il poeta scriveva da qualche villa. V. 103 —· Il 29 maggio 1453 Maometto II s'impossessava di Costantinopoli, capitale dell'Impero d’Oriente. Questo fatto riuscì talmente disastroso per la Cristianità che i papi stimaron conveniente levar subito la croce per bandire una nuova crociata. Purtroppo i principi non si mossero. Solo poche navi, raccolte fra le repubbliche, veleggiarono alla conquista, ma senza riuscirvi. L’argomento di grande attualità suggerisce al poeta 1* ispirata digressione. V. 152 — Aurunzio Stella, l’amico di Stazio e di Marziale. Cantò elegie amorose, come Catullo e Tibullo. VARIETÀ LA PESTE IN VAL POLCEVERA NEGLI ANNI 15791580. Intorno alla crudele pestilenza che desolò tutta la Liguria negli anni 1579-1580, gli scrittori di cose genovesi non ci danno che scarse e non sempre esatte notizie , riguardanti quasi esclusivamente la citta, mentre ci lasciano - 2 11 - affatto all’oscuro per quanto si riferisce alle Valli ed altri luoghi circostanti (i). Ora una quantità di documenti che abbiamo ricavato dall’Archivio di Stato ed altrove, serviranno a portare un po’ di luce su quell’ oscuro punto di storia, e a colmare in parte quella lacuna che finora si deplorava negli annali della più terribile pestilenza che abbia desolato le nostre contrade nel secolo XVI. Prima di apparire in Liguria quella pestilenza avea fatto, si può dire, il giro dell’Europa, e particolarmente desolata l’Italia. A Trento si era manifestata fino dall’anno 1574, a Palermo, Messina ed altre città della Sicilia, nel 1575; nel 1576 e 1577 si diffuse in tutti i paesi dell’Italia settentrionale, e nel 1578 faceva il primo ingresso nella nostra Liguria, dove avvenivano vari casi nel borgo di Savignone. Però per quell’anno la vigile oculatezza e la pronta energia di cui diede prova il governo di Genova, riuscì a tenerla lontana da questa città e luoghi circostanti; ma l’anno seguente nessuna precauzione fu sufficiente, e nella primavera la peste era in mezzo a noi. La prima traccia apparve in Pontedecimo, dove si trovarono infette due case, senza che si potesse sapere come vi fosse penetrata. Si fecero mille supposizioni: divulgossi la fama che un passeggero che erasi veduto aprire certe valigie in cui teneva pannilini, avesse dato principio alla diffusione del morbo. Altri dicevano che questo era stato portato dagli Spagnuoli, che l’anno precedente, reduci dalla Sicilia con D. Giovanni d’Austria, erano sbarcati a Voltri ed aveano attraversata la Valle Polcevera indirizzati a Milano ; le febbri pestilenziali da essi communicate agli abitanti si sarebbero poi coi calori della stagione sviluppate. Alcuni credevano che i venti australi in quell’anno stati più che mai gagliardi cagionassero quella putrefazione nei corpi, che poi produceva la peste ; ma altri non indugiarono a riscontrare i propagatori del morbo , gli untori, in quei tre malcapitati forestieri che si erano trattenuti nella Polcevera i giorni in- (1) Vedi: Casoni, Annali della Repubblica di Genova, anno 1579; Corradi A., Annali delle epidemie occorse in ί/alia, Vol. I, anno 1579, Vol. II, anno 1580; Schiaffino, Armali, ms., anno 1580; Accinelli , Compendio delle Storie di Genova, anno 1579; P. Aurelio, Chronologia urbis Genuae; Noris, La peste in Genova negli anni 1579-15S0. Però il Casoni ed il Corradi danno anche qualche cenno relativo alla Polcevera. nanzi in cerca di salamandre per Γ alchimia. Essi quindi furono ricercati, incarcerati, e sottoposti a rigido esame sotto Γ imputazione di aver portata la peste in casa dell’oste che gli avea alloggiati; ma non riscontrandosi in essi alcun indizio di prova , furono rilasciati. Non così però se la cavarono in Piemonte , dove il Duca credendoli realmente untori e propagatori del morbo, li fece impiccare (i). Da Pontedecimo la peste si communicò ad altri luoghi della Polcevera, e sappiamo che essa nel mese di agosto già serpeggiava in varie parrocchie, e alla fine di ottobre non era ancora totalmente scomparsa dalla Valle. Quindi rUfficio di Sanità con decreti del 17 e 18 agosto vietava il commercio tra la Polcevera e i luoghi circostanti, come pure qualsiasi comunicazione tra villa e villa della stessa Valle; erano però eccettuati Sampierdarena e Cornigliano (2). Lo stesso divieto veniva prorogato il 3 ottobre perdurando tuttora il pericolo ; e un’ altra volta ancora dal 20 ottobre al 4 novembre, benché questa volta mitigato per le località di Pino, Casanova, S. Olcese, Vicomorazzo, Crocetta d’Orerò, Paravanico, Torbi, Incisa, Bolzaneto, Geminiano, Brasile e tutta la regione da Bolzaneto al mare, dove la peste pare che non fosse penetrata. Ecco il testo di quest’ultimo decreto: « Conoscendo non esser sicuro il consentir la praticha alla Valle di Polcevera per li accidenti di peste in quella seguiti ma si bene alargar la mano a quelle ville che sono a torno dove non è stato male le quali si son sempre preservate. Perciò terminando hoggi il tempo prefisso dall’ultima prorogazione fatta dalla sospensione, nei modi termini et forme contenti in le precedenti publicationi et sotto le pene in esse espresse.... si rinnova la proroga per tutto il quatro del futuro mese di Novembre con 1’ esclusione infrascritte cioè le Ville de Pino, Casanova, S.to Urcese, Vi-gomorasso, Crocetta di Orerò, Bolzanetto, Zemignano, bra-zelle, S.t0 Martino, torbi et lenciza, le quali habbino le me-desme habilità et goldino quelle concessioni che si consentono et hanno le altre ville situate da S.t0 rancesco a basso verso la marina a’ qualli da SS.1*1 Conservatori res- (1) Cf. Casoni, Op. cit., e Corradi, vol. II, 1. c. (2) Archivio Municip. di Voltri, Criminali, filza 1579. — 213 — sidenti in quella Valle le sarà sotto i debiti mezi datta la dovuta comodità, i qualli hanno ancho facoltà conceder il comercio per la città ai cappi di casa di tutte le ville stesse, agli uomini solamente in quelle case dove ne seranno, et dove non ne fossero, alle donne cioè ai cappi di casa con le loro bollete giustificate in le quali sii distinta Γ effiggie statura ettà et contrassegni di coloro ai qualli seranno esse bollete datte. E poiché nei tempi di queste callamità di peste ciascheduno sole nascondere robbe, dal che ne segue che dopo concesso la praticha rinovano casi e si ritorna negli stessi pericoli al che volendo occorrere mandamo che ciascheduno sii che si voglia che havesse nascosto o consentito sciente de qualsivoglia robba che procedessi da luoghi o case sospette o infette e lo manifestasse che le sarà perdonato, anchorche fossero statte rubate della pena in che fossero incorsi per il furto, permettendoli anche il pagamento o de restituirli il predo di esse mentre che siano manifestate fra il termine di tre giorni..... » altrimenti saranno puniti, (i) Dopo questo decreto non troviamo altro cenno della peste in quell’ anno, e possiamo ritenere che essa cessasse affatto coll’ avvicinarsi della fredda stagione ; ma non cessava che per ritornare più violenta e terribile nel seguente anno 1580, del quale passiamo a trattare più diffusamente (2). Non essendo molto conosciuta 1’ indole e la natura di quel morbo, crediamo opportuno farne qui un cenno riferendoci a quanto ne scrissero autori dell’ epoca. Feliciano Betera parlando della peste scoppiata in Brescia, la quale certamente non dovette essere diversa da quella della Liguria , ci dice che essa assaliva talvolta improvvisamente senz’altri prodromi, con febbre ardente , a cui seguivano (1) Ivi 1. c. (2) Nel 1579 la peste menò larga strage nella città di Genova, benché anche in questa abbia infierito assai più neiranno seguente, come si può vedere da molti documenti, e tra gli altri dalle relazioni ufficiali del magistrato della Sanità esistenti nell’Archivio di Stato, sala 69, filza 1886. In ciò non sono esatti i nostri annalisti che assegnano la peste all’ anno 1579, come il Casoni, rAccinelli ed altri. Anche il Corradi, seguendo il Casoni, era incorso in quella inesattezza, ma poscia nel secondo volume, Aggiunte e Correzioni, ha riparato, soggiungendo altri dati all’anno 1580. — 214 — vomiti penosi, singulti violentissimi , fieri dolori di ventre, i quali slatti et cholera, facilmente cagionavano in breve la morte. Dolori e molestie si manifestavano in diverse parti del corpo, seguiti da delirio, convulsioni ed altri nervosi patimenti. Sformavasi la faccia e diveniva cadaverica, con chiazze rosse, verdi e fosche a guisa del piombo. Sul corpo nascevano vescichette che divenivano tosto cancrenose, parotidi , bubboni , carbonchi e antraci , e simili enfiagioni si producevano probabilmente anche nell’ interno del corpo, nei polmoni, nel cervello e nelle fauci. Un ardente calore generavasi sulla pelle e più ancora nell’ interno del corpo. Le labbra divenivano gonfie ed infiammate, la lingua prima risipolata si faceva nera , scabra , sanguinante, e sangue nero stillava pure dalle narici e dalle crepature della pelle. La morte seguiva talvolta quasi improvvisamente, talvolta al secondo giorno, al settimo e raramente al nono. Per coloro che scampavano alla morte, la convalescenza era assai lunga; cadevano i capelli, inde-bolivasi la memoria , e restava un largo residuo di dolori periodici nelle parti più colpite (i). Le descrizioni che fanno altri scrittori della peste di altre città non differiscono sostanzialmente da questa (2). Al primo apparire del terribile morbo in Valle Polcevera, le autorità presero tutti quei provvedimenti che credevano più acconci al bisogno. Furono inviati Commissarii di Sanità Alessandro Calvo in Valle Secca , e Ambrogio Lomellini nelle regioni di Borzoli e della bassa Polcevera, con pienezza di autorità, e con buon numero di guardie e soldati, infermieri e becchini , per provvedere ad ogni occorrenza. Essi perlustravano ogni luogo, assumevano informazioni da ogni parte, e appena scoperto qualche caso di peste facevano trasportare gli infetti al Lazzaretto , se pure, come avveniva talvolta , non li facevano curare con (1) Betera Feliciani , De cunctis immani cordis affectibus , Brixiae, 1591; e dello stesso, Noctium Brixianarum de igne pestilenti, gallico, venefico, malignitate , feritate , cacurgia , veneno , corruptione , putredine, Jermenlalionc, putredinis pestilentis forma, Brixiae, 1601. Vedi pure M assaria Allessano., Pratica medica: De Peste, Venetiis, 1618; Marinelli Io., De peste ac pestilenti contagio, Venetiis, 1577. Altri autori vedi in copiosa bibliografia citata dal Corradi, Vol. I, Farte II, pp. 230-278. (2) Vedi nota precedente. ogni diligenza da infermieri, e sorvegliare da guardie a domicilio. In questo caso curavano pure di far purgare e disinfettare le vesti, le masserizie e la casa stessa degli appestati. Anzi in qualche caso di maggior infezione facevano a dirittura abbruciare la casa, come fece il Commissario a S. Olcese il 22 settembre (1). Sopratutto si cercava d’isolare il male, vietando il contatto cogli appestati , intercettando il commercio coi luoghi più infetti ; e a questo fine si erano posti i rastelli o chiudende sulle vie principali per impedire la communicazione fra i vari paesi e centri abitati. Crescendo sempre la violenza del morbo, il 31 a-gosto veniva dato ordine di non lasciar entrare chicchessia nella Valle Polcevera; e il 26 settembre si interdiceva ogni communicazione col villaggio di S. Olcese, dove più che altrove imperversava il contagio. A Pontedecimo si era aperto il lazzaretto , nel quale venivano condotti gli infetti od anche solo sospetti di peste da tutta la Valle. Il g agosto vi si trovavano 325 infermi: ma questo numero dovette aumentare coll’ infierire della peste nel mese successivo. Pur troppo in quell’ albergo di dolore accanto ai più nobili esempi di virtù e di abnegazione, di cui davano prova coloro che si dedicavano all’assistenza degli appestati, non mancavano scene della più brutale perversità da parte specialmente dei becchini, i quali, degni antesignani dei monatti descritti dal Manzoni, per nulla commossi nè dalla immane sciagura che desolava tutta la Valle, nè intimoriti dalle pene gravissime loro minacciate, profittavano della generale confusione che regnava (1) Per il metodo « di purgare le robbe », vedi Diario, 27 settembre. Quanto alla cura da farsi ai poveri appestati, il medico genovese Gio. Ag. Contar do, nell’opuscolo composto espressamente per quella pestilenza, intitolato: Il modo di preservarsi e curarsi dalla peste, consiglia: « si ricorra subito agli fuochi a impiagare le gambe, si promuovano sudori e vomiti, si faccia uso assiduo di teriaca , nitridato , bolo armeno , bezoar, zedoaria d’Avicenna, pillole di Rufo, seme d’edera » ecc.: poi segue a dire della cura preservativa a base di salassi, acqua di betonica, teriaca, polvere di tor-mentilla, rabarbaro, ottimo vino, aloe e mirra Conchiude consigliando le opere di carità, le quali, dice giustamente , sono pur sempre di grande aiuto nelle maggiori calamità, quando non l’unico. — Altri medici si ostinavano a negare l’esistenza della peste, dichiarando superflua ogni precauzione, come Silvestro Facio, che scrisse a questo scopo I Paradossi della pesiile?iza} opera dedicata al principe Gio. Andrea Doria. Nella cura non differiva dal Contardo. V. Corradi, vol. I, p, 269, e vol. II, p. 168 e segg. in quel luogo per commettere furti , rapine ed ogni sorta di delitti in danno dei poveri appestati. Il diario ricorda tra quei beccamorti Giovanni Rodriguez e compagni processati per furto, e Benedetto Boggiano e un tal Ballarino condannati alla forca. Dopo avere infierito tutto il mese di settembre il morbo cominciò a rallentare sul principio di ottobre, ed in seguito andò sempre più diminuendo la strage , finché ai 31 dello stesso mese il bollettino firmato dai Commissari Calvo e Lomellino dichiarava « la Valle di Polcevera essere tutta netta ». Lo stesso affermava la relazione del giorno 4 novembre, e in seguito non si fece più cenno di peste. Il numero complessivo dei morti nella nostra valle non possiamo conoscerlo, perchè il diario che pubblichiamo, oltre ad essere incompleto , il più delle volte non dice se gli infetti di peste siano morti ovvero risanati. Dagli storici genovesi apprendiamo che tra la Riviera di Ponente e la Polcevera ne morirono 50 mila; ma data la grande estensione della Riviera e la orrenda strage che la peste vi menò, possiamo ritenere che quel gran numero di morti appartenga in massima parte alla Riviera stessa e non alla Valle Polcevera. Come nell’ infuriare della peste, Senato e popolo ad una voce aveano implorata dal Cielo la liberazione da un tanto flagello , cosi quando questo fu allontanato, resero le dovute grazie, e in adempimento del voto fatto il 22 maggio precedente, festeggiarono con solennità singolare il giorno 8 dicembre sacro all’immacolata Concezione, come rilevasi dai diversi atti del Senato emessi in quell’occasione, e dai quali riportiamo la seguente grida : « Essendo giobbia prossima il giorno della Concetione della Madonna, il quale si deve festare con festa solenne per la liberatione della Città et Dominio fatta dalla peste, secondo lo voto fatto dalla Republica a S. D. M. et dovendosi quell’ istesso giorno render gratie per la detta liberatione , et perciò farsi processione , in virtù della presente crida si ordina et espressamente comanda ad ogni singola persona di che grado et conditione si sia, che per tutto il detto giorno di giobbia debbano festare come si fa nelle feste solenni, tenendo chiuse le botteghe, ed astenendosi da qualsivoglia opera manuale, etc. Di Palazzo a cil VI Decembre MDLXXX » (i). Analoghi ordini erano stati trasmessi a « tutti li Giusdicenti et Ufficiali di là dalli Giovi » perchè li comunicassero ai loro dipendenti (2). Domenico Cambiaso. DIARIO DELLA PESTE IN VAL POLCEVERA 1580 (3). Giugno — (Senza data del giorno). Si sono manifestati due casi di peste, uno a S. Quirico, l’altro a Livellato. — 12. Vengono processati e condannati Gio. Rodriguez ed altri beccamorti rei di furto commesso in danno degli apppestati al lazzaretto. — 13 (?) A Vico-morasso, frazione di S. Olcese, morti 1 ; a Pino 2 casi; al Garbo 10 casi, 8 morti; a Rivarolo morti 1. Luglio — 7. A Begato è morta una figlia di G. B. Bonassola, ed altri che erano venuti dalla città sospetti d’ infezione. — 12. A Fegino varii casi. — 13. A Rivarolo d’alto un morto; a Borzoli vari casi. — 14. « A Cremen è morto un figlio di Battista Santamaria; a Pontedecimo sono morte figlia e fantesca del capitano Ambrosio Cambiasio ». — 16 (?) A Borzoli e Fegino vari casi. È inviato Commissario a Fegino Ambrogio Lomellini. — 17. « A S. Cipriano è morto il garzone di Pasqualino Cambiasio; a Pino a basso un morto; a Begato è morto 1111 figlio di Bartol. Torriglia; vari infetti ». — 18. Gio. Giacomo Mo-conesi dietro domanda del Comissario di Sestri espone al Senato il desiderio « delli cittadini di Sestri di riporre le chiudende o sia rastelli, come si fecero li mesi passati stante i nuovi casi di peste verificati a Fegino ». Questi cancelli erano stati atterrati da poco. A Borzoli morti 2, uno infetto. Agosto — 8, A Zemignano un caso. — 9. Son morti due frati di Granarolo. Al lazzaretto sono 325 appestati. — 11. A Fegino e Borzoli a tutt’oggi sono morti 55. Si chiedono vesti per cambiare gli infetti. — 12. « A Begato un caso ; a Pino un quartiere di 70 persone quasi tutte infette di peste, ed altre sette od otto case infette; a Pontedecimo e a S. Cipriano, dove segui tanto male li giorni passati, non s’è più verificato alcun caso; a Rivarolo un morto ». 16. Il Moconesi scrive esponendo che « c’è bisogno di denari così per compire al già speso come per provedere ai bisogni del lazaretto e d’altri luoghi; v’è (1) Cervetto, Genova e VImmacolata neIV Arte e nella Storia, pag. 12. (2) Ivi, p. 13. Il testo del voto fatto il giorno 22 maggio, è a pag. 11 e segg. (3) Il presente Diario non è che un estratto delle relazioni , bollettini e documenti diversi, redatti dai Commissarii della Polcevera durante la peste, e che si conservano all’Archivio di Stato in Genova, sala 69, filza 1889 e segg. Giorn. St. e Leti, della Liguria. J5 - 2 l8 - bisogno di vitto ecc. ». — 20. « A Rivarolo da basso è morta di peste una figlia di Lazzaro Curio , esso pure già morto , e 1’ altra è inietta ». - 22. A Fegino morti 2, e 2 sospetti. —2S. A Begato 2 casi; a Trensasco uno. — 29. A Rivarolo 3 casi. — 31. A S. Olcese 7 casi, morti 4; a Fegino e Borzoli 2 casi. Vien dato ordine ai pubblici funzionari di non lasciar entrare alcuno nella Valle. Settembre — 3. (Pare a S. Olcese). Ieri 7 casi , oggi altri 5 ; a Rivarolo 2 casi. — 5. S. Olcese; viene attenuata la lelazione del giorno precedente che si dice esagerata; non vi sono che 5 case infette; « la peste si attaccò da sete prese a fabbricare da quei Campostani di Pino; il resto della Valle è sana , e Borzoli e Fegino erano passati li quindici giorni che non li seguiva cosa alcuna ». — 6. A Rivarolo da basso due appestati; si mandano al lazzaretto. — 7. « Ieri e oggi in Polcevera non si è verificato alcun caso », salvo 5 sospetti condotti da S. Olcese. — 13. Balarino di Polcevera sotterramorti e Benedetto Boggiano fug-gono dal lazzaretto benché già guariti; sono esigliati toto vitae eorutn temporey e condannati alla forca (sic). — 15. A Pino son morti diversi delle famiglie Campostani e Molinari. — A Fegino è morto il manente del M. Ambrosio Lomellino : Questi scrive che « in la villa di Pino v’è del male assai; ieri 2 morti, 4 infetti e molti sospetti: a S. Olcese, a Vicomorasso e a Casanova vi è del male ». — 19. A Rivarolo una donna infetta. — 20. A Rivarolo a basso 3 casi. Lo stesso giorno il Commissario di Rivarolo redigeva la seguente tabella dei casi di peste verificati; ma come apparisce dal confronto coi dati esposti è assai inferiore al vero : « Notta de casi seguiti in la Valle di Polcevera in le infrascritte ville dal mese di Giugno sino hoggi 20 di settembre. Beghe — Giugno 11. o — Luglio, 5 — Agosto, 11 — Settembre 1. = S. Cipriano — Luglio, 5 — Agosto, 3. = Cremeno — Luglio, 1. = Cera-nesi — Luglio, 2. = Cabanne — Agosto, 2 = Livelato — Giugno, 1 = Magner ri — Luglio, 3. = S.to Olcese — Settembre, 10. ■= Pino a basso — Luglio, 4 — Agosto, 5. = Pino Soprano — Giugno, 6 — Luglio, 2 — Agosto, 9 — Settembre 8. = Perpexengo — Giugno, 2 — Luglio, 2. = S. Quilico — Luglio, i — Settembre, 1. = Sexino a Ponte X° — Luglio, 1 — Settembre, 1. = Teggia — Luglio, 3. = Trensasco — Giugno, 3. = VigomorACio — Settembre, 2. = Zemignano — Agosto, 2. » 22. « Il M.co Alessandro Calvo, Commissario in la Polcevera secha » dalla Torrazza scrive che per precauzione ha fatto bruciare unacassina a S. Olcese e mandar li sospetti al lazzaretto : scrive pure eh* erano morti 2; attende rinforzo di soldati. — 25. Il Commissario della Polcevera Secca scrive che a S. Olcese da ieri sono attaccati 2, e morto 1 a Casanova e un altro denunziato indisposto ; a Pino da vari giorni s’è attaccato uno e sua moglie e figli; allOlmo altri; alla Costa di Rivarolo era già morta una donna, e un certo Parodi, e suo padre era infetto; le guardie fanno mutare le robbe in questa casa, e vi mettono un uomo di guardia. — In questi giorni sono registrati molti casi in - 2 I 9 - Bisagno, Recco e dovunque. — 26. Il Senato approva e fa eseguire il suggerimento di Paolo Borzone d’intercettare ogni commercio fra il Bisagno e la Polcevera fino alla Crocetta d’Orero per 8 giorni, « per venire in cognitione di donde procedano li casi che van seguendo e di darli li dovuti rimedii ». S’esclude però dal bando la Crocetta di Orerò « posciachè è luogo di passaggio a mulattieri che vanno alle Croci (Crocefieschi) e Savignone per vettovagllie necessarie ». Il Commissario della Valle Secca è incaricato di dare esecuzione al decreto. — Viene interdetta ogni communicazioue colla villa di S. Olcese. Si dà ordine al comandante dei soldati dell’alta Polcevera di far provvedere questi di viveri da un certo taverniere di quelle parti, il quale verrà poi più tardi soddisfatto. — Paolo Borzone avendo saputo che Ambrogio Lomellino « usava certa forma per purgar le robbe talmente buona che in tre giorni fa tutto V effetto necessario » chiede gli sia communicata per farla praticare anche nel Bisagno. — 27. In seguito a questa dimanda Gio. Giacomo Moconesi dal Commissariato della bassa Polcevera gli scrive una lettera dicendogli che il Lomellino « fa bollire quelle robbe in acqua con allume, sale e solfo per un’ora almeno e fino una e mezza secondo che il foco è rente , per mezzo de suspetti. Il che fatto da persone nette si prendono con bastoni e portansi alPaqua corrente dove se le fa star per un giorno o sia una notte, di poi si lavano con sapone. Il che fatto le reputa per nette e vi bascio le mani. Di Camera il dì 27 di settembre 1580. Gio. Giacomo Moconesi ». — 28. « In la Valle non è seguita novità alcuna »: si ha sufficienza di soldati. Due casi a Pino. Si manda in Polcevera un bar-ricello ed un sotterramorti. — 29. Ieri due casi a Pino. — 30. Ieri si sono manifestati due casi nella villa Fregoso, causa una donna ch’era andata a visitare il figlio al lazzaretto, e s’ era attaccata la peste. — (Senza data). A S. Olcese 4 casi, tra i quali un certo « Gentile, sindico del Commissario Calvo; una sua donna, e un certo Nicolosio Cas-solino il quale era la guardia dei beccamorti che per 1’ ignoranza si domesticò con loro ». Ottobre — 2. Il Magnifico Alessandro Calvo, Commissario della Valle Secca scrive che ha ricevuto denunzie di due malati di queste ville e di una donna di S. Olcese; poi il barbiere gli disse che finora non vi è sospetto di peste. — 3. « Nella Polcevera da 12 giorni in qua non vi è seguito male alcuno contagioso, eccetto venerdì passato nella villa di Fregoso una donna, e poi il sabato in Mignanego una figlia d’un povero mendico».— 5. Per lettere del M.co Ambrogio Lomellino Coni.rio della Polcevera verde , de 5 ottobre: Viene scritto « esser seguito 3 casi in la villa di Beghe in casa de Petro Cavana in la quale al tempo del Comisario Aste era stato del male e che si può dubitare che non sia stata ben purgata o pur che procede da robbe havute la settimana passata dal lazaretto ». — 12. A S. Olcese sono infetti Sesino e sue figlie, da Sampierdarena il medico Ratto denunzia un caso: a Pino da 17 giorni non vi furono casi. — 15. Nessun caso - 2 20 - in Polcevera. — iS. A Pino un caso: un morto alla Costa di Rivarolo. — 20. A Rivarolo un morto. — 22. A S. Olcese è morta una figlia di Bartol. Mongiardino; a Pino un morto; a Rivarolo pure. — 24. A S. Olcese la moglie di detto Mongiardino e un’altra donna sono portate al lazzaretto. — 27. S. Olcese: ieri trovata infetta Pellegrina figlia di Ambrogio dell’Oliva; tutta la famiglia fu condotta al lazzaretto; un’altra donna è pure infetta. — « Il barricello del M.co Comissario della Valle Polcevera secca ha condotto prigione quel Ballarino già beccamorto che li dì passati se ne fugilto dal lazaretto ». — 31. I Comissari Calvo e Lomellino attestano la Valle di Polcevera essere « tutta netta ». Novembre — 4. « In Polcevera persevera buona sanità ». BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO. Francesco Poggi. Lerici e il suo castello. Vol. I, dall* anno 1/52 al 1300. Sarzana, prem. Tip. Enrico Costa, 1907; in 8, di pp. XIX-255. Le storie municipali, che prima d’ora non sempre erano dettate con severità di metodo e con giudizioso discernimento, seguono oggi per lo più le norme segnate dal grande progresso degli studi storici, e quindi non appaiono o farraginosi e indigesti zibaldoni , o , che è peggio, produzione di storici improvvisati o di dilettanti. Così è di questo libro del P. intorno a Lerici, importante comune del Golfo della Spezia, del quale nessuno s’ era occupato di proposito dopo i cenni dati dal Repetti e dal Casalis nei loro dizionari , non essendo da tener conto del disgraziato libercojo di Vincenzo Paoletti. L’A., come egli stesso dichiara nella prefazione , nuovo agli studi di storia, prima di accingersi al lavoro, ha fatto una lunga e paziente preparazione sulle fonti stampate e manoscritte del suo argomento, cominciando dal seguire un corso di poleografia , e frequentando per molti anni l’Archivio di Stato di Genova , miniera principale di notizie per la storia di Lerici, e non trascurando altri archivi di minore importanza. Questa prima parte della storia di Lerici, che va dal 1152 al 1300, fu da lui condotta quasi esclusivamente sopra le fonti stampate, giacché sono ben rari i documenti inediti di quei tempi, che possano fornire nuovi lumi e di qualche valore sopra quel paese. Prendendo le mosse dal 1152, l’A. è partito dal primo atto di possesso fatto dal Comune di Genova sopra Lerici, e ha trascurato di proposito tutto il periodo precedente , perchè nè gli storici nè i monumenti forniscono notizie positive, e perchè tutto ciò che n’è già stato scritto si basa sopra false interpretazioni di antichi autori. Ma, pur essendo in questo giudizio perfettamente d’accordo, mi sembra d’ altra parte che in un’ o* pera, come questa, di una certa mole , e che si propone di trattare - 22 1 - ex professo l’argomento in tutta la sua estensione, una parte introduttiva avrebbe dovuto trovare il suo posto, per indagarvi 1 origine del paese e del suo nome, e fare la critica dei testi e delle tradizioni, sia pure per giungere, come si deve, a resultato negativo. Questa lacuna rende il lavoro incompleto, e lascia insoddisfatta la curiosità dei lettori digiuni di si fatti studi regionali. Non riassumerò il libro. Dico solo che la lettura ne è assai interessante, perchè abbraccia il periodo storico di maggiore importanza per la storia di Lerici non solo , ma di tutto il golfo della Spezia, cioè il tempo delle guerre tra i comuni di Genova e di Pisa. È noto in fatto come ad uno dei capi del Golfo , a Portovenere , terminasse in quel tempo il territorio genovese, e come i Pisani tendessero insistentemente ad assicurarsi il possesso del corno opposto con 1’ occupazione di Lerici. Anzi, molti fra gli storici, e la tradizione locale ancora, asseriscono che il dominio pisano si estendeva da tempo immemorabile fino a Lerici. Asserzione che il Poggi dimostra, non che infondata, falsa addirittura , con la scorta dei documenti, i quali provano indubbiamente che i Pisani non ebbero il possesso di Lerici che dal 124 r al 1256, e che le loro pretese non avevano altro fondamento che la concessione platonica contenuta in un diploma imperiale di Federico I. Le acque del Golfo furono spesso teatro delle atroci lotte fra i due comuni rivali ; lotte che l’A. riassume diligentemente , illustra e lumeggia, non solo con padronanza intera delle fonti, ma ancora con perfetta conoscenza dei luoghi, che vale così spesso a sciogliere dubbi e a rischiarare punti oscuri degli storici o dei documenti. Una parte cospicua del volume è dedicata dall’ autore alla descrizione del castello che domina il paese ; splendido monumento di architettura militare dei sec. XIII-XVI, dovuto all’ opera dei Pisani, del Comune di Genova e del Banco di San Giorgio; e i dieci capitoli che formano il libro sono corredati di opportune note , nelle quali spesso si riferiscono in tutto o in parte documenti inediti. 11 lavoro del Poggi, ripeto, è, in generale , pregevole e condotto con criterio scientifico e buona critica. Se un appunto si può fare all’A., è quello di non aver saputo sempre liberarsi da quell’ amor di campanile, che spesso appare tra le righe, e che può lusingare 1’ amor proprio dei lericini, ma non ottenere P approvazione del lettore spassionato. Lasciando stare alcuni criteri in fatto di indagini e di materiale archivistico sussidiario che c’indurrebbero a conseguenze non accettabili, da lui esposti nella prefazione, verremo qui notando qualche rilievo che ci ha suggerito la lettura dell’opera. Pag. j. La presenza di un comes Lavamele quale testimonio in un atto è troppo poca cosa per far supporre che i signori di Arcola e di Vezzano fossero subfeudatari di quei conti. Prima che Nicolò del Fiesco facesse quelle famose compre dai vescovi di Luni e dai consorti vez- / - 22 2 - zanesi nel sec. XIII, non ebbero i Lavagna giurisdizione sopra un sol palmo di terra di questa parte di Lunigiana. I feudatari diretti, oltre i Vescovi, eran gli Este e i Malaspina. Pag. 4. Le ragioni esposte non bastano per dedurre che Lerici, « come nucleo di genti » sia il luogo più antico del Golfo. Lasciamo da parte che podium o mons illicis (poggio o monte del leccio) non indica afìatto un centro abitato , e che , se i Pisani vi costrussero un borgo a mezzo il sec. XIII, vuol dire che un borgo prima non c’era; consideriamo invece che rovine del tempo della dominazione romana furono trovate in altre parti del Golfo, non, ch’io sappia, in Lerici; e che la chiesa di Portovenere è ricordata in documenti irrefutabili del sec. \ II: dico nelle lettere di S. Gregorio Magno. f*ag· 3°λ 2γ. L’A. rimprovera il Belgrano perchè rilevò una inesattezza deU’annalista Oberto cancelliere e « bonariamente » lo corresse; ma se il P. rileggerà con attenzione l’ampio e circostanziato racconto di Oberto, vedrà che con quelle parole « ad conventionem factam ad Illicem », non voleva e non poteva riferirsi se non alle lunghe trattative delle parti innanzi al cappellano imperiale discusse a Portovenere e lì presso nell’ isola Palmaria, che non riuscirono a conclusione alcuna. Perciò il Belgrano ben appose quella nota per chiarire T e-spressione inesatta dello storico, rimandando il lettore all’antecedente racconto, dal quale risulta proprio che « non a Lerici ma a Portovenere si era propriamente trattato di questa convenzione ». Ed è curioso il vedere come questa nota, dove non avremmo voluto vedere quell’avverbio, contraddica a quanto il P. stesso espone con esattezza nel testo. Pag. p/, n. j. Neppure qui mi pare che sia nel giusto quando critica il Manfroni, il quale a proposito dello scontro fra Pisani e Genovesi all’ isola del Giglio ha scritto che « non si può parlare di vera e propria battaglia »; perchè Γ accurato confronto dei documenti e le buone ragioni esposte da quello storico inducono chiaramente a quel giudizio. Sembra poi dal contesto della nota stessa che il Manfroni abbia trascurato di rilevare 1’ importanza politica di questa rotta, mentre invece ei ne parla come si conviene. E qui ci consenta di non approvare certe forme di linguaggio in fatto di critica, anche là dove questa possa ritenersi plausibile (cfr. p. 95 n. 22). Pag. 123. Afferma che « nel 1166 esisteva in Lerici la chiesa di S. Giorgio» fondandosi sul trattato del 7 ottobre stipulato fra lucchesi e genovesi in Lerici « prope ubi dicitur S. Georgio »; ma queste parole accennano ad una località, non ad una chiesa; località, « iuxta portum ipsius loci » secondo dice il documento, così denominata forse da una qualche effigie del santo postavi dai genovesi ad affermare la loro proprietà. E poiché sono a toccare di chiese, non trovo esatto (p. 232) chiamar « cattedrale » la parrocchiale di S. Francesco, e credo che S. Lucia (p. 247) esistesse in quel luogo dove sorse poi il convento dei Cappuccini , dandomene indizio la tavola (sec. XV o primi del XVI) - - 223 - rappresentante quella santa, con S. Caterina e S. Cecilia, esistente ora (orrendamente restaurata) nella parrocchiale , alla quale appunto pervenne dalla soppressa chiesa dei Cappuccini. Pagg. 150 sgg. Non mi trovo d’accordo con ΓΑ. circa alcuni punti relativi alla costruzione del castello. Per me non si può attribuire ai Pisani altra costruzione che di una parte della torre. In fatto , nel-1’ interno di essa si vedono i primitivi muri perimetrali di N. e di N. E., e la facciata che guarda a sera mostra per una parte le bozze scolpite in pietra del luogo, di color giallastro e di aspetto spugnoso, come quella dei due muri cui ho accennato testé. Ma tanto questi quanto il muro di facciata giungono solo ad una certa altezza della torre: tutto il resto di questa, e la parte alta dalla finestra in su son fasciati di calcare nero compatto di Portovenere, con in alto una quadruplice fila d’archetti acuti alternati di nero e di marmo bianco di Carrara, sovrapposti a tre bande, pure di marmo bianco, che corrono per tutti i lati della torre. Del resto , un’ occhiata da questa parte di ponente fa scorgere a tutta prima le linee di divisione delle due costruzioni, non solo per la diversa tinta della pietra , ma anche e specialmente per tutti quei cesti di rovi e di erbaccie che han potuto annidarsi nelle asperità del primo materiale, mentre il nero di Portovenere, compatto com’è, ne è rimasto immune. L’ingrandimento adunque, e il coronamento della torre fu opera dei Genovesi, 1 quali adoperarono per questo il materiale migliore di cui potevan trar profitto; mentre i Pisani non avrebbero avuto la scelta, giacché 1 ipotesi affacciata dal P. (p. 145) non regge alla critica. Come è insostenibile, a w mio parere, l’affermazione che le serie d’archetti rivelino un arte de- cisamente toscana, e l’altra ancora, che per i Genovesi non era facile procurarsi il marmo di Carrara. L’egregio A. che vive in Genova, e che conosce bene la Liguria, si dia attorno un’ occhiata , e poi dica donde fu tratto tutto il marmo che adorna tanti monumenti genovesi e delle riviere innalzati nei secoli XIII e XIV! S’ io non m inganno, altro non esiste del tempo pisano nel castello di L. che questa parte della torre; il resto, se pure v’era altro, dovette scomparire per le posteriori sopracostruzioni, specialmente per quelle ricordate nell epigrafe leonina, che seguirono immediatamente al 1256 , fra cui si deve mettere la cappella. _ . . Pag. 221. L’Ameglia che è compresa tra i luoghi venduti al co- m un e di Genova da Nicolò del Fiesco nel 1276 non è l’Atneglia della foce di Magra. Legga il P. più attentamente il passo del documento relativo nel Liber Invium, e se ne persuaderà facilmente. È bensì vero che la Repubblica genovese approffittò della omonimia per vantar diritti, che non aveva, su quel castello, quando nel 1416 si dibatte la im causa contro l’albergo dei Doria. Pag. 245. L’epigrafe del campanile di Lerici non è rimasta inedita nelle schede lasciate alla Società Ligure di Storia Patria da Marcello i — 22 4 — Remondini. Egli stesso la stampò nelle sue Iscrizioni antiche liguri copiate dal vero ed esposte, Genova, 187S, pag. 181 (1). Pag. 2jS. Non aggiungerò davvero il mio biasimo al « grande scorno » inflitto dal P. agli « immemori concittadini » sarzanesi di Ippolito Landinelli e di Bonaventura de’ Rossi, perchè hanno finora lasciate inedite le loro istorie, e non posso quindi sottoscrivere al voto implicito eh’ egli fa di vederle pubblicate. La storia della Lunigiana nostra non è stata nel passato abbastanza maltrattata per le stampe, perchè noi dobbiamo farci divulgatori degli errori inediti dei nostri maggiori ? Non ch’io intenda con questo negare ogni valore alle opere accennate; le quali in qualche pai te possono essere tuttora consultate con profitto; ma non giurerei che in esse prevalga il grano sul loglio. Il primo di quegli storici , d’ ingegno più acuto dell’ altro , avrebbe latto certamente opera migliore se fosse fiorito più vicino a noi ; il De Rossi, contemporaneo e amico del Muratori , visse mille miglia lontano dal suo secolo e dal suo amico; intendo dire che in lui si desidera pure un soffio di critica, e che è gonfio di materiale indigesto. A voler stampare quei loro lavori , bisognerebbe metterci dentro le mani; e allora che resterebbe dei sudori di Ippolito e di Bonaventura? E meglio adunque che restino inediti ; per i servigi che possono rendere agli eruditi bastano le numerose copie manoscritte che si trovano in molte biblioteche. Così fosse accaduto anche per i Lamorati, i Go-netta, i Falconi ! (2). E dico solo di questi, per non uscire dal Golfo. Prima di chiudere, non mi pare fuor di luogo un’ osservazione intorno alla ben nota scritta che i pisani avevano posto sull* ingresso del borgo, a dispregio dei loro avversari. Il P. la riferisce nel testo (p. 106) secondo « la lezione corretta che viene riportata comunemente » (p. 113), ma poi in nota la reca nelle forme date dal Pertz, dal Muratori, e finalmente dal cod. di Parigi (del quale abbiamo il facsimile in fototipia); la principale differenza sta nella parola «c borsello » che nel codice dice invece « torssello ». E a mio parere la forma genuina è appunto quella data dal manoscritto. Eccola : Stopa boca al genoese — crepa col alo por tonares e — strepa torssello a lo lue he se. Si noti poi che, secondo riferisce l’annalista Bartolomeo Scriba, l’epigrafe era incisa sopra una balla di mercanzia. Ora si rammenti che il cronista Giovanni Sercambi in un capitolo della sua Cronaca pur citato dal P. (p. 66), narra che nel 1222 i pisani per rappresaglia navigarono «a Porto a Irici », dove « stando ocultamente, quatro torcielli di panni d'alcuni Luchesi violentemente ruborono »; e di queste rappresaglie chi sa mai quante ne avvennero, per disturbare il commercio fra Lucca (1) O perchè, dopo aver prodotta Γ esatta e genuina lezione (pag. 231) deH’epigrafe, dare poi in nota le due forme spropositate del Gonetta e del Falconi ? (2) A proposito: ci sembra inutile per non dir dannoso dopo le premesse il citar l'autorità di costoro a pag. 81, e anche a pag. 117. — 225 — e Genova. Qui ci sembra doversi trovar la ragione di quella frase, accompagnata dalla figura. Di guisa che la scritta verrebbe a dire: Io, Lerici, chiudo la bocca ai genovesi (ai quali impedisco di farsi innanzi da questa parte per accrescere loro dominio); do gran travaglio e dolore ai portoveneresi (per l’invidia del castello rivale) , e porto via le balle di merce (i) ai lucchesi , che non possono perciò agevolmente commerciare. U. M. ANNUNZI ANALITICI. Niccolo. Nicolini e gli studii giuridici nello prima metà del secolo XIX. Scritti e lettere raccolti ed illustrati da Fausto Nicolini. Napoli, Giannini e figli, 1907; in 8° gr. , pp. CXXVIII-466, con ritr. Non si poteva certo in modo migliore e più conveniente rinfrescare la fama, ornai ben stabilita, dell’insigne giureconsulto napoletano; nè pubblicare questo volume in più adatta opportunità, quella cioè delle onoranze a Carlo Fadda che professa il diritto nella Università di Napoli, della quale è a buona ragione lustro e decoro. E diciamo di più, niuno era meglio indicato a questo ufficio di un discendente dal Nicolini, non solo perchè depositario delle carte a questi appartenute, ma e per gli studi di giurisprudenza a cui ha primamente atteso , e per la cultura assai larga procacciatasi nel campo della storia letteraria e civile. Di che noi troviamo una prova luminosa nel presente volume, dove chiaramente apparisce l’opera dell’ illustratore competente, e del cririco oculato. Sebbene ei dichiari modestamente di non aver voluto scrivere una monografia sul Nicolini, pure chi legga attentamente l’introduzione accompagnata dalle ricche informazioni contenute nelle note diligenti, e dalla bibliografia relativa , ben acquista piena e soddisfacente notizia del giureconsulto napoletano ; rileva il posto che gli si compete come magistrato , come uomo pubblico e privato, e come scrittore; l’importanza delle sue opere rispetto al periodo storico in cui visse; l’orma da lui segnata nella dottrina civile e criminale ; l’operosità, la cultura varia, l’indole e le doti della mente e del cuore. Delle quali cose tutte testimonianza notevolissima troviamo nel carteggio del Nicolini , che il raccoglitore ha voluto , con ottimo consiglio, fosse la parte più rilevante del volume. Quivi alle lettere de’ molti suoi corrispondenti, spesso s’alternano quelle respon- (1) Torsellus è il trousseau dei francesi (Cfr. Ducanze), e vale propriamente «balla di panno» o d’altra cosa tessuta. Cosi l’annalista dice « Tor-sellum ad formam pannorum, qui feruntur de Francia »; e il Giustiniani, copiandolo, dà nell’epigrafe la esatta lezione di torsello, e riferisce che l i-scrizione era scolpita sopra un « fardello o sia fangoto [dial. = fagotto] a modo delle balle di panni che sogliono venire di Francia» (Annali, c. 94). sive di lui; e sì nelle une come nelle altre chiaro apparisce quale e quanta fosse la fama ch'egli aveva saputo acquistarsi presso i connazionali e presso gli stranieri; di qual mente acuta , serena ed equilibrata fosse dotato ; come in lui andasse del pari la dottrina con la gentilezza dell’animo; la signorile urbanità con la familiare ed amichevole argutezza; la profonda conoscenza del giure con la cultura classica; la severa dialettica del filosofo con il festevole passatempo del poeta. Nomi illustri si trovano a piè di queste lettere che non sono di semplice complimento , e poste qui per vano lusso , ma in tutte più o meno v’ha alcun che di interessante e di singolare, quando anche ex professo non trattano un punto di dottrina, o non rispecchiano le contingenze de’ tempi, o la condizione degli uomini e delle cose. Se quindi tutto questo carteggio può dirsi davvero importante , notiamo in esso di maggior rilevanza , per molti rispetti , il commercio epistolare che il Nicolini ebbe con Giovanni Carmignani e con Vincenzo Salvagnoli. Abbiamo già toccato del merito incontestabile, che spetta all’editore ed illustratore degli scritti onde si compone la presente raccolta; ma vogliamo aggiungere che le lettere, porgono il destro al N. di darci sì copiosi schiarimenti, così succose e precise notizie bibliografiche, da adempiere il giusto criterio espresso e posto in pratica dall’Imbrianì in ordine alla pubblicazione degli epistolari. — Diremo per fine che oltre l’epistolario si stampa qui per la prima volta il Saggio delle lezioni di diritto penale dettate all’Università nel 1837-38; la relazione presentata al Consiglio dei ministri intorno alle condizioni del Regno di Napoli alla vigilia del 1848 ; e in appendice oltre al Resoconto della prima seduta del processo politico per gli avvenimenti del r820, un manipolo di Lettere inedite di Federico Carlo di Savigny al Carmignani, allo Sclopis, e allo Zaiotti. Utilissimo compimento , un diligente indice generale dei nomi. — Nelle opulenti note che illustrano la curiosa lettera di un cavalier Galiani, il N., ben noto e benemerito cultore di studi galianei, ci promette una quinta e-dizione della corrispondenza francese dell’ab. Galiani cresciuta in confronto deirultima ( 188r), di ben cinquecento lettere inedite. Desideriamo che esca presto in servizio degli studiosi , poiché siamo sicuri che, seguendo lo stesso metodo di che abbiamo discorso di sopra, l’editore ci darà le maggiori e più sicure informazioni sopra ogni parte di quel singolare e spiritoso carteggio. Lodovico Frati. L’inventario di Bartolomeo dalla Rovere vescovo di Ferrara. Ferrara, Zuffi , in 8°, pp. 20 — Rettifica l’A. le errate notizie che intorno a questo prelato savonese si leggono nell’ Ughelli e nel Litta, e colla scorta di cronache, ed istrumenti notarili, fissa la data della morte, le ultime sue disposizioni, l’avere da lui lasciato che fu di ben mezzo milione. Di una parte de’ suoi beni mobili pubblica l’inventario con la stima fattane dai periti; e sono principalmente tappezzerie, vestimenta, biancheria da tavola, robe da letto, oggetti d’oro e d’argento con diamanti e pietre preziose, suppellettili d’argento da - 22 7 - tavola e da cappella. Aveva lasciato i suoi libri, che si valutavano sei mila ducati, al vescovato di Ferrara, e in questo inventario, che nota tutto qnanto si trovò nell’Abbazia di S. Stefano in Bologna dove morì, ci sono solamente tre libri: « Uno messale picolo , in carta bona, scripto a pena, coperto de cremexin vecchio , cum le serraglie d’ argento. Uno Pontificale in carta bona, scripto a penna et miniato, coperto dalmaschin d’oro in campo verde. Uno libro in carta bona scripto a penna, coperto de cuoro morello dorato in le carte , chiamato le Istorie scholastice ». Vennero peritati complessivamente per trenta ducati. Esistono codici e incunaboli miniati col suo stemma nella Biblioteca Universitaria di Bologna, nella Comunale di Ferrara, e quivi nel Museo Schifanoja. Giulio Natali e Eugenio Vitelli. Storia deIV arte ad uso delle persone colte. Nuova edizione. Voi. terzo. Torino. Soc. tip. edit. Nazionale, 1907; 8.°, pp. 259 , con figg. — Segue a breve distanza dal secondo questo terzo volume dell’ opera universalmente lodata di N. e V., e ciascuno in esso riconoscerà i pregi già da noi segnalati nell’antecedente. Contiene la parte ottava e la nona , divisa la prima in sette capitoli, in cinque la seconda. L’arte barocca, 1 arte neoclassica e la romantica sono quivi soggetto di geniale e concettosa trattazione, la quale tocca fino quasi ai nostri giorni, lasciando però da parte gli artisti a noi troppo vicini, come quelli che non possono pur anco essere giudicati con serena giustizia. Sono ben centoquarantasette le ben riuscite riproduzioni delle opere principali dell’età moderna, scelte con ottimo criterio; così ne’ tre volumi se ne contano complessivamente un numero cospicuo. E perchè di esse riuscisse facile la ricerca, ne è dato in fine del volume l’elenco compiuto ; del pari utilissimo si manifesta l’indice generale dei nomi degli artisti e degli scrittori. Se la critica ben accolse la prima edizione di quest’opera , farà certo buon viso alla presente che reca tanti e così notevoli miglioramenti. Alfredo Comandini. L'Italia nei cento anni del secolo XIXgiorno per giovilo illustrata. Milano, Vallardi; disp. 5° a 55· — Può ripetersi di questa pregevolissima pubblicazione il crescit eimdo; ed è ragionevole, ed è bene, perchè man mano si arricchisce di notizie e di illustrazioni (ritratti, edifici, luoghi, episodi, monete, medaglie , costumi, facsimili, e va dicendo) che riguardano la storia d’ ieri degna d’esser nota per la sua grandissima importanza, e non sempre conosciuta ne’ suoi particolari così notevoli e vari. Con il 1849 si è compiuto or ora il volume secondo, ed è già incominciato il terzo dall’ anno 1S50 di guisa che il successivo mezzo secolo, così pieno e fecondo di avvenimenti d’ ogni specie aspetta ancora dalla penna diligente e dall’accorgimento del Comandini la sua effemeride storica, la quale deve in un tempo ricever vita dalla sobria ed esatta parola , e dalla suggestiva figurazione. La mole dell’opera si accrescerà, e sarà necessaria la divisione in altri volumi; che monta? Poiché essa riesce fin d’ora di indiscutibile utilità, nessuno se ne dovrà lagnare. Anzi è da lodare la fatica -r 228 — di uno scrittore, il quale porge un manuale di consultazione veramente prezioso che deve assolutamente far parte di qualunque biblioteca piccola o grande, scolastica o scientifica , e che lo studioso terrà a portata di mano fra quei libri, i quali, per usare una frase corrente e democratica, ei considera come i ferri del mestiere. Senza dire che ogni colto privato può farne suo prò. — Avvertiamo l’A. che la figura sotto la quale è la leggenda : L’Università in via Balbi a Ge~ nova> (pag. S6) rappresenta invece il palazzo Durazzo-Pallavicini; ΓΑ-teneo è a sinistra e se ne vede soltanto la cantonata. Per le onoranze a Stefano Grosso nel R. Liceo Parini di Milano ragionamento e note bibliografiche del prof. Silvio Pellini. Novara, Miglio, 1907; in 8, pp. 64 con rit. — Efficacemente presenta in questo ragionamento il P. la figura del maestro, del letterato e dell’erudito, il che si conveniva al luogo ed alla occasione, e ne’ suoi giudizi usa quella onesta ed urbana libertà, che non vieta, pur con defiferenza ed ossequio, rilievi e critiche. Ma se agli auditori parve giustamente importante, e penetrativo, e acuto il discorso, a noi che ci rifaciamo con posatezza su queste pagine , tornano di grande utilità le copiosissime note illustrative, le quali di quello corroborano ed illustrano i tocchi e le affermazioni. Così che ci apparisce la piena e compiuta preparazione onde l’A. volle materiarsi prima di disporsi a trattare del suo argomento. E in esse note molte e peregrine ed inedite cose notevoli si leggono, le quali additano quanto può tornare utile a chi si accingesse ad una biografia compiuta intorno all’ illustre albisolese. Segnaliamo la bibliografìa diligentissima e compiuta. Piero di Dante e il Petrarca allo Studio di Bologna per Giovanni Livi. Firenze, 1907; in 8. pp. 7. Estr. — Fra i testimoni al testamento di Comacino Formaglini da Bologna, rogato il 13 agosto 1327 si trova Piero figlio del fu Dante di Firenze. E che sia proprio il figliuolo del poeta, non un omonimo di altri Dante contemporanei , prova efficacemente il L., di guisa che l’asserzione del Filelfo sull’ essere stato Piero studente a Bologna viene a ricever conforto da questo documento dove appunto è qualificato come scolaro. Di qui trae argomento del pari, con acuti rilievi, ad indurre che 1’ amicizia di Piero col Petrarca si cementasse a Bologna nella consuetudine dello Studio. Guido Bigoni. Per la lega fra Genova e Γ Ungheria nel 1352. • Pavia, Fusi, 1907, in 4, pp. 30. — Ecco uno degli episodi della storia di Genova, intorno al quale tacciono i cronisti locali; la lega a’ danni di Venezia fra la Repubblica e il re d’ Ungheria , per un’ azione di guerra nella Dalmazia. I documenti relativi già da tempo avevano veduto la luce nei Monumenta Hungariae Historica, e si possono leggere altresì nel nostro Archivio di Stato ; qui il B., da questa fonte, riproduce l’unico in volgare , anzi in dialetto , dando le varianti del testo edito nei Monumenta, dove la scarsa conoscenza linguistica dell’editore l’ha prodotto assai guasto e scorretto. Con la consueta perizia e diligenza esamina poi i fatti ne’ riguardi storici ed economici , e - 2 2 9 — quindi espone le ragioni onde i genovesi furono spinti ad accogliere le proposte di quel re. Rileva la sostanza del trattato, e i patti stabi» liti ricercando 1’ intrinseca ragione di essi e le cause dalle quali mo vevano, sì come i fini cui intendevano. Si può dire che la lega rimase lettera morta, chè non ebbe neppure alcun principio d effetto, perchè i successivi avvenimenti, specie per dato e fatto del re, lo impedirono , e il B. ne tocca opportunamente. Fra i savi o consiglieri che fermarono col Doge il trattato è Celesterio di Negro, e il B. ci avverte che un altro documento d’archivio lo indica come giurisperito; era da vero giureconsulto di valore , come si rileva dalle lettere dei Consoli di Calimala e di Filippo Villani per una causa commerciale che si trattò a Genova nel 1374-75 (cfr· Manacorda, Una causa comm. davanti all’ ufficio di Gazeria in Genova , in Studi Storici , vol. XII, pag. 171 sgg.). „ - . - · Lettera di Giuseppe Zambeccari a Francesco Redi sulle vivisezioni ed asportaziofii di alcune viscere (1680). Edita nuovamente con introdu-zione da Carlo Fedeli. Pisa, MCMVII, F. Mariotti, in 8, pp. XLIII-30—2 n. n. — L’introduzione è un importante contributo alla storia della medicina, specie riguardo al metodo sperimentale ed alla vivisezione, e chi conosce la solida dottrina del F. e il valor suo, intende subito di quanto rilievo siano queste pagine. Com’è naturale si occupa anche delle notizie biografiche intorno al Zambeccari, e confessa che esse sono assai scarse, onde poco è da aggiungere a quanto di lui lasciò scritto il Fabroni, il quale è stato altresì la fonte del Gerini (,Memorie s/or. d'illustri scritt. della Lunigiana, vol. II, pag. 266), che sbagliò nel citare il raro opuscolo or nuovamente edito dal F., credendolo, per non averlo veduto, scritto in latino. L opuscolo intitolato: Esperienze intorno a diverse viscere tagliate a diversi animali viventi è riprodotto molto bene ed accuratamente a facsimile in tutto e per tutto secondo l’originale. Il F. si propone di pubblicare quan-dochesia una inedita dissertazione del Zambeccari stesso intorno al digiuno, posta a corredo della vita da esso scritta di Caterina Brondi sarzanese, e che si trova manoscritta nella Riccardiana fra le carte dell’ Averani. Strenna a beneficio del Pio Istituto dei Rachitici. A. XXV , 19°^· Genova, Soc. Anonima, 1907; in 8, pp. 280, con rit. e facsim., e figg. — S’intrecciano opportunamente in questo bel volume scritture varie d’argomento diverso, in prosa e in poesia; tutte dettate e raccolte nel benefico intento di sovvenire il pio istituto genovese. Diremo alcunché di quelle che in qualche guisa riguardano gli studi e la materia onde si occupa il nostro periodico. Segnaliamo innanzi tutto una bella ed ispirata canzone A Genova Madre, nella quale Antonio Puppo richiama con alata parola e profondo sentimento storico le glorie della città nostra Notevoli le due lettere intime di Nino Bixio alla figlia Giuseppina. Utili per le particolari notizie i Cenni storici del pio istituto dei rachitici dalla sua fondazione dovuti ad Oreste Bardellini. — 230 — Acuta ed arguta la interpretazione di due epigrafi sopra due porte contigue nello Stradone di S. Agostino , esposta da Francesco But-trini. Ricorderemo di passata un capitolo di Francesco Poggi tratto dal suo libro intorno a Lerici ; poiché, essendo ormai questo di pubblico dritto, abbiamo avuto opportunità di parlarne distesamente innanzi. Ci fermiamo invece alcun poco sul Calendario storico della Liguria che ci dà Federico Donaver , riprendendo con più rigoroso concetto d effemeride, un disegno di cui porse un saggio non trascurabile Luigi Grillo or è più di mezzo secolo. Utile lavoro per certo che andrebbe arricchito e continuato; e perchè l’autore domanda correzioni, eccone qua alcune in punta di penna. A’ 13 gennaio : l’Adorno non dedicò al Foglietta un opera ma gli trasmise una dissertazione , rimasta manoscritta, sul modo di dettare la storia genovese de’ tempi antichi : a iS non è esatto dire Alberico Cibo « de’ migliori capitani del suo tempo », e neppure « rinomato come cultore di poesia ». A’ 26 febbraio è la nota seguente: « 1496. Piero de’ Medici, signore di Firenze, che nel 1467 aveva comprato Sarzana e Sarzanello, le rivende ai Genovesi »; il Piero de’ Medici del 1467 non è l’omonimo del 1496 ; nè questo secondo poteva vendere ai genovesi , chè aveva ceduto vilmente quelle terre nel 1494 a Carlo Vili, e dai luogotenenti di costui le ebbe per denaro, intermediario in ispecie Francescotto Parentucelli, il Banco di S. Giorgio. A’ 4 maggio: « 1805. Genova è unita all’impero francese », e più innanzi a’ 26: « 1805. Il senato di Genova delibera 1’ annessione della repubblica ligure alP impero francese » , occorre rettificare. A’ 6 giugno si fa Agostino Oldoini « autore di una storia letteraria ligure »; non è esatto riferendosi al suo Athenaeum li-gusticum: a’ 25 si dice che del '57 Pisacane partì sul Sardegna ; era da dire sul Cagliari, e fu proprio con lui Valentino Armirotti ? non ci pare. A’ 23 luglio si addita la morte di Orazio Grassi nel 1654, non era da omettere che fu contradditore di Galileo. A’ 12 agosto del 1530 si ricorda l’arrivo di Carlo V a Genova dove «rimase 44 giorni »; no, 17; a’ 28 nel « 1798 il Consiglio della Repubblica sente le discolpe » ecc., non è esatto, perchè la repubblica era governata dal Direttorio co’ due Consigli de’ giuniori e dei seniori. A’ 16 ottobre è assegnato il ricordo dell’ atto di procura a Dante fatto in Sarzana da Franceschino Malaspina; c’è errore di dieci giorni, fu il 6, e la lapide commemorativa fu murata o meglio inaugurata appunto nell’ottobre e non nel « settembre ». A’ 13 dicembre a proposito di Gio safatte Biagioli si nota che « a 17 anni era professore d’ Urbino », ci giunge nuova la notizia, ben sappiamo che fu professore di rettorica a Narni. Occorre correggere due errori tipografici: a pag. 45, 23 sett. un Gabotto in Galeotto; e a pag. 29, 24 aprile uno Schio in Scio. Vengono poi pubblicati : un albero genealogico della famiglia Perasso, e cioè di Giambattista detto Balilla e sua discendenza; a cui segue il facsimile d'un autografo, secondo si afferma , di questo Giambattista nel quale assicura di essere stato proprio lui quegli che tirò il famoso — 231 — sasso in Portoria il 5 dicembre 1746. Questi documenti vennero da poco donati al Municipio di Genova dall’Avv. Edoardo Cabella , il quale in una sua lettera chiarisce che V autografo fu passato a suo « padre, Cesare Cabella , da Nicoletta Perasso , nipote ex filio (Antonio) del Balilla » che fino dal 1812 era entrata al servizio dell’avo suo Giovanni Cabella. Essa asseriva che la scrittura era veramente del Balilla, e che come tale era stata sempre ritenuta e custodita nella sua famiglia. La genealogia poi venne compilata dall’ illustre giure-consulto Cesare Cabella « in parte sulle indicazioni s> della Nicoletta « in parte sulla scorta delle fedi di nascita da essa presentate ». Quegli che curò la compilazione della Strenna dichiara i ricordati documenti « inediti ». Ora 1’ asserto autografo ha veduto la luce sessantanni or sono, vale a dire nel 1848 in fine ad un opuscolo (stamp. Ca-samara) nel quale Un italiano [l’ab. P. A. Sbertoli| ha pubblicato la biografia del noto scrittore prete Francesco Maria Accinelli. Quivi egli tocca del fatto di Portoria, e non dimentica il « giovane soprannominato Balilla », apponendovi la curiosa nota seguente: « Questo generoso giovane si chiamava Gio. Batista Perasso, nato a Pratolongo villaggio del Comune di Montoggio li 8 aprile 1729. Si trovava nel 1746 ad apprendere l’arte del tintore presso un maestro della stessa in Portoria. Siccome l’estratto di suo battesimo, e quello di suo decesso nella Parrocchia di S. Stefano in Genova , il 30 settembre 1781, non potevano far fede che il detto Perasso fosse il generoso giovane, dubitavamo del vero nome e cognome del medesimo. Ma adesso che ci viene communicata una rozza nota scritta dallo stesso Perasso , conservata presso il di lui parente di Portoria in una piccola scatola di cuojo assieme alla celebrata bandiera, il fatto rimane accertato , e ne trascriviamo fedelmente il tenore », e qui segue il testo del singolare documento, con qualche , sebben piccola , variante in confronto del facsimile. Da ciò si rileva che il famoso autografo, accompagnato dalla bandiera, nel 1848 era sempre nelle mani di un discendente del Balilla in Portoria, il quale si ricorda di tanto preziosi cimelii soltanto nel 1848; quindi è ovvio il ritenere che quello scritto sia venuto in potere di Nicoletta dopo quell’anno (nè si sa per qual ragione non rimase in famiglia), e fosse quindi da lei consegnato al Cabella. Degli alberi genealogici ne abbiamo ora due, questo edito nella Strenna compilato dal Cabella, e uno anteriore condotto dal sac. Pedemonte curato di S. Stefano sui libri parrocchiali, con il conforto d’ alcune autentiche fedi di nascita di matrimonio e di morte (Cfr. Cenni storici sul Balilla estratti per ordine del Municipio dai libri parrocchiali di S. Stefano in Genova. Genova, tip. della Gioventù , 1S83). Fra i due c’ è questa differenza , che nel primo il Perasso è asserito nato a Pratolongo 1’8 aprile 1729, mentre nel secondo, in omaggio alla fede di nascita, è detto nato in Genova il 26 ottobre 1735 ; concordano poi nelle date del matrimonio e della morte, Al proposito ci sarebbero da fare alenile osservazioni le quali in questo cenno obbiettivo non debbono aver luogo. Slrentta-ricordo del Circolo Educativo S. Alessa?idro Sauli. 1908. Genova, tip. della Gioventù, 1907; in 16, pp. 88, figg. — Scritture in prosa e in versi contiene questo libretto ; esse sono di varia ragione come è uso in sì fatto genere di pubblicazioni annuali. Fra le poesie ricordiamo a nostro uopo i Ricordi di Noli del p. Bracci. Delle prose segnaliamo le notizie sommarie sopra i presepi genovesi di Alfredo Melarti; diciamo sommarie, poiché, come è ben noto, più largamente discorre delle opere d’arte che tolsero a soggetto il Natale, in un buon libro, il Cervetto: e inoltre quel tanto che da una cronaca scritta in latino dal p. Carlo Francesco Borea del convento di S. Bartolomeo degli Armeni, morto il 9 ottobre 1747 e continuata da altri ci comunica intorno agli anni 1745-49 il p. Luigi Levati, dal quale aspettiamo con desiderio quell’ opera a cui sta alacremente lavorando , e cioè le biografie dei Barnabiti che furono insigniti del vescovato; opera da potersi appaiare con l’altra di medesimo argomento dei PP. Predicatori pubblicata molti anni or sono da quel-1’ ottimo amico nostro che fu il p. Amedeo Vigna ; forse anzi la vincerà per applicazione più precisa del metodo storico , e per più ricche e diligenti indagini negli archivi. II L. in questa strenna ha dato quella serie di notizie che gli sembravano appropriate alla miscellanea, ma acuisce la curiosità avvertendo che v’ ha in quella cronaca una larga relazione del sollevamento popolare avvenuto nello storico dicembre 1746. Lo scrittore è un contemporaneo e la sua narrazione assume perciò non piccola importanza. Ci piace infine non passare sotto silenzio le geniali parole dette dal p. Semeria, allorquando il Circolo con la recita dell’ Impostore commemorò 1’ anno scorso il centenario goldoniano: arguta la chiusa a proposito della buona Nicoletta, e notevoli i rilievi sulla verità e la naturalezza dell’ opera goldoniana. A questo riguardo crediamo opportuno riferir qui un importante giudizio sul Goldoni del cardinale Gaetano Alimonda, a quanto ci consta non troppo conosciuto, e meritevole per più rispetti d’esser posto sotto gli occhi dei goldonisti. Ecco quel che scriveva nel 1873 a Monsignor Vinelli: « Dire Carlo Goldoni vai quanto dire commedia italiana. Anche il severo critico che, nel discorrere le doti di quest’uomo celebre, vuol tenere conto dei molteplici suoi difetti, non può tuttavia ribellarsi alla voce comune, la quale ha riconosciuto nel comico veneziano il padre e il ristoratore della commedia. Goldoni , come tutti gli autori illustri , ebbe detrattori passionati, e più passionati apologisti: si combattè prò e contro la sua fama: si discussero le finezze meravigliose del suo dialogo e le trivialità della sua lingua; ma i veri giudici di Goldoni non furono nè le diatribe , nè le apologie , nè i commenti, nè i libelli; i veri giudici suoi furono le platee, furono gli spettatori sorpresi della verità dei caratteri che già avevano studiato nella vita, e colpiti dalla aggiustatezza dei frizzi e delle risposte che — 233 — istantaneamente sentivano pullulare nella loro mente pria che i personaggi della scena le proferissero. Il valore del Goldoni sta pertanto nella verità, dirò così materiale delle sue azioni, esposta come viene viene, apparentemente, ma realmente ricercata con istudio e artifizio. E questo è nobile vanto; cosi nobile , che è ornai impossibile che il nome del Goldoni venga travolto nell* oblio ». (.Lettere del card. G. Alimonda al cajiojiico Fortunato Viìielli, Genova, tip. Arciv., 18927 pag. 90 sg.). Graziano Paolo Clerici. Episodi della vita di Pietro Giordani. Da documenti inediti dell’Archivio di Stato di Parma e dall’Archivio del Tribunale di Piacenza. Parma, Battei, 1907; in 8, pp. 59. — Due sono gli episodi che vengono qui narrati dal C., e cioè quello che si riferisce alla ben nota Causa dei ragazzi, e l’altro ignorato della bastonata onde fu colpito il Giordani dal conte Trombetti; bastonata che diede luogo ad un processo finito poi in appello a Parma. I quali e-pisodi e per il tempo e per il luogo e per le persone e per l’ambiente hanno fra loro una evidente relazione di causa ed effetto, e PA. ha saputo darcene una piacevole ed interessante esposizione , con rilievi acuti, osservazioni opportune così sul carattere delle persone, come sulle condizioni della società, del governo, della giustizia e della magistratura a que’ dì. I nemici che aveva il Giordani non erano pochi, specie nella classe dei nobili e del clero; la causa dei ragazzi difesa con tanta eloquenza e con tanto sdegno magnanimo li accrebbe e li fece più aggressivi. Queste ire si manifestarono pubblicamente in un libello che, sebbene non dato ai torchi, girò manoscritto. L’autore fu conosciuto, e del pari noti gli istigatori ; fra questi il conte Trombetti, il quale una sera, uscendo da una conversazione , nel mentre cercava di giustificarsi col Giordani, preso da un impeto d’ira per qualche parola vivace, percosse il suo interlocutore colla piccola canna che teneva in mano e fuggì. Di qui, per referto del commissario del Buon Governo non per querela della parte , ebbe luogo il processo contro il Trombetti, di cui il C., sulla scorta dei documenti, racconta le fasi in questo opuscolo gustoso, e che reca un utile contributo a quella biografia dello scrittore piacentino, pur da lui augurata , e che è nel desiderio di tutti. Il materiale è abbondante e le ricerche ben dirette possono accrescerlo. A. V. Kolzoff. Liriche russe tradotte letteralmente in prosa dal D.r G. B. Laura. (Nozze Martini-Sartori). Schio. Prem. Stab. Arti Grafiche, 1907, in S, pp. 96. — Il medico G. B. Laura nato a Venti miglia nel 1S43 e morto a Torino nel 1901, cultore appassionato delle letterature germaniche e slave lasciò inedite alla vedova Sig.a Amalia Flechia parecchie versioni dal russo, fra cui la traduzione in quattro lingue delle favole del Krilov, il La Fontaine russo. Anche lasciò inedite queste versioni letterali di liriche del Kolzoff che fu chiamato il Béranger russo (1S09-1S42). Esse vengono in luce per cura del Prof. Giorn. Si. e Leti. (Uìla Liguria. 16 — 234 — G. Flecchia e de’ suoi colleglli della R. Scuola Tecnica di Schio (Vicenza) in lieta occasione di nozze. Qualcuna di queste liriche ci par bella; tutte degne d’esser conosciute. Francesco Rollino e Arturo Ferretto. Storia documentata delia parrocchia di Santa Margherita Ligure. Genova, tip. della Gioventù, 1907; in 16, pp. 216. — Gli A. si sono strettamente attenuti al soggetto propostosi; cioè alla storia ecclesiastica. E prima hanno voluto determinare a qual tempo risalga la parrocchia, la cui più antica memoria si ha, secondo il loro parere, in Una cessione di decima fatta nel 1175 dall’arcivescovo di Genova a prete Gandolfo di S. Margherita; onde inferiscono che questa chiesa avesse già a questo tempo la parrocchialità. Ma qui non si fermano, e per via d’induzioni intenderebbero provare l’esistenza della chiesa come comunità religiosa assai prima del secolo XII , e più propriamente innanzi al secolo VIII. Dopo di che incomincia la ordinata esposizione delle vicende della parrocchia, le quali trovano conforto ne’ documenti ; donde si rileva come rimasta per se stante fino all* aprirsi del secolo XV fosse poi unita all’altra sua vicina di S. Siro con la quale rimase fino a che nel 1646 l’Arcivescovo Durazzo ne decretò la separazione , nel quale periodo, 1’ una e 1’ altra stettero per ben 75 anni in commenda dei Fie-schi. Venne pochi anni più tardi (1666) eretta in Pieve ed ebbe naturalmente le sue parrocchie suffraganee, spiccate dalla antica dizione di Rapallo. Quali fossero i confini onde si stendeva da prima la parrocchia è largamente chiarito, non senza notare all’ uopo le contese per essi insorte con la contermine di S. Giacomo; siccome si vien rilevando la progressiva importanza che con essa assunse il borgo omonimo. Entriamo cosi nella seconda parte della monografia dove ampiamente si parla della chiesa vecchia, per quanto se ne può dedurre dalle scarse memorie rimaste, e specie della chiesa nuova , edificio seicentesco che viene diligentemente descritto con gli oggetti d’ arte ond’è abbellito; mentre, come l’argomento richiedeva, si discorre del patrimonio beneficiario, delle feste religiose, della collegiata, delle cappellate, e dei pii istituti alla chiesa ed al culto pertinenti. Nella terza parte abbiamo la cronologia biografica dei parrochi e il rilievo delle loro benemerenze verso la parrocchia, e cosi i cenni intorno ad altri sanmargaritesi benefattori della chiesa , o per uffici ecclesiastici degni di ricordo. Chiude il volume una silloge di documenti in regesto , i quali movendo dal 1175 si arrestano al 1828. Luigi Tansillo. I capitoli del podere annotati per le scuole da Gioacchino Brognoligo. Livorno, Giusti, 1908, in 16, pp. XX-49. -Ha fatto bene il B. a richiamare l’attenzione degli studenti sopra questi tre capitoli del Tansillo, i quali e per la sostanza , ricca di buone osservazioni, e per la forma semplice, piacevole ed ornata son degni veramente di entrar nella scuola ed esercitare in un tempo così la buona ed accorta didattica magistrale, come la fruttuosa intelligenza dei discepoli. È questo uno dei più bei saggi di poesia georgica che — 235 — abbia il nostro cinquecento, e da alcuni altri si discosta specialmente perchè com’essi non si manifesta imitatore pedissequo del sovrano Virgilio, ma, pur attingendo da lui e da parecchi classici autori antichi della materia , è originale , e così si mantiene nel concetto fondamentale e nell’arte piacevole dello svolgerlo. Persuasive perciò e da lodarsi le ragioni chiaramente esposte dal commentatore, per giustificare la scelta di sì fatta operetta ad uso scolastico, nella succosa introduzione, dove condensa le migliori notizie sul Tansillo , e si ferma di preferenza, com’era nel suo disegno, sopra i presenti capitoli con acute osservazioni. Nel commento si mostra misurato, e ben consapevole del fine a cui destina il libro; onde per lo più la spiegazione o la illustrazione si palesa necessaria ed atta in tutto a chiarire il testo. Qualche dubbio sopra alcuni punti: a pag. 8 non ci sembra sia quella data in nota (8) la spiegazione della frase « nè ve ne mora goccia », non conforme al concetto della terzina: a pag. 16 quel « su la rota » si riferisce proprio alla « rotazione delle varie colture », o non vuol dire piuttosto, fortunata la possessione, già capace cioè di buon reddito?: a pag. 24 non ci contenta la interpretazione data nella nota (2) alla terzina: « Smonti in Sicilia » ecc., che ci pare s’accordi al concetto espresso nelle due antecedenti e quelle compia ed illustri ; così nella terzina seguente s’ invoca Dio o le autorità ? Quisquilie che nulla tolgono, anche se vere, alla bontà-del commento. Avvertiamo il proto che a pag. 10 nel verso ultimo c’è un la di più, e a pag. 44 un tempio con quell’ i soverchio. Eugène Poiré. Magenta et Solferino — Autrefois-aujourd'hui. Paris, Nancy. Berger Lewault et C. ed. 1907; in 8, pp. 168. — I due luoghi' dove tanto nobil sangue francese fu sparso per la indipendenza dell’ Italia, vengono minutamente e vivacemente descritti in questo volume del P. che vi ha fatto pietoso pellegrinaggio, e la descrizione gli offre il destro di ritornare sulle varie fasi dei due combattimenti ed anche sui motivi della politica di Napoleone III nella penisola. Dove egli fa l’elogio dei soldati valorosi e dei generali e marescialli d’Algeria e d’Italia pienamente consentiamo ; egli troverà molto naturale che noi non consentiamo invece intorno al suo giudizio su re \^ittorio Emanuele II. Il P., meglio che le chiacchiere d’anticamera del Vieil Castel, avrebbe potuto riprodurre i giudizi che del re Vittorio vennero dati dalla tribuna del primo paese libero del mondo, cioè l’Inghilterra, e quand’egli nota che, senza favorevoli circostanze , nessun personaggio storico riesce a raggiungere pienamente il suo scopo, noi gli potremmo chiedere se il governo del Piemonte , quaîe fu tenuto dal re Vittorio dal proclama di Moncalieri sino al 1859 sia un fatto trascurabile in mezzo alle circostanze sovra menzionate. Il P. ripetutamente e nel testo e nelle note manifesta il suo disgusto contro gli attuali governanti del suo paese e contro la parte eh’ essi hanno fatta rappresentare all’esercito nell’esecuzione delle ultime leggi contro le congregazioni religiose; anzi egli protesta contro molte delle innovazioni che nell’esercito stesso vennero introdotte. Probabilmente trat- — 236 — tasi di vivaci risposte eh' egli fa alle molteplici accuse che vennero mosse all’esercito del secondo Impero, cioè di materia polemica e ardente in cui non troppo si misurano i colpi; ma egli ci consentirà di notare che l’attribuire ch’egli fa la liberazione della Venezia alla giornata di Sadowa, aggiungendo che « l’Italia vi aveva contribuito abbastanza platonicamente », può essere un modo spicciativo di giudicare la nostra campagna del 1866 coi suoi errori e coi suoi splendidi episodi di valore, ma difetta così di precisione come di giustizia. Altre riserve faremmo intorno a qualche altra frase del medesimo conio (1). Quanto al voto eh’ egli esprime che il monumento di Napoleone III venga tolto dal melanconico recesso del palazzo dove si sta appiattato, e sorga nell’aere ampio di Solferino che sa il crepitio delle palle e il rombare dei cannoni francesi fin dai tempi del petit-caporal diremo : se così ha da essere sia pure. Ma per conto nostro il monumento dovrebbe sorgere nella capitale della Lombardia e la gran voce della patria dovrebbe imporlo ai dissidenti della città che hanno posto finora il proprio veto. Ciò vogliono appunto i ricordi di quelle due immortali battaglie dalle quali il P. ha intitolato 1’ interessante suo volume. (Guido Bigoni). Faust, dramma di Cristoforo Marlovve (dall'inglese); Idillio d’ inverno, di Carlo Stieler (dal tedesco); poesie varie di poeti coìi-temporaneispaglinoli. Versio?ii poetiche di B. V. Giustiniani. Livorno, Arti Grafiche S. Beiforte e C., 1907, in 16, pp. 154. — L’opera del G. merita davvero tutto il plauso del pubblico ; non solo per il valore delle versioni eh’ essa comprende , ma anche per la sua opportunità, dacché risponda a un desiderio sentito ormai fortemente dalle persone colte, e alle dichiarate aspirazioni di una società di filologia moderna istituitasi or ora in Italia. Il Fausto del Marlovve , interessantissimo dramma che sferza 1’ umana oltracotanza in generale e , se non erro, la fallace negromanzia basso medioevale in particolare, apre la serie, non numerosa ma sceltissima, delle versioni; e s’avvantaggia qui sulla traduzione quasi contemporaneamente composta in prosa dal prof. Bardi (La tragica storia del dottor Fausto , Bari , Laterza, 1907), per la forma perfettamente corrispondente a quella dell’originale , che risulta di prosa e di versi insiem commisti , come nei drammi dello Shakespeare. Nulla potrebbe mai leggersi di più delicato che Un idillio d’inverno, ove lo Stieler — un tedesco che ha l’anima di Catullo , o se ad alcuno spiace Γ anacronismo , dello Shelley, — rassegna, con soave squisita semplicità , alcuni motivi poetici della sua purtroppo breve esistenza. Riuscitissime anche parranno le traduzioni, relegate in (1) P. e. non è affatto vero che nelle scuole italiane si parli solo della vittoria di S. Martino e si taccia, o quasi, di quella di Solferino. Quest’ultimo nome è anzi popolare in Italia se la parola popolare può fra noi ado-prarsi per i fatti del risorgimento che non riguardano l’eroe del popolo : Garibaldi. — 237 — fondo al volume, delle liriche spagnuole (Cantares, I minatori da Ventura Ruiz Aguilera; Filippo IV da Manuel Machado; IJalto degli zingari, Profumo antico, La bella dormiente , Miserere, Tristezza, Hora mystica da F. Villaespesa; Marcia Trionfale da Ruben Dario; Vecchi alberi , Aquile e passere da Josè Santos Chocamo ; Bohème da Enriquez Diaz Canedo); specialmente la Marcia trionfale, ove il G. ha cercato di riprodurre le rimbombanti onomatopée dell’originale, sebbene, a nostro avviso, abbia oltrepassato i limiti concessi a una traduzione poetica in lingua italiana, dando come versi alcune lunghissime clausule (ved. i due finali) che non entrano nel ciclo della nostra tradizione poetica formale. Peccato che il volume sia inquinato da numerosi errori di stampa, (per i quali persino qualche verso sembra sottrarsi alle leggi della metrica), e che manchi dell’ indice. (F. L. Mannucci). Mario Pertusio. La vita e gli scritti di Giovanni Ruffini con prefazione di Anton Giulio Barrili. Genova, Chiesa (Empoli, Traversar!) 1908 , in 16, pp. xv-167, con rit. e fig. — Fa parte questo volume di una collezione della quale si è fatto coraggioso editore Federico Chiesa: iniziata con un forte volume dove furono raccolte le notevolissime conferenze tenute a Genova nel 1905 in occasione del centenario della nascita di Giuseppe Mazzini; accolse in seguito i geniali saggi di filosofia morale che col titolo appropriato : La via del bene mandò fuori il prof. Luigi Garello ; ed ora mette in pubblico la presente monografia dettata a ricordare lo scrittore patriota onde Taggia s’onora, mentre compiono cento anni dal dì che lo vide nascere. Il giovane A. ha fatto del suo meglio per raccogliere il materiale storico, letterario e critico che a suo scopo poteva giovare a svolgere il tema, e ne ha trovato a dovizia, chè i casi dei Ruffini e la parte ch’essi ebbero nelle vicende politiche porse argomento a non poche scritture. Una sì fatta ricchezza, e la naturale inesperienza ed incertezza di chi affronta alla prima un lavoro biografico e critico, furono assai probabilmente le cause principali della mancanza d’organismo, e perciò di un certo disordine nel disciplinare la materia. La forma stessa non è sempre corretta, e lo stile manca di quella agilità perspicua che è indispensabile in scritture di questa ragione. Cionondimeno sarebbe ingiusto negare ogni utilità a queste pagine, dove la figura del Ruffini, e come patriota, e come scrittore , e come uomo riceve lume dalle molteplici notizie raccolte ed anche dai giudizi recati, sebbene attinti da critici già noti. Nè si dee lasciar senza lode l’aver riferito qualche documento affatto sconosciuto riguardante Eleonora Ruffini , e abbastanza significante. Il libro si chiude con una nota malinconica : la constatazione della crassa ignoranza di un sottosegretario di stato, il quale, anche a nome di suoi poco sapienti colleghi, dichiarava di non sapere chi fosse Giovanni Ruffini. Bella, geniale, vivamente sentita la prefazione scritta da Anton Giulio Barrili cui vien dedicato il lavoro. — 238 — II disegno del Decameron di Giovanni Boccaccio col commento di Giuseppe Gigli. Livorno, Giusti, 1907; in 8, pp. xi-348. - Il trcit-tatello dì Dante di Giovanni Boccaccio con introduzione e commento di Giuseppe Gigli. Livorno , Giusti , 1907 , in 8 , pp. xv-145. — La lettura di alcune novelle del Boccaccio ; quelle che di consueto sogliono proporsi agli scolari nelle scelte (e di queste ne abbiamo d’assai pregevoli), non può essere sufficiente a dare un adeguato concetto del Decameron, che è opera organica così nella sostanza come nella forma. E perciò ha ben pensato il G. di provvedere al difetto con questo disegno che in ogni sua parte sopperisce al bisogno, perchè dà una sicura nozione deir intero libro co’ suoi principii, il suo proprio svolgimento, il suo fine; i narratori, i luoghi, il tempo e via dicendo; riserbando a due novelle opportunamente scelte per ciascuna giornata il rappresentare gli argomenti in ognuna di esse proposto. Alcune sobrie annotazioni storiche e filologiche giovano alla piena intelligenza del testo. — L’aver ordinato per le scuole il Trattatelio i?i laude di Dante è una vera novità, poiché fino a qui non era stato sembrato degno d’entrarvi. La cagione si deve forse ricercare nelle discussioni a cui questa scrittura ha dato luogo rispetto alla veridicità del contenuto, e rispetto alla sua composizione. Il G. in una succosa introduzione ci dà notizia di questi dibattiti, e delle ultime conclusioni che ormai, per consenso dei più, appariscono accettabili, aggiungendo la indicazione delle stampe che ne vennero fuori dal 1477 ^ηο a noi. Il commento è qui abbastanza largo, e invero la materia richiedeva non tanto schiarimenti di parole , di frasi , di modi, quanto di fatti, di persone, di luoghi, di accenni non sempre agevoli ad essere colti nel vero significato e rettamente intesi. L’uno e l’altro volume si vantaggiano di un indice utilissimo che agevola la ricerca di quanto vien esposto nell’apparato critico. Vincenzo Gioberti e le sue idee pedagogiche. Nota del prof. G. B. -Gerini. Torino, Clausen, 1907 , in 8 , pp. 26. — È questa una esposizione metodica e ragionata di tutto quanto, in fatto d’insegnamento e di educazione pubblica, si trova nelle diverse opere del filosofo torinese. Sono rassegnate con esattezza le opinioni e le dottrine di lui per gruppi, incominciando dalle idee geniali sulla educazione, dalle quali si passa ai pensieri sulla educazione fisica e spirituale, quindi ai criteri che lo hanno spinto a negare la libertà pedagogica, per constatare in fine com’ei propugnasse l’educazione nazionale. Nè l’A. si mostra pedissequo ossequiente a tutte le idee giobertiane , e mentre ne rileva 1’ essenza e la bontà , non manca di additarne i difetti , o le preoccupazioni. Notevole contributo atto a rinfrescare la fama di questo pensatore e patriota, il quale se cadde in errori come filosofo e come politico, vi fu indotto dall’ amore grandissimo e fervente verso la patria, che fu il fuoco animatore di tutta la sua vita. — 239 — SPIGOLATURE E NOTIZIE. *** Nuovo e importante contributo alla storia della cartografia genovese reca Sebastiano Crino con la sua Notizia sopra una carta da Navigare di Visconte Maggiolo che si conserva nella biblioteca Fe-dericiana di Fano (cfr. Bollettino d. Soc. Geogr. Ital., Ser. IV , Voi. VIII, pag. 1114). La carta che egli illustra era fin qui ignorata, ed assume speciale importanza dal fatto che, secondo le plausibili congetture dell’autore, potrebbe identificarsi con quella che il cartografo Vii aprile 1534 si obbligava a delineare per Lorenzo Lomellino, il quale a sua volta prometteva di farla intagliare e stampare a sue spese. Così noi avremmo la certezza che il Maggiolo compì da sua parte all’obbligo assunto nel contratto (cfr. Aiti Soc. Lig. Stor. Pat.} vol. IX, pag. 490), mentre resta a sapere se il Lomellino abbia fatto altrettanto. *** Dai Documents inédits relatifs à Madame Duchesse de Berry publiés par Henry Prior (Milan, Allegretti, 1906) si rileva che Fabio Pallavicini, che fu ciambellano di Carlo Alberto, e morì senatore nel 1872 in età di 78 anni, prese parte al ben noto tentativo della duchessa di Berry nel 1832, e le imprestò all* uopo , unitamente al cugino Alessandro, ben settecentottanta mila lire, con l’autorizzazione e la garanzia del re di Sardegna. Lettere interessantissime dì questi e della duchessa al Pallavicini sono parte principale di questa curiosa pubblicazione, siccome hanno del pari singolare interesse tutte le altre a lui indirizzate , sullo stesso argomento , da diversi personaggi d’alta condizione. Troviamo in queste lettere anche il nome d’un altro ligure di non bella fama, il Maghella, che, non sapendo rinunziare alla sua natura poliziesca ond’è rimasto famoso, or s’acconciava a fare il referendario. * Carlo Grigioni nel comunicare alcune interessanti notizie Per la stor ia della pittura in A scoli Piceno ?iella seconda metà del secolo XV (in Rassegna bibliografica dell'arte italia?ia, a. XI, pag. 1 e sgg.) ci fa conoscere un pittore genovese del secolo XV che lavorava in Ascoli, dove prese stabile dimora. Egli è « Magister Stefanus Peri de Janua pictor habitator Civitatis Esculi » , del quale il G. rileva dai documenti la prima menzione nell’ agosto del 1450 , e reca poi l’intero strumento con cui dalla fraternità dei tedeschi gli è commesso il 2 ottobre 1464 un trittico di palmi dieci per nove, rappresentante la Vergine con altri santi , per essere collocato all’ altare di S. Agata nella chiesa di S. Agostino. Opera d’arte oggi perduta. Altri docu menti lo ricordano negli anni successivi, e rammentano altresì due suoi figliuoli, onde pare fosse tuttora in vita nel 1494. Il sepolcro innalzato a Francesco Spinola, difensore di Gaeta nel 1434, già esisteva nella distrutta chiesa di S. Domenico, ed era composto di un sarcofago, sulla fronte del quale è scolpita una scena — 240 — bacchica, sormontato dalla figura equestre in mezzo rilievo dello Spinola, che si manifesta in un padiglioae aperto opportunamente da due angeli. La parte inferiore, opera squisita dell’ arte antica , venne donata dai cittadini di Gaeta al loro difensore, e servì poi con felice pensiero ad adornarne la tomba. Ora le due parti esistono ancora, ma disgregate, chè il sarcofago si ammira nel Museo Civico a Palazzo Bianco, mentre l’effigie dello Spinola si trova nel cortile del Palazzo Spinola sulla piazza di Pellicceria. Questa seconda scultura venne attribuita dall’Alizeri e dal Cervetto a Giovanni Gaggini, ma più recentemente il Snida la ritenne opera di Michele d’Aria. Senonchè Pietro Toesca riprende in esame la quistione su Lo scultore del Monumento a Francesco Spinola (in raccolta nuziale: Scritti di storia, filologia e arte, Napoli, Ricciardi, 190S, pag. 173 e sgg.), e si allontana dall’opinione dei citati scrittori. Egli ritiene, per via di acuti e persuasivi raffronti, che la figura dello Spinola appartenga a quel medesimo artefice lombardo che scolpì il mausoleo del cardinale Branda , eretto nella chiesa di Castiglione d’Olona. Trova in ispecie un perfetto riscontro fra gli angeli che sollevano l’ombracolo del padiglione nella scultura genovese, e quelli che svolgono e sorreggono 1’ iscrizione del sepolcro Branda. A questo anonimo scultore egli crede si debba altresì ascrivere la piccola statua di S. Giorgio che nel ricordato Museo reca il 11. 213. *** Nella collezione: Les musiciens célèbres è comparsa la biografia di Paganini di J. C. Prod’homme (Paris, Laurens), volumetto a-dorno di parecchie ben riuscite figure. La narrazione è condotta sopra gli scritti riguardanti il violinista genovese, e sopra i giornali contemporanei. L’autore ha dato in fine 1’ elenco delle composizioni di Paganini, e la bibliografia ; si rileva da questa che gli è rimasta sconosciuta la monografia del Belgrano (in Imbreviaiure, Genova, Sordomuti, 1882, pag. 335 e sgg.) dettata sulla scorta di un copioso carteggio inedito tenuto dal Paganini col Germi. *** Nella importante monografia di Giovanni Collino su La preparazione della guerra veneto-viscontea contro i Carraresi nelle relazioni diplomatiche fiorentino-bolognesi col conte di Virtù (in Archivio Storico Lombardo, a. XXXIV, pag. 209 e sgg.), è fatto ricordo di una ambasciata in persona di Vanni di Lapo Oricellari , mandato a Genova dalla repubblica fiorentina per trattare una lega contro il Visconti. È pubblicata la istruzione a lui data all'uopo il 27 gennaio 138S. Di questo particolare tacciono le nostre cronache. Carlo Pascal pubblicando alcuni Componimenti satirici su Roma papale (in Rivista di Roma, XII, p. 25) reca un epigramma contro Giulio II. Esso era già noto, ma qui ne viene data una lezione migliore tratta da un cod. Ambrosiano; dice così : Genua cui patrem, genitricem Graecia, partum Pontus et unda dedit, qui bonus esse potest? Fallaces Ligures, mendax est Graecia, ponto Nulla fides. Iuli, haec omnia solus habes. — 241 — Segue nel citato cod. la risposta, or per la prima volta pubblicata : Geuua cui patrem, genitricem Graecia, partum Pontus et unda dedit, qui malus esse potest ? Est Venus orta mari, sapiens est Graecia, sollers Ingenium est ligurum: Mome proterve, tace. *** Quanta parte avesse Andrea DOria nel far sì che la sentenza, onde si chiuse in Genova la lunga causa del Monferrato, si chiarisse favorevole a Federico Gonzaga, venne già esposta alcuni anni or sono (cfr. A. Neri, Andrea D’Oria e la Corte di Mantova. Genova, Sordomuti, 1898); ora Pietro Marchisio nella recente monografia: L'ar-bitrato di Carlo V nella causa del Monferrato (cfr. Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino, Voi. XLII , p. 529 e segg.) torna naturalmente a discorrere del D’Oria, e rileva in ispecie i colloqui interessanti avuti da questi a Napoli col Maft’ei agente del Duca, intorno a quelle pratiche. Crediamo che quel primo lavoro innanzi citato gli sia rimasto sconosciuto. *** Nel Carteggio inedito fra due santi prelati pubblicato dal p. Premoli (.Rivista di scienze storiche, a. IV, p. 272) si trova cenno delle prime pratiche fatte da Alessandro Sauli nel 1591 per stabilire in Genova un convento di Barnabiti. E in nota (p. 278) si trascrive un sonetto ed un madrigale scritti dal genovese Cristoforo Zabata, verseggiatore, in italiano e in dialetto, editore di poesie ecc. , in lode del Sauli quando andò vescovo a Pavia. Foglio volante con fregi pubblicato nella opportunità delle feste. *** Segnaliamo nel periodico mensile di Barcellona Rojas selectas (agosto 1907) un notevole articolo di Enrico Deschamps, dal titolo: La tumba definitiva de Colòn con diciannove figure assai felici. Il mausoleo ricco, grandioso, imponente è stato eretto nella nave centrale della Cattedrale di S. Domingo per opera deH’Architetto Fernando Romeu e dello scultore Pedro Carbonell. Il Deschamps prende argomento da questo nuovo lavoro artistico per rifare oggettivamente la storia delle ceneri di Colombo, a fine di mostrarne l’autenticità a petto di quelle che si pretendono trasportate all’Avana. *** Scrive Alessandro Luzio nella sua monografia: Isabella d’Este e Leone X {Ardi. stor. ital. , Vol. XV, pag. 81): « Elisabetta Gonzaga s’era nel novembre 1516 recata a Genova, accettando il ricambio cortese di ospitalità che Ottaviano di Campofregoso le aveva offerto. Le accoglienze del Doge, la bellezza incantevole della Superba le facevano dimenticare le amarezze di quell’ anno sciagurato : e sue lettere alla cognata ce la mostrano a Genova dal novembre 1516 all’ aprile del 1517 ». *** Nella recente scrittura di Francesco Lemmi: Per la storia della deportazione nella Dalmazia e nell' Ungheria (in Arch. Stor. Ital., Serie V, vol. XV, pag. 310) troviamo notizia di due lunigianesi non ricordati altrove. Essi sono Federico Milatri e Giovanni Rappi di Fo-sdinovo, i quali condotti nell' agosto del 1800 dalle prigioni di Man- — 242 — tova a quelle di Verona dovevano scontare rispettivamente 12 e 10 anni di lavori di fortezza a cui erano stati condannati dall’ autorità feudale, per causa della loro condotta rivoluzionaria. Quindi inoltrati a Trieste poi nelle fortezze ungheresi, colà perdettero forse la vita non essendosi mai più saputo nulla di loro. *** Francesco Paolo Luiso nella sua monografia : Di un' opera inedita di frate Guido da Pisa (in Miscellanea di studi critici di Guido Mazzoni, Firenze, Galileiana, 1907 , vol. I, pag. 79 e sgg.), discorre con più larga informazione e più diligenti particolari del commento all’inferno di Dante scritto da frate Guido da Pisa, il quale come si sa, lo dedicò a Luciano Spinola. Egli si ferma di preferenza sull’ insigne codice Archinto , ora a Chantilly , che si ritiene quello stesso scritto e miniato per lo Spinola, di cui reca alcune notizie biografiche. Quel cod. oltre allo stemma degli Spinola, ha una figura nella quale si rappresenta frate Guido che porge il volume al signore genovese. *** Nelle Lettres à un ami di Edmond Rousse pubblicate dal giornale Le Correspondant si tocca con lode (22 gennaio) della Duchessa di Galliera e del suo Salon che « est un des laboratoires académiques et politiques les plus puissants de Paris ». Del pari discorre di lei il marchese di Castellane nella Revue Hebdomadaire (i° febbraio) in un suo articolo intitolato: Le Salo?i de ma mère. Questi ricordi hanno fatto esprimere il voto che alcuno scrivesse lungamente di quella illustre Signora. Ma per far ciò bisognerebbe aver accesso agli archivi di iamiglia, che sono rigorosamente tenuti sotto chiave e fuor degli occhi profani; anzi da qualcuno giudicati depositi di carte destinate al fuoco ! ! Importante contributo reca alla storia degli umanisti R. λ a-lentini con le sue Notizie biografiche e filologiche sul Panormita (in Re?idico?iti della R. Accademia dei Li7icei. Classe di scienze morali storiche e filologiche, Ser. V, Vol. XVI, pag. 456 e sgg.), nelle quali non solo troviamo relificata la data della venuta a Genova del Panormita; ma, che è più, parecchie notizie nuove, o meglio chiarite sulle relazioni fra questi e Bartolomeo Guasco. ** Ne La corrispo7ide7iza famigliare d’nn medico ertidito del quattrocento (Pietro Tornasi) erudita monografia di Arnaldo Segarizzi (in Atti della I. R. Accademia di Se. lett. ed ar. degli Agiati Ì7i Rovereto, Ser. Ili, Vol. XIII) ci sono rivelati i nomi di un « Matheus de Ianua» e di un « Guido de Lunisiana » scolari a Padova (i407_J4°S) del Tornasi. Del primo si conservano lettere private al maestro, dalle quali si rileva ch’egli era Matteo de Monte di Chiavari (p. 239). Inoltre vi leggiamo una lettera di Tomaso da Campofregoso « date castro magno •Sarzane » il 9 luglio 1427 (p. 243). Nella collezione musicale Heyer descritta nella Bibliofilia (a. IX, p. 154) si trova il libro seguente : Costa Gio. Paolo Ge7iovese. Il primo libro di Madrigali a Quattro Voci. Novamente co7?iposti et dati in luce. In Venetia, Appresso l’Herede di Angelo Gardano, — 243 — M.DC.XIII. In 4, di pp. 21 num.; al verso dell’ultima carta la tavola. -L’autore dedica il libro a « Ottavio del Sig. Federigo Saminiati » con lettera « da Genova il dì Primo Febraio MDCXIII ». Contiene 21 madrigali musicati. *** Nella vendita di autografi, specialmente musicali , fatta a Berlino da Leo Liepmannssohn , un foglietto di Nicolò Paganini contenente una frase del Capriccio per violino venne aggiudicato per ot-tantasei marchi. Richiamiamo l’attenzione sopra un’ importante monografia largamente documentata di G. Zippel dal titolo : L'allume di Tolfa e il suo commercio. Quivi oltre ad una accurata raccolta di notizie sul commercio di questo minerale fatto dai genovesi nelle colonie d’O-riente, abbiamo la storia delle compagnie commerciali che fino dal loro primo rinvenimento , appaltarono le allumine pontificie ; compagnie dove entrano genovesi, o che hanno relazioni e traffico con essi. Quivi i D’Oria, i Centurione , i Cicala , gli Usodimare , gli Spinola, notevoli fra questi ultimi Eliano, e specialmente Biagio che fu il primo organizzatore della nuova industria mineraria, e tenne ufficio di « maestro generale » delle allumiere con 400 ducati annui. Da ricordare altresì Bartolomeo da Framura scrittore apostolico, familiare del pontefice, ed un de’ partecipi alla prima società concessionaria (Archivio della R. Società Romana di Storia Patria , vol. XXX , pag. 5 sgg., 389 sgg.). *** Nell’Archiginnasio di Bologna fra gli stemmi e le iscrizioni che ricordano i presidi o priori degli studenti, divisi per nazioni, si ha un D. Carolus Benettinus fosdenovensis per i genovesi. *** È uscito il primo fascicolo dell’Archivium Francisca?ium Historicum che sotto la esperta direzione del dotto p. Girolamo Golu-bovich, si pubblica trimestralmente per cura del Collegio di S. Bonaventura a Quaracchi presso Firenze. Si partisce in Discussiones, Documenta, Codicographia e Bibliographia , con recensioni , estratti da periodici, miscellanea etc. Avrà certo vita sicura, lunga e rigogliosa, il che auguriamo ; ce ne affida la serietà e la bontà di questo primo fascicolo , e 1’ annunzio di molto e importante materiale per i successivi. *** Il catalogo di Manuscrits et livres rares di T. De Marinis (Firenze, Via Vecchietti, 5), n. VII reca delle rarità notevoli ed importanti. Da segnalare fra i manoscritti due codici della Divina Commedia cartacei appartenenti al sec. XIV , uno de’ quali con commento latino. Fra gli stampati, rari incunabuli, opuscoli introvabili degli inizi del cinquecento, edizioni aldini primissime. Vi troviamo una Summa Pisana stampata a Venezia nel 1481 da Nicolò Girardengo di Novi ; il Tempio d'Amore di Galeotto del Carretto edito nel 1524 con una graziosa incisione in legno; il Discorso della Goletta et del forte di Tunisi, dove fra 1’ altro, è riferito il Parere del sig. Andrea Doria sopra quelle imprese affricane; il Decachordum Christianum di Marco — 244 — Vigerio savonese, raro incunabolo sonciniano figurato da scolari di Gian Bellini. 11 catalogo è fatto con singolare ed esatta dottrina bibliografica , ed oltre a parecchie figure intercalate reca tredici bellissime tavole fuori testo con facsimili, riproduzioni di miniature e di legature onde sono adornati i più importanti volumi. *** Nella vendita della biblioteca d’Altemps-Patrizi avvenuta a Londra nello scorso luglio , figurava il « Libellus de natura anima-liitm, Impressum Savone per Magistrum Joseph Berruerium, sub anno Domini 1524 die XV aprilis » , incunabulo ligure assai raro e ricercato in ispecie per le molte figure che lo adornano. Raggiunse il prezzo cospicuo di lire 2250. Un esemplare ben conservato si trova nella biblioteca civica di Savona. Il Catalogo n. 119 Genealogie und Heraldik di Ludwig Ro-senthal (Monaco di Baviera) è assai ricco , e nelle 291 pagine comprende 3323 numeri. Vi sono indicate moltissime opere a stampa che in qualche guisa si riferiscono ad argomenti genealogici ed araldici, e si veggono accanto ad esse diplomi di varia ragione ed altri documenti così membranacei come cartacei de’ secoli XV-ΧΥΓΙΙ. Una speciale sezione addita tutto quanto riguarda gli ordini cavallereschi. Non mancano alcune figure. È inutile aggiungere che il catalogo reca tutte le indicazioni più diligenti e precise richieste dalla bibliografia, sebbene sia fatto con intenti commerciali; ormai la Casa Rosenthal è anche fra noi ben conosciuta ed apprezzata per la sua competenza in materia. Parecchie cose quivi elencate o sono stampate in Italia, o la riguardano; per non accennar altro, rileveremo tutto quanto riguarda i Medici e Venezia. Il numero più importante del catalogo è quello che indica le carte del barone Augusto Iochmus di Cotignola , rinomato generale, uomo politico e scrittore di cui si ha qui il carteggio, oltre i documenti personali e famigliari. BIBLIOGRAFIA SCIENTIFICA DELLA LIGURIA GEOGRAFIA E STORIA NATURALE ANNO I.° — I907. Nella presente bibliografia, come in quella in corso di pubblicazione negli «Atti della Società Ligustica di Scienze Geografiche e Naturali », di cui questa è un annuale supplemento, ho adottato per confini della Liguria quelli stabiliti dal Prof. Arturo Issel nella sua « Bibliografia Scientifica della Liguria > (Genova , Tip. Marittima, 1S8S, pag. 7) e cioè il Varo dalla foce fino alla sua confluenza colla Tinea, la Tinea stessa, il crinale delle Alpi Marittime fino al colle di Nava, poi una linea tortuosa che da detto colle risale a Serra valle Seri via, passando per Ormea, Garessio, Calizzano, Millesimo, Cairo Montenotte, Spigno, Ovada, Gavi, Novi e che da Serravalle discende per Rocchetta Ligure, — *45- — Ottone, S. Stefano d’Aveto, Varese Ligure, Zeri, Calice, Vezzano fino alla foce del Magra. Rivolgo una calda preghiera ed anticipo vivissimi ringraziamenti a tutti coloro che trattarono o tratteranno di cose liguri se vorranno comunicarmi aggiunte alla bibliografia del corrente anno o favorirmi materiali per quella delle annate successive a fine di poterle rendere meno manchevoli e meno incomplete, (i) Infine coir animo grato porgo vivissimi ringraziamenti ai ProflT. A. Issel, C. Parona, O. Penzig, G. Rovereto e al Cav. V. de Cessole pel copioso materiale che tanto gentilmente misero a mia disposizione. Antonio Frisoni. 1. * // problema ferroviario dei porti di Genova e Savona. Riv. Ital. di Comunicazioni e Trasporti, Vol. I, fase. XII, p. 412-413. Roma, 1907. 2. * Osservazioni Meteoriche. Osservatorio della Regia Università di Genova. Gennaio-Dicembre içoô. 12 tabelle numeriche. Atti Soc. Ligustica di Scienze Geogr. e Nat., Voi. XVIII, fase. I. Genova, 1907. 3. * Il problema ferroviario della Liguria Occidentale. Riv. Ital. di Comunicazioni e Trasporti, Vol. I, fase. Ili, p. 108. Roma, 1907. 4. * Onoranze al Prof. Arturo Issel in occasione del suo XL° anno di insegnamento nell1 Ateneo Genovese. Genova, Tip. Frat. Carlini, 1907. (In-S° di 30 pag. con ritratto). 5. * Le Puy du Pas Roubinoux, le col de Gialorgues et le Refuge de Rabuons. Annuaire Sect. Alpes Maritimes du Club Alpin Franc. 1906, pag. 28-30. Nice, 1907. 6. * Caire Murajon. Première ascension d’hiver. Annuaire Sect. Alpes Maritimes du Club. Alpin Franç. 1906, pag. 30-32. Nice, 1907. Adamoli Giulio vedi N. 41. 7. Agnesi G. Sulla ferrovia Garessio-Oneglia-Porto-Maurizio. Discorsi pronunciati alla Camera dei Deputati nelle tornate del 16 Dicembre 1906 e i° Luglio 1907* Roma, Tip. della Camera, 1907 (in-40 picc. di 22 pag.). S. Allemàndet G. H. Analyse de quelques échantillons de pélagosite recueillis dans le port de Monaco. Bulletin de l’institut Océanographique. N.° 91 (di ii pag.). Monaco. 1907. 9. Almagià Roberto. Studi geografici sulle frane in Italia. Memorie della Soc. Geogr. Ital. Vol. XIII (1907). Roma, 1907. (in-8 di 342 pag. con ili. e Carta alla scala 1:500.000). [Vedere specialmente: Parte II, Cap. I. « Il versante adriaiico delPAppennino settentrionale fino al Sillaro » pag. 60-158; Cap. III, « Il versante Tirreno dell Appennino settentrionale » pag. 180-195]. (1) Indirizzo: Via della Crocetta 7-5. (Piazza Manin) Genova. — 246 — 10. Astengo G. Il porto di Savona e le sue comunicazioni. Riv. Ital. di Comunicazioni e Trasporti, Vol. I, fase. Ili, pag. 132. 11. Attendoli T. Progetto di massima per un nuovo valico appenninico Genova-Pietrabissara. Genova, Olivieri, 1907. Baldacci Luigi vedi N.° 41. 12. Béguinot Augusto. Res Ligusticae XXXIX. La vegetazione delle isole Liguri di Gallinaria, Bergeggi, Palmaria, Ti?io e Tinetto. Annali del Museo Civico di Storia Naturale, Serie III, Vol. IV. (estr. in-8c di 53 pag.) Genova, 1907. 13. Bichnell Clarence. Incisioni rupestri nuovamente osservate nelle Alpi Marittime. Atti Soc. Ligustica di Scienze Geogr. e Nat. Vol. XVIII, fase. I, pag. 17-21 con 3 tavole. Genova, 1907. 14. Blum M. Les Grottes de Grimaldi. La Nature, Vol. XXXV, N. 1777, pag. 34-36. Paris, 1907. 15. Boule Marcellin. La Stratigraphie et la Paleontologie des Grottes de Grimaldi. Compte-Rendu du Congrès Intern. d’Antrop. ed Archéol. Préhist. Tome Ι?Γ, pag. m-113. Monaco, 1907. 16. Boule Marcellin. Observation à propos de la Grotte du Prince. Bull. Soc. Géologique de France, Série IV, Vol. VII, pag. 46. Paris, 1907. Cfr. Depéret Charles N.o 36. Boule Marcellin vedi N.i 36, 40, 47, 77. 17. Bousquet M. La Météorologie de Nice. Annales de la Soc. des Lettres, Sciences et Arts des Alpes Maritimes, tome LXVI. Nice, 1907. iS. Camera di Commercio ed Arti di Genova. Resoconto statistico del commercio e della navigazio?ie di Genova. Anno 1905 confrontato col 1904. (in-40 di 150 pag.). Genova, tip. lit. P. Pellas, 1907. [Vedi il riassunto in « L’Economista » Vol. XXXIX, N. 1761, pag. 74-76, 2 febbraio 1908.] 19. Carcani M. La riviera ligure: viaggio in ferrovia. Roma, Tip. Enrico Voghera, 1907. (In-i6<> di 271 pag.). 20. Cardon (Abbé). Le gisement du Cap Roux. Congrès Intern. d’Anthrop. et Archéol. Préhis. Compte-Rendu de la XlIIme Session de Monaco, 1906. Tome I, pag. 173. Monaco, 1907. 21. Cartailhac Emile. Le moustiérien et le pré-solutréen ou au-rignacien des Grottes de Grimaldi. Congrès Intern. d’Antrop. et Archéol. Préhist. Compte-Rendu de la XlIIme session de Monaco, 1906, Tome I, pag. 135-161. Monaco, 1907. Cartailhac Emile vedi. n.° 41. 22. Cattaneo Adorno S. Ge?iova> la direttissima ed il suo porto. Genova, Società Editrice « Cafîaro », 1907. — 247 — 23. Caziot E. Les mouvements du sol et les différentes lignes de rivage des temps pliocènes et quaternaires sur la côte niçoise. Annales de la Soc. des Lettres Sciences et Arts des Alpes Maritimes, tome LXVI. Nice, 1907. 24. Caziot E. De la visibilité de la Corse, vue du rivage de Nice. Annales de la Soc. des Lettres, Sciences et Arts des Alpes Maritimes, tome LXVI. Nice, 1907. 25. Caziot E. et Fagot. Etude sur quelques espèces de la région circa-méditerréenne. Bull, de la Soc. Zoologique de France, Vol. XXXII, pag. 77-80. Paris, 1907. 26. Caziot E. et Maury E. Nouveaux gisements pliocènes et posi-pliocènes marins et complément des faunes déjà publiées des çites marins de ces étages sur la côte des Alpes Maritimes. Bull, de la Soc. Géologique de France, 4e série, tom. VII, pag. 72-79. Paris,· 1907. 27. Caziot E. et Maury E. U?i gisement post-pliocène terrestre dans la vallée de la Tinée. Bull, de la Soc. Géologique de France , 4e série, tom. VII, pag. 158-161 con ili. Paris, 1907. 28. Caziot et Thieux. Obsei'valions sur la foniLalion des tubercules dentiformes de quelque Héliciens. La Feuille des Jeunes Naturalistes, 3S I9°7- 40. Diversi. Excursio?i aux grottes des Baoussé Roussé. Congrès Intern. d’Anthrop. et d’Archéol. Préhist. Compte-Rendu de la XIIIme Session de Monaco, 1906. Tome I, pag. 57-86, con ili. Monaco, 1907. Contiene : Boule Marcellin. Notions générales sur les Grottes de Grimaldi. Pag. 58. De Villeneuve L. Historique des fouilles. Pag. 61. Boule Marcellin. Stratigraphie et paléontologie de la Grotte du Prince. Pag. 67. Verne au R. Description des squelettes humains et des objets trouvé dans la Barma Grande. Pag 72. De Villeneuve L. Historique des fouilles de la Grotte des Enfants. Pag. 76. Boule Marcellin. Stratigraphie et paléontologie de la Grotte des Enfants. Pag. 79. Verneau R. Découvertes anthropologiques faites dans la Grotte des Enfants. Pag. 82. Cartailhac Emile. Sur Tindustrie préhistoriqun des Grottes des Grimaldi. Pag. 83. — 249 — 41. Diversi. Ji problema ferroviario del Porlo di Geneva. — Relazione della Commissione Ministeriale presieduta da G. Adamo li. — Parte II. Genova, Fratelli Pagano, 1907. In-40, di 210 pag. con ili. , Carte e Tavole. Contiene : Adamoli Giulio. Relazione generale. Pag. 13-59. Crognuola. Descrizione ed esame dei progetti di linee nuove, pe-gine 65-136 con 5 Carte. Baldacci Luigi. Condizioni geologiche dei vari tracciati di linee nuove. Pag. 139-176 con carta geologica e tavola di sezioni. Nicoli. Esperienze ed applicazioni di trazione elettrica. IV. Applicazione della trazione elettrica alla linea Pontedecimo-Bus al la. Pag. 186-189. 42. Donna Paola. Un piccolo paese ed una grande industria: Zoagli e i suoi velluti. La Donna, 1907, n.° 53. Torino-Roma. 43. Einaudi Luigi. Le Port de Gé?ies. Revue Economique Internationale, Vol. IV, η.ο 2, Novembre, 1907· [Vedi il riassunto in « L’Economista » Vol. XXXIX, n. 1758-!759» Pag· 22-23; 38-39, 1908. — « Riv. di Comunicazioni e Trasporti » Vol. I, N. XII, pag. 418-419. Roma, 1907.] 44. Eredia Filippo. Le precipitazioni acquee nella Riviera Ligure. Rivista agraria, 1907. (Estr. in-8° di 8 pag.). Roma, G. Civelli, 1907. 45. Eredia Filippo. I venti in Italia. Parte IV. Liguria. Boll. Soc. Areonautica Ital., anno 1907 , fase. 6. Roma , Tip. dell’ Unione Coop. Editrice, 1907. Fagot vedi n.o 25. 46. Fauvel Pierre. Première note préliminaire sur les Polychètes provenant des campagnes de ΓHirondelle et de la Princesse Alice ou déposées dans le Musée Océanographique de Monaco. Bulletin de 1’ Institut Océanographique, n.° 107 (15 Décembre 1907). [Vedere a pagg. 27, 28, 31, 32, 33]. 47. Flamand G. B. M. Réponse aux remarques de Μ. Marce Iti n Boule au sujèt de sa note « sur une observatiofi faite à la Grotte du Prince aux Baoussé-Roussé, piès de Merito n. Bull. Soc. Géologique de France, Série IV, Vol. VII, pag. 7. Paris, 1907. Cfr. N. 16. 48. Franchi Secondo. Ossei'vazioni sopra alcuni recenti lavori sulla geologia delle Alpi Marittime. Boll, del R. Comitato Geologico, Serie IV, Vol. Vili, fase. 3, pag. 145 con 3 tav. Roma, 1907. 49. Frisoni Antonio. Bibliografia Scientìfica della Liguria. — Geografia e Scienze Naturali. Atti Soc. Ligustica di Scienze Geogr. e Nat., Voi. XVIII, fase. III-IV , pag. 136-150 (continua). Genova, 1907. Frola S. vedi n.° 32. Giorn. St. e Lctt. della Liguria. 17 — 250 — 50. G. B. D. M. Brevi cenni sopra il paese di Mattare. Chiavari, Devoto, 1907. (I11-160 di 39 pag·.). 51. Gaudry Albert. Sur le berceau de THumanité. Congrès Internat. d’Anthrop. et Archéol. Préhist. Compte-Rendu de la XlIInie session, Monaco 1906. Tome I, pag. 162-164. Monaco, 1907. 52. Ghedini Giovanni. Sugli anticorpi elmintiaci nel siero di saligne di individui affetti da elmintiasi. Anticorpi echÌ7iococeici. Giorn. degli Ospedali e delle Cliniche (Genova), Anno 1907, n.° 6. 53. Ghedini Giovanni, Anticorpi elmintiaci nel siero di sangue di individui affetti da elmintiasi. Anticorpi anchilostomiaci ed ascaridei. Cronaca della Clinica Medica di Genova, i° marzo 1907. 54. Giglioli Hiller Enrico. Avifauna Italica. II Resoconto della inchiesta ornitologica in Italia. (In-8° di XXIV-784 pagg.). Firenze, 1907. [Cfr. la recensione di Vinciguerra D. in « Boll, della Società Geogr. Ital », Ser. IV, Vol. IX, fase. 20, pag. 1S7-1S8, Roma, 1908]. 55. Goiran A. Note ed osservazio?ii botaniche. Nuovo Giornale Botanico Ital. Vol. XIV, n.° 4, pag. 537-545. Firenze, 1907. Contiene : 1. Di una gigliacea americana rinvenuta avventizia nel Veneto e nel Nizzardo. 2. Forme nizzarde di ecc. 3. Varietà e forme di alcune specie del genere Centaura. 5. Sulla varietà a fiori bianchi di « Verlascum sinuatum » L. osservato nel Nizzardo. 56. Goiran A. Presenza di Bromus Schraderi. Kunth, nel Nizzardo. Bull. Soc. Botanica Ital. anno 1907, n.° 1-3. pag. 5-6. Firenze, 1907. [Vi è descritta anche una forma nuova di B. leioplyllus]. 57. Goiran A. Nuova stazione Nizzarda di Pistacia Saportae. Bull. Soc. Botanica Ital·. anno 1907, pag. 62-63. Firenze, 1907. 58. Grec Julies. Esposizione floreale di Nizza. Boll. R. Acc. Toscana d’Orticoltura, Vol. XXXII, n.° 4, pag. 88-94. 1907. 59. Grieben’s Reisefrüher. N.° 79. Montecarlo und Nizza (in-16). Berlin, 1907. 60. Haarscher L. Voyage dans les Alpes Maritimes. (/8-22 aôut 1907). Bull. Section Vosgienne du Club Alpin Français , année 1907 , n.° 4. 61. Hanquet J. Le port de Gêiies dans l’antiquité. Revue des questions scientifiques. 20 Luglio 1907. 62. Hutton Edward. Florence and the cities of northern Tuscanyt with Genoa. London, 1907, Methuen. (In-8° di 436 pag. con ili.). — 251 — 63. Jaquet M. Description de Γextrémité postérieure du corps a-normale chez deux Motella Fusca. Risso. Bulletin de l’institut Océanographique. N.® 90 (di 8 pag. con Tav.) Monaco, 1907. 64. Jaquet M. Sur une forme jeune de Trigla. Bulletin de P Institut Océanographique. N.° 102 (di 5 pag. con tav.) Monaco, 1907. 65. Jaquet M. Considérations sur les Scorpénides de la mer de Nice. Bulletin de l’institut Océanographique, N.° 109 (in-80 di 48 pag. con 33 ili.) Monaco, 1907. 66. [Istituto Geografico Militare]. Bordighera e suoi dintorni. Carta pubblicata a cura della Società del Be?ie Pubblico. Scala 1:100.000; a tre colori. Firenze, Istituto Geografico Militare, 1907. 67. Istituto Geografico Militare. Elementi detla rete altimetrica fondamentale. Fase. II. (Livellazione geometrica di precisione). Linea N.° I. Genova-Spinetta — Fase. III. Linea N.o II. Spinetta-Alessandria — (2 fase. in-8°) Firenze, Ist. Geogr. Mil., 1907. 68. Istituto Italiano di Arti Grafiche. Carta d’Italia ad uso speciale degli automobilisti, ciclisti e tourisli alla scala 1:250.000 ; foglio 14: Cuneo. Bergamo, Ist. Ital. di Arti Grafiche, 1907. 69. Issel Arturo. Un exemple de survivance préhistorique Λ Compte-Rendu du XIIIe Congrès d’Anthrop. et d’Archéol. Préhist. Session de Monaco, Tome I, pag. 250, ili. Monaco, 1907. [Cfr. « Tipi primitivi d'abitazioni nelle Alpi Occide7itali » in Rivista Geografica Ital. Vol. XIV , fase. X , pag. 567-568. Firenze , 19071. 70. Issel Arturo. Cavità rupestri simili alle caldaie dei giganti. I. Atti Soc. Ligustica di Scienze Geogr. e Nat. Voi. XVIII, fase. II, pag. 96-104 con ili. Genova, 1907. 71. Johnston-Lavis. Sur une piate-forme néolitique à Beaulieu (Alpes Maritimes). Congrès Intern. d’Anthrop. e Archéol. Préhist. Compte-Rendu de la XlIIme session, Monaco 1906. Tome I, pagine 174-177. Monaco, 1907. 72. Manfredi C. Genova e la Valle del Po. L’Italia Navale, Voi. X, n.° 4, febbr. 1907, pag. 78. 73. Martini Raimondo. Guida di Taggia. S. Remo, Tip. Cattolica, 1907. (In-160 di 56 pag.). 74. Massalongo C. Nuova contribuzione alla conoscenza dei Zoo-cecidii del Nizzardo. Marcellia. Rivista Internazionale di Cecidologia, Vol. VI, Fase. II, pag. 33-44. Avellino, 1907. 75. Maurv E. Note stratigraphique et tectonique sur le Crétacé supérieur de la Vallèe du Paillon (Alpes Maritimes). Bull. Soc. Gèo- — 252 — logique de France, 4e série, tom. VII, pag. 80-95 con ili. e C. Paris, 1907. Maury E. vedi n.° 26, 27. 76. Mieczyslaw Oxner. Quelques obsei'vations sur les Némertes de Roscoff et de Villefranche-sur-mer. Archives de Zoologie Expérimentale et Générale, série IV, tome VI, pag. LXXXII-XCII, con 14 fig. Paris, 1907. 77. Negris Philippe. Observations sur les anciennes lignes de rivage de la Méditerranée. — Observation de M. Marcellin Boule. Bull. Soc. Géologique de France, Série IV, Vol. VII , pag. 289-291. Paris, 1907. Nicoli Ing. vedi n.° 41. 78. Or Lie Vincenzo. Guida pratica della Provincia di Portomau-rizio. Anno XIII, Oneglia, Orlic, 1907. 79. Picco Francesco. Luoghi romiti: Noli, le sue torri e la sua marina.- Emporium, Vol. XXVI, η. 156, p. 465-482, con ili. Bergamo, Ist. Ital. d’Arti Grafiche, Dicembre, 1907. 84. Sommier Stefano. Un nuovo ibrido di Pedicularis. Bull. Soc. Botanica Ital., 1907, pag. 38-39. Firenze, 1907. [È il X P. Bicknelli — P. i?icar?iata X P. Allionii trovato nelle Alpi Marittime in Val Fontanalba]. 88. Pillard D’Arkaï. Synchronismes archéologiques sur les E?i-ceintes dites « ligures ». (Resumé). Congrès Intern. d’Anthrop. et Archéol Préhistorique. Compte-Rendu de la XIII,ne session, Monaco, 1906. Tome I, pag. 228-229. Monaco, 1907, [Vedere negli stessi Compte-Rendu a pag. 222-227, Les Enceintes dites « ligures » di Charles Cotte]. 89. Pocta Philippe. Sur quelques Eponges du Séno?iie?i de Nice. Bull. Soc. Géologique de France, Série IV, Vol. VII, pag. 163-1S7 con 7 ili, Paris, 1907. Ponti E. vedi n.° 32. 90. Pol (Guides). Monte Carlo, Afonaco, Nice, La Tnrbie. (in-160, di 86 pag. con ili. e tav.) 1907. 91. Prandoni. Rapallo y riviera di Levante. 1907. (Opusc. in-8° con ili.). 92. Proost A. L’ atialyse des roches par les plantes^ à propos des terrains du départements des Alpes Maritimes. Annales de la Soc. des Lettres Sciences et Arts des Alpes Maritimes, tome LXVI. Nice, 1907. 93. Raffaelli Gian Carlo. La pioggia i?i Liguria. Estratto da Atti del Congresso dei Naturalisti Italiani (pag. 314-324) in 8° di 13 pag. Milano, Tip. degli Operai, 1907. — 253 — [Vedi recensione in « Riv. It. di Scienze Naturali ». 1907, fascicolo 9-10]. 94. Raffaelli Gian Carlo. Pioggia in Val Scrivia. Contributo alla climatologia dell’Appennino Settentrionale. Atti Soc. Ligustica di Scienze Geogr. e Nat. Voi. XVIII , fase. I , pag. 31-41 con tabelle numeriche. Genova, 1907. [Vedi recensione in « Riv. Ital. di Scienze Nat. ». 1907, fase. 11-12]. 95. Raffaelli Gian Carlo. La pioggia nelle valli del Taro, Enza e Secchia. Atti Soc. Ligustica di Scienze Geogr. e Nat. Voi. XVIII, (1907), fase. II, pag. 57-68. [Estr. in-8° di 14 pag. Genova, Ciminago, 1907]. 96. Regàlia Ettore. Avifaitne fossili italiaiie. Avicula. Gior. Or-nitol. Ital., Anno XI (1907), fase. 113-114. [Vi si parla fra altro di specie ornitiche fossili trovate nella regione del golfo della Spezia]. 97. Reggio G. La direttissima Genova-Milano. Riv. It. di Comunicazioni e trasporti, Voi. fase. Ili, p. 88. Genova, 1907. 98. Robertson Proschowsky A. Les palmiers de la côte d’Azur, leur résistence au froid. Publié par la Société Nationale d’acclimatation en France. 99. Rosati A. Roccie liguri raccolte nel circondario di Savona. R. Accademia dei Lincei, Serie V, Vol. XVI, i° seni., fase. 7, pag. 555-561.· Roma, 1907. 100. Rossi Giovanni. 1 Liguri Intemeli. Genova, Sordomuti, 1907. (In-8° di 169 pag., T.). 101. Rutot A. Sur Γâge des cavernes de Grimaldi, dites « Grottes de Menton ». Mémoires de la Soc. Belge de Géologie , Vol. XXI , n.o i, pag. 43-82. Bruxelles, 1907. 102. Rovereto Gaetano. Sur le recouvrement du territoire de Sa-vone. Bull. Soc. Géologique de France, Série IV, Vol. VII, pag. 6-7. Paris, 1907. 103. SiTTONi G. Le cinqne terre: 1. Biassa (Golfo della Spezia). Archivio per l’Antropologia e ΓEtnologia, Vol. XXXVII, pag. 295. Firenze, 1907. 105. Steinitzer Alfred. Alpine und subalpine Wanderungen an der Riviera und in den nordlichen Ape ninne n. Deutsche Alpenzeitung, Vol. VI, (1906-1907), η.» 15-16-17-19-21-22 (Parti I-VI); Voi. VII (1907- 1908), n.i 8-9-10-11 (Parti VII-X fine). Con ili. e C. Monaco, 1907. 106. Steinmann G. Alpen und Apennin. Monatsberichten der Deut-schen Geologischen Gesellschaft, Band LIX , Jagh. T907 , Heft. 8-9 , pag. 177-183. Berlin, 1907. — 254 — 107. Taramelli Torquato. Condizio?ii geologiche del tracciato ferroviario Ronco-Voghera. Atti R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, 1907, n. 9. Milano. Thieux vedi n.° 28. 108. TouRiNG Club Italiano (Ottone Brentari). Attraverso l'Italia. (1 voi. formato album con ili.) fase. 8 [Bordighera , S. Remo , Porto Maurizio, Ospedaletti, Albenga] fase. 9 [Genova, Nervi, Quarto, S. Margherita]. 109. Verneau R. L’Anthropologie des Grottes de G?‘imaldi. Congrès Intern. d’Anthrop. et Archéol. Préhistorique. Compte-Rendu de la XIIIme session de Monaco, 1906. Tome I, pag. 114-134 con ili. Monaco, 1907. Verneau R. vedi n.° 40. SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA CRONACA DELLA SOCIETÀ. Sotto la presidenza del Marchese Cesare Imperiale di S. Angelo ebbe luogo il 14 Luglio 1907 V Assemblea Generale Ordinaria della Società Ligure di Storia Patria. Il Presidente espose la situazione morale e finanziaria della Società ; quindi il Socio Dott. Silvio Monaci diede lettura della relazione dei revisori dei conti pel 1906 , che fu approvata per acclamazione. Il Presidente richiamò poi V attenzione dei Soci sulle recenti pubblicàzioni della Società e specialmente sulla cooperazione che il Socio Corrispondente D.r Enrico Sieveking presta da tempo alle pubblicazioni stesse. L’ ottimo di lui Studio sulle finanze genovesi nel Medio Evo e in particolare sulla Casa di S. Giorgio comparso nella edizione originale del 1898, venne ora offerto in veste italiana, per opera di un valente traduttore , il Socio Onorio Soardi. Gli elogi, che l’opera già riscosse al suo apparire, possono ora essere in parte riflessi anche sul traduttore e sulla Società Ligure di Storia Patria, che accogliendola ne’ suoi Atti, si adoperò a che il lavoro dello storico tedesco potesse guadagnar di pregio e di importanza presso una gran parte del pubblico colto italiano. Lo stesso Prof. Sieveking, offerse testé alla Società stessa una particolareggiata « Relazione sui Liber Jurium della Repubblica di Genova» (1) che si conservano nel-Γ Archivio del Ministero degli Affari Esteri a Parigi, opportunamente raffrontandoli cogli esemplari che sono in Italia e che servirono per l’edizione, purtroppo incompleta, apparsa negli Historiae Patriae (1) Fu pubblicata nel Giornale, Anno VIII (1907), pp. 414-4^8. — 255 — Monumenta editi dalla R. Deputazione di Storia Patria per le Antiche Provincie e la Lombardia. E all’ illustre professore di Economia politica nell’Università di Marburgo, l’Assemblea , prima di sciogliersi, votò un ringraziamento solenne. Sfc * Presieduta pure dal Marchese Cesare Imperiale di S. Angelo, il 29 Dicembre 1907 si adunò nuovamente a Palazzo Bianco l’Assemblea Generale Ordinaria dei Soci. Dopo altre comunicazioni, il Presidente annunciò che ben sei importanti pubblicazioni erano in corso di stampa e cioè: La Liguria Preistorica, opera magistrale del socio Arturo Issel ; I Liguri Intemeli, del socio Corrispondente Girolamo Rossi ; / primordi e lo sviluppo del Cristianesimo in Liguria ed in particolare a Genova, del socio Arturo Ferretto ; Appunti Storici sul Morite di Pietà di Genova, del socio Michele Bruzzone ; Il Libro di Ricordi di Alberico Cybo, edito dal socio Luigi Staffetti ; la Vita di Agostino Mascardi, del socio Francesco Luigi Mannucci. Coi primi tre lavori la Società può dire di avere così completato con severo metodo scientifico gli studi intorno a quella parte oscurissima della nostra storia preromana e romana, che , colle illustrazioni della Tavola di Bronzo della Polcevera e delle Iscrizioni romane della Liguria, altri soci avevano cominciato ad illuminare. Con gli Appuriti storici sul Monte di Pietà si comincia la serie da tanto tempo desiderata degli studi sulla storia della beneficenza in Genova , e colle monografie su Alberico Cybo e su Agostino Mascardi si continua negli Atti quella storia del costume in Liguria già iniziata colla Vita privata dei Genovesi del Belgrano e coi Viaggi e coi Giornali di Gian Vincenzo Imperniale editi da Anton Giulio Barrili. Accennò ad altri lavori in preparazione, e particolarmente alla continuazione della stampa delle Iscrizioni medioevali della Liguria affidata al socio Paolo Accame, e alla traduzione delle importanti opere del Caro Genova e la sua potenza nel Mediterraneo nel XIII secolo, e del Samanek sulla venuta nel 13 η in Genova di Arrigo VII di Lussemburgo che tante speranze sollevò nei Ghibellini del suo tempo e che Dante salutava come salvatore d’Italia. Ricordò poi il concorso bandito per una Storia popolare di Genova. Annunziando in seguito che in altra assemblea si sarebbero presentate proposte concrete per la commemorazione del cinquantennario della Società, che è ormai fra le più antiche d’ Italia, si disse lieto ed orgoglioso di poter in quell' occasione dimostrare quali vincoli di stima e d’ amicizia leghino la Società Ligure di Storia Patria ai maggiori Istituti italiani e stranieri. Affermò doversi in gran parte questo risultato a quella schiera di volonterosi che mantengono intatte le tradizioni di studi geniali e severi ad un tempo lasciate dal Desimoni e dal Belgrano, e osservò con qualche amarezza che il pubblico non conosce forse e non apprezza come si conviene quali fatiche e quanto — 256 — e quale studio richieda l’opera di questi egregi, i quali sanno costringere, con meritoria abnegazione il risultato delle lunghe ricerche compiute nei limiti imposti dai precetti severi della critica moderna a tutti coloro, che vogliono scrivere di storia, in modo che questa sia fedele e sicura ricostruzione del passato e non vana eco di leggende più o meno fantastiche. Venne quindi approvato all’ unanimità il bilancio preventivo pel 190S, e, passati alla votazione per l’elezione di sei consiglieri e di tre revisori dei conti pel 1908, riuscirono riconfermati a Consiglieri i soci Avv. Giulio Balbi, prof. Giovanni Campora , March. Antonio Carrega , Arturo Ferretto , March. Paolo Alerame Spinola , Conte Prof. Luigi Staffetti, e a revisori i soci Isidoro Ivani, D. Silvio Monaci, D.r Carlo Mario Pertusio. * * * Lo stesso giorno, dopo P Assemblea, il Presidente si recò ad offrire ad Anton Giulio Barrili la pergamena dedicatagli dai soci nel-1’ occasione della sua nomina a Presidente Onorario della Società , e a porgergli a nome di tutti i membri del Sodalizio il fervido augurio che la sua preziosa esistenza sia conservata a lungo all’ arte ed alla storia patria. * * * La Società Ligure di Storia Patria deve deplorare amaramente la perdita dei Soci : Nob. Federico Messea (| 19· IH· I9°7)> Cav. Filippo Baghino (| 10. IV. 1907), Marchese Nicolò Reggio (t Pegli, 13. IV. 1907), Sac. Luigi Profumo (| 20. VIII. 1907), Dott. Alfredo Ro-mualdi (f Gardone (Lago di Garda) 30. XII. 1907), Sac. Luigi Pe-dretti (t S. Lorenzo della Costa, II. 1908), Bigliati Comm. Prof. Paolo (f Varazze, 11. III. 1908). Quest’ ultimo era Membro effettivo della Società dal i.° Gennaio 1858. * # * Entrarono a far parte della Società i Signori : Avv. Antonio Bar-bagelata fu Gio-Batta — Avv. Giuseppe Bo — March. Eugenio Adolfo Da Passano — Prof. Cesare Fontani - Dott. Arturo Menesini — Avv. Gino Murialdi — Avv. Alberto Olivieri — Augusto Noziglia — Sac. Nicolò Odino, Arciprete di Bogliasco. Giovanni Da Pozzo amministratore responsabile. — 257 — ANGELO GALLI E I CODICI DELLE SUE RIME I. Angelo Galli, nobile Urbinate, fu figlio di Benedetto e Francesca Stati, donna di rara prudenza e di soavi costumi, come la dice il Grossi (i). Ignorasi Tanno della sua nascita, ma prima del 1408 egli doveva poetare, come apprendiamo dal cod. Vaticano-Urbinate 699, dove troviamo il son. De virtute in virtutevi tua proposta, dedicato al dotto frate Bartolomeo da Ferrara, che aveva predicato tutta una quaresima con grande edificazione dei suoi uditori; or questo frate morì appunto l’anno 1408 (2). Servì come ambasciatore e ministro i conti Guidantonio, Oddantonio e Federico' da Montefeltro. Nel 1433, divenuto podestà di Firenze Ugolino da Farnese, egli vi andò come legato di Guidantonio. Oddantonio, quando fu creato duca da Eugenio IV, gli conferì il cingolo militare, nominandolo cavaliere. Federico lo mandò ambasciatore a tutt’ i principi d’Italia, e, nel 1442, in qualità di legato al concilio di Basilea. Fu carissimo ai duchi di Milano e ai conti della Carda, che gli attestarono la loro stima conferendogli varie onorificenze. Sposò Francesca degli Atti, donna di grande spirito, come la dice il Baldi (3); infatti fu lei che scoperse a Federico una congiura che gli era stata ordita contro. (1) C. Grossi, Degli uomini illustri di Urbino. Urbino, Rondini, 1856, p. 151. (2) Cf. A. Superbi, Apparato degli uomini illustri della città di Ferrara. Ferrara, Suzzi, 1620; L. Ughi, Dizionario storico degli uomini illustri Ferraresi. Ferrara, Rinaldi, 1804. (3) Nel Giorn. stor. d. I. it. (XXIII, 46, n. 1) il Feliciangeli dice che A. ebbe in moglie Francesca Stati da Urbino; ma il Baldi ( Vita e fatti di Federico di Montefeltro, I, pag. 75) ci fa sapere, invece, chela moglie di A. fu Francesca degli Atti, e la Stati, come apprendiamo dal Grossi (1. c.), ne fu la madre. Giorn. St. c Leti, della Liguria. ìS - 258 - Angelo la cantò in varie rime, lodandone al solito la straordinaria bellezza (i). Vedi infatti con quanto calore egli ne difende i rari pregi del viso (Vat.-Urb. 699, n.° 377)* rispondendo al suo amico Lorenzo Spirito, che pare avesse detto esservi a Perugia una donna più bella di Francesca: Et disse : là è chi passa el segno d’ogni beltà, quanto donna che viva; però che qua ne è una sì excessiva, che tutto il mondo ne sarebbe indegno. Ma poi, tanto per fare una concessione all amico , osserva che le più belle donne saranno solamente le loro due ; quella, però, cantata da Lorenzo sarà sempre meno bella di Francesca : Y una si potrà paragonare alla stella, 1’ altra al sole : Più belle credo sien queste due sole, ma chi vole cum costei paregiar testa, amor l’inganna, et dice frasche e fole. Di’ che non vegna mai dove sia questa, perchè veria la stella apresso el sole, et parteriase poi turbata e mesta. Nicola da Montefalco la rammentò insieme con altre donne che a quei tempi eran divenute celebri : Deana perusina in pria tra queste, Isopta ariminense e de Colopna Victoria bella e de Partenopea Lucretia franca e l’altre appresso oneste, dimostrando ciascuna ad più madonna magnificarse quanto in cielo è dea; l’excelsa e cara Urbana eulistea, Pacifica da Pesaro e Francesca d’Urbino [indi] era e Braccesca, che parien proprio del superno coro discese adseme : ahi degno concestoro ! Ma Francesca, prima di divenire sposa di A., forse dovette (1) Nei codd. da noi ésaminati non abbiamo mai trovato esplicitamente il nome di Francesca degli Atti, ma sempre quello di Francesca bella. E poiché il Baldi ci fa sapere che A. sposò Francesca degli Atti, noi crediamo che la Francesca bella si possa senz’altro identificare con quella. * — 259 — essere amata da Federico da Montefeltro, se lo stesso Nicola da Montefalco canta: De Montefeltro Federico, electo ad tante imprese capitan, Francesca el tien preso col nodo al core strecto; nè arme, nè la patria feltresca gli danno adiuto, che continuo vole e cerca che costei nell'alto accresca (i). Molte rime A. diresse a personaggi illustri e a suoi amici; e tante ne dettò pei signori ch’egli servì in qualità di segretario. Le persone più notevoli che ricorrono nelle didascalie delle sue rime sono un Lorenzo da Peroscia, che noi abbiamo identificato con Lorenzo Spirito, Mariotto degli Avanzati o Davanzati, uno dei dicitori del certame coronario , Giovanni Canigiani, della famiglia alla quale appartenne Elettra, la madre di Francesco Petrarca, Bernardino e Ottaviano Ubai dini, Federico da Montefeltro, Boc-caccino Alamanni, il Pisanello, Caterina Colonna, contessa di Urbino, Alessandro Sforza e l’ottima sua consorte Costanza Varano , Pietro di Cosmo de’ Medici, Sigismondo Malatesta, Stefano Porcari, Pio II, Giusto de’ Conti e tanti altri notissimi per dottrina o per opere insigni. L’epoca della morte di Angelo è pure ignorata ; nell’anno 1458, però, egli scriveva sempre versi: ne abbiamo infatti per la creazione del papa Pio II (2). Il Grossi dice che certamente dovette morire prima del 1482 , sapendo ohe al suo funerale intervenne il duca Federico, il quale cessò di vivere proprio in quell’anno; e noi crediamo ch’egli morisse circa il 1460, se le ultime sue rime non vanno oltre il 1458. Fu sepolto in S. Francesco di Urbino, dove nel 1664 gli fu apposto il seguente onorifico epitaffio: D. Ο. M. | Angelo origine Gallo patria Urbinati | ex nobilissima Gallorum familia | nato \ inter armorum librorum pulverem | enutrito | consilio acri manu strenua facundia potenti | viro | (1) V. La Favilla, XXI (1900), pp. S6 seg. e 90. (2) Cod. Vaticano-Ur binate 699, nn. 375, 576. — 2 6o - ab Odd. dace I Urbini equit. creato | Federico du. // apud Siciliae Neapolis reges | summos Italiae principes concilium Basileae | legationibus defuncto | vero si non Angelo \ tamen digno qui credatur \ exui facta maiestate principis suum funus \ cum lacrumis sequentis | praeclaram cuius imaginem j imitationi relictam saeculo redditam | in | commend. fra. Angelo equite Hyerosolimitano | m Federico comite barone podii SMariae | nomine ne gratia principimi musis I atavo paribus | generosa posteritas titulum auxisset coelum nisi | actura meritum finiret | pres. conv. de toto seraf ord. optime merito filio \ P. C. | Anno salutis hominum MDCLXIV (i). II. I codd. da noi esaminati, che contengono rime di Angelo, sono i seguenti : il Canoniciano 50, il LaurRediano 184, il Magliabechiano II, II, 40, i due Riccardiani //14 e 11 54, il Vaticano-Urbinate 699 (2). (1) G. Colucci, A?itichità Picene, Fermo, Paccaroni, 1786, T. XI, pag. XLIX seg. (2) Il Moro-Vecchietti, in Biblioteca Picena (IV, 259) fa menzione di un altro ms. di poesie di A., ch’egli trova citato nel catalogo del Lami , a p. 205, con la indicazione Sf III\ 2Ç e sotto il titolo di Rime e versi di Gal-VAntonio d’Urbino; ed osserva: « Se questi componimenti della Riccardiana sieno diversi da quelli contenuti nel cod. Vaticano non può decidersi, se non col mezzo di esatto confronto ». Noi abbiamo esaminato questo ms. della Riccardiana, che modernamente è segnato col n. 2546. Esso ha questo titolo: Rime e versi ripescati | dall’ arcipelago delle coglionerie \ opera di Messer Agnolo Galli da Urbino. Non ha nessun valore. Sono versi staccati : terzine e quartine ricavate dal cod. Vat.-Urbin. , e messe insieme senza nesso alcuno. Occupano le cc. 150-155V. — Nell’elenco, pubblicato dal Vernarecci, dei codd. che formavano la libreria di Giovanni Sforza signore di Pesaro, appariscono due mss. del Galli coi seguenti titoli : Domini A?i-geli de gallis, e Sonetti di m. Angelo da Urbino (La libreria di Giov. Sforza signore di Pesaro, in Archiv. stor. per V Umbria e le Marche, III, 5/7 seg.). Ma, per la triste sorte toccata a quella libreria, chi sa qual fine poterono avere quei due codd., insieme con quegli altri preziosissimi che la componevano ! Certo è che nella Oliveriana non esistono affatto, avendone noi fatta ricerca sul luogo. - 2 61 — * * * a) Il Can. 50, che A. De Mortara ampiamente descrisse nel suo Calai, dei niss. it. che si cons. ined. nella B. di O. (Oxford, Claredon, 1864), ha quattro sonn. di A., dei quali qui riferiamo i capo versi : i. Sonetto del Spectabile Kavaliere Misser Angelo de Galli de Urbino. Felici serve a chi le treççe bionde. c. 171V 2. Li sonecti tre seguenti fece lo nominato missere Angelo de Galli. Come se stesso el sol si copre et cela. c. 172 3* Veduto ho tra più stelle stare un sole. c. 172V 4· Non so se fuss’ al mundo cor di pietra. c. 173 Il primo di questi quattro sonetti lo scrisse certamente per uno dei signori ch’egli servì, come ci dice chiaro la seconda terzina : Felice me che ora di lei ragiono; ma molto più felice el Signor mio, che ’l Paradiso in terra averà a frogire. Gli altri tre li diresse a un certo Lorenzo, come egli stesso ci ia sapere (v. son. Π, pag. 288 seg.): Si voi veder adunche ’l paradiso, Lorenzo mio, veni ad veder costei, et bear ti porrai al sancto sguardo. A questi tre sonn.*, diretti a Lorenzo, segue, nello stesso cod., un’ elegia latina in risposta ad A., con la seguente didascalia : L’ infrascripti versi fanno risposta a li nominati tre sonetti; e infatti il casato di Angelo vi si legge nel 5.0 distico : Altera di faveant, perlucet Cinthia mundo; Alter eam, vates Galle, beabis eam. Ma chi sarà mai questo Lorenzo ? Ce lo fa intendere subito il noto cod. Vaticano-Urbinate 699, del quale qui appresso discorreremo. Ivi, a c. 208, leggiamo il son. Per exercitare el tuo gentil ingegno, che A. dirigeva al suo amico Lorenzo da Peroscia [Perugia], con la seguente didascalia : Ad un Lorenzo da Pe- - 2 6 2 - rosela, diceva che li era una più bella della Francesca bella. E Lorenzo da Perugia non può essere altro che Lorenzo Gualtieri, detto Lorenzo Spirito , eloquentia poesique clarus y come lo dice l’Oldoino (i). Dello stesso Lorenzo troviamo, inoltre, nel cod. Laur.Rediano 184, c. 174V il son. Da pensier privo el mondo e da chatene con la seguente didascalia: Sonetto di Lorenzo Spirito da Perosa. Non vi è alcun dubbio adunque sulla identità da noi proposta. b) Il Laur-Red. 184, c. 195V, ha uri sonetto di A. diretto a Mariotto degli Avanzati, il quale risponde con un altro sonetto. Eccone i capoversi : 1. Sonetto di tnesser Agnolo da Urbino. Fechondissima lingua, ingegno opimo. 2. Risposta di Mariolo. Fertil, sonora lingua, ingegno eximo. Il son. di A. si trova pure nel Vat.-Urbin. 699 (n.° 323) con l’indicazione dell’anno di composizione, i449î nia quivi è attribuito erroneamente a Mariotto, nè vi si trova la risposta di questo. Ma che il primo son. sia di A. ce lo dicono chiaramente le due terzine : Se, Maroto, il fonte di Pegaso inonde largamente il tuo bel stile, el qual già per dolceza el cor ci stirpe, dime se amor ne viene a luoco o caso ; tu ’l sai, perchè sta sempre in cor gentile, dimmelo, specchio e lume di tua stirpe. c) Nel cod. Magi. //, //, 40, c. iSjv, abbiamo due sonn. di A. a Mariotto , e due altri di risposta di questo a quello; i due primi , però , sono quelli stessi che abbiam trovato nel cod. precedente. I sonn. 1, 3, 4, si leggono anche nel Vat.-Urb. 699 (nn. 321-323). (1) A. Oldoini, Athenaeum Augustum in quo Perusinorum scripta publice exponuntur. Perusiae, Ciani et Desiderii, 1678, pp. 202 seg. Su Lorenzo puoi vedere anche: G. B. Vermigligli, Biografia degli scrittori perugini, Perugia. Bartelli e Costantini, 1829; Memorie di Jacopo Antiquarj raccolte dallo stesso Vermiglioli (Perugia, Baduel, 1813, pp 179 sgg.); F. Ravagli, Due sonn. di Lorenzo Spirito, Cortona, Bimbi, 1893 ; per nozze SufTo-Palchetti. — 2Ó3 - 1. Sonetto di messer Agnolo da Urbino a Mariotto. Facondissima lingua, ingegno oppimo. 2. Risposta al detto sonetto, di Mariotto. Fertil sonora lingua, ingegno esimo. 3. [di A. a Mariotto]. Se 'n dugi per dir meglio i’ tel commendo. 4. Risposta di Mariotto a messer Angnolo. Dal ciel dato mi fu per quel comprendo. d) Il cod. Ria. 1114, cc. 192V-193, contiene un son. che Maestro Antonio di Guido , il principe degli improvvisatori fiorentini, diresse ad A. ; inoltre vi è la risposta di questo. 1. Sonetto di maestro Antonio di Guido che canta in San Martino, à diritto a mesere Agnolo da Urbino. Serenissimo ingegno, inmenso, divo. 2. Maestro Agnolo risponde al sopradetto sonetto. El tuo bel stil legiadro et excessivo. Questi due sonn. si trovano pure nel Vat.-Urbm. 699 (nn. 315, 316) e altrove (1). e) Il cod. Ricc. 1154, contiene una lunghissima canzone e cinque sonn. di Angelo. Dei cinque sonn., uno è diretto a Giusto de’ Conti; e vi è pure la risposta di questo. Eccone i capoversi : i. Miser A?igiolo di Gali da Ui'bino. Simel a quel che va cercando e trova. (canz.) cc. 74-82 2. Eiusdem. Morta è la sancta dea, i cui bei rai. c. 82 3· Eiusdem. Fulgente et pretiosa margarita. C. 82V 4. Eiusdem. Fo visto mai in terra un sì bel sole. C. 82V 5· Messere Ajigelo di Gali da Urbino. Dite che cosa è che non possa amore. c. 134V 6. D. Angelus de Galis de Urbino. Non fugge amor, per lo fugir de gli anni. c. 143V 7. Responsio D. Iusti de Valmontone. Come chi facto accorto con soi danni. c. 144 Dal cod. Ricc. le rime del Galli passarono nel Moiicke (1) Flamini, Lirica, 667. - 2Ó4 — 8.°, (n.° 1493), della pubblica biblioteca di Lucca (1). Il son. Dite che cosa e che ecc. è il primo del Vat.-Urb. 699. f) Il Vat.-Urbin. 699 è il cod. più importante delle rime del Galli. Membr., mm. 298X189, sec. XV, rilegato in pelle rossa. Il carattere è l’umanistico calligfafico. Di cc. num. mod. 208, più due di guardia in principio e una in fine; le cc. 1-7V sono occupate dalla tabula; la c. 8.a è bianca; la c. gv ha un bellissimo fregio tondo miniato, nel mezzo del quale, in scrittura maiuscola, azzurro e rosso alternati, si legge: In | hoc codice I con | tinentur rithimi ac can | tilenae materna lingua | compositae splendidissimi ac eloquentissimi equitis | domini Angeli Galli Ur \ binatis secretarii il | lustrissimi ac invictissimi I principis Federici | ducis Urbi | ni etc. | — A. c. 10, i margini superiore , sinistro e inferiore sono fregiati ; in alto, a lettere d’oro, il titolo del Canzoniere: De POTEN | TIA AMORis; indi il primo son. Dite que cosa è che non possa amore ecc., con la iniziale dorata e circondata di fregi; seguono i primi vv. del 2.0 son. Scendono i fulgori ecc.; inferiormente lo stemma di Federico, ai lati del quale le lettere F e D (.Federico Divo) in oro. Nelle cc. seguenti la lunga serie dei componimenti che va fino a c. 2o8v, dove si legge Xexplicit del noto amanuense Federico Veterano: Divo Principi Federico | Federicus Vetera \ nus Ur \ binas \ tran | seri | psit. Le lettere iniziali dei componimenti sono in rosso e azzurro; le didascalie in rosso. Questo ms. contiene ben 37g componimenti vari , la maggior parte sonetti. Queste rime il Gallile scriveva per proprio conto o per incarico che riceveva dai signori ai quali prestava servigio. Non tutti , però, i componenti di questo codice furono scritti dal G.; ma vari sonetti gli furon diretti da amici; e il Veterano intanto ve li trascrisse come proposte o risposte ad altri di lui. Molto spesso i componimenti portano 1’ anno in cui furono scritti : la data più antica è quella del 1420 (n. 206), e la più recente quella (1) V. Rassegna critica della l. it%ì IX, 97 seg. — 26 5 — del 27 luglio 1457 (n. 344). Non è da credere, però, che le rime si trovino tutte disposte nel ms. per ordine di tempo, quando questo è dato; poiché il primo anno che ci si presenta, è il 1428, e poi seguono gli altri in questo ordine: 1430, 1442, 1443» 1447 > i42°> I442f T432 » I425> 1426, 1442, 1445, 1431, 1432, Ι427* l425i I42^ I43°> 1438, 1442, 1449, 1457· Diamo ora qui i capoversi dei componimenti con le relative didascalie. Se i capoversi non portano nessuna indicazione particolare, vuol dire che sono sonetti. 1. Dite que cosa è che non possa Amore. c. 10 2. Scendono i fulgori giù di mano a Giove. cc.io-iov 3. Qual forza, freddo pecto, o qual ingegno. cc. iov-ii 4. Ad una bella giovene Andrea [Sandra] mogie di Giovarmi Ca-rugiani [Canigiani]. Facto fora di Firenze , ad un luogo chiamato el Gallo, in la festa di S. Matheo , nel 1428; e lei prima si levasse da tavola cominciò a cantar così. Io vedea ben che lavorata treza. c. 11 5. Per la prefata Andrea [Sandra] , quale sta per stantia appresso uno monastero chiamato sancta Felicita. Dinanzi a questa sua casa sta una gran colonna in Firenze. 1428 (1). Quando vecim m’hapresso a la colonna. cc. ii-iiv (i) I sonn. 4 e 5 furono scritti in lode di Sandra (Alessandra) , moglie di Giovanni Canigiani. La famiglia Canigiani, estinta fin dal 1813, fu delle più antiche e illustri di Firenze. Ebbe sua origine da Fiesole. Conquistata, l’anno 1010, questa città dai Fiorentini, fu rasa al suolo, e fatto intendere ai nobili che, se avessero voluto, potevano prendere soggiorno in Firenze, dove sarebbero stati ascritti alla nobiltà fiorentina. La maggior parte di quelle famiglie accolse Γ invito e tra le altre la famiglia Canigiani, che pose stanza di là d’Arno. Dette essa alla Repubblica 14 gonfalonieri e 64 priori, e fu di questa famiglia Elettra, la madre di Francesco Petrarca (Cf. Gregorio Farulli, Cronologia dell’antichissima e nobilissima famiglia Canigiani di Firenze, Siena, Quinza, 1721. Va questa Cronologia sotto il nome di Filippo Cherubini). Giovanni, ricordato nel cod., andò ambasciatore a Napoli al re Ferdinando, Tanno 1473; ambasciatore al papa Paolo II, l’anno 1466, e da questo pontefice fu creato cavaliere ed insignito delle Chiavi Pontificie da porsi nella sua arma; nel suo ritorno a Firenze, il pubblico gli rese molti onori. Fu dei Priori negli anni 1437, '42 *46, ’Ó4; Gonfaloniere di Giustizia negli anni 1459 e 1475 (V. Carte Dei, Filza XIII, n.o 37, cc. 4 e 10, che si conservano nell’ Archivio di Stato di Firenze). Sposò Sandra di Matteo de’ Bardi, 1’ anno 1422 (V. Carte Pucci, n.o 12, Albero. 1, lettera B, che si conservano nello stesso Archivio di Stato di Firenze). Nel mona- — 266 — 6. Per via, da Pisa a Firenze. 1430. Che forza è questa, Amor, che nel bel viso. c. 11 v 7. In persona di Messer Guido [Giusto de’ Conti], a ciò havesse materia de respondere (1). Que forza è questa di begli occhi, Amore. cc. nv-12 S. Già era desto el sole et col crin d’oro. (Sest.) cc. 12-12V 9. Questi felici et gratiosi versi. cc. 12V-13 10. Per Γamorosa del signor mio Berardino (2), chiamata Benevera, da Milano, qual facezia segno de retrarse dal suo amore. Dov’è ’l bel sguardo et la tua lieta cera. cc. I3V-I4 II. Per quella medesima. c. 14 Già me credea a le careze tante. 12. Io non credea che tanta forza amore. cc. I4-I4V 13· Per lo prefato illustrissimo signor mio. c. I4V Alma gentile che sci dolcemente. Μ* Al pre/ato Signore superchiato da la do le e za del riso di costei. Tu me tentasti, Amor, prima col sguardo. cc. 14V-I5 stero di Santa Felicita , del quale il poeta fa cenno nella didascalia del 5.0 son., vi sono due altari (quelli che restano subito a sinistra di chi entra) che appartennero alla famiglia Canigiani. La colonna si vede tuttavia nella Piazza di S.ta Felicita (Bigazzi, Iscrizioni e memorie della città di Firenze, Firenze, Arte della Stampa, 1886, pagg 73 e 109 segg.). Si noti pertanto che il cod. non ha Sandra, tanto nel 4. ’, quanto nel 5.0 son., ma Andrea; e neppur Canigiani, nel 4 0 son., ma Carngiani. Infatti il Feli-ciangeli che fece una sommaria descrizione di questo cod. , trascrisse senz'altro Andrea e Carugiani {Sulla monacazione di Svei’a Monlefettro-Sforza, Pistoia, 1903, pag. 72). Noi abbiamo corretto Carugiani in Canigiani e Andrea in Sandra , per le seguenti ragioni : Nessuna famiglia Carugiani è mai vissuta in Firenze; i Canigiani, invece, abitavano presso il monastero di S.ta Felicita, com’è detto nella didascalia del 5·0 son., ed in quella Chiesa possedevano due altari ; Giovanni Canigiani sposo Sandra di Matteo de Bardi l’anno 1422, e questo anno si concilia bene con 1 altro 1428, quando A. scrisse i due sonetti; il nome Andrea è di uomo, non già di donna. 11 passaggio da Sandra in Andrea, del resto, non era difficile per un copista, alquanto trascurato, che di simili errori qua e là non fa difetto ! (1) Messer Guido nominato in questa didascalia non è altro che Giusto de’ Conti. Di fatti nella didascalia del compon. 287 l’amanuense, certamente per errore, lo toma a chiamar Guidi>, ma aggiunge subito: da l almontoney cubiculario, inamor aio de una giovine bolognese [Elisabetta]...; et La più singolare bellezza di costei era la mano. Anche nelle didascalie dei sonn. 2S8-290 lo chiama Guido; ma finalmente nella didascalia del son. 308 si corregge, scrivendo: Messer Giusto a me. 11 Feliciangeli (op. c., p. 74) copia semplicemente : Guido da V’almontone. (2) È Bernardino Ubaldini della Carda, che lo educò. — ιόη — 15- Al prefato Signore, per detta cagione. Io so già dal pensier sì lasso et stanco. c. 15 16. Per lo prefato signore, per detta cagione , per la partita de la sua amata. Heimè chi crederà che tua partita. (Canz.) cc. 15V-16 17. Pro eodem et eadem causa. Quand’alzo gli occhi per usanza antica. c. 16 18. Io son ancora di mirar sì vago. c. i6v 19. Per lo prefato signore, essendo la sua amorosa a?idata a Pesaro. Quando a’ nostr’occhi el sol se disasconde cc. 16V-17 20. Per lo ili.mo signor Federico, per uno drapigello et uria spille tta donata da la sua amorosa. Quel dolce pianto che ’l mio viso bagna. c. 17 21. Pro eodem. Magior peccato mai non vidde el sole. c. 17V 22. Per lo prefato signor Federico , per la partita de la sua a-morosa. Ragionar voglio un poco teco, Amore. (Canz.) cc. 17V-21V 23. Per lo ill.mo signore Miser Federico, parendoli che la sua a-tnaia ìtavesse preso in sè qualche disdegno. Da cento demon duri l’alma mia. cc. 21V-22 24. Così non fusse ’l ver che ben vorei. (Canz.) cc. 22-24 25. Pro eodem, essendo partita la sua amorosa et andata a Pesaro, et dubitando non andasse più di lunge. Dal mare ove hora è gionto el mio tesoro. (Canz.) cc. 24-25V 26. Pro eodem, essendoli stati mandati da la sua amorosa doi fiori garofali legati cum uno fil d'oro. Felici fiori, aventurata pianta. c. 25V 27. Pro eodem et eadem causa. Nella stagione, quando l’aier fioccha. c. 26. 28. Per la condoglianza de la partita de Γamorosa del mio signor Federico. Non me ricordo mai, nè mai potrei. cc. 26-26V 29. Pro eadem dominatione, eadem amata et eadem causa. Io son già di chiamarle facto hom roco. c. 26V 30. Pro eadem dominatione 1442. A quella treza, quando Amor la spiega. cc. 26V-27 31. Per lo ill.mo signor Federico. O lontanato et gratioso riso. c. 27 32. Pro eodem. Tanta virtute et forza ha ’l vostro sguardo. cc. 27-27Υ — 268 — 33· Per lo ill.mo signor Federico , havendoli mandalo una sua a-morosa una verghetta contro el dolor del capo , perchè havea tocco el capo de S. Giovati Battista. La gentile et ligiadra tua vergetta. cc. 27V-28 34. Se alla tema sì alta et sì suttile. c# 28 35. Pro eodem domino meo Federico. Dove è la nympha et la dea terestra, cc. 28-28V 36. Per lo signore tnesser Federico. Essendo mostrata Γamorosa del prefato signore dendro a una finestra, sicché la vide scoverta del petto et de le Ulte; un'altra volta poi hanno certo segno dato , l'amorosa non podde aprire la finestra. Mira la vita mia facta silvestra. c. 28v 37. Possess’io senza te pur star un'hora (Canz.)cc. 2SV-31V 38. 1442. Splendido braccio al bel officio ellecto. c. 31 v 39. Pro eodem ill.mo domino meo. J442. Quando ne’ mie sospiri io nominasse. c. 32 40. Pro eodem 1442. Lassa piàngerà me, lassa a questi occhi. (Canz.) cc. 32-34V 41. Pro eodem ill.mo damino meo Federico. Jo voria ben al secul che ven detro. cc. 34V-35 42. 1442. Ben era degna, non che del mio stato. c. 35 43. Per una chiamata Honesta. 1442. Or foss* io mo sotto la vesta bruna. cc. 35-35V 44. Per la dicta Honesta 1442. La più vera honestà de donna Honesta. c. 35V 45. Per lo ill.mo signor Federico , andando là dove era la sua a-tnorosa, non pensando vederla mai più. Se la fortuna, Amor, el mondo et Dio. c. 36 46. Pro eodem. Gran pietà porto al tempo che m’avanza. cc. 36-36V 47. Pro eodem. 1442. O cor mio vago, ’ve ne se* tu gito. c. 36V 48. 144*· S’ io potesse pigliar le trecce in mano. cc. 36V-37 49. Per l’amorosa del mio signor Messer Federico, dovendo quella partire, in poca speranza del suo ritorno. XII sept. 1442. Avesse io l’una et l’altra orecchia sorda. c. 37 50. Pro eodem domino meo Federico. Bianca bindella che si forte habunde. cc. 37-37V - 209 — 5r. Pro eodem. /n*. Sci ben potrebbe impetuoso rivo. c. 37v 52. Sondasti, come già Diana in caccia. c. 38 53. Pro eodem. 1442. Quando madonna ragionar se sole. cc. 38-38V 54. Chi vuol sapere che se fa in paradiso. c. 38V 55. Per uno penachio mandò la sua amorosa a lo ili.7710 mio signor Federico. Candide penne da ben nati ucelli. cc. 38V-39 56. Quando Ί sol tra’ del mar le chiome d’oro. c. 39 57. Pro eodem domino. Per lo ill.mo signor Federico che col pensiero et desio va in u?io punto dove è la sua amorosa, da lunge da sè XI miglie, et giunto li pari i?itrare i?i balli, udire canti, et suoni, et sentire el stringere de la mano de Vantante et suoi diti, come poco in-nanti gli era stato personalmente, et poi s’acorgi che non sonno cose vere rese. Amor ch’ i tener fianchi sci me sproni. cc. 39-39V 58. Per lo prefato signor mio, sonetto straniato. Unde vien la cagion di tanto dolce. cc. 39V-40 59· Pro eodem ill.mo Domino meo. c. 40 Adunque pur madonna se n’ è ita. 60. Pro eodem. Que te giova, cor mio, perchè tu piangi. cc. 40-40V 61. Pro eodem. c. 40 V Parme, dormendo, talhor esser preso. 62. Pro eodem, ubi amata. A la finestra mia de paradiso. cc. 40V-41 63. Pro eodem, quod recesserat amata sua. c. 41 Finestra gratiosa che te stai. 64. Pro ili.ino signor meo. c. 4IV Io ho già visto a mezzo giorno el sole. 65. Costei ha gli occhi suoi da calamita. cc. 4IV-42 et fiora dolendosi c. 42 66. Havendo colto la sua amorosa in un bosco che la sia lontana. Non hebbe Giove tal gratia quando. 67. Per lo prefato signor mio. Me’ fusse i ferra tuoi finestra mia. cc. 42-42V 68. Per l'amorosa de lo ill.mo signor Federico, essendo quella tornala et non sapendo se la stava per stanza a una villa o un colle alto. Chi te tien hora ? o la spietata villa. c. 42V 1— 270 - 6g. Per Piero predicto, per gito si a (1). False lusinghe de crudel pietade. cc. 42V-43 70. Parme la treza anella d’or micante. c. 43 71. Per lo ill.mo signor Federico, sentendo che la sua amorosa era per maritarsi, da la quale poco innanzi haveva ricevuto il nome suo scripto de sua 1 nano. Dove è, madonna mia, dove è la fede. c. 43V 72. Per la sopradetta cagione. Chi sia colui che la tua treza sciolga. cc. 43V-44 73. Pro eodem et eadem causa. Neglecto fa l’amor la gran divitia c. 44 74. Pro eadem causa. Se m’ emprometti de non tor marito. cc. 44-44V 75. Pro eodem et eadem causa. Mancava ’l mondo d’ogni sancta fede. c. 44V 76. Pro eodem et eadem causa. Qual fia di tant’ardir che mai s’apressi. cc. 44V 45 77. Così te veggio hor che son lontano. c. 45 78. Pro eodem Qual impio fato da te me desgiunge. c. 45V 79. Per lo prefato ill.mo sig?ior Malatesta (2) amorosa chiamata Lena, che apare rie l'ultima parola del primo verso. Fu scritto ad Asise [Assisi] intendendo che la s. sua andava a marito. Lo spirto mio non ha più possa, o Lena. c. 45V 80. Pro eodem, dubitando non pigli marito. Prima che ’l pigli avisame, eh’ io possa. c. 47 81. Pro eodem dicto Federico. Februarii. 1443. Tanto honore a te, mondo, se desdice. cc. 47-47V 82. Per lo ill.mo signor Malatesta , per una bolognese chiamata Lena novamente maritata. Entra fra te, madonna, el novo sposo. c. 47V 83. Non vidd’io mai regina incoronata. (3) 47V-46 (1) La didascalia ha: Per Piero predicto ; ma nessun Piero è stato ricordato precedentemente. Più appresso , invece, si ricordano due Pieri: Piero de Tiberto da Siena (nn. 292, 293) e Piero di Cosmo de' Medici (nn. 304-307, 312). Il Piero nominato qui potrebbe dunque essere o 1* uno o l’altro di essi. (2) La didascalia ha : Per io prefato signor Malatesta; ma invece è solo qui per la prima volta nominato un Malatesta. Probabilmente vi dev’essere stato in questo luogo spostamento di carte, cosa del resto non infrequente ad accadere nel codice Vaticano. (3) Le carte sono spostate. — 271 — 84. Per lo ill.mo signor Federico. De, credi tu, perchè sia distante. c. 46 85. Pro eodem. Sei tu colei che tanto disyata. c. 46V 86. Pro eodem. Torna, signor, che l’è ben tempo homai. (1) cc. 46V-48 87. Pro eodem. Sia benedecto l’or misto et l’argento. c. 48 88. Per una giovene senese mtituamente amava el mio ill.mo signor Federico. Dolce madonna, el tuo habito adorno. cc. 48-48V 89. Chi tei consente, chi ’l può sofferire. c. 48V 90. Pro eadem. Caro l’alto tuo balzo aurato et biondo. cc. 48V-19 91. Quella treza de perle che’n sul bruno. c. 49 92. Per lo ill.mo signor mio Federico. Stando incontro a la sua amorosa ad una messa, et poi lo riceve ad uno orto sul vespero. Beata messa poi che per brev’ agio. c. 49 93· O divoto quatrino, sommo tisoro. cc. 49V-50 94. Per lo ill.mo signor mio. Io lodo la vagheza, el senno et l’arte. c. 50 95- Pro eodem. Sì tuo begli occhi, i quali sempre veggio, cc. 50-50V 96. Per lo ill.mo signor Malate sta. Facciami guerra el despietato velo. c. 50V 97. Pro eodem. Non son questi i begli occhi, ov’io me specchio. cc. 50V-51 98. Pro eodem, propter recessum. Vaga ligiadra montanina bella. c. 51 99· Pro eodem. Stativ’ in pace, habitator felici. c. 51V 100 Candide violette et bianche rose. cc. 51V-52 ΙΟΙ. Bella selvaggia et vaga donna Honesta. c. 52 102. Pro eodem. Quella città che ’l nome ha d’una vecchia. cc. 52-52V 103, . Pro eodem domino, quando el principe Eugenio era a Siena (2). Se ’l sommo et ver Pastor te benedice. c. 52V 104. Foss’ io, bendella mia, el tuo bel nodo. ce. 52V-53 (1) Le carte sono spostate. (2) Evidentemente, il principe Eugenio è il pontefice Eugenio IV. * - 272 - 105. S’ io fusse degno d’abitar cum voi. 106. Quando io sono agli acenti del bel nome. 107. Pro eodem. Giro dove me voglia gli occhi atorno. 108. Dolce aura che da quelle parti vieni. 109. Pro eodem. Gli occhi che già cibar solean gli mei. no. Pro eodem. El saggio sguardo, el guato honesto acenno. in. Per lo prefato. Non lasciar, donna, 1’ honorata impresa. 112. Per lo ill.mo signor mio. Levami, amor, d’omgni luoco più caro. 113. Pro eodem. Non serà mai, se ’l mondo fusse eterno. 114. Pro eodem. Questa humil donna ch’è sci superba. 115. Pro eodem. Candida donna, eh’ ài di fiamma el viso. 116. Pro eodem. Possibel è che ’l tempo adietro torni. 117. Pro eodem. Non tutte Tacque, amor, che me consumi. 118. Pro eodem. Costei che forsa m’ha per servo indegno. 119. Pro eodem. Celar èe puote omne oculto pensiero. 120. Pro eodem. qui habuit amatam suam in manibus , precibus eius, dimisit eam. Conqueritur de seipso. Non me lamento de persona alcuna. 121. Pro eodem et eadem catis a. Ah ! quanta reverenza ha el vero amore. 122. Pro eodem. Quella beltà che ve fu già concessa. 123. Pro eodem. Fu mai facta da Dio sci bella cosa. 124. Aventurato et dolce mio ronzino. 125. Pro eodem domino et eadem causa. Mossese la fortuna gratiosa. 126. Quando madonna vien che sola stasse. 127. 0 lima sorda, che ’l mio cor consumi. ce. 53-53V c. 53V ce. 53V-54 c. 54 cc. 54-54V c. 54v c. 55 ce. 55-55V c. 55v cc. 55^-56 c. 56 cc. 56-56V c. 56V c. 57 ce. 57-57V sed, victus c. 57v cc. 57V-58 c. 58 cc. 58-58V c. 58V c. 59 cc. 59-59V c. 59V 128. Pro eodem. Non è dal dir latino 0 chiaro 0 fosco. CC. 59V-60 129. Pro eodem ill.mo domino meo Federico. c. 60 Torna, madonna mia, torna horamai. ΐ3°· Pro eodem. L’ occhio de che madonna è tanto avara. CC. 6o-6ov 13*. Pro eodem. c. 6ov Quando madonna sotto occhio m’amira. 132. Per lo ill.mo signor Federico. c. 61 O nimpha, 0 dea terrestre, 0 alma degna. Ì33. Pro eodem. Quando mi specchio ni begli occhi fiso. CC. 6i-6iv 134. Più cruda voglia, indomita et selvaggia. c. 6iv 135. Pro eodem. Hora m’ ancide et hora voi eh’ io viva. CC. 61V-62 136. Pro eodem Domino. c. 62 Que faccio, pensier mio, que me consigli. 137. Per voi ricognosco io, occhi miei cari. CC. 62-62V 138. Unde vien, donna mia, che tanto t’amo. c. 62 V 139· De, fusse stato Γ impio mio signore. c. 63 140. O terra, 0 lunga via, perchè [mi] privi CC. 63-63V 141. Voi corrite, pensier mei, pur a quella. c. 63V 142. Per lo ill.mo signor mio. Dente d’amor che ’l cor me rode et scema. CC. 63V-64 143· Noi eravamo amore et io sol soli. c. 64 144. Quel occhio dricto vagamente honesto. CC. 64-64V 145· Mio male a me giamai tanto non dolse. C. 64V 146. Per lo mio signor Federico, essendoli donato uno diamante et imo rubino da la sua amorosa. Quel tuo cortese et saldo diamantino. c. 65 147. O bella man, che tanto me deserve. cc. 65-65V 148. Per lo ill.mo signor mio Federico. C. 65V Quel aer lieto et quel dolce surriso. 149. Pro eodem. Dal bel sembiante et dai bondi capelli. cc. 65V-66 150· Dolce suave et pretioso dono. c. 66 151· Io me parto, cor mio, tu ti rimane. cc. 66 66v 152. Amor, ch’ai caldi raggi di bei lumi. cc. 66v T53* Ombrose selve et fronde alte et superbe. c. 67 154· Le labra onde esce el mosco et le viole. cc. 67-67V Giorn. SI. c LcU. della Liguria. 19 χ55· Pcr una giovene Ur binata. Questo occhio ladro, che mia mente inebra. c. 67V 156. Pro eademì 5 octobris 1447, Quel dolce et saggio et quel suave sguardo. cc. 67V-68 J57. Chi non ha visto la mia donna bella. c. 6S 15S. Candido drapigel, sudario mio (1). cc. 6S-6Sv 159. Stando el mio ill.mo signor Federico a la messa , scoritrò la sua amorosa in la festa di S. Nic.9; et poi la vide a la fenestra. O sancto gratioso sopra sancti. c· 6Sv 160. Per la Casandra, lamentajidOsi che il mio ill.mo signore s’era partilo (2). Al mio bel tempo è omgni piacer tronco. c. 69 161. Fuor molte le cagione a farme servo. (Canz.) cc. 69-71 162. Io scorsi sempre l’honorata testa. c· 72 163. Per Γamorosa del mio signor Fedei'ico , la quole scori Irò per' via, et non la potè vedere, perchè lui era 111 un cavallo alto chiaritalo Orsino, et lei era ne le bastughe. Mondo fallace e rio, pien d’omgni dolo. ce. 72-72V 164. Per quella medesima cagione. Che fustu stato, o caro mio ronzino. c. 72V 165. Per lo sguardo de la g rande za. Quanto più vive Thomo qui, più impara. cc. 72V~73 166. Per gli occhi de la Draga. Chi fura argento o oro dice el bando. c. 73 167. Per gli occhi de la Draga che vinsero quegli del sole. Venia madonna col suo occhio aperto. cc. 73"73v 16S. Per la Draga. Sguardo prudente dolce astuto et saggio. cc. 73V-74 169. Al signor Napulione. Havendo una lettera in morto de lo amorosa sua, la stracciò. Verso lei, desdigriata, dice così. Da canegiati porci et crocciati orsi. c. 74. 170. Quest’angiola ch’a star tra noi s’enchina. cc. 74-74V (1) Questo son. trovasi anche nel cod. Palai. 41g, c. iSiv. (2) Nel cod. Valicano troviamo i nomi di Cassandra e di Draga, due donne con le quali Federico ebbe relazione ; ma noi crediamo che questi due nomi si debbano riferire alla stessa persona. Sarà una Cassandra Draga o Drago, sorella forse di quel Francesco Drago da Mercatello ricordato dalla Fantozzi (La Favilla, 1. c., pag. 6S). Non accettiamo, però, quello che la stessa Fantozzi ivi scrive intorno a una Francesca Draga: per noi, la Francesca nominata dal Montefalco è della famiglia degli Atti e moglie di Angelo. 1 Ι7Γ. Per la Draga che amorbò et fu liberata. Omne tua possa, Amor, già messa al fondo. c. 74v 172. Per lo mio dolcissimo procuratore ministro de Γ intrate. Furti più dolce al mondo mai non fuoro. cc. 74V-75 173- Portami, Amor, cum l’ale del desyo. c. 75 174. Per lo mio procuratore. Poco è cent’ anni al spazio de V eterno. c. 75V Ι75· Lieto suave et dolce mio ritorno. cc. 75V-76 176. Per una c amis a facta da la amorosa del mio ill.nu) signore in Toscana. Bianco ligiadro et pretioso dono. c. 76 177· Mandato da VAncisa a Firenze. Se il nome di costei poco rimbomba. cc. 76-76V 17S. Per Tamorosa crudelissima de lo ill.mo signor mio. Quel sguardo traditor, quegli occhi chiari. c. 76V 179. Per lo prefato SigJiore. Io me credea che leoni orsi et draghi. cc. 76 v-77 iSo. Se ’l mio liai servir, se la mia fede. c. 77 181. Crudel maligna fera invidiosa. c. 77V 182. Per crudeltà. Ai colpi che son fuor de mortai ciglia. cc. 77V-7S 1S3. Per crudeltà. Amor benigno et la fortuna amica. c. 78 1S4. Per crudeltà. Amor, conducto m’hai al giorno extremo. cc. 78-7SV 1S5. Credejido che la sua morosa se dovesse partire. Que puoi tu farme homai, fortuna ria. c. 78V 1S6. Per la morosa del mio ill.mo signor Federico. Quando madonna è in mezzo et l’altre attorno cc. 7SV-79 1S7. A la tua gram beltà ch’è più che humana. c. 79 iSS. Io so tal qual me soglio in omne tempo. (Sest ) cc. 79V-S0 1S9. A la Francesca bella. Del viso di costei eh’ ognor m’ adesca. c. So 190. Gli occhi tuo ladri che sì acorti stanno. cc. 8o-8ov Ι9Τ· S’amor ne gli occhi vaghi non m’inganna. c. Sov 192. Festivo giorno, ove la donna nostra. c. 81 τ93· Sonetto de S. Antonio. Spirito gentil, memoria, arte 0 scienza. cc. Si-Siv 194. Mentre lontan se sta el dolce mio bene. c. Siv 195- Mentre madonna i nostri occhi se ve ta. cc. Siv-82 196. --- 276 --- c. 82 Passa ri m noi, amor, senz’alcun fructo. 19 7· La messaggiera mia di paradiso. cc. S2-82V 198. Ridon talvolta gli occhi belli ai miei cc. 82V-S3 199. Voi non volesti la bella a la festa. p co Oj 200. Se me face amor sì proximano. cc. 83-S3V 201. Piangea madonna, e ’l dolce suo languire. c. 83V 202. Quante herbe in terra et quante fogle in fronda. cc. S3V-S4 203. Quando madonna el viso a terra china. p 00 4* 204. Quanto me fusse alhor duro et molesto. cc. CO 4* 1 CO •μ < 205. Infinito andava a vedere la sica amorosa. Quando era cimi viso turbato, ritornava malcontento. Quando al dolce paese amor m’envia. cc. 84.V-S5 206. Nel 1420. Quando io son stato qualche tempo al foco. c. S5 207. Questo è quel mese qual più s’ asimiglia. cc. S5-S5V 20S. Per una bella donna. Per una mosca traditora che se era posta in sul suo viso et non voleva mutar donne. Ah ! importuno et vii, bructo animale. c. 85V 209. Respecti per lo Ill.mo signor mio Federico. Dov’è l’ardir, dov’è la possa, Amore. (Ottave) cc. S5V-SS 210. Per la Fraucesca bella, confortando Γaltre a patientia. Io sento al gran desyo l’ale mie corte. (Canz.) SS-91V 211. A laude de la Frane ésca bella. Parliamo a ragione. (Canz.) cc. 91V-97 212. Per la prefata Francesca bella. Quante dolce dolceze asiemi acolte. cc. 97-97v 213. Ne la Natività de la nostra Donna, Vili sept. 1442. Tu sai, Donna del ciel, che ’l mio dilecto. c. 97V 214. A laude de la nostra Donna. Quanti gran segni d’amor fece Christo. cc. 97v'9$ 215. In laude de Γ invictissimo et triumpìiante lauro. Quando la terra sua verdura prende. c. 9S 216. Ben veggio che ciascun del nascimento. (Ottave) CC.9SV-102V 217. Conira la morte che ha morto la Draga. Fiera, superba, inexorabil morte. cc. 102V-103 21S. Per la morte de una gentil cj'eatura. Que tirannia del ciel è questa, Amore. c. 103 219. Per la dieta, che morì el dì di S. Giovanni, di giugno. Dove è quel valore et quella treza. c. 103V 220. Per la morte de Vamorosa del mio signore. Piangemo homai. Amor, che ben dovemo. (Canz.) cc. 103Y-106 — 277 — 221. Così com’ io t’ amai, vivendo pria. cc. io6-io6v 222. Come par che del cel scenda la stella. c. io6v 223. Pro eodem domino meo. Io voria ch’ i pensier eh’ io porto scripto. cc. 106V-107 224. Per' la morte de Γamorosa del mio signore. Que fuoco è questo, Amor, senza fin dato. c. 107 225. Cosi fuss’ello al fin de gli ultimi anni. cc. 107-107V 226. Per la morte de la Draga. Orbi noi sì, et non è ceco al mondo. (Sest.) cc. 107V-108 227. Perchè m’hai lasciato in tanti affanni? cc. io8-io8v 228. Qual fato, qual destin, qual rea sciagura. c. x8ov 229. Retorna al di sacrato de Lucia. cc. 108V-109 230. Già vie ero cominciato a tirarmi dal soldo et ridurmi a li piè de lo ill.mo signor mio, et sentendomi più oltre cum li anni et cominciando a gustare la stantia et natura cortigiana , feci lo infrascripto sonetto. J432. Cari concepti et pensier dolci et levi. cc. 109-109V 231. Contra ad amore 1425. Questo dì consecrato al gran Giovanni. c. 109V 232. Per parte de la sua amorosa morìa al signore. Per la gran crudeltà che già te usai. cc. 109V-110 233. Per dieta cagione. Que doglia ti fia el devoto mio. c. no 234. Per dieta cagione. Hoggi che è el sacro di del gran Baptista. c. no 235. Per la dieta morte. Se morte acerba sciolse el dolce nodo. c. nov 236. Per lo mio Bolza Tricolo che morì per soperchio affanno preso in far Tarchimia (1). Io tiro gli occhi mei sempre mai molli. cc. nov-iii 237. Per lo mio ill.mo signor Federico. Io me credeva che ’l duol che dentro premo, cc. in-iiiv 23S. Io piango sempre la mia donna morta. c. mv 239. Repensando a l’extremo de mia vita. cc. mv-112 (1) Crediamo che in questa didascalia sì debba leggere Bolza Tracolo, e non già Tricolo. Infatti nel cod. della Nazionale di Firenze II, IV, 250 (Magi. Cl. VII, num. 1009), c. 158, si ha un son. di Tracolo da Rimino a Giovanni di Cosmo de’ Medici cf. Mazzatinti, Inventari, IX, pag. 179) e C. Tonini pure discorre di un Tracolo nella sua « Cultura scientifica e lett. di Rimini, Rimini, 1884, I, 154 segg. V. anche Crescimbeni (Commentari, II, 2 * p. 158) e Quadrio (III, 1. I, p. 597). — 2 78 — 240. Facta a dì XV d’agosto , 14.26 , andando verso il mio signor Berardino, quale se era fugito de prigione del castello de Monza. Con altra rima ornai, con altro verso. c. 112V 241. Essendo grati mona in Urbino, 14Ί6. Horribel sonno et grave mio peccadi. cc. 112-112V 242. Pro eadem causa et eodem tempore. Miser, que fai, perchè non piange e stride. c. ii2v 243. Ut fit quando iti tribulationibus interdum compungitur cor peccatoris; secessa autem tribulatione, secedit bona voluntas. Quando remembro el gran tempo perduto. c. 113 244. Contra el mondo, eodem tempore. Che pensi homai, o duro cordi legno. cc. 113-113V 245. Andando a Basilea, ove era al concilio, 1442. Di asaggio contra le cinque proprietà d'amore. Tu te dipinge prima cum due ale. c. 113V 246. Contra ad amore, 1445. Quel falso, lusinghier, putrido et vile. cc. 113V-114 247. Tolto ho furtivo tempo agli anni mei. c. 114 248. Contra ad amore. Rabida voluptà, furor de carne. ce. 114-114V 249. A la nostra Donna, nel 1431, in quello de Castello, in uno pa- lazo de Selce chiamato. Madre superna, somma, alta Regina. (Canz.) cc. 114V-1 i6v 250. A la nostra Donna, nel 1432, a Milano. 0 ingrata et superba alma mia. (Capit.) cc. 116V-120 251. Passione de Christo. Intenzione del dicitore è di racontare la passione di Christo, fingendo che la rammenti il Beato Bonaventura. Revolgendo in pensier tutta la mente. (Capit.) cc. 120-122 252. 0 tardo, o ceco, in cui non fu giamai. (Cap.) cc. 122-123V 253. Io ti scongiuro et prego, o Vergen sancta. (Cap.) cc. 123V-126 254. Tu dice el vero, miserello affranto. (Cap.) cc. 126-128 255. Erano frequentati i gran mestieri. (Cap.) cc. 128-130 256. Ancora pianse al grembo de Maria. (Cap.) cc. 130-132 257. 0 Regina del cel, Madre superna. (Cap.)cc. J32-134 258. El cor del bon Yesù sempre piangea. (Cap.) cc. 134-135 259. Si come aperse Yesù a Madalena. (Cap.) cc. i35_I37 260. Pieno di maraveglia et di pietade. (Cap.) cc. 137-139 261. Dal dextro canto de la mia signora. (Cap.) cc. i39-T4i 262. Poco riflette lei che a sè me chiama. (Cap.)cc. 141-143 263. Io stava pur sopra un disio suspeso. (Cap.) cc. 143-145 264. Havean facto costor de lor doi parte. (Cap.) cc. 145-147 — 279 — 265. A madonna Catherina , contessa di Montefeltro. Comandando quella de quattro prerogative , primo verso se contenne , nel 1427 di Febbraio, cessante la moria a Urbino. (1), Nobele, bella, saggia et gratiosa, (Canz.) cc. 147-148 266. Occhi miei ciechi, ove è la vostra luce. c. 148V 267. Oymè, profonda et ria mortai ferita. (Canz.)cc. 148V-158 268. Per lo prefato Gismondo, per la detta cagione. Nel hora che si colca nel ponente. (Cap.) cc. 158V-160 269. Et dicto questo, Dio me benedisse. (Cap.) cc. 160-162 270. Pianga el bel arco, el ponte et la fontana. (Cap.) cc. 162-164 271. La lunga, aurata, riccha et bionda treza. cc. 164-164V 272. Dal signor Gismondo ad Agnolo Galli, domanda que fosse V intention del secondo. Poi che natura, el ciel et ciascun segno. c. 164V 273. Re sposta a lo ante s cripto sonetto mandata a quello signore in Lombardia. Un gran signor, se ’l loda el servo indegno. cc. 164V-165 274. Mes sivo del sopradetto Signore. Manca del bel giardin el nobel fiore. c· i65· 275. Tolgasi sempre del suo grande errore. c. 165V 276. Canzon per madonna Costanza da Varano de lo ill.mo signore Alessandro Sforza (2). Questa donna gentil che ’l mondo honora. (Canz.) cc. 165V-175 277. Al signor Malatesta havendoli mostrato el libro de suoi sonetti. 1435 1 armarii (3). Quel glorioso libro in cui mirai. cc. 175 175V (1) Guidantonio, conte di Montefeltro, dopo la morte di Rengarda Malatesta, sua prima moglie, sposò Caterina Colonna dalla quale ebbe sei figliuoli. Rafael Maria, Oddantonio, Brigida Sveva , Violante, Agnesina, Sveva. Federico II fu figlio naturale di Guidantonio. (Feliciangeli, 1. c., pag. 6, n.)· (2) Questa canzone fu pubblicata per intero da G. Zannoni, in occasione delle nozze d’argento Pierantoni-Mancini (Roma, tip. italiana, 1893), e dal Feliciangeli (.Notizie sulla vita e sugli scritti di Costanza Varano-Sforza, in Giorn. stor.y XXIII, pp. 66 segg.). Alessandro Sforza sposò Costanza di Pier Gentile Varano, signore di Camerino, e di Elisabetta , figlia unica di Galeazzo Malatesta, Γ8 dicembre del 1444· Morta Costanza di parto nel 1447, sposò Sveva di Guidantonio, conte di Montefeltro, virtuosa ma non bella. Alessandro, accecato per la Samperoli, usò con lei grandi durezze; e Sveva, cristianamente rassegnata, vesti l’abito di S. Chiara in Pesaro nel monastero del Corpus Domini. Nel i47S fu eletta badessa; mori l’8 sett. del 1478, e Benedetto XIV la beatificò nel I7S4· (Oltre il Feliciangeli, cf. A. Olivieri, Memorie di Alessandro Sforza, Pesaro, Gavelli, 1785). (3) Nella didascalia di alcuni sonn. (268, 272-275), si legge definitiva- - 28ο - 278. Se’l cel te ride, o principe glorioso. c. 175V 279. A messer Stephano Por cari da Roma, capitatio de Firenze nel 1428, 28 novembre. Mosso dal grido del tuo alto ingegno. c. 176 250. Al dicto Messer Stephano· Per ima diciria vulgare et bella quale lui fece in latino, di genaro, de la intrata di nove priori i?i lo palazo de Firenze. L’alta eloquenza tua pi[e]na d’amore. cc. 176-176V 251. Del messere signor Malate sta Pisauri. Mandato per lo magnifico signor Malatesta Pisauri al mio ill.mo signor Federico; et dicesi che sia l'ultimo che Ί prefato signore facesse mai, come indivino della sua morte; el el prefato signor mio mandò el dicto sonetto essendo io a Firenze, raccomandandomi che per la sua ili.ma signoria gli facessi risposta, e così feci questi zinque. La sua prefata signoria meglio et senza compatrono haveria dicto , ma , ocupato a le cose grave , volse così 7iel 1428. El tempo el quale è nostro io ho smarrito. c. 176V 282. Resposta al i.° d'Agosto, essendo io al podere de Columbai'a fuori di Firenze. Se l’età verde e ’l bel tempo fiorito. cc. 176V-177 283. Al mio ill.mo signore. Mandato da Firenze nel 1430, a dì ultimo di Febbraio , al mio ill.mo signor Federico, dole?idome de la morte del sopradicto signor Malatesta, concludendo che le rime so7ino rimaste a la sua I. S. M. Dov’è l’alta eloquenza e ’l suo splendore. c. e77 mente il nome di Sigismondo; in altri (281-283) quello di Malatesta da Pesaro. Invece nelle didascalie dei sonn. 79, 80, 82, 96-99, 277 si legge soltanto Signor Malatesta. Ora noi crediamo che questo signor Malatesta sia senz’altro il Signore di Pesaro e di Fossombrone, Malatesta Malatesti, figlio di Pandolfo II; e c’induce a creder ciò la didascalia del presente sonn. (277), dove leggiamo: Al signor Malatesta, havetidoli mostrato el libro de’ suoi sonetti, 1425 lanuarii. Il Malatesta poeta non può essere altro che il signore di Pesaro. Egli amò le lettere e si circondò di letterati : scrisse poesie di soggetto, per lo più, religioso e morale. Morì in Gradara il 19 dicembre del 1429, e fu sepolto in S. Francesco di Pesaro (Litta, XII, Malatesta, Tav. VI). Nel Canoniciano 50 (cc. 7 segg.), si leggono di lui sette sonn. e un capitolo. Eccone i capoversi : L’ infrascripli lauda?idi sotiedi furo?io composti dallo ill.tno signore Malatesta de' Malatesti da Pesaro. 1. Da la giovene età che già molti anni. 2. Io so pur giunto carco a la vechieça. 3. El tempo el quale è nostro io ho smarrito. 4 Chi segue amor carnai, come ho fact’ io. 5. Io confesso a te, Padre, i miei peccati 6. Vexillo glorioso et triumphante. 7. Pro coniuge. Mort’è la sancta donna che tenea. 8. Imperatricè summa alta Regina. (Capitolo). - 281 - 284. A frate Bartolomeo da Ferrara, predicò tutta una quaresima de virtute in virtutem ( 1 ). De virtute in virtutem tua preposta. cc. 177-177V 285. Seria el pur ver che quel ver salvatore. c. 177V 286. Se ’l servo segue un suo mondan signore. c. 178 287. Per una giovene bolognese. Nel 1438, di magio, in Ferara, essendo lì la corte fea Γ infrascripto sonetto in persona di Messer Guido [Giusto] da Valmontone, cubiculario, inamorato de una giovine bolognese, la quale i?i quelli dì se era partita et andata in villa; et la più singulare belle za di costei era la mano (2). Quanta invidia vi porto herbette et fiori. cc. 178-178v 288. Pur in persona de lo prefato Messer Guido [Giusto] che se trovava lontano da colei. Piangi, misero, lasso eh’ [h]ai ben donde (3). c. 178V 289. Risposta bella et singulare del prefato messer Guido [Giusto] al sopradetto sonetto. Quel tuo bel lamentar che me confonde. cc. 178V-179 290. De messer Guido [Giusto]. Da messer Guido da Valmontone, mandatomi da Firenze sino a Calli, condolendosi del suo slato amoroso, perchè stava lontano da la sua amorosa che stava a Bologna. Tal son ni mie pensieri qual io già fui. cc. I79'I79V 291. Resposta non stia lontano. Se la speranza antiqua hora non frui. c. 179V (1) V. pag. 257. (2) L’anno 1438 la Corte pontificia si trovava in Ferrara, dove era stato trasferito il concilio di Basilea. Papa Eugenio IV vi si recò verso la fine di gennaio. Giusto de’ Conti adunque, fin da quell’anno, lo troviamo a servire Eugenio, in qualità di cubiculario, cameriere; e l’anno 1446 fu dallo stesso pontefice mandato in missione a Rimini, presso la corte di Sigismondo Malatesta, dove poi rimase fino al termine di sua vita, con 1’ ufficio di segretario generale e consultore di stato. (Cf. L. Pastor , Stona dei Papi, Trento, 1890, I, 232; Rassegna crit. della l. it., IX, p. 100). (3) Questo son. si legge anche in un cod. della Bella mano di Giusto de’ Conti (ΓAshburnhaniano 1714, c. 37V) e nelle Rime inedite di Giusto (Firenze 1819), che derivarono da quel cod.; fu pubblicato senz’altro come cosa di questo poeta; ma invece è di A., e di Giusto è la risposta che segue nell’attuale cod. Vat. Quel tuo bel lamentar che me cojifonde. — Il Se-garizzi, pubblicando nel Giorn. stor. d. I. it. (XLVII , pp. 41-66) , daH’-ZT-stense III, D, 22, i sonn. di Ulisse Aleotti, rimatore veneziano del sec. XV, gli attribuisce inesattamente tre sonn. di Angelo , il predetto Piangi misero lasso ecc. e gli altri due Dite che cosa è che non possa amore — Che tirannia del cielo, è questa, Amore (v. Vat-Urb., nn. 1 e 218); ma l’inesattezza dev’ essere derivata, forse, dallo stesso cod. estense. I / — 282 — 292. De Piero de Tiberto da Siena cum l* epigramma de Traiano imperatore (1) La nuova età me piuse a parlar presto. cc. 179V-180 293. Re sposta assai me n bella. Innanzi al cominciar veggio caresto. c. 180 294. A Bocacino Alamanni, quale se doleva eh' io non era sforzesco (2). El regno de li dei, povera villa ce. 180-180V 295. Del magnifico Aloisì degli Atti che mandò un falcone al pre-fato signor Federico. Stando Aloisie dicto a la Aletola for de casa sua malcontento (3). Da Paspro colle et salvatico monte. c. i8ov 296. Respusi iti persona del prefato signor mio al sopradetto A loi se. Fortuna vuol che salito desmonti cc. iSov-181 297. Per parte del magnifico signore Octaviano al Pisanello pictore. 1442. Se Cimabo cum Gretto et cum Gentile (4). cc. iSi.iSiv (1) Su Piero de Tiberto da Siena, cf. V. Fiorini, La bella Camilla, poemetto di Piero da Sietia , Bologna , Romagnoli dall Acqua , 1892 , pp. XLV segg. (2) Su Boccaccino Alamanni, v. Eugenio Gamurrini, Istoria Genealogica delle famiglie nobili toscane et umbre, Firenze, 166S-79» Tomo II, 453· (3) Luigi degii Atti doveva probabilmente essere della stessa famiglia d’Isotta, dapprima concubina e poi legittima sposa di Sigismondo Pandolto Malatesta. Anche Francesca, la donna che sposò Angelo , fu della famiglia degli Atti, di cui il principal ceppo era a Sassoferrato. (4) Cimabo, Gretto e Gentile sono Cimabue, Allegretto Nuzi e Gentile da Fabriano. Questo son. e il seguente (Chi voi del mondo mai ?ion esser privo) il Galli li scrisse per parte di Ottaviano Ubaldini della Carda al pittore Vittor Pisano, conosciuto sotto il nome di Pisanello. Furono pubblicati dal Dennistoun, poi dal Milani e da altri come appartenenti a Ottaviano Ubaldini; ma il Venturi li restituì giustamente al Galli (Vasari-Venturi, Vite degli artisti, Firenze, Sansoni, 1896, 49 seg.). Il Venturi, però, col Dennistoun e il Milani, erroneamente crede che i) son. Chi voi del mondo mai non esser privo, fosse stato scritto per accompagnare una medaglia del Pisano al Duca di Milano Filippo Maria Visconti. Ecco le parole del Venturi: « Il Milani osserva che il Dennistoun parla del secondo sonetto [Chi voi del mondo e cc.] come se fosse stato scritto per accompagnare la medaglia del Pisano a Filippo Maria Visconti, senza dire donde ne abbia tratto la notizia, e mentre nel sonetto si parla espressamente di ritratti dipinti. L?indirizzo del son. a Filippo Maria Visconti si trae dalle parole, quantunque cancellate e non chiare, omesse dal Dennistoun, e che stanno in testa al son. nel cod. Valicano. Ora quelle parole di dedica possono essere state suggerite al suo poeta da Ottaviano Ubaldini che fu a Milano alla corte viscontea, quando suo padre Bernardino vi era tenuto prigione, e dove potè — 283 — 298. Pro eodem. Chi voi del mondo mai non esser privo. c. i8iv 299. El magnifico signor Octaviano al signor Duca de Milano, primo dì de gen?iaro 1442. Mandando per mancia una cerva cum questo sonetto al collo, et lei parla. Io so presumptuosa et ben proterva. cc. 181V-182 300. El prefato magnifico Octaviano al signor conte Francesco Sforza, do7ia?idoli un cavallo et esso parla. Sì come io sono un vii basso ronzino. c. 182 301. Pro morte amatae meae. Da poi che morte spinse quel bel velo. cc. 182-182V 302. Pi o eadern causa. Che fussel pur per naturai costume. c. 182V 303. Resposta ad un Baldassarre da Cantiano , sapatore et diceva in rima. O tu per cui natura mostrar vole. c. 183 304. A Piero di Cosmo, da parte de la sua amorosa, quale se dole rhabia abandonato per la nova sposa. Se del gran foco pur sol una dramma. cc. 183-183V 305. Al sopradetto Piero da parte mia, dicendoli che Vamor de la sposa non li torca de la mente l’amor de l'amorosa. Chi segue un tempo l’amorosa voglia. c. 183V 306. Al de do Piero per parte de la sua amorosa. El bel triumpho de l’aspecto mio. ce. 1S3V-1S4 307. A Piero predicto per parte de l'amorosa. Quando cantando vegno a quel bel nome c. 184 308. Messer Giusto a me. Se mai per la tua lingua el sacro fonte. cc. 184-184 v conoscere le medaglie del Pisano per Filippo M. Visconti e per altri.» Ora tutto questo ragionamento del Venturi cade , considerando che le parole cancellate e non chiare del cod. non sono altro che la didascalia del son. seguente (Io so presumptuosa et ben protenda): El magnifico signor Octaviano al signor' Duca di Milano, primo dì di gennaio 1442. Mandando per mancia una cerva curri questo sonetto, et lei parla. Il copista aveva fatto precedere questa didascalia al son. Chi vuol del mondo mai non esser privo; poi, avvistosi dell’errore, la cancellò da quel luogo, e la premise al son. seguente, al quale apparteneva. Di questo errore materiale il Venturi non si avvide, e volendo assolutamente cercare da dove il Dennistoun e il Milani avevano tratto la notizia della medaglia, cercò di leggere le parole cancellate e non chiare del codice; ma lesse pur male, poiché trovò medaglie, dove non si discorre di altro che di una cerzia. Da dove poi il Dennistoun e il Milani ricavassero la notizia della meiaglia, noi so davvero! — 284 — 309. Risponde a lui, dando la colpa al Papa. L’acque che scendon giù dal sacro monte. c. 184v 310. [S]e tu repensi al ben già ricevuto. c. 185 311. Resposta del prefato. Pensando el mio bel tempo perduto. ce. 1S5-1S5V 312. A Piero di Costilo. Dicendo haver provato el stare rinchiuso, Vandare de fora; e dice è meglio stare a vedere la sua amorosa. Provato ho il tristo ocio, i torpenti agi. c. 185 313. Da Giovanili di Cosmo a la sua amata. El è ben ver che Ί cel già me fu largo. ce. 1S5V-1S6 314. Per lo prefato Giovanni. Non è più vero el vero che ’l mio amore. c. 1S6 315. Da maestro Antonio de Guido da Firenze (r). Serenissimo ingegno, immenso et divo. cc. iS6-iS6v 316. Resposta al sopradetto. El tuo bel stil ligìadro et excessivo. cc. 1S6V-1S7 317. Per Giovanni di Cosino , renchhssa una sua amorosa in una veste di raso. Felice veste et foggia mia dilecta c. 1S7 31S. Per lo prefato signore, per non potere veder spesso ta sua amorosa. Infinito è el mio ben. ma tardo et raro. ce. 1S7-1S7V 319. Da messer Benedecto di Bar zi ad lo magnifico signore Octaviano de li L'baldini (2). L’immagin chiara del tuo genitore. c- 1S7V 320. Resposta. Quel sol de gentileza et ver splendore. cc. 1S7V-1SS 321. A Mariotto degli Avanzali che non mi rispondev a. Se tardi per dir meglio, 10 te comendo. c. iSS 322. Resposta. Dal cel dato mi fu per quel comprendo. cc. iSS-i8Sv 323. Da Mariotto degli Avanza/i, fiorentino, 1449 (3). Facundissima lingua, ingegno opimo. cc. 1SSV-1S9 324. 0 mondo tristo, ove è il miracul nostro. c. 1S9 il Questo son., che Antonio di Guido, il principe degl’ improvvisatori fiorentini, diresse ad Angelo, e l'altro dì risposta, li abbiamo trovali anche nel Ricc. 1114. (2) Per Benedetto Barri, v. Oldolni, Athenaeum Augustum, pag. 51 se^. e Mazzatinti, Inzentori. II, 109. (3) 1 sonn. che corrispondono ai numeri 32Σ-Ϊ2; si leggono anche nel JfagL Ii. II, A‘: quello che corrisponde al n. 323 anche nel I^zur.-RsJ. 1S4. Quest'ultimo son., però, non è dì Mariotto, ma dì A . come dicemmo altrove (pag. 262). — 285 — 325· Al signor mio per parte de la sua amorosa. Tu perturbi el mio bene in tanta altura. cc. 189-189V 326. Resposta per parte del signor’ mio , composto da messer Antonio da Afonlalcino (1). Colei che me fa star cum vista oscura. c. 189V 327. Da messer Giovan Francesco Soardo a loda de una bella giovine d’Urbino (2). Fece natura et celo ogni sua possa. cc. 189V-190 32S. Resposta. Guarda come tu credi ornai eh* io possa. c. 190 329. Réplication del prefato. Far dei adunque ogni tua extrema possa. c. 190V 330. Resposta a la replicatione. Non fu sd dura et aera la percossa. cc. 190V-191 33!. L' infrascripti doi sonetti forono mandati da messer Alexandro. Virgilio, Horatio, Senecha et Eschino. c. 191 332. Risposta [aj messer Alexandro. Loda mi togli et fai falso latino. cc. 191-191V 333. La cetera che Orpheo cotanto honora. c. 19iv 334. Sola bella è colei che t’innamora. cc. 191V-192 335. A Γ ill.mo signor Alexandro Sforza. Sol donna astuta cum soi acti schivi. c. 192 336. Re sposta del prefato signore a me. O felici color che mai son privi. c. 192V 337. Dal prefato signor Alexandro a me. Fia debel la mia voce et debel stile. cc. 192V-193 338. Resposta mia al sopradicto signore messer Alexandro Sforza. L? ingegno tuo altissimo et sottile. c. 193 339. A lo ill.mo signore Alexandro Sforza. XXII lulii 1457. El più felice amante non fu mai. cc. i93‘I93v 340. Al prrefato signore Alexandro Sforza , quale mi conforta al dire. Da F un di canti più eh* io non voria. c. 193V 341. Perchè sci tardi o non venisti alhora- c. 194 (e) Per Antonio da Montalcino T v. quel poco che ne scrisse. A. Zeno, Lettere, 2.a ediz-, V, pp. 244 e 250. (2) Della famiglia Soardo o Snardo , originaria di Alsazia e trapiantata in Purgamo, il 1154, vrè un cenno nei Crolla T.anza (Dizionario delie famiglie illustri italiane), ma di Giovan Francesco non si paria affatto. Fa egli nomo di stato e rimatore non del tutto oscuro ί Flamini. Lirica). — 286 — 342· Come debel popilla manca al sole. ce. 194-194.V 343. Mandato a me per lo ill.mo signore Alexandro Sforza a dì XXVI de luglio, reprendendo el cor suo. Ahi misero mio cor, che non t’acorgi. c. 194V 344. Io respondo invece del core suo al pref alo signore, XXVI 1 de luglio /457. Misero io non, ma tu che non t’acorgi. cc. 194V-195 345. A lo ill.mo signore Alexandro predicto, dicendo che non fa bene a lamentarse del cor suo. Per crudeltà de donna altri se dole. cc. i95-I95v 346. Non può più el tempo hoimè tornare a detro. c. i95v 347. Del sopraditto a me per la morte de la mia madonna geritile. Sento el mio cor pien di disio piangendo. c. 196 34S. L’è tanto quel stupor, signor, eh’ io prendo. cc. 196-196V 349. Al prefato signore, facto in sua persona. Quando mi vieni in sogno, o di pensiero. c. 396V 350. Per Antonio Alaria, quando lui stava a Pesaro, dicendo essere stato scritto (?) per altro che per lui (1), Quel mortai morbo, anzi mirabil mostro. cc. 196V-197 351. Ceco è del tucto 1’intellecto vostro. c. 197 352. Réplication mia. Quel tremebundo arciero, ignudo et scalzo. cc. i97~I97v 353. Messer Giusto a me. Se mai advien che cum teco m’ acozi (2) c. 197V 354. Non sento ancor che vogli honor farme. c. 198 355. S’amor fanciullo, qual po dar consiglio? ce. 198-198V 356. Amor già per un sancto non te piglio. c. 198V (1) Nel Tonini, La Coltura, I, pagg. 256-57, si ricorda un Fra Antonio da Rimini, dotto e celebre predicatore. Che sia questo l’Antonio Maria del cod. Vaticano? Il Tonini rimanda all’Urbani, Scrittori riminosi, in Gambalunga. (2) Questo son. è attribuito a Giusto de’ Conti, ma noi riteniamo che sia di Angelo. Infatti in esso si esorta l’amico ad amare; e non è questa la prima volta che A. dice le stesse cose a G. (V. La fine dell’ amore di Giusto de’ Conti con Isabetta in Studi di letteratura italiana diretti da E. Pèrcopo, Napoli, lovene ; 1907, voi. VII, pag. 152 seg.). Ed anche in questo stesso cod. si legge il son. Se renchiuso non sei in qualche cappa (n.° 357), il quale ha la seguente didascalia: Al dicto inimico d’ amore. Or 1’ inimico d’amore per A. non è altro che G., al quale qui torna a ripetere che Γ uomo non può vivere senza amare. Del resto, per queste false attribuzioni che s’incontrano nel Vai.-Urb , v. quel che dicemmo parlando del cod. Laur.-Red. 184 (pag. 262). — 287 — 357· ΛΙ dicto inimico d'amore. Se renchiuso non sei in qualche cappa. cc. 198V-199 358. Al signor Alexandro , in persona de la sua amorosa , dolendosi de la partita di lui. O signor mio, d’ogni virtude adorno. c. 199 359. Resposta del prefato signore a la sua amorosa. Quando el turbato celo è ben piorno. cc. 199-199V 360. Sentina facta invece del signor Alexandro, dolendosi della sua partita da Pesaro per amore della sua amorosa. Io aspecto che i fiumi et le larghe onde (Sest.) cc. 199V-200 361. Dal prefato a me. Lasso, ben mille volte el dì queste onde. cc. 201-201V 362. Risposta mia. Se piangi, signor mio, tu hai ben donde. c. 201V 363. Per lo prefato, a cacciar ma la ingratitudine. Adimanda al veder de gli occhi tuoi. cc. 201V-202 364. Sai tu, madonna, perchè ’l Turco è tardo. c. 202 365. Irivece del signor Alexandro, lassando la sua dilecta. Quando el sol stesse a revederla un giorno. cc. 202-202V 366. Canzon facta dal signor Alexandro Sforza per la sua partita. S’io pur me parto, amor, tu te rimane. (Canz.) cc. 202V-205 367. Al prefato, ralegrandome de la sua tornata. Non si ralegra sì prato di fiore. c. 205 368. Al signor Alexa?idro dal fratello. Da P un di canti el grande amor fraterno. cc. 205-205V 369. Al prefato, dovendose partire. Pria che te parti, fa che tu te satii. c. 205V 370. Non so se te n’ acorgi sì come io. c. 206 371. Al prefalo per parte di lei. Dove è, dove è, signor, el dolce riso. cc. 206-206V 372. Al prefato, da parte de la prefata. Pien d’ angosciosi et amorosi lagni. c. 2o6v 373. I lieti acolti, i dolcissimi ornei.' cc. 206V-207 374. A Francesco de maestro Agnolo tornato a Pesaro (1). Mai te viddi più gioven, nè più bello. c. 207 375. A la creatione del papa Pio, prima chiamalo messer Enea. Vedendo el mondo facto tanto rio. c. 207 (1) Francesco di maestro Agnolo Pandolfini? — 288 — 376. A papa Pio, amicissimo de V imperatore (i). Tanta forza hebbe Γ excessivo amore. cc. 207V-208 377· Ad un Lorenzo da Peroscia , diceva che lì era una più bella de la Francesca bella. Per exercitare el tuo gentil ingegno. c. 208 378· Al signor Alexandro Sforza. Essendo quello i?i una gran malatid, dicendo voler provare se Ί cirvello mio fabricava come l*altre membra. 0 tu che facto sei vero hom de pace. cc. 208-208V Michele Manchisi. III. ALCUNE RIME DEL GALLI E DI ALTRI SUOI AMICI. * I. Sonecto del spectabile Κανaliere Misser Angelo de Galli de Urbino. Felici serve a chi le treççe bionde de la nuova diana el cel concede ; felice terra, ove pone el pede , felice el cielo eh’ al suo sol absconde. A[h]i felici le purissime onde, felice ciò che tocca, e ciò che vede felice ; e ceco e folle chi non crede sia dinançi a lei fiori, herba e fronde. Felice et sancto et pien d’ omni perdono, et collocato fu [più] presso a Dio chi ’l parlar nota e ’l sguardo po’ soffrire. Felice me eh’ ora di lei ragiono ; ma molto più felice el Signor mio , che ’l paradiso in terra avrà a frogire (2). II. Li sonecti tre sequenti fece lo 7iomÌ7iato missere A 7igelo de Galli. Come se stesso el sol si copre et cela in la sua luce, così questa dea ; che tanto lume nel suo viso ardea, io non vidi altro se non sua beltà vela. (1) Enea Silvio Piccolomini fu amicissimo di Federico III d’Austria, dal quale fu incoronato poeta e nominàto segretario della cancelleria imperiale di Vienna. Fu eletto pontefice il 27 agosto del 1458. (2) Can. 50, c. 171V. * Abbiamo in preparazione 1’ edizione completa delle rime del Galli. — 289 — L’ impeto vento mai non spinse vela in mar, sì come me il disio facea ad rimirare era Citharea o altr’ alma ivi scesa che s’ incela. Se voi veder adunche '1 paradiso, Lorenzo mio, veni ad veder costei, et bear ti porrai al sancto sguardo. ► Veder porrai nel suo mirabil viso la possa et tucta força de li dei : beato me che non so stato tardo ! (1). III. Veduto ho tra più stelle stare un sole che leva morte tucte con sua luce ; però che tanto splende et tanto luce , che veder quelle mai lasciar non vole. Perle, coragli tiene, et le viole nel viso, con sua mano, Idio P aduce ; el sguardo, quando è chiuso, anco reluce ; non è da tinger car[ta] et dir parole. Come vento, si nube che ’l sol copra, subito scacia, et inde *1 raggio appare , che ’l turbato oriçonte ce fa bello, sie una santa man, per divin opra, tolse già ’l velo ; et parse, et or mi pare , veder in forma vera el Gabriello (2). IV. Non so se fuss’al mundo cor di pietra , gelato pecto o insensata voglia, eh’ a rimirar costei alhor non voglia eh’ amor li spinse adosso la faretra. Dureça, iaccio et ignorança tetra costei le fugarà, qual vento foglia. O felice colui che ’n lei s’ ammoglia , che già l’arra del celo al mondo impetra. Chi dirà de Γ aspecto triumphante, si non torna d Orpheo la dolce lira v o quella che col canto murò Thebe? Chi dirà mai de le sue luci sancte ? Quando soavemente ella le gira, maraviglia, dolceça et gratia prebe (3) (1) Can. jo, c. 172. (2) Can. 50, c. 172V. (3) Can. so, c. 173. Giorn. Si. e Lclt. della Liguria. — 290 — V. L'infrascripti versi fanno risposta a li nominati tre sonecti. Nil tulit in terras mirum Deus auctor habendum, Quin daret unde aliquis tollere laude queat. Carminibus veteres, Phebo dictante, poete Tollere in astra viros sic valuere suos. luno, Minerva, Venus, sic nobis ipsa Diana, Iuppiter et Phebus cunctaque turba deum. Carmine sidereis potiuntur numina celis, Carmine mortales preteriere modos. Altera, di faveant, perlucet Cinthia mundo, Alter eam, vates Galle, beabis eam. Vive precor, vates, vivat precor alma Diana, Vivat et in votum qui potietur ea. Et memor esto mei, voveo qui meum meumque Ingeriium viresque meas tibi tempus in omne (1). VI. Soiietto di messer Agnolo da Urbirio. Fechondissima lingua, ingegno opimo, legiadra fantaxia de spirto illustre degno a chantar il mio focho trelustre, ch’ a Γ alta tema el mio dir è basso e imo. Se sei fra noi chôme se dicie el primo che tanta gracia il ciel in te relustre, prego per chortesia che mel demustre, quantunque a la gran fama i’ me lo stimo. Se, Maroto, il fonte di Pegaso inonde largamente il tuo bel stille, el qual già per dolceza el cor ci stirpe, dim[m]e s’amor 11e viene a luoco o caso; tu ’l sai, perchè sta sempre in cor gentille ; dimmelo, specchio e lume di tua stirpe (2). VII. Risposta di Mariolo. Fertil, sonora lingua, ingegno eximo, hornato e chiaro spirto cha m’ industre a cerner rime, qual fra fior liguslre, tal che dificilmente el verso limo, (1) Can. so, c. i73~l73^· (2) Laur.-Red. 184, c. 175v. - 29 I - infimo fra voi muse e non sublimo mi sento in versi e in sententie frustre ; pur, per us[c]ir de nubole palustre, del bel vostro doag[i]o (i) alcun pel cimo(2). Germina a caso amor nel nostro vaso per ogeto conforme a sè simille, e più può sempre in chuor de degna stirpe; poi el voto Γaumenta, onde Parnaso s' invoca, e, gionto Γ escha con el fucille, par che tardi o non mai inde si stirpe (3). Vili. Sonetto di maestro A?itonio di Guido che canta in S. Martirio; ha diritto a Messere Agnolo da Urbino. Serenissimo ingegno, inmenso, divo, cantar soave colla dolce lira ne’ giuochi di Parnaso, Nisa e Cira, per cui versa Elicona un ampio rivo. O cibo ameno, o licor nutritivo della bramosa mente, qual disira quel che natura infin che spira 1’ alma, tornando al Motor primitivo. Più tempo fa, messer Agnol d’Urbino, eh’ i’ disiai veder Γ efigia vostra, ritegno del poeticho splendore, per esser chiar d’ un dubio : se distino o fato o cielo o stella all’ alma nostra può tor del libro albitro il gran valore (4). IX. Maestro Agnolo risponde al sopradetto sonetto. El tuo bel stil ligiadro et excessivo lodarmi tanto, troppo a terra m[ir]a; che quel divaro v’è, chi ben rimira, da me a te, qual sia dal morto al vivo. (1) Sorta di panno, appellato cosi dalPessersene fabbricato in Douai, antica sede del dipartimento di Fiandra. (2) Cimare, levar la cima e scemare il pelo al pannolano, tagliandolo con le forbici. (3) Laur.-Red. 184, c. 175V. Cf. anche Flamini, Lirica, 644. (4) Ricc. 1114, cc. 192V-193. — 2 g 2 — Lo ’mproviso tuo dir superlativo, dolcie e già noto quanto Italia gira, la fama tua che infine al ciel ti tira, P aloro in testa e in man ti pon P ulivo. El maestro vien dunque al fantolino per imparare a chiederli la mostra ; chè tu sa’ ben che 1’ sommo Creatore non diede al nostro albitrio alcun domino ; e la giustizia sua chiaro tei mostra : al giusto il merto e pena al peccatore (i). X. * Canzone. Miser Angiolo di Gali da Urbino. Simel a quel che va cercando et trova una alta et preciosa margarita, che quanto po s’aita vender, per comprarla, omne suo bene; così, per acquistar, fec’ io gran prova, non cum vii prezo d’or, ma de la vita, colei che è al ciel salita, dinance a Dio, et ben se gli aconvene. Io P acquistai cum tempo affanno et pene, non men che in acquistar Cesar la Spagna ma 1’ amorosa ragna nel fin piglia pur tosto el cor gentile. Qual lingua e quale stile direbbe un punto sol del mio bel tempo , el qual morte m’ ha tolto sì per tempo ? Prima ch’a Dio piacesser gli occhi belli , (che del mio mal li nacque la radice, che, s’ a dir fusse lice, per gli occhi suoi me 1’ ha rapita el celo), non furon mai fra prischi et fra novelli amanti più di me lieto et felice. Taccia chi più ne dice del caldo amor de Giove, che fo un gelo. Però che pria soto P obscuro velo , contemplando le parte del bel viso, sentii del paradiso, al parer mio, omne suo ben verace. Gloria, leticia e pace (i) Ricc. 1114, cc. 193-193V. — 293 — furon in me al manto bertino, inde poscia el mio amor spinse el divino. Quale hora del mio viver sia lo stato, solo el sa lei, perchè lo vede in Dio cum ciascun pensier mio, come in specchio el specchiato si vede. L’ anima trista e ’l cor più disolato non hebbe Heccuba mai al tempo rio quale hora m’ habbia io , eh’ ogni altra doglia la mia varca e ’xcede. Quando a la mente el bel tempo me riede , 1’ è tanto quel dolor che ’l corpo aterra, che come morto in terra casco, perdendo el polso e la favella. L’ anima sancta e bella lascia su Dio, et, vinta da pietade , scende e releva el servo quando cade. Quand’ io me sento da la man biancha tocco, chè riconosco el dolce tacto , fulgor non è sì racto a scender, come in p[i]è me leva amore. L’ anima lassa tucta se rinfranca ; uscita, torna al suo corpo disfacto. E cusi, calefacto el sangue, che gelato è corso al core , transcorre lieto per le vene fore : il semi morto spirto el corpo regge. Deh pensa tu che legge : se vero amante sei, saper Io poi, se mai moriste et poi renato sei. Or sì renacque io in quella, al tacto et al dolce suon de sua favella. Cum una voce tremolante et fiocha, et rauca, a guisa d’hom cui escie l’alma , che, per la mortai salma , a pena fuor de labra el suon s’ entende , incominciai : Chi è che mi provoca da la morte che già me tien in palma? Sei tu la sancta et alma Madonna mia, che la vita me rende ? El viso tuo d’ un tal lume se acende , chiuso sì come el sol da la sua spera , che non so se sei vera o cosa simulata in tanta luce. Dimme chi te conduce — 294 — a lasciar sii la gloria e ’l ben iocondo, per riveder la miseria del mondo ? De po’ 1’ ha tracta d’ uno amar suspiro, parole uscier de raggi sì soave, che da che fo dicto « Ave » sì dolce dir qua giù mai non s’ entise : Io so[n] 1’ amata tua che ’l ver te spiro , quella che del tuo cor tenni le chiave. Respusi che sei (?) schiave le volie mie a le tue non palese. Quella verace fiamma che m’accese di te già qui nel mondo, signor mio, lasciar m’ ha facto Dio cum la felicità de la sua corte, per scamparte da morte vicina sì, et per disfacto refarte, et sopra del mio ben per consolarte. Se tu sei el mio ben, respusi alora , mostrarne palese el tuo bel viso ; mostrarne el dolce riso , el qual già me insegnò que cosa è amore. Se certa sei la vera mia signora, et eh’ io non pensi esser da te deriso, fa eh’ io veggia reciso dal bello aspecto tuo tanto splendore. Et ella a me : Tu sai ben, car signore , che precepto me fo sempre el tuo prego, eh’ io non feci mai nego al chieder tuo, e al dimandar prevenni : assai m’ eran gli acenni , che disiava d’ esser indivina; hora men dura so, facta divina. Nè pria fornì de dir, che, come Enea , essendo nella nivola nascoso, nel tempio, quel pietoso se discoperse lieto inanzi a Dido, sì discoperse sè la sancta Dea. Uscita de P amicto glorioso, 1’ aspecto gratioso era sì bel eh’ ancora a nulla invido. Allora stupefacto mercè grido, in genochion tremante posto, in quella che la sua faccia bella la reconobbi a le fatece conte. Poi con parole pronte — 2Q5 — le dissi : Deh ben vegna el mio conforto ; hora son vivo, che prima era morto. Come hai tanto tempo oimè sufferto , possendo, a non tornare a consolarme ? che ben possevi aitarmi, che ’n Dio po ciò che vuol l’anima santa. Et ella : Signor mio, leva su erto. E per la mano se degnò pigliarmi, eh’ ancora a ricordarmi per gran dolceça l’anima me schianta. La mia miseria et la mia pena tanta , 1’ angusce, i duoli, io dico sequitando, et i duri omei chiamando, e ’l grave suspirar col lungo pianto eh’ io ho già sparto tanto, se fusser state in te de nullo costo, t’ harian ben facto scender giù più tosto. Dove è, Madonna mia, dov’ è la fede, dove è l’amor che mai non trovo paro, dove lo attender caro , che inante a le promesse andò più volte? dove è la tua pietà e la mercede che ’l secreto del cor tuo me fe’ chiaro ; e, quel che è in donna raro, dove è quel sì quel non in marmo scolte ? Pur queste parte le non son sepolte cum la tua bella carne facta exanima; ançi son ben dell’ anima, la qual, per esser facta più beata, de tuti i ben dotata, esser dovresti più clemente et pia per omne un cento da quel tempo pria. Non vedi tu che col dir vegno meno, stando pur a lato tua presença ? Que fia di me in absenza, tu ’l sai che faria pio un cor di serpe. Non è luoco, ove io vada, che ripieno non lasci de lamenti et de dogliança; io non fo passo sença gravi suspir, che fuor del cor se sterpe. Caliope, Eurania, Clio, Euterpe con le sorelle serien balde a dire el duro mio martire , che aguaglierebbe giù quel de l’inferno non ma’, che non è eterno. - 2ÇÔ - E ’l pianger sempre que me vale o valse , col qual più volte io crebbi 1’ onde salse ? Io non ho tocco de le mille Γ una parte del martiro et de Γ affanno , di guai miei, che m’ hanno più volte Γ ora crudelmente morto. Que dirò poi de la pena comuna che porta la tua patria et del suo danno ? Ben si può dir questo anno , per la tua morte, o desolato porto, fra le maligne stelle el viver torto. Di miseri mortai P ira celeste ha messa sì gran peste , che è morta, oimè, el terzo de la gente. Se tuoi occhi lucente fosser qui stati nella terra nostra, cessava el morbo, unde la colpa è vostra. Ch’ a torno a torno più de cento miglia, dove belli occhi tuoi mirar poteano. facean l'aier sereno, porgendo a corpi human gratia e salveça. Dove s’aprivan quelli archati ciglia, In cui gli occhi del sol venian meno , harian tracto del seno Γ anima altrui per la gran dolceça. O gaudio miro, ineffabile alegreça che '1 mondo prese già del tuo bel riso , che secondo mio adviso a morti haria renduto la salude. Et qui chiar se conclude : s’avevi força altrui resuscitare, possevi te da la morte campare. Se pur per gran misterio el Re del celo , o ver per più adornarne la sua Corte , voleva la tua morte, perchè lasciarne adietro un’ hora in vita? Che se ’l teco salir per qualche scelo vetato havesse, et chiusome le porte, nè difficile, nè forte a te non fora mai gratia largita. Se la dimanda tua fora exaudita, perchè non m’ imprestasti col tuo preco el mio venir su teco ? Questo non porge nella mente mia qualche gelosia; — 297 — che s’ io non viddi al mondo tanto male, esser potrebbe in celo el mio rivale. Il pianger non lassava per dir io. Ella suavemente spesso et piano con la sua sancta mano me rasciugava gli occhi e ’l viso e ’l pecto. Deh non pianger, ohimè, dilecto mio, eh’ a torto piangi et spendi el tempo invano. Et poi a mano a mano ch’ella s’accorse del fin del mio decto , cominciò lei cum un parlar perfecto, interropto talhora dolcemente dal lacrumar sovente. Le lacrime eran tal nel suo bel viso che me seria d’ aviso che Cerbar devenisse mansueto , quando el fusse de rabbia più repleto. O Signor mio, magnanimo et possente, de virtù spechio et summa gentileça , in cui già la francheça et i magni gesti antiqui tornati eno , dove è ora el tuo animo vincente , dove a bisogni 1’ usata prudença , dove è la tua forteça, el cor, l’ardire, la costança e ’l senno? Gli occhi miei belli, che già el cor te dienno, per esser dunque da la morte spenti, sì vii, fragil deventi, che per ingiusta voglia vuoi morire ? Signor, credi al mio dire : non è costume d’animo verace per cosa naturai non se dar pace. Quel breve bene, fragile e caduco, che i mortai cechi giù chiaman beltade, passava la sua etade ; amore in me ornai se disdicea ; partimi a tempo et sopra i ciel reluco. Et mentre vissi quella fideltade , amore et lialtade io t’ebbi tal che più non se possea portar per donna ; et ora, facta dea, se in terra, signor mio, punto t’amai, hora t’ hamo più assai ; et dirò cosa incredibile et vera : quando a la nona spera — 2ÇS - tirata foi , pensando de lassarte , per l’amor tuo io ne fui trista in parte. Quanto piacer de la mia bella spoglia t* avesse dato al mondo l’amor torto , pur quel finito et corto stato sarebbe ; assai men de cento anni nè anco a vinti, non parlando a voglia. Et tu me vedi dal bel secul morto a Γ eterno conforto tirato in più alti excelsi scanni, dove el bene è infinito sença affanni. Adunque per lo breve tuo piacere non debbi gi;\ volere posporre adietro el mio ben infinito, per lo tuo finito ; che altramente non se de* pensare che m* amasti per me, ma per te amare. Poscia tu sai che ogni cosa creata corre sempre al fin per sua natura ; e tanto el ben men dura nel miser mondo, quanto elio è magiore. La carne mia da te sì venerata, agli occhi tuoi si mirabil figura, se prese sepoltura , fece el dovere, perch* ogni nato more. Et cusì volse el summo Creatore che, essendo nato, el suo figliuol morisse. Se Ί mio morir t’ aflisse , el cecho amor qui vinse la ragione: io presi la stagione a morir nel mio stato più giocondo , fugiendo le sciagure de sto mondo. Et per torte dal core omne tristitia sappi, col preco mio, su te diffendo , e giù salvo te rendo da tucti i colpi de fortuna ria ; e per impirte el cor d* ogni letitia dirote un gran secreto assai stupendo, e noi girai dicendo, quantunque presto pur conven che sia : che. Dio presente, la sua Madre pia el m' ha promesso farte un signor magno, sença pare o compagno , che sol solo uno te gira a le spalle ; qual Cesare o Hanihalle , — 299 — tu girai sopra gli altri italiani, . e famoso fra gl* indi et fra 1’ ispani. Signor, se *1 non te basta a consolarte e a farte lieto questo eh’ io te pando, da mo io tei comando , per quanto amore in vita me portasti. Alhora li respusi a questa parte : Dolce madonna mia, tucto tremando f questo vostro comando me move più che ciò che su narrasti; però che tanto amai vostr’ occhi casti che sença loro io non fero mai vivo. Da mo me faccio privo d’ ogni mi’ errore et d’ogne mala voglia e d’ogni angoscia et doglia ; ma prego che me dite la cagione perchè pigliaste el sancto cordone. La cagion perchè io presi P ordin sacro disse che fo non voglia , nè destino ; ma fo voler divino , che per vitar superbia a dirlo horesco, nè te sia lo ascoltare e ’l creder acro. Colui che è uno et doi et sempre trino vuol che se observe a pieno la regula nel ciel de san Francesco. Monachale o fratesco homo non po gir sol, ma acompagnato ; unde Francesco è stato ad aspectar, per salire al suo merto, el beato Ruberto ; Chiar, per sua condigna compagnia, mestier lì fo eh’ aspectasse la mia. Allor diss’ io: O Dea, io te scongiuro, se mai ni'amasti, c* hora tu te spoglie teste bertine spoglie, nè più te veggia testa corda cinta, che Ί veder loro me è si acro et duro, perchè P cel per lor megio me te toglie. Squartala et voglie mostrarmiti, nel brun vestir descinta, socto 1’ oscuro vel biancha et dipincta. O cortesia che luto el mondo vale ! Corda non pinse strale sì presto mai, come ella si fe’ presta a la dimanda honesta, — 300 — deponendo el cordone e i panni bigi, de’ bramosi occhi miei crudel nemigi. Prima che se vestisse i panni negri, che già ne fuoron foco esca et fucile, la camisia sutile non me celava alcuna parte abscosa. La voglia ingorda, i sensi et pensier egri me fea ardito et la ragion pur vile, e lei scorgea humile arder nel viso suo tuta amorosa. Gli occhi invittavan lì ciascuna cosa , e vedea al mio mal presso lo m’piastro ; nè altro che alabastro mostrava la camisa viva neve, eh’ arian facto piegar Scipio et Cato, non tanto un cor bramoso inamorato. Tre volte et quatro et credo più de sei gectai le braccia a torno al sancto collo, cum voglia tal che Apollo non fece sì a la figlia de Peneo; et altratante volte i braccia mei al pecto li tornai de effecto brollo, de quel che mai satollo non seria stato in più d’un gibileo. El viso suo allora tal si feo, qual vergin far lo sol de rubor tincto, de rose et fior depincto. Poi se rivolse a me mirando fiso, raggiandomi d’ un riso da placar l’ira d’ ogni cruda fera, dicendo : Io non so più quel eh’ io era. Da eh’ io la viddi lieta et non crucciata vestita de 1’ antiqua bruna vesta , cum lo scur velo in testa , non feci al fallo mio alcuna excusa ; anzi, tacendo lì per lunga fiata , poi cominciò cum voce sì modesta, sì sancta et sì honesta , che ’l me remorse assai magior accusa. E disse : Se la voglia tua delusa è stata, signor mio, non è mia colpa ; ma el buon voler me scolpa, se ’l sopra Γ inpossibil non po ire. Altro non so che dire, se non che tu dispense el tempo breve, c’ ornai lo star più teco è duro et greve. — 301 — Madonna mia, io non perdo già tempo, ma in amirarvi utilmente 1’ acquisto : che ’l permectesse Cristo Γ esser noi qui fin al giudicio eterno. Ma cominciato havess’ io più per tempo 1’ esser con voi dal primo dì mio tristo che morte el grande acquisto fece di voi e più Idio superno. Se cum voi stesse lì nel basso inferno, io staria lì col mio bel paradiso, che ’l porte nel tuo viso; e chiamar posso quel tempo perduto che senza te sun suto. Et ella, pria che ’l sonno se partisse, cum angelica voce cussi disse : Un corolario bel lasar te voglio; beato te se te lo rechi a mente : Teme Dio onnipotente, sopra ogni cosa amalo cum li eflecti ; poi a poveri, afflicti habbi cordoglio; benigno et gratioso a tucta gente. Le tuoe arme lucente, che t’han già posto fra romani electi , non lasciar mai, credi a li mei decti, che l’opre tuoe già sì ligiadre et belle porran sopra le stelle la casa tua, che è de fama eterna ; la cortesia paterna sequita ; et poi te prego per mio amore. A te con vien, Cançone , alto volar cum Tale del disio, vicin vicino a Dio , a quella che li sta sì proximano, che tene un cor in mano. Prostrata in ginocchione, prega, porgendo questi duri carmi : me vegna in sogno spesso a consolarmi (i). XI. Eiusdem. Morta è la sancta Dea, i cui bei rai vinsero el sol de lume naturale ; morta è colei eh’ al ben celestiale per diricto senthier ce scorse assai. (i) Ricc. 1154, cc. 74-82. — 302 - Morto è el senno et el valor, morta è horamai quella virtù che non havea [P]equale ; morta è eloquentia ; el mondo più che vale, che non fo digno de vederla mai ? Morta è la gloria nostra, o cità mia, e del tuo porto è morta la sua stella che salvi i naviganti far solia. Mòrta è del secul la sua donna bella, anzi lei vive cum Dio in compagnia ; noi morti, sì rimasti senza ella (i). XII. Eiusdem. Fulgente et pretiosa margarita , specchio d’ogni virtù nel mondo rio, facta ora gemma de 1’ anel di Dio per 1’ opere tue caste et sancta vita. Chôme tu fosti de beltà infinita, sola qua giù de senno et acto pio, sola per eloquenza, hor sì credo io che sola sii là su, dove se’ gita. Pianga el Signore, pianga la contrada, pianga ogni tempio, pianga, o Rimin bello, cità rimasta del suo sole orbata. Come occhio sença luce et ale ucello pianga el mio core cum Italia bella ; ma el cel ben rida d5 un sì bel zoello (2). XIII. Eiusdem. Fo visto mai in terra un sì bel sole o d’ un bel viso la più chiara lampa, là dove, sotto gli occhi, amor se acampa in megio, fra le neve e le viole ? Coragli et perle, ond’ escono parole, scolpirono in me 1’ amorosa stampa; ai colpi di belli occhi chi ne campa nel misero mondo bear non si vole. Amore, maraviglia et gratia inseme piovono in me da quelle luce sancte , donna, che sì da lungo el cor mi stempre. (1) Ricc. 1154, c. 82. (2) Ricc. 1154, c. 82. — 303 — O infinita belleça e poca spene, quando fiel mai eh’ io veda el bel sembiante, ov’ io lassai mi stesso et starò sempre? (i). XIV. Dite que cosa è che non possa Amore (2) cha el vincere in natura è proprio uso ? Que valse a Dido haver el pecto obtuso per amor di Sicheo e spinsel fore ? Que valse a Cato el suo desyo de honore, et Martia sua el senno pose giuso? Et Hercul non pigliò la rocca e ’l fuso, et fu de tutto ’l mondo domatore ? E se chi ’l dice in terra non agogna , non vinsel Giove et più de gli altri dei, che fuoron subgiugati del suo telo ? Costui è vincitor di buoni e rei : dunque s’ ha vinto ’l mondo et vinto ’l celo, a vincer poscia me non è vergogna (3). XV. Ad una bella giovene Sandra , mogie di Giovanni Canigiani. Facto fora di Firenze, ad un luogo chiamato el Gallo, in la festa di S. Matheo, nel 1428; e lei prima si levasse da tavola cominciò a can-tar così. Io vedea ben che lavorata treza et fronte resplendente in forma vera ; gli occhi lucenti a guisa de lumera e labra tinti in propria roseza. Io vedea ben, a 1’ honesta vagheza et pelegrin costumi et la manera, sì come ’l sole ogn’ altra luce impera , così avanzar de l’altre ogni belleza. Ma poi che a fin de sua gentil natura intesi l’armonia del dolce canto, che l’anima n’andò per mezo el core, (1) Ricc. 1154, c. 82v. (2) Ecco alcune notevoli varianti che ha questo son. nel cod. dell’ E-steri se U. 7. 24, c. 147 V. V. 4 de Γ amor ; 6 che per Marcia; 9 Dunque chi ’l dice credi che noi sogna; 10 e tutti gli altri dei; 14 che vincer possa me non gli è vergogna. (3) Vat.-Urb. 699, c. 10. — 304 — alhor diss’ io : quest’ alma creatura non è cosa terrena, e ben fia sancto se nel suo pecto alcun vi tene amore (i). XVI. Per la prefata Sandra, quale sta per stantia appresso uno monastero chiamalo sancta Felicita. Dinanzi a questa sua casa sta una gran colonna in Firenze. 1428. Quando vecim m’ hapresso a la colonna, dove nasce el mio sol, dinanzi a lei amor me sgombra pensier buoni et rei, e adestame, eh’ io son come huom eh asonna. Et dice : hor vederai la tua madonna pensosa più de tuoi che de suo homei ; et s’io la veggio, appare agli occhi mei luce del celo et non vista de donna. Ma questo è al gran desio poca sustanza, acqua di fabro in sul mio core ardente, chè, se amor cresce, mancha la speranza. Que degg’ io far? Amor, che mel consente , se hai discrezion, pietà o lianza, libero fammi, o mie voglie contente (2). XVII. In persona di Riesser Giusto, a ciò hai'es se materia de respondere. Que forza è questa di begli occhi, Amore , che son dove me sia, or quindi or quinci ? Non mirar mai tant’ oltra, occhi de linci, che me passano el pecto et vanno al core. Oue forza [è] questa de sto mio Signore ? Amor, che vinci te, che gli altri vinci, io benedico gli amorosi linci, che m’ han legato servo a tanto honore. Aia pur vorrebb’ io inanzi havermi sempre Medusa, che ’l mio cor fosse de petra, che non si strugga, come far si sole. Che raggi di bei lumi hanno tal tempre, che da lunge e da presso me penetra, e femme cera al fuoco et neve al sole (3)- (1) Vat.-Urb. 699, c. 11. (2) VaL-Urò. 699, c. n-nv. (3) Vat.-Crb. 699, cc. nv-12. — 305 — XVIII. A la Francesca bella. Del viso di costei ch’ ognor m’ adesca cum vaghi honesti e dolci occhi ridenti, s’ io mai potesse, stroncharia coi denti, fra tanti fiori, qualche rosa fresca. In Francia è una foggia gentilesca che huomini et donne, stati punto absenti, s’ acolgan poi cum basci mutuamenti ; hor fusse qui tal usanza francesca, eh’ ad omgni passo io gli sarebbe inanze, sempre fìngendo non esser colui che basciata V havesse poco inanze. Ah quanto spesso io me farebbi altrui, e per meglio celar le somiglianze, sempre la giongeria ne luochi bui (i . XIX. A la prefata Fra?icesca bella. Quante dolce dolceze asieme acolte furono mai, porge el dolce viso; et, quando dolcemente amira fiso, vanno presi e legati sa vii e stolti. Ma se el dolce suo parlar ascolti, vivo et coi panni entri in Paradiso ; quando te specchi poi nel suo bel viso, vedi del mondo lì tutti i bei volti. L’ altre non han da sè propria belleza ; hanno sol tanto, quanto lei ne presta , et a tal donna per sua gentilezza. Quando non va la bella ove s’ è festa, buio d’inferno ha in sè magiur chiareza. che non ha l’altre donne senza questa (2). (1) Vat.-Urb. 699, c. 80. (2) Vai.— Urb. 699, cc. 97-97Y. Giorn. Si. e L^tì. della Liguria. 21 — jo6 — XX. A Messer Stefano Por cari da Roma, capitano de Firenze nel 142S. 28 novembre. Mosso dal grido del tuo alto ingegno, chè Γanimo gentil tuo me ne ’nvita, ho desta questa penna mia sopita, come qui vedi, che si ardito vegno. Dimme se amore ha in sè freno o retegno per voglia a 1* honestade stabelita ; si libertà possédé nostra vita, tor si può dunque a li suo strali el segno. Dimel che ’l sai col stil polito e terso, ch’araor in cor gentil sta per usanza, nè ci vai contradir Γ animo forte. Et se vorai ch’adori omni tuo verso, aquetami quest’ altra disianza : se se po troppo amar la sua consorte (ij. XXI. Al dicto Messer Stefano. Per una diciria vulgare et bella , quale lui fece in latino, di genaro, de la intrata di noie priori in lo paiamo di Firenze. L’alta eloquenza tua piena d'amore , che '1 nome to già porta si lontano, in questo dì ogni intellecto sano impito ha de dolceza et de stupore. Si ni vaghi anni acquisti tanto honore per grada de tua lingua, buon romano, qual alto stile al tuo fia soprano, quando de fresca etade sarai fore ? Et se miei spirti pria stavano atenti veder a lor sonetto tua resposta, hora cum più disio son facti ardenti. Però ti prego che non dii più sosta a le splendide rime, ai dolci acenti, poiché Ί soave dir poco te costa (2). (1) Vat.-Urb. 699, c. 176. (2) l’aL- Urb. 699, cc. 176-176V : 307 — XXII. A Giusto de* Conti. Se mai ad vien che cum teco m* acozi, uoppo sera eh' io te baptizi adulto , che sei fuor de la fede, et mal consulto a voler con amor pur fare acozi. Vuol tu esser da men ch’ i bruti sozi, nati a sciguire P amoroso culto ? Pentiti tosto, chè, per lo tuo insulto, temo eh’ amor sdegnato non te strozi. Tu non vedesti mai un cor gentile, valoroso, magnanimo et ver largo, non pigli volentier Γ esca e Ί focile ; ma sai tu chi d’ amor paté letargo ? el timido, 1* avaro, el nato vile, nel tener cecho chi Γ ha gli occhi d’ argo (i). XIII. Al dicto inimico (Γ amore. Se renchiuso non sei in qualche cappa, religioso o nuovo predicante ; se non sei come quel ch’ a sancti et sancte con occhi, mano et bocca i piedi agrappa , perchè tua lingua d’ amor tanto frappa ? Che chi voi slare in questo mondo errante , et non s* ingentilisca esser amante, ben Γ ha facto natura un huom da sappa. Va su a la terza stella et vederai quel che ne dice el fiorentin poeta; e il fin del rozo Ameto forsa el sai. D’ amor felice qual cosa è più lieta pensa, se ’l ben d’ amore è ben (2) che i guai son dolci et sa far Γ hom savio et profeta (3). XXIV. Per lo mio Bolza Tracolo, che mori per soperchio affanno preso in far Γarchimia. Io tiro gli occhi mei sempre mai molli, el cor afflicto, in gran pensier la mente, et la mia lingua prompta, ne la mente volgendo in miglior uso el viver molle. (i> Vaf^rUrb. 699, c. 197Y. Vedi, pag. 286, n. 2. (2) Intendi: è tal. (3) Vat.-L'rb. 699, cc. r^v-199. r . — 3oS — Che ’l Bolza mio, oymè, qual sempre volle quel che vols’ io, è gito fra i contenti ; ma tu, morte, perchè non mi contenti, che lasci sempre i rei e i buon ti tolli ? L’ amor de 1’ excellenza e il cor suo grande, per lasciar dietro a sè gran fama poi, el fe cercar per via non vera l’oro. >^ Questi affanni sci rupper gli anni soi ; ma s’ egli è morto, e’ fia pur gran restoro che ’l nome vive et omgnhor più se spande (i). XXV. A Ia creatione del papa Pio, prima chiamato messer Enea. Vedendo el mondo facto tanto rio, quella infinita e somma Providenza tolse al conclave ogni sua differenza dando alle varie voglie un sol desio; et fette papa cum sua mano Idio , et adototte cum la sua clemenza ; et, per farne verace experienza , te diede el nome suo , che è da esser pio. E già Italia è prompta al tuo comando, eh’ ha scorto in te el senno e la bontade d'haver preso per figlio el re Forando a dar repulsa a le longinque· spade, che di po cena fan colpi dOrlando, sol per dar pace a sì belle contrade (2). XXVI. Al papa Pio, amicissimo de Γ imperatore. Tanta forza ebbe l’excessivo amore che tu portave al terzo Federico, che Dio, vedendo el tuo cor tanto amico, per te se mosse e fello imperatore. e Ma al Cesar tuo non se quetaria el core esser re, senza te, del mondo aprico ; onde, vedendol Dio sì vero amico, per lui, fece poi te sommo pastoie. E sol discordate, perchè 1’ un voria \[ esser minor de 1’ altro, e tal disio sancto è nimico de Γ invidia ria. (1) Vat.-Urb. 699, cc. iiov-m. V. pag. 277, 11. (2) Ï'al.-Urb. 699, c. 207. ί — 309 — O pio Enea, o savio papa Pio, che ’l re de Puglia hai anco in tua balia, per tua prudenza, e fettel fare Idio (i). XXVII. Ad un Lorenzo da Pero scia, diceva che lì era una più bella della Fr arie esca bella. Per exercitare el tuo gentil ingegno, et perchè chi po in me voi eh’ io te scriva , ho desta questa penna che dormiva, la qual te sia d’amor mio caro pegno. Et disse : là è chi passa el segno d’ ogni beltà, quanto donna che viva; però che qua ne è una sì excessiva, che tutto el mondo ne sarebbe indegno. Più belle credo sien queste due sole ; ma chi voi cum costei paregiar testa, amor P inganna, et dice frasche e fole. Di’ che non vegna mai dove sia questa, perchè veria la stella apresso el sole, et parteriase poi turbata e mesta (2). IV. INDICE ALFABETICO DELLE PERSONE RICORDATE NELLE RIME DI ANGELO (3). Alamanni Boccaccino 294. Antonio di Guido i-Rv 2-Rj, 315, 316. Antonio Maria 350-352. Atti, Francesca degli, 1S9, 210-212, 377. — Luigi degli, 295. 296. Bologna, Lena da, 79-82. Bardi, Sandra di Matteo de\ 4, 5. (1) Vat.-Urb. 699, cc. 207V-20S. (2) Vat.-Urbin. 699, c. 208. (3) I numeri rimandano all’ordine che hanno le rime dei codd esaminati; le lettere che accompagnano i numeri, indicano i codd., così: Canonici ano 50, L = Laùr.-Red 184, M = Magliabechiano II, II, 40, Ri Riccardi a?io 1114, R2 = Riccardìano 1134; i numeri non seguiti da veruna lettera rimandano senz’altro al Vat.-Urb/n. 699. — 3ΙΟ — Barzi, Benedetto di, 319, 320. Canigiani Govanni, 4. Cantiano, Baldasarre da, 303. Cassandra, 160 Colonna Caterina, 265. Conti, Giusto de’, 6-R2, 7-K2, 7, 287-291, 308-311, 353, 357· Davanzati Mariotto, i-L, 2-L, i-M, 2-M, 3-M, 4M, 321 j23· Draga, 166-16S, 171, 176,178, 186,217-220,224,226, 232-235, 23»· Eugenio IV, 103. Federico III d’Austria, 376. Ferdinando re di Napoli, 375* Ferrara, Bartolomeo da, 284· Francesco di Maestro Agnolo, 374· Malatesta di Pesaro, 79, 80, S2, 96-99, 102, 103, 107, 109-111, 277- 278, 2SI-2S3. * — Sigismondo, 26S, 272-275. Medici, Giovanni di Cosmo de , 3*3» 3r4> 3Γ7, 3Γ$· — Pier di Cosmo de’, 3°4'3°7ι 312· Milano, Benevera da, 10, n, 19· Ministro procuratore, 172, 174. Montalcino, Antonio da, 326. Montefeltro, Federico II da, 20-23 , 25-33 , 35 , 3^ , 39*4i , 45*47, 49-51, 53, 55, 57-68, 71-76, 78, 81, 84-88 92, 94 , 95 , 1^-123 , «5 , 12S-136, 142, 146, 148, 149. 159, 160 , i63 > i64 > 176, 178, 79, 2O9, 223, 23O, 237, 238, 28I-283, 295, 296, 325. Napoleone, 169. Onesta, 43, 44» 101 · Piero de Tiberto, 292, 293. Pio II, 375» 376. Pisanello, 297, 298. Porcari Stefano, 279, 280. Sforza Alessandro, 276, 299, 331, 332» 335-340» 343-345 » 347-349? 358-363, 365-369, 371, 372, 378. — Francesco, 300, 368. Scardo Giov. Francesco, 327-33θ· Spirito Lorenzo, 2-C, 377· Tracolo Bolza, 236. Ubaldini Bernardino, 10, 13-17, 19, 24o. — Ottaviano, 297, 298-300, 319, 32°· Varano Costanza, 276. — 311 — LA CACCIATA DEI TEDESCHI DA GENOVA NELLA POESIA CONTEMPORANEA Uno de’ più notevoli avvenimenti del secolo XVIII, fu senza meno quella sollevazione di popolo, eh’ ebbe virtù di liberare la Repubblica di Genova dall’ insopportabile giogo che le avea posto sul collo la Casa d’Austria, alleata col re Sardo, e sovvenuta dagli Inglesi. Era in voce di essere immensamente ricca, e gli eserciti della imperatrice-regina abbisognavano di danaro, di vettovaglie, di munizioni, d’artiglierie, d’ arnesi da guerra ; opportunità migliore non poteva presentarsi se non quella di sorprendere lo stato, con lo specioso pretesto de’ sussidi concessi ai gallispani, nelle condizioni difficili in cui si trovava, stremo di forze, impossente alla difesa, con la Corsica ribelle , roso nella compagine del governo , per sottoporlo alle più esorbitanti contribuzioni , estorte con prepotenti minacce (i). L’aneddoto del Gran Mogol gettato cinicamente in faccia ai deputati del Senato dal generale Botta (2), è l’indice più evidente e più sicuro delle costui cupidigie, ben rispondenti ai desideri ed alla volontà della corte viennese. Egli riusci, è vero, a smungere un’ ingente somma di danaro, a rapinare quanto più potè di viveri, di munizioni, d’ armi e simili, secondato alla spicciola nella triste opera da’ suoi ufficiali e dai soldati ; ma quando la misura fu colma, e giunta la pazienza all’estremo limite, dovette provare duramente (1) Riferisce il residente genovese a Londra, Gastaldi, in lettera r6-27 settembre 1746, che parlando con mylord Harrington Segretario di Stato della capitolazione, la deplorò vivamente; e a proposito delle contribuzioni « compianse la dura condizione » del governo, « non essendogli ignoto quanto gli austriaci sogliono essere inesorabili in questa materia, tanto più allorché credono trovare fonti inesauste, quali, secondo il parere universale, fondato su trascorsi tempi, e non ne’ presenti, si suppone scaturire in ogni vicolo di Genova ». (>) Storia di Genova dal Irattato di Worms fino alla pace di Aquis-g?-ana [di Gio: Francesco D’Oria]. Leida [Modena], MDCCL; pag. 156. - 312 — quanto possa 1’ esasperazione d’ un popolo deriso , conculcato ed oppresso. La poesia, che raccoglie l’immediata impressione dei fatti, e tramanda con la memoria di essi lo spirito dei tempi, non poteva nè doveva tacere dinanzi ai magnanimi ardimenti dei genovesi, e proruppe perciò con vari atteggiamenti a celebrarli così in forma letteraria , come in forma popolareggiante e popolare. Donde poemi e poemetti m volgare ed in latino sulla liberazione di Genova; e poi sonetti, canzonette , barzellette in lingua e in dialetto , componimenti questi dettati per lo più lì per lì da testimoni oculari, e quindi meglio atti a rappresentare le contingenze del momento , ed a cogliere e rispecchiare i sentimenti generali del popolo. È ben nota la Corona sacra de’ dieci sonetti in onore della Concezione , scritta da Stefano De Franchi « m rin-graçiamento dro seguio in Zena ro di io dexembre 1746, per occaxion dro Morta da bombe restao in Portoria » , sonetti che vennero a que’ giorni pubblicati anonimi m un opuscolo di sei carte senza indicazione di tipografia con in fronte l’immagine della Vergine (1), e più tardi riprodotti nelle poesie di quello scrittore dialettale. Ad essi ei fece seguire la « Lezendia dro retorno dro Morta da Portoria à ra batteria dra Cava in Carignan », e poi, oltre la canzonetta: « Ra libertae vendicà», i sei sonetti indirizzati a Gaetano Gallino « dilettante de poexia e de pittura, m-viao a fa quarcosa in lode dro Mortà », ne’ quali , proponendo il soggetto di cinque quadri, tocca de principali e più salienti episodi di que’ giorni memorandi (2\ Del pan conosciuti sono altri componimenti poetici usciti per le stampe , e prima d’ ora additati (3) ; ma serbansi tuttavia (1) Ne è una copia nella Bibl. Civica di Genova, nel MS. misceli. D.bis 8. 5. 30. (2) Cfr. De Franchi, Ro Chittarin, Zena., MDCCLXXII. Stamp. Ge- xiniana; pag. 3, 13, 19» 21 · (5) Cfr. Belgrano, La guer?-a del 1746 giusta le poesie del tempo, in Caffaro, Genova, 1881, n. 274. — Dona ver, Uomini e libri, Genova , Sordomuti, 188S; pag 41 e sgg. - Neri, Poesie storiche, in Alti della Soc. Lig. di Stor. Pat, vol. XIII, pag. 1061 e sgg. — 313 — manoscritte parecchie di sì fatte poesie degne di nota, fra le quali ci proponiamo di andar spigolando quel che ci sembra più rilevante e curioso. * * * Allorquando il 6 di settembre venne firmata quella convenzione , che Girolamo Grimaldi pieno d’ira e di dolore qualificava « empia capitolazione » , e furono occupate le porte della città, e il Chotek impose poi le enormi contribuzioni, uscì fuori, col titolo: Genova spirante il seguente sonetto satirico (i): Già trema per la febbre il Genovese Il medico Fiorenza osserva il male, Il Lucchese gli mette un serviziale Gli commuove la bile il Piemontese. Or lo vede spedito il Milanese, Pietro gli dà Γ assoluzion Papale, Il Venezian lo piange per mortale Chè la china Spagnuola invano prese. Già fece testamento i giorni andati, Parma e Piacenza fur, come si vede, I testimoni in quello nominati : Di Modena il notaro ne fa fede, Chè, fatti al Sardo Re certi legati, Lascia P Imperator del resto erede. Le allusioni storiche sono abbastanza chiare e assai facili ad iniendersi per chi si rifaccia agli avvenimenti di que’ giorni tristissimi, in cui Genova, dopo le sconfitte de’ gal-lispani nel piacentino e la precipitosa ritirata in Provenza, era rimasta sola ed isolata alla mercè degli austriaci, ed esposta alle bramose voglie di Carlo Emanuele, sebbene non interamente appagate. Ma per buona ventura il testamento venne infirmato da un solenne codicillo, che revocò le disposizioni del febbricitante, il quale abbandonato improvvisamente il letto di dolore ebbe a manifestare coi fatti come fosse divenuto in un subito sano e vigoroso. Lo seppe il generale Botta, a cui in una lunga barzel- (i) Arch. di Stato, Torino — Imprese militari, m. 21 — 314 — letta, o, per dirla all’antica, specie di serventese duato, si volge il rapsoda popolare apostrofando così (i): Scio Botta me Patron sei steto un gran mincion a no vei che desbaratti, de pensà con quattro gatti tutta Zena sacchezà, quando sola unna saxià v’à misso ro spavento d* andà come ro scento. Tocca quindi dell' occupazione da parte de tedeschi della porta di S. Tommaso, degli apprestamenti fatti dal popolo per oppugnarla, delle ultime pratiche del p. Λ isetti per indurre il Botta a consentire alle richieste de’ genovesi nel termine fissato dalla breve tregua : il gesuita ghe fè vegni un gran de vitto con dighe che i sollevò eran trenta miria inìuriè; Che se tardi o respondeiva zà feniva ra candeira : ma meschin ro Genera o stentava ad accorda condition si rigorose e a so onò tanto gravose. Alla fine, vedendo che le cose si mettevano male, si mostrò propenso ad accondiscendere alle domande dei popolari; ma essendo za spirao ro tempo domandao de mezz* ora o poco cìù, Visetti disse : o sdu, o zù. sdo Botta me protesto che voi sdughè ro resto; è stèlo troppo ro ninà eh’ei feto in accorda re domande pe re què ri Zeneiid inlervuorè re voreivan a pontin (i) Questa e le poesàe inedite che si riferiscono in appresso son tratte dai ^e^uenii rass. — Bibl Cìvica di Genova, D.bìs 5. 5. - — Bibl. I ni-versitaria, C I. 10 — Misceli dì mìa proprietà. — 315 — senza molarvene un quatrin; e non za senza gronde re doe ore de responde v’an deto in grazia mè, ma re doe ore son passé; virò però se me riesce de fa ro tempo cresce; ma se ra cosa me va mà mi non so cosa ghe fa, e cosi sarè fornio de parla ciù de partio. In tal caso se viemmo de de là se s’ incontremmo. Ro bon Visetti mescbin ο Γ andò, ma o fu indovin, perchè ma sodisfeto dro tempo ch’o gh’aveva deto, ro popolo con fracasso ο Γ investi de dato e da basso. I tedeschi sono cacciati dalle porte ; il Botta fugge a Sampierdarena, e di là co’ suoi in Polcevera, valica la Bocchetta : E con dui o trei Rettoi dra patria traditoi e Y amigo Bachelippa (i), che o fumava con ra pippa, piggìon re strade dra Bocchetta caminando ben in fretta; tutti quanti mascherò tiron su per i rivè, e nisaun ghe dè fastidio, perchè Virgilio, o se Ovidio disse : auri sacra famme a ia cazze sin re damme ; e re campane pan lighè da i seni spanteghè, e con questa Croie ri Cur2ìti se ne stetton tutti quatti. II poeta accompagna il Botta a Oravi, dove si ferma; ma lassemolo un pò sta che ο Γ è in letto a reposa (3 Casio Casale sa! quale ci. Accinelli, Compendio ài IL· Siori& di Gt'nam, Genova, 1^52: pag- 95 e :;9. — 316 — ei soggiunge , e tornando alquanto indietro nel racconto de’ fatti, accenna alle truppe austriache stanziate nelle riviere chiamate dal generale « per sacchezzà ra povera Zena abandonà » ; le quali ne’ luoghi del loro passaggio avevano commesso ogni maniera di prepotenza e di sopruso. Esse se missan tutti in camin con ra goa dro bottin ; ma un bello caxo in Zena o fè cangià tutta ra scena , e a pensao ciù a bell’axo fu un miracoro, e non un caxo, perchè da questo è derivà ra liberté riacquistà. Doppo avuo ì dui mirioin ro scio Botta, e ri canoin, o vosse ancon un morta, e le ro fava strascina ; da ro peiso fu sfondao ro terren ond’o 1’ea strascinao, e ro tedesco impertinente voeiva che ro popolo presente , con darghe quarche bastonà, tirasse sciu quello mortà : allora ri Portorien, de San Steva con ri poen (i), con de sciable, e con di stocchi den adosso a ri Forlocchi che con ra testa rotta porton ra noeva a ro Botta. Di qui il sollevamento del popolo, e quindi gli avvenimenti successivi che liberarono la città. Tutto questo, osserva il rapsoda, è dipeso dal malanimo del Botta, che s’era proposto di ridurre Genova alla miseria ed all ultima disperazione, sebbene tale non fosse il desiderio della Regina, la quale> di cuor pio, non à mai acconsentio a re barbarie, e a re iniquité da o Botta adoverè e Codek so caro sotio e compagno in tro nègotio. (i) Pani di S. Stefano ossia le pietre. — 31 7 — Costoro la ingannarono ; scrissan tutti a ra Reginna che Γ esersito è in rovinna, se a no piggia a ri Zeneisi ciù dinè di quelli speisi : imposero perciò esorbitanti contribuzioni , e stavano per occupare con le soldatesche la città; ma ro mà dro mortà gh’ à feto vei in fin dra festa, eh’ eran tutte foe dra so testa. Volgendosi poi agli ascoltanti prosegue : Ro fèto de Portoria za ei sentio com’o l’è comenzao e da tutti proseguio, e perchè a ri nevi non rest’ ascosa cosa tanto bella e gratiosa, ma che eterna ne dure ra memoria , 1’ è scrito in lengua a frase de Portoria. Da atra penna megio temperà sentirei ro trionfo do Mortà portao da tutti i zittadin dro quartè, tanto grendi che piccin, con ricca pompa e vaga scena segno dra liberté de tutta Zena ; lì deserito virei a o naturà capo di quelli eroi ro sciò Bregà (i), che unia ra prudenza a ro vaiò ο Γ à fèto a lè e a ra patria tanto onò; lì virei dri battagioin de cavalli ri squadroin, lanze , picche, sciable e stocchi e mostassi de Forlocchi, trombe , piffari, e tamburi Croassi, Uzzari, e Pandurì ; arme due, péti, e schenne mascharè in varie menne, per e nobili contrè de tutta quanta a gran Zittè; (i) Girolamo Bregaro tintore in Portoria costituì una compagnia di granatieri fra gli abitanti di quel quartiere, che servì gratuitamente, e della quale fu poi nominato maggiore ad honorem. Alle spese aveva sempre sopperito Nicolò Perelli agiato mercante (cfr. Arch. di Stato, Collegi, fil. 254, 4 aprile 1747, e fil. 259, 20 dicembre 1748). - 318 -virei sto esersito marcià in ordenanza mesurà, e ro morta mette a ro so luego, e lì a ro canon s’è déto fuego, con darghe ro ben vegnuo da tanti giorni de stramuo; ma prima là in Portoria ghe fu una gran bardoria, perchè se dise, che o Grighoè despensava dri ravioè, e che fin ri meggio zittadin pastezen da ro Franzezin. Ma in questa relazion , dito se’ con ro perdon, mancava a circostanza che a pareiva de sostanza, perchè in tutto sto borboggio non gh’ è nè gotto nè doggio, e pareiva stravagante , che dopo aveine dite tante, a o poeta diligente ghe fuisse uscio de mente , all’ usanza dro paeise ro Canarie e ro Rozeise, ro Brusco e ro Sciampagna requisiti dra coccagna (i). A questo punto crede utile il poeta rimontare alle cause che determinarono l’invasione austrosarda nel genovesato, il cui primo principio fu la cessione del Pinale al re di Sardegna, e il modo onde venne trattata la repubblica ne’ patti stabiliti a "Wofms ; donde 1 alleanza di Genova con Francia, Spagna e Napoli, le successive guerre di Lombardia , e la disdetta dei gallispani obbligati a ritirarsi lasciando Zena in abandon e ro stato a discrétion do tedesco e piemonteise, (i) Nè il De Franchi, nè questo anonimo accennano ad un grave incidente che funestò quel trasporto; e cioè che Domenico Doggio, il quale a-veva già servito negli anni antecedenti nella compagnia dei bombardieri, e dei bombisti, come pratico nel maneggio dei mortai, e « uno de* zelanti di Portoria », s’era posto « alla direzione del trasporto », ma dopo la chiesa della Madre di Dio dove si saliva alle mura della marina, disgraziatamente — 319 — i quali « desolon borze e terren », e fecero « d’ogn’erba un fascio », commettendo quelle iniquità innanzi discorse; ma contuttociò a nostra Zena resta in pè pe ro fèto dro mortà benché ranga e stropià. Ora poiché Spagna e Pranza in sto ballo ne han misso, senza fallo abbatendo Γ inimigo ne leveran da questo intrigo, € da Re sincei e senza inganni ne faran refà ri danni da ra vorpe piemonteise con ro pei dro so paeise. Com’ è agevole intendere , il componimento , cantato probabilmente dall’autore stesso nelle vie e nelle piazze popolose della città, deve essere stato scritto nei primi del 1747 , si direbbe anzi nel gennaio stesso, poiché l’ultimo accenno al dovere della Francia e della Spagna di venire in aiuto dei genovesi , si riferisce alle pratiche fatte dal governo in questo tempo presso quelle corti; pratiche che ebbero un principio d’effetto, dopo quasi due mesi di sospensione e di dubbi, quando il 2 febbraio giunsero gli ufficiali e gli ingegneri mandati dal maresciallo di Belleisle con una buona somma di danaro, per mettersi a disposizione della repubblica, ed avvisare, coi mezzi più convenienti, a difenderla dalle vendette austriache (1). Ed è no tevole a sì fatto proposito il rilievo, che certo rispecchiava il pensiero e l’opinione comune, essere doveroso per quelle due potenze l’aiutare validamente Genova, essendo caduta per loro colpa in tanta e così grave jattura. Del resto il rapsoda si palesa assai bene informato, sì come è dato conoscere, per via d’esempio, dalle parole ch’ei mette in cadde nello svolto della strada ed ebbe le gambe rotte dalle ruote del carro. Rimase molti mesi all’ospedale; ne usci guarito, ma inabile al lavoro. Il governo lo gratificò di « una paghetta da bombista » (Arch. cit. Collegi, fil. n. 256, 31 ottobre 1747). (1) Storia cit., pag. 244. — 320 — bocca al p. Visetti, le quali, meg'lio che dalla storia , son chiarite da una sua relazione sui colloqui avuti col Botta, che si conserva fra le carte di stato, insieme ad una breve ma significantissima lettera privata scritta in que terribili frangenti al doge (i). Così là dove vuol separare la responsabilità della imperatrice-regina da quella de suoi generali, indulge al sentimento di molti, e dello stesso Senato , il quale s’argomentò appunto, con sì fatta illusione, di affidarsi in tutto alla clemenza di lei per essere alleggerito dalle incomportabili imposizioni. Nè in fine si chiarisce men vero quanto egli tocca a proposito dei polceveraschi, che lasciarono passare indisturbati gli austriaci ; poiché proprio in quel fatale dicembre venne mandato Carlo de Fornari a indagare per quali ragioni gli uomini di quella valle s e-rano mostrati e continuavano a mostrarsi così indifferenti e poco curanti della comune difesa. Non va poi trascurato il riferimento al ritorno del mortaio famoso , in mezzo al popolo festante , là donde era stato tolto dai tedeschi, e perchè ci indica il termine a quo riguardo alla composizione della barzelletta (8 gennaio 1747), e perchè richiama la leggenda di « atra penna megio temperà » , ossia del de Franchi, che deve essere uscita in pubblico allora allora; alla quale riesce notevole, come vivace tocco di costume e colore locale, la censura del nostro rapsoda, che quel poeta nell’ accennare alla baldoria fatta in quella festa popolare, abbia dimenticato di ricordare «il gotto», e cioè il vino bevuto, le abbondanti libazioni, requisito necessario « da cuccagna ». Sul proposito di codesta leggenda, che ebbe certo grande e meritata diffusione, non è fuor di luogo riferire il seguente sonetto di Gaetano Gallino, che fa parte della sua Cadetta Zeneize ancora inedita, sebbene già qualche saggio se ne sia veduto per le stampe (2): Mortà, famoso quanto ro Catin Te voeuggio rende a ra futura etae. (1) Questi documenti con altri parecchi raccolti nelle diverse sezioni delle carte d’archivio, formeranno forse argomento di altra pubblicazione. (2) Cfr. le pubblicazioni cit. nella nota 4. Che per ti Zena torna in Libertae A despeto de Botta e dro destin. D’aora in avanti a ri figgioeu piccin Se conterà l’istoria dre sascae, Non ciù ra fora de quattorze frae , O re moche de Diego, e de Ballin : E re moere, per fari adormentà Quarche bella lezendia canteran, Intitolà: Retorno dro Mortà. Ra primma strada che ghe mostreran, Sarà quella che fe ro scio Bregà Da Portoria a ra Cava in Carignan. Giustamente il poeta rileva che fra il popolo sarebbe rimasto perenne e continuo, anche nei tempi venturi, il ricordo d’un fatto cosi glorioso, trapassando ai posteri nella tradizione sulla bocca dei volghi, meglio forse che nelle narrazioni storiche; felice concetto, svolto con genialità non comune, dove ti par di sentire una ben nota reminiscenza dantesca. A codesta memoria imperitura di giorni, di luoghi, di fatti indimenticabili s’informa quest’altro sonetto anonimo: Mortà, Bacchae, Sascae, Gnaere, Portoria Groriosa caxion dro nostro ben, Per voi ra Libertae Zena manten Con avei daeto a Botta in sciu ra groria. Beneita e bennexia quella vittoria Che ha riportou sto popolo da ben; Maledetti sen sempre quelli chen, Di quae ne farà sprexio un dì l’istoria. O quanto è giusto che ro dexe sèe De dexembre a gran lettere stampou Sciù tutti ri cantoin de sta Zittae! E in sciù ra Porta là de San Tommaou Per ri tempi a vegnì ghe scriverò: L’Aquila ri Griffoin han spenagiaou. Notevole la chiusa come quella che richiama alla mente 1’ antico stemma di Genova (il Grifo che opprime l’Aquila), e sembra ispirata alla famosa leggenda: Griphus ut has angit sic Iiostes Janua frangit (i). (i) Cfr. Boscassi, Illustrazione storica delto stemma di Genova. Genova, Pagano, 1905 ; pag. 10 e sgg. Giorn. Si. e Leti, della Liguria. 22 - 322 — Ma quando, dopo il io dicembre, il Botta, secondo abbiamo visto ricordato dal rapsoda di piazza, prese la via della Bocchetta, un coro di maledizioni feroci lo accompagnò s! come a traditore della patria; sentiamole assommate in questi quattordici versi buttati giù alla brava : Infame, indegno, empio, spion, rubelle, senza fè, senza legge e senza Nume , scellerato, perverso, iniquo, imbelle per natura, per arte e per costume. Slargasti è ver le mal cresciute piume qual’ or le valli occidentali e belle della figlia di Giano, e l’arso fiume valicasti , protervo, ebbro di felle. Tarda però non fu del Ciel 1’ aita a porger scampo , ed a levar di noia la patria Libertà da te tradita : E fe’ di più , che a noi tornò la gloria , a te , benché fellon , salvò la vita sol perchè al par de’ tuoi la dessi al boia. * * * La zuffa fra i genovesi e gli austriaci venne rappresentata da un lepido verseggiatore in questa forma satiricogiocosa: Con la sposa di Giano s’ adirò la Regina dell’Austria un certo dì, e dopo longo minacciare uscì armata in campo, e contro lei marciò. Che più ? 1’ una coll’ altra s’ azzuffò , e per le treccie s'afferraron sì che pugna più vaga mai più s’ udì , e scompigliata ogn’ una al fin restò. Ma la Ligure donna in su due piè pur ferma si rimase e disse: or va, Signora, e vedi quanto puoi con me: quella cheta si parte, e perchè sa che contro lei ogni suo sforzo fè , non sa dir altro, che ritornerà. — 323 — E gli austriaci invero rinfrancati ritornarono, e si fecero vedere sui monti circostanti ; onde subito la musa dialettale uscì a dir loro : Possibile che sei si inteessae, canaggia berettina, de torna donde v’ àn faeto a gambe cammina co unna coeuta de gnaere e rissoae ? andèe un po sciù re forche, e non ne stae, ve ro digo da amigo , ciù a froscià, che dri mirioin zeneixi da cangia non n’èmmo ciù, ve n’emmo daeto assae : ve n’ei faeto eoe moen unna goscià; basta così ; re traéte son serrae ; per voi non gh’ è ciù ninte da raspa. Emmo spartio ra groria per meitae ; se in Zena voi sei steti a sovercià, Zena v’ha mandou via con re sasciae. Più tardi, quando i gallispani passato il Varo, con fortuna ripresa la guerra in riviera di ponente, si avvicinavano, mentre gli austriaci a lor volta ognor più stringevano la capitale, un altro poeta dettava questi versi: Or che riedi, che vuoi Germano ardito, un dì da noi con gran rossor scacciato? Or che torni col corpo fracassato da Gallispani al Varo, e qua fuggito? Sol prender Γ eminenza ti è riuscito con avanzare i tuoi picchetti a lato, ed ivi da trincee fortificato ti lusinghi ridurci a mal partito ! Forse i fiorin non furono abbastanza? Pretendi ancor soddisfazion d’affronti? Vieni, che è ben ragion pagar chi avanza. Or dunque il resto tei darem sui monti, così con farci generai quitanza teco una volta salderemo i conti. Nè furono vane parole , chè davvero i tedeschi ebbero a fare i conti con il coraggio ed il valore dei genovesi al-Γ Incoronata, a S. Gottardo, sul monte Fasce e altrove, fino a che indi a poco al sopraggiungere delle truppe a-vanzatesi da ponente , Γ assedio si sciolse e sparve la minaccia. — 324 — * * * Il popolo genovese si levò in armi al grido di Viva Maria, ed ascrisse al volere ed all* ausilio della Vergine così il fatto del mortaio, come le successive fortunate imprese che in quei cinque giorni gli concessero di rintuzzare la baldanza straniera ; di qui le laudi, le processioni, le preghiere, gli inni, le ricorrenze votive. Codesto sentimento di riconoscente gratitudine si riscontra in tutte le scritture sincrone così in prosa come in verso, e per aggiungerne alcun esempio non ancora conosciuto, ci sembra utile riferir qui una maniera di parafrasi della Salve Regina, adattata dal pio ed ingenuo poeta alla circostanza: Salve Regina — Del Ciel Regina Vergine bella siete la Stella del nostro Mar ; or vi saluto in mezzo all’ onde in su le sponde vi prego a star. Mater Misericordiae — Misericordia fra tanti guai degnate ormai con noi usar ; da’ nostri lidi 1’ ostili squadre a voi qual Madre spetta scacciar. Vita dulcedo — Limpido fonte d’ ogni dolcezza ogni amarezza fate cessar; la nostra vita qua giù voi siete, lena porgete da respirar. Et spes nostra salve — A voi di nuovo la fronte abbasso, un cuor di sasso può in voi sperar ; Ad le clamamus E seules filii Evae Ad te suspiramus Gementes et flentes In hac lacrimarum valle Eia ergo Advocata nostra — 325 — di tutti lieta Γ unica speme, e molto preme non disperar. — Col vostro nome in vita e in morte la nostra sorte ha da regnar; la voce adunque a voi Maria per ogni via vogliamo alzar. — D’Èva siam figli, e in quest’ esigilo paghiamo il fio del primo error ; la colpa d’ Èva quanto dispiace tanto ci piace il vostro amor. — Siamo costretti dalli nemici troppo infelici a sospirar ; ma li sospiri che a voi mandiamo sempre preghiamo ad accettar. — Uscì la voce nel loro campo non esser scampo al nostro duol ; per pianger sempre avrian lasciati a noi sgratiati li occhi sol. — In questa valle d’ amaro pianto provato han tanto che può bastar; e di Polcevera V acqua , i cavalli e i lor bagagli fe’ naufragar. — Su dunque aiuto nostra Avvocata Illos tuos misericordes -oculos ad nos converte Et Jesum benedictum fructum ventris tui nobis post hoc exilium ostende O Clemens 0 Pia 0 dulcis Virgo Maria — 326 — fiamma beata dei nostro cuor; su grave^bronzo la vostra^Gloria v’alzi Portoria con vivo ardor. - Noi rimirate con miglior sorte e le due Porte rubate a voi, e queste e quelle di S. Tomaso non forse a caso riapriste a noi. - A noi mostrate dopo l’exilio il vostro figlio caro là sù; del vostro ventre chi gode il frutto avendo il tutto non cerchi più. - O quanto siete con noi clemente lo sà la gente che vi provò ; col vostro braccio vidde atterrata d’ Austria 1’ armata, e trionfo. O Bella Madre per noi sì Pia ognun vi dia lode ed onor; sin le galline dal Ciel bagnate (1) ànno domate l’Aquile ancor. O grande Vergine dolce adorata da voi salvata è la Città, (1) Una nota del ms. avverte < che il termine galline bagnate fu dato ai genovesi da un generale austriaco ». — 32? — a voi si canti con allegria vivaJMaria e Libertà. Al concetto onde s* informa questa canzonetta può far tenore il seguente componimento : Rimproveri et amonitioni di Maria Vergine Sant.ma sopra Γ Inscrit-tione : Posuerunt me Custodem. Di Genova per la sua libertà le chiavi della Città, che già da tempo antico furon a me dedicate, per darle al tuo nemico iniquamente me 1’ hai levate, e perciò se sei stata castigata o Nobiltà Genovese giustamente Γ ài meritata. Impara dunque a tue spese a ben reggere e governare e della custodia mia averti a non più diffidare. Considera poi ben bene se un Popolo così fedele, che col sangue delle sue vene sciolte ti ha le catene, con la tua superbia ria, con oppressioni e tirannia, ingiustitie e superchiaria merita esser trattato, e cosi malamente governato. O Nazion Genovese di qual stato o condizion tu sia, sotto la protezion mia impara a viver bene, e non più peccare : e se non quanto devi almeno quanto puoi della gratia ottenuta mi devi ringraziare. Lascia la disonestà, bandisci la superbia e vanità, le usure e le rapine, tutte le altre iniquità; — 328 — abbraccia 1’ umiltà , usa la carità; perchè alla fine l’ira e giustizia di Dio per tutti viene , e ricordati bene che se del 1684 vi fu La Motta del 1746 vi è stato il Botta. Quale e quanta importanza assumano i versi riferiti non è chi non vegga, sol che ricordi l’episodio della consegna delle chiavi fatta da Giovanni Carbone al doge, e le relative parole da lui pronunziate , sebbene in forma men a-cerba da quella riferita dall’Accinèlli ; ma questo solenne ammonimento, in nome della Vergine alla nobiltà, è notevolissimo, in quanto che rappresenta la voce del popolo stanco di vedersi disprezzato e tenuto in cosi poco conto, mentre nelle attuali contingenze aveva pur dimostrato, insieme alla sua proverbiale fedeltà, la forza singolare de’ propositi e la generosa virtù del sacrifizio (1). (1) Il dissidio latente fra la nobiltà e il popolo ebbe una manifestazione assai significante nel 1746, poiché per alcun tempo due autorità (e venne osservato anche allora) presiedevano senza contrasto alla cosa pubblica, quella dell’aristocrazia e quella popolare; che se quest’ ultima, la quale aveva dimostrato la sua potenza e la sua forza, non prevalse in quel momento, si deve ascrivere a cause molteplici che non è qui il luogo di e-sporre, e principalmente al fatto che il sollevamento secondo ci sembra risultare dalle carte, non avvenne senza preparazione e fu opera della borghesia : degli ascritti cioè inchinevoli a riforme e malcontenti dei vecchi oligarchi, e dei professionisti, medici, avvocati, notari, mercanti, mediatori, militari, capi d’arte. Questo ceto intermedio, per la sua partecipazione al governo, mediante gli ascritti, accreditò la voce, non infondata, che i governanti fossero sottomano conniventi al moto popolare; donde nessuno arresto o discontinuità nel funzionamento de’ pubblici poteri, e il non mai mancato riconoscimento da parte del popolo della loro autorità. Vero è che la superbia e l’altezzosa maniera de’ nobili, diciam così intransigenti , turbava le relazioni fra governo e popolo e anche dopo il 1746, se ne trova aperto documento nella copiosa corrispondenza del commissario generale Agostino Gavotti, e del fatto ebbe ad occuparsi altresì il duca di Richelieu in un colloquio singolarissimo avuto con lui. Intorno al quale dissidio, causa non ultima della rivoluzione del '97, si leggono acute osservazioni retrospettive nel Discorso d'introduziotie a un tiuovo progetto di cosliluzio?ie pc?- la repubblica ligure (Genova, 1801) uscito anonimo, ma dovuto alla penna di Gottardo Solari. — 329 — * * * Ma a questa forza, a questa virtù dei genovesi non dava credito quel poeta di spiriti austro-sardi , che, poco prima della sollevazione , in un noto sonetto affermava « troppo deboli » i « ripari » della citta all’ impeto del-1’ aquila, che sopra di lei « già distende il giusto artiglio », onde dovrà « perdere alfin la libertà col regno » (i). Al-Γ infausto profeta rispose il popolo con le armi nel glorioso io dicembre, e non mancò neppure chi implicitamente rispose in versi con 1’ altro sonetto, pur conosciuto (2), ma che debbo a mio uopo riferire : Al soglio resa e a Γ onor tuo primiero ti veggio pur bella città di Giano ch’entro le mura, ove esultava altero ora geme cattivo il fier Germano. Poiché al nemico turbine guerrierro il Franco cesse, e il collegato Ispano, di riacquistare il mal difeso impero tentasti sola e non tentasti invano. Dunque del tuo valor 1’ alta memoria in bronzi e in marmi eternamente impressa chiara sarà nella futura istoria. E si dirà che il ciel ti volle oppressa ad altri unita, perchè sol la gloria della tua libertà debba a te stessa. Al che però non si tenne pago quel primo ed uscì in questa replica: Oh ! quanto lungi dal valor primiero è il tuo furor folle città di Giano ! (1) Questo sonetto, che comincia: «Genova mia se a te rivolgo il ciglio » e fu pubblicato prima dal De Castro (Rassegna settimanale, a. V, pag. 32) poi dal Belgrano {Caffaro cit.), costò cinque mesi di carcere segreto al farmacista Agostino Firpo settantenne. Denunziato come austriacante per certi discorsi imprudenti da lui tenuti, gli perquisirono la casa, e trovarono fra altre carte il sonetto; arrestato disse di aver avuto quegli scritti dai dottori Ottonelli e Garibaldi, i quali vennero pure messi in carcere ma poco dopo prosciolti; se ne ricercò l’autore ma inutilmente ; soltanto si potè rilevare che era stato scritto da un ecclesiastico; alla fine, vedendo che 11011 c’era ragione di processare il Firpo come reo, lo rimandarono a casa (Arch cit., Collegi, fil. 258, 18 luglio e*20 settembre 1748). (2) Cfr. De Castro 1. c. e Belgrano 1. c. — 330 — •Vedrai senz’altro scampo in breve altiero andar delle tue spoglie il fier Germano. Se a l’inimico turbine guerriero te il Franco infido, e il collegato Ispano sottrar non puote, il vacillante impero sola di sostentar tu speri invano. Dunque fia del tuo ardir 1’ aspra memoria sovra le tombe eternamente impressa , funesto avviso a la futura istoria. E si dirà, che se cadesti oppressa, questa ti resterà misera gloria, che la rovina tua fosti tu stessa. Vane parole! La repubblica non cadde oppressa , e potè invece rivolgersi baldanzosa a’ suoi strenui difensori con le parole che le son poste in bocca ne’ versi seguenti : Genova quando all’imbrunir dell’ora vide fugato, prigioniero, estinto l’oste tremendo, ebra di gioia, ho vinto, figli, vi disse. e son Regina ancora. Alle catene che mostrommi allora ora temendo di restare avvinto fugge il feroce, e d’atro pallor tinto ei fugge sino a’ regni dell’ aurora. Ed io di gloria e di trionfi onusta mercè del vostro marzial valore respiro ornai la libertà vetusta. Ma il vostro nome de’ nemici a scorno, su 1’ ali della fama e dell’ onore, n’ andrà sin dove il sole porta il giorno. Così con senso di ben giusto orgoglio potevano leggere i cittadini genovesi, stampato in foglio volante un sonetto, che, prendendo le mosse da un nobile concetto petrarchesco, diceva così: Liguria, che al Tedesco, ed al Britanno Mostri con saldo, e nobile ardimento, Che 1’ Italo valor non anco è spento, Nè può sempre soffrir vergogna, e danno. Fede, e Ragion, che al tuo Governo stanno, Ben di tua securtà sono argomento ; Quante minaccie ornai sen porta il vento, Quanti pensier di servitù, d’ affanno. — 331 — Il mondo or vede come in te si accende Virtute all* uopo, e che portar non sai Catena, ah ! troppo a Regai Donna acerba. E a gran ragion tra le gemmate bende U augusto crine ricomponi, e vai Della difesa Libertà superba. Questo grande avvenimento, la cui fama non poteva o-scurarsi per trascorso di tempo, si prestava a confronti ed a ricordi classici, ed essi non mancarono. Infatti si affermava in un sonetto: Questa non è queir aquila latina che volava or innanzi, or dietro al sole di gloria empiendo la terrestre mole, ma un uccellacelo che crudel rapina delle sostanze altrui solo far suole, sì come sà del prisco Giano la città regina. In un altro , volgendo il guardo a Roma, il poeta· è preso da pietà nello scorgere quanto sia diversa dall’antica e caduta in basso; pure in mezzo a tanta rovina, ei si compiace di ravvisare nel ligure valor P antico core che della prisca età rinnova il pregio ; onde il ricordo della distrutta Cartagine lo ispira a cantare così: Tu che col fianco ancor premi P arena alza, o mesta Cartago, il guardo, e ’l gira, é sull’ opposta a te spiaggia rimira come si scampi da servii catena. Mira la Donna che Liguria affrena , oh qual onor di libertade spira ! anzi mercè 1’ altrui dispetto e 1’ ira sua gloria crebbe, en’è più adorna e piena. Esemplo in cui valor vero s’ affina, se tal eri qual dianzi a mirar s’ ebbe questa invitta e regai prole di Giano, Tu di Libia saresti ancor reina, nè, per tuo scorno eterno, or Scipio andrebbe orgoglioso del gran nome aflfricano. Con più alto e fatidico pensiero s’innalza finalmente lo scrittore di quest’ ultimo sonetto a richiamare 1’ attenzione dell’ Italia sull’oppressioni straniere: Gran parte ancor di quel valore, ond’ ebbe tal gloria un tempo la superba Roma, che regina del mondo ancor si noma, in voi liguri eroi rinacque e crebbe. Xè altrui la patria, ma a se sola debbe se vinse chi la volle oppressa e doma ; tanto di servitù l’indegna soma del dio bifronte alla gran figlia increbbe. Forse dal cielo in lei tal forza venne , Italia, acciò tu vegga ormai qual dura gente ti strazia, e il tuo terreno ingombra. Cosi da F alte e ben difese mura, ove ebbe culla e libertà mantenne , grida del Doria la magnani m’ ombra. L’Italia invero se ne accorse molti anni più tardi, ed allora si rammentò di Genova e degli impeti generosi del suo popolo, attingendo da essi le mosse a procacciarsi 1 indipendenza: di guisa che questo sonetto, scritto sulla metà del settecento, poteva serbare tutta la sua freschezza e la sua attualità anche un secolo dopo. * * * Chiuderemo la nostra rassegna col rammentare una rappresentazione data al teatro da S. Agostino ora Nazionale), dai dilettanti francesi nel settembre del 174-» e cioè il melodramma o balletto eroico intitolato Zima, al quale fecero precedere un prologo musica e ballo . che è insieme testimonianza d’allegrezza per ia pace, attestato di riconoscenza ai sfallispani che aiutarono Genova a combattere gli austrosardi, e gflorificazione della magnanima impresa compiuta dal popolo 1 . « L'evénnement intéressant, qui a (1) Zsms*. j b&llri kêrvipu rrpreseniè | ρσχτ As premiere fais I par ì'eucmdemù frjw;oise ds $wmsiçur J ir spazio] dm m^is de Sr-psem.bre de tAmurr r-jf. Sema aldina noia tipografica: in x. pkc di pp. 52 Lo spazio in bianco in lasciata per .^giungere a mano !a dasa de! ^ mo_ — 333 — remis les Génois en possession de leur liberté et de leurs droits usurpés, aussi glorieux pour cette nation, que fait pour fixer l’attention de l’univers, a fourni l’idée du prologue. Le moment ou la paix assure à ce peuple le prix de sa fermeté et de sa constance, a parû le plus favorable a saisir: le génie de la Republique ouvre la scène au milieu des peuples, qui font éclater leur reconnaissance pour les Augustes Alliés, dont les armes triomphantes leur ont rendû la tranquillité. Venus, Divinité tutelaire de la Ligurie, descend du ciel pqur présider aux jeux qui lui sont consacrés: elle conduit avec elle le Génie de la France, qui rappelle l’Epoque brillante de la Révolution, et les exploits héroïques qui 1’ ont signalée. Le Génie de la Republique anime les peuples a célébrer par leurs éloges les vertus et les travaux du Héros qui a consommé, avec autant de gloire que de bonheur, l’ouvrage que deux puissants Monarques avoient confié a ses soins; le prologue finit par l’alliance des trois Nations, auxquelles le commerce le plus intime dans le cours de deux années, n’a fourni que des occasions réciproque de s’aimer et de s’admirer *. Questo il soggetto del prologo, del quale basterà riferire al nostro intento i seguenti versi cantati dal Genio di Francia e Spagna: Qu’il m'est doux d'admirer dans ce séjours aimable, Ces fiers Guerriers, ce peuple de Héros: Qui courageux . constant, infatigable . Xe doit qu’à lui sa gloire, et son repos: D'an Ennemi puissant, la fureur implacable, Loi préparoit d'affreux revers. pascolo è stampalo a Genova come rilevo dal segnraie decreto: « 174.8 a 9 7ore. sopra qoanto è stato rappresentato circa Γ insianza per parte del S.r Cfeanve'ìn perchè venga stampata la Commedia, o sia Tragedia francese che deve rappresesi tarsi ne! Teatro da S. Agostino — Discorso— L'Ecc.1 Presidente del! !*!.--* Mag. d'Inq.r di Stato dia g!i ordini per la pnbbüca-zìene e stampa di d * Commedia, o sia Tragedia, senza però cbe v inserisca la revisione del S. I*Scio, nè la permissione de' Superiori e nemmeno alenila «fatte» nè di luogo nè di tempo (Ardi, cit., Collegi, fil. 259). — Per ; avvenuta rappresentazione cfr. Neri, Costie scllzzzz. Genova. pag 5i e seg. — 534 On le croyoit soumis à son ioug redoutable , Mai, ranimant son courage indomptable, Le peuple, en un instant, a sçû briser ses fers. Célébrés tous sa victoire Célébrés sa liberté; L'excès de son adversité Ajoute encore, à l’éclate de sa gloire. In tal modo il solenne avvenimento, cantato in varia guisa dai poeti, entrava sulla scena ; ma dovettero passare molti e molti anni, prima che la letteratura teatrale vedesse un qualche componimento drammatico regolare da esso inspirato; eppure un contemporaneo, Saverio Bettinelli, che scrisse un sonetto in quella circostanza, rampognando gli italiani perchè non toglievano argomento alla tragedia da' fatti nazionali, ricordava opportunamente che « 2'entusiasmo della libertà, onde nacque tanto eroismo tra' Greci si sarebbe del pari trovato a Lucca, a Venezia, e a Genova « dove un'epoca non lontana darebbe campo alla più bella tra- YARIETÀ I PIÙ ANTICHE PROTOCOLLI DELL'ARCHIVIO NOTARILE DELL*AULLA. L'art. XC\TII delTattc finale del Congresso di Menna [g giugno 3 S15] prescrive: S. A- R~ l’archiduoesse Marie Béatrix d'Este. ses héritiers et successeurs, posséderont en toute souveraineté et propriété le duché de Massa et le principauté de Canire, ainsi que les fiefs impériaux dans la Lunigiana. Ces derniers pourront servir i des échanges ou autres arrangements de gré à gré avec S. A L le grand-duc de Toscane, selon la convenance réciproque > 1 . Gli ex Feudi imperiali. che presero allora ìì nome di Lunigiana Estense, erano composti de' Comuni delTAulla (j) Οαγετιογε, Lì Cambre* de ì icvw fi Ics irvUés de 2$.15: II, — 335 — di Fosdinovo, di Licciana , di Mulazzo , di Podenzana , di Pontebosio , di Rocchetta, di ViUafranca, di Tresana, e di T reschietto. Maria Beatrice, peraltro, li cedette al figlio Francesco IV, Duca di Modena, in forza della convenzione (i) seguente: Noi Maria Beatrice, Principessa d’Este, Arciduchessa d'Austria, Duchessa di Massa, Principessa di Carrara, etc. etc. eie. Avendo il Congresso delle Alte Potenze, riunito in Vienna, disposto a nostro favore e de' nostri eredi e successori del Ducato di Massa in piena sovranità e proprietà degli altre volte Feudi Imperiali nella Lunigiana, con la facoltà di poterli scambiare , o in altra guisa disporne a nostro beneplacito: e considerando noi che 3'essere questi disgiunti tra loro stessi e da' nostri Stati di Massa e Carrara ri a-vrebbe resa molto difficile la loro amministrazione ; che la loro ani* cinanza al Reggiano e alla Garfagnana li mette a portata di dipendere più convenientemente dagli Stati di Modena: e che ì maggiori mezzi ond'è fornito il Sovrano di quegli Stati lo pongono in grado di supplire più agevolmente al carico della loro amministrazione : desiderando inoltre di conservare i detti paesi alla nostra famiglia, anche per dar loro una prova del pregio che ne facciamo, e persuasi sopra-tutto di non poterli amdare a Sovrano che con maggior zelo e patema cura possa vegliare al maggior bene loro che il Reale Arciduca Francesco, Duca di Modena. nostro amatissimo figlio ; ottenuto il pieno di Ini consenso, σ siamo determinati a trasferire al medesimo ed a’ suoi successori nel Ducato di Modena il sovrano possesso dei suddetti paesi della Lunigiana. Per mezzo dunque della presente carta noi dichiariamo solennemente tale nostra volontà, e rinunciando per noi e j>er tutti I nostri successori nel Ducato di Masa a tütd i nostri diritti sopra i detti paesi a favore di S. A- R- fl predetto Serenissimo Arciduca Francesco, nostro amatissimo tiglio, Duca di Modena. e de’ snoi successori nel Ducato suddetto, e diamo ad esso ed a loro la piena sovranità e proprietà di detti paesi, cioè Fosdinovo, Giucano. Carignano. Tendala. PonzaneHo. Posteria, Marriaso, Pnlica. Viano. Gragnola- Conila. Arila. E:boia. Vecchietto, Gorasco. Podenzana, Mon tedi vais. Viftafinanca, Virgoletta. CastevolL Mila, Rocchetta. Beverone, Stadomeglio . Cavane]la . Tresana . Barbaresco , Carreggio, Castagnexoli, Bnsatica , Bolla. GiovagaLo , Xovagigola , Mi;lazzo. Fa-rana, Montereggio, Pozzo. Maigrate. Fileno, Mocrone. Itola . Onorano, T reschietto. Yk» . Gera , Oli vola- BiglioJo . P aller one , Ponte Sosi o , Bastia , Gsigliana, Licciana . Pani cale. Monte Simone Piere, Su vero, Varano e Appella. (i IL· Archivio di Staio in Modena- Ministero degli anari esteri Austro estense Trattati- — 33^ — Autorizziamo quindi il suddetto Reale Arciduca Francesco, Duca di Modena , a prenderne a proprio nome il possesso , ed a ricevere dai nuovi sudditi il giuramento di fedeltà, e ad usare non meno in questa circostanza, che in tutte le altre in perpetuo di tutte quelle facoltà e dritti che a noi competono in vigore del disposto del Trattato di Vienna. Dato in Modena, questo giorno venti dicembre milleottocento-quindici. Maria Beatrice. Carlo Principe Albani. Gaetano Bussetti Consigliere. Fin dal 4 maggio del 1814 gli ex Feudi erano in potere dell’Austria, avendoli essa sottomessi all’ autorità del suo Governatore civile e militare degli Stati di Lucca e Piombino, che fino al 2 marzo del 1815 fu il generale Antonio di Starhemberg e dopo quel giorno il tenente colonnello Giuseppe Werklein. E appunto quest’ ultimo ne fece la consegna al marchese Giuseppe Molza , rappresentante del Duca; consegna che ebbe luogo a Caniparola il 4 febbraio del 1816 (1). « Gli ex Feudi imperiali della Lunigiana e sue dipendenze » (così è detto nella convenzione allora stipulata) « a contare da questo giorno restano consegnati a S. A. R. il Duca di Modena » ; « collo spirare del presente giorno cesserà nei predetti ex Feudi e sue dipendenze Γ amministrazione provvisoria austriaca e subentrerà Γ altra di S. A. R. il Duca di Modena » ; « tutte le rendite e spese relative ai suddetti ex Feudi a contare dal i.° gennaio scorso sono e s’ intendono ad intiero vantaggio e carico di S. A. R. il Duca di Modena, essendo stata chiusa col 31 dicembre 1815 la contabilità dell’amministrazione provvisoria austriaca negli ex Feudi medesimi »; « tutte le carte riguardanti 1’ amministrazione dei detti ex Feudi » saranno consegnate « al marchese Giuseppe Molza, « accompagnandole col relativo inventario » (2). Infatti « coi paesi si restituirono le carte della loro amministrazione, cavandole dalle filze » (3). (1) R. Archivio di Stato in Lucca. Protocollo della Segreteria generale della Provincia di Lucca, anno 1816, n. 212. (2) Collezione generale delle leggi , costituzioni , editti , proclami, ecc. per gli Stati Estensi; tom. Ili, part. I, pp. 1-3. (3) Bongi S. Inventario del R. Archivio' di Stato in Lucca; III, 28. — 337 — In quello stesso anno 1816, con decreto del 30 agosto , il Duca dette alla Lunigiana Estense per capoluogo Γ Aulla , la quale divenne residenza d’ un Governatore , che alloggiò nel vecchio palazzo marchionale de* Malaspina ; la spartì in quattro giusdicenze , quella dell’Aulla, dalla quale dipendeva il Comune di Villafranca ; quella di Tresana, con Mulazzo, Rocchetta e Podenzana ; quella di Fosdinovo; e quella di Licciana, che stendeva la propria giurisdizione su Ponte Bosio , Treschietto e Varano (1). Quest’ultimo paese, allora Comune e poi aggregato a Licciana, non faceva parte degli ex Feudi, ma era un antico possesso della Casa d’Este. Fin dal 24 luglio del 1413, ribellatosi a’ Malaspina , de’ quali fece strage , si era dato spontaneamente a Niccolò III d’Este, Marchese di Ferrara. Il 13 decembre del 1816 venne ordinato che « i paesi componenti li circondari delle quattro giusdicenze di Lunigiana avranno un Archivio in Aulla, dipendente dall’Archivio generale stabilito in Castelnovo di Garfagnana e dalla Congregazione d’Archivio e dal Collegio notarile residente in Castelnuovo stesso ». Nel nuovo Archivio « dovranno depositarsi, per esservi d’ora innanzi custodite, tutte le matrici d’ instrumenti e tutti gli atti notarili originali dei notari fino ad ora defunti ed appartenenti ai suddetti paesi, e di quelli ancora che abbiano cessato dall’esercizio, per sospensione , per incompatibilità d’impiego, o per rinunzia , qualunque sia il luogo o la persona pubblica o privata presso cui tali matrici ed atti originali si ritrovano presentemente , fosse anche il notaro stesso ora non più esercente, o l’erede del notaro defunto ». A farne la consegna venne assegnato « il termine di due mesi », « sotto pena pecuniaria di lire quattrocento, ed anche sotto pena afflittiva, qualora concorressero circostanze aggravanti »; pene alle quali si aggiungeva anche la « destituzione dal-1’ impiego », qualora « il trasgressore » rivestisse tale qualità (2). Fu un utile provvedimento, che salvò dalla dispersione molte carte preziose per la storia. Il più antico de’ protocolli notarili raccolti e conservati nell’Archivio dell’Aulla è una vacchetta di cc. 88, che (1) Collezione cit.; tom. IV, part. II, pp. 81-82. (2) Collezione cit.; tom. IV, part. II, pp. 118-121. Giorn. St. e Leti, della Liguria. 23 — 33$ — dal 9 agosto del 1293, « secundum consuetudinem notariorum Lunensis dioecesis », arriva al 24 ottobre del 1295. E cosi intitolata : In hoc libro scribentur instrumenta facta, rogata et scripta per me Saladinum olim domini Parentelli de Castro Sarzane, notarium imperialem. Incepit in anno Domini millesimo cclxxxxiij , indictione sexta et die nona augusti, in diocesi Lunensi. Ser Saladino per lo più rogò i suoi strumenti a Sar-zanello, ora « in cemeterio ecclesie Castri Sarzane » , ora « in platea domus mei » , ora « in episcopali palatio lu-nensi »; rogò pure a Fosdinovo ; « in platea Carrarie »; « in burgo Masse »; « in platea veteri » di Sarzana; nel monastero di S. Caprasio dell’Aulla; nella chiesa di Goda-sco; nella chiesa di Vezzano e « Λ ezzani ad portam « in loco Burcioni »; e « in episcopali pallatio Capriole », l’attuale Caprigliola. Del secolo XIV ΓArchivio dell’Aulla non ha nessun protocollo notarile; quattro del secolo XV. Appartengono a un ser Baldassare, che ora si sottoscrive: « Ego Balda -sar filius domini Jacobi olim ser Cursini de Gragnola , ad presens habitator Verani(i), eo tempore quo regebam sco-las, videlicet in domo Capelleti, in qua erat mea mansio causa instruendi scolares indoctos » ; ora: « Ego Baldas-sar filius olim domini Jacobi ex nobilibus de Colle , Regii dioecesis, sive de Castellaro, qui habitabat olim Gragnole ». Di questi quattro registri il primo va dal 1456 al 1458* il secondo dal 1465 al 1473, il terzo dal 1473 al 1480 e il quarto dal 1481 al i486. Numerosa è la schiera de’ protocolli notarili del secolo XVI; anche più numerosa quella de' secoli successivi. La serie de’ protocolli del Cinquecento si apre col notaro v Dominicus quondam Francisci alias Cechini Gavini de Villafranca ». e ne incominciano i rogiti il 7 luglio del i5°7-In una sua vacchetta, che abbraccia gli anni 1511-1520, sotto il giorno 5 giugno 1511 si legge Γ inventano degli oggetti della chiesa di S. Gervasio e Protasio di Virgoletta. (1) Si ricava da un ricordo scritto al principio del 1.* registro che il 22 decembre del 145O era Potestà di Varano, per il Marchese Borso dT Este, Alderico da Savignano. — 339 — Sfogliando il vecchio protocollo di ser Saladino di Sar-zanello, sono andato pigliando , in punta di penna, questi appunti : a) 1294, indizione 7, marzo 29. — Essendo vacante la chiesa di S. Matteo apostolo di Lusuolo, per la morte di prete Michele da Lu-suolo, suo ultimo rettore, prete Tedisio olirti Alberti di Podenzana, chiede ad Enrico, Vescovo di Luni, di essere ammesso come cappellano e rettore della chiesa stessa ; e glielo concede. Fatto a Sarza-nello, nel palazzo vescovile. b) 1294, indizione 7, aprile 7. — Enrico , Vescovo di Luni, dà a Pasquale oli tu Blaxii e a Corbano olim Andrucci de Capriola [Capri-gliola], procuratori delPuniversità e degli uomini di Capriola, « gabellarci , dacium et pedagium, iusque colligendi et solvere et pagare faciendi dictam gabellarci , dacium , pedagium a transeuntibus per iu-risdictionem et territorium Capriole, ac super scapham seu barcham in et per flumen Maere, salvis hiis qui hinc retro fuerunt exempti et non soliti solvere per terram et scapham , qui intelligantur etiam exempti et primitus liberi ». I procuratori promettono a nome dell’ università e degli uomini di Capriola di dare e portare al Vescovo , ogni anno il i.° d’agosto, c decem sai mas 1 ignarum sicciarum, ac unam salmam farine frumenti bone, pure, sane et a screpulis purgate ». c) 1294, indizione 7, agosto 6. — Simonello quondam Petri di Sar-zanello, avendo ricevute nelle sue infermità parecchie grazie da Cristo e dalla Vergine, dona « altari fondandi > per il Vescovo Enrico < in ecclesia de Sarzana, sub titulo et vocabulo Crucifixi et beate Marie matris virginis », una casa « in burgo novo Sarzane », una casa contigua alla detta chiesa < cum eius piaciali et porticu » e alcune terre, con obbligo che al detto altare sia celebrate una messa ogni giorno di festa, nonché quattro messe, una delle quali cantatata, nel giorno della Concezione. d) 1295 , indizione 8 , febbraio 5. — Perino quondam Boscolini e Gorino olim Blaxii, entrambi di Santo Stefano, si obbligano di portare da Pietrasanta a Pontremoli trentaquattro salme d’olio, a ragione di soldi 40 per ogni salma. e) 1295, indizione S, aprile 23. — Gli uomini di Godasco, diocesi di Luni, avendo eretta e fondata una chiesa sotto il titolo di S. Bar-tolommeo apostolo, e volendo dotarla, danno un terreno contiguo alla chiesa stessa per farvi il cimitero e la canonica e alcuni pezzi di terra, riservandosi il diritto di nominare il cappellano e rettore, salvo la conferma del Vescovo di Luni e deU’Abate del Monastero deli’Auila. f) 1295 , indizione S, aprile 25. — * Domina Solomea filia olim R uberti de Castro Sarzane, archi di an a societatis sancte Marie ab ortu so lis monialis », per sua devozione e per conservazione della stessa società, alla presenza del Vescovo Enrico, dona alla società suddetta « omnia sua itira et actiones »; riservandosi però il diritto del vitto e del vestito. — 34° — £*) 1295. indizione 8, maggio 3. — Gli uomini di Godasco , alla presenza del Vescovo Enrico e di Tommaso Abate di S. Caprasio dell’Aulla, « sedentibus in episcopali palatio Capriole », presentano prete Andrea de Cu/nano [Cornano] per loro rettore; ed è accettato. h) 1295, indizione 8, giugno 7. — Costanzo olim Cascini di Massa fa testamento. Vuol essere seppellito dinanzi all’altare « sancte Map-tillie » nella chiesa del borgo di Massa, dove riposano i suoi antecessori. Il giorno dell’esequie vi siano dieci sacerdoti e si dispensino ai poveri due staia di fave, due « cados vini et pondus unum casei ». £) 1295, indizione S, ottobre 2. — Essendo insorte discordie, differenze , questioni, rapine , liti, stragi, incendi e altri innumerevoli scandali tra il Comune di Bibola , da una parte , e il Comune del-l’Aulla, dall’ altra, per causa del castello di Burcione « iam dirupti, inter medium dictorum locorum Bibole et Aulle », fanno la divisione e stabiliscono i confini delle due giurisdizioni. I) 1295, indizione 8, ottobre 12. — Il Comune dell’Aulla , da una parte, e il Comune di Bibola, dall’altra, annullano lo strumento di divisione già fatto; si rimettono alla sentenza data da Enrico , Vescovo di Luni, e da Tommaso Abate dell’Aulla, e giurano sul Vangelo la piena osservanza del lodo suddetto. Fatto in Burcione. Giovanni Sforza. ANNUNZI ANALITICI. Modena a Carlo Goldoni nel secondo centenario dalla sua nascita. XXV febbraio MDCCCCV1I. Pubblicazione a cura del Municipio e della Cassa di risparmio. Modena, Ferraguti, 1907; in-8, pp. 535 con ritratto. — Alle cure del ben noto goldonista A. G. Spinelli è dovuto il presente volume miscellaneo, col quale la patria d’origine ha festeggiato degnamente il grande commediografo nato a Venezia , e che ha tutto il diritto d’essere chiamato, nel vero e lato senso della parola, anziché modenese o veneziano, con l’appellativo d’ italiano. Si apre con la ristampa di quella monografia che sul Goldoni scrisse Carlo Borghi, e fu pubblicata senza il suo nome nel 1859 , sebbene di si fatto lavoro a cui attendeva egli avesse già comunicato la notizia in due sedute nell’Accademia modenese. La critica lo accolse con favore, presto divenne raro, onde si manifesta opportuna la nuova edizione, e perchè con esso Modena dava impulso nuovo agli studi goldoniani, e perchè neppur oggi ha perduto relativamente della sua importanza. Sono ad esso preposte le notizie biografiche dell’autore con la bibliografia de’ suoi scritti , e come doveroso ricordo lo S. vi accoppia alcune pagine nelle quali rammemora Hermann von Lohner, che tanto contribuì a dare avviamento metodico alle ricerche sul Goldoni. Giova a buon complemento della biografia goldoniana del Borghi quanto vengono raccogliendo lo Spinelli e il Vicini intorno — 341 — alla famiglia, provando le discendenze in ben disposti alberi genealogici, condotti sull’autorità dei documenti ; sarà qui da correggere (p. 155) la data della morte di Goldoni, riferita all’8 gennaio, anziché al 6 febbraio. Del pari allo S. si devono, l’elenco delle lettere a stampa del Goldoni come buona preparazione all’ epistolario ; la nota delle commedie e melodrammi di lui rappresentati a Modena con la riproduzione a facsimile de’ frontispizi d’alcuni melodrammi usciti a stampa in quella città fra il 1755 e il 1764 in servigio della rappresentazione; poi un sonetto in onore del Goldoni messo fuori in foglio volante nel 1754, e il prologo e il ringraziamento dettati dall’ab. Vicini nel 1758 per la compagnia del S. Grisostomo recatasi a recitare ai teatro Rangoni. Dopo la riproduzione di alcune lettere di Paolo Ferrari relative al Goldoni, e d’un prologo goldoniano dallo stesso composto, raccoglie lo S. quindici note goldoniane da lui sparsamente pubblicate in giornali modenesi, e tutte assai utili a chiarire ciò che direttamente o lateralmente al poeta si riferisce, specie rispetto a Modena. Nè lasceremo di osservare che l’aneddoto in riguardo dell’ab. Vicini (pag. 309), riceve oggi conferma dal Muratori nel suo epistolario (secondo rileva lo S. stesso nella Gazzetta di Modena, n. 104), donde però si manifesta che non è da attribuirsi al 1727 , bensì al 1748 ; uno de’ tanti lapsus dei Memo ir es m Si aggiungono alla derrata altre sei note goldoniane non prive di curiosità. Tiene il primo posto un documento assai notevole perchè si ricongiunge ai dibattiti avvenuti tra i fautori del Chiari e del Goldoni. Si tratta d’ una lettera dell’ ab. Francesco Fanti ad un suo amico sulle rappresentazioni che si facevano a Modena del 1754, e rileva, se dobbiamo credere alla sua parola, che piacevano poco le commedie del secondo, mentre riscuotevano grande applauso quelle del primo, le quali, com’ è agevole intendere , sono giudicate da questo chiarista in tutto ottime ed eccellenti, con argomenti logici e letterari speciosi, che, pur troppo, la posterità non s’è mostrata disposta a seguire. Indica quindi Adriano Cappelli le somme che il Goldoni percepiva dal duca di Parma come suo pensionato, e certe spese incontrate dal pubblico erario quando egli si trattenne in Colorno. Giuseppe Cavatorti e Giovanni Crocioni illustrano diligentemente le relazioni del Goldoni con Reggio; aggiunge il primo due sue lettere al marchese Albergati , ed una del Voltaire al commediografo; mentre il secondo ricorda le rappresentazioni a Reggio di commedie e melodrammi, dando di questi, usciti dai torchi reggiani, le notizie bibliografiche e quelle artistiche da esse desunte. Qualche accenno a commedie recitate a Roma, a Frascati a Norcia trae lo S. dagli Avvisi ms. che si conservano nell’ Archivio di Modena , dove pure ei s’era proposto ricercare nei dispacci degli ambasciatori od a-genti a Parigi ciò che poteva spigolarsi sul Goldoni , ed è a dolere che ragioni indipendenti dalla sua volontà gli abbiano impedito di compulsare queste fonti, le quali certo avrebbero dato utili risultati. Discorre del Goldoni a Modena con piena conoscenza della materia, — 342 — e con acute osservazioni Paolo Gazza, in uno scritto noto a pochi fin dal 1902 e qui utilmente riprodotto. La conferenza detta a Modena da Giulio Bertoni per il centenario reca notevole contributo, e porge nuove e osservabili idee, sulle relazioni fra il teatro goldoniano e quello francese, fermandosi, com’è naturale, intorno alle influenze esercitale dal Molière sull’opera del nostro (donde pregevoli rilievi sulle concezioni artistiche de’ due scrittori), ed agli imprestiti in ispecie fra il Goldoni e il Voltaire. Si chiude la parte scientifica del volume con alcuni appunti per una bibliografia goldoniana modanese raccolti dallo S.; poiché le ultime pagine sono destinate alla cronaca dei festeggiamenti seguiti in Venezia ed in Modena, dove reciprocamente l’una e l’altra città erano rappresentate. Non risparmieremo finalmente di lodare Γ indice analitico molto diligente compilato da Achille Martini, a cui debbono perciò mostrarsi gratissimi gli studiosi. Celeste Paschetto. Felice Romani. Monografia. Torino, Loescher, 1907; in-S, pp. 125. — Questo lavoro è diviso in cinque capitoli ; nel primo si espongono i cenni biografici del Romani; nel secondo il suo carattere e le idee politiche; negli altri tre egli viene considerato come poeta lirico, e come poeta melodrammatico. I due primi ci sembrano i meno riusciti ; mancano di omogeneità , d’ organismo , di fusione; danno l’aspetto di materiali raccolti in servigio della biografia e cuciti insieme alla meglio. Quella divisione non è, a nostro avviso, accettabile; vogliam dire che la meteria onde sono contesti andava convenientemente disposta in un solo; così si sarebbero ovviate ripetizioni che turbano ed offendono la narrazione; infatti il carattere e le idee politiche riguardano singolarmente l'uomo e sono parte integrante della biografia. Migliori sono i successivi, e qui la divisione ci apparisce giusta e anche lodevole nel complesso il metodo espositivo; forse .qualche cosa di più era da dire a proposito delle liriche. II più ampio è l’ultimo capitolo dove i meriti del poeta melodrammatico sono studiati e con buone osservazioni rilevati. Questo, come si vede, era il principale intento dell’A. a proposito dello scrittore che ha preso ad illustrare, e in vero il ricordo del Romani nella storia letteraria, rimarrà vivo soltanto per i suoi melodrammi. Tuttavia, chi ben guarda, non possono dirsi prive d’un certo valore, sempre relativo , anche le critiche, come quelle che sono segno de’ tempi, indice di opinioni e di tendenze; perciò la P. ha ben provveduto a intrattenerne il lettore. Indagini nuove essa non ha fatto , e non era ragione di lame ; si è giovata di tutto quanto sul Romani direttamente e indirettamente era scritto, e della letteratura sull’ argomento ha preso sufficiente conoscenza; alcune pubblicazioni tuttavia le sono rimaste ignote. Avremmo desiderato stile più corretto, e maggiore proprietà d'eloquio. Domenico Cambiaso. Crettteno e la Polcevera. Monografia slorica. Genova, tip. della Gioventù , 1907 , in-16 , pp. 24S. — Piccolo luogo, ma rimasto famoso nella storia genovese per aver dato origine a quella progenie viscontile che tolse il nome da lui. Vogliamo — 343 — dire da Carmandino , perchè anticamente cosi era denominato , e il vocabolo onde oggi si riconosce sembra una corruzione dialettale abbreviata dell’antico. Ma le vicende di questo villaggio non possono disgiungersi da quelle della valle in cui giace , e perciò discorrendo di lui si viene in parte a dar notizie della Polcevera. L’A. fonda la sua esposizione storica sulle fonti edite ed inedite, e perciò il suo lavoro acquista importanza e sicurezza, nè v’ha notizia o affermazione, la quale non sia corroborata da documenti. Notevole per questo rispetto il capitolo nel quale si narrano i fatti relativi ai Signori di Carmandino, donde si apprende che al principio del secolo XI risale la prima notizia di un castello di Carmandino, e verso la fine dello stesso secolo la relativa denominazione da esso ad un individuo della famiglia viscontile, il cui ceppo si fa risalire alla metà del secolo antecedente. Delle condizioni domestiche del paese, delle professioni esercitate da’ suoi abitanti discorre il C. nel capitolo successivo, al quale fa seguito tutto quanto riguarda il governo civile della Polcevera nel cui distretto appunto si trova Cremeno. Del pari alla valle stessa si riferiscono le notizie intorno alle epidemie e alle guerre onde venne colpita; a Cremeno specialmente infesta la guerra del 1747 Per ■' Μ0_ cheggio e la ruina del villaggio , la profanazione e le ruberie della chiesa. Più particolarmente discorre di questa chiesa il capitato settimo dove si determina la prima menzione di essa nel 1277 , ed entriamo qui in un periodo documentario che ci accompagna nella storia della parrocchia e de’ suoi ministri fino ai tempi nostri, facendoci conoscere le vicende dell’ istituto parrocchiale, le condizioni della chiesa antica, durata fino all’aprirsi del secolo XIX, nel qual tempo venne edificata la nuova, per la quale fu utilizzato quanto era ancora utile e conveniente a conservare della prima. Diligenti le notizie biografiche dei parrochi, si come quelle riguardanti la fraternità del Rosario, le feste che'sogliono farsi annualmente, e quanto ha tratto al culto, vale a dire le missioni e le visite dell’autorità ecclesiastica. Non si dimentica di accennare agli ecclesiastici che da Cremeno trassero i natali, ed alle cappelle sparse le quali esistettero, o tuttora si veggono del distretto parrocchiale; sono tutte del sec. Χλ III, e alla seconda metà dello stesso risale la prima notizia di un qualche insegnamento dato dai curati ai fanciulli. In ultimo s’ intrattiene 1 A. intorno al martire S. Criserote, il cui corpo tratto dalle catacombe romane di S. Sebastiano fu portato a Cremeno nel 1S39, insieme alla lapide del sec. III ο IV, che porse argomento alle investigazioni degli archeologi. Dopo una serie importante di documenti recati per disteso, o in regesto, abbiamo una appendice nella quale si intende provare erronea l’opinione di alcuni scrittori che non vorrebbero considerare parrocchie le chiese suffragale, denominate cappelle o anche basiliche, mentre egli ritiene che non si possa negare ad esse questa qualità, sebbene non espressa, sì come si evince dai documenti eh ei cita a sostegno della sua tesi, o dalla dottrina stabilita dal diritto ca-nonico e dagli storici ecclesiastici. — 344 — Gesualdo Vannini. La vita e le opere di Raffaello Lambruschitii. Empoli, Guainai, 1907; in-S, pp. 271. — Incomincia PA. Il suo lavoro con una introduzione nella quale rende conto delle condizioni in cui si trovava la Toscana così dal lato politico, come rispetto alla cultura in generale, ed alla educazione in ispecial modo, nel periodo storico che succede al 1S15; quello cioè in cui il Lambruschini venne a stabilirsi in Toscana presso Firenze nella villa di S. Cerbone. Da questo punto muove la vera e propria biografìa, che è la parte centrale della presente monografìa, poiché il V. viene passo passo registrando e seguendo le vicende del suo autore, insieme discorrendo de* casi di sua vita, e dell’opera sua nel campo dell’ agricoltura , dell’ educazione, e della politica. Onde man mano noi veniamo a conoscere come si determinarono e procedettero i concetti fondamentali delle dottrine da lui propugnate, le quali in tutti i campi onde si fecero palesi la sua operosità di scrittore e le sue energie d’insegnante e d* apostolo , ebbe il fine supremo di concorrere al miglioramento economico e morale della società. Tutti gli aspetti, tutti gli atteggiamenti dell’ingegno di lui ci sono rivelati dal V. con l’esame delle sue varie e molteplici scritture, donde con accorto intendimento ei sa porre in rilievo , non solo la cultura larga del Lambruschini, ma i punti salienti che escono fuori saldi e luminosi ad affermare convinzioni profonde, principi, metodi e sistemi la cui bontà permane ed è pur oggi riconosciuta. Ma se da queste apparisce chiara e senza sottintesi l’opera fervida e profìcua del pensatore e dello scrittore nelle varie forme delle sue attività intellettuali, del pari riesce ben profilata e parlante la figura dell’uomo buono, mite, temperato, sereno; qualità che si manifestano in sommo grado ne’ dibattiti politici e scientifici; nelle amicizie ferme e durature; nelle contigenze ond’ebbe a trascorrere la sua vita. Qualità che meglio giovano a dar rilievo alla equanime e dignitosa fermezza del suo carattere, che non ebbe tiepidezze nè conobbe accomodamenti contro coscienza. Esempio: il suo sentire intorno alla religione e rispetto al suo stato ecclesiastico, e alla sua prima derivazione, e all’ufficio precipuo cui s’ intese chiamato ; onde a giusta ragione si ferma il V. in uno speciale capitolo ad esaminare le sue idee religiose , difendendolo da accuse, o da storte interpretazioni di sue dottrine ; mentre i concetti espressi e colla vita esercitati non si manifestano mai dubbiosi o disformi, ma rimangono saldi fino al chiudersi di sua vita e vincono le suggestioni temporalesche dei zelanti. Necessaria e conveniente chiusa a questo lavoro l’esame delle dottrine pedagogiche del Lambruschini, così ne’ suoi libri educativi, come in quelli che toccano alla pratica dell’insegnamento, disamina non superficiale e leggiera , ma che palesa nel V. conoscenza piena della materia, e buona preparazione. Di qui si evince quali fossero gl’ intendimenti del Lambruschini non soltanto rispetto alle teorie della educazione , ma, che è più, intorno a’ principi dell’arte insegnativa, di guisa che egli viene ad abbracciare intero tutto il problema pedagogico e lascia in esso come divulgatore — 345 — della scienza, come pedagogista del buon senso orme cosi sicure che mai non dovranno venir meno. Come corollari ed appendici FA. ci pone sotto gli occhi le fasi della controversia insorta a proposito della lingua, dove il Lambruechini ebbe a combattere il Manzoni. Intorno al romanzo del quale espresse implicitamente un curioso giudizio al Vieusseux nel 1827 proponendone un compendio con tagli e correzioni opportune a servigio del popolo. Lettera questa inedita tratta dal carteggio Vieusseux, donde il V. parecchie utili notizie attinse e produsse nella presente volume, che d’uu’altra scrittura frammentaria si arricchisce, e cioè di un articolo per giornale sulla convenienza di concedere ed ampliare i diritti civili e politici degli ebrei. Francesco Zaverio Molfino. Il p. Raffaele Cataldi cappuccino da Bologna fondatore delle scuole Calaldi. Lavagna, tip. Artigianelli, 190S; in-S, pp. XXXII-85; con rit. — L’ opera pia che prende nome dal suo fondatore, vive anch’oggi proficua e benefica , e FA. ha ben provveduto ad illustrarne degnamente la memoria. Vita breve ei condusse, chè a trentanni morì, ma tutta la spese nel fervoroso adempimento del suo ministero, e ad altrui beneficio. Non gli mancarono gli ostacoli e le dure prove, specie allorquando dovette recarsi a Lione per ristabilirvi i cappuccini. La salute grama e vacillante non 10 allontanò dai doveri impostisi, ben gli tolse modo di un più lungo esempio di amore e di carità. Sopra il suo sepolcro poche righe efficaci del Giordani, nella conveniente umiltà, rilevano qual fosse l’uomo che respinse da se gli agi e le ricchezze in mezzo alle quali era nato per fame pro' ad altrui, mentre a se elesse le fatiche dell' apostolo umile e caritatevole. Sono specchio della fede e dell’animo le lettere alla famiglia nel decennio che corse dal 1833 al 1843, qui pubblicate dal p. M. a cui è a dolere sia mancato il sussidio documentario delle carte conservate presso l’amministrazione della pia Opera, alle quali non gli fu consentito di attingere. Carlo Fedeli. Di alcuni ricordi storici del Palazzo Reale di Pisa. Lettera al professore Guglielmo Romiti. Pisa. Orsolini-Prosperi, 1907; in-S, pp. 20. — Il dubbio levatosi sopra alcuni fatti storici che 11 F. in un suo speciale rapporto asseriva avvenuti nel palazzo reale di Pisa, lo ha consigliato a pubblicare questa lettera. In esso più specialmente s’ intrattiene intorno alla dimora di Francesco Redi in Pisa, ed alla sua morte avvenuta appunto nel palazzo mediceo, ora reale, secondo alcuni nel 169s, mentr’egli ritiene , con altri , nell’ anno innanzi; e sopra una disputa galileiana in quelle stanze avvenuta e che ebbe a principal sostenitore il padre Benedetto Castelli. Per queste ragioni egli riterrebbe conveniente apporre a quelle mura un qualche ricordo che a que’ due fatti singolarmente si riferisse. È inutile aggiungere che il ragionamento dell’A. si allarga e si illustra con notizie erudite degne di considerazione. Ludovico Frati. La legazione del cardinale Lodovico Fieschi a Bologna (1412-13). Firenze. 190S ; in-S, pp. 10. — Utili notizie alla — 346 — biografìa del cardinale Fieschi, ed in ispecie all’opera sua nel tempo in che fu legato a Bologna, si rilevano da due codici della biblioteca universitaria bolognese , de’ quali porge qui il F. una diligente illustrazione. Notevole in uno, e su ciò viene opportunamente richiamata l’attenzione degli studiosi, tutto quanto si riferisce allo Studio, donde possiamo conoscere per più esempi quali fossero i libri posseduti dagli scolari di giurisprudenza. C’è anche una lettera con la quale il legato invita Gasparino Barzizza ad insegnare nella Università. Parecchi documenti e corrispondenze di ragion personale e privata si contengono nell’altro manoscritto. Tutti e due facevano parte della raccolta già appartenuta ad Ubaldo Zanetti. Antonio Pilot. Un peccatacelo di Domenico Venter, Roma, Centenari, 1906; in-S, pp. 12 - Canzoni iriedite di Maffeo Ve?iier, Capodistria, Priora, 1906; in-S, pp. 22 — Don Cesare d’Este e la satira (1597-8)» Venezia, Pellizzato, 1907; in-8, pp. 31. — Tutte queste pubblicazioni si riferiscono alla storia del costume; salvo l’ultima che prende di mira quel fiacco estense sotto al cui reggimento P avita Ferrara passò in signoria della Chiesa, che da tanto tempo l’agognava. Ma le tre prime hanno uno speciale interesse per Venezia, ed anco per gli autori. Domenico Veniero tenuto esempio d’ogni virtù, e gottoso per giunta, si lasciò imbertonare dalla moglie d’un dottore, la quale degli amanti, a quanto pare, ne aveva più d’uno, mentre il marito si compiaceva de’ buoni pasti che gli amici di casa gli procuravano. Se lo zio ci ha scoperto in versi dialettali i suoi altarini, e, si capisce, non sempre in frasi pudiche, il nipote Maffeo, più celebre di lui per tanti rispetti, compresa l’oscenità, sciorina con arte maggiore i suoi sfoghi amorosi in queste nuove canzoni che il P. mette in luce a documento dell’uomo, del tempo, e dell’ambiente. Ei se la piglia contro amore, e gli è ciò argomento a porgerci un quadro assai vivo della corruzione a’ suoi dì in ogni classe di cittadini. Specialmente contro la plebe sono poi indirizzate le salaci terzine dell’anonimo che prese di mira i rialtini, in singoiar modo quelli che prima plebei, s’imbrancarono poi fra gli arricchiti. Ma il P. non si contenta di metterci sotto gli occhi i componimenti che nelle sue ricerche gli appaiono più significativi; ei bensì li spiega e li illustra in guisa che giovino alla intelligenza dei lettori, e porgano utile contributo alle indagini degli studiosi. P. Molfino. Un padre cappuccino ambasciatore a Vienna (1695-1696 . Firenze, 1907; in-8, pp. 10. — Pubblica la relazione che fece il p. Gabriele Bertano da Casale , cappuccino, dopo il suo ritorno da Vienna, dove era stato spedito dal duca di Mantova per veder modo di mitigare i danni che avrebbero cagionato al Monferrato i quartieri d’inverno. Il solerte cappuccino rende minuto conto delle pratiche da lui fatte in Corte e presso i ministri dell’imperatore volte ad ottenere il suo intento, per mala ventura non coronato da tutto quel buon successo che egli sperava. — 347 — Alfonso Lazzari. Il capitario Angelo Pesante di Sanremo e Giuseppe Garibaldi. Nota storica. Sanremo, Vacheri, 1907; in-16, pp. 23. Sul brigantino denominato la Costa?iza comandato da Angelo Pesante, s’ imbarcava quattordicenne Garibaldi come mozzo, e nei viaggi fatti con lui questi apprese Parte del marinaio nella quale fu sì esperto e coraggioso. Sentimento di vivo affetto e di riconoscenza perenne conservò per colui che lo scorse in quelle prime sue mosse , e perciò bella testimonianza ne lasciò nelle Memorie. La quale è opportunamente avvalorata dal L. in queste pagine, dove, colle notizie del capitano sanremese, abbiamo la corrispondenza tenuta da Garibaldi con lui. Un bacio dato non è mai perduto. Storiella del seicento per Achille Pellizzari. Città di Castello, Scuola tip. coop., 1906, in-8, pp. 24. — Un fatterello accaduto a Sarzana, nel febbraio del 1666, ha porto occasione a questo curioso e spiritoso scritto nuziale. Una giovane di agiata famiglia mentre esce di chiesa, è baciata con atto violento da un cittadino della sua stessa condizione; conseguente processo contro il focoso giovinotto, che venne condannato in contumacia a duecento scudi e a tre anni d’ esilio , scontati a quanto pare ne’ dominii de’ duchi di Mantova, poiché n’ebbe appunto all’uopo esplicito salvocondotto. Ci fu anche una domanda dell’esule a fine di veder modificata la pena pecuniaria; ma non consta quale esito avesse. Il fatto avvenne il 3 febbraio sulla sera « alle hore 22 in circa » e si deve intendere verso le 4 pom. non le due come nota il P. Un testimonio reticente venne carcerato in Cittadella « presso gli antichi torrioni di Castruc-cio Castracani »; il celebre condottiero lucchese non c’ entra , nè nei torrioni, nè nella cittadella, e neppure in quel fortilizio di Sarzanello che gli venne attribuito. L’ esule nella supplica, evidentemente diretta al Senato, dice che la giovane « poi 1’ ha rimesso ogni pretesa ingiuria », vuol dire che ci fu la remissione, o sia la pace della parte lesa che veniva stipulata per man di notaro. A pag. 9 sarà da correggere Angelo Muratori in Anton Ludovico, e a pag. 17 quel Tab. in Rub. Massa di Lunigiana nella prima metà del secolo XVIII, ricordi inediti di Odoardo Rocca. Modena, Vincenzi, 1906, in-8, pp. 151. — L’autore di questi ricordi, canonico massese (1676-1751), lasciò, oltre ad una vita del duca Alderano , singolare per libertà di parola e di giudizi, alcuni altri zibaldoni storici, ne’ quali tra la farragine delle notizie non sempre vagliate ed attendibili, si leggono cose utili e veritiere. Perciò Giovanni Sforza ha ben pensato mettendo in luce la Situazione della città di Massa, e la Descrizione di Massa e suo stalo, scritture ricche di particolari ed atte a far conoscere il piccolo ducato e specie la sua* capitale, nelle condizioni in cui si trovava nella prima metà del settecento. All’una e all’altra l’editore ha apposto un copioso corredo di annotazioni, le quali chiariscono il testo, e, che è più, aggiungono moltissime notizie preziose statistiche, economiche, biogra- — 348 — fiche, artistiche; notevoli nella seconda parte quelle riguardanti le famiglie massesi di cui tocca il Rocca. Quattro importanti appendici chiudono questa pubblicazione, e cioè ΓEntrata generale della Serenissima Casa Cybo nel 1732, le Spese della Casa stessa , VEntrata e Uscita del ducato negli anni 1740-42, finalmente l’elenco dei mobili e gii oggetti preziosi del palazzo de* Cybo in Massa descritti in due inventari; il primo con la data del 1753 reca tutte « le robe ritrovate ed esistenti » in palazzo al tempo di Maria Teresa Cybo; Γ altro del 176$ che indica tutto quanto apparteneva alla reggente Ricciarda Gonzaga Cybo, e ne dà anche i prezzi di stima. La camera della Reggente apparisce assai modesta, e nel gabinetto tra i fiori finti , molti mazzi di carte da giuoco e vasetti di pomate, erano « centoventi pezzi di libri in quarto e in ottavo di vite de’ santi, d’istoria e di diversi, da farne poi nota distinta »; peccato che questa nota non sia annessa alP inventario. La vita di Ulisse Aldrovandi scritta da lui medesimo. Pubblicata per cura di Lodovico Frati. Imola, Coop. tip. edit. , 1907 ; in S.°, pp. 29. — Sebbene il Fantuzzi si fosse giovato della presente autobiografia nel compilare le notizie dell’Aldrovandi , pur riesce utilissimo conoscerne il testo autentico, per la maggior copia di particolari che in esso si leggono. E perciò ha fatto bene il F. a darla in luce nella sua integrità, in occasione del terzo centenario dalla morte del celebre naturalista. Ne* suoi viaggi giovanili egli fu a Genova in assetto di pellegrino avviato con un compagno a S. Giacomo di Galizia e di qui andò a Savona e poi a Nizza seguendo suo cammino. Al ritorno si imbarcò a Marsiglia per Genova « et in mare furono per far naufragio; scampati per gratia d’iddio, ecco di novo che appresso Yentimiglia, dove è un mal passo di Corsali, fu perseguitato sino alla spiaggia del mare da coloro, furono ammazzati tre della sua nave con archibusi, et a Ulisse bisognò pigliare un remo in mano , sì come anche gli altri, per salvare la vita a lui e ai compagni de la nave >. L' « Istoria civile * di Pietro Gian noni ed i suoi crii ici recenti. Appui : di Fausto Nicolini. Napoli, Giannini, 1907. in-4. pp. 52. — La quistione Giannoniana, con queste pagine, modestamente intitolate appunti, dovrebbe dirsi ormai assolutamente chiusa. Qui non si divaga in parole, ma si espongono fatti da chi ha profonda conoscenza della materia, e sa con acutezza di critico e serenità di storico rilevare i punti salienti, dilucidare e combattere. E non basta ; perchè la parte espositiva, viene confortata ed illustrata da numerose annotazioni, dove non solo trova il lettore utili riferimenti, e rincalzo di prove; ma una quantità davvero cospicua di notizie, direm così, laterali riguardanti la biografia e la bibliografia. Codesti pregi ci rendono vieppiù desiderata la comparsa di quella speciale monografia sul Giannone , accompagnata dalla relativa bibliografia , che il N. promette di pubblicare fra poco. — 349 — Catalogo delle stampe e dei manoscritti di Agostino e Giovanni Paradisi (1735-1826) annessivi altri documenti e stampe di vario ge-?iere cconservate fino al 1899 presso gli eredi Paradisi in Reggio d'Emilia. Compilato dal dott. Giuseppe Cavatorti. Villafranca , Rossi, 1907; in-8, pp. 108. — Diligente ed ordinato elenco, nel quale il C., attuale possessore di questa raccolta, porge una piena informazione delle carte manoscritte, e delle stampe che la compongono. È diviso in due parti rispettivamente per ciò che concerne Agostino e Giovanni, e sono osservabili gli autografi compresi, così per Γ uno come per l’altro, nel loro carteggio. Chi volesse occuparsi di proposito de’ due illustri reggiani, i quali furono scrittori, e, specie il secondo , uomini che figurarono nella politica non potrà dispensarsi dallo esaminare questa doviziosa suppellettile, e il C. ha ben fatto a produrne il catalogo che può tornare utile agli studiosi. Epistola di D. Emanuele Re di Portogallo al Papa Leone X annunziandogli l'entrata solenne dell'ambasciata portoghese in Abissinia. La riproduce da un'antica edizione con note bibliografiche e storiche Prospero Peragallo. Genova, Papini, 1906; in-8, pp. 30. — Da una rarissima stampa contemporanea , priva al solito di indicazioni tipografiche, riproduce questa lettera il P. Ma egli non si ferma alla stampa pura e semplice del documento ; singolare e notevole perchè attesta la viva soddisfazione del re d Portogallo, nell’ aver finalmente raggiunto il compimento d’un proposito fallito al suo antecessore ed a lui stesso causa di non breve trepidazione. Precede una larga informazione bibliografica delle Epistole a stampa, onde re Emanuele veniva man mano comunicando ai Pontefici i risultati delle conquiste portoghesi oltremare, non senza aver innanzi notato quali altri documenti si conoscono sull’ argomento , sebbene s’ abbia a deplorare la mancanza di non pochi de’ medesimi, conosciuti soltanto per via indiretta. Segue alla lettera un capitolo storico sopra I re di Portogallo e la ricerca del Prete Gianni dove con chiarezza e sicura erudizione sono esposte le vicende delle navigazioni intraprese a quel fine , che era poi in definitiva l’intento di penetrare in Abissinia alla ricerca del leggendario Prete Gianni, ossia del Xegus di quel paese misterioso per tanti rispetti desiderato. Come ciò riuscisse finalmente , e quali peripezie incontrasse l’ambasciata spedita in quella regione affricana impariamo da questo succoso sommario, dettato sulla scorta di ottime fonti, con quelFacume critico al tutto famigliare al suo autore. Poesie liriche di Alessandro Manzoni con note storiche e dichiarante di Alfonso Bertoldi. Firenze, Sansoni, 1908; in-8, pp. XX-141. — Poesie di Vincenzo Monti scelte, illustrate e commentate da Alfonso Bertoldi. Firenze . Sansoni, 190S , in-8 , pp. XV-496. — Attesta la bontà delle edizioni de’ classici fatte per uso scolastico la necessità delle riproduzioni. E fra i migliori testi della collezione Sansoni, che pur ne conia parecchi d’ incontestato valore, vanno distinti questi che annunziamo or nuovamente messi in luce. Il primo venne — 350 — diligentemente riveduto nel testo e nelle note dal B., il quale giovandosi di studi recenti e di più speciali osservazioni ha raccolto nella avvertenza, quanto può meglio giovare alla intelligenza delle varie poesie o d’alcuni luoghi di esse. L’altro invece è interamente rifatto così nella divisione della materia, come nel commento ; ed inoltre si arricchisce di giunte notevolissime tanto da raddoppiare quasi la mole del volume. Fra le liriche abbiamo di più i Pensieri d'amore e l'Inno per la festa del 21 gennaio J799, e i poemetti si vantaggiano di una giudiziosa scelta dal Prometeo e da II bardo della selva nera. Giunta più cospicua, e che era davvero necessaria per dare un saggio di tutti gli atteggiamenti del poeta, è quella delle tragedie, dalle quali ha trascelto il B. le scene che meglio rispondevano al concetto informativo di tutta quanta la raccolta, onde, pur dando esempio di tutte e tre, ha fatto più larga parte al Caio Gracco che è per molte ragioni la migliore, e tiene un degno posto nel teatro tragico italiano. Chi voglia istituire un confronto fra la presente edizione e quella del 1891 vedrà con quanta cura si è studiato il B. di rivedere, rifondere , correggere, aggiungere tanto nella parte storico-bibliografica, quanto nella esegetica; come abbia fatto suo prò di studi, scritture, note più o meno ampie al suo intento giovevoli ; tutto ciò disciplinato ordinata-mente, e accompagnato dal frutto de’ propri studi, e della acquistata maggiore esperienza. SPIGOLATURE E NOTIZIE. ***. Un de’ tanti avventurieri discesi in Italia nei secoli XVI e XVII, e che diceva d’essere figliuolo di Maometto III, ha dato argomento ad una nota di Giovanni Sforza dal titolo II falso sultano Jachia (in Atti d. R. Accad. d. Scie?ize di Torino , vol. XLIII). Con questo nome ei si faceva chiamare, che torna lo stesso di Giovanni; e delle sue peregrinazioni in cerca d* appoggio e de’ suoi progetti contro i turchi (s’era fatto cristiano) discorre lo S. recando innanzi documenti a provare le pratiche fatte da costui presso il granduca di Toscana, il duca di Piemonte , la repubblica di Lucca , e quella di Genova. Sembra che in questa ultima città ei non venisse di persona, ma vi mandò Gaspare Scioppio , eh’ era divenuto suo consigliere , il quale sottopose un memoriale al Senato per spiegare Γ impresa che Jachia proponeva, e come dovesse tornare utile alla repubblica per la sua espansione in Levante. Senonchè il Senato, pur lodando altamente il generoso proposito, non credette concedere aiuti, salvo che di auguri felici, e di buona volontà con un onorevole documento rilasciato allo Scioppio in data 12 gennaio 1634. Della costui dimora a Genova ci è rimasta memoria nella lettera latina da lui diretta a Federico Federici, e nella risposta di questi (cfr. Lettera dell illuslriss. Signor Federico Federici nella quale si narrano brevemente alcune memorie della Repubblica Genovese. Genova, Pavoni, 1634). — 35* — *** L. G. Pèlissier ha pubblicato con prefazione erudita e utili note la narrazione di Un voyage en felouque de Saint- Tropez a Génes, (in Revue des Études historiques, 1907, mai-juin) fatto nell’aprile 1687 da un consigliere d’Aix accompagnato dalla moglie , dalla cognata e da un abate amico di famiglia; lo scrittore di questa relazione. I viaggiatori si fermano all’isola di S. Onorato, a Monaco, a Ventimiglia, a S. Remo, a Savona donde si recano a Genova direttamente senza altre fermate. Le notizie particolari de’ luoghi ne’ quali si trattengono alquanto sono curiose, sebbene toccate di volo ; più rilevanti invece quelle che riguardano Genova rispetto alle impressioni da essi ricevute nel visitare le chiese e i palazzi; siccome i riferimenti alle condizioni della città, dove erano ancora assai visibili i danni cagionati dal bombardamento del 1684 , che meglio si presentavano all’ occhio del riguardante dall’alto della cupola della chiesa di Carignano. Non manca la parte aneddotica, ed è fra l’altro interessante il racconto del modo con cui, mercè l’audacia maliziosa delle dame, riuscirono i viaggiatori ad introdursi nella sala ove sedeva officiante il Senato. *** In appendice ai suoi importanti Contributi alla storia della lirica musicale, (in Studi medievali, vol. II, pag. 303), Francesco Novati pubblica una ballata dal titolo: La ricuperazione di Serezzanello per Gentile Aretino, esemplandola sopra una rarissima stampa cinquecentista che si conserva nella biblioteca Colombina di Siviglia. Egli ne illustra largamente i riferimenti storici. Cosi noi abbiamo un altro componimento che viene a far parte di quel gruppo di poesie popolari o popolareggianti già note intorno alla guerra di Sarzana (cfr. La guerra di Serrezana, Firenze, 1862, e di nuovo, Sarzana, 1867; e Frati, Tre sonetti di Benedetto Dei sulla guerra di Sarzana del 1487 in Giornale Lig.t 18S6, p. 131 dov’è un appendice Sorezanello et la spugna-tione di Sarzana). *** Nella Revista de Archivos, Bibliotecas y Museos (A. XII, vol. XVIII, pag. 170) si dà un breve cenno d’una carta nautica del Mag-giolo esistente nella Biblioteca Nazionale di Madrid. « El mapa, en vitela, mide 72,5 centimietros de alto por 92,5 de ancho. Lleva essa incripciòn: Vesconte de Mainilo composuit hanc cariavi in Ianua de anno Domini ijjj die V Februarij ». Due altre di questo medesimo anno se ne conoscevano, l’una nell’Archivio di Stato in Torino , Feltra nel Capitolo di Toledo (cfr. Giornale Ligustico, 1875, pag. 56). *** Alla vendita della Collezione Muoni avvenuta alcuni mesi fa in Milano, l’Archivio Civico acquistò, fra l’altro un manoscritto contenente varie carte del Beccaria, dove si trova altresì un albero genealogico a stampa della famiglia Beccaria del sec. XVI con questa so-scrizione: « Curletus Ianue fecit ». La biblioteca Nazionale di Brera venne in possesso di sette volumi miscellanei manoscritti, ciascuno de’ quali contiene carte dal sec. XV al XIX, riferentisi a singola città o regione; il settimo riguarda Genova. Il primo volume della collezione istorica pubblicata dall’ Ante- — 352 — ricali historical association contiene le Original narratives of early american history, ed oltre ai viaggi dei Normanni , vi sono quelli di Colombo e di Cabotto. I testi, secondo le prime originali edizioni, sono riprodotti in inglese e corredati da note storiche di critici competenti. *** Una assai notevole monografia per diligenza di ricerche, esattezza d’informazioni, e conveniente esposizione ha dato fuori Pietro Vigo intorno a La chiesa di S. Ferdinando dei PP. Trinitarii in Livorno (Livorno, Fabbreschi, 1908), nella quale, a nostro uopo , dobbiamo in ispecie rilevare una accurata biografia dello scultore Giovanni Baratta di Carrara. Intorno ad esso ed alle sue opere l’autore annunzia il proposito di dettare uno speciale lavoro. Paolo Barsànti pubblica uno scritto sugli Atti autentici delle lauree dottorali concesse in Lucca nel sec. XV (in Studi Slot'ici, Pisa, vol. XVI, pag. 225 e sgg.) accompagnato da una tavola degli addottorati. Fra essi troviamo : 20 settembre 1447 , Francesco arcidiacono lunense nel diritto canonico; 12 maggio 1455, Giovan Paride del Fiesco genovese, e 29 settembre 1460 , Antonio di Guglielmo de Rodovanis di Vernazza, pur nella stessa disciplina; 25 giugno 1491 > Antonio q. Corrado de Pelliciaris di Pontremoli in arti e medicina ; infine il iS novembre 1462, Pasquale Celso di Filippo di Manarola nel diritto canonico e civile. *** Abbiamo potuto esaminare il bel lavoro di L. H. Laband, intitolato: Les Doria de France; volume pubblicato già dal 1899 (Paris, Picard), e a noi rimasto sconosciuto fino ad ora. Non è una delle solite divagazioni genealogiche, a base di ipotesi, di tradizioni y di leggende; ma uno studio storico di molto valore condotto sopra i documenti con metodo rigorosamente scientifico. E noi lo segnaliamo, non solo perchè le famiglie divenute francesi dei Doria provengono indiscutibilmente da Genova, secondo qui è provato; ma più ancora perchè di que’ primi recatisi in Provenza si danno nuove e diligenti notizie, e intorno ad essi troviamo una vera folla di genovesi , i quali esercitano colà i loro commerci, tengono con le loro aziende vive e continue relazioni, con loro si associano in imprese commerciali e marittime. Onde queste pagine costituiscono un utile contributo alla storia del traffico genovese all’ estero. Le figure di Percivalle Doria , di Aitone, di Luigi, di Lazzaro , di Francesco ; conosciuti altrimenti per la storia ricevono da queste diligenti ricerche nuovo lume, e più saldo rilievo. Heinrich Otto pubblica Eine bi'iefsavimlung vornehmlich zitr g esclùdile italienischer Kommunem i?i der zweiteii holfte des mitte lalters (in Quellen und forschungen aus italie?iischen archiven und bibliotheken, Rom, 1908, XI, 1, pag. 80 e sgg.). Sono tratti da un cod. vaticano e opportunamente illustrati con una diligente prefazione. Dieci riguardano Genova e sono: 1272, agosto ; lettera del comune al podestà di Piacenza — 1273, novembre-dicembre; due lettere allo stesso comune — 353 — piacentino — 1273 » 22 dicembre ; lettera di re Rodolfo al cardinale Ottobono Fiesco — 1277?; lettera di Federico Fiesco al papa Nicolò III — 1278; lettera di papa Nicolò ai genovesi, con la risposta — 1411, 28 novembre ; lettera dell’ Imperatore ai genovesi — 1421, 26 maggio e i.° giugno; lettera di Filippo Maria Visconti a Tomaso da Campofregoso, con la risposta. Nella Cronaca monfei-rina di Giovanni Domenico Bremio pubblicata da G. Giorcelli (in Rivista, di storia, arte, archeologia della provincia d’Alessandria , A. XVII , pag. 129 e sgg.) si leggono all’anno 1625 parecchie notizie che riguardano la guerra fra il duca di Savoia e la Repubblica di Genova. Nell’impresa di Voltaggio « i vincitori saccheggiarono la detta Terra uccidendo gli uomini, et tanto li soldati francesi come li savoiardi fecero buonissimo bottino di danari e robe di gran valuta, et per essere quella terra piena di uomini ricchi di beni di fortuna, li detti soldati divennero tutti ricchi di danaro assegnato loro, et essi, che non conoscevano li Crosoni di Genova , ne davano sino a sei per avere una doppia ». Accenna alla voce sparsa che il maresciallo Lesdiguieres « aveva avuto dalla Repubblica molte migliaia di doppie acciò non proseguisse l’impresa » , donde dissidi con il duca. Questi sembra avesse il proposito e quasi la certezza di prendere Genova, perchè quando gli spagnuoli il 4 luglio si impadronirono di Acqui , fra le molte altre cose trovarono « una sella ricamata d’oro superbissima » preparata, dicevano, « per la sua entrata in Genova ». *** Nelle Memorie italiane nelle Isole Ionie raccolte da Enrico De Gubernatis (Milano, Capriolo e Massimino, 1908) sono alcune notizie che riguardano cose liguri. È riferita la nota iscrizione di Giov. Dario Serra genovese di Scio esistente in cattedrale , già pubblicata dal De Biasi nel suo scritto intorno ai parenti dì Ugo Foscolo. Si ricorda la morte del mineralogo e chimico di Ovada, Giovanni Francesco Massa, avvenuta a Giannina nell’aprile del 1818, mentre era al servizio di Alì Pascià di Telepea; aveva prima dimorato assai tempo a Corfù (pag. 77). E a Corfù s’era rifugiato Giambattista Peragallo genovese emigrato del 1820-21, già appartenuto all’esercito napoleonico, poi al sardo fino al 1819; ebbe colà l’ufficio di collettore delle rendite pubbliche e vi morì nel 1S45 (Pa£* 80). Si pubblicano poi due lettere di Mazzini a Pasquale Menelao esule, l’una del 2 ottobre 1858, l’altra frammentaria del 6 luglio 1859 (pag. 103 e sgg.). Giuseppe Bonelli ha reso conto di Un Archivio privato del cinquecento. Le carte Stella (in Arch. Stor. Lombardo, A. XXXIV , fase. XVI), esistenti a Brescia. Quivi si veggono indicati parecchi documenti di Gian Matteo Giberti, o che lo riguardano. C’è una lettera da Genova, 9 maggio 1537 di Giacomo Italiano (Interiano) a Bernardino Stella. ***. Nella monografia di J. Bêdier , Les chansos de geste et les Giorn. St. e Leit. della Liguria. 24 — 354 — roules d'Italie, notiamo alcuni curiosi riferimenti alla strada detta di Monte Bardone, dove passava la Via Francigena; vi si tocca di Pon-tremoli e di Luni dove s’immagina che Ògiero il Danese si trattenga e ivi presso combatta (Romania, A. XXXVII, pag. 49 e sg). Qualche accenno ligure si trova altresì là dove si parla delle strade che conducono a Genova (pag 62). Intorno a Cario Bastia che tenne cospicui uffici fra il 1814 e il 1S40 in Piemonte, nel Ministero dell’ Interno, nel segretariato del· Gabinetto, e nel Ministero di grazia, giustizia e culti, ha dettato una diligente biografia Eugenio Casanova (Siena, Lazzeri , 1907), nella quale troviamo alcuni tocchi di cose liguri. C’ è una lettera del marchese di Villamarina in data 27 luglio 1836 con la quale riferisce che il « celebre Paganini » aveva domandato un’udienza al Re « per aver l’onore di baciargli la mano » , e per chiedergli « la sovrana grazia di poter legittimare il figlio ». Il Re avendo sospese le udienze trovandosi a Racconiggi rispose che avrebbe ricevuto il Paganini a Torino o a Genova dopo la villeggiatura, e quanto « al secondo punto, assai più a cuore al Paganini, non solo si mostrò disposto », ma ordinò si accordassero « tutte le possibili facilitazioni onde lasciar contento questo celebre artista; il quale coll’ abilità sua , che può dirsi inarrivabile, radunò una fortuna in contanti all’estero di più d’un milione, che ora, portata nei Regi Stati ha impiegata in cospicui stabili. 11 suo desiderio è di lasciarla ad un figlio non legittimamente avuto, ma bensì in stato libero d’ambi li genitori , entrambi cattolici , come cattolico pure il figlio, pur troppo connaturale ; come hassi a riconoscere precipuamente quello che possa questo figlio portare liberamente e debitamente il così noto nome di Paganini ». Quindi a nome del Re raccomanda vivamente la cosa al Bastia. — Nel 1834 non fu permesso a Felice Isnardi (detto qui erroneamente « tipografo genovese », mentre era di Loano e impiegato all’intendenza generale, cfr. Giornale degli studiosi, A. I, pag. 263, e P. Enrico del SS. Sacramento, Cenni storici di Loano, pag. 331 sgg.) uno de’ tanti opuscoli contro lo Spotorno nella dibattuta questione colombiana. L’anno stesso fu severamente ammonito Antonio Maria Rossi d’Albenga, il quale era stato querelato da alcuni particolari di quella città, i quali si ritene vano diffamati da lui in un suo componimento poetico intitolato: Novelle galanti critico-litorali istruttive. Il 20 luglio del successivo scriveva il Bastia al Primo Presidente del Senato di Genova: « S. M. nell’udienza del 17 corrente mese, meco si lagnava altamente dello spirito che regna nell’opera periodica, che vede la luce in cotesta città sotto il titolo di Magazzeno Pittorico; nel quale s’inseriscono articoli che sanno assai della Giovane Italia , e che sebbene allusivi a fatti storici od a personaggi di antica data , si scorgono tuttavia non ad altro fine ivi collocati se non a isvegliare le idee di libertà, d’indipendenza e di sovvertimento dell’ordine. Desidera pertanto la M. S. che per parte de’ signori revisori si usi la maggiore attenzione onde eli- — 355 — minare da detta opera articoli di tal fatta ». La qual cosa non farà meraviglia quando si sappia che principal redattore di quel giornale era l’avv. Michele Giuseppe Canale, e che usciva da quella tipografia Ponthenier dove si era stampato V Indicatore genovese prima palestra mazziniana. Notizie su quel Magazzino si possono rilevare dall’Arch. di Stato torinese, nella serie, Istruzione pubblica, Proprietà letteraria. 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Giovanni Da Pozzo amministratore responsabile. — 36i DOCUMENTI D’ARTE INEDITI DEI SECOLI XV E XVI Nel 1403, agli 11 di luglio, trovo il pagamento di un conto di sei lire al Vicario della Spezia « pro picturis quas fecit fieri ad portam pontis » (1). Del pittore non è cenno; ma nel 1459 trovo un maestro « Lucas Teotonicus » che dipinge le armi del re di Francia sopra le porte del borgo: ne è rimasta memoria in questa annotazione (2): Recepimus mcccclviiij die xxij iunii in Magistro Lucha Teotonicho pictore in rebus asignatis dicto magistro Luce pro pingendo Arma portarum emptis in Janua.... et aportatis ex Janua per Petrum Stefa-num de Anzaretis in xxxxviiij..... L. xxviij s. xvij d. vj. Chi fosse questo artista alemanno che nella metà del secolo XV, quasi contemporaneamente al suo conterraneo Giusto d’Alemagna, operava in Liguria, non saprei dire: gli spogli degli archivi finora non ne han dato altre traccie, e il suo nome è ignoto nella storia dell’arte di quel secolo. Come pure credo sia un nome nuovo quello di Giacomo Spinolotto, il quale, pure circa la metà dello stesso secolo, lavorava nella Spezia, e che trovo nel 1466 esentato dal pagamento dell’avaria per sua mercede d’un disegno fatto per conto della Comunità (3): Die vij maij. Congregatis sindicis et consiliarijs comunis Spedie in sufficienti et legiptimo numero in domo comunis ubi fiunt consilia etc. deliberaverunt statuerunt et ordinaverunt quod Iacobus Spinolotus pictor pro eius capite exemptus sit in avaria.....pro eius mercede de designo retracto de questione Vezani. Nei libri delle avarie per gli anni 1461, 1462 e 1466 sono notati a più riprese i nomi di « Tomaxius pictor » e (1) Archivio Comunale antico della Spezia. Diversorum Communis, ι°, c· 59· (2) Arch. c. s., Div. Corti., 90. (3) Arch. c. s., Div. Corti., io°, c. iS-v. Giorn. St. e Lctt. (Ulla Liguria. 25 — 3Ò2 — di « Buscaynus pictor ». È evidente che essi tenevan bottega nel borgo della Spezia (i). Il primo ebbe 1 incarico nel 1471 dagli ufficiali della Comunità di dipingere e dorare Y aquila della piazza, e si trovan notate le spese « prò adorando aquilam platee » e « prò manufactura aquile » (2). Si tratta senza dubbio delle armi sforzesche. Per il tempo e per il genere di lavoro questo Tommaso potrebbe essere quel « lomaxius de Xovaria », buon pittore ornatista, che poco appresso troviamo in Genova, e di cui ci dà frequenti notizie l’Alizeri (3). E il Buscaino sarebbe mai quel Massari di Busca, del quale sappiamo dallo Spotorno che si conserva in Albenga una tavola? (4) Anche qui il tempo e il nome, derivatogli dalla patria, concordano. Del noto pittore di Levanto, Michele Da Passano, trovo che lavorò a rifare le armi sforzesche sopra le porte della Spezia nel 1489; notizia che dev’essere de’ primi tempi della sua vita d’artista, precedente alla sua stabile dimora in Genova, dove fu ascritto all’Arte, e notato nella matricola: De mandato dominorum sindicorum et consiliariorum comunis Spedie anni presentis tfbi Bernardo committitur quatenus des et solvas Michaeli de Passano de Levanto pictori ad omnem ipsius requisitionem libras decem et octo Janue, et sunt ex residuo sue mercedis pro pingendo arma super portas terre Spedie etc. (5). I documenti che seguono sono tutti inediti, e ragguagliano intorno ad artisti o ad opere d’arte finora ignoti. I. 1495, 2 maggio. Protocollo di Paolo Ambrosini, a c. 100, A/ch. Coni. della Spezia. Antonio Mancini di Carrara promette a Francesco Corso de Urcelis di fargli fare in Carrara una tavola d’altare in marmo con dieci figure di mezzo rilievo, con una Pietà (1) Arch. c. s., Avariarum, 1461, 62, 66. (2) Arch. c. s., Div. Com., n°. (3) Notizie dei professori del disegno in Liguria dalle origini al secolo XVI. Pittura, vol. II, pp. 114» 173» 34^, 352· (4) Storia letteraria della Liguria, vol. II, pag. *22. (5) Arch. Com. della Spezia, Diversor. Comunis, 190. — 3^3 — nella cornice, da porre nella chiesa di San Francesco dei Minori Osservanti della Spezia. Molto probabilmente questo Antonio Mancini non fu l’autore deir ancona, e forse non fu nemmeno uno scultore. Nell* opera del Campori non è ricordato (i), e nel documento il suo nome non è mai accompagnato dal qualificativo di magister. E chiaro poi che il Mancini assunse soltanto la commissione di fare eseguire il lavoro per conto di F rancesco Corso ; il quale morì forse poco appresso, trovandosi il suo testamento in data del 16 di maggio (2). Ma l’altare venne costrutto per conto degli eredi, e finito nel 1497, leggendosi che il 7 di marzo il Mancini e Perono Corso, erede di Francesco, mandavano cassarsi l’istrumento rogato, dichiarandosi soddisfatti una parte e l’altra'(3). Ma la scoltura che fine ha fatto? Il convento e la chiesa di San Francesco della Spezia qualche anno prima che venisse promulgata la legge di soppressione delle corporazioni religiose, furono compresi nell’ area destinata alla costruzione dell’ Arsenale militare, e, sebbene nè l’uno nè l’altra fossero demoliti, quanto contenevano fu manomesso e in gran parte disperso. Forse questa ancona esiste tuttora in qualche parte, e potrebbe essere rintracciata e identificata, se, unita col documento, fosse rimasta la « memoria » che vi si dice inserta. Ma anche questa si desidera, e Γ unica descrizione che si trovi dell’altare è in questa breve notizia dell’anno 1776 del padre Niccolò Carosini di Montemarcello : « L’altare di S. Girolamo fatto di pietra nella parte inferiore della chiesa fuori della cappella ha l’ancona di marmo, in cui sono scolpite più immagini. E detto altare dicesi appartenere al signor Girolamo Corsi, come erede del di lui fratello Francesco » (4). (1) Memorie biografiche degli scultori, architetti, pittori ecc. nativi di Carrara e di altri luoghi della provincia di Massa con cenili relativi agli artisti italiani ed esteri che in essa dimorarono ed operarono e un saggio bibliografico per cura di G. Campori. Modena, tip. di Carlo Vincenzi, 1873, in 8. (2) Prot. di Paolo Ambrosini, 1495. Arch. Com. della Spezia. (3) Prot. cit. c. 100. (4) Libro in cui sono registrati V^strumenti appartenenti al Convento — 36 4 — In nomine domini amen anno a nativitate eiusdem mcccelxxxxv Indictione xiii die ij maij. Ad pacta et conuentionem et obligationem pervenerunt infrascripte partes et sic tacite et contente fuerunt et sunt videlicet Antonius Mancini de Carraria sponte per se et suos heredes pro misit et conuenit Francisco Corso de Vrcelis presenti etc. quod faciet et curabit cum effectu faciet fieri et fabricari in terra Carrarie tabulam unam siue comnam altaris pulcram marmoream cum figuris decem de medio releuo sculptis iuxta designationem sibi datam cum pietate in cornice et Iesu diligenter et bene laborato. Quam tabulam promisit consignare ut supra completam in monasterio sancti Francisci supra altare ipsius Francasti bene ordinatam et adaptam prout stare debet , et hoc per totum mensem septembris proxime venturi saluo impedimento infirmitatis et pestilentie. Et e converso dictus Franciscus promisit ei em Antonio presenti dare et solvere ducatos triginta quinque monete currentis in Spedia videlicet libras centum decem et septem et soldos quinque Janue pro eius mercede et laborerio et pretio eiusdem sic inter eos conuento. Ex quibus quidem 1. cxvij et sold. v Janue pretio suprascripto dictus Antonius fuit contentus et confessus habuisse et recepisse a dicto Francisco presenti etc. libras vigintiquinque Janue infra soluptionem dicti pretii residuum vero dare et solvere promisit eidem Antonio presenti semper et quando dicta tabula erit completa et posita in dicto loco ordinato. Forma dicte tabule facienda est iuxta memoriam manu dicti Francisci datam hic insertam. Et qua tabula revideri debet per quatuor personas per partes eligendas. Renuntiantes, etc. Que omnia, etc. Sub pena ducatorum decem auri et in auro. Qua pena etc. Item refficere, etc. Ratis etc. et pro quibus, etc. obligaverunt etc. Et possint conueniri Janua Spedie et ambo partes. Et pro predicto Antonio intercessit Antonius de Io Deo de Saona et promisit etc. sub etc. Renuntians Juri de principali etc. Actum Spedie in domo dicti Francisci presentibus magistro Gasparino de Sarzana et Bernardino qm. Matei Roche testibus. II. 1496, 14 aprile. Atto del notaio Paolo Ambrosini. In Miscellanea Spezzina ΛlanoscTitta della. Bibl. Com. della. Spezia, tomo II. La chiesa di Santa Maria della Spezia doveva esistere certamente innanzi al secolo XIV ; ma la prima notizia che finora ci è occorsa di essa e del 1371 > quale anno i di 5. Francesco il Grande de’ M. O. R. della Spezia. Compilato nell’anno /776, /0 ottobre....... dal padre Niccolò Carrosini di Moiite Marcello...... MS. in fol. della Bibl. Com. della Spezia, segnato I, 2, pag. 16. — 3^5 — sindaci delle diverse comunità delle due podesterie della Spezia e di Carpena si riunirono appunto in quella chiesa per deliberare l’unione in una sola delle sue podesterie (i). In quella stessa riunione venne pure deliberato di cingere di mura la Spezia ; lavoro che di li a poco venne compiuto ; ma, cosa, non che strana, incomprensibile, la chiesa venne lasciata fuori delle mura, che le erano immediate (2). Questa situazione fu causa della totale rovina della chiesa; e noi dobbiamo ad essa la perdita di chi sa qual grazioso campione di architettura, che forse non siamo lungi dal vero immaginando sul modello delle tuttora superstiti parrocchiali delle Cinque Terre e di Levanto· Nel fatto, quando nel 1437 ^ Piccinino alla testa delle bande del Duca di Milano si riversò nella Riviera del Levante per correre all’ assedio di Sarzana , gli Spezzini, temendo che il nemico si giovasse del campanile e dei muri della loro chiesa per assalire il borgo, la demolirono dalle fondamenta : « dirrupta fuit.... pro salute huius loci quum timebatur quod super illa ecclesia construeretur bastita vel alia instrumenta bellica ex qua parte faciliter potuisset capi ipse locus » (3). Ma, passato il pericolo, gli uomini della Spezia pensarono subito di rifabbricare la chiesa e di rinchiuderla dentro le mura. Per fare ciò chiesero ed ottennero dal governo di Genova molte volte e per lo spazio di oltre un secolo varie esenzioni da tasse ; e l’applicazione di certi proventi, dovuti allo Stato , all’ opera della nuova chiesa; la quale, consacrata nel 1471 , non fu del tutto compiuta che nella metà del secolo XVI, come ne fa fede la data del MDL scolpita sulla fascia marmorea del frontispizio (4). (1) Cfr. U. Mazzini, Noterelle spezzine di storia, d’arte e di archeo-logia, La Spezia 1902, pag. 22. (2) Cfr. U. Mazzini, Delle antiche mura della, Spezia, memoria con due tavole. Lipsia, 1896, p. 5 sgg. e Noterelle cit. pag. 23 sg. (3) Cfr. oltre i lavori citati: U. Mazzini, Un episodio della guerra tra Genova e il Ditca di Milano, in Giorn. Slor. e lett. della Liguria, voi. IV, 1903, pag. 130 e n. 2. (4) Pare che l’entusiasmo per la fabbrica della nuova chiesa non durasse molto negli animi degli spezzini ; i quali dopo aver pensato di fare — 366 — Quali artisti impiegassero gli spezzini nella costruzione della nuova chiesa ci è ignoto. Dal documento che segue resulterebbe che verso la fine del sec. XV, quando cioè la chiesa era già stata consacrata, avesse l’incarico dell’ornamentazione interna un maestro Battista qm. D. Lommaso di Olgiate, e che con lui lavorasse un altro maestro, Battista qm. Leonardo della Porta di Milano, che figura fra i testimoni dell’ atto. Il quale è un’ attestazione giurata fatta dinanzi a notaro per provare — lo scopo non apparisce — che Maestro Francesco qm. Matteo De Marti lucchese, intagliatore in legno, aveva cominciato il lavoro del coro per la stessa chiesa prima del 1489, e poi l’aveva lasciato in tronco. Sono i nomi di due artisti lombardi e di un toscano finora, per quanto ne so, sconosciuti. Del coro del *400, cominciato da maestro Francesco De Marti da Lucca, e terminato chi sa da chi, nessuna traccia. L’attuale è opera del secolo XVIII. Testificatio pro m. Baptista de Cumis In nomine domini amen anno a nativitate eiusdem mcccclxxxxvi Indictione xiiii secundum Spedie lunensis diocesis cursum die vero xiiii aprilis. Testes et attestationes ac dicta testium infrascriptorum productorum admonitorum interrogatorum et examinatorum ad eternam rei memoriam ad instantiam Baptiste qm. D. Tomaxii de Olzata de Cumis Ducatus Mediolanensis. Et primo Iacobus qm. Antonii de Conradinis de Levanto de Spedia testis un’opera del tutto nuova e di ripararla dentro le mura del borgo, sembra che poi — forse spaventati dalla eccessiva spesa — si volessero contentare di restaurare la vecchia ; cosa che a Genova non piacque. Questo almeno resulterebbe dalla seguente lettera dogale inedita, diretta al Podestà : « Dux lan. Nobili viro Damiano Lomellino vicario Spedie nobis carissimo. Carissime. Non sumus immemores deliberatum fuisse pridem hic ad instantiam sindicorum Spedie quod ecclesia catredalis Spedie que esse consuevit extra dicAim locum Spedie et que ruinata tuit tempore guerre nunc proxime preterite de novo fabricaretur intra menia dicti loci pro maiori commoditate et securitate eiusdem. Nuper vero intelleximus quosdam spedienses contra formam dicte deliberationis velle ut dicta ecclesia dirruta et devastata rep-paretur quod r.on est nostre intentionis neque propositi. Et ideo volumus et vobis commictendo mandamus ut nullo modo paciamini fieri dicta rep-paracionem, ymo si spedienses ecclesiam catredalem habere intendunt illam hedifficari faciant inter menia dicti loci iuxta deliberacionem factam supe-rinde. Data Janue die xxv octobris [i437l* (Arch. di Stato di Genova, Litterarum, 4, 1780). — 3Ó7 — utsupra productus admonitus et examinatus per me notarium infra-scriptum constitutus et examinatus per me notarium infrascriptum constitutus coram me notario et testibus infrascriptis ad instantiam et requisitionem dicti Baptiste probare volentis et fidem facere de infrascriptis ad eternam rei memoriam ne rei veritas pereat sicut rei veritas fuit et est et sic se habet publica vox et fama inter habentes noticiam de infrascriptis, quod magister Franciscus qm. Mattei de Marti lucen-sis civis fabricator cuiusdam cori incepti in ecclesia Sancte Marie de Spedia fuit requisitus a predicto Iacobo, magistro Georgio de Clavaro qm. Dominici Trabuchi et Gaspare qm. Petri Barbarubee ac Nicolao qm. D. Augustini de Reduanis de Spedia tamquam massarijs predicte ecclesie Sancte Marie de anno 1489 in principio dicti anni per plures litteras ipsius Iacobi scribentis tunc de voluntate et commissione pre-dictorum massariorum ut vellet ad laborandum et finiendum predictum chorum per ipsum inceptum iuxta promissionem per eum ut asseritur factam alijs predecessoribus massarijs qui tandem virtute variarum appellationum [appulit] in terra Spedie cui promissum fuit per ipsum et dictos massarios facere ea que debent et tenentur pro satisfatione eius mercedis dicti chori perficiendi de die in die qui postea permanens in predicto loco Spedie per aliquos dies fingens velle ire ad civitatem lucensem recessit et absentavit contra voluntatem dictorum massariorum et postea numquam redivit neque reddere curavit in maximum damnum et iacturam dictae ecclesie propter dictum chorum nedum finitum et quod non stetit neque stat per ipsos massarios quin dictus magister Franciscus non potuisset accedere in loco isto Spedie ad finiendum dictum chorum cum obtulissent facere eorum debitum et satisfacere ipsi pro ea rata quam compleverit. Qui Iacobus utsupra constitutus monitus interrogatus et examinatus per me notarium infra-scriptum super capitulo eidem testi lecto de verbo ad verbum ad eius claram inteligentiam, suo juramento testificando dixit contenta in predicto capitulo fore et esse uera eo quia ipse testis pluries de dicto anno 14S9 in principio dicti anni se convenerat in simul cum predictis Antonio de Reduanis, magistro Georgio de Clavaro et Gaspare Barba-rubea tunc massarijs unaa cum ipso teste predicce ecclesie et per eos ordinatum et deliberatum et commissum fuit scribere litteras predicto magistro Francisco ut veniret ad finiendum et complendum laborerium predicti chori cum promissione satisfaciendi eidem de mercede sua alias conventa cum massarijs predecessoribus ipsorum videlicet D. Baldassarre de Blaxia, magistro Antonio de Leco qm. Iohannis, qm. Ra-phaele de Puliasca et qm. Teramo Verina et ultra fatere illum salvum et securum in terra Spedie. Qui tandem virtute predictarum litterarum tunc emanatarum scriptarum manu dicti Iacobi appulit in terra Spedie anno 1489 in principio dicti anni, post paucos dies tunc fingens se uelle transferre domum videlicet usque ad civitatem Luce et demum statiin reddere abiit recessit tunc ex loco Spedie absque licentia ipso- — 368 — rum et numquam postea redivit in maximum dammum et jacturam predicti chori nedum finiti et hoc dixit ex recordatu suo. Interrogatus de causa scientie dicti sui silicet quomodo et qualiter scit predicta respondit se scire predicta per ea que utsupra dixit et testificatus est quia interfuit et presens fuit et vidit. Super generalibus interrogatus recte respondit. f ea die et hora. Georgius de Clavaro qm. Dominici Trabuchi alius testis utsupra productus admonitus iuratus , interrogatus examinatus per me notarium infrascriptum super dicto capitulo eidem testi lecto de verbo ad verbum. Suo iuramento testificando dixit contenta in dicto capitulo fore et esse uera videlicet quod recordatu suo pluries se convenerat de anno 14S9 in principio dicti anni cum predictis Ni-cholao de Reduanis Iacobo de Conradinis et Gaspare Barbarubea tunc massariis dicte ecclesie Sancte Marie unaa cum dicto teste et'ordinatum conclusum et deliberatum fuit inter ipsos conducere dictum magistrum Franciscum de Marti de Luca in terra Spedie causa finiendi dictum eorum comittendo dicto Iacobo de Conradinis ut scriberet litteras ipsi magistro Francisco dirretivas et ita factum fuit. Qui venit stetit per aliquos dies in terra Spedie et demum se absentavit fingens prius ire debere'Lucam et demum subito revertere et cui promissum fuit pretium solupturum de die in die finiendo dictum chorum et facere illum cautum et securum in loco Spedie. Interrogatus de causa scientie dicti sui respondit se scire predicta per ea que utsupra dixit et testificatus est quia presens fuit et ordinavit et vidit predicta utsupra. Super generalibus interrogatus recte respondit. t ea die et hora. Gaspar qm. Petri Barbarubee alius testis utsupra productus citatus iuratus et admonitus interrogatus et examinatus per me iamclictum notarium ad eternam rei memoriam super dicto capitulo eidem testi lecto de verbo ad verbum ad eius claram intelligen-tiam. Suo iuramento testificando dixit contenta in dicto capitulo fore et esse uera suo bono recordatu dixit se scire videlicet quod multo-ciens fuit presens cohadunatus cum aliis sui consotiis massariis dicte ecclesie videlicet predictis Nicholao de Reduanis Iacobo de Conradinis et Georgio de Clavaro dicto tempore contento in dicto capitulo et per ipsos ordinatum et deliberatum fuit quod Iacobus de Conradinis pre-dictus per litteras suas significaret ipsi magistro Francisco de Marti de Luca qualiter accedere deberet ad terram istam Spedie causa finiendi laborerium chori predicte ecclesie sancte Marie in loco isto cum promissione satisfaciendi et faciendo debitum suum pro eo laborerio et ita virtute dictarum litterarum dictus Iacobus de eorum commissione emanata venit tunc, qui postea post paucos dies tunc temporis recessit absque licentia ipsorum fingens tamen prius ire et reddere statini. Interrogatus de causa scientiae dicti sui respondit se scire predicta per ea que utsupra dixit quia presens fuit vidit et audivit. Stiper generalibus interrogatus recte respondit. — 369 — Et de predictis dictus Baptista rogavit me notarium iam dictum et infrascriptum ut publicum conficiam instrumentum ad dittamen sapientium (?) substantia non mutata. Actum Spedie in carubeo ante apoteca mercium dicti M. Georgii presentibus Francisco qm. Antonij Verine Nicolao bereterio de Casana qm. Angelini ambobus de Spedia et Magister Baptista qm. Leonardi de Porta de Mediolano testibus ad hoc vocatis et rogatis et habitis. III. 1503, 18 giugno. Atto di notaio incerto di Arcola. In: Miscellanea Lunigianese Manoscritta della Bibl. Com. della Spezia, Tomo III, c. 23. Maestro Giuliano quondam Manfredi di Arcola, scultore, promette di fare un’ancona per la chiesa di San Nicolò di Arcola. Questo documento ha una singolare importanza perchè ci scopre un artista nuovo da assegnare alla Lunigiana, e permette di identificare una delle sue opere, che esiste tuttora nella sua integrità. Nell’atto non è detto per quale chiesa di Arcola dovesse scolpirsi 1’ ancona ; ma dal trovare fra i committenti due massari della chiesa di Santo Stefano, parrebbe naturale inferirne si trattasse di questa. Così infatti da prima avevo immaginato anch’io, e le mie ricerche furono iniziate in quell’antica pieve di Santo Stefano. Quivi, dietro l’altar maggiore, e sopra gli stalli del coro, è effettivamente murata una tavola in marmo; ma di dimensioni più piccole di quella commessa a Giuliano , e con le figure dei santi differenti. Nella parte alta in fatti, che termina in fastigio con una cornice a doppio cordone attortigliato di cattivo gusto, è intagliato un crocifisso di mezzo rilievo, e negli scompartimenti laterali due santi in ginocchio ; in basso è la Madonna sedente col putto , e San Giambattista e San Pietro, pure sedenti, ai due lati. L’altezza massima non arriva a due metri. Si tratta di un’opera di poco valore artistico quanto a scoltura , e di architettura del tutto deforme. — 37° — La tavola commessa a Giuliano doveva essere per la chiesa di San Nicolò, dove l’istrumento venne rogato , e dove in fatto si trova. In origine decorava l’altar maggiore; ma essendosi nel secolo XVIII rinnovato 1’ altare secondo la moda del tempo, l’ancona fu murata sopra gli stalli e coro, e rinchiusa dentro una cornice di legno dorato. Le dimensioni e gli scompartimenti sono quali ci vengono descritti nell’atto; la disposizione delle figure in alcunché variata , certo per ragioni estetiche suggerite dall artista stesso. In fatto, nel primo piano, la figura di Santo ^te-fano a fianco della Madonna è sostituita da Santa Margherita, e Santo Stefano ha preso posto nel tabernaco o superiore, dove, nello scompartimento mediano, e un busto del Cristo in mezzo rilievo al posto di una seconda figura della Madonna, come era stabilito nell’istrumento. Per questi mutamenti l’insieme del quadro si avvantaggia non poco, sia nel concetto della composizione, come nell armonia generale. Le figure escono da altrettante nicchie centinate, a volta decorata a conchiglia, divise da belle lesene di buono stile del rinascimento. Soprattutto mi sembrano notevoli per accuratezza di fattura e per espressione le due statue in alto rilievo della Madonna col putto e di Santa Margherita, e il bassorilievo del Cristo. In nomine domini amen. Anno a nativitate eiusdem Mcccccm indictione vj die xviij Iunij. Ad pacta infrascripta pervenerunt partes infrascripte hoc modo. Magister Iullianus condam Manfredi de Arcu habitator Carrarie promissit lohanni Picede, Franc.sco Frabertul., Peliegro Angelini, Gaspari Martini, Ritio Agostinelli, Castagnono condam Tome, Antonio Bernabovi condam Oliveri, et Io. Andree Costa omnibus de Arcula tamquam consiliariis dicte terre Arcule, nec non Io. Andree Pontremuli et Iohanni condam Blaxii tamquam massanis ecclesie beati Santi Stefani de Arcula, et similiter Io. Filipo condam Bernabovis et Io. Dominico condam Stefanini de ^ lice habitatori Ardile. tamquam massarijs hospitalis, Luciano Visdomini massano con-sorcii. et similiter magistro Simoni condam Dominighim , magistro Antonio Angelini et Io. Filipo infrascripto tamquam de consilio con-sorcij omnibus de Arcula suis propriis nominibus et nomme et vice totius universitatis Arcule pro qua suprascripti omnes promisserunt etc. videlicet ipse magister Iullianus promisit utsupra facere tabulam unam marmoream cum tribus figuris primo in medio nostram domi- ~ 371 — nam, ab uno latere sanctum Nicolaum ab alio sanctum Stefanum. Que figure sint et esse debeant per altitudinem parmorum sex. Item superius tabernaculum unum etiam cum nostram dominam. Item ab uno latere penes nostram dominam sanctam Margaritam et ab alio sanctum Barthollomeum. Que figure sint et esse debeant alte parmi tres. Item superius in capite dicte tabule facere teneatur deum patrem. Que tabula sit et esse debeat larga parmi novem et alta parmi xiijm. # Versavice infrascripti nominati Iohannes Picede, Francisco Fraber-tuli et socijs promisserunt imfrascripto magistro Iulliano pro remune-ratione dicte tabule id quod sententiatum fuerit per unum vel duos magistros de arte elligendos per partes de communi concordia, aut infrascripti nominati stabunt dictu et iuditio infrascripti magistri Iulliani, aut infrascriptus' magister Iullianus stabit dictu et iuditio suprascripto-rum lohannis, Francisci et sociorum nominatorum utsupra, prout melius dicte partes erunt de acordio. Qui magister Iullianus impresentia mej notarii et testium infra-scriptorum fuit contentus et confessus habuisse et recepisse a supra-scriptis nominatis ducatos xij auri ad libras iij et s. x pro ducato infra solutionem solvendam et tassandam utsupra. De quibus ducatis xij auri in casu restitutionis vult ipse magister Iullianus dictos nominatos esse cautos et securos supra omnibus eius bonis habitis et habendis. Et teneatur ipse magister Iullianus dare et consignare dictam tabulam completam et ornatam et fulcitam suprascriptis nominatis infra annum unum proxime venturum. Promittentes etc. Sub etc. Item refiicere etc. Pro quibus etc. Actum Arcule in ecclesia beati sancti Nicolai presentibus Antonio condam Dominici Coste et Bertono filio Io. Donati omnibus de Arcula testibus ad hec vocatis etc. IV-V. 1511, 15 novembre. Atto di Ser Pietrobono qm. Guglielmo Conturla di Tivegna notaio della Spezia. In Misceli Spezziìia ms. della Bibl. Com. della Spezia, tomo II. 151*2, 24 aprile. Atto dello stesso, in Miscellanea c. s. Frate Andrea da Firenze dell’ordine dei Servi di Maria promette ai massari della chiesa di Santa Maria della Spezia di fare le vetriate per le finestre e per la rosa della facciata della chiesa stessa, e di dipingerle come i massari prescrivono (i.° atto). Lo stesso frate Andrea rilascia quietanza ai massari della — 372 — chiesa di Santa Maria dopo aver ricevuto il pagamento dell’eseguito lavoro (2.0 atto). Le vetriate dovevano esser fatte non sólo per la rosa e le finestre della facciata della chiesa, ma anche per le finestre della sacrestia; dovevan essere di vetro « quadrato, puro, lucido et pulcro », del valore di almeno cinque soldi di Genova al palmo; « cum suis convenientibus circulis depictis », con le verghette di ferro e le graticole di rame ; e portare una figura della Madonna nella vetriata del rosone centrale, e de’ Santi Pietro , Paolo e Giovanni nelle altre finestre, cioè nelle due della facciata, e in quella della sacrestia. E quasi inutile aggiungere che di questi vetri colorati non si serba neppure un frammento , e che se n’ era perduto anche il ricordo. Di frate Andrea da Firenze , come pittore di vetriate, non credo si conservi memoria. Si trova un frate Andrea da Firenze dell’Ordine de’ Servi di Maria, che nel 1476 nel suo convento dell’Annunziata di Firenze scriveva e miniava i libri corali di quella chiesa (1) ; e non è cosa improbabile che si tratti di una stessa persona con l’omonimo che molti anni dopo operava sul vetro. In nomine domini amen. Anno a nativitate eiusdem millesimo quingentesimo xi°. Indictione xiïïi die decima quinta novembris. Ad infrascripta pacta et conventiones pervenerunt ac inter se pervenisse fatentur partes infrascripte videlicet Antonius quondam Anto-nelli, Jeronimus Seienella q.m magistri Lazarini, Iacobus de Riparolio q.m Io. Andree et Ser Nicolaus de Casavechia q.m [lacuna] burgenses Spedie et Massarii ut asserunt Eclesie Sancte Marie de Spedia ex parte una, et Venerabilis frater Andreas de Florentia ordinis Servorum ex parte altera. Dictus enim frater Andreas sponte et ex certa sui scientia mera ac libera voluntate et non per errorem aliquem juris vel facti per se her-redes et successores suos promissit et convenit se que solemniter obligavit dictis massariis ibidem presenlibus etcetera , facere ac bene et dilligenter ponere et adaptare super fenestra rotunda existente in faci^ (1) Cfr. Il santuario della Santissima Annunziata di Firenze , guida storico illustrativa compilata da un religioso dei Servi di Maria [Pellegrino Tonini], Firenze, 1876, pag. 78. — 373 — anteriore ac super omnibus et singulis alijs fenestris eminentibus murorum tam eclesie pradicte quam sacrastie eiusdem vitreatas omnes ex vitro quadrato puro lucido et pulcro valloris ad minus soldorum quinque Janue pro singulo palmo secundum iudicium duorum proborum virorum huiusmodi negocii expertorum et ad hoc per partes el-ligendorum, cum suis convenientibus circulis depictis cum virgulis ferreis et graticulis ex ramo ac aliis in similibus necessariis et fieri consuetis, et cum una figura Beate virginis Marie in medio vitreate fenestre rotunde predicte et cum tribus alijs figuris sanctorum Petri Pauli et lohannis imponendis super aliquibus aliis fenestris arbitrio dictorum massariorum. Que quidem omnia et singula predicta idem venerabilis frater Andreas teneatur et debet et sic solemniter se se obligando promissit dictis massarijs presentibus etcetera, facere complere et finire omnibus expensis fratris Andreae hinc ad medium mensem Ianuarii proxime venturi sine exceptione vel contradicione aliqua. Renuncians, etcetera. Et e converso predicti massarij per se eorum que successores in dicta massaria promisserunt et convenerunt se que solemniter obligaverunt ac confessi sunt et confitentur dare et solvere debere dicto venerabili fratri Andree ibidem presenti etc. Libras nonaginta Janue monete currentis in Spedia pro mercede et precio vitreatarum et seu operis et laborerij predicti ex qua quidem summa dicti massarii exnunc dederunt solverunt et numeraverunt dicto venerabili Fratri Andrea presenti et ad se trahenti libras quadraginta auri monete predicte in scuttis novem auri solis in moneta argenti et in petachis videntibus me iam dicto notario et testibus in-frascriptis infra solucionem summe predicte. Et quia idem venerabilis frater Andreas pecierat et requisiverat pro mercede huiusmodi operis et laboreii libras centum et decem Ianue monete predicte, ideo fuit solemniter conventum inter dictas partes quod a dictis libris nonaginta utsupra promissis usque ad dictam summam librarum centum et decem utsupra requisitarum stetur et stari debeat per ambas partes et sic stare promisserunt iudicio sentencie et exclaratione proferende per Magistrum Antonium de Lecho et Baldas-sarem de Redoano q.m Pauli, exnunc ellectos et de acordio asumptos per ambas partes predictas ad iudicandum decernendum et utsupra exclarandum super dicto suprapluri librarum centum et decem predi-ctarum et etiam super tribus figuris predictis sanctorum Petri Pauli et lohannis, completo et facto opere et laborerio predicto. Renuntiantes etc. Que omnia etc. Promisserunt etc. Sub pena ducatorum decem auri et in auro auferendorum parti contrafacienti et aplicandorum observanti. Que pena etc. Item refficeret etc. Cum extracione presentis instrumenti. Acto enim per pactum inter dictas partes solemniter conventum et expressum quod illa pars que predicta non adimpleverit in totum vel — 374 — in parte possit et valeat realiter et personaliter conveniri detineri ar-restari et incarcerari Ianue Sarzane Spedie Pisis Florentie Rome et ubique locorum. Renunciantes etc. Etiam quibuscumque salvis etc. Et pro dicto venerabile fratre Andrea eius precibus et mandato intercessit et fideiussit Tomaxinus q.m Lamorati de Portu venere. Qui promissit etc. Sub etc. Renuncians etc. Ouem Tomaxinum idem venerabilis frater Andreas et dominus presbiter Bernardinus ipsius Tomaxini frater et uterque eorum in solidum promisserunt conservare indemnem et penitus sine danno a fideiussione predicta. Pro quibus omnibus etc. Obligaverunt etc. Renunciantes etc. Actum Spedie in scriptorio mej notarij infrascripti presentibus Francisco Retumbella q.m Pauleti et Iohanne bambaxario q.m Andreae bur-gensibus Spedie testibus. In nomine domini amen. Anno a nativitate eiusdem millesimo quinquagesimo xii°. Inditione xv.a die vigesima quarta aprilis. Suprascriptus dominus Frater Andreas confessus fuit habuisse et recepisse a massarijs Sancte Marie predicte libras centum triginta iuxta sententiam latam etc. pro omni eo et toto quod et quantum habere et recipere debeat a dictis massarijs pro laborerio vitreatarum et sic vocavit et vocat se bene pagatum a dictis massarijs presente Antonio Antoneli uno ex massarijs predictis acceptante etc. Et e converso idem Antonius dictis nominibus vocavit et vocat se bene servitum et contentum a dicto venerabile domino fratre Andrea presente. Et sic ad invicem finem et liberacionem fecerunt de omni eo et toto etc. Mandantes instrumentum contrascriptum cassari etc. In scriptorio mei notarii infrascripti presentibus Neroxino Burbo-tono q.m Matei et Galeacino Pareto q.m Antonij burgensibus Spedie testibus. VI. 1512, 30 agosto. Atto del notaio Bonromè q.m Ser Antonio Landinelli di Santo Stefano di Magra. In Miscellanea Lunigianese Manoscritta della Bibl. Com. della Spezia, tomo V. Pietro del fu Matteo Casoni di Torano, villa di Carrara, avendo avuto incarico dallo scultore fiorentino Domenico Alessandri di fare il pavimento in marmo di Carrara per — 375 — una chiesa di Granata in Ispagna, contratta società con Nicolò, detto Bevilacqua, del fu Antonio Noceto~di Noceto, villa di Carrara, per eseguire il lavoro. Alcune notizie intorno a Domenico Sandri fiorentino , che il nostro documento chiama troppo modestamente « scarpelino », aveva già dato il Milanesi in una nota all’autobiografia di Raffaello da Montelupo. Da quelle si sapeva ch’egli è l’autore del magnifico sepolcro del principe Don Giovanni nella chiesa di San Tommaso d’Avila, e che era stato scelto nel 1518 a scolpire un sontuoso mausoleo nella chiesa del Gran Collegio di Sant’Idelfonso per il cardinale don Francesco Ximenes de Cisneros arcivescovo di Toledo, ma che morì prima di aver posto mano a questo lavoro (1). S’ impara ora dall’ istrumento che egue come il Sandri fosse propriamente nativo di Settignano , e che assai prò* babil mente lavorò di scoltura anche in Granata. Qual fosse la chiesa di Granata per la quale il Sandri operava, e i due soci carraresi dovean fare il pavimento, non è chiarito dall’atto; non certo la cattedrale, alla quale fu messo mano soltanto parecchi anni appresso. In nomine domini amen. Anno a nativitate eiusdem Mcccccxij Indictione xii die penultima mensis augusti secundum cursum et consuetudinem terre Carrarie diocesis Sancti Frediani de Lucha. Petrus quondam Mathei Casoni de Torano villa Cararie habitator et borgensis Cararie habens modum viam et ingenium ac ellectivum partitum a magistro Domino Sandri scarpelino de Setignano villa Flo-rentie ad fatiendum quodam stregatum marmoreum pro quada[m] ecclesia in terra et pertinentiis Granate districtus et dominationis inclitissimi et cristianissimi regis hispani : et non habens ad presens de se et per se posse solum suplere ad talle partitum capiendum pro dicto stregato capiendo et fatiendo utsupra, idcirco suprascriptiis Petrus constitutus coram me notario et testibus infrascriptis non vi non dolo non moetu sed sponte suoque proprio motu apensate et etiam ipsius animi certa scientia et deliberatione ad dictum stregatum confidendo et ipsius operam com dicto et a dicto Dominico accipiendam et solempniter afirmandam posuit secum et ponit Nicholaum alias Be- (1) Le vite dei più eccellenti pittori , scultori e architetti di Giorgio Vasari, Firenze, 1852, vol. Vili, pag. 193, n. 4. — 37$ — vilaqua q.m Antonij Nuceti de Nuceto villa Cararie habitatorem terre Cararie presentem et acceptantem pactis et conditionibus infrascriptis solempniter inter ipsos afìrmatis ut infra et primo quod dictus Nicho-laus per se et suos heredes promissit et convenit dicto Petro presenti et stipulanti prò se et suis heredibus ire semper et quando acciderat Florentiam et in Hispaniam ad stregatum confidendum et paciscendum com quacumque et quibuscumque persona et personis cuiusvis gradus status et conditionis existant tam pro dicto stregato quam pro alia quaeque re fatienda in dictis pertinentis Hispanie nec non etiam in aliis pertientiis ultra civitatem Ianue versus Hispaniam. Itemque promissit et convenit infrascriptus Nicholaus per se et suos heredes dicto Petro presenti acceptanti et stipulanti pro se et suis heredibus consignare et redere bonum justum et rectum computum de omni et quacumque re raubis et denariis que ad manus eius predicta occaxione pervenerint. Itemque actum est inter ipsos solempnibus stipulationibus hinc inde intervenientibus per pactum expressum quod semper et quando supra-scriptus Nicholaus predicta occaxione staret in dictis pertinentijs Hispanie et Granate et in omnibus alijs quibuscumque locis ultra Januam versus Hispaniam ultra menses tres pro ista vice tantum quod dictus Petrus teneatur et debeat ultra dictos tres mensem contribuere pro parte sua dicto Nicholao pro jornatis suis amitendis pro quolibet mense ducatum unum auri. Quam sotietatem voluerunt dicte partes duraturam esse per spatium annorum decem proxime futurorum. Renuntiantes dicte partes etc. Promitentes etc. Sub pena ducatorum centum pro quolibet eorum apli-candorum in casu contrafationis parti observanti totiens quotidiens etc. Qua pena soluta vel non etc. Item reficere etc. Pro quibus etc. Obligaverunt sibi ad invicem omnia eorum bona presentia et futura. Insuper actum est inter ipsos quod semper et quando in dicta eorum sotietate vellet intrare Sandrinus q.m Francisci Pedrinzoni de Cararia et Antonius q.m Pelegrini Casoni de Cararia quod modis formis pactis et conditionibus suprascriptis possint et valeant esse participes in dieta sotietate. Iurantes dicti Petrus et Nicholaus predicta omnia et singula atendere etc. Actum Cararie in domo residentie dicti Petri presentibus Iacopo qm. Bertolini de Sorignano villa Cararie et Andrea q.m Botari de Co-dona villa Cararie et Antonio q.m Menchi Cechanti de Bedizano villa Cararie testibus ad hec vocatis etc. — 377 — VII-Vili. 1579, 6 agosto. Atto di Francesco Podenzana. In Miscela scella?tea Spezzina Manoscritta della Bibl. Com. della Spezia, tomo II. 1580, 24 marzo. Atto c. s. Giorgio quondam Bernardino Scala Carona di Carona nella valle di Lugano , e Battista di Andrea Aprile dello stesso luogo, « magistri fabri » , promettono a Nicolò Ba-liardo di scolpirgli in marmo di Carrara « ornamentum u-num » da mettere nella cappella dei Baliardi nella chiesa di Sant’Ag'ostino della Spezia (i.° atto). Gli stessi maestri rilasciano al Baliardo la quietanza del pagamento. (2.0 atto). Il lavoro di questi due artisti lombardi fu eseguito alla Spezia , dove essi avevano bottega, come appare dal secondo dei due istrumenti. E però probabile che altri la-vori dovuti al loro scalpello si trovassero una volta in quella o in altre chiese, ora soppresse, della città. Adesso non esiste più nulla. Il convento e la chiesa di Sant’Ago-stino, soppressi nel 1797, servirono dapprima per sede delle scuole pubbliche, poi ad uso di quartiere militare. Ultimamente la chiesa fu del tutto trasformata per ridurla ad aula del Tribunale militare marittimo , e quanto vi si trovava di scolture, lapidi ed altari, venne disperso. I nomi dei due artisti di Carona non sono nuovi per la storia dell’ arte. Un fratello del primo , Pietro Angelo della Scala figlio di Bernardino , lavorò in compagnia di suoi conterranei al monumento del vescovo d’Avila incominciato dall’Ordones in Carrara (1), ed egli stesso ed altri della famiglia in Genova (2). Il secondo appartiene pure ad una famiglia di scultori della valle di Lugano : dagli (1) Campori, op. cit., p. 307. (2) Notizie dei professori del Disegno i?i Liguria dalle orìgini al secolo XVI, opera di Federico Alizeri , Genova, 1877, Vol. V, Scultura, pp. 20, 24, 54, 70, 71, 75, 104. Giorn. St. e Leti, della Liguria. 26 spogli Frediani che servirono al marchese Campori per compilare gran parte del suo libro, si ricava che parecchi della famiglia Aprile lavorarono in Carrara nel sec. XVI (i); fra i quali un Battista di Carona , che non può essere il nostro perchè figlio di Pietro , e un Andrea che potrebbe essere il padre del nostro Battista, ma che e chiamato, nell’atto che lo ricorda, semplicemente « Magistro Andrea de Carona ». (2). In nomine domini amen. Anno a nativitate eiusdem 1579 ? Indictione 7.a die vero 6.ϋ augusti. Ad infrascriptam compositionem , et acordium pervenerunt partes infrascripte videlicet magister Georgius quond. Bernardini Scala Corona de Carona vale de Lugano territorio de Svizeri et Magister Baptista Andree de Aprille de dicto loco Carone fabri in Spedia ex ima et d. Nicolaus Baliardus quond. d. Francisci de Spedia ex alia. Hinc est quod dicti duo magistri se obligant et promittunt insolidum construere, et fabricare dicto d. Nicolao presenti ornamentum unum marmoreum marmoris albi de Carraria polito conformis desegno de altezza, larghezza et altre cose contenute et annotate in detto desegno, qualle resta appresso del detto m. Nicolao et metterlo in lavore , et accomodarlo in lavore in tal’ modo che stij bene , et meterlo in la chiese di Santo Agostino in la Spezza in la capella delli Bagliardi e tutto a spese delli detti doi maestri, et debbano haverlo fatto, et accomodato per tutto il mese di Genaro prossimo, et il qual m. Nicolao predetto aceptando se obliga, et promette dare, e pagare alli detti doi maestri, presenti, o qual* si voglia de loro lib. ducento moneta di Genova in questo modo videlicet .L. 50 fra giorni quindeci prossimi, et L. 50 condutto che saranno li marmori in la Spezza, et L. 100 finito 1’ opera, e posta in lavore, ogni eccettione remota. Renontiando ogni exceptione etc. Et non pagando detti denari in tempo che detti doi maestri possino pigliare detti denari da qual si voglia persona a cambio e recambio, et con danno spesa et interesse del detto m. Nicolao , et si debbia stare a parola delli detti doi maestri. Et non facendo detta opera et non metendola in lavore che detto m. Nicolao possi farla fare a danni spese et interesse delli detti doi maestri et de ogni cosa se debbia stare a simplice parola del detto M. Nicolao. Renunciantes etc. Et predicta omnia etc. Sub pena dupli. Que pena etc. Item refficere etc. Ratis etc. Et cum extractione instrumenti. Pro quibus etc. Et obligant etc. (1) Op. cit., pp. 269, 272-73, 344, 346, 350-51» 353· (2) Op. cit., p. 270. Cfr. anche per l’opera degli Aprili in Genova ΓΑ-LizERi cit. a pp. 70, 71, 73, 78, 85, 88, 89, 85, 97, ior, Γ04. — 379 — Et pro dictis duobus magistris intercedit et fideiubet ,d. Augustinus Oppecinus d. Bernardi de Spedia , qui etc. et quem indemnem dicti duo magistri conservare promittunt. Renunciantes etc. Pro quibus obligant etc. Actum Spedie in appoteca dicti Bernardi Oppecini presentibus d. P. Io. Antonio Scalabarcono de Spedia et Paulo Oppecino testibus. In nomine domini amen. Anno a nativitate eiusdem 1580 Indictione 8.a die 24 martii. Suprascripti magistri Georgius et Baptista sponte habent et recipiunt a dicto d. Nicolao presenti libras quinquaginta Nicolao me notario et testibus infrascriptis videntibus exbursari per dictum d. Nicolaum et acipi per dictos magistrum Baptistam et Georgium, que L. 50 sunt pro resto et complemento librarum ducentum conventarum in supradicto instrumento. Renuncians exceptioni etc. Quitans etc. Promittens etc. Pro quibus obligant quitantes etiam dictum d. Nicolaum ab omnibus expensis factis quia dictum d. Nicolaum computato salario procuratoris, occasione predicta de qua in dicto instrumento et pro ut in actis Curiae, attenta solutione facta. Pro quibus etc. obligat etc. Actum Spedie in appoteca dictorum Magistrorum presentibus magnifico domino Iohanne Lolio de Spedia et Iohanne Antonio de Fran-ceschino de Quaratica testibus. IX-X-XI. 1581, 23 aprile. Protocollo del notaio Stefano Tubino. Archivio di Stato di Genova, Filza 15. 1581, 29 agosto. Protocollo c. s. e copia autentica in Miscellanea Spezzina ms. della Bibl. Com. della Spezia, tomo II. 1581, 5 settembre. Atto di Gio. Pietro Rocca , in Miscellanea c. s. Cesare Corte pittore genovese promette a Nicolò Ba-liardo della Spezia di terminargli una tavola con la resurrezione di Cristo già cominciata dal pittore Francesco Devoto, da collocare in una cappella della chiesa di Sant’A-gostino. (i.° atto). Cesare Corte costituisce procuratore suo fratello Mar- - 38ο — c’Antonio per esigere dal Baliardo la rimanenza del prezzo stabilito per Γ ancona (2.0 atto). Marc’ Antonio Corte rilascia quietanza a F rancesco Baiardo (3.0 atto). Questo lavoro è collegato col precedente : la tavola commessa al Corte doveva far parte della decorazione della stessa cappella per cui avevan lavorato i due artisti lombardi. Il nome del pittore Francesco Devoto, artista certamente ligure, come indica il nome, credo sia finora sconosciuto alla storia dell’arte genovese. L’interruzione dell o-pera già inoltrata dovette avvenire per la morte dell artista , e non per altra cagione , perchè , come resulta dal primo degli atti che seguono , 1’ ancona « iam inceptam » fu consegnata al Corte non dal pittore che 1 aveva cominciata, ma dal ftatello Giovanni Maria Devoto. Di Cesare Corte non occorre far parola : è il ben noto artista genovese, della famiglia pittorica pavese dei Ctcrte, figlio di quel Valerio , che , nato in Venezia , e stabilitosi in Genova, dove si ammogliò, fini miseramente la propria vita in prigione , condannato a carcere perpetuo da quel tribunale dell’inquisizione per le dottrine eretiche che s era dato a professare (1). Anche questo quadro della Resurrezione , dovuto al pennello di due artisti genovesi, è andato disgraziatamente distrutto, o, quanto meno, smarrito. 1581, 23 aprilis. In nomine domini amen. Cesar Curte quond. D. Valerii sponte etc. et omni modo etc. Promissit et promitit D. Nicolao Baiardo q. Francisci de Spedia presenti et acceptanti etc. perficere et complere in totum manu sua propria et non aliena manu cum suo ornamento anchonam resurrectionis domini nostri Iesu Xti iam inceptam per Franciscum Devotum ipsi Cesari traddita et consignata causa eam complendi et perficiendi per Io. Mariam Devotum fratrem dicti Francisci nomine tamen dicti Nicolai iuxta modellimi factum de quo fuerunt facte due forme una quarum dictus Cesar tradidit et consignavit ad presentiam meam notarii et testium infrascriptorum dicto Nicolao, altera vero remansit penes ipsum Cesarem, bene et dilligenter intra et per totum mensem maij proxime venturum anni presentis. Impensa de omnibus necessariis ipsius Cesaris et dicto opere con- ili Cfr. Spotorno, Storia leit. d. Liguria, IV. pag. 214 sg. — 38 i — structo et perfecto bene et dilligenter iuxta dictum modellum intra dictum mensem maij conduci et deferri facere ad locum Spedie et dictam anchonam per personam idoneam poni facere in capellam instituta in ecclesia sancti Augustini et hoc etiam impensa ipsius Cesaris salvo semper dei et maris iusto impedimento cum declaratione quod ipse Cesar non teneatur se transferre ad dictum locum Spedie omni exceptione et contradictione remota. Ex adverso dictus Nicolaus acceptando φ predicta sponte etc. promissit et promitit predicto Cesari presenti et acceptanti eidem Cesari dare et solvere pro dicto opere et occasione predicta scuta quadraginta octo auri in auro de libris quatuor moneta Ianue prò quolibet scuto in soluptione quorum ex nunc dictus Cesar habuit prout fatetur a dicto Nicolao per manus dicti Io. Marie devoti libras quinquaginta Ianue........... Insuper Rev.dus D. Augustinus Guernerius de Spedia nomine et vice fratrum dicti monasterii S. Augustini sponte promissit dicto Nicolao presenti etc. quod ipse Nicolaus non molestabitur nec a Rev.do episcopo lunensis Sarzanensis diocesis nec ab agentibus pro predicto monasterio occasione predicti operis et capelle, etc. Actum Ianue in via nova subtus ecclesiam Sancti Francisci. In nomine Domini amen. D. Cesar Curte qm. D. Valerij pictor sponte et omni modo fecit constituit et solemniter ordinavit suum verum certum nuntium et legitimum procuratorem et alias prout melius de iure fieri et esse potest et loco ipsius potuit D. Marcum Antonium de Curte eius fratrem absentem tanquam presentem specialiter et expresse ad nomine ipsius constituentis et pro eo habendum petendum recipiendum recuperandum et exigendum a D. Nicolao Baiardo qm. D. Francisci de Spedia scuta viginti tria auri in auro Ittalie de libris quatuor singulo scuto sibi constituenti debita per dictum D. Nicolaum pro resto scutorum quadraginta octo occasione contenta in instrumento celebrato inter dictas partes scripto manu mea notarij infrascripti anno presenti die xxii.i aprilis cui habeatur relacio et ipsis scutis viginti tribus habitis et receptis pro eis dictum Nicolaum quitandum liberandum et absolvendum. Et pro premissis unum instrumentum et plura et tot quot opus fuerit fieri et confici mandandum unius seu plurium notariorum. Et demum etc. Dans etc. Promitens etc. Sub hipoteca etc. De quibus omnibus etc. Actum Ianue in contracta Beate Marie de Vineis ad apotecam An-tonij de Castello sutoris anno Dominice nativitatis Mdlxxxj Indictione octava secundum Ianue cursum die martis xxviiij Augusti in tertijs presentibus testibus dicto Antonio Castello sutore qm. Petri et Accino Silvano seaterio ad premissa vocatis et rogatis. — 3^2 — In nomine domini amen. Anno a nativitate eiusdem millesimo quinquagesimo octuagesimo primo indictione nona die vero quinta mensis septembris. D. Marcusantonius Curte qm. D. Valerij pictor civis Genue procurator D. Cesaris eius frater vigore sui mandati die 29 augusti proxime preteriti subscripti Stefanus Tubinus notarius in Ianua visi et lecti per me notarium infrascriptum cum bailia quitandi sponte per se et suos heredes dicto nomine confessus fuit et confitetur* se ipsum habuisse et recepisse pro ut in veritate habuit et recepit a D. Nicolao Baiardo qm. d Francisci de Spedia presente et acceptante libras nonaginta duas Genue in scutis viginti duobus auri in auro et residuum in monetis· me notario et testibus presentibus et videntibus exbur-sari per dictum d. Nicolaum recipi et imbursari per dictum d. Marcum Antonium. Que L. 92 sunt pro ressiduo et complemento scutorum quadraginta octo occasione contenta in istrumento inter dictas partes celebrato manu dicti notarij die 23 aprilis proxime preteriti quod instrumentum dicte partes de acordio cassant eo quia dictus Marcus Antonius dicto nomine est solutus integre et satisfactus et dictus D. Nicolaus pariter ab eo dicto nomine est satisfactus pro contentis in dicto instrumento et sic vicissim et hinc inde re se quitant et fatentur. Renuntiantes etc. Ouitantes etc. Promittentes etc. que omnia etc. Sub pena dupli. Qua pena etc. Item refficere etc. Cum extractione instrumenti. Pro quibus etc. obligaverunt hinc inde etc. Actum Spedie in scriptorio mei notarij presentibus Baptista Rinal-dino qm. Iacometi et Iohanne Francisco Puteo filio Stefani ambobus de Spedia testibus etc. Ubaldo Mazzini. AUTOBIOGRAFIE DI ILLUSTRI LUNIGIANESI i. GIOVANNI ROSSI. Nella prima metà del secolo scorso quattro lunigianesi, presa stanza a Parma, vi trovaron fortuna, levando alto il nome per l’ingegno e gli studi. A tacere dell’ab. Francesco Cherbi di Pontremoli, che dettò la storia di quella Diocesi (i); un altro pontremolese , Giambattista Niccolosi, si (i) Cherbi F. Le gi'a,7idi epoche sacre diplomatiche cro7iologiche C7 i-tiche della Chiesa vescovile di Par7)ia, Parma , Carmignani, i^35“39 5 tre voi. in-8.° — 3&3 — segnalò nella magistratura, ebbe amore alle lettere, fu stimato e lodato da Pietro Giordani ; il dott. Lorenzo Molossi, di Pontremoli aneti’esso, rese a Parma il servizioedel quale un altro lunigianese, Emanuele Repetti di Carrara, fu largo alla Toscana, dandole , con pari bravura, un dizionario storico e geografico (i); il sarzanese Giovanni Rossi, primo tra’ chirurghi d’Italia del suo tempo , mantenne e accrebbe la rinomanza e la fama dell’Università parmigiana , allora molto fiorente. Conta esso cinque biografi. Lui vivente, ne scrisse la vita Ignazio Cantu (2); morto , tornarono a tesserla Gherardo Freschi (3), Zaccaria Biagi (4), Carlo Cugini (5) e Giambattista Janelli (6) ; in suo onore compose tre epigrafi Enrico Adorni (7); ne disegnarono 1’ effigie e la incisero col bulino L. Sivalli e G. Nardini (8). (1) Molossi L. Vocabolario topografico dei Ducati di Parma, Piacenza e Guastalla, preceduto da cenni statistici e susseguito da un’appendice, Parma, Tipografìa Ducale, 1832-34; in 8.0 di pp. LIX-634, con la carta corografica dei Ducati e tre tavole. Marmale topografico degli Stati Parmensi, Parma, Tipografia Reale, 1856 ; in-8.° di pp. XXVIII-194. Della Provincia della Lunigiana parmense cenni storici; in La Stagione, rassegna mensile, Parma, Carmignani, 1858, fase. 2, 4 e 5. (2) Cantù I. Giovanni Rossi; in L} Italia scientifica contemporanea , notizie degl' italiani ascritti ai primi cinque Congressi, attinte alle fonti più autentiche, Milano, Stella, 1844; pp. 88-90. (3) Morte del prof. Giovanni Rossi di Parma, cenni letti dal socio Freschi alla R. Accademia medico-chirurgica di Torino nella tornata del 3 giugno i8 7· (2) Cfr. per questa questione: Bertrard, L’ameniutn et la cateia cit., pag. 105-108; Grenier, L’armement des populations viltanoT/iennes, in Réz\ Arc h,, 1907, I, pag. 11-17. (3) Bertrand, op. cit., pag, 105. 14) Cfr. Zannoki, La foncfèfia di Bologna, ivi, 1SS8, taw. II-XXIV. (5) Bertrand, L* amentum et la cateia cit, tav. III. (6) Gli scavi della Certosa di Bologna descritti ed illustrati da Antonio Zannoni, Bologna, 1876, tav. XXXV, fig. 7. — 413 — abbiano tramandato gli storici circa i costumi dei Liguri, e non frequenti siano i monumenti superstiti di questo po polo , pure e le une e gli altri sono sufficienti per escludere che si tratti di essi. In numerosi punti della Riviera di Levante , della Lu-nigiana, della stessa Valle di Magra, che ci ha dato queste stele, molti sepolcri di gente ligure vennero in luce in diversi tempi, e tutti ci rivelano che, se quelle popolazioni, due o tre secoli innanzi all’ era volgare , prima di essere attratte nell’ orbita romana, avevano abbandonato Γ antica barbarie de’ loro tempi preistorici, partecipando in certa misura alla civiltà che fioriva a Villanova, a Bologna, a Golasecca e nel Lazio (i) , non ebbero però comuni con i Celti i costumi e l’armatura (2). E le nostre stele, sebbene siano state trovate tutte fuori del loro posto di origine, cioè non più vicine ai relativi sepolcri, e manchino perciò al nostro studio i preziosi elementi che ci offrirebbero il rito di seppellimento e, se vi fu , la suppellettile funebre ; pure bastano di per sè stesse a provarci che non si possono attribuire alla stessa gente che ha lasciato i suoi resti e le sue armi nella necropoli di Cenisola, a brevissima distanza da esse, e nelle numerose tombe sparse nel territorio circostante (3). (1) Cfr. Arturo Issel, Liguria Preistorica, in Atti della Società Ligure di Storia Patria, vol. XL, 1908, pag. 594. (2) Vedi : Paolo Podestà , Sepolcreto ligure di Cenisola, in Notizie degli scavi, 1879, PP* 295-309, tavv. VIII-IX; Id. Ameglia, Tomba in terreno del prof. Paci, ivi, 1886, pp. 114-117; Id. Di un sepolcro antichissimo scoperto nel territorio del Comune di Ameglia, ivi, 1890. pp. 368-370; Id., Bolano, Sepolcreto, ivi, 1881 , pp. 559 sg.; Id., Ceparatia, Sepolcreto, ivi, 1S82, pp. 406 sg.; Id. Monterosso al Mare, ivi, 1882, pp. 405 sg.; Id. Vernazzc, Sepolcro sul Monte Croce, ivi, 1883, pp. 219 sg.; Id. Vi ara, Sepolcro, ivi, 1883, pp. 220 sg.; Id. Tresana} sepolcri in Barbarasco, ivi, 1884, pp. 95 sg.; Id. Di un monile d’oro scoperto in una tomba di Ameglia , in Giornale Ligustico, XIV, pp. 395-399Î Id. Sepolcro ligure scoperto in A-meglia, ivi, XVIII, pp 139-146; Arsenio Crespellani , Tombe Liguri di Massa Lunense, in Atti e Memorie della R. Deputazione di Storia Patria per le Proz’incie Modenesi. Serie IV, voi. Λ II, pp. 239-248, taw. I, II, III; Ubaldo Mazzini, Una nuova tomba ligure in Giornale storico e letterario della Liguria, IX, 1908, pp. 105-109. (5) Le tombe liguri di Cenisola, a cassetta, richiuse in una maceria di — 414 — Repugna maggiormente riferire i nostri monumenti al popolo etrusco, non offerendo alcun punto di contatto con i costumi, le armi e , soprattutto, con 1’ arte tuscanica. E bensì vero che il Micali, nel riconoscere per il primo nel cippo di Zignago un monumento funerario , ebbe a dire che « consueta è la forma etrusca del monumento » (1) ; ma chi esamini le due pietre con le quali egli intese in-stituire il confronto (2), non potrà non riconoscere le essenziali differenze che corrono tra esse ed il nostro monumento, sia per la forma come per l’ufficio loro, non essendo in fatti monumenti isolati, ma lapidi poste a chiudere ingressi di sepolcri. Con ragione invece il Corssen affermò che il nostro cippo « si scosta' manifestamente dalle altre forme di pietre mortuarie etrusche » (3). Nè può tenerci in dubbio il fatto che l’epigrafe del cippo nostro è scritta di caratteri etruschi; giacché abbiamo veduto non solo quale incertezza abbia sempre regnato tra i filologi a questo proposito , tanto che il suo contenuto non ha permesso finora giudizi decisivi ; ma come in essa siano stati intraveduti dall’ Orioli elementi celtici. Caso, del resto, non nuovo nè solo, perdurando tuttavia grande incertezza a riguardo di altri monumenti epigrafici che furon da prima ritenuti per etruschi ; quali, ad esempio, alcune iscrizioni della Valtellina e dell’alta Lombardia, che il Pauli aveva chiamato nord-etrusche, e che ora oscillano tra i liguri e i galli. Così pure nelle epigrafi recentemente scoperte a Giubiasco e ritenute liguri per il luogo del travamento, l’Herbig trova invece « una costruzione grammaticale indo-germanica, una radice spesso celtica, un territorio ligure », e si domanda: « Perchè mai in terre liguri pietre, erano sormontate da una rozza stele a piramide, o più tosto grosso ciottolo appuntito, senza alcuna traccia di lavorazione; messo quindi unicamente a segnare il sottoposto sepolcro, non a rappresentazione della figura del defunto. Cfr. P. Podestà, Sep. lig. di Cenisola cit., tav. Vili, fig. 10. (1) Storia degli antichi popoli italiani, Tomo III, pag. 227. (2) Si può vederne le figure messe a confronto con quella del nostro cippo anche in Inghirami, Storia della Toscana, tav. VI, n. 2 e 4. (3) Op. e loc. cit. — 415 non si possono trovare inscrizioni celtiche o galliche, come si trovano in terre latine ed umbre? » (i). E noto che i Galli dopo aver occupato il versante meridionale della giogaia alpina e tutta la valle del Po, attratti dalla fertilità del suolo e dalla ricchezza dei popoli più civili che occupavano il paese al di qua dell’Appen-nino, invasero il territorio dell’ Etruria e dell’ Umbria. Da tale invasione non andò immune il paese abitato dai Liguri, e anche le due Riviere furono occupate dai Celti (2). Le valli della Vara e della Magra furono necessaria mente le vie principali per cui quei popoli calarono nel versante tirrenico della giogaia appenninica, come quelle che segnano 1’ andamento di parecchie tra le più antiche vie di comunicazione tra l’Italia superiore e la media , a traverso i più importanti valichi dell’Appennino ; sbocchi naturali delle orde barbariche che dalla valle padana si riversavano sugli ubertosi campi coltivati dai popoli civili dell’ Italia centrale. Il passo delle Cento Croci infatti (m. 1053 s. 1. d. m.) , dalla valle del Taro conduce per la Vara in Val di Magra ; il Brattello (m. 951), dalla stessa valle, e risalendo il Tarodine, mette a Pontremoli per il Verdesine e il Verde ; la Cisa (già detta Monte Bardone, m. 1041), dalla valle del Baganza conduce per la Magriola alla Magra; il Lagastrello (m. 1200), cui si accede per la valle dell’ Enza, porta pure alla Magra per Linari e lunço il Ta-varone ; e finalmente il passo del Cerreto (m. 1261) mette in comunicazione la valle transappenninica della Secchia con quella dell’Aulella (3). (1) « Keltoligurisclie s> Inschriften aus Giubiasco von Gustav Herbig, in Anzeiger für Schweizerische Alteriumskunde, 1905-06, N. IV, pagine 1S7-205 . (2) Cfr. Issel, La Ligtiria preistorica, pag. 674. Opina 1* Issel che i Galli non facessero < da principio > lunga dimora nel territorio ligure « perchè poco profitto potevano sperare dalla conquista di un paese aspro e povero, conquista che l’indole degli abitanti rendeva assai laboriosa >. E vera conquista gallica forse non vi fu ; ma Γ elemento nuovo dovette pacificamente insinuarsi tra gli indigeni. (3) Non bisogna dimenticare come per queste valli appenniniche e per uno di questi valichi ligustici, o lunensi che dir si vogliano. Annibaie, gui- — 416 — Ma, dopo tutto, queste nostre stele non ricordano forse molto da vicino quei monumenti gallici che furon trovati in alcune località della Francia meridionale, e che son ricordati dagli archeologi col nome di statues menhirs? (i) Basterà, per convincersene, leggerne una descrizione : « Ce sont des blocs de pierre de taille inégale (la plus grande a deux mètres dix de hauteur, et les plus petites environ un mètre), de forme ovale, aplatis sur les cotes et sculptes grossièrement sur les deux faces , ce qui montre qu ils e-taient destinés à être placés debout comme des statues ou plutôt plantés droits en terre comme des menhirs, d’où le nom qu’on leur a donné de statues-menhirs. M. l’abbé Her-met en a successivement découvert et décrit une douzaine, provenant toutes de l’Aveyron et du Tarn, et appartenant à la même famille. Elles sont tantôt en grès rouge permien, tantôt en gré blanc bigarré du Trias. La partie inférieure, destinée à être enfoncée en terre , est irrégulière et n’a point été taillée. Le visage est indiqué en général par une raie verticale figurant le nez et par deux trous représentant les yeux ; la bouche n’existe pas ; les bras et les jambes sont des traits parallèles traces a la surface de la pierre, et les cinq doigts sont presque toujours indiqués pour chaque membre. Pour deux de ces statues le sexe est très nettement marqué par deux seins ronds en relief. Les autres sont supposées masculines, mais sans que rien 1 affirme, et il serait permis de les considerer , en 1 absence d autre indication, comme de sex douteux ; pourtant le fait qu elle ont autour de la poitrine une sort de baudrier placé obli- dato da scorte liguri e galliche , sia sceso in Etruria ai danni di Roma. (Cfr. Julius Jung, Hannibal bei den Ligurem, s. 1. n. a. [ma Praga, 1903I, ediz". dell’A., tip. C. Gerold e figli ; cap. 2.°, Hannibals IVeg iiber den A-pennin, pp. 32-43. (1) Cfr. Hermet, Sculptures préhistoriques dans les deux cantons de Saint-Àffrique et de Saint-Sernin (Aveyron) , ili Mémoires de la Soc. des Lettres de l’Aveyron, Rodez, 1892. — Id. Statues-menhirs de ΓAveyron et du Tarn, in Bulletin Arcliéol. Paris, 1898. — S. Reinach, La sculpture en Europe avant les influences gréco-romaines, in Anthropol. 1894 , p. 26 sgg. _ G. de Mortillet, Les statues anciennes de ΓAveyron , in Révue -de VEcole d'Anthropol., 1893, p. 319 sgg. — Id. Menhirs sculptés de VHérault in Révue cit. 1899, p. 325 sgg. — 417 — quement , tandis que les statues féminines n’offrent jamais cet attribut, semble montrer que les monuments où il n’y a pas de seins proéminents représentent des êtres masculins » (i). Le statue del Tarn , dell’Aveyron e dell’ Hérault presentano incisioni che si debbono spiegare come ornamenti e come tentativi di vesti, ciò che non accade per le nostre ; ma non per questo si potrà negare la strettissima parentela che le congiunge con queste , e che tutte siano prodotto dell’ arte primitiva di uno stesso popolo , e riproduzione di un unico modello , sebbene ripetuto con qualche varietà nei particolari, imposto senza dubbio da una tradizione. Sulla destinazione religiosa di tali menhirs non verte questione ; ma prevale l’opinione ch’essi siano rappresentazioni di divinità, anzi che stele innalzate sopra dei sepolcri. Questa opinione si basa sul fatto che gli scavi praticati nei luog-hi in cui furono scoperti non hanno dato alcun resultato ; giova per altro notare che la maggior parte di essi vennero trovati, come i nostri, fuori del loro posto di origine. Ma io non avrei ragione di scostarmi dall’ipotesi che si tratti di monumenti sepolcrali; anzi in essa maggiormente mi conferma la recentissima scoperta di una nuova serie di simili stele, avvenuta quando già questa memoria era scritta (2). Ubaldo Mazzini. (1) Ch. Renel, Les religions de la Gaule avant le Christianisme, Paris, 1906, p. 227 sg. - (2) L’aver trovato sparsi in vari punti della Lunigiana parecchi di questi monumenti mi ha spinto a continuare nelle ricerche, che non sono riuscite senza resultati ; anzi, hanno dato una messe più grande di materiale, e, per certi rispetti, di maggiore importanza. Il conservatore di questo Museo Civico, signor G. Podenzana, potè sapere che in una località del Fivizzanese erano state recentemente scoperte alcune pietre, che da una sommaria descrizione mi parvero analoghe a quelle che abbiamo ora studiato; e recatici sul posto, le nostre supposizioni furono pienamente confermate. Un proprietario del Ponte Vecchio di Cècina, nel ridurre a coltivazione un poggio piantato a castagni nella località denominata i Bociari, sulla destra del rio di Nà-vola, affluente del Bàrdine, mise allo scoperto fino dal febbraio del 1905 un « allineamento » di stele di diversa dimensione. Erano ancora tutte in posto, piantate ritte l’una appresso l’altra, a brevissima distanza fra di loro, — 418 — in una fila disposta da levante a ponente. Sopra di esse si elevava il terreno per un’altez2a di circa due metri, non saprei dire se per frana precipitata dal poggio soprastante, o per alluvione dell’immediato torrente, o per mano dell’uomò, che abbia voluto occultare, come cose sacre, quei simulacri. Forse quest’ultima ipotesi è la più probabile, se si pensa che le prime due cause, violente , avrebbero prodotto il rovesciamento , se non di tutte, certo di qualcuna delle pietre. Nessuna suppellettile funebre, secondo quanto mi venne asserito, fu trovata presso di esse, nè avanzi di ossa umane, o di ceneri; ma chi le disseppellì ebbe a notare come la terra all’ intorno fosse straordinariamente * grassa. Nessuna meraviglia, trattandosi di tombe ad inumazione, può destare l’assenza degli scheletri: il terreno del trova-mento è siliceo, e quindi privo di minerali calcarei; ed è noto che 1 acqua piovana, attraversando terreni di quella natura , scioglie facilmente col favore dell’acido carbonico dell’ammosfera e degli acidi della terra vegetale, non solo le parti molli, ma anche il carbonato e il fosfato delle ossa. Se poi il terreno, come nel caso nostro, è penetrabile all’aria calda nella sta.te ed ai geli nell’inverno, lo sgretolamento delle ossa viene generalmente assai favorito. Le stele trovate in posto sono nove , otto delle quali furono da me ve-dute e fotografate. Quattro di esse misurano un metro , o poco più , di altezza ; le altre variano dai 40 ai 60 centimetri, e mi resulta che anche quella che manca era di piccole dimensioni. Non sono, tranne una, scolpite in blocchi pesanti , come le cinque che ho già descritte , ma in lastroni o in piccole lastre di arenaria tolte dal letto dell’ attiguo torrente. Le figure ricordano subito il solito modello ; pure in alcunché variano : non hanno, ad esempio, indizio di collo, presentando, nel maggior numero , la forma del capo come nella nostra fig. 4; la forma del viso è in tutte quante rudimentale, e ricorda quella della fig. 1, senza la bocca come quella e come le sta-tues-menhirs dell’Aveyron e del Tarn , ma con gli occhi appena accennati con un incavo, anzi che a rilievo. Alcune mostrano un particolare nuovo: due scodelline ai lati della faccia, a raffigurare le orecchie. Tutte le figure hanno le braccia disposte nel modo consueto, ma nessuna stringe arnn od altri utensili nelle mani , che sono , in qualche individuo, congiunte ; soltanto due delle maggiori presentano nel davanti , al di sotto delle mani e scolpito in linea orizzontale, un grosso pugnale sul tipo di quello rappre-sentato dalla nostra fig. 6, con l’impugnatura volta dal lato destro della figura. La terza delle maggiori porta un cinturone attorno alla vita , senza traccia di armi; e la quarta ha due tondini di rilievo sul petto a rappre sentarne il sesso. Le quattro minori non hanno alcun attributo ; ma parmi lecito di riferirle ad individui giovani di sesso mascolino , sapendo che la quinta di queste pietre più piccole, che manca, portava scolpite le due prò- minenze del seno. _ . m Possono essere queste statue altrettante immagini di divinità . Non teniamo conto, per un momento, degli avanzi organici trovati nel terreno sottostante, dimentichiamo il racconto circa il trovamento della stele di Malgrate , e supponiamolo. Ma come spiegheremo allora la ripetizione di un medesimo tipo nel gruppo? quale sarà la ragione della differenza di dimensione fra i diversi individui dello stesso gruppo? non certamente la penuria del materiale, perchè il letto del fiume, 11 a due passi, ne abbonda. È adunque più naturale supporre si tratti di individui di diverso sesso e di diversa età, sopra la tomba dei quali la pietà e la religione dei super- — 419 — sfciti abbia eretto dei simulacri. Me ne dà nuova conferma un altro fatto archeologico, non recente, ma che queste ultime scoperte mi autorizzano a richiamare per collegarlo con esse. Nel 1886, per gli scavi dei bacini del-l’Arsenale marittimo della Spezia, a 800 m. dal limite dell’antica spiaggia del Golfo, e a circa 12 di profondità furono raccolti degli avanzi scheletrici umani insieme con « due lastre di arenaria, una di forma ovato-ellittica con un peduncolo, l’altra rettangolare con uno dei lati minori attondato e con un piccolo rilievo piuttosto rozzo sopra una delle facce il quale ricorda e-sattamente la lettera U ». Ne diede notizia incidentalmente il senatore Capellini, il quale ritenne che « si può agevolmente supporre che tutto quel materiale provenga da sepolcri che, situati forse sopra una ripa del vicino promontorio tra Pegazzano e il vallone Balzano , precipitarono in mare ». {Gli antichi co?iJÌ7ii del Golfo di Spezia , ?iola del socio Giovanni Capellini, in Rendiconti della R. Accademia dei Lincei, Cl. di Se. fis. mal. e nat., 1889, vol, V, 2.0 sem., fase. 9, pag. 186). Quelle due stele sono andate perdute, almeno io non ne ho potuto ritrovare le traccie ; ma ne ho avuto , per la cortesia del senatore Capellini, un buon disegno dal vero, a metà della grandezza naturale, che mi permette di ravvicinarle a quelle che hanno formato oggetto di questo studio, e ne rappresentano il tipo più arcaico e rudimentale. VARIETÀ MANOSCRITTI DEL CHIABRERA. Il Giornale Ligustico pubblicava nel 1827 un inno ed un sonetto inediti del Chiabrera, esemplandoli sugli autografi favoriti alla direzione di quel periodico dal marchese Lorenzo Niccolò Pareto, il quale li aveva ricevuti in dono dal P. Celestino Massucco delle Scuole Pie (1). Tre anni più tardi vennero fuori per cura di Paolo RebufFo i Sermoni alla loro Ì7itegrità primierame?ite ridotti sopra Γautografo (2), appartenente anch’ esso al Pareto. Or non è molto, con atto di lodevole liberalità che dovrebbe trovare molti imitatori, (1) Gio?'7iale Ligustico di scie?ize, lettere ed arti, Genova, Pagano, 1827, pag. 34 e sgg.; pag. 135 e sgg. (2) Genova, dalla tip. Gesiniana, 1830. Dalla lettera di dedica indirizzata ad Antonio Bertoloni apparisce come editore il Rebuffo, ma la parte critica , ossia le postille e le varianti (pp. 105-123), sebbene non sia detto espressamente, pur si sa che appartengono rispettivamente a Giambattista Spotorno (del quale si veggono le sigle in calce alle postille), e ad Antonio Bacigalupo. Nel Giornale Ligustico, anno 1829 (1830), pag. 596 e sgg. si legge un articoletto bibliografico intorno a questa pubblicazione; si fanno alcuni rilievi, e si correggono alcuni errori. - 420 - il marchese Agostino, nipote dell’illustre patrizio, donava questi stessi manoscritti in tre distinti fascicoli, alla biblioteca civica di Genova. Quello che contiene i sermoni venne diligentemente descritto in fine alla stampa qui sopra citata (i). Dobbiamo avvertire però che il manoscritto non è autografo. Se n’era già accorto lo Spotoriio che lo lasciò scritto in alcune note da lui apposte all’esemplare dei sermoni già di sua proprietà (2); ed ora ciascuno può sincerarsene mettendolo a riscontro degli altri due. Uno dei quali contiene Γ inno a S. Caterina. E di car. 2 n. n. in fol. fasciato modernamente alla rustica di cartoncino con guardie : tutto di mano del poeta , il quale scrisse i versi nella prima carta a doppia colonna. La seconda, a cui manca la metà inferiore, è bianca nel diritto, e a tergo reca: « Inno per S. Catarina versi di Gabriello Chiabrera all’Ill.1110 S.r M. Antonio Doria » pur autografo. Nel Giornale Ligustico è preceduto da una breve notizia dello S[potorno], ed è seguito da una postilla con le varianti o correzioni, quivi fatte dal poeta stesso , del B[aci-galupo]. Sull’ altro ms. importa che ci fermiamo alquanto. E un quadernetto fasciato, come il precedente, alla rustica in cartoncino con guardie ; sopra di mano moderna ha questa scritta : « Sonetti con loro traduzione in Latino, autografo di Gabriello Chiabrera ». È di cc. 9 n. n. Sul diritto della guardia sta la seguente dichiarazione autografa: Siena 24 Febbraio 1817. Io infrascritto, ben ammaestrato a conoscere gli autografi del celebre poeta Gabriello Chiabrera a motivo della mia lunga consuetudine a seguitare ne’ suoi studii il dottissimo ed eruditissimo antiquario Sig. Tommaso Belloro di Savona, diligente ricercatore e scrutatore scrupolosissimo delle cose e delle scritture Chiabreriane, attesto che il qui annesso quaderno, contenente sette sonetti del suddetto Poeta, sopra vari argomenti, alcuni de’ quali già stampati in molte edizioni, ma in questo quaderno corredati ciascuno della sua traduzione latina, la quale, quantunque scritta di carattere del Chiabrera, non si può con sicurezza asserire essere assolutamente ancor essa opera del di lui ingegno, ma soltanto avere nelle sue frasi lo stile degli scrittori suoi amici e coe- (1) Pag. 114. (2) Si conserva nella Biblioteca della R. Università di Genova. - 421 — tanei (i}. Or questo quaderno acciò non vada nella mia morte disperso, io l’ho donato e lo deno all’egreggio (sic) e studiosissimo Giovinetto Sig. Marchese Lorenzo Niccola Pareto del Sig. Agostino, attualmente convittore in questo nobile Collegio Tolomei, essendo io sicurissimo, eh’ egli per la sua bontà vorrà accettarlo , e per la sua esattezza in tutto ciò che alle lettere ed alle scienze appartiene, avrà grande cura di conservarlo. In fede di che ecc. Celestino Massucco d. S. P. Prof.re d'Eloquenza. In fronte alla car. iar. si legge di mano del Chiabrera: « I latini sono di Francesco Piscinelli » (2); il v. è bianco. Car. 2a r. bianca; nel v. il sonetto: Per D. Maria d'A-vaia uccisa dal Marito, che comincia: Deh qual al mio pregar Musa cortese: car. 3a r. la relativa traduzione: Ah quae Musa meis clemens commota querellis; al v. il sonetto : Per le SS-re Ghdia et Aurelia mas cherate da zingare: Chi fur le due che Ί vivo minio ascose : car. 4a r. traduzione: Dic mihi, quae fuerint, quae nigris membra figuris; al v. il sonetto: Per la S.ra Flaminia.....mascherata da Villana : Giovane fiamma di cortesi amanti; car. 5a r. traduzione : Gratorum iuvenum flammam, ut monstratur Amantum; al v. il sonetto: Per la S.ra Ghdia che danzava barriera: Donna vid’io che di bellezza altiera: car. 6a r. traduzione : Ad sonitus dulcis signum, cantusque sonori; (1) A questo periodo manca qualche parola, rimasta evidentemente nella penna al Massucco nella fretta dello scrivere, come a dire: è autografo, oppure è tutto di titano del poeta o simili. (2) Queste parole appaiono scritte più tardi , con mano non ferma , e con diverso inchiostro. - 4 2 2 - al v. il sonetto : Invita Bernardo Castello a ritrarre la S.a Giulia.....; Quale infra Paure candide succinta: car. 7a r. traduzione: Qualis pulchra sinus succincta aurora nitentes ; al v. il sonetto : Per la S.a Giulia.... vestita di dito lo : Quando gioiose infra celesti amori : car. 8a r. traduzione : Cum bene corda virum celestes inter amores ; -al v. il sonetto: Sopra due Tazze datemi dalla S.raMartia....: Duo bei cristalli, eh’ a ria sete ardente : car. 9a r. traduzione: Quae mihi rite solent puros praebere liquores ; il v. bianco. Il primo sonetto, che era inedito, fu pubblicato, come abbiamo avvertito, nel Giornale Ligustico, preceduto da una notizia, che, in forma dubitativa, ne rileva il contenuto storico. Vi si dice infatti : « Donna Maria d’ Avaia uccisa dal marito è probabilmente Maria Orsina figliuola del Duca di Gravina, la quale vivea sullo scadere del cinquecento , ed era moglie di Giovanni Davalo Signor di Monte Scagiuso e di Pomarico » : ma il fatto si riferisce invece alla uccisione di Maria figlia di D. Carlo d’Avalos, e del suo amante Fabrizio Carafa duca d’Andria , sorpresi nel letto dal marito Carlo Giesualdo principe di Venosa la notte fra il i6 e 17 ottobre 1590. Parecchi componimenti poetici furono scritti qer questo tragico avvenimento, e basta ricordare i sonetti del Tasso e del Marino (1). L’ editore non ha poi accennato a due varianti. Il verso 11 prima diceva : Versa da V urna e più dagli occhi fuora , (1) Borzelli, Notizia del ms. Corona, e il successo di D. Maria d’A-valos principessa di Venosa e di D. Fabrizio Carafa dicca d’Andria. Illustrato dalle poesie dei contemporanei. Napoli, Paravia, 1891. (Estr. dalla Rassegna scient., lett. e polit., A. II, n. 5-6). Il son. del Chiabrera non vi è ricordato. — 423 — e il 14°: Di questa pia gran cenere t’ honora ; furono poi corretti così : Versa dal fonte e più dagli occhi fuora, e Di questa sua grand' urna oggi t’ honora , lezione che si vede nella stampa. Ma la nuova forma venne . data a quei versi dal poeta, quando già la traduzione latina era fatta, sì come chiaro apparisce dal confronto. Ecco la traduzione del sonetto, che diamo a titolo di saggio : Ah quae Musa meis clemens commota querellis Parnasi eccelso descendet vertice tristis, Et pulchrae insolito casus lugebit acerbos Mecum Avalae, et nimium crudelia fata dolore ? Quod si aliquis fortasse arcus saevasq. sagittas Arripit, ut miserae praeclarum vulnere nomen Laedat ; Amor tantis arsit qui pectora flammis Illius, ipse suis manibus defendat Amantem. Tu vero questus inter tristesque dolores , Qui reboant passim iam meste Sabete per urnam Et magis ex oculis lacrimosos efflue rivos. Nec tibi sit curae tumulus, priscumq. sepulcrum Atq. alma penitus depulsa mente Syrene Hac cinere insigni, insigni cumuleris honore. Tutti gli altri sonetti, stampati nelle diverse raccolte di rime chiabreresche, a incominciare dalle pavoniane del 1599, ebbero fermata la lezione definitiva dal poeta nella sua edizione messa fuori con i tipi pur del Pavoni nel 1605-1606 (1); passarono poi nelle Opere venute in luce nel settecento in questa ultima forma, salvo alcune lievi differenze grafiche introdottevi per amor di modernità. In confronto adunque di essa stampa personale indicheremo le varianti del manoscritto. Son. secondo (2) ; non presenta diversità; soltanto nella (1) Cfr. Varaldo, Bibliografia delle opere a stampa di Gabriello Chiabrera. Genova, Sordomuti, 1S86, pag. 24 e sgg. (Estr. dal Giornale Ligustico). Ferrari, Gabriello Chiabrera e le raccolte delle sue rime. Studio * bibliografico. Faenza, Conti, 1888, pag. 21 e sgg (2) Delle poesie di Gabriello Chiabrera. Parte prima per lui medesimo ordinala. In Genova, appresso Giuseppe Pavoni, mdcv; pag. 44. Chiabrera, Opere, Venezia, Geremia, 1757, vol. II, pag. 150. Nelle ediz. ante- — 424 — stampa è detto alla zingaresca e ai nomi di Giulia e Aurelia è aggiunto : Gavotte. Son. terzo (i) : la didascalia della stampa ha alla villanesca e aggiunge il cognome Cicala ; var. : st. v. 6, volgeva per Amor ms., almo girava Amor » ii, titolo di bella » il titol d' esser bella » 14, gli occhi addolciva » beava gli occhi Son. quarto (2) : nella stampa è aggiunto il cognome Gavotta; var. : st. v. 13, trionfo di beltà Palme ms., quasi in trionfo Γanime Son. quinto (3). Questo sonetto fu mandato dal poeta a Bernardo Castello con lettera 2 marzo 1591 (4), e questi, è a credere, Γ abbia subito dato a Pietro Bartoli, il quale in quell’ anno stesso lo inserì nella Scelta di rime (5) uscita da’ suoi torchi, nella medesima forma onde lo scrisse il Chiabrera in calce alla lettera citata; poi con alcune varianti (6) passò nelle diverse edizioni delle sue rime recando nella didascalia il nome di Aurelia Pavese ; ma nella stampa riori a quella cit. del 1605 la didasc. non porta nomi di sorta, e il testo ha e var. seguenti: v. 1, avorio: v. 2, e i visi lor. (1) Delle poesie cit., pag. 43; Opere cit., pag. 150. Ediz. anter., didasc. senza nome; var. v. 10, ciascuna; v. 14, beava gli occhi. (2) Delle poesie cit., pag. 48; Opere cit., pag. 145. Il v. 5 nell’ediz. pa-voniana ha per error di stampa Fral in luogo di Qual; nelle Ope?'e , pur sempre errando, Tal. Ediz. anter. la didasc. senza nome. (3) Delle poesie cit., pag. 60; Opere cit., pag. 151. (4) Chiabrera, Lettere a Bernardo Castello. Genova, Ponthenier, 1838, pag. 61. (5) Scelta di rime di diversi moderni aiitori non stampate. Parie prima. In Genova, appresso gli Heredi di Gieronimo Bartoli, 1591, pag. 31. (6) L’ediz. del 1591 ha queste var. in confronto con le successive innanzi a quella del 1605: v. η, appar la donna o?id' essi: v. 8, quando mia libertà fu presa e; v. 11, contro lo sforzo. Le ediz. anter. al 1605 recano in confronto di quest’ultima le var. seguenti: v. 7, sembra costei; v. 8, più franca. Notiamo che il sonetto venne riprodotto, secondo la lezione del 1591, dal Soprani nella vita del Castello (Le vite dei pittori, scoltori et architetti genovesi, Genova, Bottaro e Tiboldi, 1674, pag. 120 e sg.) attribuendolo ad Ansaldo Cebà, errore rilevato dallo Spotorno ristampando quella biografia (in Chiabrera, Lettere cit., pag. 51). Questi poi, seguendo il Verzellino, afferma che nella Galatea de’ Savonesi mari il poeta volle celebrare donna Giovanna Spinola de’ marchesi di Garessio, moglie di Lelio Pavese (ivi, pag. 322); ma le stampe ci danno invece un’Aurelia, e il nostro ms. una Giulia. — 425 — del 1605-06 si ha soltanto la Signora N; il ms. ci dà invece una Giulia senza casato e in luogo di dipingere, ritrarre. Var. : st. v. 7, costei ne sembra ms., ne sembra Giulia » 8, più forte » più franca Son. sesto (1); la didasc. della stampa aggiunge Gavotta, e in luogo di vestita di duolo, ha in habito vedovile. Var.: st. v. 2, degnava i cor ms., beava i cuor » 7, in fresca pioggia » in bella pioggia » 9, hor poscia, eh’a tur- » hor perchè vaga d’attristar barne i bei sembianti gli amanti » 10, saetta » saette Son. settimo (2) ; la didasc. nella stampa aggiunge Spinola e invece di sopra due tazze donateììii, ha: per duo bicchieri donatigli. Var. : st. v. 3, eh’ argenti ms., che gemme Il p. Massucco, secondo si rileva dalla dichiarazione innanzi riferita , non avvertì che il Chiabrera stesso aveva indicato il traduttore latino, e cioè Francesco Piscinelli, che è da riconoscere a nostro giudizio , in quel Piccinelli, del quale ci danno notizie, brevi e scarse, i biografi e bibliografi milanesi (3). I quali ci dicono eh’ ei fu « professore di belle lettere » avendo insegnato per ben ventitré anni nelle scuole palatine, e « con felicissima vena in lingua italiana e latina in prosa ed in versi di materie gravi e giocose mirabilmente scriveva ». Non abbiamo alcun indizio, nè diretto nè indiretto, di relazioni passate fra il Piccinelli ed il Chiabrera, e quindi non sapremmo dire in qual modo venne in animo al primo di rifarsi a quella traduzione, e in qual tempo al secondo di trascrivere i’ sonetti con a fronte la versione latina. Forse qualche amico del poeta (1) Delle poesie cit., pag. 52; Opere cit., pag. 146. Ediz. anter. nella didasc. Giulia G./ var.: v. 2, beava. (2) Delle poesie cit., pag. 57; Opere cit., pag. 145. Ediz. anter. la didasc. reca il nome di Martia Pavese, che è tutt’ uno con la Spinola, perchè di questa famiglia entrata in Pavese, e poi suocera del poeta; var.: v. 1, eh* alla sete. (3) Argelati, Bibliotheca ecc., I, col. 1074; Piccinelli Filippo, Ateneo di lett. mila?iesi, pag. 218. Giorn. St. c Lctt. della Liguria. 29 — 426 — savonese gliela mandò, ed egli, affinchè non andasse perduta, stimò opportuno serbarne memoria nel presente quaderno. A. N. APPUNTI D’ARCHIVIO CONTRIBUTO ALLA BIBLIOGRAFIA STORICA DELLA LUNIGIANA. Dal riordinamento che il R. Archivio di Stato in Massa va facendo delle vecchie carte delle giusdicenze di l^osdi-novo e Aulla sono venuti fuori i seguenti documenti di cui credo utile dare un breve cenno perche interessano in qualche modo la storia della Lunigiana. I — Statuto di Fosdinovo. — Codice cartaceo in-fol. di Cc. num. 54 e 3 non num. con correzioni e aggiunte marginali e interlineari. Gli antichi statuti di Fosdinovo, come è noto, furono riformati nel 1577 dalM.se Andrea Malaspina (1), senonche da questo ms. risulterebbe che il proposito o la necessità di tale riforma fu avvisata da sua madre Luigia D Oria nel tempo che tenne la reggenza del governo marchionale in nome del figlio. In fatti nel proemio ad esso Statuto si legge : « la Ill.ma Signora Alvisa Doria Malaspina marchesa di Fosdinovo e pertinenze e governatrice in vita di tutto il detto dominio come consta per il suo privilegio ». II seguito del proemio salvo qualche leggero rimaneggiamento di forma corrisponde a quello dello Statuto posteriore; come rimaneggiato ma non sostanzialmente appare tutto il resto dello Statuto pubblicato dal IVI.se Andrea, il quale peraltro vi apportò qualche miglioramento col rendere più celere e meno dispendiosa la giustizia. Si può argomentare però con tutta certezza, che durante la breve reggenza della D’Oria lo Statuto non venisse emanato, e che il figlio facesse poi suo e traducesse in effetto il proposito materno. Luigia Doria trovò peraltro una persona che le ispirò l’idea della riforma, e questa deve ravvisarsi (1) Cfr. Sforza G. Saggio di una Bibliografia storica della Lunigiana, Modena, Vincenzi, 1874; pag. 25 e 26. — 427 — in quel Giovanni De Nobili di cui lo Sforza (i) cita un opuscolo ms., il quale da un documento, cui accenno più innanzi, si rileva che copriva la carica di Vicario in Fosdinovo durante la Signoria di Giuseppe Malaspina. Alla morte di questi il De Nobili fece presente alla vedova D’Oria ed a suo figlio alcune cose che a suo giudizio « sarebbero utili et in gran parte necessarie a farsi per conservation di casa loro et per ben reggere i popoli »; e dovettero essere questi consigli che determinarono la riforma. — Questo Statuto si divide, come l’altro, in quattro parti; ma varia nella ripartizione dei capitoli. La i.a parte ne comprende infatti 28, 30 la seconda, 30 la terza e 32 la quarta di cui gli ultimi quattro capitoli sono soltanto sommariamente accennati. II. — Bandi e Ordinai7ienti di Aulici, Bibola e Montedi- valli. — Cod. cart. di ff. 23 non num. Vanno dal 1618 al 1660 ed appartengono alla Signoria dei Marchesi Centurioni. Cominciano con una tariffa frammentaria della gabella emanata il 12 ottobre 1618 da don Diego figlio e procuratore generale di don Gio. Batta Centurione. Tutti gli altri bandi vanno dal 1647 al χ66ο e si riferiscono al marchesato di Marco Centurione. HI· Quadernetto delle entrate e delle spese del Comune di Fosdi?iovo per Vanno 155Ç (2). Nella prima pagina si legge: « Questo è il quaderneto de domenico del q.m Pagano de Fosdinovo cunsulo eleto dallo ill.mo Signor Marchexe iosefe signor nostro di Fosdinovo: in sul quale si terà cunto di tutte le intrate del cu-mun di Fosdinovo: et ugni spese che si farano in dito cu-mun quale arano da essere pagate per il suo chamerlengo curn le polize fate per il notaro de dito cunsulo secundo la comisione li sira data per dito cunsulo e sui cumpagni secundo lusanza e cunsuetudine de ditatera di Fosdinovo ec. ». Segue nella pagina appresso l’elenco nominativo delle persone che coprivano le cariche comunali e cioè il console, (r) Sforza, op. cit., pag. 151 e 152. (2) E del tempo del March. Giuseppe Malaspina del cui governo, dice il Branchi, non si conosce cosa alcuna. — 42S — il notaro, il camerlengo, i tre chiamati per il Signore, i tre aggiunti, i tre bonomini, i tre sindici, i tre terminatori, i due stimatori, i due soprastanti, i due consorteri e i due operai. _ Le entrate del Comune risultano costituite dall incanto che si faceva del molino, del frantoio, della beccheria, delle accuse, dei diritti di piazza, di due osterie e dal reddito di terre e boschi di proprietà comunale. Spigolando fra le spese ordinarie noto che il console, il notaro e^ il camer lengo avevano ognuno un salario di lire dodici, ^ il cavai lero (esecutore di giustizia) scudi quattro d oro, il corciere lire quarantasette; fra le spese straordinarie noto due sovvenzioni per aver portato e tenuto due bastardelli, ire 25 e soldi 4 date a maestro Antonio Rapi per avere accomodato l’orologio (per aver cunzo l’uriullo), lire 9 al marchese per il presente della Pasqua di resurrezione, soldi 27 pagati a maestro Luca per aver rappezzato il pulpito da predicare con tavole e altri legnami ; in un’ altra spesa trovo rammentato un ignoto pittore lunigianese: « pagato aZam-batista de Pedrantonio per braze due di tela e colori per depinzere la bandiera de san Bugo (sic) »; noto ancora: « pagato per un par de chaponi mandati a messer Zuani (1) nostro Vichario adì 30 di otobre a Vezano che era ama lato per chomisione del cunsiglio, bolognim 40 sive lire 3 ». Nel quadernetto si trova inoltre menzione di un donativo di scudi mille d’oro fatto da Fosdinovo e terre ^ annesse a Caterina figlia del Mar.se Giuseppe; di un censimento generale della popolazione fatto in detto anno 1559 di cui peraltro non è segnato il resultato; vi si leggono 1 Capitoli della beccheria, dei torchi (frantoi), del danno dato ricavati dall’antico Statuto e che si trovano riportati quasi integralmente in quello posteriore, nonche alcuni bandi. XV. _ Strumenti del Notaio Paolo di Battista del Bardino {1466-14.69)- Sono una ventina di contratti sciolti di cui due soltanto interessano dal lato genealogico. — In uno rogato il 17 (1) Giovanni de Nobili da Vezzano cui è stato accennato parlando dello Statuto di Fosdinovo. — Dal 1570 al 1580 copriva la carica di Pretore di Fosdinovo. — 429 — febbraio · 1484 troviamo rammentato un Giacomo Parentuc-celli (1), Vicario Generale del Vescovo di Luni e Sarzana, che pone prete Michele di Battista del Bardino in possesso dell’altare di S. Caterina nella Chiesa dei Santi Fabiano e Sebastiano di Falcinello. L’altro rogito in data 15 gennaio 1489 è una sentenza arbitrale data dal March. Gabriele Malaspina di Fosdinovo figlio di Antonio Alberico in una controversia fra « Magistro Iohane q.m Ambrosi Bone-parte de Chiavari ad praesens habitatore Fosdinovi » ed altre persone. V. — Strumenti del Notaro Benetto di Fosdinovo. — Frammento di registro Notarile che va senza interruzione dal 7 gennaio al 18 ybre 1341 con fogli numerati alla romana 364-426. Gli strumenti riguardano nella massima parte vendite e locazioni di terre fatte da abitanti di vari paesi della Lu-nigiana, ed offrono un qualche interesse perchè ci troviamo rammentato molte volte qualche minuscolo feudatario di Fosdinovo; i discendenti cioè dei cosidetti Nobili di Fosdinovo che impoveriti e sopraffatti dalla prepotente fortuna di Spinetta il Grande, si erano un anno prima spogliati di Signoria vendendogli tutte le terre e giurisdizione che ancora serbavano su Fosdinovo, Tendola e Zuccano. — Il nome di un altro personaggio ricorre in vari strumenti e su di esso non varrebbe la pena di soffermarci se non si trovasse segnato erroneamente con una nota speciale dal Litta e dal Branchi. — E’ un figlio naturale del March. Gabriele della Verrucola, conosciuto sotto il nome di Bastardo della Verrucola, del quale dice il Litta, e ripete il Branchi, che trovandosi in Verona « e divenuto confidente di Can-signorio , quando costui nel 1359 uccise il fratello Can-grande II, egli lo accompagnava e secondo alcuni sarebbe stato quello che Cangrande pugnalò ». Ora, che un Malaspina accompagnasse effettivamente Cansignorio lo attesta la storia (2) ; ma che questi non fosse il Bastardo della Verrucola è provato dal testamento del medesimo (3) e da (1) È un nepote di papa Nicolò V. (2) V. Rernm italicarum sc?-ipto?‘es. — Chro?iicoii P. Azarii. — Tom. XVI, pag\ 42r. (3) Vedi regesti. — 430 — quello di Spinetta il Grande (i). — Dal primo infatti si viene a conoscere che Bastardo ebbe in moglie donna Felice o Anfelice di Verona, dal secondo si apprende che nel 1352, vari anni prima cioè dell’uccisione di Cansignorio, Bastardo era già morto. Infatti Spinetta nel suo testamento fra i vari legati lasciò i « Item domine Anfelici de Verona olim uxori Bastardi de Veruzula fratris dicti testatoris quinquaginta libras de Verona parvorum ». Con che si viene anche a correggere l’albero genealogico del Litta là dove dice che Anfelice fu moglie di altro figlio naturale di Gabriele, ed il Branchi che la fa moglie di Corradino (2). Do qualche regesto dei rogiti, nonché un brano del testamento di Spinetta il Grande che si riferisce al legato fatto dallo stesso in favore della moglie Beatrice, che ha un certo interesse per la storia del costume relativamente agli ornamenti del vestiario ed oggetti preziosi. 7 gennaio 1341. Bianco q.m Manfredi di Vagiaro confessa di aver ricevuto, a titolo di mutuo gratis et amore, dal Nobile Bastardo della Verrucola del q.m bona memoria Magnifico Gabriele Mar.se Malaspina, trenta fiorini e mezzo fiorentini d’ oro di soldi imperiali trentacinque per ogni fiorino; e si obbliga di restituire detta somma nel termine di un anno. ir gennaio 1341. La Signora Vita figlia del fu Maestro Martino di Sarzana e vedova del signor Bernocco di Fosdinovo fa il suo testamento. Lascia alcuni legati religiosi ai frati predicatori di Sarzana e vuole che a pro’ deir anima sua sia mandata, a spese degli eredi, una persona a visitare la Chiesa di .S. Francesco d’Assisi. In tutti i suoi beni istituisce eredi in ugual parte i figli Faitino , Giovannino e prete Bernocco. La Signora Simona figlia del fu Signor Simone e vedova del Signor Gerardo di Fosdinovo vende per lire 7 e soldi 10 imperiali a Salado del fu Amato di Nicola il reddito di 3 mine di grano, che il detto Salado doveva corrispondergli come affitto di due pezzi di terra posti in Sarzana, uno dei quali in 1.° d.° a La Piazza e 1 altro in 1.° d.u Forano. 28 gennaio 1341. Testamento del Nobile Bastardo della Verrucola. — Ordina, se morrà in Fosdinovo , che il suo corpo sia seppellito nella chiesa di S. Domenico dei frati predicatori di Sarzana ai quali lascia dei legati religiosi. Vuole che il suo funerale sia fatto a vo- (1) Pergamena esistente nel R, Archivio di Stato in Massa. (2) Litta. Famiglie Celebri Italiane, fase. 133. Malaspina, Tav. IX e Branchi E. Storia della Lunigiana feudale, vol. 30, pagg. 445 e 44^· — 431 — lontà del Mar.se Guglielmo Malaspina. Lascia a sua moglie Felice la sua dote di seicento lire imperiali i panni letto e tutte le suppellettili di essa moglie nonché i letti dello stesso Bastardo. Vuole inoltre che la sua coltre grande « laborata de panno lani » si vénda e se ne distribuisca il ricavato ai poveri. Dopo altre disposizioni lascia suoi e-redi universali Isnardo, Spinetta ed i figli ed eredi del fu Mar.se Az-zolino Malaspina. — Atto rogato nella Rocca di Fosdinovo. 29 aprile 1341. Prete Accursio rettore della Chiesa di S. G. B. E-vangelista di Pulica, in forza di autorità e mandato ricevuto da Calvo Vescovo e Conte di Bobbio e da Antonio dei Fieschi Eletto di Luni e Conte Vicario Generale Spirituale , mette prete Bernocco del fu Bernocco di Fosdinovo in corporale possesso della Chiesa di S. Te-renzo in S. Terenzo, per rinunzia fattane da Manfredo di Bandinotto di Marciaso. — Segue il tenore della lettera episcopale. 29 aprile 1341. Pietro del fu Zanni e Bertolino figlio di Accursio di Villa Gorascola incaricati dal Comune, Università ed uomini di Villa di provvedere un rettore per la chiesa di S. Bartolomeo allora edificata, eleggono a rettore di detta Chiesa prete Federico del fu Audice di Pulica. 17 maggio 1341· Il Nobile Bastardo Malaspina della Verrucola a titolo d’investitura concede in feudo onorifico a Giovannino del fu Duccio di Cerignano abitante in Castiglione Ginestra, tutto il podere ed i beni che appartenevano una volta a Cintio del fu Aldovrando di Castiglione Ginestra. Il quale Cintio si obbliga di corrispondere annualmente nel mese di gennaio a detto Bastardo un buon cappone del valore di sei soldi imperiali e tre mine di grano ; e di osservare tutti gli altri obblighi del vassallaggio. Particola del testamento di Spinetta Malaspina che riguarda il legato fatto alla moglie Beatrice: « Videlicet unam culcidram cum uno plumacio a lecto, unum matarassum de sindone cum suo plumacio, item quatuor cultras de sindone et unam de bocchoramine, item octo paria linteaminum pro suo lecto, item tres lectos a familia cum eorum apparamentis videlicet cultricis, plumaciis, cultris et duobus pariis len-taminum pro quoque lecto, item decem toagias a manu, item decem toagias a disco, item omnes cossinos quos habet ipse testator in Verona cuiuscumque conditionis et manerici existant habendo de praedictis ipsa domina electionis arbitrium de omnibus rebus quas ipse testator habet in Verona vel Lunexana. — Insuper eidem domine legavit omnes vestes ipsius cuiuscumque conditionis et manerici sint quibus ipsa utitur et uti consuevit et sint pro suo usu cum omnibus eorum frexaturis, perlis et lamis, pressuris et aliis fornimentis et ornamentis, cuiuscumque conditionis et manerici sint ; item etiam tot de centuris suis argenteis de filo cum smaltis quas ipsa elligere voluerit quae sint ponderis quindecim marcharum argenti, et si non essent tot centure quae forent ponderis quindecim marcharum argenti tunc et in eo casu habeat ipsa domina tantum de alio argento quod — 432 — sit ad pondus et capiat pondus quindecim marcharum argenti. Item legavit eidem domine cappellum suum de perlis, anulos omnes, omnes suas zonas, perlas, ornamenta, munitiones vel ornamenta seu arnexia videlicet coronas, ghirlandas, velamina seu velos ac quascumque alias zonas, zoias et ornamenta quos, quas et quae ipsa utitur aut sunt parate aut parata pro suo usu et cultu seu ornatu aut omnia quae habet dicta domina sive utatur eis vel non. Insuper etiam legavit eidem quatuor baccinos et quatuor bronzinos de aurichalco. Item tres zallones, duos tapetos, tres banchales ex suis, quas elligere voluerit. Item legavit eidem domine duos bronzinos minores de argento ex hiis quos habet dictus testator et duodecim culterios de argento ex hiis quos habet dictus testator et quos eligere duxerit dicta domina. Item sex coppas de argento ponderis 36 onciarum quas habet dictus testator; item unam coppam seu nappum de argento cum pede quam ipsa domina elligere voluerit ex hiis quas habet dictus testator ». Umberto Giampaoli. APPUNTI INTORNO AD ANTONIO MAGHELLA. L’abate Guillon nella biografia del Maghella, dopo a-verne dato un profilo morale a foschi colori , afferma che divenne, per opera di Bonaparte, « un des trois (1) directeurs de la republique ligurieune ». Ciò non è esatto , perchè nè egli appartenne al governo provvisorio creato con la convenzione di Montebello, ne , promulgata la costituzione, fece mai parte del Direttorio : entra nella^ vita politica solamente con le elezioni suppletive di maggio del 1799, quando la giurisdizione di Gromolo e Vara lo manda suo rappresentante al Consiglio dei Giuniori. Prese poca parte ai lavori legislativi, chè il suo nome di rado comparisce nei verbali : il maggior suo intervento nella discussione fu una critica vibrata al ministro di polizia , eh egli accusava di aver emanato decreti sconvenienti nella forma e anticostituzionali nella sostanza. Abolito il Direttorio e sospese le funzioni del corpo legislativo con la legge del 7 Dicembre 1799, ohe creò la Commissione di governo , il Maghella non comparisce più investito di pubblici uffici, (r) Biographie des hommes vivants. Paris, Michaud , 1818; vol. IV, pag. 287. La biografia reca la sigla N. con la quale suole firmare il Guillon, L’ anno medesimo comparve tradotta nella Biografia degli italiani viventi, Lugano, 1818. Vol. II, pag. 24. — 433 — fino a che, promulgata nel luglio del 1802 la nuova costituzione, ei viene nominato senatore, e in questa qualita prima è addetto alla Polizia, poi, in seguito agli intrighi del Saliceti di cui era divenuto strumento , alla Guerra e Marina, cacciandone Girolamo Serra con forma violenta e anticostituzionale, che questi stigmatizzò con dignitose e vivacissime parole (1). Nel tempo eh’ egli era preposto a questo ufficio si scoperse un complotto contro la sua vita. Il commissario di polizia nel settembre del 1804 riferisce al Magistrato Supremo, che tre individui di cattiva condotta e di pessimi precedenti, avevano « formato il progetto di uccidere il senatore Maghella, non per ora, ma in una notte del prossimo inverno » ; ciò aveva saputo da uno dei congiurati « pentito di aver parte in tale delitto ». Il Maghella stesso presente alla seduta, « dà schiarimenti intorno all’essersi avveduto che si macchina contro la di lui vita; ma nel tempo medesimo assicura il magistrato Supremo di aver date delle disposizioni per difendersi, e dispensa l’autorità « dal prenderne altre, quanto sia per il di lui conto particolare ». Incaricato il commissario di procedere all’arresto degli individui designati, vien preso Francesco Maria Piquet, il denunciante , co’ suoi complici, i quali nominano altri lor soci che « malcontenti » del Maghella « allorché era Deputato alla Polizia, per averli lungamente tenuti in carcere anelavano allo stesso misfatto e vendetta ». Vennero tutti messi in prigione, e il commissario riferì poi il risultato delle indagini e degli interrogatorii. Anche questa volta interloquì il Maghella, dichiarando che non teme punto « ciò che possano attentare » i congiurati contro di lui ; « dubitare bensì che possano essere istigati e prezzolati da qualche persona di diversa condizione dalla loro ; che se si potesse scoprire con nuove indagini se in dette minacce v’ ha parte alcun altro, egli in questo solo caso non dissente che il Magistrato Supremo si occupi ulteriormente di questo oggetto » ; diversamente lo prega di usare clemenza e rimettere in libertà i carcerati, « poiché da co- (1) Cfr. per queste notizie Monitore Ligure e Gazzetta Nazionale — Belgrano, Della vita e delle ope?‘e di Gerolamo Serra, Genova, 1859, pag. 32 — Arch. di Stato, Rep. Ligure, fil. 568. — 434 — storo saprà ben guardarsi ». Parole di colore oscure , volte probabilmente a designare qualche potente avversario politico del Maghella, il quale, quasi a dar prova del suo dubbio, accennava alla lettera di un ufficiale « che gli discopre altre persone contro di lui maleintenzionate ». Era costui il capo battaglione Nadal che asseriva d’essere stato istigato a Vendicarsi del Maghella, per qualche severo castigo da lui inflittogli ; ciò condusse all’ arresto di tre altre persone, di guisa che ben dieci ne furono per questo fatto sostenute. Senonchè , nonostante i ripetuti interrogatori, nulla si ricavò di assolutamente sicuro ; indizi di animosita e maltalento ; condotta biasimevole ; gente per lo più conosciuta dalla polizia come scorretta e capace di turbare la tranquillità pubblica ; ma nessuna prova positiva sul complotto. Furono tenuti in prigione per ben tre mesi , sebbene il Maghella più d’ una volta insistesse per il loro rilascio ; poi alcuni de’ più noti come facinorosi condannati a diciotto mesi d’ esilio ; poco dopo revocata anche si fatta condanna, e, in seguito a nuove istanze del Maghella, finalmente sul cadere di dicembre posti tutti quanti iu libertà (i). L’ anno successivo la Liguria fu unita all’ Impero francese; qual parte v’ebbe quest’uomo dira forse un giorno la storia, mentre essa già ci narra 1’ opera sua a Napoli sotto il regno di Giuseppe Bonaparte e di Gioacchino Murat, quantunque non tutto sia ancora chiarito esattamente per spiegare la sua condotta tanto biasimata ; pochissimo si sa sull’ ultimo periodo di sua vita dopo il 1815, quando, secondo la sprezzante espressione del Guillon, « est rentré dans l’obscurité ». Questo è certo che si ritrasse in patria, e lunghe dimore fece in Torino, dove egli trova-vasi nel tempo in cui venne in luce la storia di Pietro Colletta, il quale lasciò in quelle pagine, com’ è ben noto, giudizii severi sull’opera politica di lui, Ora egli, che aveva taciuto dopo la pubblicazione delle sue notizie biografiche, prima nel 1818, poi rimaneggiate ed accresciute nel 1823 (2) con intendimenti tutt’altro che benevoli, credette questa volta (1) Arch. di Stato, Rep. Ligìire, Libro verbali, n. 403 e 404, (2) Biographie nouvelle des co?ile?nporains> par Arnault, Jay, Jouy, Norvins etc. Paris, 1823, vol. XII, pag. 239. — 435 — necessario uscire dal silenzio e rispondere. Ci avverte di ciò la seguente sua lettera al Ministro dell’Interno (i): Eccellenza, Non è probabimente ignota a Vostra Eccellenza la Storia sul Regno di Napoli pubblicata sotto il nome del fu Generale Colletta. Ivi è fatto figurare il mio nome con colori ben odiosi. Fu mio pensiero sempre il disprezzare dicerie fomentate da malignità e da spirito di parte. Il carattere per altro, che hanno preso nella compilazione di una storia, sebbene scritta con manifesto progetto di denigrazione in più articoli, mi fece sentire la necessità di far uso, per confutarle con fatti noti ma non a sufficente cognizione di tutti, dello stesso mezzo, con cui è stato attentato alla mia riputazione. Senza l’incontro delle cure della strada, avrei pronto a quest’ ora il mio manoscritto per rassegnarlo a Vostra Eccellenza, sperando ch’Ella non mi ricuserà il suo patrocinio nel permettere la stampa dello scritto, che sarà mia premura di sottomettere alla veneratissima sua censura. Mi pregio di essere con rispettosa divozione Di Vostra Eccellenza Sestri Levante, li 17 febbraio 1836. Umilissimo, Obbedientissimo Servo A. Maghella. Al che il ministro,.assai riguardosamente, risponde che sarà ben lieto di leggere la annunziatagli confutazione ; ma in quanto alla stampa, essendo cosa che riguarda in modo speciale la Censura , così egli non potrà prendervi che una parte meramente passiva. E’ osservabile nella lettera riferita quella studiata insi-nuazione maligna che si palesa nelle parole pubblicata sotto nome, perchè sembra .ordinata a negare al Colletta virtù e attitudini di scrittore, mentre ferisce coloro che notoriamente avevano sovvenuto Γ autore del consiglio e dell’ 0-pera , e della storia si erano fatti editori. Nè parmi trascurabile Γ accorto espediente del Maghella di procacciarsi quasi in anticipazione il patrocinio del ministro, ben sapendo eh’ egli avrebbe dovuto toccare di fatti e di persone che potevano destare ragioni di prudenti riguardi, tanto più considerando il dibattito piuttosto acre che intorno a quella storia si era già acceso. Ma meglio importa rilevare non solo il proposito della confutazione, sì, più special- (1) Arch. di Stato in Torino, Istruzione pubblica, Proprietà letteraria, fii. 5. — 436 — mente, il fatto che egli l’aveva di già composta e non gli restava, a quanto pare, se non da rivedere ed ordinare il manoscritto per dirla affatto compiuta. Non è a mia notizia se codesta scrittura, certo ancora inedita, sia conosciuta, e forse giace tuttavia fra le altre carte maghelliane che si assicura esistere ancora in Varese ligure; ma mi si affaccia un dubbio, che duoimi non aver modo di chiarire. Alcuni anni or sono, in una vendita per auzione pubblica avvenuta a Milano de’ libri già appartenuti ad un erudito raccoglitore genovese, figurava, fra le altre cose, un manoscritto dal titolo : Aleinone di Antonio + ag le ci , or se si pensa che la confutazione al Colletta doveva necessariamente contenere una parte cospicua dell autobiografia, non è improbabile che fosse questo appunto il soggetto di quel manoscritto che non so in quali mani sia andato a finire. . GIUNTE ALLE « NOTIZIE DELLA TIPOGRAFIA LIGURE» DEI SECOLI XV E XVI. Crediamo non inutile aggiungere quest’altro manipolo di schede alle Notizie della Tipografia Ligure sino a tutto il sec. XVI, diligente lavoro dell’abate Nicolo Giuliani pu -blicato negli Atti della Società Ligure di Stona Patria Vol. IX, seguendo il criterio dello stesso A. , che ha co -locato nella serie anche opere stampate da editori liguri fuori del territorio della Liguria. I48O. Orazioni di Cicerone. In-4, di cc. 160 n. n. In fine: ExPliciu[n]t or[ati]ones Tulii C. Diligenter emendatae, et per Nicolau[m\ G. venetiis impresse. Anno Domini mcccclxXX te X martii. . , . D . Contiene 29 orazioni e sei invettive. La prima oraz. e la Prolege Maniìia, l’ultima la Pro Caelio Rab. Post. Segue una Invectiva C. Salutili in Ciceronem, cui segue M. T. C. resp. contra Salustium. Le altre 4 invett. sono di C. contro Catilina. L'indice è in pnnc.pio del voi. ‘ Edizione di Nicolò Girardengo. Ne possiede un esemplare Monsign. Prospero Peragallo (1). (1) Comunicazione di Monsign. Prospero Peragallo. — 437 — 1480. Questiones Fratris Gratia Dei . . . doctoris p[re]dicatoru[m] ordinis per ip[su]m in fiorentissimo studio patavino disputate feliciter. Papie 1480 per ma g. Franc, de [G]irardenghis. e 43 η· η· contenenti l’indice. Segue con frontispizio a parte e numerazione separata: Commentarius | deusuris | re solutor his | aliquot dubiorum \ manualis confess. | Martino ab Azpilcueta | Doctore Navarro iampridem sermone I Hispano compositus. | Ntcnc autem ab eodem auctore latinitate donatus, defoecatus, & auctus. | Et i?i hac postrema editione a quam plurimis mendis vindicatus. [Impresa bartoliana grande]. Genuae, De consensu Superiorum. 1585. In-40 di cc. 4 n. n. e pp. 64 n. Es. nella Bibl. Com. della Spezia. 1587· Io. Lvdovici I Vivis | De conscribe?idis | sive componendis | Epistolis. I ad idiaqueuma | Secretis Carolo V. | [Impresa bartoliana]. Genuae, I Anno MDLXXXVII. In-S picc. di cc. 30. Es. nella B. C. d. Spezia. 1587· Ioannis I Lvdovici | Vivis colloquia, | sive | Latinae Linguae | e-xercitatio, | Post onmes editiones accurate emendata. | [Impresa bartoliana]. Genuae, | Apud Hieronymum Bartolum. 1587. In-8 picc. di cc. 8 s. n. cont. front, index e dedicat., e pp. 175 e l’ultima bianca. Es. nella B. C. d. Spezia. 1587· Trattato della natura de’ cibi et del bere. Del Signor Baldassare Pisanelli, ) ne dico Bolognese. In fine: « In Genova, appresso Gieronimo Bartoli, 1587 ». In-240 di car. 144 più 21 occupate da due dediche, dalla Tavola e dal Proemio. Nel frontispizio la piccola impresa bartoliana. Ne possiede un esemplare Monsign. Peragallo (1). 1589· Delle | Meditationi | sopra i principali | Misterii | di tutta la vita | di Christo N. Sig. J Parte seconda. | con le Figure, & Profetie del vecchio I Testamento, & con i Documenti, che dall’ Evangelio si cavano. (1) Comunicaz. dello stesso. — 440 — I Raccolte da diversi S. Padri, & da altri Autori \ per ?/ R. P. Vincenzo Bruno | Sacerdote della Compagnia di Giesu. [Impresa barto-liana col Cerbero e il motto: Virescit vulnere virtus']. In Genova, Appresso gli Heredi di Girolamo | Bartoli. Con licenza de Sup. 1592. In-12 di pp. 863, più 3 in fine n. n. due delle quali contengono parte della Tavola, e l’ultima è bianca. Esemplare nella Bibl. Com. della Spezia. Il Giuliani riporta dal Mazzucchelli una edizione di quattro parti di queste Meditazioni del Bruno dovuta a Gerolamo Bartoli nel 1589, ed in-4 (pag. 214). Il titolo per altro non coincide esattamente. NOTERELLA GOLDONIANA. Nel gennaio del 1761 Carlo Gozzi trionfava a Venezia con le sue fiabe e Carlo Goldoni abbandonava la citta natia per cercar' miglior aria a Parigi, salutando il pubblico veneziano con la commedia \ Una delle ultime sere di carnovale, in cui egli rappresentava se stesso nel personaggio del buon Anzoletto. In tal modo si chiudeva la polemica col bresciano Abate Chiari, la quale aveva riempito di sè le gazzette e che, per dirla col Gozzi, aveva avuto la forza « di far bollire i cervelli della popolazione veneziana , per modo che, divisa in due procellosi partiti , facevano Poco meno che alle scientifiche pugna per sostenere le sublimità delle opere loro ». Il seguente epigramma, inedito, io credo, fu scritto appunto nel 1761, e vale la pena di pubblicarlo perchè dice in quale maniera si giudicasse del Goldoni e del Chiari dagli Accademici della Crusca : In morte di Carlo Goldoni e Pietro Chiari. Muse dell’ Arno che dell’ Adria in seno Portaste lacerato il petto e i panni, Da’ tollerati affanni Respirate : De’ primi vostri gloriosi allori Liete la fronte ornate : I due del vostro onor fieri tiranni ; I due per quattro lustri Temerarj impostori, II Veneto Avvccato Ed il Bresciano Prete, Tra i vortici di Lete — 441 — Da’ lor Libracci oppressi al fin son mort’. Son vendicati, o Muse, i vostri torti : A notizia d’ ognuno Del mille Settecento sessant’ uno. Iscrizione d’Alessandro Fiorentino posta nell’Accademia della Crusca che la desidera. Registrata anche in quella de’ Granelleschi. Rosolino Guastalla. NOTE ARTISTICHE OLIVETANE. In un registro df amministrazione del Monastero di S. Venerio (.1), già esistente nell’ isola del Tino (Tiro) all’imboccatura del Golfo della Spezia, abbiamo trovato alcuni ricordi, che senz’altro trascriviamo : Ihs 1470 die primo Jenuarij. Ricordo corno frate Johane da Villa à donato a questo nostro monastero de sancto Venero de lo Tyro de l’ordine de monte oliveto uno suo breviario novo che lui scripse e fece scrivere e fornire a sue proprie spese cum questa conditione che lo dito breviario sia sempre de questo monastero de mence che sia de l’ordine sopra scripto e in caxo che lo dito monastero foçe levato da lo dito ordine o veramente l’ordine lasase lo dito monastero lo sopra scripto breviario de essere de sancto Jeronimo de Quarto de lo dicto ordine e questa è la voluntade e intentione de lo dito frate Johane. Item lo sopra scripto frate Johane da Villa a fato donasone a lo sopra scripto monastero de uno diurnino in questo medesimo modo ch’è dito de sopra. Lo dito breviario e lo diurnino à in vita sua frate Ge-orgius de mollia pero che lo dito frate Georgio dete lo suo breviario che lui aveva in anti a monte oliveto per duchati V che doveva avere lo monastero de monte oliveto da questo per l’annata de questo monastero che fece lo papa. Lo sopra scripto breviario non lo à più lo dicto frate Georgio pero che luj hebe lo suo che aveva in antj. Sì che lo dito breviario resta in caza (2). Ricordo corno ogi questo di XV de novembre 1470 habiamo comperato noi frati de sancto venero de l’izora de lo tyro uno salterio grande da offitiare in questo monastero pero che non ge n’ era da li frati de sancto Ieronimo de quarto per prexo de firini Lx da soldi xxv lo firino e noi frati siamo obrigati a paghare questa quantitade de (1) Arch. di Stato, Genova. Monasteri (Sala 74), Reg. n. 143. Pervenne a Genova insieme alle carte del Monastero di S. Girolamo di Quarto. (2) Car. clxvt. Giorn. St. e Lelt. della Liguria. 30 — 442 — moneta per spasio de anni V prosimi a vegnire e in quanto non lo paghasemo infra questo termine de tempo li sopra scripti frati de santo Jeronimo possano pigare lo dicto salterio da questo monastero cum ogni megoramento chi foçe stato facto a lo dicto salterio non esando lo dicto monastero de sancto Jeronimo obrighato a paghare a questo monastero quelo tale megoramento e de questo non ne pare atro comptrato sarvuo questo acordio sopra scripto inter l’uno monastero et l’altro. . Ricordo corno ogi questo dì primo de dicembre 1470 nQ1 fratl de sancto venero sopra scripto habiamo fatto ligare de novo lo sopra scripto salterio e fatoge azonzere da doj quinternj de carta e fatolj scrive e notare cum atri fornimenti chi manchavano a lo dicto libro ogni speza costò 11. x s. x corno apare a usita de lo monastero in doe partie (1). 1470 die 20 setembris. Lo convento de sancto Ieronimo de quarto.... Item deno dare ducati quatordici per uno breviario vendè frate Antonio saba a frate Mattia da trieui la proprietà del quale era di questo monastero quali danari se ne comperò le carte dello saltero nuovo ch genova con licenzia di me frate Paulo da Firenze al quel tempo... . 1470 die 15 novembris. Ne habiamo recevuto da lo monastero de sompra scripto uno libro grande che se domanda lo salmista lo quale fo stimato firini L da francesco Carta chi sta a genoa in lo carogio de lo filo, apare uno arecordo de questo libro in lo libro de debitorj a la fine de lo libro e dixi firini 1. (2). 1470 die 10 octubris. Lo monastero de monte oliveto de dare du-chati 5 e soldi 25 de oro chi sono de uno breviario novo de questo monastero che à scripto frate Iohane da Villa lo quale breviario lo fr. abbate generale à venduto per duchati 5 e soldi 25 a frate Bartolomeo da pexori cum la proprietade a questo nostro monastero (3). È noto quanto fosse coltivata presso gli olivetani 1 arte del minio e della scrittura de’ codici (4) ; questo Giovanni da Villa è certo un calligrafo , e potrebbe anche ritenersi come alluminatore. Ci sembrano tuttavia non inutili Que“ ste note (5) rispetto al prezzo dei ricordati manoscritti, i (1) Car. clxvjt. (2) Car. cixt, e cxr. (3) Car. clxnjt. (4) Cfr. Lugano, Memorie dei più antichi miniatori e calligrafi olive-ta?ii, Firenze, Salesiana, 1903. Egli potrà forse trovare notizie di fra Giovanni da Villa nell’ importante Familiarum labula da lui così ben conosciuta. (5) Aggiungiamo qui la seguente riguardante un calice: «Ihesus Mcccclxvnj die v Jenuarij. Sia noto et manifesto a ogni uno chi lezerà questa scripta corno poi de la morte de lo padre abbate de questo monastero videlicet de — 443 — quali appunto in ragione del loro valore non sono da credersi privi di 'quelli adornamenti che a que’ dì non solevano mancare, e che li rendevano assai pregiati. E giova infine a noi il ricordo di quel Francesco Carta libraio nello storico « carogio de lu filo », così denominato anche oggi, dove si raccoglievano i cartai ed i librai ne’ secoli andati. N. BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO. Girolamo Rossi, I Liguri Intemeli, Genova. A cura della Società Ligure di Storia Patria, 1904, 40 p. 167. L’illustre storico di Ventimiglia , che con numerose e apprezzate pubblicazioni illustrò, ne’ più minuti particolari storici e archeologici gran parte della Riviera di Ponente, estendendo alcuna volta, con buoni risultati, le sue indagini a tutto quanto l’antico territorio ligure, offre ora ai dotti un bel volume sui Liguri Intemeli. Più che un lavoro organico, è una serie di notizie, che valgono a mettere in chiara luce, sotto vari aspetti, l’antica Intemelium e il suo territorio. L’A. tratta da prima della topografia della regione degli Intemeli ($ 1, p. 11-17) e delle età preistoriche, occupandosi in modo particolare dei trogloditi di Balzirossi (g II, p. 17-22); passa quindi a parlare dei Ca-stellieri (g III, p. 22-26), che ritenuti da principio come una specialità dell’ Istria, si riscontrano ora in parecchi luoghi dell’ Italia settentrionale. Sembra al R. che essi non mancassero nella Liguria, parendogli ricordati dai castella , della cui frequenza fra i Liguri fanno fede gli storici latini, dagli aggeres alpini, ricordati da Vergilio e da Silio Italico, e dai nomi attuali, Castello, Castiglione, Castellazzo, Castellavo, che s’incontrano nella riviera di Ponente. Più importanti, 0 più caratteristiche della Liguria sono le incisioni rupestri del Mombego, che, dal Moggdrige, dall’Henry, dal Clugnet, dal Blanc, dal Rivière, dal Celesia ecc. all’ Issel e al Bicknell , offrirono sì ampia messe di studi ai dotti. Il R. torna sull’argomento (g IV, p. 27-32) ravvisando in quei frate baptista de testana et visitatore de l’ordine de monte Oliveto frate grigorio rapto da Zenoa vicario de questo monastero in questo anno presente supra scripto et frate georgio de la moga da Zenoa cellerario maggiore anno facto fare uno carexo novo chi peza unce xvj costò lire qnaranta et cinque a raxone de sodi quaranta et doi lonça lavorato et cum atri man-chamenti. Li dinarj di questo calexo sono usiti de certi argenti ch’erano in lo monastero unde n’ è paruto fare lo mego a fa fare questo calexo prospecto che questo arzento non fose ito a male et per honorare lo monastero che molto ne aveva de grandissimo besogno ». (Car. clxvj). — 444 — segni, conforme alP ipotesi degli ultimi scienziati, che si occuparono di tale argomento, i primi tentativi d’ un alfabeto rudimentale, risalente al periodo di passaggio dalle caverne alle terremare , le quali ultime, in conformità colla combattuta ipotesi del Brizio , PA. ritiene il prodotto della medesima stirpe ligure cavernicola , che in seguito di tempo dalla Liguria si sarebbe diffusa su gran parte dell’ Italia, come risulta da affinità toponomastiche (§ V, p. 33_37)· Nel tracciare le più antiche vicende della Liguria Antica l’A, a questo punto , abbandona la paletnologia , che fin qui gli aveva servito di guida , per seguire il mito, che sotto le spoglie di Ercole (ì VI, p. 38-46)» travestimento di Melkart, rappresenterebbe l’attività fenicia lungo le coste liguri, attività, che vi avrebbe lasciato sì importanti traccie, da giustificare il successivo attaccamento dei Liguri Occidentali ai Cartaginesi, al tempo delle guerre puniche. Fu questo appunto che determinò la completa sottomissione dei Liguri a Roma. Mentre fin qui le ricerche dell’A. erano estese a gran parte della Liguria, a questo punto si localizzano ad Albium Intemelium ($ VII-X1I, p. 42-75), della quale, colla scorta dei monumenti e delle iscrizioni, espone le vicende fine all’eccidio della città, avvenuta per opera dei Saraceni. Segue una ricca appendice (p. 7S-155) nella quale sotto forma di vari capitoli , sono , molto opportunamente, ristampati alcuni articoli staccati del R., nei quali sono descritte le antichità e le iscrizioni romane del territorio lntemeliese. Il libro è arricchito da una carta topografica della regione degli Intemeli, e di tre tavole, che riportano alcune notevoli antichità , fra le quali va specialmente segnalato il teatro romano di Ventimiglia. Per quanto un attento lettore possa notare qua e là qualche menda nel bel lavoro del Rossi, osservando ad esempio che non tutte le pubblicazioni più recenti sieno prese in considerazione, e precisamente alcune dove sono pur ampiamente trattati argomenti che all’A. paiono nuovi , e in alcuni particolari , come per ciò che riguarda il punto di divisione fra le Alpi e gli Appennini (p. 12 segg ) e la tanto dibattuta questione della derivazione dell’età terremaricola del bronzo dalla neolatica delle caverne (p. 22 segg.) , nonché per l’analogia cercata dall A. fra gli Ittimuli e gli Intemeli (p. 47 segg.), possa alcuno restar perplesso intorno alle conclusioni dell’A. , tuttavia in complesso il libro del Sig. Rossi è senza dubbio assai pregevole e costituisce un prezioso contributo alla storia antica della Liguria. Giovanni Oberziner. Xavier Poli, La Corse dans I’a?itiquité et dans le haut moyen age (des origines a Γespulsion des Sarrasins), Paris, librairie Albert Fon-temoing, 1907, 8° p. 207. L’A. dal presente volume non è nuovo alle ricerche storiche , essendo noto per alcune pubblicazioni, che si riferiscono alle condizioni militari della Corsica, dopo la sua annessione alla Francia. Ora, come si vede dal titolo stesso , egli entra in un campo più antico e molto — 445 — più esteso, cominciando col periodo delle origini, periodo, che, com’è oscuro e controverso sempre e per tutte le regioni , presenta ancor maggiori difficoltà per la Corsica, che sotto questo riguardo non era ancora stata oggetto di speciali studi sintetici, ancorché non manchino interessanti srudi particolari inseriti specialmente in riviste francesi. In questo pregevole studio l’A. ci schiera rapidamente davanti il periodo preistorico della Corsica, il quale, fino a prova contraria , non risale quivi ad età più remote della neolitica, rappresentata specialmente dai monumenti megalitici (cap. I, p. i-ii). Anzi, meglio precisando, PA. divisi i dolmen della Corsica in tre gruppi distinti, nota la diversità, che, sotto questo riguardo, esiste fra la Corsica e la Sardegna, dove di tali monumenti non appare alcuna sicura traccia, mentre viceversa sono ignoti alla Corsica i nuraghi, per cui conclude, che i dolmen indicano una gente venuta nella Corsica dalle coste francesi, gente che occupò il nord e l’est dell’isola, mentre gli oggetti di ossidiana, denotano che gente venuta dalla Sardegna si stabilì nelle vicinanze di Bonifacio, durante il periodo detto robenhansienne, ed infine oggetti neolitici d’origine italiana affermano la presenza di gente venute dalla penisola italica. Nel periodo protostorico (cap. II) nuove immigrazioni sarebbero avvenute in Corsica, e precisamente i Corsi, che, al pari dei Sharda?ia della Sardegna, sarebbero d’origine libica, quindi gli Iberi, la cui presenza sarebbe comprovata dai numerosi nomi di luogo di tipo basco, poi i Liguri, che, in conformità colla dottrina del d’Ar-bois de Iubainville, ΓΑ. ritiene una stirpe indoeuropea, diversa dagli Iberi, ed infine l’A. avverte infiltrazioni di Celto Liguri e di Celtiberi. Come successivi coloni l’A. ravvisa, benché in scarsa misura, i Fenici, e in maggior numero gli Etruschi o Pelasgi Turseni. Il periodo storico (cap. Ili) incomincia collo stabilirsi dei Focesi in Corsica, colla relativa fondazione di Aleria e coi successivi rapporti cogli Etruschi, coi Siracusani, coi Cartaginesi. Più feconda messe di ricerche offre all’A. il periodo romano (cap. IV). Premesso un quadro, in cui è descritta la Corsica romana sotto l’aspetto geografico, l’A. passa a parlare diffusamente della conquista dell' isola fatta dai Romani, della successiva organizzazione politica, dalle condizioni della Corsica durante l’impero e della introduzione del Cristianesimo. Nè qui si fermano le indagini del dotto A., il quale dedica altri tre capitoli alla trattazione della storia della Corsica nel primo medio evo, occupandosi (cap. Vili) del dominio barbarico (Vandali, Greci, Goti, Longobardi), dell’ influenza e poi del dominio della Santa Sede (cap. IX) ed infine del-Γ invasione dei Saraceni (cap. X). Seguono quattro appendici, che valgono ad illustrare alcuni argomenti de’ quali ΓΑ. tratta nel corpo del lavoro. Dal breve riassunto qui esposto si vede quanta vastità di ricerche occorresse all’A. per trattare un argomento sì arduo ed e-steso, che va dalle origini fino al termine del secolo XII. D’altra parte un lavoro che si propone termini sì ampi, non può essere che una sintesi, I3 quale, nel caso nostro, in alcuni punti riesce fin troppo ri- — 446 — stretta in proporzione dell’importanza dell’argomento trattato, come ad esempio quello della colonizzazione focese e delle successive guerre cogli Etruschi e coi Cartaginesi. Inoltre qualcuno potrebbe anche restare in dubbio intorno ad alcune conclusioni dell’A. specialmente nella parte che si riferisce alle origini, nè vorrebbe forse, senza beneficio d’ inventario, accettare a occhi chiusi le conclusioni, basate massimamente sulle teorie un po’ empiriche del d’Arbois de Iubainville, su una retta divisione di neolitici, Libici, Iberici, e Liguri, che potrebbero altresì costituire, come altri, con non labile fondamento, ritengono, una sola ed unica gente. Per cui, sebbene il lavoro del sig. Poli riempia una lacuna lungamente deplorata negli studi storici, e sia degno quindi del maggiore encomio , esso riuscirà tuttavia più utile a chi voglia avere in poco spazio una chiara e corretta esposizione delle più importanti vicende della Corsica nell’antichità, che non agli specialisti, che volgessero la loro attenzione ad un punto determinato della storia antica dell’ isola. Giovanni Oberziner. Pietro Bologna , Ricordi pontremolesi biografici ed aneddotici. Parma, presso la Dep. di St. Patria, 1908, in-S di pp. 67. (Estr. dal-VArch. Stor. per le Prov. Parmensi, N. S. v. VII, 1907). Sono tre studi. Il primo riguarda Antonio Maria Ricci (1586-1630), giureconsulto di qualche fama a’ suoi tempi, eh’ ebbe dal governo di Milano importanti incarichi. L’A. ne tesse la biografia , trascurata finora da quanti si occuparono di cose pontremolesi. Discendente dall’antica famiglia degli Armani, il Ricci, addottoratosi in Bologna, e-sercitò da prima in patria la professione legale e fu auditore della Provincia di Lunigiana. Ebbe a soffrire prigionia perchè si adoperò affinchè alcuni marchesi di vai di Magra non rinnovassero l'accoman-digia col Granduca di Toscana, ma si mettessero invece sotto il protettorato di Spagna ; ma poi , in premio del suo attaccamento, ebbe dal governo del re Filippo missioni ed uffici ; fu avvocato fiscale di Alessandria, podestà di Tortona, di Como, di Vigevano; nel 1628 venne mandato a trattare col conte di Nassau commissario dell Impero a Trento sopra l'avocazione del possesso degli Stati di Mantova e Monferrato. Terminato questo incarico andò a Gallarate ad assumervi l’ufficio di Vicario reale, nominatovi dallo Spinola, ed ivi morì di peste, durante il memorabile contagio, nell'età di 44 anni. Il nome del Decano Ottavio Ricci , nato nel 1736 , è strettamente legato agli avvenimenti di Pontremoli nei tempi fortunosi della Rivoluzione. Avviato da prima allo stato ecclesiastico , entrò nell’ Istituto di Sant I-gnazio, ma non giunse a farvi professione ; e , sacerdote secolare , si ritirò per tempo in patria dove condusse vita tranquilla negli studi : fu canonico decano della cattedrale, lettore pubblico di morale , dottore in teologia, pastore arcade col nome di Eurinorno. Nel 1791 il Granduca di Toscana lo propose per la cattedra vescovile di Voi» — 447 — terra; ma la S. Sede non volle nominarlo. Il B. non crede che questa sia la causa che spinse il decano nel campo delle novità politiche. Quando il Oraziani, ufficiale còrso al servizio della Repubblica Francese, ebbe innalzato nel 1799 in Pontremoli l’albero della Libertà, invitò il Ricci a parlare al popolo in piazza; e questi pronunziò un discorso, che fu dato poi alle stampe , in cui esaltò la felicità del governo repubblicano, inneggiò alla Libertà, all’Uguaglianza, dimostrando come entrambe abbiano loro fondamento nei precetti evangelici. Fu portato quasi in trionfo sugli omeri del popolo. Dettò un inno alla Libertà, che venne pure stampato, e mantenne la corrispondenza col Graziani, anche dopo che questi ebbe lasciato Pontremoli. Questo suo democratico zelo gli suscitò contro le ire degli avversari, avvenuta che fu la restaurazione; per cui dovette pubblicare una dichiarazione relativa al suo discorso; ma la reazione non se ne contentò, e il Cremani da Firenze gli intentò contro un processo. Il Ricci fu arrestato, ma il processo, andato in lungo per un anno e mezzo, finì in nulla, e il decano fu liberato nell’aprile del 1800, non senza però che fosse obbligato a far pubblica una solenne ritrattazione dei sentimenti liberali espressi nel citato discorso. Ritrattazione che non ebbe poi luogo, in grazia degli avvenimenti che incalzavano: la fortuna di Napoleone impedì l’esecuzione della sentenza del Cremani. Il Ricci morì nel 1812, lasciando le seguenti opere: De Principis officiis, un Quaresimale, alcuni Panegirici è iscrizioni, e una traduzione in latino degli Atti del Concilio Nazionale francese. La terza parte dei Ricordi del Bologna riguarda gli avventi pontremolesi del 1799 1 ® come un appendice ai cenni biografici del decano Ricci. Con copia di particolari inediti o poco conosciuti il B. rifa la storia « della solenne baldoria colla quale in Pontremoli, come da per tutto, fu installato nel 1799 il governo repubblicano francese » e della guerra combattuta successivamente sull'Appennino Ligure, aggiungendo qualche particolare a quanto fu scritto in proposito su questo Giornale (anno Vili, 1907, pp. 121 sgg.), e specialmente sul tanto strombazzato fatto di Zeri, il quale in sostanza non fu altro che un’ignobile episodio della reazione, a favore degli Austriaci. Queste «Memorie pontremolesi» son dettate con quella diligenza di metodo e garbatezza di forma, che son pregio di tutti gli scritti del chiaro autore. Giovanni Sforza. La rivoluzione del 1831 nel ducato di Modena. Studi e documenti. Roma-Milano , Soc. Edit. Dante Alighieri di Al-brighi, Segati e C. , 190S ; in-i6.° pp. 435- — Esuli estensi in Pie’ morite dal 1848 al 1859. Modena, Ferraguti e C. 1908; in-8,0 pp. 104. Alla scarsezza di documenti intorno al 1831 nell archivio di Modena , scarsezza che deriva dall’ averli portati con se Francesco λ quando abbandonò il Ducato nel 1S59 , sopperisce in buona parte lo studio dello S. onde muove il nuovo volume che viene ad accrescere — 448 — la notevole collezione del Risorgimento italiano. Egli si è giovato come fondo principale delle carte riguardanti quel periodo, che si conservano neirarchivio di Massa, ma ha suffragato la sua narrazione con altri materiali qua e colà raccolti, facendo suo prò delle pubblicazioni parziali o laterali , già comparse in pubblico e riguardanti in ispecie gli uomini che a quei momentosi avvenimenti presero parte. Qui dunque abbiamo il racconto meglio particolareggiato e più sicuro intorno ai moti modanesi, alla partenza del duca, all’istaurazione ed agli atti di quell’ effimero governo provvisorio, che in breve dovette cedere al ritorno del principe sostenuto dalle baionette austriache, infine alle conseguenze di sì fatta restaurazione con speciale riguardo al distretto di Massa e Carrara. I documenti a corredo consistono nella ristampa dei cinque rarissimi numeri del Monitore Modanese che fu il giornale officiale del Governo Provvisorio . a proposito del quale è notevole una succosa nota che si riferisce singolarmente al suo direttore Leonardo Nardini (p. 399 e segg.); nella pubblicazione de’ brani inediti della Cronaca modenese di Francesco Sossai (su di lui è a vedere la nota a p. 407 e segg.), riguardanti il periodo rivoluzionario, i.° febbraio — 26 maggio; e così della relazione de’ medesimi fatti dettata da Antonio Setti (cfr. le sue notizie a pag. 410 e sgg.); seguono quindi i ventun documenti sulla rivoluzione che si conservano nell’archivio storico comunale di Modena, a cui tengon dietro i dispacci del consigliere Pagani al Governatore austriaco della Lombardia sul periodo della reazione e vanno dall’ aprile all’ agosto; si riproduce finalmente 1’ epigrafe onoraria per i trenta giovani che combatterono nella casa di Menotti , scritta da Anacarsi Nardi , di cui lo S. reca brevemente sicure notizie biografiche. Noi abbiamo dato un sommario della contenenza di questo libro, ma chi si rifarà su quelle pagine rimarrà pienamente soddisfatto dalle numerose notizie che porgono le annotazioni la cui utilità non è chi non vegga. L’indice delle persone, indispensabile in sì fatti lavori, chiude opportunamente il volume. Può considerarsi quasi diremo un seguito del primo lavoro, l’altro che riguarda gli esuli estensi in Piemonte, poiché con quello si ricongiunge in ordine alle vicende rivoluzionarie negli stati estensi ed anco a taluni uomini che ad esse ebbero parte. Abbondano qui i documenti, i quali rispecchiando l’animo, e i sentimenti di quei patrioti , porgono, oltreché notizie individuali, notevoli riferimenti storici de’ casi intervenuti a’ loro tempi. Degno di rilievo quanto concerne il poeta Pe retti; piace il ricordo d’un dimenticato, Antonio Brocchi ; ma di non piccola importanza sono, a nostro giudizio, le molte e curiose notizie riguardanti Luigi Chiesi, Manfredo Fanti, Domenico Cucchiari, Enrico Cialdini, Francesco Selmi, l’opera proficua de’ quali rimarrà sempre memorabile nella storia politica-militare del nostro risorgimento. L’episodio sulla insurrezione preparata nel 1859 , perchè scoppiasse a Massa e Carrara, e fosse pretesto a dichiarare la guerra all’Austria, riceve qui nuova luce e nuovi dettagli. In fine ci appare assai interes- — 449 — sante una lettera del Selmi a Nicomede Bianchi , in cui tocca della parte avuta dalla Società Nazionale e dal governo nella spedizione dei Mille. Questo documento fa parte delle note , le quali sono molte, e lumeggiano meglio le cose dette e gli uomini nominati nel testo. Il Selmi che da Torino fu attivissimo propagandista nel modanese delle idee patriottiche sostenute dalla Società Nazionale, indicava al La Farina nel >59 alcune persone di Reggio e di Modena, sulle quali si poteva contare per la prossima azione rivoluzionaria. Questo singolare documento ci induce a pubblicarne uno consimile di alcuni anni innanzi, scritto da Nino Bixio, e riguardante appunto gli stati estensi ; eccolo (i) : A Modena ò scritto perchè s’istituisca il Comitato deirAssociazione Nazionale, ed aspetto risposta che comunicherò tosto che venga. Intanto per la statistica dò io provvisoriamente alcuni nomi d’uomini che vivono nel modenese buoni per le armi. Prampolini Francesco, già uffiziale nell’artiglieria Bandiera Moro a Venezia. È valorosissimo, ottimo per la sua partita, tutto de’ nostri principj che sente profondamente, capace di ogni sacrifizio. E uomo moralissimo, assai povero ed ora gode pochissima salute in conseguenza delle ferite e dei patimenti di Venezia. È uno di quelli a cui mi sono rivolto per formare il comitato, e quello in cui confido più. Sta a Modena. Ingegnere Francesco Montanari, capitano del genio a Roma, il solo forse che conoscesse quella partita, essendo allievo della scuola dei pionnieri di Modena. È pieno di coraggio e d’attività, ed è pienamente republicano. E della Mirandola dove abita. Araldi Giovanni, capitano d’artiglieria. Valorosissimo anch’egli s’è coperto di gloria a Curtatone e ad Ancona. È di principj republicani ed uomo d’azione. Sta a Modena. Marchese Camillo Fontanelli, figlio del generale di quel nome. E giovine, ricco, buono, più atto ad agire militarmente che ad altro. Fu capitano dei volontarj del 48, poscia maggiore nel 23 in Piemonte. Ebbe e meritò la medaglia a Novara. Dopo subito si dimise con animo di recarsi a Roma con Battista Ruffini, ma non fu in tempo. E nato ottimo uffiziale. Sta a Modena. Angelo Menotti, nipote di Ciro. Già capitano de’ volontarj , poi del 23 si dimise come il Fontanelli dopo Novara, dove si distinse. E republica-nissimo, ed ottimo soldato. Sta a Carpi. Calvi, antico esule, poi capitano de’ volontarj , poi de’ bersaglieri, ritiratosi dopo Novara. E avanzato in età, savio ed ottimo uomo, e bravissimo uffiziale. Nel suo paese può anche acquistare influenza. Non so se nelle 0-pinioni sia con noi, so che è uomo di buona fede ed italianissimo, per cui una via d’intendersi con lui non sarà diffìcile a trovare. Abita a Finale di Modena. Aggiungerei a questi : Il Conte Ludovico Calori, giovinotto (da non confondersi con un medico suo cugino che è pessimo arnese) che militò valorosamente nei volontarj, (1) È autografo, senza indirizzo e senza firma. Si trova nella Bibl. della R. Università di Genova, fra le carte Celesia. — 450 — poi fu sargente istruttore ne’ Bersaglieri fin dopo Novara. Non so fino a qual punto arrivi nelle opinioni politiche, ma è di buona pasta e può servire all’organizzazione. Sta a Modena. In generale poi saranno ottimi uffiziali, massime del genio, tutti gli allievi della scuola matematica de’ Pionnieri di Modena , fra’ quali noto qui per merito, per coraggio mostrato al campo , e per essere veramente credenti ne’ nostri principj : Ingegnere Luigi Galli di Modena. Ingegnere Enrico Pacchioni id. Oltre a questi altri vi sono che non rammenterei. ANNUNZI ANALITICI. Giovanni Sforza. Gli Scrittori della Lunigiana estense. Prima serie. Modena, Vincenzi, 1908; in 8°, pp. 172. — Le biografie del presente volume sono parte della Continuazione ed aggiu?ite alla Biblioteca Modenese del Tiraboschi, che ha incominciato a pubblicare testé ne’ suoi Ai li e Memorie la R. Deputazione di storia patria modenese. Si tratta degli scrittori di quel tratto di Lunigiana che al governo e-stense fu soggetta fino alla costituzione del regno, e in questa prima serie sono raccolte le bio-bibliografie di quelli che cadono sotto le lettere A e B. Di ciascuno di essi si danno le notizie biografiche, più o meno larghe a seconda della loro importanza, a cui seguono la indicazione bibliografica degli scritti editi e inediti. Lavoro assai importante per la copia delle informazioni, e che sarà senza dubbio apprezzato dagli intelligenti. È da augurare che sia presto proseguito, sebbene sì fatte opere, come ognun sa, richiedano tempo e non lieve fatica. Il beato Baldasarre Ravaschieri dei frati Minori ed il suo culto. Genova, Capurro, 1908; in 16Λ pp. 112, con rit. — Questo religioso, contemporaneo ed amico del p. Bernardino da Feltre, vissuto dal 1419 al 1492, appartiene all’illustre casato che era propagine dei conti di Lavagna. Studiosamente in questo libretto ne è divisata la vita, ne son dette le benemerenze , esposte le vicende del cuko e del corpo, ch’ebbe più ricognizioni e traslazioni. Formano in fine due appendici la indicazione dei ritratti che si hanno di lui, e l’elenco delle opere stampate o manoscritte, nelle quali si tiene proposito del beato Bal-dassare. Il libro è anonimo , ma noi crediamo che ne sia autore il p. Federico Gazzo. Giuseppe Frassinetti e Γopera sua. Studio storico-critico del sac. Giuseppe Capurro. Genova, tip. della Gioventù., 1908; in 8.° gr., pp. 24-IV-31; con rit. — Diligente esposizione dell’apostolato del parroco ben noto di S. Sabina, delle sue dottrine, dell’influenza esercitata sul clero, e delle polemiche sostenute in omaggio ai principii da lui virilmente professati. Notevole l’appendice, che è una ragionata bibliografia dei numerosi suoi scritti, così a stampa come inediti. -—451 — L'archivio comunale di Portofino. Un episodio del 1814111 Liguria. Appjcnti di Francesco Davegno, Genova, S. A. G. A., 1908, in-8°, pp. 31. — Siamo d’accordo con 1’egregio autore che l’archivio antico del piccolo comune non dovesse essere ricco di carte, ma non ci persuade una delle prove ch’ei ne reca , poiché soltanto le disposizioni, o meglio gli avvisi d’indole generale solevano inviarsi per mezzo di circolari da trasmettersi di mano in mano in tutta la riviera per mezzo dei Giusdicenti. È a dire piuttosto che essendo comune di piccola importanza non erano frequenti le necessità di relazioni col governo della dominante. Ciò è meglio palese dalle carte dell’archivio genovese , dove sono assai rade le corrispondenze di quegli agenti comunali. Non troviamo esatto il ragguaglio della lira genovese a centesimi 80 de’ nostri ; poiché sì fatto valore dato alla lira è relativamente recente, mentre ne’ secoli andati essa valeva assai più. Senon-chè intento dell’a. è quello di esporre le vicende dell’archivio comunale dopo la rivoluzione del 1797, quando la Municipalità ebbe la sua sede fissa , e per conseguenza il suo archivio si accrebbe e durò fino al 1814 , anno in cui per i noti avvenimenti politici la Liguria attraversò una crisi turbolenta. Anche a Portofino s’intesero gli effetti di codesti turbamenti, e furono 1’ assalto dato alla residenza municipale da alcuni paesani marinai disertori dell’ armata francese , venuti da Tolone , e quindi 1’ abbruciamelo dell’archivio. Per fortuna non tutto andò alle fiamme, e 1’ a. divisa quel tanto che fu salvato, in confronto d’ un inventario del 1805; ma certo andarono perdute tutte le carte raccolte ne’ 9 anni in cui la Liguria divenne parte dell’Impero. E a questa medesima sorte dovettero soggiacere le carte più antiche. Di ciò sono qui recati i documenti; mentre altre corrispondenze riguardanti la presa per parte degli inglesi dei cannoni nel forte son date in appendice , dove pur si legge una curiosa lettera del 18 ottobre 1814, nella quale si rende conto dell’arrivo in Portofino il 13 dell’avviso imperiale L’Abeille proveniente dall’isola dell’Elba, e dello sbarco ivi avvenuto di quattro persone che presero la via di Ruta avviate a Genova; esse erano, a quanto si afferma, un ufficiale di Napoleone, con la moglie in abito virile, accompagnati da due servi. G. B. Cabella. Pagine Voltresi. Contributo per la Storia Medioevale e (Jo?itempora?iea. Genova, tip. della Gioventù , 1908 ; in-8.° pp. XXXIX-615. — Secondo dice esattamente il titolo, non è questa una storia di Voltri propriamente detta e delle sue adiacenze; sì bene una ricca ed ampia raccolta di materiale istorico che può giovare ottimamente alla compilazione d’un ordinato racconto intorno alle vicende di quel tratto della riviera di ponente. L’A. però a dare una certa consistenza a così ingente raccolta di notizie documentarie, le ha disciplinate in parti o divisioni, e queste a lor volta in capitoli e paragrafi. Così noi abbiamo innanzi tutto quanto riguarda il governo eia vita civile, e quanto ha tratto alle cose chiesastiche e religiose. Dopo — 452 — una introduzione topografico-storica, in dieci capitoli si rassegnano per voci e materie le notizie pertinenti alla prima div.sione , muovendo dalle autorità locali, fino al governo democratico; di guisa che il lettore trova iu queste pagine ciò che si riferisce aH’amministrazione del comune, alle industrie, al commercio, agli uomini ed ai fatti degni di memoria. Del pari dalla divisione religiosa, spartita in nove capitoli, si attingono le notizie delle chiese, delle cappelle, degli oratori e via dicendo. Chiude il volume un’appendice in tredici paragrafi, ne’ quali son date speciali notizie di chiese , visite pastorali, monasteri , ecc., con alcuni documenti. Senza trascurare le fonti a stampa, 1’ a. si è rifatto in ispecie agli archivi di Genova e di Voltri, e di qui ha tratto la massima parte del suo materiale ; a quest’ uopo gli sono stati di grandissimo giovamento i protocolli notarili , preziosa ed inesausta fonte di sempre utili ed accertate notizie. Memorie storiche di Ponte de cimo in vai di Polcevera. Ricordo delle feste giubilar i celebrate nei giorni 6-7-8 settembre 1908. Genova, Ma-scarello, 1908; in-8.°, pp. 135, con fig. — Memorie storiche di Granarolo. Ricordo delle feste cinquantenarie di N. S. della Guardia celebrate nei giorni 5-6-7 settembre 2908. Genova , Mascarello , 1908, in 8.° pp. 40, con fig. — In luogo dei consueti numeri unici , i compilatori di queste ricordanze, hanno ben pensato di raccogliere in volumetti gli scritti destinati a tramandare memoria delle feste celebrate. Così con ottimo consiglio, hanno dato un più largo sviluppo alla parte storica e documentaria. In fatto nel primo, che è di ragione più ampio, si leggono notevoli scritti, dettati con particolare competenza che in ispecie illustrano le vicende religiose di Pontedecimo; mentre non mancano quelle ordinate a riferire sulla denominazione del luogo, sul castello, sulle scuole, sull’ agricoltura, sulle industrie ecc. Cinque documenti, il più antico del 1167 e il più recente del 1857^ confortano le notizie riguardanti la chiesa e la parrocchia. E appunto di questa, dai tempi più antichi fino ai nostri, discorre con fondata dottrina nico Cambiaso nei tre capitoli onde si apre la serie degli scritti quivi raccolti; a’ quali seguono le notizie artistiche, per mano del Cervetto; ciò che ha tratto al campanile, all’ organo , e poi al culto di speciali titolari e patroni, alle confraternite, ai cappuccini e via dicendo; dando così al volumetto omogeneità di materia e di composizione. Di minor mole è l’opuscolo che riguarda Granarolo , e doveva essere come di minor momento; ma anche qui ritroviamo la penna del Cambiaso che ci pone sotto gli occhi la storia della chiesa di S. Maria , dalle sue origini fino all’anno in cui perdette la parrocchialità; e quella del Cervetto che ci porge le notizie della località, delle sue ville, a de fatti più clamorosi onde fu teatro; mentre il prevosto Parodi tiene ragionamento di fra Bonifacio eremita del XIII secolo, che avea eletto stanza in quell’altura. Santo Monti. Como romana. Seconda edizione con Raggiunta delle iscrizioni remane ritrovate nelVAgro Comense in questi ultimi anni. — 453 — Como, Ostinelli, 1908; in 16.°, pp. 92. — L’antica storia della città di Como nel periodo romano, desunta da monumenti , da scrittori classici e da critici gravi e attendibili, viene esposta dall’a. con brevità e con chiarezza. Egli nulla trascura di quanto s’attiene alle vicende politiche, civili, militari, topografiche, e con prudente riserbo sa discernere, attraverso a dati frammentari od oscuri, quel tanto che può essere posto in rilievo da induzioni non campate in aria, ma suggerite dalla sana critica. Il volumetto fa parte di una collana storica comense, alla quale il M. stesso coopererà con la ristampa di successivi lavori intorno a Como neirinvasione barbarica, ed alla Chiesa comense. Il pensiero dell’abate Gali ani. Antologia di tutti i suoi scritti a cura di Fausto Nicolini. Bari, Laterza, 1909 ; in 8.0, pp. VIII-442. — Il comporre un volume di questa natura non era, come potrebbe da alcuno supporsi, cosa spiccia ed agevole. Conveniva innanzi tutto ampia, profonda e perfetta conoscenza dell’ uomo, delle opere, delle manifestazioni, dell’ ambiente , dei tempi. Perchè intento del N. è quello di metterci sotto gli occhi, di additare alla nostra osservazione « sotto i suoi vari aspetti la figura intellettuale » del Galiani. Figura invero assai complessa, e in un tempo bizzarra e curiosa, nella quale noi riconosciamo lo spirito arguto, 1’ umorismo piacevole congiunto al pensiero filosofico serio e profondo, non senza alcun che di originale e di paradossale. Di tal guisa si manifesta ne’ vari e molteplici atteggiamenti che egli assume trattando di proposito, o discorrendo per occasione di cose varie e disparatissime, attinenti ai vari obbietti che la civil società, e la compagine politica, in mezzo alla quale ei trasse la sua vita, gli porgevano all’osservazione; sia che l’impressione scaturisca immediata e pronta dalla sua mente, o fosse il prodotto di più meditato proposito. Era quindi necessario dritto e sano criterio, mano felice e sicura, nel saper trascegliere fra la congerie così varia, e di così diverso valore de’ suoi scritti, tutto quanto meglio valesse all’intento propostosi dall’ a. e a quanto occorreva perchè il lettore acquistasse buona ed intera conoscenza dello scrittore e dell’ uomo. E il volume nella sua divisione e nella materia risponde a sì fatto concetto. Si apre con gli scritti economici e politici, dove in ispecie si leggono le più importanti pagine del trattato sulla Moneta e dei « Dialogues S7ir les blés ». Ampia materia si raccoglie nella seconda parte, che è dei pensieri, apologhi e dialoghetti, dove pur trova luogo abbastanza notevole quanto si riferisce alla economia politica, alla finanza e simili; mentre la scienza degli stati, e le dottrine filosofiche e morali s’ accompagnano con i giudizi su popoli e persone cospicue della storia, a cui danno argomento interessante gli avvenimenti contemporanei, donde si veggono tratte conseguenze rispetto al futuro non prive d’ importanza. Nè vien naturalmente dimenticato la letteratura e 1’ arte, come quella che porse al Galiani più volte occasione di esporre i suoi pensamenti ; de’ quali ci sembrano rilevanti quegli sul teatro francese! L’ ultima parte di questa giudiziosa scelta con- — 454 tiene gli scritti filologici e letterari ripartiti in due distinti paragrafi ; e cioè gli studi oraziani, e quegli intorno al dialetto napoletano, cui tien dietro una scena dell’ ormai famoso Socrate immaginario. I primi si vantaggiano di alcune cose inedite. Chiude degnamente il volume il saggio bibliografico che reca 1’ elenco ragionato degli scritti del Galiani così stampati come manoscritti, e dà quindi una larga e ben nutrita informazione sopra i lavori e i giudizi riguardanti il ganiale abate napoletano. Chi conosce la competenza e la somma diligenza del N. non ha bisogno che per noi s’aggiunga parola alcuna di lode per quest’ ultimo suo lavoro. Affrettiamo bensì col vivo desiderio il .giorno in cui egii ci darà, in ogni parte compiuto, 1 epistolario galia-neo, illustrato e commentato com' egli sa e può, in guisa da rispondere alla giusta aspettazione degli studiosi. Inventario dell’archivio comu?iale di Carrara ,per cura di Umberto Giampaoli Massa, Medici, 1908; in 4. pp. 76. — Al G. spetta il merito di aver riordinato quest’archivio, al quale pur troppo mancano tutte le carte più antiche, poiché esso cronologicamente muove dalla fine del sec. XV con la raccolta, certamente preziosa, dei libri catastali. In una ben ordinata prefazione 1’ a. rende lucida e particolare ragione non solo dei criteri direttivi onde si rifece a riordinare quel-1’ ammasso informe di carte, ma altresi del contenuto e della importanza dei documenti ivi conservati nei riguardi della storia, indicando, sotto i diversi capi, in qual modo venne ripartito il materiale archivistico. Utile lavoro e tale da porgere esempio a tutti i comuni, i quali solleciti delle patrie memorie dovrebbero imitare il comune carrarese nell’opera altamente lodevole di riordinamento e di conservazione. Il G. reca in fine una sommaria notizia deir archivio notarile, che comincia dalla seconda metà del sec. XV, augurandosi che il comune volga anche a questo le sue provvide sollecitudini. SPIGOLATURE E NOTIZIE. Monsignor Vescovo della diocesi di Luni-Sarzana e Brugnato, con ottimo consiglio degno di altissimo encomio, ha emanato precise e categoriche disposizioni a fine di provvedere alla conservazione delle opere d’arte e dei documenti d’archivio che si conservano nelle chiese, o che in qualsiasi modo sono alla custodia del Clero. Egli ha ingiunto, in un tempo determinato la compilazione di un esatto inventario così degli oggetti d’arte come dei documenti ; demandando la vigilanza intorno a sì fatto importantissimo argomento ai Vicari foranei , e ad una commissione da Lui appositamente nominata. Infine ha vietato i cambi e le vendite de’ summentovati oggetti spettanti alle chiese ed agli archivi. Noi facciamo plauso a codesto provvedimento , a corroborare il quale può essere sicuro S. E. Monsignor Vescovo di trovare sempre valido appoggio, ove sia duopo , nella sollecitudine e nella — 455 — competenza del R. Ispettore per gli scavi e le antichità del Circondario della Spezia, eletto con decreto reale del 12 novembre passato. *** Una nave caricata di suppellettili, tappezzerie, arazzi, vasi ecc. appartenenti ad Isabella d’Este e partita da Civitavecchia, venne predata dai barbari fra Talamone e Grosseto, il 24 maggio 1527. E poiché la marchesana sospettava che i ladri fossero genovesi , o a’ servigi di Andrea Doria, vi fu un vivo scambio di lettere con questi, il quale smentì l’accusa, frutto, com’ebbe più tardi a riconoscere Isabella, di sparse calunnie. Ne scrisse anche al doge e ad altri genovesi, singolarmente a Benedetto Centurione, che mal si comportò verso di lei, che l’aveva ospitato in Roma durante il sacco. Di questo curioso a-neddoto discorre il Luzio, Isabella d’Esfe e il sacco di Roma (in Arch. Stor. Lotnbvol. X, pag. 93 e sgg.) recando alcun documento. Notiamo che la prima lettera d’isabella al Doria, e una di questi già a-vevano veduto la luce (cfr. Neri, A7idrea Doria e la corte di Mantova, Genova, 1898; pag. 4 e sg.). Nell’ archivio genovese non ci fu dato ritrovare alcuna traccia di corrispondenze col governo. *** Un agente del card. Ercole Gonzaga gli scriveva da Roma il 17 febbraio del 1538: nd· , ,t . . . . p Versione dal latino in ital. dell’ Inno alla Pace fatta, dall A. cap. . cav. G„ Parma, Tip. Lib. Cale. G. Ferrari e figli, 1876, in-8, pp. 26. Alla damigella N. N, per album, anacreontica. In: Serate italiane, letture per le famiglie, A. IV, voi. 8», n. 207, 16 die. 1877. (Torino), pag. ’>85 XPetriciolius amico suo dulc. Can. Balsinello de sanitate confirmata ex animo gratulatur ac versus mittit. In: Il Baretti, A. IX, n. 59, Torino, 13 die. 1877, p. 466 sg. . In morte di Vitt. Emanuele II, sonetto. In: Il Barelli, A. X, n. 4, Torino, 17 genn. 1878, pag. 26. [A parte:] s. n. t. in-8, pp. 2 η. n Eugenia N. N. veduta di 15 anni. Veduta di 45 anni, 2 sonetti. In. Serate Italiane, A. V, vol. 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Stefano fatta dal cardinale Ugolino d’Ostia - La Nazione tedesca e l’altare di Santa Francesca Romana — La prima chiesuola di S. Michele sul poggio di Santo Stefano - L’ospedale ed i bagni di Santo Stefano _ Un inventario interessante della chiesa di S. Stefano (in La Madonna della Guardia, a. XIII , n. 4-5 ; e il quinto e settimo art. riprodotti in Rivista storica benedettina, a. Ili, pag. 482 e sgg.). — AS. Ambrogio di Rapallo, impressioni e note — Il culto della Madonna nella chiesa di S. Stefano (in II Cittadino, 1908, n. 219, 239). — Per la beatificazione di Vincenzo De Paoli: documenti (in Settimana Religiosa, 1908, n. 28). Feste centenarie di N. S. della Pietà e del Soccorso (in Settima?ia Religiosa, n. 16, 18, 21, 23, 25, 27). Figure Genovesi del secolo XIX — Il Duca di Galliera (in Illustrazione Genovese, Genova. 1908, n. 8). Foglie sparse, n. 5. Il cardinale Martino Cybo {Luigi Mussi). — n. 6. Le opere d’arte di Massa di Lunigiana (Luigi Mtissï). — n. 7. L’istituzione del Collegio dei Gesuiti a Massa di Lunigiana {Luigi Mussi). — n. 8-11. [Lettera di E. Repetti a Saverio Salvioni] — A proposito di una strada — Giuoco della palla in Corvara (A. Ricci) 11 giubileo del S. P. Pio X e la diocesi di Luni-Sarzana e Brugnato — Il giubileo archidiaconale di monsignor canonico Luigi Podestà — I Malaspina nel Brugnatese (E. Putti). - n. 12. Legnaro (Francesco Salvatore). — Lettera di Niccolò Paganini. — La nuova cappella a N. S. della Scorcia a Spezia (1564). Frascara Angelo. L’itinerario di Antoniotto Usodimare I tentativi per giungere alle Indie — L’eccidio di Opizzino d Alzate (in La marina merca7itile italia?iay a. VI, η. 141)· Gaghot Edouard. Histoire militaire de Massena. Le siège de Gênes (1800). La guerre dans l’Apennin — Journal du blocus — Les opérations de Suchet. Ouvrage accompagné de gravures, plans et cartes. Paris, Libr. Pion., 1908, in-8, pp. 448. — 465 — Gallico Giuseppe. 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Gabotto .................Pag. 5 Contributo alla vita di Giovanni Fantoni. G. Sforza . . 37? 148 Un romanziere ligure del sec. *XVII. S. Fermi......7° Carteggio inedito del Pontefice Gregorio IX coi genovesi. . . 121 Antonio Maria Visdomini poeta e umorista lunigianese. F. L. Mann ucci..................I7^ Angelo Galli e i codici delle sue rime. M. Manchisi .... 257 La cacciata dei tedeschi da Genova nella poesia contemporanea. A. Neri...................311 Documenti d’arte inediti dei secoli XV e XVI. U. Mazzini. . 361 Autobiografie di illustri lunigianesi. G. Sforza......382 Monumenti celtici in Val di Magra. U. Mazzini......393 VARIETÀ. Gli organisti del comune di Genova. F. Podestà.....97 Una nuova tomba ligure. U. Mazzini..........io5 X La peste in Val di Polcevera negli anni 1579-15S0. D. Cambiaso 210 I più antichi protocolli dell’archivio notarile dell’Aulla. G. Sforza 334 Manoscritti del Chiabrera. A.N............4*9 Appunti d’Archivio. Contributo alla bibliografia storica della Lunigiana. U. Giampaoli..... ........426 Appunti intorno ad Antonio Maghella. A. N........432 Giunte alle notizie della tipografia ligure dei secoli XV e XVI. 436 Noterella goldoniana. R. Guastalla..........44° Note artistiche olivetane. N..............44T BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO. F. L. Mannucci. L’Anonimo genovese e la sua raccolta di rime (P. Ξ. Guarnerid)................109 > F. Poggi. Lerici e il suo castello (U. Mazzini)......220 / — 471 — G. Rossi. I liguri intemeli (G. Oberziner)........443 X. Poli. La Corse dans l’antiquité (G. Oberziner).....444 P. Bologna. Ricordi pontremolesi biografici ed aneddotici (£/. M.) 446 G. Sforza. La-r-ivoluzione del 1831 a Modena. — Esuli estensi in Piemonte..................447 ANNUNZI ANALITICI. Nozze Ferrari-Toniolo, pag. m. — C. Levi. Saggio di bibliografia degli studi critici su Carlo Gozzi. — Saggio bibliografico su Pietro Cossa. — Saggio sulla bibliografia italiana di Molière. — Contributo alla bibliografia della critica goldoniana, 113. — C. Bonardi. Enrico Heine nella letteratura italiana , 114. — G. Carbonella II « De sanitatis custodia » di maestro Giacomo Albini, 115. — Ch. Dejob. Baretti, Goldoni e Métastase (L. P.), 115. — F. Nicolini. Niccola Nicolini e gli studii giuridici nella prima metà del sec. XIX, 225. — L. Frati. L’inventario di Bartolomeo dalla Rovere, 226. — G. Natoli, E. Vitelli. Storia dell’arte, 227. — A. Comandini. L’Italia nei cento anni del sec. XIX, 227. —L. Pellini. Per le onoranze a Stefano Grosso, 228. — G. Livi. Piero di Dante e il Petrarca allo studio di Bologna, 228. — G. Bigoni. Per la lega fra Genova e l’Ungheria nel 1352, 228. — G. Zambeccari. Lettera sulle vivisezioni, 229. — Strenna a benefizio del Pio Istituto dei Rachitici, 229. — Strenna ricordo del Circolo Educativo S. Alessandro Sauli, 232. — G. P. Clerici. Episodi della vita di Pietro Giordani, 233. — A. V. Kolzoff. Liriche russe, tradotte, 233. — F. Rollino, A. Ferretto. Storia documentata della parrocchia di S. Margherita Ligure, 234. — L. Tansillo. I capitoli del podere annotati, 234. — E. Poirè. Magenta e Solferino (G. Bigoni) 235* — C. Marlowe. Faust, versione con altre poesie (F. L. Man-nucci), 236. — M. Pertusio. La vita e gli scritti di Giovanni Ruffini, 237. — G. Gigli. Il disegno del Decamerone, 238. G. B. Gerini. Vincenzo Gioberti e le sue idee pedagogiche, 238. — Modena a Carlo Goldoni, 340. — C. Paschetto. Felice Romani, 342. — D. Cambiaso. Cremeno e la Polcevera , 342. — G. Vannini. La vita e le opere di Raffaello Lambruschini, 344. — F. Z. Mol-fino. Il p. Raffaele Cataldi, 345. — C. Fedeli. Di alcuni ricordi storici del Palazzo Reale di Pisa, 345. — L. Frati. La legazione del card. Lodovico Fieschi, 345. — A. Pilot. Un peccatacelo di Domenico Venier. — Canzoni inedite di Mafleo Venier — Don Cesare d’Este e la satira, 346. — P. Molfino. Un padre cappuccino ambasciatore a Vienna, 346. — A. Lazzari. Il capitano Angelo — 472 — Pesante di Sanremo e Giuseppe Garibaldi, 347. — A· Pellizzari. Un bacio dato non è mai perduto, 347· — RoccA* Massa Lunigiana nella prima metà del secolo XVIII, 347- U. Aldo-vrandi. La vita scritta da lui medesimo , 348. — F· Nicolini. L’ € Istoria civile » di Pietro Giannone ed i suoi critici, 34^· G. Cavatorti. Catalogo delle stampe e dei manoscritti di Agostino e Giovanni Paradisi, 349· - P· Peragallo. Epistola del Re di Portogallo a Leone X, 349. — A. Manzoni. Poesie liriche e V. Monti. Poesie scelte, illustr. da A. Bertoldi, 349· - G· Sforza. Gli scrittori della Lunigiana estense , 450· — 11 beato Baldassarre Ra-vaschLeri, 450. — G. Capurro. Giuseppe Frassinetti e l’opera sua, 450. — F. Davegno. L’archivio comunale di Portofino, 451. G. B. Cabella. Pagine Voltresi, 451. — Memorie storiche di Pon-tedecimo e di Granarolo , 452. — S. Monti. Como romana , 452· — 11 pensiero dell’Ab. Galiani, 453- — U. Giampaoli. Inventario dell’archivio comunale di Carrara, 454. Spigolature e notizie. Pag. 239, 350, 454. Necrologia. Pag. 459. Appunti di bibliografia ligure. Pag. 116, 355, 461. A. Frisoni. Bibliografia scientifica della Liguria. Geografia e Storia naturale. 1907. Pag. 244. Società Ligure di Storia Patria. Cronaca. Pag. 254. Avviso. Pag. 461. Giovanni Da Pozzo amministratore responsabile.